Gazzetta del Sud, 16.10.2002
Conferita dall'Università Iulm di Milano la laurea honoris causa ad Andrea Camilleri
Non chiamatemi innovatore
Ho solo contribuito a dare un po' di linfa alla lingua italiana

Andrea Camilleri è da ieri dottore in Lingue e Letterature straniere. Una giornalista del Giornale di Sicilia ha fatto notare, durante l'incontro dello scrittore con la stampa, che questa laurea honoris causa, conferita dall'Università Iulm di Milano, può essere letta come il riconoscimento del dialetto siciliano quale “lingua straniera”. Tutti l'hanno recepita come una battuta, incominciando da Camilleri e dallo stesso sicilianissimo rettore, Giovanni Puglisi. Ma inevitabilmente il discorso si è snodato sul tema del linguaggio, talvolta ostico perfino ai “siculi”, che tuttavia non ha mai impedito allo scrittore di raggiungere uno straordinario successo nel nord d'Italia e anche all'estero. Camilleri in Italia ha venduto complessivamente sette milioni e mezzo di copie dei suoi libri, ma egli stesso non riesce a tenere il conto delle traduzioni negli altri paesi («mi mancano soltanto la Russia, i paesi arabi e la Cina») e ricorda solo che in Germania le vendite hanno raggiunto quota un milione. Ma chissà come i tedeschi avranno tradotto, per esempio, il verbo «tampasiare», ovvero «quel pigro svegliarsi tardi la mattina, girare per casa in disordine, dedicarsi alla fondamentale attività di raddrizzare un quadro o guardare una cartolina senza nemmeno leggere il testo...». Camilleri, comunque, sa che la traduttrice francese, per rendere l'idea, è andata a scovare un'espressione idiomatica di Lione, che altri traducono prima in italiano e poi nella loro lingua, che altri ancora, disperati, gli chiedono aiuto via fax. Ma intanto, le avventure del commissario Montalbano nella sua immaginaria Vigata, come pure gli altri romanzi, dal «Birraio di Preston» alla «Concessione del telefono» e fino a «Il re di Girgenti» (entrato nella triade finalista del premio Mondello), hanno uno stuolo di cultori che via via si ingrossa, per nulla spaventati da una lingua complicata e non familiare. Camilleri ha confessato che non aveva previsto «gli effetti collaterali» dell'essersi messo a scrivere, tra questi la fama e il successo, coronati ieri dalla laurea. Quando la sua «amata editrice Elvira Sellerio» gli annunciò che aveva venduto 5000 copie, si sentì già a posto «perché avevo letto – ha spiegato – che per Aldo Busi uno si può definire scrittore se vende almeno tremila copie, chissà perché...». Nel 1997 le copie salirono a 187.000, l'anno dopo a 890.000. Ma Camilleri si sentiva ancora solo uno scrittore anziano amato dai coetanei: «Giravo per le librerie italiane circondato da un tranquillizzante pubblico della mia età finché una volta, a Firenze, vidi entrare una decina di ragazzi con orecchino d'ordinanza e pensai, che bello, ecco un po' di contestazione, invece erano lì anche loro per l'autografo». Amato da vecchi e giovani, da uomini e donne, lo scrittore Camilleri, sperimentatore di nuove e acrobatiche forme linguistiche (perfino la trasformazione di suoi racconti in cartoon interattivi), non si sente un innovatore della lingua italiana, semmai uno che ha contribuito a inserirvi «un po' di linfa». Regista e sceneggiatore, autore teatrale e televisivo (ha legato il suo nome anche alle serie del tenente Sheridan e del commissario Maigret), nonché scrittore di vocazione tardiva (è nato nel 1925 a Porto Empedocle, vive a Roma dal 1948, ha esordito nella narrativa nel 1978, ha raggiunto il successo nel 1992 con «La stagione della caccia»), gli piace molto essere paragonato a George Simenon, grande giallista e grande romanziere. Del successo gode in modo siciliano, incapace di non condividere con gli altri ciò che è bello. Conscio del suo fascino di grande comunicatore, Camilleri gigioneggia perfino: «Hanno scritto tante tesi di laurea su di me, ma io – racconta – mi chiedo dove vanno a “riperticare” tutte quelle cose... e allora adesso, su consiglio di mia moglie, le raccolgo ma non le leggo più». È arrivato il momento della cerimonia di laurea e, sotto la toga, gli spunta la manica della giacca con l'etichetta del sarto: «Non avevo mai messo quest'abito prima, tutti mi hanno detto di togliere l'etichetta, ma non voglio, mi sembra quasi un grado» dice scherzando nel tentativo di nascondere l'emozione.
Curzio De Novo