Credevo di sapere molte cose sul romanziere Andrea Camilleri, ospite
fisso del vertice delle classifiche librarie. Mi sbagliavo. L´autore
del Birraio di Preston - settantasette anni in settembre - si rivela o
conferma, in queste settimane, un autobiografo inesauribile.
E´ appena uscito un denso volume intitolato La linea della palma
(Rizzoli, pagg. 420, euro 16,50), nel quale - avverte il sottotitolo -
«Saverio Lodato fa raccontare Andrea Camilleri». Esperto di
Sicilia, Lodato è un giornalista in gran confidenza con lo scrittore.
Ne favorisce l´attitudine ad abbandonarsi alla digressione appassionata
e a volte fantasiosa. Ne viene fuori un profilo d´intellettuale del
Sud, straripante di aneddotica. Nessun tema della sicilianità viene
eluso in queste memorie colloquiali. «Il prima, il durante e il dopo
della mafia», per cominciare. Seguono gi usi e costumi familiari:
con il padre dello scrittore, Giuseppe, che era stato uno squadrista «all´acqua
di rose». Si parla poi della guerra, dell´occupazione alleata,
dei difficili esordi di Camilleri uomo di spettacolo: prima aiuto-regista
di Orazio Costa dopo un turbolento apprendistato all´Accademia d´arte
drammatica, a Roma, e in seguito regista in proprio, oltre che per trent´anni
funzionario Rai addetto alla prosa radiofonica e produttore in televisione
di pièces teatrali. Ma questi eventi personali sono spesso pretesti
per quell´affabulazione inventiva che è tipica di Camilleri,
e che qui dà luogo a scene coloratissime.
C´è una statua di san Calogero che a Porto Empedocle,
città natale dello scrittore, viene condotta in processione da un
gruppo di portatori comunisti (e i preti si limitano a sottrarre al santo
l´aureola, durante il tragitto). C´è nonna Elvira che,
ricevuta in udienza da Giovanni XXIII, arriva in ritardo e rimane in piedi
inducendo il Santo Padre a minacciare: «O le date una sedia o la
faccio sedere al posto mio». C´è papà Giuseppe
Camilleri, che nei giorni della Liberazione aspetta da un attimo all´altro
che bussi alla porta qualcuno della Military Police per arrestarlo come
fascista; arriva invece un tenente yankee che gli dice: «Vieni a
lavorare con noi, ti facciamo comandante civile della capitaneria di porto».
«Ma io sono nell´elenco degli epurandi». «C´eri.
Ti abbiamo cancellato, perché ci servi».
Gli amici di una vita sono tanti: dal conterraneo e maestro Sciascia
ad Eduardo De Filippo, da Vittorini a Guttuso, da Ripellino a Marco Bellocchio.
Ciascuno citato in una o più sapide storielle. Ma non sempre si
scherza. In materia di mafia, sulla quale si intrattiene a lungo, Camilleri
spinge la sua allergia al punto da rifiutarsi di parlarne nei suoi «gialli»
perché gli ripugna promuovere dei criminali a figure d´arte.
E poi la politica italiana di oggi: Berlusconi s´è adagiato
- osserva lo scrittore - su un «pantano morale», costringendo
l´Italia a un «abbassamento di qualità». Quanto
a lui, ex comunista, sembra sperare soltanto nel volontarismo e nei movimenti
di piazza, cioè nel «ritorno della rivolta con un pizzico
di morale».
Camilleri parla di Montalbano quasi fosse vero e vivente: una sorta
di suo alter ego. Oltre che nell´ultimo capitolo del libro di Lodato,
questa mimesi si riproduce in Montalbano a viva voce (Mondadori, pagg.
112 più due cd, euro 19,00). Come introduzione ad alcuni racconti
già editi, si pubblica una conversazione fra Camilleri, Renata Colorni
e Antonio Franchini su quel personaggio: genesi artistica, idee politiche.
Il commissario - confida lo scrittore - è angosciato per il comportamento
violento di certi suoi colleghi durante il G8 a Genova. Al punto da trovarsi
a una svolta. Vive in una «specie di preparazione all´addio».
Andrà in pensione? E quando? Ecco, ci aspetta un´ultima suspense.
Nello Ajello