La Nazione, 17.1.2002
«La mia narrazione è a coda di porco»

FIRENZE - Va matto per i fichi d'india che sono, come dice lui, con la voce viziata da cinquanta e passa sigarette al giorno, una cosa seria, tanto da farne una metafora della realtà. «Oggi la situazione è spinosa, con la particolare spina dei fichi d'india che non si vede — suggerisce il padre di Montalbano —. Questo è il pericolo di oggi, di trovarsi la mano piena di spine senza accorgersene». Sagace Camilleri, che in poche battute ricorda il senso del suo impegno, anche civile, con quei modi da siciliano gentile. E tagliente. «Sono stato un comunista, a lungo, a lungo. Sì, ho peccato padre, più volte — aggiunge — Mi sono guadagnato con fatica il valore della libertà e della democrazia e ora non voglio affatto perderlo». Così Andrea Camilleri si è presentato, con il suo ultimo romanzo, Il re di Girgenti (Sellerio), nella sala, strabuzzante di gente, del Gabinetto Vieusseux di Firenze.
Uno dei pochi inviti che lo scrittore ha accettato «perché, nonostante abbia un'età avanzata, come si usa scrivere, ho buona memoria, e so che cosa è il Vieusseux, sono emozionato». E subito la sua ironia spezza ogni ritualità, quando aggiunge, in un tempio di conservazione del sapere: «Io, guardate, distruggo tutto, non ho tenuto un foglio delle stesure dei miei libri».
Ma come e da dove nascono i romanzi e i racconti di Camilleri? Glielo hanno chiesto, sottolineando diversi aspetti (la lingua, i personaggi, il ruolo del sesso, gli odori) Peppino Ortoleva e Gianni Venturi, che hanno introdotto lo scrittore.
«Potrei dire che il mio ideale è la narrazione a coda di porco, elicoidale — spiega — . Ho sempre cominciato a scrivere dall'episodio che più mi aveva stimolato, il gioco di trama in me è un'alterazione della realtà che manipolo con depistaggi e richiami alla storia che mi interessa». Quanto alla lingua Camilleri ammette che è «falsa» e che nasce da un impasto tra la parlata girgentana («la più vicina alla lingua italiana») e alcune parole che «mi sono inventato per assonanza».
Dichiarati anche i rimandi, nel Re di Girgenti, a Manzoni, Dante, D'Annunzio («uno non fa il romanziere come un fungo, è il prodotto di ciò che ha letto e che ha vissuto» precisa), per concludere la chiacchierata con il celebre Montalbano. «Quando ho creato questo personaggio solo di due cose ero sicuro: che avrebbe ragionato molto e che sarebbe stato un investigatore istituzionale — spiega Camilleri — Ho iniziato a leggere giovanissimo Simenon, ma l'immutabilità di Maigret rispetto agli eventi non mi è mai tornata. Addosso a Montalbano, invece, l'inchiesta stinge, lo macchia, lo invecchia». E a una signora che lo interroga sulle ragioni della versione televisiva di Montalbano risponde: «Ragioni pecuniarie, signora».
Veronica Passeri