La Nuova Sardegna, 31.1.2002
Il professore che fa le pulci alla sinistra tra cultura e politica.
Escono in volume le posizioni della componente di minoranza al congresso dei Ds Giovanni Berlinguer spiega il senso di una battaglia politica interna al partito ma che deve essere capace di coinvolgere anche un più ampio schieramento di forze

È un professore universitario che nella sua lunga attività accademica si è occupato di igiene del lavoro, di storia delle malattie, di bioetica, perfino di pulci. Ed è stato protagonista dell'unico processo veramente innovativo che la vita politica italiana abbia conosciuto in tempi recenti. Giovanni Berlinguer, settantasettenne sassarese con un passato politico né occasionale né marginale, non disgiunto da una prestigiosa attività scientifica, ha posto al centro del congresso dei Ds una proposta di concretezza e chiarezza che consentisse alla sinistra italiana di recuperare il suo ruolo. Il congresso, al quale aveva posto la sua candidatura alla segreteria, lo ha messo in minoranza. Convinto delle buone ragioni proprie e di chi lo aveva accompagnato in quella battaglia non è tornato a Casa. Le ragioni della sinistra 
congressuale dei Ds sono diventate un libro: «Per tornare a vincere» (Baldini & Castoldi, 250 pagine, 9,80 euro). Nessuna intenzione di rottura, spiega Berlinguer, né di disconoscere l'esito del congresso. Una testimonianza, piuttosto, rivolta all'esterno, e accompagnata da una prefazione affidata ad Andrea Camilleri.
«È affidata a uno scrittore prestigioso e a uno dei tantissimi intellettuali che condividono le nostre idee. È un po' troppo personalizzata... - si schermisce Berlinguer - Noi intendiamo continuare a lavorare all'interno del partito, e riteniamo che collegarci alle forze esterne che possano vedere in noi un canale di comunicazione sia una ricchezza potenziale».
- Quali forze?
«Noi vogliamo l'unità di tutta la sinistra, non solo di quelli che vengono dichiarati, tra virgolette, riformisti doc».
- Insomma, proponete un'unità della sinistra in cui nessuno sia costretto a essere interamente d'accordo con qualcun altro.
«Una sinistra plurale, questa è la soluzione, anzi è la realtà e al tempo stesso è la soluzione. Riconoscere che ci sono varie tendenze e comporle in una politica unitaria».
- Il rapporto tra cultura e politica sembra innervare questa esperienza.
«Certamente. Il fatto più interessante dell'Italia di questo periodo è che una parte consistente della cultura, anzi la cultura, sta partecipando sempre più intensamente ed estesamente alla politica: si pensi alla protesta di quattromila scienziati per il taglio dei fondi di ricerca effettuato dal governo e per l'idea di privatizzare le istituzioni scientifiche pubbliche, al vastissimo schieramento di studenti e docenti contro le proposte della Moratti, alla manifestazione di Firenze promossa da trecento docenti universitari. Questi giuristi sono stati maltrattati sul Corriere della sera in un articolo di Francesco Merlo che li ha chiamati scimmie, anzi scimmie delle scimmie, dove le scimmie primordiali sarebbero i giovani del '68 e del 2001, poi ci sono gli imitatori che sarebbero questi indegni professori che si permettono di dissentire. A me sembra un atto di dignità in nome della cultura».
- E l'articolo di Merlo, cosa le pare?
«Orribile, denigratorio»
- In linea con i tempi?
«C'è un allinemanento. Merlo cosa fa? Dice: se avessero protestato per il fatto che Ghigo ha preso nove milioni e mezzo di regalo dal direttore sanitario delle Molinette, se avessero protestato perché Scajola promuove la compravendita delle tessere, se avessero protestato perché Cesare Previti non osa affrontare il processo, se avessero protestato perché Bossi non può insultare la bandiera e poi servirsene come scudo, allora sì sarebbe stata una protesta di civiltà. E che cosa manca in questo elenco? I professori hanno protestato perché Berlusconi copre Ghigo, copre Scajola, copre Cesare Previti, chiede anche lui di non affrontare il processo e copre Bossi e lo fa assolvere dal Parlamento per aver detto che lui con la bandiera nazionale si pulisce il "c...". E si poteva trascurare che dietro tutte queste malefatte c'è Berlusconi? È una grande ipocrisia».
- Passiamo a una questione che sui giornali è stata affrontata in termini non sempre perspicui, quella generazionale, che sembra offrire spunti più stimolanti di quelli legati semplicemente all'età anagrafica del professor Giovanni Berlinguer.
«Riassumendo ci sono due grandi questioni, una, la maggiore, che ha caratteri globali: quale futuro noi prepariamo alle generazioni che verranno, non solo ai giovani di oggi. Il prevalere dell'interesse immediato, del profitto, del saccheggio delle risorse naturali, delle ingiustizie nel mondo promette poco di buono e rappresenta una forma di egoismo generazionale orribile, che va corretto rapidamente perché può creare danni irreversibili. E l'altra questione è la funzione attiva che stanno svolgendo i giovani nel mondo contemporaneo attraverso i loro movimenti. E mi riferisco alla globalizzazione e all'istruzione che viene rivendicata come base comune e non come opzione individuale consentita soltanto a chi ha i mezzi. Queste sono le due coordinate: la prima fa paura, la seconda alimenta la nostra speranza».
- C'è un altro aspetto della questione, però: il costume del ceto politico della sua generazione. All'epoca faceva scandalo la Maserati che un dirigente socialista, presto ribattezzato Miliardesi, aveva parcheggiato davanti all'albergo romano nel quale si teneva il congresso della Uil. Forse c'è una domanda diffusa di maggiore sobrietà.
«Non c'è dubbio che maggiore sobrietà o austerità farebbe bene, ma non desidero personalizzare le critiche. C'è un'esigenza diffusa di moralità nella politica, e di moralità dei politici, che comprende anche questioni di costume o di linguaggio. Spesso predomina l'arroganza, il richiamo all'interesse personale, ma non sono così severo verso coloro che fanno politica oggi».
- La politica sembra usare le parole assegnando al loro significato una sorta di data di scadenza a seconda delle contingenze.
«Bisogna partire dall'orecchio più che dalla bocca, cioè dall'ascoltare. Il difetto fondamentale è che la politica ascolta poco i cittadini. La comunicazione verso i cittadini è spesso ambigua o demagogica. Il linguaggio è spesso incomprensibile. Un operaio nei giorni scorsi mi ha detto: voi dovete farvi capire da tutti e parlare più basso. Gli ho risposto che dobbiamo parlare più alto, nel senso della comprensibilità, perché parlare con chiarezza vuol dire esprimere idee compiute, elaborate, accessibili, e spesso l'oscurità delle parole è segno di un'oscurità, voluta o no, delle idee».
- Però, dando per scontato che chi fa politica cerca il consenso, si ha l'impressione che si punti a una spendibilità immediata di quel che si dice, magari sacrificando le prospettive alle contingenze immediate.
«Bisogna pensare anche a costruire consenso motivato, elaborato attraverso l'esame di diverse possibilità: il contrario di quel che fa Berlusconi anche con grande efficacia, lanciando messaggi, sempre gli stessi, amplificati dai tre o sei, o sette canali televisivi che ha a disposizione e che entrano in profondità».
- E a questo bombardamento mediatico cosa si potrebbe opporre?
«In primo luogo avere dei programmi chiari, in secondo luogo salire al livello di comprensione di tutti, e in terzo luogo associare la funzione uditiva a quella comunicativa».
- Una battutaccia venuta fuori quando è emersa la sua candidatura congressuale: finalmente qualcuno che ha titolo per fare le pulci alla sinistra.
«Simpatica. Effettivamente ho scritto due libri sulle pulci, che ho studiato sia sul piano entomologico che nel loro rapporto con la storia delle malattie e la propagazione ella peste».
- Camilleri, nella prefazione al libro la distingue dai politici di professione, anche se lei ha un passato politico di tutto rispetto: è stato parlamentare per alcune legislature...
«Cinque, vent'anni».
- È stato anche segretario regionale del Pci nel Lazio. Eppure viene in qualche modo assunto come maggiormente rappresentativo proprio perché nella vita fa altro, o anche altro. Questo fatto, rappresenta una critica oggettiva a un ceto politico percepito (come dire?) autofertilizzante, nel senso che si usa per certe centrali nucleari che riproducono il loro combustibile?
«Ho sentito spesso parole come quelle di Camilleri e le ho interpretate come una critica non a quelli che vivono l'intera vita per la politica, bensì a coloro che vivono della politica. Sono molto numerosi, costituiscono quasi un ceto e non ritengo che la politica come professione sia da escludere, è sempre accaduto. Però oggi è diffusissima e dà luogo a un ceto per certi aspetti trasversale e soprattutto ostacola la partecipazione di altri».
- Però chi può decidere in qualunque momento che tornerà a fare il suo mestiere, un altro mestiere, se le condizioni non saranno più quelle che ha scelto, è forse più libero in politica.
«Indubbiamente. Questo però non deve indurci a negare le capacità intellettuali e la cultura di moltissimi che fanno esclusivamente attività politica, e neanche a sottovalutare la vita di rinunce che molto spesso questo implica. Ma penso che sia molto più criticabile chi usa la politica per rafforzare i propri interessi personale, di azienda, o perfino per coprire attraverso l'immunità parlamentare i reati compiuti e quelli da compiere».
Mario De Murtas