Messaggero Veneto, 23.9.2002
Tra i segreti di Camilleri
Letteratura e società nell’analisi di un siciliano

La voce è sempre bassa e quasi carezzevole, ma il tono è deciso, senza incertezze. Andrea Camilleri, personaggio di punta di questo pordenonelegge.it, ha sempre risposte pronte, che lungi dall’apparire improvvisate, sembrano invece essere già da tempo meditate e metabolizzate.
– Marco Lodoli sostiene che il segreto del successo letterario sta nell’uso di una lingua semplice. Ma la sua, anche per le frequenti contaminazioni dialettali, non è una lingua facile. Eppure il successo è enorme...
«Evidentemente – sorride – la tesi di Lodoli è errata. Il successo può arridere a scrittori difficili e ad altri assolutamente lineari. Cercera una formula sicura per un buon rapporto con il lettore è come la ricerca alchimistica della pietra filosofale. Una volta negli Usa avevano tentato di creare, con l’aiuto del computer, un libro “perfetto” con le giuste percentuali di violenza, avventura, sesso: fu un tonfo mostruoso. La realtà è che l’editoria assomiglia al gioco del lotto. Per quanto mi riguarda, per esempio, io per primo sono sbalordito di quello che è accaduto».
– Ma nel suo caso cos’è stato determinante?
«Credo abbia influito tantissimo il basso costo dei miei libri. La Sellerio li vendeva a 15 mila lire quando gli altri editori vendevano i romanzi a un prezzo almeno doppio. E i libri Sellerio sono ben confezionati, tanto da poter essere regalati senza temere di far brutte figure».
– L’esperienza di sceneggiatore televisivo ha influito sulla sua scrittura?
«Tantissimo. Infatti non scrivo per capitoli, ma per sequenze. In ogni stacco è come se spostassi la macchina da presa».
– Anche i dialoghi hanno un grande ritmo...
«Mi capita spesso di scrivere un dialogo e poi di definire i personaggi a seconda di come hanno parlato».
– Con lei continua la grande tradizione della letteratura siciliana...
«Il filone letterario siciliano – anche se è riduttivo chiamarlo così – è nato dopo l’unità d’Italia, con Verga e Capuana e probabilmente non si tratta di una coincidenza, ma di una più o meno cosciente difesa di una cultura, non soltanto letteraria, che rischiava di essere smorzata e omologata. Non ho prove certe al riguardo, ma credo sia proprio così».
– Da allora i nomi di grandi scrittori sono stati tantissimi...
«In questo influisce sicuramente il prismatico carattere dei siciliani che, dopo 13 invasioni, possono vantare una “bastardaggine” che solo pochi altri hanno. E tutti sanno che i bastardini sono più ricettivi, più pronti, dei cani con tanto di pedigree».
– Non può bastare...
«No, infatti. c’è anche il fatto di essere un po’ di confine, la coscienza di vivere su un’isola».
– Negli scrittori siciliani troviamo personaggi nettamente scolpiti e distinti tra buoni e cattivi. Sembra quasi che vi sia un’influenza del vostro fortissimo sole che separa nettamente le ombre dalla luce, senza troppe zone grigie...
«L’immagine mi sembra appropriata. Da noi quasi sempre il grigio è assente. Pirandello era in parte diverso, ma in genere noi abbiamo grande considerazione per la ricerca del carattere del personaggio: è una lezione che Verga ha appreso dal Manzoni e poi ha trasmesso a tutti».
– C’è sempre anche un forte impegno sociale...
«Anche in quelli che sembrano esserne distanti».
– Lei, parlando di cambiamenti della Sicilia ha rifiutato i termini “mostruoso” e “rapidissimo”...
«In quell’occasione altri scrittori del Nord parlavano di resistenza e industrializzazione; io ho detto che queste parole nel nostro vocabolario sono quasi ignote, anche se sappiamo benissimo che sarebbe un errore pensare che, se non sono arrivate, non sono neanche esistite».
– E il cambiamento?
«Il cambiamento è lento ed entra nel Dna dei siciliani. La famiglia, per esempio è cambiata nel suo tipo di chiusura. Ma anche è calato il senso dell’omertà: una volta se accadeva qualcosa, si chiudeva la finestra, Oggi, quando accade qualche crimine, i centralini della questura sono intasati dalle chiamate».
– Lei è persona impegnata anche politicamente...
«Dal punto di vista politico in Sicilia abbiamo perso 61-0 che mi ha fortemente colpito come siciliano. Poi, però sono andato ad analizzare i risultati e ho capito che in Sicilia si sono risvegliate la nuova e la vecchia guardia della Dc. A vincere, infatti, sono stati gli ex democristiani, mentre Forza Italia e Alleanza nazionale nella graduatoria dei voti sono venuti dopo».
– I motivi?
«La Dc per la Sicilia, come anche da queste parti – lì la mafia, qui la parrocchia – ha rappresentato per anni la sicurezza, anche del posto di lavoro. È difficile dimenticarsene. Ma le analisi sono sempre parziali».
– Cioè?
«Cioè le cose sono più complesse di quanto si creda. A Porto Empedocle, il mio paese, tre o quattrocento voti possono rovesciare il risultato. Ebbene, ci sono persone assolutamente non mafiose che possono controllare una simile qualtità di voti perché il loro clan familiare ubbidisce a scelte che possono dipendere anche da piccoli accadimenti».
– Anche in questo campo ci sono stati dei mutamenti?
«Importante è stata l’elezione diretta del sindaco che ha fatto acquistare quel senso della municipalità che una volta non c’era».
– Però spesso i buoni amministratori poi non sono premiati dalla conferma...
«È vero. I casi di Bianco e di Orlando a Catania e a Palermo sono emblematici. D’altro canto è evidente che una buona amministrazione comporta sacrifici, rigore e trasparenza e che questi tre fattori creano molte antipatie. Ecco: potremmo dire che se è vero che sempre più spesso non si vota a favore, ma contro, in Sicilia questa verità è ancora più evidente».
Gianpaolo Carbonetto