Corriere della sera, 25.5.2002
Libertà di scrittura
Un Cavaliere per editore

Con diversi accenti, tre famosi scrittori, Giorgio Bocca, Andrea Camilleri e Vincenzo Consolo, esprimono il disagio di pubblicare libri per una casa editrice controllata («mera proprietà»!) dal presidente del Consiglio. L'analisi delle loro dichiarazioni ci aiuta, forse, a capire l'atteggiamento di alcuni intellettuali d'opposizione nei confronti del potere politico, dei committenti e di se stessi. Dice Giorgio Bocca: «Uno che (come me) scrive tutti i giorni contro Berlusconi non può continuare a stare nella sua azienda, sapendo che lui è molto presente. Alla lunga, poi, diventa difficile stare in una casa editrice che lancia Emilio Fede come un autore di punta. Ho incominciato a sentirmi un corpo estraneo». Sgombriamo il campo dal sospetto più stupido: Bocca non è affatto geloso della superstar televisiva. Il tormento che l'ha spinto ad abbandonare la Mondadori è figlio della sua morale partigiana, della sua definitiva scelta di schieramento. Se così non fosse, non si spiegherebbe perché mai un giornalista (laico, indipendente e mai censurato) si senta votato a scrivere «tutti i giorni contro Berlusconi». Un giorno, chissà, il Cavaliere potrebbe azzeccarne una, e un commentatore sereno dovrebbe prenderne atto. O no?
Chiaro: sulla frontiera opposta ci sono i miseri rinfacci della Destra, che accusano gli autori antagonisti di «sputare nel piatto dove mangiano», oppure di esercitare il poco nobile mestiere delle Foglie di Fico. Eppure tutti sanno che gli scrittori di successo portano soldi agli editori (e non viceversa). Ed è noto che ogni azienda preferisce i quattrini alle Foglie.
Poiché Giorgio Bocca è soprattutto un giornalista, è lecito domandarsi se la sua protesta non possa estendersi (per analogia) anche al rapporto tra i cronisti e la Proprietà.
Qui è necessario essere chiari. Può accadere, purtroppo, che alcuni redattori si sottomettano ai capricci del Padrone. Ma è umiliante che molti giornalisti diano per scontato che tutti i colleghi siano pronti a farsi comprare. Questo non può essere vero, perché, oltretutto, non ci conviene: l'indipendenza e la fiducia dei lettori sono le nostre uniche ricchezze, le nostre uniche garanzie di dignità.
La posizione di Andrea Camilleri mi sembra, tutto sommato, condivisibile: «Quando ho il raffreddore prendo l'aspirina prodotta dalla Bayer e non mi chiedo se è la stessa società che ha prodotto certi gas o altro. Purtroppo, quando si scrive bisogna avere un editore». Camilleri, insomma, imposta e risolve il problema in modo corretto: è lui che «si serve» dell'editore (come di un'aspirina), e non il contrario. Tanto è vero che può permettersi il lusso di sbeffeggiare Berlusconi, non troppo velatamente, in un libro pubblicato dalla sua Casa editrice. Gli artisti e gli intellettuali, insomma, non dovrebbero avere padroni o, almeno, dovrebbero pensare di non averne, e comportarsi come se non ne avessero. Questo vale soprattutto per gli scrittori più noti che, giustamente, esigono che le opere loro siano ben stampate, ben pubblicizzate e ben distribuite, ma che devono il loro successo soltanto ai lettori.
Vincenzo Consolo, infine, s'iscrive al club degli Arrampicatori sugli Specchi e dice: «Bocca ha fatto bene. Anch'io provo un forte imbarazzo a pubblicare per Mondadori, soprattutto pensando alla proprietà. Ma continuo a sperare che qualcosa possa cambiare, visto che il processo per il lodo Mondadori è tuttora in corso». Consolo, quindi, attende che la sua tempesta morale venga placata dai giudici. Non è il solo.
Giuliano Zincone