Corriere della sera, 10.2.2002
Lettere al Corriere
Il Salone del libro di Parigi e la protesta degli scrittori

Mi sembra scandaloso il fatto che un gruppo di scrittori italiani abbia deciso di optare per un Aventino, cioè di disertare il Salone del libro di Parigi per colpire così Berlusconi e il suo governo. Non ho alcuna simpatia per l’uomo di Arcore, non l’ho votato e tanto meno lo voterei oggi.
Ma non capisco cosa c’entri con tutto ciò la partecipazione a una fiera libraria.
Come sempre si è distinto per finezza Umberto Eco, il quale ha annunciato che andrà lo stesso in Francia (a spese del suo editore) e farà fino in fondo i suoi doveri di scrittore. Di grande scrittore.
Lino Proia

Caro signor Proia, Vincenzo Consolo, Andrea Camilleri e Antonio Tabucchi non hanno annunciato che non andranno al Salone del libro di Parigi. Hanno detto soltanto che, se ci andranno, lo faranno pagandosi il biglietto d’aereo, nonché l’albergo. E non accetteranno di entrare nella delegazione ufficiale italiana (a far parte della quale, peraltro, non erano neanche stati invitati; quantomeno non tutti e tre). Non mi sembra un evento su cui mettersi a litigare. Consolo, Camilleri e Tabucchi sono impegnati a usare ogni occasione che si presenti per manifestare la loro disistima nei confronti del presidente del Consiglio. E le regole del gioco prevedono che tali comportamenti siano del tutto legittimi. Anche se, per quel che mi riguarda, condivido i suoi complimenti a Umberto Eco e ai suoi toni più sobri.
Sulla stessa lunghezza d’onda di Umberto Eco, Giovanni Raboni ha dichiarato al Corriere : «Non vedo perché dovremmo dire di no ai signori che ci hanno invitato; il fatto che vi sia un contributo del governo italiano mi sembra un atto dovuto dato che io pago le tasse». Non andare a Parigi per Raboni «sarebbe come dire: io non vivo più in Italia perché non mi piace questo governo; mi pare eccessivo; spero solo di vivere abbastanza per vederne un altro». E, polemicamente, ha domandato ai colleghi scrittori più intransigenti: «Dovremmo rifiutare il ricovero in una struttura sanitaria pubblica perché dipende dal ministero della Sanità?».
Ma a Tabucchi le cose appaiono differenti. Per lui (cito da Le Monde ) in Italia assistiamo alla «caduta della democrazia nell’abisso del totalitarismo», grazie alla complicità del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi il quale ha oggi lo stesso ruolo che ebbe a suo tempo Vittorio Emanuele III nei confronti di Benito Mussolini. Un paragone storico che mi sembra azzardato. Ma a volerlo prendere per buono, domanderei a Tabucchi se davvero può essere considerata un’idea vincente quella di ritirarsi su un qualche Aventino. Ripetendo con ciò l’errore di quell’opposizione parlamentare che nel 1924, dopo l’uccisione di Giacomo Matteotti, uscì dall’aula lasciando le porte spalancate al regime.
E i comunisti di Fausto Bertinotti? Che ne dice il loro giornale? Carlo Lucarelli, il «re del noir italiano», è intervenuto su Liberazione per dire che lui a Parigi ci sarà: «Io vado lì a spese dello Stato, quindi a spese mie, visto che pago le tasse». E ci andrà «da guastafeste»: «Faccio molto più casino andando lì e dicendo quello che penso» piuttosto che ritirandomi sull’Aventino dove «non mi noterebbe nessuno».
Parole che sono un grande omaggio allo spirito del tempo. Più precisamente, allo spirito di quest’ultima settimana.
Paolo Mieli