La Repubblica,
ed. di Palermo, 7.3.2002
La Sellerio: "È finita l'epoca dei silenzi"
"Finalmente siamo liberi da una cappa opprimente". L'intervista
Si schermisce: «Che vuole che interessi ai lettori quello che
pensa una massaia dei fermenti della sinistra». Sfugge: «Non
ho tempo, corro da un libro all'altro, e contemporaneamente mi occupo del
convegno su Camilleri. È una girandola di riunioni senza un attimo
di tregua». Ironizza: «Non le conviene insistere: non ha idea
di quante parole possa scaricarle addosso. Fino a stremarla». Ammalia:
«Nelle interviste per metà sono me stessa, per l'altra metà
come il giornalista mi inventa. Ma questo non sempre è negativo».
Alla fine cede. Elvira Sellerio, ha scritto il libro più importante
per la Sicilia: il catalogo dei 1700 titoli pubblicati in 35 anni di attività.
La sua memoria è probabilmente lo scrigno più importante
della cultura isolana. Sciascia, Bufalino, Camilleri, Luisa Adorno, che
grondano Sicilia da ogni pagina, accanto al meglio della cultura internazionale.
Maestri di parola e di vita, con i siciliani in prima linea sul fronte
dell'impegno sociale e politico.
Cosa ne pensa del dibattito che si è scatenato a sinistra come
un flusso liberatorio?
«Solo a sinistra? Il fermento è generale e tocca tutti
i settori della società. Finalmente ci si è liberati da una
cappa che sembrava bloccare tutto e tutti. È un momento di grande
effervescenza dopo anni di stagnazione. Peccato però che tutti i
fermenti debbano essere spiegati con le parole, ricondotti a una matrice.
E nell'interpretazione ognuno le spiega come gli conviene. Sarebbe bello
che il fatto di per sé si sostanziasse a prescindere dalle parole».
Come si spiega l'irrompere improvviso di questi umori?
«In tutti questi anni, anche durante i governi di centrosinistra,
c'è stato un silenzio soffocante. Che magari per qualcuno era attesa
che succedesse qualcosa, per qualche altro era omertà, una parola
che pronunciata a Palermo acquisisce un significato inquietante. Comunque
dal silenzio generalizzato si è passati al grido diffuso».
Anche nel centrodestra?
«Certamente. Sarebbe riduttivo pensare che il sommovimento riguardi
solo la sinistra. Invece c'è una scontentezza generalizzata che
pervade tutti gli schieramenti. C'è un mugugno generalizzato che
talora sconfina nella paura. Nella mia vita non ho mai visto tante persone
così spaventate sul futuro. Ed una minaccia sospesa, impalpabile,
che non si riesce a definire».
Può essere più precisa?
«Ci provo. Dopo la vittoria di Berlusconi non abbiamo avuto il
tempo di capire come sarebbe cambiata la nostra vita perché la guerra
ai Talebani ha schermato tutto il resto. Ma ora la situazione si va schiarendo
e affiorano i veri problemi. E si assiste a un capo del governo che piuttosto
che pensare all'Italia pensa ai suoi interessi, dalle rogatorie al falso
in bilancio. Il Paese viene governato come un'azienda. È troppo
chiedere un giusto equilibrio tra le istituzioni? È troppo pretendere
che al vertice degli Esteri ci sia un ministro come si deve? La mia non
è una delusione personale. Ma mi ferisce vedere che le singole persone
non esistono più. Questo purtroppo non solo ora, ma anche con i
governi precedenti».
Berlusconi quindi come un problema per l'Italia?
«Vorrei evitare le facili semplificazioni. Premetto che Berlusconi
mi è simpatico, che lo considero un uomo di intelligenza, capacità
e carisma. Aveva un sogno ed è stato bravo a contagiarne gli italiani.
L'ho sempre guardato come un fenomeno letterario. Ho sperato perfino che
potesse fare bene per il Paese. Ho apprezzato anche alcuni suoi collaboratori,
come ad esempio Gianfranco Miccichè che in Sicilia ha fatto sperare
in un processo di ammodernamento serio. Ma i risultati sono deludenti.
È sbagliato pretendere, anche chi come me non ha votato Forza Italia,
che il governo pensi a tutti i cittadini e non solo a una parte? Anche
molti elettori di Berlusconi sono delusi, proprio perché credevano
davvero in un cambiamento epocale. La storia da sempre ci insegna che il
potente delude. Ma stavolta si sta superando ogni misura».
Andrà a dire queste cose sabato all'assemblea dei professori?
«Non amo molto le manifestazioni. È giusto che si facciano
ma io non ho mai partecipato a questi riti. C'è sempre in agguato
un certo spontaneismo che finisce con il vanificare tutto. Anche perché
mentre a Roma e Milano le manifestazioni sono state guidate da gruppi strutturati,
qui c'è il rischio che tutto si disperda nel nulla».
Da cosa scaturisce questo pessimismo?
«Dalle esperienze del passato. Una decina di anni fa a Palermo,
sulla scia delle stragi e delle speranze accese dalla Primavera di Orlando,
c'era stata una discesa in campo massiccia della società civile.
Un grande patrimonio di indignazione che si è disperso nel falò
degli slogan. Che si è appagato, chetandosi, in un'apparenza di
cambiamento, mentre le grandi energie venivano spente dai professionisti
della politica».
La polemica più feroce si è scatenata sulla Rai. Lei
che è stata nel Consiglio di amministrazione nell'era dei professori
cosa ne pensa?
«La Rai è lo specchio del paese. È l'Italia. Ma
sono troppo coinvolta visceralmente per parlarne. Quello che posso dire
è che è peggiorata e che mai dovrebbe essere usata per campagne
personali, come pure è successo nella precedente gestione».
Tano Gullo