La Sicilia, 3.2.2002
A confronto i traduttori di Camilleri e Pennac
PALERMO - Montalbano e Malaussène s'incontrano a Palermo e si
accorgono di avere parecchie cose in comune. L'ironia, innanzitutto, e
la difficoltà ad essere tradotti in una lingua diversa da quella
di nascita. Ma la sfida è stata vinta: infatti Andrea Camilleri
e Daniel Pennac, gli autori delle due saghe letterarie che hanno per protagonisti
l'intrepido commissario e il «capro espiatorio» di professione,
hanno un grande successo anche all'estero. L'idea di mettere a confronto
due traduttori è stata del Centre culturel Français e della
Società italiana dei francesisti che hanno promosso nello splendido
Palazzo Isnello l'incontro «Le sfide della traduzione: due autori
intraducibili»: protagonisti Serge Quadruppani per Camilleri, e Yasmina
Melaouah per Pennac, introdotti dalla scrittrice Beatrice Monroy che ha
evidenziato, citando come esempio Leone Ginzburg, l'importanza del mestiere
di traduttore come mediatore fra letterature.
Il merito di aver fatto conoscere Oltralpe il «Maigret siciliano»
spetta alla casa editrice Fleuve Noir e a Serge Quadruppani che ha avuto
il fiuto di proporre Camilleri quando ancora non era popolare neanche in
Italia. Quadruppani è lui stesso autore di gialli come «Le
sourire contenu». «Ho cominciato a fare il traduttore per campare
ma Camilleri è stato la mia fortuna. Rivendico, senza falsa modestia,
il merito di aver avuto buon fiuto». Quadruppani di recente ha tradotto
nel suo francese che il critico di Le Monde definisce «occitanisé»
(da Occitania) anche Marcello Fois, giallista sardo che contamina il nuorese
con l'italiano. «Secondo me in Italia come in Francia il giallo è
diventato parte molto dinamica del panorama letterario per l'attenzione
al lato sociale della vita».
Quanto a Pennac, in Italia piace molto grazie anche alla traduttrice
Yasmina Melaouah (definita dallo scrittore «un genio») che
ha tradotto anche opere di Colette, del martinicano Chamoiseau (Premio
Goncourt 1992), e di Philippe Jaenada.
Nelle «Lettere al suo traduttore» Giovanni Verga diceva
di esigere che venisse rispettata la fisionomia caratteristica siciliana
del suo linguaggio, facendo proprio il motto dei Gesuiti «Sint ut sint, aut non sint». Le difficoltà nel tradurre Camilleri
sono in parte simili a quelle presentate dall'opera di Verga.
«Camilleri ha un linguaggio tutto suo. Quando non era ancora
di moda in Italia - dice Quadruppani - ho visto che da parte dei siciliani
c'era una reazione ambigua verso il suo linguaggio al quale si contestava
di non essere il vero siciliano. Ci sono tre livelli di difficoltà
per il traduttore. Il primo è dato dall'uso del dialetto stretto:
lui stesso mette la traduzione in italiano accanto; io lascio il dialetto
e metto la traduzione francese. Quando usa l'italiano standard non è
difficile. Il problema è dato dal terzo livello: la contaminazione
fra italiano e siciliano. Qui si ha sempre l'impressione che si perda qualcosa.
Ho scelto allora di usare parole prese dai dialetti del Sud della Francia.
Dominique Vittoz, l'altro traduttore, ha scelto invece l'idioma lionese.
Non sono d'accordo per niente. E' una soluzione falsa: la lingua di Camilleri
non è un idioma, è una lingua personale con contaminazioni
fra l'agrigentino, il nisseno e il palermitano. Ho incontrato lettori che
mi hanno fatto scenate perché pensavano che fossi stato io a tradurre
"La stagione della caccia". Invece si tratta di Vittoz».
Quadruppani dunque non è l'unico traduttore di Camilleri. Quando
ha avuto successo in Italia, gli editori francesi hanno cercato infatti
di accaparrarsi l'opera a colpi di milioni di franchi e ci sono riusciti
su certi titoli (non per la saga di Montalbano). «Questo tipo di
rivalità mi fa schifo e non ho voluto sentirne di cambiare casa
editrice. Continuo a tradurlo per Fleuve Noir, traduco tutta la serie di
Montalbano». Le altre case editrici sono Fayard e Flammarion. «A
Fayard ho detto che, secondo me, i traduttori di uno stesso autore si devono
incontrare e mettere d'accordo sulla maniera di tradurlo».
Sia Quadruppani che la Melaouah si considerano comunque fortunati in
quanto hanno incontrato i loro autori e ne sono diventati amici, cosa che
non sempre accade.
Melaouh: «Spesso gli autori non sono molto disponibili. Devo
ammettere che faccio poco ricorso a Pennac. Lui mi rimprovera, mi prende
in giro: "E basta con le telefonate!"».
Ma un autore può dire: questo traduttore mi piace o non mi piace?
Melaouh: «Sì, lo può dire e la continuità
del traduttore dipende dalla soddisfazione dell'autore. Ciò vale
soprattutto quando un autore ha una fisionomia linguistica particolare».
Nel rendere Pennac in italiano per la Melaouh, la sfida più
difficile è stata ricreare una lingua che sia popolare ma non dialettale.
«Pennac usa un francese popolare, gergale ed ha una grande inventiva.
Non è facile rendere in italiano l'argot, è cosa diversa
dal dialetto regionale. L'italiano popolare va sempre a finire nei dialetti.
Per rendere bene Pennac, occorre un italiano sciolto ma che non scivoli
nel lombardo o nel romanesco… è un gioco di equilibrismi. A crearmi
molti problemi sono le parolacce e i termini volgari. Un esempio? "Putain
de ta race" (alla lettera "puttana della tua razza") è un insulto
molto usato da Pennac e ricorre nell'ambiente degli immigrati nordafricani:
insulti una persona insultando anche i suoi antenati. L'ho tradotto "mortacci
tua", espressione romanesca che però in Italia è usata abbastanza
diffusamente».
Così il "picciriddo" di Camilleri in francese Quadruppani l'ha
tradotto "minot", parola del sud della Francia che però si capisce
anche a Lille. «Per me - dice Quadruppani - è stato importante
usare questo tipo di parole: non volevo l'idioma per tradurre un altro
idioma. Volevo rendere il profumo del Sud ma senza fare di Montalbano un
marsigliese».
Vale anche per la letteratura come per le trasposizioni cinematografiche
il principio dell'infedele fedeltà? Quadruppani non ha dubbi: «Anche
per il traduttore è così». Melaouah: «Una discreta
dose di infedeltà aiuta. Però un'infedeltà umile,
non arrogante».
Per Valéry Larbaud, traduttore di James Joyce in francese, il
motto di chi fa questo mestiere è "servire", la gloria sta nell'essere
fedeli ai maestri che si sono scelti.
Maria Lombardo