Andrea Camilleri è da ieri dottore in Lingue e Letterature straniere.
Una giornalista del Giornale di Sicilia ha fatto notare, durante l'incontro
dello scrittore con la stampa, che questa laurea honoris causa, conferita
dall'Università Iulm di Milano, può essere letta come il
riconoscimento del dialetto siciliano quale “lingua straniera”. Tutti l'hanno
recepita come una battuta, incominciando da Camilleri e dallo stesso sicilianissimo
rettore, Giovanni Puglisi. Ma inevitabilmente il discorso si è snodato
sul tema del linguaggio, talvolta ostico perfino ai “siculi”, che tuttavia
non ha mai impedito allo scrittore di raggiungere uno straordinario successo
nel nord d'Italia e anche all'estero. Camilleri in Italia ha venduto complessivamente
sette milioni e mezzo di copie dei suoi libri, ma egli stesso non riesce
a tenere il conto delle traduzioni negli altri paesi («mi mancano
soltanto la Russia, i paesi arabi e la Cina») e ricorda solo che
in Germania le vendite hanno raggiunto quota un milione. Ma chissà
come i tedeschi avranno tradotto, per esempio, il verbo «tampasiare»,
ovvero «quel pigro svegliarsi tardi la mattina, girare per casa in
disordine, dedicarsi alla fondamentale attività di raddrizzare un
quadro o guardare una cartolina senza nemmeno leggere il testo...».
Camilleri, comunque, sa che la traduttrice francese, per rendere l'idea,
è andata a scovare un'espressione idiomatica di Lione, che altri
traducono prima in italiano e poi nella loro lingua, che altri ancora,
disperati, gli chiedono aiuto via fax. Ma intanto, le avventure del commissario
Montalbano nella sua immaginaria Vigata, come pure gli altri romanzi, dal
«Birraio di Preston» alla «Concessione del telefono»
e fino a «Il re di Girgenti» (entrato nella triade finalista
del premio Mondello), hanno uno stuolo di cultori che via via si ingrossa,
per nulla spaventati da una lingua complicata e non familiare. Camilleri
ha confessato che non aveva previsto «gli effetti collaterali»
dell'essersi messo a scrivere, tra questi la fama e il successo, coronati
ieri dalla laurea. Quando la sua «amata editrice Elvira Sellerio»
gli annunciò che aveva venduto 5000 copie, si sentì già
a posto «perché avevo letto – ha spiegato – che per Aldo Busi
uno si può definire scrittore se vende almeno tremila copie, chissà
perché...». Nel 1997 le copie salirono a 187.000, l'anno dopo
a 890.000. Ma Camilleri si sentiva ancora solo uno scrittore anziano amato
dai coetanei: «Giravo per le librerie italiane circondato da un tranquillizzante
pubblico della mia età finché una volta, a Firenze, vidi
entrare una decina di ragazzi con orecchino d'ordinanza e pensai, che bello,
ecco un po' di contestazione, invece erano lì anche loro per l'autografo».
Amato da vecchi e giovani, da uomini e donne, lo scrittore Camilleri, sperimentatore
di nuove e acrobatiche forme linguistiche (perfino la trasformazione di
suoi racconti in cartoon interattivi), non si sente un innovatore della
lingua italiana, semmai uno che ha contribuito a inserirvi «un po'
di linfa». Regista e sceneggiatore, autore teatrale e televisivo
(ha legato il suo nome anche alle serie del tenente Sheridan e del commissario
Maigret), nonché scrittore di vocazione tardiva (è nato nel
1925 a Porto Empedocle, vive a Roma dal 1948, ha esordito nella narrativa
nel 1978, ha raggiunto il successo nel 1992 con «La stagione della
caccia»), gli piace molto essere paragonato a George Simenon, grande
giallista e grande romanziere. Del successo gode in modo siciliano, incapace
di non condividere con gli altri ciò che è bello. Conscio
del suo fascino di grande comunicatore, Camilleri gigioneggia perfino:
«Hanno scritto tante tesi di laurea su di me, ma io – racconta –
mi chiedo dove vanno a “riperticare” tutte quelle cose... e allora adesso,
su consiglio di mia moglie, le raccolgo ma non le leggo più».
È arrivato il momento della cerimonia di laurea e, sotto la toga,
gli spunta la manica della giacca con l'etichetta del sarto: «Non
avevo mai messo quest'abito prima, tutti mi hanno detto di togliere l'etichetta,
ma non voglio, mi sembra quasi un grado» dice scherzando nel tentativo
di nascondere l'emozione.
Curzio De Novo