La Nuova Sardegna, 1.6.2002
La paura di Camilleri nell'Italia che cambia. «Regole in pericolo»
«La democrazia non è a rischio, ma c'è troppa tensione: bisognerebbe abbassare i toni»

«Mi piace trovarmi qui a parlare dei miei libri», esordisce Andrea Camilleri nella sala Cosseddu dell'Ersu di Cagliari. Prima di partire per Nuoro, ha davanti un programma intenso: pranzo alla mensa universitaria e quindi l'incontro con gli studenti durante il quale, con Giuseppe Marci, s'indaga «La Paura di Montalbano» e «Il re di Girgenti», ultimi libri pubblicati del commissario di Vigàta e dei romanzi storici. Andrea Camilleri è alto, elegante e un po' stanco. Si anima di un largo sorriso quando parla del suo lavoro, forse perché lo scrittore è un uomo libero. «Rinuncio ormai per limiti anagrafici, per stanchezza e noia agli incontri ai saloni, alle domande inutili. Tutto quello che faccio è per puro piacere personale. Qui ho la sensazione di essere tra persone che mi conoscono, non tra estranei». A chi gli chiede di Sciascia risponde: «Più mi allontano da lui come scrittore e più mi manca. Vorrei trovarmi a casa con lui e parlare, che so, della giustizia oggi e certo bisognerebbe liberare il tavolo da bicchieri, bottiglie... portaceneri», e quando qualcuno rammenta la presunta incoerenza dello scrittore siciliano risponde «che "Il giorno della civetta" è un romanzo civile, dove si parla correttamente di mafia per come era la mafia all'epoca di Sciascia. Son dieci anni che è morto». Quanto poi al rischio di nobilitare letterariamente i boss mafiosi, Camilleri spiega che «con la mafia, in Sicilia le corna ce le siamo rotti tutti, e continuiamo a rompercele. Ma Sciascia pose sul tappeto un problema: quello delle regole del gioco».
E qui racconta un episodio noto, l'unica volta nella sua vita che ebbe un incontro con un boss mafioso: tre ore chiusi a parlare in una stanza, Camilleri aveva venticinque anni. Il boss gli spiegò le regole del gioco: «Se io e voi ci troviamo in una strada, disarmati entrambi, e io vi dico che vi dovete inginocchiare davanti a me, e vi spiego le ragioni per cui è meglio che lo facciate. E voi però non lo fate. Allora io vi devo ammazzare. Ma se vi ammazzo avrò perso la guerra». «Sempre assassini sono stati - spiega Camilleri - ma voi pensate che oggi si possa parlare? Prima si spara e poi si ragiona».
L'intervista vis à vis è un gioco di sovrapposizione tra Andrea Camilleri e Salvo Montalbano, dove l'attualità cerca ragioni nella cognizione del dolore del commissario tanto amato. Il breve racconto «Un cappello pieno di pioggia» vede Montalbano spedito d'ufficio dal Questore a Roma per presentare al Sottosegretario «un sistema d'alleggerimento di certe pratiche burocratiche riguardanti l'immigrazione clandestina». Il commissario parte malvolentieri, consapevole che l'incontro politico sarà un fallimento. Infatti, «Montalbano niscì dal colloquio con la certezza assoluta che era stata nuttata persa e figlia fìmmina: quello restava fermo nella sua piniòne che gli immigrati erano una specie di malattia infettiva dalla quale bisognava quartiarsi».
- Come sta Montalbano? Ha il «core pisante» mentre passa una legge sull'immigrazione che prende le impronte digitali agli extracomunitari?
«Montalbano ha tanti motivi di disagio in questi ultimi tempi. E quindi sta facendo una sorta di grosso consuntivo della sua esistenza. Non so se questo sfocerà in un romanzo, ma credo di sì, è troppo legato alla realtà quotidiana per poter non intervenire, anche su certi fatti della polizia, certe leggi, certe cose. Quindi è in una situazione di serio disagio».
- Camilleri racconta la società vista da sud, la complessità del meridione. Da "siciliano con un forte senso dello stato", come lei ama definirsi, dove va l'Italia in questo momento?
«Mah! (fa una pausa, ndr) Oggi in Italia viviamo in una fase di fortissima contrapposizione che crea, inevitabilmente, delle tensioni. Le tensioni non sono i momenti migliori per una nazione. Uno stato va avanti bene quando non ci sono forti contrapposizioni. Il problema vero italiano, è che tutto quello che è capitato, è capitato in regime di perfetta democrazia. Cioè a dire, ci troviamo di fronte a una maggioranza di cittadini italiani che ha votato in un certo modo e una minoranza di cittadini che hanno votato in un altro modo. Ora perché c'è la tensione? Perché da parte della minoranza si pensa che alcune regole del gioco democratico rischiano di essere modificate dalla maggioranza. Tutto qua. Non è poco. Però se veramente tutti abbassassimo i toni. Tutti, senza dire all'altro "abbassa i toni" e tu non li abbassi, ma li abbassassimo tutti contemporaneamente, questo darebbe luogo ad una possibilità di pacata discussione e pacata riflessione. Andiamo a finire che le persone non capiscono più niente. È come in quelle trasmissioni televisive, quando parlano tutti assieme gridando, e tu, a casa tua, pigli e cambi canale, che se non altro ti vedi un film e capisci quello che dicono. No?».
- Quest'Italia divisa si rispecchia anche nei suoi romanzi e nel suo personaggio, che, per quanto defilato porta avanti le sue battaglie?
«Certo che si rispecchia in lui. Credo che Montalbano, dopo molte riflessioni, sia riuscito a chiarire a se stesso prima di tutto che il problema è quello della non generalizzazione dei fatti. Cioè a dire, se qualche poliziotto sbaglia, eccede, non è la prima volta che succede (altra pausa, ndr) e non sarà neanche l'ultima. Il problema è che la cosa serenamente vada giudicata da chi di ragione, senza che a priori ci sia un'alzata di scudi a favore. Prima conosciamo come sono andati i fatti, vediamo. Faccio un esempio semplicissimo: il giorno dopo l'avviso di garanzia ad alcuni poliziotti per Genova, parlo di pochi giorni fa, c'è stato un eminente uomo politico italiano che ha detto: "Però dall'altra parte non ci sono stati avvisi di garanzia". Il giorno dopo sono arrivati anche per gli altri gli avvisi di garanzia. Ci voleva tanto ad aspettare ventiquattro ore prima di mangiarsi - come si dice dalle parti mie - cavalli e carretto e aizzare una situazione? Una volta Leonardo Sciascia, rivolto a un suo amico, perfezionò un luogo comune, dicendo "Ma perché non rifletti prima di pensare?". Ecco io vorrei che tutti riflettessero prima di pensare».
- Lei adesso esce con un nuovo libro dedicato al teatro, che tanta parte ha avuto nella sua vita. E nei suoi romanzi il teatro entra continuamente, al punto che Montalbano riflette, con leggerezza, sull'impossibilità del tragico a proposito di Amleto. Cosa metterebbe in scena, oggi?
«Non mi occupo di regia da anni, ma metterei in scena volentieri "La vedova allegra". Non l'ho mai fatto e lo ritengo un capolavoro. Credo che si possa mettere in scena come fece al cinema Erich Stroaim. Cioè a dire che può essere anche una tragedia, sotto l'apparente leggerezza».
- Come altri rappresentanti della cultura, lei denuncia il rischio di omologazione, lo spettro della censura, la cultura ridotta a spettacolo deprimente. L'urlo degli intellettuali è "resistere". Come si fa?
«In un solo modo: facendo ciascuno seriamente il proprio lavoro, che è la cosa migliore. Cioè a dire, io penso che se ognuno non invadesse il campo dell'altro, minimamente, riacquisteremmo un senso di dignità di ciascuno di noi, che comporta automaticamente il senso della resistenza. È compreso nel prezzo, come si dice. Compri uno, "dignità" e acquisti resistenza, rifiuto dell'omologazione, una quantità di cose».
- Anche se poi è difficile in un momento in cui lei stesso è costretto a spiegare una cosa elementare, e cioé che la Mondadori trae profitti dai suoi libri.
«Purtroppo lo devo spiegare a chi in malafede lo dice. Non c'è il minimo dubbio che è in malafede chi scrive, come è stato scritto su "Libero", che "Berlusconi paga Camilleri". Berlusconi non mi paga, paga i suoi giornalisti, i suoi funzionari. Io sono un signore che riceve soldi, e molti, perché i lettori mi comprano, passano i soldi dei libri alla Sellerio, alla Rizzoli o alla Mondadori e la Mondadori mi dà il quindici per cento di quello che guadagna, la Rizzoli mi dà il quindici e la Sellerio mi dà il dieci. Perché, poveraccia, quella vende i libri a basso costo e quindi fa benissimo a darmi il dieci».
- Però lei l'ha lasciata, la Sellerio.
«Ma no, ci torno l'anno prossimo. Posso avere piccole infedeltà coniugali ma il matrimonio, in sé, è un'altra cosa».
- È qui per il premio Deledda. Che ne dice di un Montalbano in Sardegna?
«Montalbano in Sardegna non si farebbe trasferire neanche a cannonate. Una volta essere trasferiti in Sardegna era una punizione».
- Sa, coi tempi che corrono...
«No. Non si farebbe trasferire perché i sardi sono così... Per tanti punti simili e per tanti punti, così stellarmente diversi dai siciliani che Montalbano si troverebbe completamente privo di codici di riferimento. Mandiamolo da turista, in Sardegna».
Daniela Paba