Polizia moderna,
4.2002
Cara polizia ti scrivo
Con venti romanzi e due raccolte di racconti, il meridionalissimo Andrea
Camilleri ha conquistato sia il pubblico europeo che statunitense. Dopo
aver raggiunto il successo scrivendo polizieschi italiani in "salsa siciliana",
oggi ci parla della polizia come l'ha vissuta lui.
"Mi dispiace, non rilascio interviste sulle indagini in corso: sono
in silenzio stampa!" - scherza Andrea Camilleri, impegnato a scrivere una
nuova serie di racconti gialli che hanno come protagonista il commissario
Montalbano - "Però se vuole le posso raccontare come ho visto cambiare
la divisa in questi miei primi 77 anni di vita. Almeno la metà di
questo 150° compleanno della polizia lo riusciamo a coprire."
Impossibile non cedere alla tentazione di lasciarsi trasportare dalle
parole di Camilleri che, attraverso i suoi libri, ha portato alla ribalta
l'immagine di una polizia italiana dal volto umano, a volte severa e scorbutica
come solo sa essere il personaggio prediletto, Salvo Montalbano, a volte
semplice ma generosa come lo sono gli uomini della sua squadra, dal fedele
ispettore Fazio all'arguto vice commissario Mimì Augello.
Quest'anno i bambini sono stati chiamati a rappresentare il poliziotto
in disegni e racconti; ma come lo vedeva Camilleri il poliziotto quando
era piccolo nella sua Sicilia agrigentina?
"Lo vedevo "mitico", un misto tra Zorro e i cavalieri dei pupi siciliani.
Probabilmente perché il mio primo contatto con un poliziotto è
stato molto positivo, una specie di imprinting poliziesco che mi ha segnato
per sempre. Fu l'incontro con il padre di un mio compagno di classe alle
elementari che io frequentavo perché era bravo e mi aiutava nei
compiti.
Questo signore era un maresciallo di pubblica sicurezza, il maresciallo
Corso. Un uomo bravissimo e integerrimo, molto più duro degli stessi
carabinieri nel far perseguire la legge. Con lui non si poteva babbiare.
Capiva l'ambiente e le sue collusioni mafiose ma non si faceva influenzare.
Dal maresciallo Corso ha tratto ispirazione il mio primo romanzo giallo
Il
corso delle cose il cui protagonista però era un carabiniere.
Allora in Sicilia, infatti, c'era la presenza predominante sul territorio
della Benemerita, quindi ci si rivolgeva quasi sempre a loro per dirimere
anche le controversie più semplici."
Allora è stato grazie al maresciallo Corso che, nonostante
le usanze siciliane, Lei ha voluto affidare le sue indagini ad un commissario
di polizia?
"Sì, ma hanno giocato un ruolo decisivo anche dei precedenti
letterari illustri. Il mio modello principale di scrittura è stato
infatti il commissario Maigret di Simenon, incarnato sul piccolo schermo
dal grande Gino Cervi. Inoltre ero rimasto colpito da un'altra serie televisiva
di grande successo Le storie del maresciallo interpretata da Turi
Ferro e scritta niente di meno che da Mario Soldati, e mi è sembrato
di ricalcare orme illustri scegliendo un commissario. Del resto avere un
poliziotto in casa dà sempre sicurezza, come un medico in famiglia!"
Mai avuto problemi con le Forze dell'Ordine?
"Ma allora non è un'intervista, è un interrogatorio!
Confesso che i miei libri sono un po' una sorta di risarcimento per un
episodio divertente che risale al 1962, quando fui chiamato alla regia
dello spettacolo teatrale Tarantella su un piede solo. Un mese prima
era stata abolita la censura, per cui si respirava una maggiore libertà
artistica, ma il testo era rischioso per altri aspetti in quanto parlava
di quattro poliziotti corrotti, sebbene nel finale si riscattassero appieno.
Così mandai il copione all'allora questore di Napoli che lo lesse,
capì e conferì la sua approvazione, dando ordine al commissario
di pubblica sicurezza che doveva svolgere il suo turno di sorveglianza
in sala di non interrompere lo spettacolo. Ma la sera della prima venne
un procuratore della Repubblica che a metà spettacolo si mise ad
urlare allo scandalo e il commissario della polizia fu costretto a chiamare
la Celere. Fui condannato per vilipendio alle Forze Armate - perché
allora la polizia era ancora militarizzata - ma il questore intercedette
per me spiegando in tribunale il finale dell'opera. Così fui assolto.
Per riscattarmi da questo vecchio debito Montalbano mi è sembrato
adatto, anche perché in lui ho concentrato tutte le qualità
migliori di un siciliano: senso di lealtà e rispetto delle regole,
amore della tradizione e, insieme, apertura verso gli altri."
Possiamo dire che il suo personaggio rappresenta l'evoluzione che
ha subìto la polizia dall'epoca della sua smilitarizzazione?
"Senz'altro, grazie a questo processo di smilitarizzazione in Sicilia
è stata riconquistata a pieno la fiducia nella divisa. Se non avessi
visto questo miglioramento, Montalbano di certo non sarebbe stato un commissario
di pubblica sicurezza. Certo il successo che ha avuto anche tra i poliziotti,
dai semplici agenti fino ai questori, è dovuto al fatto che incarna
la condizione "ideale" del lavoro d'investigazione. Gode di una libertà
d'azione che lo svincola dal pubblico ministero con la possibilità
di condurre le indagini a modo suo che non esiste nella realtà.
Quelle poche volte che deve adeguarsi a direttive superiori che contrastano
con il suo "fiuto", gli prende un nirvuso (nervosismo n.d.r.) che lo accompagna
tutta la giornata. Niente in confronto a quello che prenderebbe a me se
fossi poliziotto e vedessi uscire di galera dopo tre ore uno che ho arrestato
e sono convinto che sia colpevole."
Insomma ci vorrebbe meno burocrazia a intralciare il lavoro del
poliziotto, che per sua natura è uomo d'azione?
"Diciamo che il mio commissario è allergico sia alla burocrazia
che al suo linguaggio contorto, da cui è perseguitato comicamente
per bocca dell'attendente Catarella, sia alle promozioni che lo toglierebbero
dal "fronte". Lui non è tipo da scrivania, è uno che lavora
in mezzo alla gente. È capace di non dormire la notte arrovellandosi
per il sospetto che due vecchietti in paese si vogliono suicidare o si
affatica per chilometri a piedi su un'antica trazzera di pastori per andare
a parlare con un possibile testimone oculare. Per carità, non voglio
dire che debba essere preso ad esempio. Montalbano è per la polizia
un po' quello che 007 James Bond è per gli agenti segreti, cioé
un personaggio di sogno. E in quanto tale gode dell'immunità concessagli
dalla finzione romanzesca. Se Montalbano e James Bond si comportassero
così nella realtà morirebbero dopo cinque minuti."
In tutti i suoi libri anche quelli ambientati nel passato, come
La
concessione del telefono, La scomparsa di Patò, o La
mossa del Cavallo, si svolge un'indagine. Perché, sebbene il
giallo sia la forma letteraria che predilige, spesso non si arriva alla
soluzione o ad assicurare il colpevole alla giustizia?
"Sì, per me è più importante capire cosa c'è
dietro il crimine, cosa scatena la violenza, ricercare la verità,
naturalmente quella relativa - quella assoluta me la saluti Lei - senza
ossessioni di giustizia. Il mio detective-poliziotto è un uomo di
buon senso. Io ho un questore "montalbaniano", un fan dei miei libri, e
l'altra sera in Tv è stato elogiato per essersi comportato con "buon
senso". Mi ha fatto un gran piacere…
Del resto il commissario Montalbano piace alla gente proprio perché
è un personaggio a tutto tondo, pieno di difetti ma soprattutto
di umanità.
Questo aspetto è mutuato da Maigret. Io non credo infatti nei
detective alla Sherlok Holmes che procedono solo per logica, ma a quelli
che usano intuito e analisi psicologica.
Il mio commissario sa capire le persone, sa leggere dentro i suoi paesani
mentre ci parla e sa come conquistare la loro fiducia. Questa capacità
di comprensione lo aiuta a risolvere i casi. Montalbano è il volto
amico della legge, una legge che capisce e tutela, non ottusa e schiacciante.
A volte è più indulgente verso un povirazzo assassino,
arrivato ad un gesto estremo per una concatenazione di disperazioni, che
verso un ipocrita che truffa per pura venalità. Per i suoi principi
e la sua apertura mentale, il mio protagonista incarna l'idea di Stato
che io auspico, retto ed onesto, forte e portatore di valori e di sicurezza.
È quell'idea di Stato che più di ogni altra regione la Sicilia
ha misconosciuto."
Perché allora ha scelto un piccolo paese di provincia siciliana,
Vigata, invece che una grande città come Roma, dove fra l'altro
vive da anni, per raccontare la polizia che incarna il suo forte senso
dello Stato?
"Non riuscirei a raccontare una storia se non immergendola in uno spaccato
storico-geografico preciso, tanto che la mia scrittura non acquisisce nerbo
se non quando mi esprimo in dialetto. Ecco perché amo i giallisti
come Carlo Lucarelli che parla della gioventù acida e criminale
del bolognese, come Fois della sua Sardegna impastata da silenziosi misteri
e come Carlotto che s'infiltra nella mafia del Brenta. Sono scrittori che
non parlano in maniera atemporale, ma parlano di questa Italia e dei suoi
angoli bui, esplorando le forme delinquenziali e violente che hanno assunto
le realtà locali. Sono le realtà più in ombra, quelle
meno conosciute, le più interessanti da descrivere. Vigata rappresenta,
inoltre, una Sicilia che vuole sanare le stigmate dello scetticismo e dell'omertà
che l'hanno piagata per troppo tempo."
In cosa è cambiata in quest'ultimi dieci anni la Sicilia?
"Un tempo c'era la filosofia "fatti loro", e le persiane si chiudevano
automaticamente. Ora per fortuna è cambiata la mentalità.
Un paio di anni fa a Porto Empedocle, il mio paese in provincia di Agrigento,
fu ucciso un carabiniere in un agguato su una strada in periferia. Immediatamente
i centralini del 113 furono intasati di telefonate da parte degli inquilini
del palazzo di fronte che avevano visto tutto e chiedevano che gli agenti
della polizia arrivassero al più presto."
E Lei cosa chiederebbe oggi alla polizia del suo paese?
"Vorrei vedere più poliziotti in strada. Grandi, prestanti e
rassicuranti come i poliziotti tedeschi che all'apparenza sembrano cattivi
e poi sono gentilissimi. Insomma, una maggiore vicinanza, che faccia sentire
protetto me e i miei cari. Mi piacerebbe il poliziotto di quartiere, che
fosse un riferimento quotidiano anche per i piccoli imprevisti. Una notte
l'auto del commissariato di zona abbozzò la nostra che era parcheggiata
sotto casa e gli agenti ci lasciarono un bigliettino sul parabrezza per
il risarcimento assicurativo. Mi sono sentito protetto e rispettato allo
stesso tempo."
Montalbano ama molto la letteratura, c'è un'intima connessione
tra la capacità di risolvere un'indagine e il saper leggere?
"Secondo me aiuta eccome. Ma, essendo uno scrittore, così obiettivo
non sono. Dovrebbe chiederlo ai veri detective. Comunque conosco molti
poliziotti che leggono tanto. Qualcuno ha persino collaborato con le mie
indagini romanzesche… Il dirigente della scientifica di Bologna ha letto
La
voce del violino e mi ha fatto riscrivere cinquanta pagine perché
inattendibili. Non solo non avevano veridicità, ma avrebbero portato
il caso in un vicolo cieco. Inoltre mi ha rifornito di pubblicazioni sulle
nuove tecnologie di analisi medico-legali, balistiche, grafologiche, ma
anche sulle banche dati digitali e sullo studio delle prove informatiche."
A proposito di questo, come farà nei suoi libri a lottare
con le nuove forme del reato informatico, Lei che è abituato ad
affrontare, almeno a colpi di penna, i delinquenti di una volta?
"Effettivamente i miei poliziotti sono ancora molto legati ad un mondo
tradizionale nel bene e nel male, agli ulivi e al mare siciliano, alla
cucina tipica, alla vecchia mafia. Nella Gita a Tindari ho costretto
Montalbano ad occuparsi di traffico d'organi e mi sembrava di essermi spinto
con la fantasia in un'indagine futuristica, poco dopo ho scoperto che la
realtà era ben più avanti: esistevano addirittura dei prezzari
per organi su internet. Probabilmente Montalbano si sentirebbe un pesce
fuor d'acqua a lavorare sul cybercrime, forse perché non mi ci trovo
tanto io. Adesso scrivo al computer, mi sono abituato e non potrei più
farne a meno, ma sento di dover colmare molte lacune riguardo alla tecnologia
digitale attraverso la quale si stanno diffondendo nuove realtà
criminali. Leggere Polizia Moderna potrebbe essermi molto utile
nel darmi indicazioni e spunti per nuove investigazioni."
Le faremo un abbonamento "ad honorem"…anche se sicuramente Lei sa
dove cercare gli spunti avendo già scritto sette romanzi gialli
e due libri di una cinquantina di racconti: da quale cilindro magico tira
fuori tutte queste trame poliziesche?
"Il novanta per cento hanno un'origine di cronaca. Io leggo il giornale
dalle ultime pagine, iniziando dai necrologi, e mia moglie si arrabbia.
Mi leggo anche gli annunci mortuari in tedesco, pur non capendoci molto,
però trovo che accendono la fantasia. In genere se leggo un fatto
di cronaca nera interessante strappo la pagina con l'articolo, la metto
da parte e poi lo faccio risolvere da Montalbano. Perché lui ha
sempre bisogno di storie, il personaggio seriale si trasforma sempre in
un tiranno, costringe lo scrittore a occuparsi di lui. Ormai è così
completo che vive di vita propria. Se non riesce a fare direttamente pressione
su di me la fa attraverso i lettori! Un giorno mentre bighellonavo vicino
casa una signora inchiodò la macchina e mi fece una lavata di capo
dicendomi che non dovevo perdere tempo a passeggiare ma dovevo andare a
scrivere una nuova storia per Montalbano perché da tanto non usciva
un mio libro su di lui."
Questo successo del personaggio, che ha addirittura dei fans club,
è stato rinforzato dallo sceneggiato televisivo?
"Lo sceneggiato televisivo è un caso straordinario. È
così ben fatto che ha trasformato molti spettatori in lettori. E
Luca Zingaretti è talmente bravo che anche se non rispecchia fedelmente
il commissario dei miei romanzi - che è un cinquantino con tutti
i capelli fra l'altro! - ormai per la gente Montalbano è lui. Adesso
Zingaretti vorrebbe non rimanere bloccato nei panni del commissario e spaziare
in altri ruoli e si è visto che lo può fare benissimo con
il film Perlasca (stessa casa di produzione, la Palomar di Carlo
degli Esposti n.d.r.), che ha raccolto meritatissimi riscontri, ma Montalbano
non lascia libero facilmente neanche lui e proprio all'inizio di quest'anno
Zingaretti "ha dovuto" girare una nuova serie di puntate tratte dai racconti
de Gli arancini che andrà in onda a maggio [in effetti
a tutt'oggi si stanno girando altri episodi; la nuova serie di telefilm
dovrebbe andare in onda a ottobre, NdCFC]."
Però almeno Zingaretti quando veste i panni del commissario
si fa certi pranzetti... Lei fa mangiare Montalbano divinamente, è
un modo di onorare la Sicilia attraverso la cultura culinaria?
"Tutti gli investigatori mangiano molto, Maigret di Simenon e soprattutto
Pepe Carvalho, il detective-gourmet nato dalla penna del catalano Montalbàn,
per non parlare di Nero Wolfe. Probabilmente sono le indagini che scatenano
l'appetito. Devo comunque precisare che Montalbano non è un palato
raffinato. Ama i piatti rustici e semplici. Certo il pesce congelato non
lo mangerebbe mai. Figuriamoci provare un fast food all'americana o il
cibo cinese con cui si spaccano il fegato i detective yankee! Lui non tradirebbe
mai le sue origini culinarie, la tradizione della sua terra."
Questa fedeltà culturale si vede anche nell'uso del dialetto,
che non Le ha impedito di essere capito e amato all'estero. Quanto si sente
europeo, il sicilianissimo Camilleri?
"Non tutti fanno lo sforzo di cercare l'equivalente di un dialetto
nella propria lingua. Io sono stato fortunato perché sono stato
tradotto dappertutto meno che in Russia, Cina, paesi arabi. La Germania
è il paese dove ho venduto più copie, quasi un milione. Qualcuno
sta traducendo La stagione della caccia nel dialetto di Lione e
mi stanno traducendo anche in svedese. Pare che lì abbia molti fans,
addirittura miss Svezia 2001: che sfortuna il successo tardivo!
Di cultura sono al cento per cento europeo. Per uno come me che ha
iniziato a leggere gli scrittori stranieri già da picciriddo, all'età
di sette anni, la cultura è stata fin dall'inizio europea. Essendo
figlio unico mi annoiavo e chiesi a mio padre che aveva una nutrita biblioteca
se potevo leggere qualcosa. Lui rispose "tutto quello che vuoi". Iniziai
proprio con Maigret di Simenon, poi Edgar Allan Poe, Conan Doyle e così
via. Dall'Europa di oggi vorrei una maggiore autonomia decisionale rispetto
ai potenti del resto del mondo."
In un piccolo paese siciliano alla fine dell'ottocento il mistero
de La Scomparsa di Patò, viene risolto da una fortunata collaborazione
tra un carabiniere e un delegato di pubblica sicurezza: allora è
una leggenda metropolitana quella dell'impossibile collaborazione tra Forze
dell'Ordine?
"Si, le resistenze vengono più dal vertice. Nel momento in cui
si trovano in pericolo i due protagonisti si coalizzano e riescono brillantemente.
Ho scritto un altro racconto "interforze" che uscirà molto presto
in una nuova raccolta e tratta di una collaborazione tra Montalbano e un
maresciallo dei carabinieri.
Certamente c'è una rivalità fisiologica di fondo, che
non deve però rimanere tale ma trasformarsi in forza propulsiva.
Il 6 e 7 marzo [8 e 9, NdCFC] sono stato all'Università di
Palermo per presentare il mio ultimo libro Il re di Girgenti, la
storia di un contadino che è realmente vissuto nel seicento nella
zona di Agrigento. Sapendo che ero in Sicilia, mi ha chiamato il tenente
colonnello comandante della Benemerita dicendomi "se io le raduno tutti
gli ausiliari dell'Arma facciamo un incontro?" Anche il questore di Palermo
ha saputo che ero in Sicilia e nel giro di 24 ore ha richiesto e organizzato
anche lui un incontro con tutte le Forze di polizia in Sicilia. Almeno
un pareggio è dovuto."
Sappiamo che ha accolto anche la proposta di fare il membro della
giuria del premio letterario riservato ai bambini indetto dalla Polizia
di Stato sul sito web.
"Quando ci sono i picciriddi di mezzo, mi fa sempre piacere essere
coinvolto. Sono uno che ha una scarsa autonomia dai nipoti, ne ho quattro
che vanno dai 4 ai 20 anni. Non posso stare più di tre giorni senza
vederli. Una volta stavo al Cairo e me ne volevo andare via perché
mi mancava mia nipote, allora l'autista mi fece trovare sul sedile a fianco
al mio una bimba, sua figlia, per attutire la crisi d'astinenza del "nonno".
A me piace averli sempre per casa. Mia moglie dice che non sono uno scrittore
ma un corrispondente di guerra, perché scrivo nel caos totale tra
le grida e i giochi dei bambini che mi salgono sul tavolo e mi interrompono.
"Silenzio che il maestro scrive!" è una frase che non è mai
risuonata in casa mia."
Adesso si capisce perché il nostro eroe Montalbano voglia spesso
rifugiarsi a riflettere nella sua solitaria "casa di Marinella" quando
deve risolvere un caso.
Annalisa Bucchieri