La Sicilia da favola, attraversata dalla strisciante malinconia del
commissario Montalbano ha incantato i telespettatori. Il 28 sera 9.352.000
persone sono rimaste inchiodate davanti alla tv per seguire «Il senso
del tatto», prima puntata della nuova serie interpretata da Luca
Zingaretti ora approdata su Raiuno. Le percentuali di ascolto del 33.51
per cento, con punte di oltre i 10 milioni e oltre il 40 per cento di share,
hanno incoronato la Rai re per una notte totalizzando complessivamente
il 47.21 per cento contro il 42.59 raggiunto dalla sorellastra Mediaset
nella fascia del prime time. Agli italiani in effetti la fiction piace,
se poi sul piccolo schermo compare lo sguardo accigliato di Luca Zingaretti
la lancetta del gradimento si impenna: l'episodio in onda lunedì
è il quarto miglior ascolto tra le serie televisive di tutto il
2002 dopo Perlasca (sempre con Zingaretti), Papa Giovanni e Maria Jose.
Lui Montalbano comunque miete vittime ogni anno, confermandosi già
dalla prima edizione, trasmessa nel 1998 su Raidue, il vincitore nella
gara dell'audience giornaliero. Lo sforzo produttivo della Palomar, oltreché
la scelta indovinatissima del volto di Zingaretti, insostituibile, sono
dunque sempre premiati ogni volta che il commissario si affaccia sulle
lande desolate dei palinsesti.
Desolazione a parte, la scommessa non era scontata, perché lasciarsi
contagiare dall'epidemia Camilleri poteva essere rischioso. E invece Alberto
Sironi, il regista dei dieci film finora prodotti, compresi i tre che andranno
in onda nelle prossime settimane («Gli arancini di Montalbano»,
lunedì 4 novembre, l'episodio dalle tinte gotiche tratto dal romanzo
omonimo edito da Sellerio «L'odore della notte», l'11 e «Il
gatto e il cardellino», il 18) ha saputo addomesticare il caso editoriale
alle sue esigenze.
Che tipo di operazione ha dovuto compiere per portare sul piccolo
schermo le avventure letterarie di Montalbano?
Lo sforzo è stato non lasciarsi catturare dalla calligrafia
letteraria e raffinata di Camilleri. Avevo a disposizione un personaggio
molto semplice ispirato ai protagonsisti del cinema degli anni `60 e una
Sicilia antica, che sono i riferimenti culturali e biografici di Camilleri
stesso. Dovevo trovare il modo di mettere in scena storie contemporanee
e atmosfere antiche, dunque ho tolto il più possibile i riferimenti
temporali, ma rimanendo aderente alla realtà: le automobili sono
senza colore e la Vigate dove si ambientano le varie avventure, è
stata costruita come un paese reale.
Dunque che Sicilia ha voluto rappresentare?
Volevo rispettare l'immagine favolistica che ne dà Camilleri.
Trovare soluzioni visive che rispondessero a un registro figurativo alto
e non cadessero invece nella cronaca, nella quotidianità. Una scelta
evidente per esempio quando il set si sposta nel paesaggio desolato intorno
alla Mannara. L'intento è restituire una Sicilia da favola in tutti
gli aspetti anche in quello più cupo della modernità, ispirata
all'immaginario di Guttuso.
Che cosa invece ha condizionato la scelta della lingua?
Ho cercato di edulcorare la lingua per renderla più accessibile.
Il siciliano stretto è stato dunque mediato, un po' come faceva
Edoardo per il napoletano. All'inizio in qualche dialogo abbiamo tentato
di rispettare i giochi linguistici di Camilleri, le sue parole dialettali
o inventate dalla sua memoria o dal suo piacere, ma l'escamotage della
traduzione, la stessa frase immediatamente pronunciata in italiano, non
mi ha convinto.
E Zingaretti come lo dirige?
Luca Zingaretti sa perfettamente cosa fare, dove portare il suo personaggio,
io mi limito a filmarlo bene e a scegliere attori bravi per fargli da contorno.
Giulia Sbarigia