MILANO - “Che fine farà Montalbano, morirà, sposerà
finalmente la povera Livia?”. La domanda è inevitabile. Ma Andrea
Camilleri, allo Iulm di Milano per ricevere una laurea honoris causa in
lingue, non vuol rispondere. “La domanda è piuttosto un’altra, dal
momento che il ‘papà’ di Montalbano, cioè io, ha settantasette
anni suonati, bisognerebbe chiedersi chi finisce prima, Montalbano o il
suo creatore?”.
Camilleri è erede di una tradizione del giallo colto tutta italiana,
che ha il suo maggior rappresentante nel Carlo Emilio Gadda del Pasticciaccio
. Ma, a differenza di Gadda, Camilleri rifiuta categoricamente di ambientare
i suoi romanzi in luoghi che non siano la ‘sua’ Sicilia. “Mi sarebbe difficile
ambientare un giallo a Milano, dove pure ho vissuto a lungo quando lavoravo
alla Rai come sceneggiatore e regista. Perché non conosco fino in
fondo l’anima della città, i comportamenti dei suoi abitanti fin
nelle più piccole cose quotidiane”.
Non ha paura di sentirsi bollare come ‘tradizionale’, Camilleri. “Oggi
sarebbe facilissimo scrivere di posti che non si conoscono. Ci sono guide
che ti spiegano tutto, anche dove sta il tabaccaio più vicino. Ma
sarebbe senz’anima, un libro scritto così. Io scrivo di Vigata,
di Girgenti, i nomi sono immaginari ma i posti sono veri, e il lettore
sente l’odore della Sicilia nelle mie pagine”. E’ curioso, gli chiediamo,
che romanzi ambientati nell’estrema propaggine meridionale d’Europa abbiano
avuto un tale successo anche fuori dal nostro paese: “Sì, in Svezia
mi pare ci sia un vero e proprio boom dei miei libri”, confessa lo scrittore,
che di cifre e copie vendute non si intende per nulla. “Forse – continua
– è perché i miei romanzi sono molto chiari, facili da leggere.
Specie nella serie del commissario Montalbano, i termini dialettali si
limitano a poche battute, facilmente comprensibili”.
Non sa nemmeno lui fino a dove arrivi il suo successo letterario. Ma
sa che non è piccolo. “Ormai li colleziono come le figurine Panini,
i paesi dove vengo tradotto. Mi mancano giusto Russia, Cina e qualche altro
per completare la raccolta”. “Con i miei traduttori stranieri ho un rapporto
stretto, simboleggiato dallo squillo del fax. Spesso mi arrivano messaggi
in cui i traduttori mi pongono domande su passaggi dei miei libri che hanno
difficoltà a rendere nella loro lingua, e io chiarisco i loro dubbi”.
Lo Iulm di Milano ha deciso di dare a proprio a Camilleri la laurea
in lingue straniere anche per il suo lavoro di rinnovatore della lingua
italiana, un’operazione che parte dall’interno, dalla commistione di dialetto
e lingua nazionale che caratterizza la sua scrittura. Il che lo classifica
inevitabilmente come un ‘tradizionalista’. “Oggi molti scrittori vanno
a rifornirsi di novità linguistiche da altri mondi, come quello
della tecnologia. Ma questi mondi presentano insidie non indifferenti”.
Come quella della dipendenza della scrittura dal mondo della tecnica, e,
di conseguenza, da quello degli affari. Un circolo vizioso che Camilleri
preferisce evitare, raccontando ‘solo ciò che sa’, la Sicilia di
ieri e di oggi, già vista, forse, ma vera.
Alex Dall'Asta