Alice, 17.5.2002
Il libro della settimana
Andrea Camilleri - La paura di Montalbano

Come si misura la notorietà di uno scrittore? Se una persona, seduta casualmente accanto a te su di un mezzo pubblico, sbirciando la pagina di un libro che stai leggendo, non solo riconosce immediatamente l'autore, ma anche che le poche frasi lette appartengono a un'opera nuova, allora di certo quello scrittore è famoso. È quello che è capitato a chi scrive nei giorni scorsi ed è stato un chiaro segnale che Camilleri rappresenta uno dei rari esempi di popolarità unita a qualità, di autore che potremmo definire, con dizione ormai desueta, "nazionalpopolare" pur essendo profondamente radicato, per tematiche e linguaggio, nella propria regione. Se le aspettative dei lettori sono alte e, non appena terminata la lettura di un suo libro, si pongono immediatamente in attesa di un successivo, questa ultima raccolta di racconti non li deluderà di certo. Piuttosto li entusiasmerà per quella prodigiosa vena di narratore che Camilleri continua ad avere, per la maggiore chiarezza del linguaggio rispetto all'ultima prova, per un'evoluzione del protagonista che, pur nella sua peculiarità, rivela aspetti nuovi della sua personalità, infine per una più evidente vena civile che senza cadere nel didascalico o nel predicatorio, induce alla riflessione.
Montalbano ha ormai, per molti lettori, il viso di Zingaretti, ma la cosa non disturba affatto, anzi rende ancora più vivo un personaggio che già dalla pagina scritta, emerge con forza teatrale e che, in quest'ultimo libro, mostra in modo aperto i limiti di carattere (l'irritabilità e l'abitudine di scaricare su chi lo circonda il nervosismo), ma anche l'umanità profonda, lo spirito di solidarietà per le vittime o per chi (come il maresciallo Verruso) confida nella riservatezza e nella collaborazione generosa di un "quasi" avversario.
Fa parte del personaggio anche il farsi turbare da qualche presenza femminile, ma non è solo la bellezza di una donna che fa vibrare il commissario, è la sua pulizia interiore, il coraggio, la dignità e, in questo, esce da ogni stereotipo, anche perché c'è sempre una specie di pudore nel riconoscere l'effetto che una donna provoca in lui e qualche senso di colpa nei confronti della lontana fidanzata Livia, così ben accennato dallo scrittore nella telefonata dolcissima che fa fare a Montalbano, toccato dal fascino discreto di Caterina.
La conoscenza che Camilleri ha del suo personaggio gli consente quella naturalezza amicale nel trattarlo che è possibile ritrovare solo in Simenon, così come allo scrittore belga fa pensare l'antieroismo, il rifiuto per la retorica e la capacità di fondere il quotidiano malessere con l'azione straordinaria.
Le indagini, pur non togliendo nulla alla tensione narrativa e alla giusta suspence, rivelano aspetti sociologici e devianza diffusa, penetrazione della mafia nella realtà politica ed economica siciliana e invitano, implicitamente, i lettori a non dimenticare mai la pericolosità e la tentacolare arroganza di questa piaga italiana. Non manca però la pietà: pietà per la povertà, per l'ignoranza, per la fragilità umana, per i pensieri delittuosi che anche le persone per bene, talvolta, possono avere, pietà per le vittime di un sistema ingiusto che emargina i diversi o, peggio ancora, li usa come strumenti inconsapevoli. Così anche Catarella, l'ingenuo e devoto poliziotto, in alcuni racconti, è meno macchietta ed è più uomo: forse esprime un'umanità meno intelligente e colta, ma la sua affidabilità e la sua generosità mostrano come queste doti, oggi troppo rare, siano da rivalutare e come Camilleri, dall'alto della sua esperienza umana oltre che intellettuale, inizi a provare insofferenza per una cultura fine a se stessa e per un mondo che premia solo i più furbi.
Grazia Casagrande