Ad Agrigento
Il carcere si fa caffè letterario. Camilleri
incontra i detenuti
Due ore di domande e risposte tra curiosità e
malinconia tanto per “evadere”
Agrigento. Due
ore fitte fitte di domande. Due ore fitte fitte di ironia, di malinconia,
di curiosità. Carcere di contrada Petrusa ore 10. L'attesa è
stata lunga per centinaia di detenuti assiepati nella sala «Nello
Flora». Loro tutto si sarebbero potuti aspettare, tranne che una
«mano per evadere» alla fine arrivasse loro proprio dal poliziotto
più integerrimo, quello che vive a Vigàta e trionfa in tv
e nelle librerie. Arriva Andrea Camilleri, attualmente in vacanza nella
sua Porto Empedocle-Vigàta, per un faccia a faccia da «Caffè
letterario». Da giorni dentro quelle mura non si parla d'altro. Camilleri
entra con la direttrice del carcere Laura Brancato, mentre sullo schermo
vengono proiettati alcuni spezzoni dei gialli più famosi sul commissario
Salvo Montalbano. Camilleri le guarda come fosse la prima volta... una
sigaretta tira l'altra. Poi si gira... si apre al pubblico, ascolta, assorbe
tutto come una spugna. Per i detenuti l'opportunità di incontrare
il «papà» del commissario, ed «evadere»
così dal carcere, non in maniera definitiva, ma quel tanto che basta
a dimenticare i problemi, riflettere sulla propria vita e magari ridere
sopra gli errori commessi.
Un detenuto legge una sua poesia «La magaria»,
lui replica con la poesia di Antonio, un detenuto di Petrusa, pubblicata
nel giornaletto «Confessione», fatto dagli stessi detenuti.
L'incontro comincia al meglio. Nel suo stile diretto, sincero, sornione,
Camilleri incanta. Tutta la prima parte del faccia a faccia, e non poteva
essere diversamente, è centrata sul personaggio che lo ha reso famoso
in tutto il mondo: il commissario Montalbano. Un detenuto gli chiede se
il carattere irascibile, scontroso, contro ogni forma di burocrazia, ma
sopratutto molto umano rispecchia il suo carattere. «Gustave Flaubert
venne processato per il suo Madame Bovary. E lui urlava Bovary c'est
moi. Io non mi identifico con Montalbano. Non sono generoso come lui,
non sono metereopatico. In comune abbiamo solo l'autoironia. Ma con lui
non parlo da tempo. Tutto preso com'è dai suoi problemi. Per ora
è in crisi. In crisi con il suo ruolo di poliziotto». Camilleri
poi mette da parte l'ironia. «Mia moglie, che è milanese,
mi ha sempre detto che quel personaggio rispecchia in tutto l'immagine
di mio padre. Ba!» Una detenuta chiede quando Montalbano convolerà
a nozze con la fidanzata Livia. «Le donne mi fanno sempre questa
domanda. Sempre. Quelle che ricordo di più sono tre donne a Catania.
Mi tirarono da parte escludendo mia moglie e serie mi dissero che Montalbano
non deve maritarsi con una di Genova. Chinn'ava a capiri sta fimmina
dei siciliani. E poi chi mancanu beddi fimmini in Sicilia. Erano
serie, fin troppo serie, dice Camilleri. Questi episodi, come le vostre
domande qui oggi, mi fanno "sentire" il lettore».
E
il successo anche all'estero? Il suo linguaggio divenuto oggetto di culto
e di studio? I sei milioni di libri venduti solo in Italia? Lo scrittore
ride, allarga le braccia e risponde con un altro «Ba!... che volete
che vi dica». «Stranizza che i primi miei lettori più
accaniti siano stati quelli dell'arco alpino. Trentini, friulani, valdostani.
Forse perché anche loro, come noi siciliani, hanno quella doppia
chiave di lettura che si accende nel nostro cervello quando abbiamo a che
fare con l'italiano. Non siamo toscani, non mastichiamo italiano da subito.
Forse...»
Un lungo capitolo
della conversazione è stato dedicato alla Sicilia: «Quando
andai via nel 1949, ricorda, non c'era nulla. L'isola era un sommergibile
affondato che mandava bottiglie con dentro messaggi. Adesso molto è
cambiato. La Sicilia lentamente è cambiata. Comunicare è
facile ed oggi credo che con queste condizioni io da giovane non sarei
andato via per migliorare la considerazione che ho di me».
Ancora più
serio risponde sul problema del recupero dei detenuti nel mondo del lavoro
e dopo avere scontato la pena: «Un paese civile si distingue anche
da questo, da come riesce a reinserire la gente nel lavoro di tutti i giorni».
Poi il messaggio che fa accendere le lucine in viso a tanti detenuti, ma
sopratutto alla direttrice Laura Brancato. «Lavoro nel teatro da
tanto. Da poche settimane ho preso l'incarico per la direzione del teatro
di Racalmuto. Un atto dovuto al mio amico Leonardo Sciascia. Noto che c'è
tanto bisogno di personale specializzato nel settore: sarte, falegnami,
elettricisti, operatori di scena. Ci sono troppi laboratori teatrali, adesso
è il caso di far crescere laboratori per formare questo tipo di
personale che troveranno subito lavoro nel settore». Mezzogiorno.
Camilleri si alza, un'altra sigaretta accesa. Saluta tutti con un sorriso
ampio. «Che bella esperienza, dice. È stato come un incontro
in biblioteca con i miei lettori. La letteratura, tutta la letteratura
è "d'evasione" così come è vero che la libertà
è nella mente ... ».
Marco Messina