La Stampa, 12.11.2002
Memorie di palcoscenico e vita dietro le quinte: l'autore di Montalbano racconta la sua irresistibile passione
Camilleri a teatro con l´ombrello
[il giornale pubblica anche, in anteprima, un intero capitolo del libro, su Genet e Visconti, NdCFC]

Cosa sia l'ombrello di Noè, Andra Camilleri lo ha spiegato in un altro suo libro recente, il Piccolo dizionario dei termini teatrali, dove si riferisce una definizione del teatro data da Silvio d'Amico mediante un apologo. Nell'imminenza del Diluvio Universale, Noè fa entrare nell'Arca le varie coppie di animali. Poi comincia a piovere, e non smette più. Piove disperatamente per giorni e giorni, le acque si gonfiano. Ogni tanto Noè sale in coperta alla ricerca di qualche sintomo di clemenza da parte del cielo. Per non bagnarsi, si è fatto un ombrello rudimentale, che apre ogni volta. Naturalmente si bagna lo stesso, ma l'ombrello gli dà qualche illusione di ripararsi. E intanto, piove come Dio la manda. «Ecco, questo è il Teatro: l'ombrello di Noè». E questo è il titolo che Roberto Scarpa ha scelto per la sua accattivante raccolta non tanto di scritti quanto di conversazioni sul teatro, di e con Andrea Camilleri (da domani in libreria, ed. Rizzoli, pp. 330, e17): interventi a vari seminari in terra di Toscana, negli ultimi anni novanta, più due lunghe e succose interviste. Molti lettori affezionati di Camilleri potranno pensare al teatro come a uno hobby di quest'uomo da sempre curioso di tutto, ma sarebbe probabilmente più corretto considerare l'attività di Camilleri narratore come lo hobby di un uomo di teatro, che oltre a produrre svariati allestimenti di prosa per la Tv (tra cui molti di Eduardo), tra il 1952 e il 1994 ha firmato molto più di cento regie in sala, molto più di venti regie televisive, ecc., più circa milletrecento regie radiofoniche: attività di cui l'appendice al volume contiene una impressionante documentazione. Come racconta in una delle interviste, Camilleri entrò all'Accademia d'Arte Drammatica dietro incoraggiamento dello stesso Silvio d'Amico, che nel 1948 aveva premiato a un concorso un atto unico inviato dal giovane di Porto Empedocle. Fu ammesso ai corsi di regia malgrado l'iniziale rifiuto di portare davanti alla commissione l'obbligatorio saggio di recitazione: allora riteneva che il regista non dovesse recitare. Lo costrinsero a improvvisarne uno, operazione in cui lo aiutò un dotato ex alunno presente alla prova, che si chiamava Vittorio Gassman. Non completò i corsi perché a un certo punto fu espulso in seguito a un episodio boccaccesco. Camilleri non lo racconta nel dettaglio, ma sceneggia spiritosamente la scena che seguì, con d'Amico che comunicandogli la radiazione gli dice: «Lei è un mascalzone come tutti i siciliani!». «Perché, Presidente, ne ha conosciuti molti?». «Solo Pirandello, ma mi è bastato!». Per farlo sopravvivere, l'amico Chicco Pavolini alias Francesco Savio gli offrì allora un impiego nella redazione dell'Enciclopedia dello Spettacolo. «Ma il direttore è d'Amico! Se se ne accorge mi caccia via un altra volta!». «Non ti preoccupare, d'Amico è distrattissimo». Così un giorno il futuro creatore di Montalbano fu affrontato un'altra volta dal Presidente. «Camilleri, lei è un villano. Ci incontriamo tutti i giorni e non mi saluta mai!». I dieci anni di lavoro di Camilleri all'Enciclopedia furono comunque preziosissimi in quanto gli diedero le basi della sua sterminata cultura in fatto di spettacolo. E gli insegnarono qualcosa anche in fatto di scrittura. «La capacità che mi ha dato il lungo lavoro all'Enciclopedia di condensare in tre righe quello che dovevo dire mi è stata preziosa. Pensa alle formule. Quando non sapevo assolutamente cosa dire di qualcuno, magari perché non c'era niente da dire, per esempio su un autore contemporaneo, scrivevo: "Sottile interprete delle inquietudini contemporanee", e funzionava sempre.» Per tornare al volume odierno. La sezione più ampia riguarda, si vorrebbe dire ovviamente, Pirandello, quattro lunghi interventi, il nocciolo dei quali verte sui Giganti della montagna e sulle varie interpretazioni possibili di questo affascinante mistero incompiuto; Camilleri, che ha affrontato il testo anche da regista, mette un accento particolare su due elementi, l'immagine dell'olivo saraceno che come Pirandello quasi in punto di morte disse al figlio doveva compendiare l'essenza del dramma (un'immagine di vita ostinata malgrado tutto, di indistruttibilità dell'arte); e l'importanza del fatto che la troupe dei comici si ostini a voler recitare proprio La favola del figlio cambiato, nella quale Camilleri trova un elemento che unisce la biografia di Pirandello alla sua - entrambi da bambini si sentirono accusare scherzosamente ma inquietantemente, come tanti altri piccoli siciliani discoli, di non essere i veri figli dei loro genitori, ma di essere stati scambiati in culla con qualche diavoletto. Un'altra ampia sezione riguarda Beckett, altro rinnovatore del linguaggio teatrale, di cui Camilleri fu quasi il primo portavoce in Italia, e alla cui opera dedica un'attenzione acutissima, in particolare analizzando l'importanza del personaggio dantesco dell'accidioso Belacqua, al quale Beckett si affezionò sin dall'inizio della sua carriera e che in un certo senso non abbandonò mai. Per altri due autori Camilleri rivela un affetto sviscerato, Genet, che conobbe ma che non riuscì mai a mettere in scena, e Adamov, di cui fu grandissimo amico e al quale dedica un ritratto commovente. Poi c'è un saggio sulla Tempesta di Shakespeare, in cui un po' ingiustamente Camilleri se la prende con certi giudizi italiani ormai molto superati; e ci sono ricordi vivaci, non necessariamente sempre agiografici, di antichi maestri, tra cui il ricordato d'Amico, Orazio Costa, e il leggendario Pietro Sharof. Le molte reminiscenze, gli sparsi giudizi originali e brillanti, sono sempre innestati su di una passione che si può sintetizzare in un aneddoto di cui è protagonista un altro d'Amico, Sandro, collega di Camilleri alla Rai. Un alto funzionario vuole eliminare la prosa dal terzo programma radiofonico; Camilleri gli chiede il perché. Quello risponde, perché, a conti fatti, il teatro è sempre la stessa cosa. «A questo punto io avrei baciato Sandro il quale, anche se era la prima volta che partecipava a una riunione di questo tipo, disse: "Mi consente? Anche fare l'amore è sempre la stessa cosa, eppure dura dall'inizio dei tempi"».
Masolino d´Amico