Il Mattino, 18.7.2002
«Io, contro gli scrittori-dittatori»

«Forse, il genere letterario che prediligo è la satira. Quando si osservano con rabbia le ingiustizie del mondo, quando si scorge l'aspetto ridicolo e insieme sinistro del potere, allora si ha voglia di ridere e di indignarsi. E questo è la satira».
Manuel Vàzquez Montalban, il sessantaduenne scrittore spagnolo autore di opere narrative celebri quali Io Franco (autobiografia romanzata del dittatore iberico), Il pianista, e soprattutto di Un delitto per Pepe Carvalho dove inventò una singolare figura di detective catalano fra Maigret e Sherlock Holmes, non rinuncia alla sua vena polemica, al suo piglio sferzante che non risparmia nessuno: gli uomini politici ma anche molti suoi colleghi letterati.
Dunque, Montalban, lei detesta il potere…
Non il potere in sé stesso, ma un certo modo, sciocco e ottuso, in cui esso viene esercitato da molti leaders. Prendiamo i politici. Fra loro, ci sono alcuni dittatori, che hanno in sé qualcosa di criminale, funesto, ma anche di grande. Come Mussolini o Franco, in cui, oltre a tante orribili idee e altrettanto orribili azioni, c'era una vena di straordinaria teatralità, un talento istrionico eccezionale. Molti altri leaders, invece, sono uomini insignificanti, che si sentono forti ma sono debolissimi burattini manovrati da altri. Mi viene in mente l'attuale presidente americano Bush. Sembra fortissimo, una sorta di imperatore dei nostri tempi. Invece è manovrato da quell'apparato militare e industriale che lo ha fatto eleggere…
La letteratura aiuta a smascherare il potere?
Dovrebbe, ma raramente ciò accade. Perché molti scrittori, proprio i più importanti e apprezzati, proprio quelli, cioè, che potrebbero davvero contrastare le ingiustizie e indicare i mali delle società in cui vivono, non lo fanno. Anzi: si comportano nel loro campo, dove possono, come dei veri e propri dittatori, che impongono agli altri, intendo a editori, giornalisti, e a chiunque voglia aver a che fare col mondo delle lettere, le loro idee e il loro modo di lavorare.
Può dirci il nome di qualcuno che si comporta così?
Chi conosce un po' il mondo letterario, capisce che quasi ogni Paese ha il suo scrittore egemone: quello di cui si «deve» parlare sempre, e di cui tutti comunque parlano. Lui è il dittatore. Il precedente più illustre, nei tempi moderni, si chiama Goethe, vero leader-dittatore della cultura europea del suo tempo.
Lei si considera un leader della letteratura iberica?
No. Forse solo perché non ne sono capace. Ogni tanto, mi avvicino a essere un leader in campo letterario, poi sbaglio qualcosa, faccio quello che si chiama il passo falso, e invece di dominare e di essere amato mi ritrovo solo, e constato che anche i miei lettori più fedeli non ne possono più di me.
Lei è poeta, saggista, autore di romanzi di denuncia sociale e di memorabili, ironicissimi «gialli». Una versatilità stupefacente...
Non stupefacente, ma naturale. Ci sono tante diverse realtà della mia mente che ho bisogno di esprimere nella scrittura. Così va a finire che, a seconda di ciò che voglio tirar fuori, uso generi e forme diversi. Però credo che un motivo unificatore di tutto il mio lavoro ci sia.
Cioè?
Cioè la rabbia e la simpatia. Rabbia per le ingiustizie, per le prevaricazioni, per chi è o vuole apparire forte a danno degli altri. E simpatia verso tante persone su cui mi piace un po' sorridere, ma che amo profondamente. Certe figure della provincia spagnola di oggi, gente carica di un'umanità splendida ma anche di tic, di piccoli vizi, di divertenti, tragicomiche ossessioni, come quelle, comunissime, della buona cucina e delle belle donne. Loro sono gli ispiratori veri dei miei libri: senza queste meravigliose persone non avrei mai scritto nulla, o quasi.
Sta facendo un po' il ritratto del suo personaggio più famoso, il detective Pepe Carvalho.
Sì, Pepe è nato proprio dall'osservazione del mondo che avevo accanto, a Barcellona e in Catalogna. Non è una figura letteraria, né una versione ironica di certi celebri eroi dei gialli: è una figura che esiste davvero, lì in Catalogna. Io l'ho solo visto e un po' trasformato per portarlo sulla pagina.
A proposito di Carvalho: ha letto le storie del commissario Montalbano di Camilleri? In fondo, pure se con diverse varianti, Montalbano sembra un Carvalho siciliano...
Ho letto qualche libro di Camilleri e lo apprezzo molto. Ma io non credo che Montalbano somigli a Carvalho, o almeno: vi somiglia quanto si somigliano fra loro, senza conoscersi, molti uomini. Pepe Carvalho è nato dal mondo che mi è capitato di osservare e che con la fantasia ho adattato ad una realtà romanzesca, allo stesso modo in cui Montalbano appartiene alla Sicilia che Camilleri ha visto e che ha reinventato con un talento grandissimo.
Lei annota impietosamente i tic e le nevrosi dei suoi personaggi. Può dirci, se ci sono, le sue piccole o grandi ossessioni?
Tutte quelle che non compaiono nei miei personaggi.
Può rispondere meno evasivamente?
D'accordo. Lo confesso. Un'ossessione ce l'ho. Ma non fa sorridere. Quella di non riuscire più a scrivere, cioè di mettermi alla scrivania e non saper più portare sulla pagina ciò che che vedo e penso. Del successo, del consenso, dei guadagni, non mi interessa nulla. Però voglio scrivere. Sempre.
Tommaso Debenedetti