Il
Tirreno, 17.1.2002
Andrea Camilleri, un battagliero signore dei bestseller
«La situazione politica è drammatica. Bisogna che si svegli
la coscienza civile degli italiani»
Firenze: il presidente della Regione ha incontrato il comico
FIRENZE. Visto il popolo di lettori che si ammassa con mezz'ora di anticipo
nella saletta Ferri del Gabinetto Vieusseux in Palazzo Strozzi, che starà
in piedi durante tutto il dibattito, che stretto all'ingresso impedirà
a chiunque di entrare ed uscire, la prima domanda da porre ad Andrea Camilleri,
lo scrittore siciliano signore dei bestseller, è: come spiega il
particolare successo dei suoi libri in Toscana, oltre che in tutta Italia?
«Non lo saprei spiegare, ma penso che dipenda dalla parlata
agrigentina,
anzi girgentana, che uso nei miei libri. Pirandello nella sua prefazione
a «Liolà», aveva detto che la parlata di Girgenti è
la più simile o vicina, per pronuncia e scrittura, alla lingua italiana,
rispetto agli altri dialetti. Quell'italiano primitivo e radicale, voi
forse lo intendete prima di altri».
Dopo la generazione degli Sciascia e dei Bufalino, arriva lei con il
commissario Montalbano, le piccole dure storie di Vigata, con «Il
re di Girgenti», suo ultimo libro: lei sente la sicilianità?
«Eccome se la sento, e per questo vengo anche attaccato come
scrittore siciliano eccessivo. C'è però anche Consolo, scrittore
siciliano, ma passato in partibus infidelium, visto che sta a Milano. Ma,
vede, io non saprei di che cosa altro narrare nei miei libri. Oggi uno
può scrivere un romanzo ambientato a New York o a Mosca, ci sono
guide meravigliose che ti dicono i particolari di quelle città,
fino a dove sono i tabaccai: ma per me non si tratta di collocazione, piuttosto
di
descrivere come parlano e pensano le persone. Io so come la pensano
i miei compaesani e lavoro su codici che conosco».
Presente su riviste e quotidiani e con idee politiche chiare, lei non
ha remore a esporsi come presenza attiva, che le ha stretto intorno un
certo pubblico.
«L'aspetto singolare e curioso è che non ho perso l'altro
popolo dei lettori, quelli che non la pensano come me e me lo dicono anche:
non sono d'accordo con lei, ma continuo a leggerla con la stima di sempre.
Questo mi fa un po' rabbia: vorrei che mi si leggesse anche per quello
che penso, non solo perchè li faccio sorridere».
Cosa pensa della situazione interna italiana?
«E' drammatica. Si sta operando lo sfascio di parecchie istituzioni
ed è drammatica perché il signor Berlusconi è stato
regolarmente eletto con larga maggioranza. Bisogna che si svegli la coscienza
democratica e civile degli italiani. Sono loro che possono decidere e non
delegare ad altri questo compito. I magistrati per esempio
non stanno facendo nient'altro che il loro dovere e questo ci basta».
E uno scrittore?
«Il primo compito di uno scrittore è scrivere, poi, se
vuole, intervenga nella vita politica in un senso vasto e non settario
del termine. Invece si è costretti a parlare dei fichi d'India,
che sono una cosa seria tra l'altro. Oggi la situazione è spinosa
e la cosa peggiore è che se, incautamente, prendete un fico d'India
in mano, vi ritrovate
la mano piena di spine e non le vedete. Qui sta il pericolo».
Camilleri si dice emozionato per essere stato invitato al Vieusseux,
dove Peppino Ortoleva dell'Università di Torino e Gianni Venturi
dell'Università di Firenze conducono l'incontro con il pubblico.
Il suo acutissimo humour delizia i presenti.
Confessando i meccanismi con cui ha creato «Il birraio di Preston»
- il più anarchico dei miei libri - o «La gita a Tindari»,
dichiara: «Io a scrivere provo gioia e non so cosa siano le sudate
carte. Qualche volta anzi ho il dubbio di non essere uno scrittore, perché
mi ci diverto troppo. A chi mi definisce scrittore da intrattenimento,
rispondo: grazie».
Dei film tv tratti dai suoi libri, dice che sono fatti bene, salvo
che per il bravo attore protagonista, che non è il personaggio da
me descritto come commissario Montalbano.
Milly Mostardini