«Forse, il genere letterario che prediligo è la satira.
Quando si osservano con rabbia le ingiustizie del mondo, quando si scorge
l'aspetto ridicolo e insieme sinistro del potere, allora si ha voglia di
ridere e di indignarsi. E questo è la satira».
Manuel Vàzquez Montalban, il sessantaduenne scrittore spagnolo
autore di opere narrative celebri quali Io Franco (autobiografia romanzata
del dittatore iberico), Il pianista, e soprattutto di Un delitto per Pepe
Carvalho dove inventò una singolare figura di detective catalano
fra Maigret e Sherlock Holmes, non rinuncia alla sua vena polemica, al
suo piglio sferzante che non risparmia nessuno: gli uomini politici ma
anche molti suoi colleghi letterati.
Dunque, Montalban, lei detesta il potere…
Non il potere in sé stesso, ma un certo modo, sciocco e ottuso,
in cui esso viene esercitato da molti leaders. Prendiamo i politici. Fra
loro, ci sono alcuni dittatori, che hanno in sé qualcosa di criminale,
funesto, ma anche di grande. Come Mussolini o Franco, in cui, oltre a tante
orribili idee e altrettanto orribili azioni, c'era una vena di straordinaria
teatralità, un talento istrionico eccezionale. Molti altri leaders,
invece, sono uomini insignificanti, che si sentono forti ma sono debolissimi
burattini manovrati da altri. Mi viene in mente l'attuale presidente americano
Bush. Sembra fortissimo, una sorta di imperatore dei nostri tempi. Invece
è manovrato da quell'apparato militare e industriale che lo ha fatto
eleggere…
La letteratura aiuta a smascherare il potere?
Dovrebbe, ma raramente ciò accade. Perché molti scrittori,
proprio i più importanti e apprezzati, proprio quelli, cioè,
che potrebbero davvero contrastare le ingiustizie e indicare i mali delle
società in cui vivono, non lo fanno. Anzi: si comportano nel loro
campo, dove possono, come dei veri e propri dittatori, che impongono agli
altri, intendo a editori, giornalisti, e a chiunque voglia aver a che fare
col mondo delle lettere, le loro idee e il loro modo di lavorare.
Può dirci il nome di qualcuno che si comporta così?
Chi conosce un po' il mondo letterario, capisce che quasi ogni Paese
ha il suo scrittore egemone: quello di cui si «deve» parlare
sempre, e di cui tutti comunque parlano. Lui è il dittatore. Il
precedente più illustre, nei tempi moderni, si chiama Goethe, vero
leader-dittatore della cultura europea del suo tempo.
Lei si considera un leader della letteratura iberica?
No. Forse solo perché non ne sono capace. Ogni tanto, mi avvicino
a essere un leader in campo letterario, poi sbaglio qualcosa, faccio quello
che si chiama il passo falso, e invece di dominare e di essere amato mi
ritrovo solo, e constato che anche i miei lettori più fedeli non
ne possono più di me.
Lei è poeta, saggista, autore di romanzi di denuncia sociale
e di memorabili, ironicissimi «gialli». Una versatilità
stupefacente...
Non stupefacente, ma naturale. Ci sono tante diverse realtà
della mia mente che ho bisogno di esprimere nella scrittura. Così
va a finire che, a seconda di ciò che voglio tirar fuori, uso generi
e forme diversi. Però credo che un motivo unificatore di tutto il
mio lavoro ci sia.
Cioè?
Cioè la rabbia e la simpatia. Rabbia per le ingiustizie, per
le prevaricazioni, per chi è o vuole apparire forte a danno degli
altri. E simpatia verso tante persone su cui mi piace un po' sorridere,
ma che amo profondamente. Certe figure della provincia spagnola di oggi,
gente carica di un'umanità splendida ma anche di tic, di piccoli
vizi, di divertenti, tragicomiche ossessioni, come quelle, comunissime,
della buona cucina e delle belle donne. Loro sono gli ispiratori veri dei
miei libri: senza queste meravigliose persone non avrei mai scritto nulla,
o quasi.
Sta facendo un po' il ritratto del suo personaggio più famoso,
il detective Pepe Carvalho.
Sì, Pepe è nato proprio dall'osservazione del mondo che
avevo accanto, a Barcellona e in Catalogna. Non è una figura letteraria,
né una versione ironica di certi celebri eroi dei gialli: è
una figura che esiste davvero, lì in Catalogna. Io l'ho solo visto
e un po' trasformato per portarlo sulla pagina.
A proposito di Carvalho: ha letto le storie del commissario Montalbano
di Camilleri? In fondo, pure se con diverse varianti, Montalbano sembra
un Carvalho siciliano...
Ho letto qualche libro di Camilleri e lo apprezzo molto. Ma io non
credo che Montalbano somigli a Carvalho, o almeno: vi somiglia quanto si
somigliano fra loro, senza conoscersi, molti uomini. Pepe Carvalho è
nato dal mondo che mi è capitato di osservare e che con la fantasia
ho adattato ad una realtà romanzesca, allo stesso modo in cui Montalbano
appartiene alla Sicilia che Camilleri ha visto e che ha reinventato con
un talento grandissimo.
Lei annota impietosamente i tic e le nevrosi dei suoi personaggi.
Può dirci, se ci sono, le sue piccole o grandi ossessioni?
Tutte quelle che non compaiono nei miei personaggi.
Può rispondere meno evasivamente?
D'accordo. Lo confesso. Un'ossessione ce l'ho. Ma non fa sorridere.
Quella di non riuscire più a scrivere, cioè di mettermi alla
scrivania e non saper più portare sulla pagina ciò che che
vedo e penso. Del successo, del consenso, dei guadagni, non mi interessa
nulla. Però voglio scrivere. Sempre.
Tommaso Debenedetti