La Stampa, 27.10.2002
I gialli di Camilleri raccolti in un Meridiano Mondadori: è la consacrazione ufficiale di un genere letterario popolare e del suo autore
Dacci oggi il nostro MONTALBANO

PRONTI, via. Ma come, proprio lui nei Meridiani Mondadori? Il tormentone «Montalbano sono», entrato nelle orecchie di tutti per via della trasposizione televisiva (da domani i nuovi episodi), che erompe dalla prestigiosa collana nata 33 anni fa per accogliere i classici della letteratura di tutti i tempi? È l'ultimo scherzo combinato da quel gran «tragediaturi» (burlatore, in dialetto empedoclino) di Andrea Camilleri: dopo l'affermazione tardiva, dopo i premi, dopo le lauree ad honorem. Il Meridiano che raccoglie le sue Storie di Montalbano, un volumone di quasi duemila pagine curato da Mauro Novelli, arriva in libreria e par già di sentirli, certi critici con la mosca al naso, i professionisti della stroncatura «a prescindere», che tutto sono disposti a perdonare tranne il successo. Un canovaccio logoro, già utilizzato con livorosa voluttà per Umberto Eco, o in altro campo, è cosa recente, per Roberto Benigni. Anche per questo l'iniziativa di Renata Colorni, la responsabile dei Meridiani Mondadori, assume un valore di provocazione culturale che va la di là delle aspettative commerciali. Pubblicare Camilleri, e cominciare proprio dal commissario Montalbano (un secondo volume, atteso per il 2004, raccoglierà i Romanzi storici e civili), vuol dire scompaginare le regole, mescolare il cosiddetto alto con il cosiddetto basso, consacrare il giallo (per la prima volta accolto in questa collana) da genere letterario popolare a letteratura tout-court. Del resto, ci dice Nino Borsellino nell'Introduzione, scomodando un precedente illustre, perfino su Pirandello, quando già aveva pubblicato quasi tutti i suoi romanzi e buona parte delle novelle, un critico allora celebrato come Renato Serra aveva apposto l'etichetta della letteratura di consumo. Al clamoroso favore di pubblico (e anche di molta critica) Camilleri, nato a Porto Empedocle nel 1925, è arrivato tardi, sulle soglie dei 70 anni, in linea con una tradizione siciliana che va da Tomasi di Lampedusa a D'Arrigo a Bufalino. Prima c'erano state l'Accademia di Arte Drammatica a Roma (che in seguito lo avrebbe avuto come insegnante), la regia teatrale, la sceneggiatura, la Rai, dove entrò nel '58 per una sostituzione di sei mesi e si fermò trent'anni: bilancio finale, 1300 regie radiofoniche e 80 televisive, a cui vanno aggiunte le 120 regie di prosa, con il merito di avere portato per primo in Italia il teatro dell'assurdo di Adamov e di Beckett. Curiosare tra le vicende personali di Camilleri, seguendo l'intrigante Cronologia di Antonio Franchini, aiuta a comprendere come le tracce lasciate dalla vita si addensino e si intreccino a preparare lo scrittore dei record. La prima opera narrativa, Il corso delle cose, è del '67-68 («mi ero stufato, mi era venuto un senso di rigetto verso il raccontare storie d'altri con parole d'altri», spiegherà nella postfazione), ma fu pubblicato soltanto dieci anni più tardi, senza clamori, da Lalli, una piccola casa editrice di Poggibonsi. Dopo la pensione, negli anni 90 la produzione narrativa di Camilleri si intensifica con la serie dei romanzi storici, fino a culminare nel Birraio di Preston, per giudizio quasi unanime (condiviso dall'autore) la sua opera più riuscita. Intanto però, nel '94, aveva esordito in sordina il personaggio di Montalbano, nel giallo La forma dell'acqua, pubblicato da Sellerio. Il nome del protagonista è un omaggio allo spagnolo (di Barcellona) Manuel Vázquez Montalbán, il cui romanzo Il pianista, disinvoltamente affrancato dalle regole della successione cronologica, aveva suggerito a Camilleri la soluzione a un problema che a lungo l'aveva tormentato, circa la struttura del Birraio. Ma per il suo eroe l'autore aveva in nome pure un nome alternativo, Cecè Collura, recuperato nel '98 sulla Stampa per una serie estiva ambientata su una nave da crociera (raccolta con il titolo Le inchieste del commissario Cecè Collura, sta per uscire dalla Libreria dell'Orso). In ogni caso, non è al Pepe Carvalho dello scrittore catalano che assomiglia il nostro Montalbano, a parte la passione per la buona cucina: nel personaggio confluiscono probabilmente, secondo Borsellino, certi tratti bruschi e insieme cordiali di Ciccio Ingravallo, il commissario del Pasticciaccio di Gadda, oltre ai ricordi dei molti gialli letti fin da bambino, prima ancora di Verne e di Salgari, nella biblioteca paterna. Soprattutto, in Montalbano si aggrega e matura la lunga esperienza di sceneggiatura e produzione televisiva dello scrittore, dal Tenente Sheridan a Maigret. Così, quando Camilleri si volge al poliziesco lo fa come sfida a se stesso, come esercizio di autodisciplina nella scrittura, in adesione alla tesi di Sciascia secondo la quale soltanto nella gabbia del giallo il romanziere si costringe a usare regole certe, a «non barare» con il lettore. L'esperimento riesce al di là delle attese, il passaparola fra i lettori e le prime lusinghiere recensioni cominciano a creare il «caso Camilleri»: sei milioni e mezzo di copie finora soltanto in Italia, con l´exploit senza precedenti di sei titoli su sei nella classifica dei più venduti del '99, e inoltre un milione di copie in Germania, 120 traduzioni in tutte le lingue, numerosi sequestri di esemplari taroccati. Su Montalbano e il suo mondo, sull'eterna fidanzata Livia che sta a Boccadasse, Genova, sulla sua insofferenza per la burocrazia, i suoi vezzi e le sue idiosincrasie non serve dare ragguagli. Di romanzo in romanzo (sei, finora) il personaggio si arricchisce e si complica, l'autore gli presta i suoi giudizi sull'attualità e ne approfitta per regolare un po' di conti. Sappiamo (prime pagine della Gita a Tindari) che il commissario, nato nel '50, ha fatto il '68 (come sicuramente l'avrebbe fatto Camilleri, se avesse avuto l'età) ma ormai detesta certi compagni di allora che nel frattempo hanno fatto carriera, voltando gabbana. Il riferimento a Sciascia, ancora una volta, è d'obbligo. Era stato lui, all'inizio degli anni 80, a spronarlo a scrivere un storia a lungo coltivata, La strage dimenticata, promettendogli di presentarlo a Elvira Sellerio. Conosciuto molto tempo prima per un progetto televisivo che non andò in porto, lo scrittore di Racalmuto ha segnato profondamente l'opera di Camilleri, anche se, confessa lui, «non feci mai parte della schiera dei suoi intimi, quelli, per capirsi, che non lo chiamavano Leonardo ma Nanà». Identico interesse per i labirinti della «sicilitudine», quella malattia che si comprende meglio stando lontani, medesimo impegno civile, sebbene diversamente risolto. Il parmigiano capitano Bellodi del Giorno della civetta ricorda per certi versi il delegato di Ps Puglisi del Birraio di Preston (e altri uomini di legge, spesso di origine settentrionale, che compaiono qua e là nei romanzi storici), e questi, come riconosce l'autore, è una sorta di nonno di Montalbano. A differenza di Sciascia, però, Camilleri sceglie di non parlare della mafia di oggi («non credo di capirci, c'è gente che ne sa e ne capisce molto più di me»), ma piuttosto di rappresentare un certa mentalità mafiosa, una presenza inquietante che agisce sullo sfondo e determina i comportamenti, anche quando Cosa Nostra non c'entra davvero. Succede nella Forma dell'acqua, succede nell'Odore della notte: tutto lascia pensare che dietro i delitti ci sia la criminalità organizzata, invece sono soltanto brutte storie di passione. Una soluzione che è l'esatto opposto di quella del Giorno della civetta. All'altro capo dei debiti letterari c'è Pirandello, il grande conterraneo (nativo di Agrigento, ma sentimentalmente empedoclino) al cui influsso infinitamente approfondito e rideclinato Camilleri era predestinato da antiche frequentazioni famigliari. La concezione del comico come «avvertimento del contrario», teorizzata dall'autore delle Maschere nude, è fatta propria e sistematicamente messa a frutto: fin dal commissariato in cui opera Montalbano, più simile a un pollaio con quei collaboratori che di nome fanno Augello, Gallo, Galluzzo, Tortorella. Nessuna contamizione, però, con il pathos tragico pirandelliano: «nel Dna di Camilleri», osserva Borsellino, «è iscritto il comico allo stato puro», il gusto irrefrenabile del «tragediaturi» che si innesta sull'innata vocazione siciliana allo humour, per molti versi affine all'umorismo yiddish e, come quello, strumento di conoscenza e di sopravvivenza. Ne risulta un tono da commedia gialla senza lieto fine, tutt'al più con la possibilità di una «verità parziale», come quella a cui si arrendono mestamente due personaggi della Mossa del cavallo, e al cui fondamento filosofico sembra rimandare un volumazzo di autore catanese non nominato (Carmelo Ottaviano) che nel Ladro di merendine Montalbano compera a una bancarella attirato dal titolo: Metafisica dell'essere parziale. Ancora a Pirandello ci riporta la toponomastica immaginaria di Camilleri, che ammette un «piccolo furto» per quanto riguarda Montelusa (il nome in cui viene trasfigurata Agrigento, usato in alcune novelle del drammaturgo), mentre rivendica la paternità di Vigàta, libera replica della reale Porto Empedocle, escogitata quale fittizio ubi consistam di ogni trama narrativa. E una dichiarata reminiscenza pirandelliana è pure l'olivo saraceno (che nei Giganti della montagna avrebbe dovuto risolvere l'azione scenica nel finale incompiuto) sui cui robusti rami Montalbano si rifugia sovente a pensare, prima che una mano scellerata lo abbatta, nell'Odore della notte. Lo stesso Pirandello, la sua distinzione tra scrittori di cose e scrittori di parole (questi ultimi capaci soltanto di mettere in bell'ordine parole di una lingua artificiosa, lontana dalla realtà) è alla base del carattere più appariscente nelle pagine di Camilleri: quell'impasto ibrido di lingua e di dialetto, e di lingua storpiata e reinventata, capace di riflettere come un prisma le infinite modulazioni di colore, i suoni, gli odori della Sicilia più vera. Un'operazione che sulle prime può sconcertare i lettori, ma dopo un po' li cattura letteralmente in una rete lessicale e fonetica che finisce con l´assillare come certi refrain. Quanti presupposti letterari, quante esperienze culturali e di vita, quanto studio, quanta fatica («ma non va mostrata, altrimenti il lettore fatica anche lui»): un po' troppo, no?, per un autore di consumo. Che adesso, però, confessa di sentirsi in crisi, almeno nei suoi rapporti con Montalbano. Colpa dei fatti di Genova e di Napoli nel 2001, G8 e dintorni, di tutto ciò che le inchieste sul comportamento delle forze dell'ordine in quei giorni stanno vieppiù rivelando: che ne direbbe, quali conflitti interiori dovrebbe affrontare un inscalfibile democratico e progressista come il commissario di Vigàta? L'augurio che i lettori rivolgono a Camilleri, ma in fondo a se stessi, è che il disagio sia presto superato, magari perché le cose in Italia riprenderanno a andare meglio, e che questo Meridiano richieda in futuro un´edizione ampliata.
Maurizio Assalto
 

I delitti di Vigàta in duemila pagine

Il Meridiano Mondadori che raccoglie le Storie di Montalbano di Andrea Camilleri sarà in libreria da domani (pp. CLXXII-1679, e 49). Lo ha curato Mauro Novelli, con introduzione di Nino Borsellino e cronologia di Antonio Franchini. Il volume raccoglie tutti i romanzi della serie Montalbano editi da Sellerio (La forma dell´acqua, 1994; Il cane di terracotta e Il ladro di merendine, 1996; La voce del violino, 1997; La gita a Tindari, 2000; L´odore della notte, 2001) più una scelta, curata dall´autore, dei racconti usciti da Mondadori (Un mese con Montalbano, 1998; Gli arancini di Montalbano, 1999; La paura di Montalbano, 2002). Completano l´opera una ricca bibliografia che ai titoli di narrativa, ai saggi su argomento registico e teatrale e alle poesie aggiunge gli articoli scritti da Camilleri per diversi giornali, in particolare per La Stampa; e una bibliografia della critica che registra le monografie, i saggi in volume, i libri-intervista (M. Sorgi, La testa ci fa dire, Sellerio, e S. Lodato, La linea della palma, Rizzoli 2002), gli articoli, le interviste e le recensioni usciti sui giornali. Per un inventario più vasto, che tenga conto delle regie teatrali, liriche, radiofoniche e televisive, si può consultare il sito del Camilleri fans club www.vigata.org. Un secondo Meridiano, che conterrà i Romanzi storici e civili pubblicati da Camilleri con Sellerio, Mondadori e Rizzoli, è atteso per il 2004.