Corriere della sera, 15.6.2002
Scrittori e nazionale
Neppure il commissario Montalbano si schiera con Tabucchi l’anti-italiano

Se essere italiani significa... Antonio Tabucchi non vuol saperne, della nazionale di calcio, perché non vuol saperne di un Paese che non ha impedito la nascita di un partito che «utilizza impunemente» l’invocazione popolare «Forza Italia». Così, in una invettiva pubblicata ieri dall' Unità , l’autore di Sostiene Pereira elenca tutte le ragioni per cui lascia volentieri «questa italianità»: «Se essere italiani significa ingoiare la notizia che la pallottola che ha ucciso Carlo Giuliani è stato un calcinaccio... Se essere italiani significa indossare la bandiera a stelle e strisce… Se essere italiani significa guadagnare miliardi per dare dei calci a un pallone... Se essere italiani significa accettare che un signore che possiede il 90 per cento dell’informazione italiana, compresa la Rai...». E via dicendo: se essere italiani significa tutto questo, «lascio questa italianità a Voi». Compresa la sorte della nazionale di calcio. Anche l’Italia del Trap, come l’Italia degli scrittori selezionata per il Salone del Libro di Parigi, diventa un «caso politico»? O meglio: se mai la nazionale dovesse vincere i Mondiali, sarebbe una vittoria berlusconiana? Forse il dubbio comincia a insinuarsi tra gli intellettuali di sinistra.
Ma se per Parigi, Andrea Camilleri, con Vincenzo Consolo, si schierò accanto a Tabucchi, ora, in occasione del torneo nippo-coreano, il padre del commissario Montalbano non esita a dissociarsi. E non certo perché Camilleri sia un tifoso incondizionato. Anzi, ammette tranquillamente di non aver acceso la televisione per guardare Italia-Messico. Ma perché, dice, «quella di Tabucchi è una dichiarazione molto seria, ma non c’entra niente con il fatto sportivo. E poi mi domando: se in passato fossi stato un antisocialista, sentendo bussare alla porta, non avrei potuto gridare ‘‘Avanti’’?». In fondo, poi, nel calcio anche l’Unità (dei giocatori) fa la Forza.
Paolo Di Stefano