Il Nuovo, 15.10.2002
Camilleri: Montalbano non morirà
A colloquio con lo scrittore siciliano, a Milano per ricevere la laurea honoris causa in lingue straniere allo Iulm.

MILANO - “Che fine farà Montalbano, morirà, sposerà finalmente la povera Livia?”. La domanda è inevitabile. Ma Andrea Camilleri, allo Iulm di Milano per ricevere una laurea honoris causa in lingue, non vuol rispondere. “La domanda è piuttosto un’altra, dal momento che il ‘papà’ di Montalbano, cioè io, ha settantasette anni suonati, bisognerebbe chiedersi chi finisce prima, Montalbano o il suo creatore?”.
Camilleri è erede di una tradizione del giallo colto tutta italiana, che ha il suo maggior rappresentante nel Carlo Emilio Gadda del Pasticciaccio . Ma, a differenza di Gadda, Camilleri rifiuta categoricamente di ambientare i suoi romanzi in luoghi che non siano la ‘sua’ Sicilia. “Mi sarebbe difficile ambientare un giallo a Milano, dove pure ho vissuto a lungo quando lavoravo alla Rai come sceneggiatore e regista. Perché non conosco fino in fondo l’anima della città, i comportamenti dei suoi abitanti fin nelle più piccole cose quotidiane”.
Non ha paura di sentirsi bollare come ‘tradizionale’, Camilleri. “Oggi sarebbe facilissimo scrivere di posti che non si conoscono. Ci sono guide che ti spiegano tutto, anche dove sta il tabaccaio più vicino. Ma sarebbe senz’anima, un libro scritto così. Io scrivo di Vigata, di Girgenti, i nomi sono immaginari ma i posti sono veri, e il lettore sente l’odore della Sicilia nelle mie pagine”. E’ curioso, gli chiediamo, che romanzi ambientati nell’estrema propaggine meridionale d’Europa abbiano avuto un tale successo anche fuori dal nostro paese: “Sì, in Svezia mi pare ci sia un vero e proprio boom dei miei libri”, confessa lo scrittore, che di cifre e copie vendute non si intende per nulla. “Forse – continua – è perché i miei romanzi sono molto chiari, facili da leggere. Specie nella serie del commissario Montalbano, i termini dialettali si limitano a poche battute, facilmente comprensibili”.
Non sa nemmeno lui fino a dove arrivi il suo successo letterario. Ma sa che non è piccolo. “Ormai li colleziono come le figurine Panini, i paesi dove vengo tradotto. Mi mancano giusto Russia, Cina e qualche altro per completare la raccolta”. “Con i miei traduttori stranieri ho un rapporto stretto, simboleggiato dallo squillo del fax. Spesso mi arrivano messaggi in cui i traduttori mi pongono domande su passaggi dei miei libri che hanno difficoltà a rendere nella loro lingua, e io chiarisco i loro dubbi”.
Lo Iulm di Milano ha deciso di dare a proprio a Camilleri la laurea in lingue straniere anche per il suo lavoro di rinnovatore della lingua italiana, un’operazione che parte dall’interno, dalla commistione di dialetto e lingua nazionale che caratterizza la sua scrittura. Il che lo classifica inevitabilmente come un ‘tradizionalista’. “Oggi molti scrittori vanno a rifornirsi di novità linguistiche da altri mondi, come quello della tecnologia. Ma questi mondi presentano insidie non indifferenti”. Come quella della dipendenza della scrittura dal mondo della tecnica, e, di conseguenza, da quello degli affari. Un circolo vizioso che Camilleri preferisce evitare, raccontando ‘solo ciò che sa’, la Sicilia di ieri e di oggi, già vista, forse, ma vera.
Alex Dall'Asta