La7, 15.7.2002
      L’uomo che doveva morire. Borsellino 10 anni dopo
      Nel decimo anniversario della strage di Via D'Amelio, un reportage curato da Carmine Fotia.
      Tra le testimonianze sul giudice quella della moglie, Agnese Borsellino, dello scrittore Andrea Camilleri, di Luca
      Tescaroli, Pubblico Ministero che ha seguito i processi per le stragi di Capaci e di Via D'Amelio, e di Emilia Catalano
      madre di uno degli agenti della scorta.

      [Sono stati estrapolati gli interventi di Andrea Camilleri, NdCFC]

      Andrea Camilleri: È triste dirlo, ma dell’omicidio di Borsellino, se mai c’è stata la cronaca di una morte annunciata era
      quella… era quella. E ho avuto un senso di scoramento, quello stesso che credo dovette provare, e con ben altri e
      fondati motivi Caponnetto, per esempio, quando disse: “È finito tutto”.
      L’ho provato un’altra volta, l’ho provato l’11 settembre, stesso tipo di smarrimento, cupo… bè, anche in Sicilia
      avevano abbattuto due Torri, eh?, non solo a New York…
      […]
      Carmine Fotia: C’è qualcuno che dice che l’importanza di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nella lotta alla mafia sta
      anche nel fatto che loro sono profondamente Siciliani, profondamente Palermitani. Lei, che della Sicilia cerca di
      penetrare anche i meccanismi psicologici più profondi, pensa che questo abbia davvero importanza nel rapporto tra un
      giudice e un mafioso? Nel fatto che questi giudici capiscono la mafia più di altri?
      Andrea Camilleri: Credo di sì. Credo che, almeno a livello di Falcone e Borsellino, diciamo ai tempi loro, sia stato
      molto importante la conoscenza dei codici di comportamento della mafia, che hanno tali risvolti, tali sottilissimi… che
      posso dire?… fili, proprio come fili da ragnatela, con altre connessioni che solo dei Siciliani possono intuire, più per
      DNA che per lavoro della ragione o di altro. Poi, dopo di loro, le cose sono mutate, infatti Caselli ha potuto svolgere un
      ottimo lavoro, e certamente Caselli non è un Siciliano. Ma la grossa spinta, il caterpillar che ha dato questa enorme botta
      alla mafia sono stati loro due, loro due col loro anche essere Siciliani e quindi con la possibilità di capire meglio le cose
      che erano dette ma soprattutto, forse, le cose che non erano dette.
      Carmine Fotia: Anche l’uso del dialetto, di cui lei è maestro…
      Andrea Camilleri: Sì, e infatti chi lavorava con loro raccontava che in realtà loro… il loro approccio con questa gente
      era in termini di dialetto e il dialetto ha delle sfumature - o l’uso di una parola piuttosto che un’altra nel dialetto - e una
      sfumatura nel dialetto ha parecchi significati. Ecco, quindi era - come posso dire - anche questo un mezzo di
      conoscenza: l’uso del dialetto.
      […]
      Carmine Fotia: C’è un grande scrittore siciliano che ha fatto conoscere e amare la Sicilia a tanti italiani, si chiama
      Andrea Camilleri e con lui proseguiamo adesso questo nostro viaggio nel ricordo di Paolo Borsellino dieci anni dopo.
      Andrea Camilleri: La mafia in sostanza, è una sorta di… nasce come sorta di difesa dove lo Stato, per esempio, non
      c’era. Io mi ricordo - sono ricordi  miei di bambino - per esempio, che a casa mia della mafia non se ne parlava, perché
      non era… .era come parlare del mal di pancia a un pranzo di gala, non si parla di questa materia. Però era altrettanto
      vero, e l’ho detto con totale sincerità, che mio nonno, per garantirsi il suo lavoro in miniera o altre cose, pagava un pizzo,
      cioè a dire era protetto dalla mafia perché i carabinieri o la pubblica sicurezza non erano in grado di proteggerlo. Quindi
      si fingeva di negare la mafia, la sua esistenza, e nello stesso tempo la si alimentava, nello stesso tempo in cui si diceva:
      vabbè, non ci sono… fatti loro. Ci abbiamo messo parecchie decine di anni per capire che erano fatti nostri, che non
      erano solo fatti loro quando si sparavano per le strade.
      Carmine Fotia: Senta, c’è ancora oggi questa omertà, come vogliamo chiamarla… dicono che a Palermo, in tante
      zone, il pizzo lo pagano pressocchè tutti.
      Andrea Camilleri: Senta, io credo una cosa: che l’omertà è come i banchi di nebbia. Non sempre c’è nebbia in Val
      Padana, certe volte c’è la nebbia e certe volte la nebbia non c’è. Però si usa dire “la nebbia della Val Padana”. In Sicilia
      c’è l’omertà, ma certe volte non c’è. Le volte che non c’è è quando lo stato è presente, quando il cittadino non si sente
      lasciato solo, quando il cittadino sa di poter dire alcune cose avendo una protezione da parte dello stato. Dopo anni nei
      quali - c’è Pirandello che lo racconta, quindi si immagina - ammazzano uno sotto le finestre di casa sua e la cameriera
      chiude gli scuri, le persiane, per dire noi non vogliamo averci a che fare, cancelliamo il fatto chiudendo gli scuri. E
      quando vent’anni fa hanno ammazzato un povero maresciallo dei carabinieri all’ingresso del mio paese, Porto
      Empedocle, gli prepararono un agguato, c’era una palazzo, era estate e tutta la gente era affacciata alla finestra,
      pigliavano fresco, e capirono da due macchine, da come si stavano posizionando, che stavano preparando un agguato. I
      centralini dei carabinieri e della pubblica sicurezza si intasarono di telefonate. Arrivarono tardi, perché l’omicidio venne
      compiuto lo stesso. Bè, anni prima non ci sarebbero state, queste telefonate.
      Carmine Fotia: E oggi i segnali che vengono, sono segnali che inducono al primo atteggiamento o al secondo?
      Andrea Camilleri : No, inducono a un atteggiamento… i segnali di oggi credo che siano negativi e inducono un
      atteggiamento di ritorno all’indietro, cioè a dire vabbè, allora io non voglio entrarci. Credo che ci sia una rinascita vera
      della mafia in Sicilia, solo torno a ripetere non è così visibile e appunto perché non è così visibile è più pericolosa, è più
      sotterranea e penetra di più.
      Carmine Fotia: Il suo amico Montalbano che cosa le dice di questa realtà di oggi?
      Andrea Camilleri: Il mio amico Montalbano mi ha fornito recentemente il soggetto per un racconto, quasi a sfida,
      dicendomi, praticamente, se ero così bravo a trarre un racconto dagli elementi che lui mi porgeva, mi dava in base alle
      nuove leggi che si stanno facendo, per esempio sui grandi appalti in Sicilia, sulla suddivisione e l’allargamento del
      subappalto che è una meravigliosa torta, un campo di pascolo della mafia meraviglioso. E questa traccia di raccontino fa
      sì che la situazione venga completamente capovolta, che se Montalbano continua le sue indagini si trova ad essere fuori
      legge, mentre i mafiosi stanno agendo nella legalità con le nuove leggi.
      […]
      Andrea Camilleri: Questa storia della Rita Atria è un simbolo, il simbolo della fiducia che un siciliano, una siciliana, può
      riporre assolutamente nella legge – e in certe situazioni riporre fiducia nella legge significa anche mettere in gioco anche la
      propria vita – e poi la scomparsa della persona – e quindi dello stato – alla quale tu hai dato questa fiducia ti riduce nella
      disperazione. È un grosso simbolo di una realtà che investe molti siciliani di oggi.
      [trascrizione a cura di Paola]