Panorama, 13.6.2002 (in edicola il 7.6.2002)
Quella Sicilia inesistente eppure realissima
Dalla descrizione dei luoghi al linguaggio, i segreti della narrativa di Camilleri.

"Ma Andrea, così chi ti legge?" si chiedeva Leonardo Sciascia di fronte al pastiche siculo-italiano di Camilleri. Per l'autore del Giorno della civetta, amante di una lingua nitidamente illuminista, le contaminazioni di lungua e dialetto dell'autore del commissario Montalbano erano difficili da digerire. Eppure, uno dei tratti più sconcertanti del caso Camilleri è che, lungi dall'avere eretto un ostacolo, proprio quella miscela linguistica è stata una delle ragioni del suo successo. Vale dunque la pena cominciare proprio di qui, cercando di capire le ragioni di questa singolare scrittura. A dispetto delle apparenze, direi che la linea Dossi-Gadda non c'entra. L'intellettualismo espressionista annienta il mondo, mentre il siciliano di Camilleri ne procura un affettuoso accesso alla pagina. Sbaglierebbe chi sentisse le tessere dialettali come zuccherini o belletti. Quel saporoso italiano regionale, continuamente interferito dal diletto, è invece la vera lingua di Camilleri.
Forse il segreto del successo di Montalbano sta proprio qui: nell'avere declinato il thriller nelle domestiche atmosfere della provincia italiana. Si badi che nei suoi libri non si parla né di Catania, né di Palermo, ma di una Sicilia inventata eppure realissima, fatta di piccoli centri, per di più arretrando l'orologio narrativo a 30-40 anni fa, in un'Italia premoderna, municipale, dove si parla come si mangia.
Ma dietro queste apparenze rassicuranti c'è un Camilleri che destabilizza, sperimenta linguaggi, insomma uno scrittore che collega Pirandello al postmoderno.
Franco Brevini