CAMBIA la vita, cambia il noir italiano sotto la spinta dei nuovi modelli
che la realtà di oggi offre ai cultori di questo genere, sempre
più sollecitati dalle tecnologie che cancellano e ricostruiscono,
impietosamente sulle ceneri del passato. Alcuni testi ora in libreria di
Carlo Lucarelli, il nostro più autorevole giallista, si propongono
ad alcune considerazioni di ordine generale: intanto viene ristampato un
romanzo di grande successo, apparso dieci anni fa, dallo scrittore parmense,
Falange armata, in cui veniva immessa nel genere poliziesco una figura
di commissario, il sovrintendente Coliandro, roccioso come un bulldog,
delicato come un caterpillar, in una Bologna scossa da fremiti di terrore
imprevedibili (e che ci si augura non ritornino). Coliandro, in quella
occasione, sbatte il muso contro un complotto dalle verosimili parvenze,
di tipo eversivo neonazista, al quale tuttavia credono solo in due, lui
e Nikita: «Mai considerare un personaggio finito dopo una sola storia:
dopo un po’ resuscitano e tornano», ricorda oggi Lucarelli, e conclude
nella nuova prefazione: «la colpa è stata tutta della Banda
della Uno Bianca...». Un classico perciò della letteratura
a circuito chiuso che ti inventa un qualsiasi commissario Ingravallo e
se lo porta dietro nel tempo: intanto in molti hanno creduto che quella
vicenda «noir» dei primi anni Novanta l’avesse risolta lui,
Lucarelli, mentre invece si trattava di una più che normale previsione.
Il giallo — diceva Glauser — è un ottimo mezzo per dire cose sensate,
perché a pensare male si fa peccato ma di solito ci si azzecca sempre.
Ne sa qualcosa il grande scrittore francese Jean Giono, inviato negli anni
Cinquanta al processo Dominici — una famiglia inglese sterminata in Provenza
— che entrò colpevolista e ne uscì innocentista. Ora L’affare
Dominici viene riproposto dalla Sellerio (131 pagine, 8.00 euro) ed ecco
un’altra occasione per verificare come è mutato il noir nel tempo.
Ma torniamo a Lucarelli, al quale si deve non soltanto la riproposta
di Falange armata, ma anche un racconto che circola in questi giorni sulle
pagine della rivista «Micromega», che al tema «Il giallo
e l’impegno» ha dedicato un numero unico con la partecipazione di
alcuni fra i migliori narratori italiani di oggi. Il referto del nostro
si intitola Omissis 25 e muove da una confessione: «Non lo so cosa
succede. Ho messo il naso in qualcosa di grosso, che ammazza tutti quelli
che ci hanno a che fare, me compreso. E non lo so come devo comportarmi,
non so come muovermi, perché non posso fidarmi di nessuno, neppure
del mio comandante». Il dubbio del funzionario al servizio dell’investigatore
riguarda i nuovi modelli del crimine, aperto e dichiarato come il caso
di Novi Ligure, avvolto nel più fitto mistero come quello di Cogne.
Persino Andrea Camilleri avverte «l’impossibilità del racconto»,
e ne scrive uno sulla stessa rivista, che è una sorta di sfogo:
«Il commissario Montalbano si "catafotte" dalle risate all’idea delle
aggiustatine cui sarà costretto per rendere verosimili storie dei
giorni nostri, avviate da «una deriva delle leggi prossime venture
verso il mare aperto dell’inverosimiglianza assoluta».
Dopo quest’altra digressione, eccoci di nuovo in compagnia di Lucarelli
per via di un testo/chiave che appare in un volume antologico, dove figurano
altri due autori italiani, Eraldo Baldini e Giampiero Rigosi. La spericolata
collana einaudiana «Stile libero» intitola il tutto Medical
Thriller, e fornisce proprio a Lucarelli il destro per evidenziarne in
quali direzioni va orientandosi il nuovo «noir» italiano: il
nostro infatti provoca nuove, più decise inquietudini raccontando
la vicenda di una ricercatrice di una casa farmaceutica che si avvicina
a una importante scoperta molecolare in un clima di surrealtà che
guida ogni tipo di indagine verso approdi nuovi e diversi, di singolare
potenziale espressivo. Insomma, si chiede davvero un estro di scrittura
choccante, ben distante dai classici di antica memoria che hanno occupato
le nostre geografie mentali.
Walter Mauro