Gazzetta del Sud,
22.5.2002
Camilleri: «Capitò tutto quello che poteva capitare»
La “vera storia” narrata in prima persona da Enrico Falconcini. "Cinque
mesi di prefettura in Sicilia"
Cinque mesi durante i quali, come scrive Camilleri, «capitò
tutto quello che poteva capitare». Dall'evasione «indisturbata»
di 127 detenuti, alle dimissioni di 43 impiegati statali per solidarietà
a Garibaldi e, non ultimo, l'arrivo ad Agrigento dello stivale dell'eroe
dei due mondi ferito ad Aspromonte e venerato alla pari di una reliquia.
Sullo sfondo una Sicilia ancora nostalgica di Garibaldi e delle camicie
rosse – nonostante dallo sbarco dei Mille sia già passato un anno
e in Italia dappertutto è Unità – e mentre i confusi disordini,
prodotto del miscuglio di rivendicazioni politiche, mafia nascente e residui
borbonici, convincevano senza drammi il governo della Destra storica a
proclamare in Sicilia lo stato d'assedio. «Cinque mesi di prefettura
in Sicilia» di Enrico Falconcini (Sellerio, pp. 368, euro 15,00)
è la storia, narrata in prima persona e comprovata da documenti
dell'epoca, di un prefetto, appunto Falconcini, che dopo aver lavorato
tra la Toscana e il Piemonte viene mandato ad Agrigento. Un incarico di
breve durata perché lo sfortunato prefetto dopo appena cinque mesi
e tanti incredibili tragicomici avvenimenti ricevette una lettera esasperata
dal ministero che mise bruscamente fine al suo incarico in Sicilia e, cosa
ancora più grave, a tutta la sua carriera. Il racconto, dunque,
è fortemente influenzato dalla vicenda personale del narratore esautorato
dei suoi poteri, forse per una severità nell'applicazione del decreto,
e il parlar di sé diventa una testimonianza inestimabile oltre che
dei fatti anche di una neonata classe dirigente italiana e dell'atteggiamento
dello stato unitario, straniero in Sicilia. La prima cosa che si chiede
nel leggere «il racconto di fatti avvenuti durante lo stato d'assedio»
è quali fatti non fossero avvenuti in Sicilia in quel periodo e
così la cronaca di Falconcini diventa quasi una picaresca e lamentosa
cronaca di Macondo. «Questo libro – scrive Camilleri – ha un suo
rilevante valore storico per capire le condizioni della Sicilia nel periodo
immediatamente successivo all'Unità. Credo però che abbia
valore anche e soprattutto come patetica e involontariamente umoristica
testimonianza della vana lotta di uno sventurato contro un destino avverso
o, più prosaicamente se volete, contro una jella di rara implacabilità».
Sergio Bertalli