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RASSEGNA STAMPA

APRILE 2003

 


La Crusca per voi, n.26, 4.2003
Quesiti e risposte
Vincenzo Teodoro di Roma rileva l’artificiosità della lingua usata da Camilleri e chiede a che livello di regionalità si possa collocare.

Il successo di Andrea Camilleri, scrittore d’origine siciliana ma da molti anni trasferitosi a Roma, ha suscitato grande interesse tra gli addetti ai lavori (basti pensare che nel marzo 2002 a Palermo si è svolto un importante convegno su "Letteratura e storia: il caso Camilleri"; e chi scrive, con Patrizia Bertini Malgarini, sta lavorando da diverso tempo a un volume sugli aspetti linguistici della scrittura di Camilleri, di cui si anticiperanno alcuni risultati nel prossimo Convegno internazionale su “Identità e diversità nella lingua e nella letteratura italiana”, per il Cinquantenario dell’Associazione Internaz. di Studi di Lingua e Letteratura Italiana, A.I.S.L.L.I., a Lovanio – Louvain-laneuve – Anversa – Bruxelles, 16-19 luglio 2003). Ma molta curiosità Camilleri ha destato anche in un pubblico più vasto, e tra i lettori della “Crusca per voi”: in particolare rispondiamo alla lettera di Vincenzo Teodoro di Roma. Molti sono i quesiti propostici, che qui potremo affrontare necessariamente solo in forma sommaria; e del resto esiste ormai una se pur limitata bibliografia critica alla quale ci si può riferire: infatti da diversi punti di vista e in più riprese gli studiosi si sono interrogati sulle ragioni di una affermazione tanto clamorosa quanto inaspettata e giunta per lui in età piuttosto avanzata.
Di questo successo (e ce lo confermano tutti coloro che se ne sono interessati) la lingua è certo uno dei fattori principali, anche per chi ritiene il “camillerese” una «pura vernicetta virtuosistica» (G. Pacchiano, "Il «Camillerese » è soltanto virtuosismo?", in «Il Sole-24 Ore», 27 gennaio 2002). Si tratta, a nostro parere (e di molti altri), proprio di una scelta linguistica originalissima, variamente definita con le etichette di “misto”, “ibrido”, “meticciato” (e così via) che mescola variamente italiano, dialetto e forme regionali. Questi diversi componenti (potremmo dire ingredienti, in considerazione dei richiami frequentissimi alla gastronomia nelle opere dello scrittore di Porto Empedocle), della “cucina” di Camilleri per di più appaiono al loro interno ulteriormente stratificati e complicati: non solo quindi forme assolutamente locali (dialetto vero e proprio), forme di incontro tra lingua nazionale e usi locali e regionali (dialetto più o meno italianizzato e italiano più o meno regionale), ma pure italiano popolare (soprattutto nella parodica imitazione della lingua dei semicolti), e infine letterarietà più o meno scopertamente esibita (si pensi solo alle non infrequenti clausole ritmico-metriche di cui la prosa camilleriana è non casualmente trapuntata).
Un impasto così complesso, com’è ovvio, pone problemi non piccoli pure agli ormai numerosi traduttori del nostro scrittore, che (come mostra il caso del francese S. Quadruppani) hanno dovuto sperimentare strade in alcuni casi del tutto nuove per rendere con efficacia la prosa di Camilleri in situazioni linguistiche che spesso sono assai lontane e difficilmente comparabili con quella di partenza.
I romanzi di Camilleri se non potranno garantirgli un posto, magari accanto a Dante o a Manzoni, nei manuali di storia della letteratura (vd. A. Camilleri, "La gita a Tindari", Palermo, Sellerio, 2000, p. 261), pur tuttavia rappresentano ormai un preciso punto di riferimento nel panorama letterario di questi ultimi anni, come in primo luogo mostra il recentissimo primo volume a lui dedicato dai “Meridiani” ("Storie di Montalbano", a cura e con un saggio di M. Novelli e un’importante introduzione di N. Borsellino, Milano, Mondadori, 2002), nonché la nomina a Grand’Ufficiale al merito della Repubblica da parte del Presidente Ciampi.
Il problema di una letteratura che si “compromette” con le varietà locali è un problema “di lunga durata” nella nostra tradizione culturale (vd. da ultimo di Patrizia Bertini Malgarini e Ugo Vignuzzi, "Dialetto e letteratura, in Dialetti italiani. Storia, struttura, uso", a cura di M. Cortelazzo, C. Marcato, N. De Blasi, G. P. Clivio, Torino, Utet, 2002, pp. 996-1028, che si chiude appunto con alcune riflessioni sul “caso Camilleri”): e in questo senso ci pare di non dover nutrire troppa preoccupazione nei confronti di una prosa narrativa che attinge alla realtà dialettale ma non è dimentica al contempo della letterarietà della tradizione italiana.
Ugo Vignuzzi
 
 

Stilos, 1.4.2003
Cosa direbbero gli scrittori italiani a Bush e Saddam se li avessero di fronte?

[...]
Andrea Camilleri: Direi una sola cosa a entrambi: ma finitela, che non è il momento.
[...]
 
 

Le Magazine Littéraire, 1.4.2003
Le Roi Zosimo

Comme à son habitude, Andrea Camilleri - qui depuis peu a fait son entrée dans la Pléiade italienne, les Meridiani de Mondadori - alterne enquêtes contemporaines du commissaire Montalbano et romans ayant pour cadre le passé de sa Sicile natale. Avec "Le Roi Zosimo", vaste fresque historique à laquelle il a travaillé plusieurs années, il propose de découvrir l'incroyable et rocambolesque aventure de Michele Zosimo, un paysan qui, au début du XVIIIe siècle, devint pendant quelque temps le roi de la ville d'Agrigente.
Avec cet épisode méconnu de l'histoire sicilienne, Camilleri a voulu rendre hommage à un personnage haut en couleurs, un révolté porté sur la voyance, qui essaya de défendre ses compatriotes des abus du pouvoir. Comme dans tous ses autres romans, l'écrivain sicilien, outre sa parfaite maîtrise des structures narratives et sa propension à l'ironie, montre son habituel attachement à une langue riche et métissée, où se mélangent l'italien et le sicilien. Un mélange que la traductrice a transposé en français en utilisant le parler franco-provençal de la région rhodanienne.
F.G.
 
 

Stilos, 1.4.2003
Intervento di Nino Borsellino al convegno "Scrittori e critici a confronto"

[...]
Quello che alcuni chiamano processo al Risorgimento è in realtà processo al post-Risorgimento o Risorgimento incompiuto. I romanzi storici di Camilleri, fino al Re di Girgenti, hanno a fondamento celebri inchieste sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia, ma accentuano il motivo dell'inconciliabilità fra due formae mentis, quella degli amministratori calati nell'isola dalle regioni centrali e settentrionali della penisola e quella degli amministrati che tentano di far valere interessi legittimi e illegittimi: questi più tutelati dal potere amministrativo spesso complice della malavita. Da qui il registro comico della scrittura camilleriana originato da un corto circuito della comunicazione che si esaspera nella difformità fra scritto e parlato, fra la rigidità cancelleresca del burocratese e la equivocità del dialetto, usato come arma dei rei, per sostituire alla legge comune la legge mafiosa, ma anche dagli innocenti per difendersi dai soprusi del potere.
La mossa del cavallo, del 1999, è il romanzo che più di altri, anche più della Concessione del telefono, intreccia i nodi della comprensibilità e li scioglie scoprendone gli inganni. Vizi pubblici e vizi privati formano un maledetto imbriglio, ma è il privato che garantisce la verità del narrato, mentre la vicenda arriva alla sua soluzione imprevedibilmente, come negli atti dell'esistenza che Camilleri insegue anche nei dettagli con allegra partecipazione.
La storia del passato inserisce le storie di Camilleri in un arco di tempo che va dal 1848, dall'anno della Strage dimenticata, all'età umbertina. Il corso delle cose [che si svolge peraltro intorno alla fine degli anni Sessanta, però del 1900, NdCFC], La stagione della caccia, Il birraio di Preston, Un filo di fumo, oltre ai titoli già ricordati, sono romanzi che vi si possono cronologicamente iscrivere e rispecchiano figure e costumi - come si diceva una volta - esasperatamente ma plausibilmente d'epoca. Quando però gli anni, anzi i secoli, si allontanano, e la misura della megastoria si impicciolisce in microstoria, il condimento dell'invenzione si fa leggendario e convoca fatti reali e irreali, di cronaca e di magia. Il lettore del Re di Girgenti deve attraversare lo specchio della storia per convivere col mondo popolare ricreato a dritto e a rovescio, nella temporalità dei giorni feriali e nella extratemporalità del carnevale.
[...]
In quel romanzo Zosimo, sovrano di un giorno di rivolta, fa proprio il progetto per una pace universale scritto su un albero scorteggiato da Don Chisciotti. Come l'Hidalgo siciliano [probabilmente è un refuso per spagnolo o castigliano NdCFC] anche il re contadino vuole raddrizzare l'albero storto dell'umanità.
[...]
Neppure Camilleri, e per lui il commissario Salvo Montalbano, nasconde la sua ammirazione per un maestro dell'indagine criminale come Sciascia, ma ha rinunciato a seguirne la pista. Eppure - l'ho già scritto - la mafia è un elemento costitutivo del suo immaginario giallo-comico; è una presenza che genera isteria sociale e distrae dal disvelamento di un mistero privato e doloroso per quanto comicamente inscenato. Le storie di Montalbano si svolgono davvero in una casa degli specchi, di specchi ingannevoli che sono essi stessi apparenze illusorie di vita ordinaria elevata dal delitto a testimonianza di un destino eccezionale, come in tutti i grandi racconti polizieschi. I lettori di Camilleri-Montalbano sempre in crescita in Italia e nel mondo lo sanno benissimo, e lo sa bene la larga audience televisiva. I pochissimi che possono aver letto la mia glossa di prefatore a un denso volume dei Meridiani Mondadori sanno anche quel che penso della psicologia di quel poliziotto demiurgo e della sua pietas di giustiziere. Resta solo da insistere su un dato che rischia di incrinare il suo piacere più che dovere, di indagare. Il giro di boa, l'ultimo titolo della serie, si apre con una volontà di rinuncia. Montalbano è mortificato da episodi di slealtà che contrappongono gli organi dello Stato a cui egli appartiene e la società civile. Ma la rinuncia è rinviata, un piccolo profugo destinato allo sfruttamento, anzi al sacrificio infantile, lo rimette in situazione. Il dramma dell'emigrazione clandestina dai Paesi poveri o espropriati di nazionalità è una realtà che entra nello specchio di una storia di oggi, globale non locale, ma che proprio in quanto isola la Sicilia vive giorno dopo giorno lungo tutte le sue coste. Ed è una realtà vincolante. Per essa, come eventualmente per altre, Montalbano sarà costretto, per nostra fortuna, a rimanere un commissario con le dimissioni in tasca.
Nino Borsellino
 
 

Il Messaggero, 1.4.2003
Montalbano: giro di boa tra dubbi e rimorsi

ANCHE il commissario Montalbano cresce, cambia, segue il tempo che scorre, sempre fedele però alle proprie convinzioni più profonde. E un poliziotto della sua tempra, uno sbirro come lui che ha passato la vita dalla parte delle istituzioni, e dunque dalla parte dei cittadini, si sente tradito: di fronte a ciò che è successo a Genova durante il G8, Montalbano «che fa, può far finta di niente?». Sulla coscienza del commissario di Vigàta pesano, pesano come macigni, i pestaggi indiscriminati ai manifestanti, l'irruzione alla scuola Diaz, l'atmosfera "cilena" di quelle giornate genovesi, e alla fidanzata Livia il poliziotto confida: «Mi dimetto. Domani vado dal questore e gli presento le dimissioni». E' la stagione dei dubbi, dei rimorsi, della crisi profonda di un uomo ormai cinquantenne che non sa più bene cosa fare della sua vita, incerto tra la fedeltà ai propri valori e le piccole sicurezze di un'esistenza che comincia ad essere segnata dall'incalzare del tempo. E' il momento, insomma, de Il giro di boa (Sellerio, 269 pagine, 10 euro), come recita opportunamente il titolo del nuovo romanzo firmato da Andrea Camilleri. Lo scrittore siciliano ci consegna stavolta una delle storie più intense del commissario Montalbano. Una storia avvincente e sottile come sempre, che mescola tutti gli elementi che hanno decretato il travolgente successo del Simenon siciliano: l'originale impasto linguistico, l'inconfondibile e umanissimo cast dei personaggi, l'oliata macchina del "giallo" che rende illusorie le frontiere di un mondo ordinato dove bene e male, delinquenza e innocenza sono divisi e riconoscibili. Ma adesso Camilleri fa qualcosa di più: radica come non mai il suo romanzo nel presente e lo imbottisce di dubbi, di nostalgia, di rimpianto. Montalbano è un commissario che non crede più in quello che fa, ma non è capace di fermarsi. E proprio per questo è costretto a fare dolorosamente i conti con la propria coscienza che lo trascina fino a lì, fino al "giro di boa": quel punto in mezzo al mare che segna la rotta del ritorno, che obbliga a voltarsi e guardare indietro. Nonostante tutto la coscienza non farà naufragio. E una nuova indagine riuscirà a salvare il commissario di Vigàta: sulla spiaggia è stato infatti rinvenuto il cadavere di un presunto immigrato clandestino, forse un povero cristo come tanti altri in cerca di fortuna. Sembra un'inchiesta di routine nella quale Montalbano s'infila solo per caso, ma vi resterà impigliato (e con lui, i lettori) fino all'ultima pagina.
 
 

Bergenpuls.no, 1.4.2003
Utsøkt fra Sicilia
Konsis krim fra mafialand

Hva burde vel passe bedre sammen enn Sicilia og krim? Men noen mafiaroman av samme støpning som «Gudfaren» er det ikke snakk om fra Andrea Camilleris hånd. Vi går ikke så langt inn i familiefeidene som hos Puzo. «Slik vann tar form» er derimot en tradisjonell, nesten klassisk handlingsmettet politiroman, noe som rimer godt med at forfatteren, da han var regissør i det italienske Fjernsynsteatret, blant annet hadde hovedansvaret for den berømte Maigret-serien.
Intrigen i «Slik vann tar form» utgår fra Silvio Luparellos dødsfall. Han er en innflytelsesrik entreprenør og fremstående politiker i småbyen Vigàta, nylig valgt til leder for sitt parti. Han blir funnet død i en bil på det beryktede stedet la mànnara, der hvor narkohandelen og prostitusjonen foregår.
Patologen sverger på at Luparello døde naturlig av hjertesvikt. Men den dyktige og klartenkte etterforskeren inspektør Montalbano aner ugler i mosen. Hvorfor var for eksempel Luparellos underbukser på vrangen da han ble funnet?
Montalbano er en likendes kar; høflig, dannet, fokusert - en klassisk skarpsynt og suveren detektiv av Hercule Poirot-tapning. Persongalleriet er stort, en nøkkelperson er den langbente svenske blondinen og femme fatale Ingrid Sjostrom. Begivenhetene følger tett på hverandre, fremdriften i handlingen er så drivende at det krever konsentrasjon av leseren, helt til vi får en oppklaring med stor O.
«Slik vann tar form» er svært konsis og nesten matematisk presist komponert, hvert kapittel er for eksempel på temmelig nøyaktig ti sider.
En serie om Montalbano er blitt en stor suksess på italiensk fjernsyn. Camilleri har bygd opp store leserskarer i flere land. Han bør få mange norske også, dette burde være snadder ikke minst for dem som vet å sette pris på stilsikkert og utsøkt krimhåndverk.
Verktittel: Slik vann tar form
Forfattere: Andrea Camilleri
Fakta: Slik vann tar form. Oversatt av Jon Rognlien ukens nye krim. Gyldendal
Rolf Enger
 
 

Gazzetta del Sud, 1.4.2003
Nuovo volume di Carlo Oliva
Storia sociale del giallo da Caino a Camilleri

Il primo racconto giallo è la storia di Caino nella Bibbia, l'Edipo Re o l'Amleto? Carlo Oliva ricorda il dibattito sulle origini di un genere che però, sottolinea, avrà fortuna solo con la nascita della società industriale e delle moderne metropoli (da Parigi a Londra e New York), tanto che Edgar Allan Poe quando crea il suo Dupin nel 1841, sarà ancora un po' in anticipo sui tempi. Il discorso è quello d'apertura della «Storia sociale del giallo» che Oliva ha scritto e che arriva in questi giorni in libreria (Todaro Ed. pp. 222 – euro 16,90), in cui si ricorda anche che il giallo porta con sé, nelle sue origini, un sentore di zolfo, una lotta tra male e bene che ha inevitabilmente qualcosa di luciferino: «Il fatto che ancora nel 1930 Dashiell Hammet senta il bisogno di precisare che il suo Sam Spade ricorda, “in modo piuttosto attraente, un diavolo biondo”, fa capire che per dissipare quel vago sentore che aleggia ab origine attorno ai nostri eroi ci vorrà ancora qualche tempo». L'assunto di Oliva, che cerca di vedere quanto il giallo rispecchi la società del suo tempo, è che questo tipo di racconto, «essendo un genere di narrativa di largo consumo, popolare dunque, ha bisogno, innanzi tutto, di un pubblico di lettori abbastanza ampio per giustificare la definizione e una editoria in grado di soddisfarne (e stimolarne) le esigenze». E questo senza dimenticare che prima di Napoleone la polizia, come la intendiamo oggi, che indaga e dovrebbe far rispettare a tutti tutte le eleggi, non esisteva, e il primo responsabile di un corpo di investigazioni criminali fu il celebre Vidocq, le cui «memorie» uscirono nel 1828, mentre il primo giallista a riscuotere successo di massa è sempre un francese, Emile Gaboriau, che nel 1865 pubblica «L'affare Lerouge» e inventa un investigatore che guarda caso si chiama Lecoq. Oliva ricorda anche che il giallo, proprio perché «genere nuovo, senza rapporti (dichiarati) con la tradizione dotta e la letteratura accademica, il giallo si era rivelato praticabile sin dall'inizio dalle scrittrici, che dall'accademia, si sa, erano escluse», e cita il successo di Helen Wood a metà ottocento, gli 80 titoli di Mary Elizabeth Braddon, morta nel 1915, ma soprattutto Anna Katharine Green e il suo «Il mistero delle due cugine» del 1878, «libro ascrivibile alla categoria dei mattoni», ma che fu un vero best seller e segna il ritorno del giallo nella sua terra di origine, quella di Poe, gli Stati Uniti, dove avrà il suo vero, grande sviluppo. Ma il ritorno da Parigi all'America passa per Londra e lo studio in rosso di Arthur Conan Doyle col suo Sherlock Holmes, dopo il quale «il giallo non sarebbe stato più lo stesso». Oliva quindi procede affrontando i temi e personaggi più vari, da Fantomas, che riprende nel Novecento tecniche da feuilletton, «quintessenza, incarnazione platonica del criminale, il vero e autentico Genio del Male... nel complesso incarna tutte le pulsioni e le paure di un'epoca che si sta febbrilmente preparando al grande macello della prima guerra mondiale, in cui l'indifferenza per il valore della vita umana sarebbe stata elevata a sistema», alla discussione attorno allo scarso valore di Agatha Christie (cui hanno contributi analisti diversi come Edmund Wilson e Raymond Chandler), che comunque seduce il pubblico e ha finito per rappresentare «un autentico spartiacque», insegnando al lettore che non si deve fidare mai di nessuno, ma ormai nemmeno dell'autrice. E così via, di scrittore in personaggio, attraverso Chandler e il suo legame con la vita vera e «quel che va davvero accadendo nel mondo», l'hard boiled degli anni '30 e poi il noir del dopoguerra, la crisi di valori, da una parte e l'altra dell' oceano, l'America come terra delle grandi promesse ma anche delle grandi delusioni, infine gli anni Sessanta («ci è voluto un po', com'è noto, prima che qualcuno negli Usa, come del resto in Europa, si rendesse conto che erano cominciati gli anni '60»). Il saggio di Oliva si chiude con la fine del monopolio anglo-francese, la nascita del giallo latino e mediterraneo, e il boom italiano degli anni '90 quando «i tempi sono maturi per un salto di qualità», quello che avrebbe fatto del noir italiano una delle esperienze letterarie più interessanti a livello europeo», grazie ai Lucarelli, Pinketts, Carlotto e così via, passando per la Sicilia atipica di Sciascia prima e di Camilleri, concludendo che «gli eroi del giallo non possono mai accontentarsi di una sola personalità: devono saper essere, al tempo stesso, figli del mondo in cui vivono e incarnazioni di certi modelli ideali acquisiti, figure diaboliche e dispensatori di giustizia, manifestazioni della personalità dell'autore e specchio dei sogni e delle fantasie di chi legge».
Paolo Petroni
 
 

La Nuova Sardegna, 1.4.2003
Venerdì un confronto con la «scuola siciliana»
Fois e i «giallisti» sardi al festival di San Pellegrino

Il tre aprile si aprono in contemporanea i due maggiori festival dedicati alla narrativa gialla nel nostro paese: quello di San Pellegrino Terme e «A qualcuno piace giallo» di Brescia. Al centro di tutti e due, ma nel secondo con spazio anche a rassegne e mostre, un inevitabile ricordo di Georges Simenon nel centenario della nascita.
Il successo di queste manifestazioni è una delle conferme che il genere giallo sta vivendo una momento di particolare fortuna: basta un’occhiata alle classifiche dei libri più venduti dove troviamo periodicamente Ken Follett, Deaver, Ellroy, Grisham con i suoi legal thriller, Patricia Cornwell, mentre tra gli italiani spiccano, oltre a Camilleri, Lucarelli e Carlotto, i due i casi letterari del momento, due esordienti come Giorgio Faletti con «Io uccido» e Tullio Avoledo, che con «L’elenco telefonico di Atlandide» sarà a Brescia il 12 aprile.
Il festival del «giallo» di San Pellegrino Terme (provincia di Bergamo), diretto da Raffele Crovi con la consulenza di Tecla Dozio e Luca Crovi, si apre giovedì con Carlo Fruttero e Bruno Gambarotta che ricordano appunto Simenon, cui segue una tavola rotonda sulla fiction televisiva da Sheridan e Wolfe a «Distretto di polizia», mentre il giorno dopo c’è un omaggio a Giorgio Scerbanenco con la presentazione del romanzo inedito «Il paese senza cielo». Le altre tre giornate saranno dedicate a come il noir oggi racconta il nostro paese e si comincia dal Sud con interventi, tra i tanti, di Roberto Alajmo, Massimo Carlotto, Marcello Fois, Flavio Soriga; quindi l’Emilia e la Toscana viste da Nino Filastò, Carlo Lucarelli, Giampiero Rigosi, Stefano Tura, Roberto Valentino; poi Milano e la Lombardia con Piero Colaprico, Sandrone Dazieri, Andrea Pinketts, Nicoletta Vallorani, cui segue una lettura delle cronache nere di Buzzati giornalista. Sabato anche una tavola rotonda su «Poliziotti, avvocati e magistrati». Venerdì alle 10 si terrà un dibattito dal titolo «Sardegna e Sicilia tra sviluppo e lutto», che vedrà la partecipazione di quattro autori sardi e di quattro autori siciliani. I sardi sono Marcello Fois, Massimo Carlotto, Flavio Soriga e Luciano Marrocu. Gli autori siciliano sono Roberto Alajmo, Domenico Cacopardo, Roberto Mistretta e Santo Piazzese. Giornata di appuntamenti in particolare per Luciano Marrocu (autore per il Maestrale dei romanzi «Fàulas» e «Debrà Libanòs») che sempre venerdì, alle 19, sarà il protagonista, in diretta telefonica, del programma «Una stanza tutta per sé» condotto da Giulia Gadaleta su Radio Città 103 di Bologna. La trasmissione verterà sul tema dell’Africa coloniale italiana, l’ambientazione dell’ultimo romanzo di Marrocu, «Debrà Libanòs».
A Brescia, «A qualcuno piace giallo» (promosso dall’ amministrazione provinciale e curato per il terzo anno da Magda Biglia, Carla Boroni, Sonia Mangoni, Milena Moneta) si inaugura giovedì con un’intervista impossibile a Maigret con Andrea Bosco e Gianni Quilici. In programma anche una lettura scenica sul «Caso Simenon», l’apertura di una mostra curata da Mauro Corradini con 16 artisti che rendono personali omaggi a Simenon e altri incontri sul tema, compreso uno sulle passioni culinarie di Simenon e Maigret, del quale saranno proiettate sino al 13 aprile le sue 16 celebri inchieste tv con Gino Cervi protagonista.
 
 

2.4.2003
Oggi, alle ore 10:00, alla Biblioteca "Angelo Monteverdi" (all'università "La Sapienza" di Roma), giornata in onore di Nino Borsellino, che lascia l'insegnamento.
Verrà presentato il volume Sylva. Studi in onore di Nino Borsellino.
Parleranno Andrea Camilleri, Agostino Lombardo, Giorgio Patrizi, Jacqueline Risset.
Interverrà il Prof. Nino Borsellino.
 
 

l'Unità, 2.4.2003
La rivincita (a metà) della Sicilia
Storici ed economisti parlano del ruolo culturale e politico dell’isola nell’Italia di oggi

Cos’è e com’è la Sicilia oggi? O com’era e cosa è diventata? L’isola che Goethe considerò come una sorta di chiave di volta per penetrare l’essenza concettuale e storico-culturale dell’Italia intera, è da sempre al centro dell’attenzione. Terra dalle plurime contraddizioni, dalle mille potenzialità, la Sicilia si presta ad essere oggetto di elaborazione mitica o di facili e superficiali definizioni mediatiche. Suggestive, ma poco utili per comprendere la Sicilia, che è una dimensione da capire a fondo, nelle sue molteplici sfaccettature, da descrivere senza avere la presunzione di definirla, ovvero classificarla con vetusti schemi. Con il contributo di storici ed economisti attenti conoscitori delle dinamiche del Sud d’Italia ed in particolare dell’isola che con Verga, Pirandello e Sciascia ha segnato la storia della letteratura ed ella cultura moderna e contemporanea, non solo italiana, abbiamo provato a raccontarvi la Sicilia di oggi.
Rosario Mangiameli, studioso di storia contemporanea, docente alla facoltà di Scienze Politiche di Catania, originale indagatore del Sud d’Italia, si è occupato con risultati brillanti dell’immagine del Sud d’Italia nella rappresentazione storica, ed inevitabilmente nella rappresentazione nella comunicazione e nei media. Mangiameli sostiene: “Scandalizzerò qualche storico tradizionalista, ma per capire cos’è la Sicilia oggi e come è cambiata, credo che possiamo iniziare con una considerazione su Camilleri e sul suo commissario Montalbano, notissimo ormai in Italia e all’estero. I romanzi ed i racconti di Camilleri non contengono più quei luoghi comuni che normalmente servono  a identificare il cosiddetto carattere siciliano nel resto d’Italia: un certo regime di rapporti tra i sessi, una forma di sospetto verso il moderno, la scarsa attitudine alla collaborazione con la polizia e la magistratura (definita, questa, erroneamente omertà). Non contengono neanche messaggi di tipo sicilianista, ovvero quella lamentazione che attribuisce tutti i guai della Sicilia agli altri e pertanto ne chiede il risarcimento “a quelli di lassù”, siano essi il governo, gli industriali del Nord, gli operai del Nord, o qualsiasi altra categoria di non siciliani ritenuta privilegiata a nostro danno. Camilleri è riuscito a caratterizzare e rendere riconoscibile un ambiente senza metterci tutto questo, e ciò mi sembra un segno nuovo e positivo. Ed ha avuto anche successo di pubblico, laddove prima era solo il luogo comune a rendere riconoscibile un discorso sulla Sicilia. Mi sembra importante tutto ciò perché l’immagine letteraria della Sicilia ha sempre avuto un peso rilevante nel panorama culturale e politico italiano. Il sicilianismo in vario  modo presentato è stato una forza mobilitante oltre che un criterio di lettura condiviso entro e fuori l’isola. Ha spiegato l’arretratezza (con le altrui responsabilità, appunto, assolvendo di volta in volta classi dominanti e classe politica locali) e ne ha suggerito le soluzioni (nel risarcimento da chiedere allo stato). Insomma ha rappresentato un legame tra politica e cultura che oggi nel bene e nel male viene messo in crisi. Prova ne è il fatto che quando l’attuale governo regionale ha tentato di riproporre questa vecchia logica, anche in occasione della vicenda di Termini Imerese, non ha ottenuto grande ascolto - per un verso questa crisi scioglie vecchi luoghi comuni; è infatti difficile considerarla come tipica di un’area arretrata e non industrializzata”.
[...]
Salvo Fallica
 
 

Il Mattino, 2.4.2003
IL FESTIVAL DI SAN PELLEGRINO
Giallo Sud, il colore dell’incertezza

All'inizio di tutto ci fu il cavaliere Auguste Dupin, nato dalla penna visionaria di Edgar Allan Poe. Poi vennero Sherlock Holmes ed Hercule Poirot, Maigret e Marlowe, Kay Scarpetta e Pepe Carvalho. Senza dimenticare i nostri: dal commissario Santamaria a Montalbano. Il primo indaga tra i rigattieri nella torinese Porta Palazzo, il secondo nella Sicilia immaginata da Camilleri. Tutti protagonisti del "giallo". Più che un genere, una scatola di colori, perché molteplici sono le sue declinazioni della letteratura d'indagine: poliziesco, hard boiled, medical thriller, legal thriller... purché ci sia inquietudine e mistero. Perché il "giallo" è letteratura sociale, un bisturi che consente di indagare il delitto quanto la società.
Gli autori italiani di thriller scrivendo di crimini raccontano l'Italia di oggi. Questa è la tesi di fondo della seconda edizione del Festival del giallo italiano. Da domani al 6 aprile la palazzina liberty del Casinò di San Pellegrino Terme ospiterà 40 autori impegnati in una serie di tavole rotonde da "tutto esaurito". Carlo Fruttero e Bruno Gambarotta celebreranno Georges Simenon, si parlerà della ricca Lombardia in crisi e dell'Emilia tra benessere e violenza, si ricorderà la figura di Giorgio Scerbanenco e un suo inedito quanto profetico romanzo (Il paese senza cielo, scritto nel 1939 racconta di una guerra degli Usa nel 2002...). "I giovani giallisti sono quelli che raccontano meglio l'Italia in cui viviamo, con i suoi conflitti e le sue violenze, i cambiamenti di costume, il degrado metropolitano, la crisi della giustizia”, dice Crovi, ideatore della manifestazione. In programma venerdì ci sarà anche una tavola rotonda intitolata "Il Sud tra sviluppo e lutto". Il giallo non è più un genere "nordico", perché non pochi sono gli autori meridionali e le storie ambientate nel Sud d'Italia come in quel Sud d'Europa che è il Mediterraneo. Ma c'è una cifra comune che consente di parlare di "letteratura gialla meridionale"? Ancora Crovi: "Sì, ed è la coesistenza dello sviluppo e del lutto. Il Sud d'Italia è un territorio attraversato dallo sviluppo economico come da vistosi cambiamenti di costume. C'è una modernizzazione in atto, ma deve fare i conti con la tragedia quotidiana della criminalità. Cacopardo, Carofiglio, Carlotto, Fois, Marrocu, Mistretta, Piazzese e Soriga sono tutti testimoni di questa doppia realtà. Che ha due specifici: il primo è la messa in scena del cambiamento dei rapporti interfamiliari. La famiglia è scoppiata, la madre mediterranea non ha più potere intimidatorio, non è più la vestale di una famiglia da mascherare. Il secondo connotato mi pare essere il tema della malagiustzia e della corruzione del potere politico".
Massimo Carlotto per i suoi romanzi preferisce la location del ricco nordest, ma il prossimo romanzo sarà ambientato in Sardegna: "Da Camilleri a Jean-Claude Izzo il filo rosso è la criminalità organizzata. Il Mediterraneo è un laboratorio straordinario per quanto riguarda i nuovi fenomeni criminali. È in atto una ristrutturazione in tutte le mafie, nascono alleanze fino a qualche anno fa impensabili". Diversa la convinzione di Gianrico Carofiglio, il magistrato autore de Il testimone inconsapevole (Sellerio): "Non credo esista un elemento comune tra i diversi autori, se non il fatto che il Sud è una zona di frontiera, fisica e culturale. Il mio romanzo è ambientato a Bari, ma molti lettori mi hanno detto che in alcuni momenti sembra di ritrovarsi a Chicago. Questo è il frutto delle mie letture, certo, ma anche dell'idea di far parte di una frontiera cosmopolita. Però non credo che uno scrittore si metta al computer con lo scopo di fare attraverso la narrativa un saggio sociologico. Finirebbe con il fare cattiva saggistica e pessima letteratura. Altro è scrivere una storia, collocarla in un dato habitat e quindi in questo modo elaborare una lettura di quella realtà. Ma non c'è nulla di deliberato in tutto ciò. Chesterton diceva che ciò che conta non è la forma che si usa, ma la struttura della storia. È questa a determinare la buona o la cattiva qualità di un libro".
Emanuele Rebuffini
 
 

Sette, supplemento del Corriere della sera, 3.4.2003
Hanno ammazzato un prete. Ma il commissario Camilleri non brancola nel buio.
Dall'8 aprile con il Corriere sarà in edicola "La mossa del cavallo", con la prefazione di Antonio D'Orrico.

"Camilleri appartiene a una categoria molto rara da noi. Mi fa pensare  a quel tipo di narratore ipotizzato da Joyce, che se ne sta dietro o accanto alla sua opera, in disparte, a curarsi le unghie. Voglio dire che è un narratore di totale oggettività".
(Raffaele La Capria sul Corriere della sera del 5 maggio 1998)
"Dagli appunti di Leopoldo Franchetti, Camilleri ha preso l'episodio che ha fatto da spunto al suo ultimo romanzo. Questo: "A Barrafranca furono tirate due fucilate a un prete ricco, corrotto, prepotente, odiatissimo in paese. Circa 60 metri lontano dal luogo dove cadde il prete stava un torinese venuto in Sicilia come ispettore di molini. Questi voltava la schiena al prete. Al rumore delle fucilate si voltò e corse verso il prete il quale, prima di morire, gli disse: "M'ha assassinato il tale, mio cugino". Il torinese montò a cavallo e corse al paese a raccontare il fatto alla stazione dei carabinieri, sulla strada a tutti raccontava l'assassinio e la rivelazione dell'assassino. Il prete aveva da 12 anni una lite col cugino che l'assassinò, c'era tra loro forte inimicizia; 24 ore dopo era stato arrestato come presunto autore dell'assassinio il torinese stesso e fra i testimoni a suo carico era il cugino stesso assassino del prete e tutto il processo s'informava su questa via mentre il paese intero e i comuni circonvicini diceva sotto sotto chi era l'assassino".
(Pietrangelo Buttafuoco su "Amica" del 21 luglio 1999)
"Mi sono preoccupato davvero quando a Catania, presentando "La voce del violino", tre signore mi hanno inglobato per dirmi, tutte serie:"Guardi che questo matrimonio tra Montalbano e la genovese non si deve fare: con tante belle picciotte che ci sono qua". Mi sono detto: se fossi uno scrittore americano da tre milioni di copie lo troverei un pazzo che mi rompeva le gambe come in "Misery non deve morire" per non far sposare Montalbano con la genovese".
(Andrea Camilleri in una intervista all'Espresso del 25 giugno 1998)
 
 

La Sicilia, 3.4.2003
Camilleri & turismo. L'offerta del sindaco all'attore. Al bar le traduzioni delle sue opere
Zingaretti cittadino onorario di P. Empedocle

Vigata vuol dare la cittadinanza onoraria al commissario Montalbano televisivo, Luca Zingaretti.
L'idea è del sindaco Paolo Ferrara, il quale nei prossimi giorni chiederà ad Andrea Camilleri, «papà» del poliziotto più amato d'Italia, di fare intervenire il noto attore alla cerimonia di attribuzione dell'attestato, da svolgersi nelle prossime settimane.
Un'«intercessione» che Ferrara chiederà allo scrittore, ormai diventato il testimonial per eccellenza della sicilianità nel mondo. Del resto fare di Camilleri un business col quale attrarre i turisti sembra essere diventato l'obiettivo.
C'è infatti il titolare del bar all'inizio della centrale via Roma, Stefano Albanese, che continua a svolgere l'attività di «segreteria» particolare dello scrittore ormai da anni trapiantatosi a Roma, per ovvi motivi di lavoro. Tra un cannolo alla ricotta e una pastina di mandorle, Albanese raccoglie i libri dei fans di Camilleri per farglieli autografare quando ritorna nel proprio paese d'origine e quindi riconsegnarli ai legittimi proprietari. Un vero e proprio rito, al quale Stefano Albanese, la moglie e i figli non si sottraggono e che tra qualche giorno si arricchirà di una nuova e «golosa» «specialità». Nell'armadio a vetri in cui sono sistemate da sempre le bottiglie di liquore, entro la prossima settimana verranno piazzati i libri di Andrea Camilleri tradotti in inglese, francese, tedesco, russo, coreano e giapponese. Tutte pubblicazioni raccolte con cura dalla sorella dello scrittore e spedite a Porto Empedocle. Un carico di pubblicazioni che renderà il bar una sorta di club ufficiale del papà del commissario Montalbano. Dunque, da un lato ci si avvia alla concessione della cittadinanza onoraria a Luca Zingaretti, dall'altro il boom del bar fans club. È su queste due iniziative che poggiano gran parte delle speranza della cittadina marinara, proiettata a diventare per tutti la vera Vigata, riconosciuta come tale nel mondo. Molti ricorderanno in tal senso, la polemica scoppiata nei mesi scorsi quando Ragusa Ibla, soppiantò di fatto il centro empedoclino nell'immaginario collettivo, su dove fosse il luogo originale delle avventure di Salvo Montalbano.
Per gli spettatori dei film tv trasmessi dalla Rai, Marinella e la spiaggia di Montelusa erano in provincia di Ragusa e non a Porto Empedocle. Proprio per evitare che si verificasse uno «scippo» dei luoghi originari del Camilleri pensiero, i due assessori regionali Cascio e Cimino hanno avanzato richiesta alla Rai di fare effettuare alcune riprese delle prossime puntate in programma nel prossimo autunno, nella Vigata doc, o al massimo nei dintorni.
Una Vigata che però, lo stesso Camilleri ha bocciato: «Non la riconosco più a causa del troppo cemento che si erge proprio in contrada Marinella. Non posso chiedere di ambientare i film in luoghi che non sono più quelli di prima e che io ricordo come incontaminati».
Intanto però, il giapponese o il tedesco appassionati delle opere dello scrittore empedoclino potranno recarsi nel bar all'inizio di via Roma, per assaporare oltre al caffè, anche l'atmosfera di Vigata. Quella vera.
Francesco Di Mare
 
 

Il Resto del Carlino, 3.4.2003
Ravenna
'Hotel Girgenti', solo per barboni

Si chiama 'Il re di Girgenti', è il nuovo centro di accoglienza, notturna e diurna,— il cui regolamento è stato approvato l'altra sera in consiglio comunale — in via Mangagnina 61 a Ravenna, allestito dal Consorzio dei servizi sociali. Una volta veniva chiamato dormitorio pubblico (quello di Ravenna, davanti all'ex macello, è stato demolito anni fa, ora c'è un parcheggio). E' un servizio «rivolto - spiega Carlo Savorelli, direttore del Consorzio, alle povertà estreme, a chi non ha nulla». Il nome, 'Il re di Girgenti', viene da un romanzo di Camilleri, dove il protagonista diventa il re dei poveri, è ambientato in Sicilia, Girgenti era l'antica Agrigento. Al centro possono trovare ospitalità persone senza fissa dimora, il vecchio barbone, il clochard, persone sfrattate, ex detenuti, "gente che deve essere messa nelle condizioni di superare una fase di particolare difficoltà. Questo quindi non è un servizio rivolto alle famiglie con problemi di affitto, ma proprio a quella fascia di persone in condizioni di estrema povertà, quelli che magari dormono in macchina, se ce l'hanno, o su una panchina o dove c'è un riparo lungo le strade, gente che si muove, si sposta, viene da fuori".
[...]
Augusto Mari
 
 

La Stampa, 4.4.2003
LO SPETTACOLO DELLA CITTÀ
Un anno di musica, mostre e letteratura Borgna: ma non chiamatela Massenzio

«Dico che quest´anno non c´è città al mondo con un programma culturale come quello offerto da Roma». Il sindaco Walter Veltroni s´è messo ieri mattina sul volto la maschera severa di chi è raggiante ma non lo vuol fare vedere. «Desideriamo dare un messaggio di serenità e di speranza attraverso la vita culturale della città. Dunque ecco un´Estate Romana che dura tutto l´anno, con una concentrazione massima nel periodo primavera-estate». Veltroni lo dice anche in un altro modo: «Visto che la situazione economica mondiale è così dura, il nostro intento è di legare la Roma culturale al turismo». Insomma contro la paura della guerra, contro la crisi e il calo dei visitatori stranieri, il Campidoglio ha deciso di riempire la città da qui alla fine di agosto di concerti, spettacoli, eventi, mostre, balletti, cinema, letteratura e quant´altro possa attrarre il romano e il forestiero.
[...]
Il sindaco [...] è affezionato [...] al festival della Letteratura alla Basilica di Massenzio, dove arriveranno personaggi del calibro di Andrea Camilleri, Susan Sontag, Don De Lillo, Doris Lessing.
[...]
Marcantonio Lucidi
 
 

Il Venerdì di Repubblica, 4.4.2003
Disfide. Gli scrittori litigano, l'isola si schiera
Se Consolo attacca Camilleri la Sicilia sta con Montalbano

Lo scrittore Vincenzo Consolo sull'Unità liquida il giallo come genere integrato nel sistema capitalistico. Il Sole 24 Ore insinua: non sarà geloso di chi ha più successo di lui (l'altro siciliano Andrea Camilleri)? Ma Camilleri abbozza: "Discussione campata in aria". E poi che ne sa Consolo, che sta a Milano. Ci sono cose più importanti di cui occuparsi: la legge sull'immigrazione Bossi-Fini, per esempio, che nell'ultimo giallo, Giro diboa, lui ha ribattezzato "Cozzi-Pini". Facendo andare su tutte le furie il Polo. Tranne che in Sicilia. Dove anzi il governo di Totò Cuffaro ha persino chiesto alla Rai di girare sull'isola altre puntate di Montalbano: "Portano tanti stranieri", dice l'assessore al turismo Francesco Cascio. Potere del giallo. O del capitalismo?
a.s.
 
 

Il Mattino, 4.4.2003
Effetto guerra nello scaffale

C’è sempre molta voglia di risate nella classifica della narrativa, testimoniata dalla presenza di Oreglio e di Annamaria Barbera, alfieri, se non della svagatezza, di una cospicua leggerezza. Sarà per l’effetto guerra, che però non vale per Camilleri, da tempo in vetta alle classifiche appena arriva in libreria.
[...]
 
 

Faedrelandsvennen, 4.4.2003
BOKANMELDELSE
Andrea Camilleri - Slik vann tar form
Friskt om korrupsjon og skjeletter i skapet

Slik vann tar form er en meget tiltalende bok. Intrigen holder vann, absolutt, spenningen tikker og pulserer. I tillegg finnes det betydelige sjarmetillegg: Et fargerikt miljø og en like fargerik, frisk og ledig språktone.
Helten i Andrea Camilleris bøker er politiinspektør Montabano. Heltene er alltid politiinspektører nå, både i romaner og tv-serier. Men gudskjelov er hans inspektør ingen mutt fyr med begynnende magesår og et anstrengt forhold til sin ex-hustru. Han er en mann med humør og humor, riktignok av det litt oppgitte og stoiske slaget. Han er meget velartikulert. Og han er uredd.
Det hele utspilles på Sicilia, øya hvor vi liker å tro at alle mafiamedlemmer har slekt.
Denne romanen, med en meget poetisk tittel, forøvrig, skrur seg handlingsmessig om dødsfallet til en prominent politiker. Han blir funnet på en strand, som alle vet blir benytett til prostitusjonstrafikk. Han blir funnet, helt konkret, med buksene nede. Alle puster lettet ut da det fra legehold blir opplyst at dødsårsaken er hjertesvikt.
Vår mann Montalbano insisterer på å fortsette etterforskingen. Han uttaler meget veltalende: - Jeg fortsetter etterforskningen i den hensikt å avskjære i fødselen enhver ondsinnet spekulasjon om et mulig forsett hos politiet om ikke å belyse sakens enkeltheter og henlegge dem uten tilbørlige vertifiseringer.
Inspektør Montalbano beveger seg rundt i et landskap som er gjennomsyret av korrupsjon. Samtidig virker det som om alle, absolutt alle, har skjeletter i skapet! Fra den minste lille hallik til den mest fornemme frue.
BOK
Forfatter: Andrea Camilleri
Tittel: Slik vann tar form
Kriminalroman
Oversatt fra siciliansk av Jon Rognlien
Forlag: Gyldendal
Knut Holt
 
 

Io donna, supplemento del Corriere della sera, 5.4.2003
Andrea Camilleri
LA MOSSA DEL CAVALLO

Un puro narratore. Il lettore che apre un libro di Camilleri si trova proiettato in un universo che non ha bisogno di illustrazioni preliminari e che sembra esistere da sempre; e questo in virtù di un linguaggio speciale, anzi unico, che attinge al vocabolario e alle cadenze della Sicilia. Abbiamo a che fare con parole strane, di cui tuttavia capiamo subito il significato; e non solo capiamo il significato, ma “vediamo” il paesaggio sociale e la mentalità da cui scaturiscono, una caratteristica della letteratura italiana è l’avidità lessicale: basti pensare a Carlo Emilio Gadda e al suo mirabolante strascico di termini arcaici, dialettali, tecnici o burocratici. Ma Gadda era mosso da una furia espressionistica: altri sono mossi da lirismo. Diverso il caso di Camilleri. Le sue ricerche e invenzioni lessicali approdano a uno strumento linguistico agile, disinvolto e molto comunicativo che lo scrittore mette al servizio della sua vocazione di puro narratore. 
Torna a casa, lessico. Camilleri scrive gialli: alcuni – quelli di Montalbano – collocati ai nostri giorni, altri ambientati nel passato. A questa categoria appartiene La mossa del cavallo, che si svolge nella Sicilia del secondo Ottocento, all’epoca della tassa su macinato. Inviato a Vigata come ispettore dei mulini, Giovanni Bovara, assiste all’uccisione di un prete, e viene accusato di essere lui l’assassino. Bovara riuscirà a scagionarsi recuperando il dialetto delle proprie origini. Solo attraverso il dialetto – sembra voler dire Camilleri – si può giungere alla verità.
La parola mancante. Ne La mossa del cavallo, romanzo liberamente ispirato a un episodio vero, non appare mai la parola “mafia”; e tuttavia la “mafia” è presente in ogni piega della storia di Giovanni Bovara.
Giovanni Mariotti
 
 

Radio 24, 6.4.2003
Tra le righe
Andrea Camilleri
Il giro di boa (Sellerio; 272 pagg; 10 €)

Intervista ad Andrea Camilleri

E' un Montalbano in crisi di identità quello che troviamo in questo libro. E' stanco e scettico nei confronti del suo lavoro, amareggiato dal comportamento della polizia al G8 di Genova, tanto da pensare alle dimissioni. Tuttavia questo pensiero lo lacera perchè in realtà la polizia che lui ha intorno, le persone che lui frequenta non sono quelle che l'hanno disgustato. E' un Montalbano che ha che fare con la quotidianità e che, invecchiando, si pone più dubbi, ha sempre meno risposte, ha difficoltà a tenere il passo coi tempi, dei tempi che non gli piacciono affatto. E' un Montalbano che vive un disagio forte quando si trova di fronte alla disperazione degli sbarchi dei clandestini, con il loro odore, "non un feto di gente mala lavata, ma feto di scanto, d'angoscia, di sofferenza, di disperazione". La vicenda inizia con un cadavere pescato per caso in alto mare, trovato da Montalbano durante una nuotata ristoratrice. Questa morte, archiviata sommariamente come l'annegamento di un clandestino, incrocia le vicende di un bambino che il commissario riacciuffa il giorno dello sbarco perché sfuggito a quella che si presume essere la madre. Camilleri spiega che le braccia alzate con cui il bambino si arrende al poliziotto sono la citazione dell'immagine del bimbo fotografato nel ghetto di Varsavia in posizione analoga, un'immagine che lo getta in un forte senso di colpa, il senso di colpa di tutto un secolo. Il piccolo immigrato dopo pochi giorni verrà investito da un'auto. "Il giro di boa" tocca anche ambiti politici, perché Montalbano non approva la gestione dell'immigrazione imposta dalla legge "Cozzi- Pini" e per l'ambientazione in luoghi in cui l'abusivismo edilizio è la normalità. E' un romanzo in cui si fanno i conti con la contemporaneità che stiamo vivendo, dalla quale Camilleri pesca a piene mani. Lo stesso autore spiega che per la prima volta le fonti bibliografiche sono tutte giornalistiche: racconti dei quotidiani, inchieste, immagini degli sbarchi. Una testimonianza di quanto la realtà possa essere più acuta e fantasiosa della fantasia stessa.
Antonio Calabrò
 
 

Corriere della sera, 7.4.2003
Da domani con il nostro giornale «La mossa del cavallo», uno dei bestseller del padre di Montalbano. Con un protagonista che parla genovese 
Camilleri: «Non so ancora perché ho successo»

Il re delle classifiche italiane, sette milioni di libri venduti, potrebbe essere definito da chi ama le compiaciute reminiscenze scolastiche un ossimoro, e cioè un connubio di contrapposizioni e di opposti dato che è uno scrittore popolare e insieme colto, intelligente, raffinato e insieme supercommerciale. Più sbrigativamente Andrea Camilleri potrebbe essere catalogato come un fenomeno, visto che riesce a trasformare la letteratura in un prodotto di largo consumo. Una vaga parentela con certi gufi saggi e amabili dei cartoni animati, un vocione fondo da tabagista, riceve in uno studiolo piccolo e piacevolmente dimesso. Sulla scrivania una scultura giovanile di Fazzini, «un ritratto di Orazio Costa, mio maestro di teatro». Nel corridoio i rumori e i profumi di una casa borghese, con via vai di figlie e nipoti. «Quella di Camilleri è una narrativa da intrattenimento alto», sentenziava Carlo Bo. Particolare non da poco: un tipo di narrativa quasi inesistente in Italia.
In La mossa del cavallo, pubblicato nel '99, c'è una trama poliziesca in una cornice storica. Da dove nasce questo innesto?
«Spesso utilizzo come miniera un'inchiesta governativa del 1875 sulla Sicilia, un documento con trascrizione stenografica delle interviste della commissione. Mi basta una frase, uno spunto qualunque. Per esempio: per La stagione della caccia sono partito dal dialogo tra il senatore Cusa e un sindaco della provincia di Caltanissetta: "Da queste parti avete fatti di sangue?" , "No, eccellenza, solo un delitto d'amore con sette morti". Un'altra inchiesta di quegli anni, la Franchetti-Sonnino, si limitava ad elencare una serie di conclusioni. Franchetti però scrisse un diario siciliano e in una sua pagina si parla di un ispettore di mulini che trovò un prete morente per una fucilata, diede l'allarme ma venne accusato dell'omicidio. Questo l'avvio de La mossa del cavallo ».
Il protagonista, un funzionario arrivato dal Nord per controllare i pagamenti della tassa sul macinato, vive le sue avventure nel 1877 eppure somiglia parecchio al commissario Montalbano: è uno sbirro, incorruttibile, testardo.
«Tutti i personaggi positivi si somigliano. Anche nella realtà, il che, oltretutto, semplifica il lavoro dei narratori. Questo l'ho chiamato Giovanni Bovara: è il nome di un ministro genovese che cercò di abolire la tassa sul macinato».
Perché la scelta tenacissima di un pastiche lessicale italo-siculo che però magicamente si fa capire da tutti?
«Nella mia famiglia si parlava sia il dialetto sia l'italiano. Quando mi esibivo con dei raccontini a voce capivo di essere più efficace se usavo una lingua mista. Cominciai a chiedermi perché l'italiano non mi bastava e studiai come Pirandello faceva parlare i suoi personaggi. Più tardi mi colpì la sua affermazione "la lingua esprime il concetto, il dialetto il sentimento di una cosa": è diventata la base del mio scrivere».
In La mossa del cavallo il protagonista, che pur essendo nato in Sicilia è cresciuto a Genova, manifesta la sua diversità con un dialetto difficilissimo: il genovese. Una sfida?
«Ho scelto questa lingua proprio perché è ostica. Cercavo la spigolosità, la durezza. Quando Bovara ragiona in genovese dà al lettore lo spiazzamento dell'incomunicabilità».
Perché un titolo da scacchista?
«Perché nel gioco degli scacchi il cavallo può entrare nel campo avversario, introdursi nelle retrovie. Come fa Bovara quando, accusato ingiustamente, capisce che per salvarsi deve entrare nelle file nemiche e acquisire la lingua dei nemici come un codice. Recupera il suo originario dialetto siciliano per combattere ad armi pari: questa la sua chiave di accesso al territorio nemico».
La mafia fa da perno alla vicenda, ma non viene mai chiamata col suo nome.
«La mafia nei miei libri è presente, ma spesso come un rumore di fondo. Occuparsene direttamente non è compito degli scrittori, ma della polizia e dei carabinieri o dei sociologi. In effetti a me non interessa descrivere una realtà siciliana, ma una realtà di potere. Questo libro è ambientato nel 1877, ma parla specularmente del presente, del rovesciamento dei ruoli, del testimone che viene fatto passare per colpevole, un gioco delle parti molto attuale. Il burattinaio di turno, quello che tiene le fila dell'intera macchinazione, è esistito, ma soprattutto continua ad esistere. Nella mia storia l'ho reso un assassino per evitare che venisse identificato troppo esplicitamente con burattinai reali».
Camilleri, ovvero la leggenda di uno scrittore tardivo.
«Ho cominciato a scrivere giovanissimo e delle mie antiche poesie restano tracce in un'antologia di Ungaretti. Poi uno stop lunghissimo: oltre trent'anni di teatro e di televisione. Quando nel '68 ricominciai fu come riaprire una parentesi. Ma fino al '92 un'altra pausa, il mio lungo addio al teatro».
Vigàta e Montelusa, nomi immaginari per luoghi reali.
«Vigàta è una mia invenzione, Montelusa un furto: Pirandello chiamava così Agrigento, ma lui non può protestare». 
Il suo ispettore dei mulini è un servitore fedele dello Stato, ma di uno Stato gabelliere, punitivo.
«Infatti. Nel realizzare l'unità d'Italia furono commessi errori micidiali. Per esempio, la mancata preparazione psicologica alla leva obbligatoria. Con i Borboni un ragazzo poteva scegliere se presentarsi o no. Con l'unità d'Italia un figlio, forza lavoro, veniva sottratto per tre anni alla famiglia: un'altra tassa inferta alla povertà. Gli storici raccontano che i genitori lo salutavano vestiti a lutto. In Sicilia nei cinque anni dopo l'unificazione ci fu un crollo demografico, sparì il piacere del procreare. Così come sparirono migliaia di telai perché bisognava privilegiare le stoffe di Biella. Quello che chiamavano brigantaggio in realtà erano rivolte contadine. I bollettini ufficiali parlavano di 20 mila briganti: cioè di insurrezioni».
Un nuovo Montalbano, Il giro di boa , in testa alle classifiche. La media di mezzo milione di copie vendute per ogni titolo. Un Meridiano lo scorso ottobre, un secondo l'anno prossimo. Che effetto fa un successo tanto pieno?
«Lo considero agghiacciante, nel senso che non riesco a capirne le ragioni. Sono un essere razionale e quello che non comprendo mi spaventa. Quando incontro persone che mi dicono "ho cominciato a leggere soltanto con i suoi libri", imploro: "ma adesso andate avanti, leggete almeno gli autori che legge Montalbano"».
Che rapporto ha l'autore con questo libro?
«Un legame strettissimo perché è una sintesi dei miei temi narrativi: il romanzo storico all'interno del quale si innesta un elemento giallo giocato a carte scoperte. Ma il punto importante, quello a cui tengo profondamente è che la soluzione, lo sciogliersi dell'intrigo, avviene attraverso il linguaggio, elemento fondamentale del mio narrare. Se riusciamo a farci capire con il linguaggio le zone d'ombra spariscono. E' una certezza. O una speranza».
Donata Righetti
 
 

L'Eco di Bergamo, 9.4.2003
La svolta politica del commissario Montalbano
Immigrazione, G8 e poliziotti violenti protagonisti nel nuovo libro di Camilleri «Il giro di boa»

Impegno sociale, forti contenuti di attualità: è un Camilleri pessimista quello che nella nuova avventura del commissario Montalbano fa riferimenti insolitamente espliciti alla situazione politica italiana. E se anche questa volta gli estimatori dello scrittore siciliano si sono presentati puntuali all'appello in libreria (il romanzo edito da Sellerio è già in testa alle classifiche di vendita) altrettanto puntuali sono arrivate le polemiche.
Ne Il giro di boa si parla di G8 e poliziotti violenti; ma soprattutto di immigrazione, con critiche dirette alla legge «Cozzi-Pini» che gli esponenti della Lega non hanno gradito. «Si illudevano di fermare una migrazione epocale con provvedimenti di polizia e con decreti di legge», riflette Montalbano dopo aver assistito all'ennesimo sbarco di clandestini. Replica La Padania in prima pagina: «Contro la maggioranza scelta dagli italiani nel maggio 2001, Camilleri abbandona il coté storico filosofico e si getta a capofitto sull'attualità: cominciando da nome e cognome dei responsabili, cioè da Bossi e Fini, trasformati - ma che fantasia! - in Cozzi e Pini».
I tempi sono cambiati e al posto della mafia Montalbano deve affrontare la criminalità legata allo sfruttamento degli extracomunitari, orde di disperati che giorno dopo giorno approdano sulle coste siciliane. Le indagini partono dal ritrovamento di un cadavere anonimo in alto mare - annegamento o omicidio? - e finiscono per intrecciarsi a una tragica vicenda di violenza sui minori.
Appena sbarcato a Vigata un piccolo profugo prova a fuggire, ma il commissario interviene riuscendo a riconsegnarlo alla madre. Poco dopo il bambino viene investito da un'auto pirata. Trovare i suoi assassini potrà lenire i sensi di colpa; ma non cancellare quel disagio che si percepisce sin dalle prime pagine, una vena di amarezza e malinconia che Camilleri non aveva mai sfiorato nei precedenti romanzi. Difficile credere che un personaggio come Montalbano abbia perso smalto ed entusiasmo: eppure in diverse occasioni è sul punto di dare le dimissioni, sfiduciato nel significato di un mestiere che pure ama visceralmente.
Perché il commissario è sbirro fino al midollo, però sono trascorsi quasi dieci anni dalla prima avventura (La forma dell'acqua , 1994); e nel suo animo qualcosa incomincia ad incrinarsi. La fiducia nell'operato delle forze dell'ordine viene meno: «Manco contro il peggio delinquente ho fabbricato una prova! Mai! Se l'avessi fatto mi sarei messo al suo livello. Allora sì che il mio mestiere di sbirro sarebbe diventato una cosa lorda!..» - si sfoga con la fidanzata Livia riferendosi all'irruzione della polizia nella scuola Diaz a Genova, e dopo col collega Mimì Augello: «Questa lurdia è dintra di noi».
Sconforto e disillusione lo accompagnano in quella che dovrebbe essere la sua ultima indagine; e poi il tempo passa anche per lui, che si ritrova a lottare con i primi malanni dell'età scoprendosi vecchio e stanco. Ma più umano. Dopotutto sono le debolezze di questo antieroe che lo hanno reso così popolare: vizi, abitudini e un gran brutto carattere. Ora è diventato un po'ipocondriaco, attentissimo ad interpretare ogni segnale di cambiamento nel corpo e nella mente: un Montalbano diverso, dedito all'ascolto di se stesso, se possibile ancora più solitario. Non è cambiato, invece, l'istinto del segugio, che lo porterà sulla pista giusta per risolvere il caso. E ritroviamo anche la consueta ironia, di cui Camilleri si serve per stemperare i momenti drammatici toccando vette di irresistibile umorismo.
Come quando Montalbano, deluso per la chiusura della sua trattoria preferita (per lui il cibo ha quasi una valenza affettiva, passionale) sperimenta un altro locale: «Nel misto di triglie, spigole e orate alla griglia il commissario ritrovò quel paradisiaco sapore che aveva temuto perso per sempre. Un motivo principiò a sonargli dintra la testa, una specie di marcia trionfale…Doppo lunga e perigliosa navigazione, Ulisse finalmente aviva attrovato la sò tanto circata Itaca».
Ci sono sempre l'ingenuo Catarella, il fedele Fazio, la paziente fidanzata Livia, ormai così radicati nell'immaginario collettivo da apparire quasi reali - in un'intervista semiseria Camilleri ha ammesso che è restio a celebrare le nozze tra la genovese Livia e il siculo Montalbano perché teme le reazioni sconsiderate di qualche «picciotto».
Il giro di boa non delude. Anche questo Camilleri più politicizzato ci conferma la stagione felice che sta vivendo il noir italiano da quando il giallo si affianca all'analisi di una precisa realtà territoriale (la Bologna di Lucarelli è un altro esempio). E, nel caso del nostro autore, grazie anche alla sua voce così personale, dove il dialetto coesiste con l'italiano in pacifica armonia, e lo stile è percepito come ostacolo solo da chi cerca una lettura «facile».
Adele Olivieri
 
 

La 7, 13.4.2003
L'intervista
Alain Elkann incontra Andrea Camilleri

Professor Camilleri, mentre sono qui che guardo i suoi libri mi sembra che sia cominciata l’intervista… E allora volevo chiederle una cosa che forse incuriosisce i nostri telespettatori: è vero che il suo ultimo libro “Il giro di boa”, pubblicato da Sellerio, in pochissime settimane ha già venduto oltre 300.000 copie?
Mah… l’ho detto e torno a ripeterlo: per me questa sorta di successo rimane un problema. Essendo una persona francamente razionale cioè che cerca di ragionare sopra le cose, non riesco a capirlo, questo successo. Però è un dato concreto che il personaggio Montalbano, soprattutto – come posso dire? – conquista sempre più lettori.
Be’ anche Simenon col suo Maigret conquistava lettori in tutto il mondo…
Io l’invidio, Simenon: forse lui una ragione del suo successo riusciva a farsela. Da com’era combinato mentalmente, sapeva costruirlo, sapeva destinarlo… sapeva, proprio, il mercato dei suoi libri.
Da quando lei pubblicò i suoi primi libri,  non so, per esempio La stagione della caccia, da Sellerio che vendeva sette/ottomila copie… adesso lei vende cinquecentomila, in Germania duecentocinquantamila… lo sforzo è uguale?
No, per ciò che riguarda scrivere un libro la situazione non si sposta… cioè a dire io scrivo un libro, che poi abbia un milione di copie vendute o diecimila copie per me è lo stesso. Perché il punto di partenza non è il numero di copie ma come lo hai scritto, un libro. Quindi quando Elvira Sellerio mi diceva “Ho venduto settemila copie della Stagione della caccia”, bè, io saltavo di gioia, perché Aldo Busi aveva  detto che uno scrittore – una volta lo avevo sentito in una spiritosa trasmissione - può dirsi tale a tutti gli effetti quando ha venduto almeno tremila copie del libro pubblicato.
Quindi lei, avendone vendute il doppio…
Ma figurati! Ero uno scrittore al quadrato… al doppio, no? Poi, all’improvviso, è successo qualche cosa alla fine del 1997: esterrefatta, Elvira mi ha comunicato che le vendite da 7.000 copie erano passate a 197.000… che cosa è successo in quegli ultimi tre mesi del 1997 meriterebbe un’indagine non di Montalbano che è parte in causa, ma almeno di Maigret…
Lei non aveva fatto niente? Mai una promozione… niente?
Ma nulla! Elvira Sellerio non faceva pubblicità, sono stato io che sono andato a presentare questi libri nelle varie librerie. Mi sono fatto circa 80 librerie in tre mesi, viaggiando come un commesso viaggiatore, proprio, per l’Italia: mi invitavano, ci andavo volentieri. Ma io credo che alla base ci sia stato una sorta di bocca-orecchio, di passa parola tra i lettori.
Senta, adesso Montalbano è anche un grosso personaggio televisivo… l’attore che interpreta Montalbano è un grande divo, questo fatto ha fatto aumentare molto le vendite?
No, no. La verità è che non le ha fatte aumentare… sì, qualche piccolo aumento c’è stato, però in realtà il personaggio nasceva – come si dice in politica – da uno zoccolo duro bello affermato. Quando i primi Montalbano televisivi sono arrivati sul piccolo schermo ormai il personaggio aveva un suo larghissimo pubblico.
Ma chi è questo Montalbano?
Montalbano è un personaggio che uno può ricevere a casa sua, cenarci assieme tranquillamente in assoluta libertà e tranquillità, ma anche non condividerne le idee. Montalbano è un poliziotto: ha le sue idee politiche, l’ha detto duemila volte e tante volte è stato accusato di essere un comunista arraggiato, mentre non lo è… però deve risolvere dei casi e mette in campo, mentre risolve questi casi, non le sue idee ma il suo essere uomo, il suo riuscire a ragionare in un certo modo.
Quali sono i suoi difetti?
Bè… è un individuo assolutamente egocentrico, è una persona che… io non capisco perché ad esempio la sua eterna fidanzata Livia continui a stare con lui… io se fossi una donna, se fossi Livia, con lui non ci starei…
E quindi avrà un suo fascino…
Può darsi che questo abbia un fascino per le donne ma, comunque sia, come uomo non è che mi piaccia molto, Montalbano… però è un uomo del quale ci si può fidare, questo mi sembra estremamente importante…
Ma lei per costruire Montalbano, avendo bazzicato Eduardo De Filippo, Pirandello, avendo conosciuto, essendo stato amico di Sciascia, avendo chiaramente letto tutti i loro libri… si è ispirato a tutti questi o Montalbano se l’è inventato proprio di sana pianta?
No, Montalbano me lo sono inventato di sana pianta. C’è una cosa che devo dire e che mi interessa moltissimo dire, cioè a dire che dopo il terzo romanzo di Montalbano mia moglie mi ha detto una cosa che mi ha colpito profondamente e che è autentica… però l’ha scoperto lei, non io… cioè a dire: “Ma ti rendi conto che con Montalbano stai facendo un lungo ritratto di tuo padre?” Cioè a dire Montalbano è, ha i tratti, molti tratti di mio padre…
Lei andava d’accordo con suo padre?
No. Io non sono andato d’accordo con mio padre per fatti politici…
Cioè lei era comunista e suo padre era di destra…
No, mio padre non era di destra, mio padre era fascista, era squadrista… quindi voglio dire, da questo punto di vista eravamo all’opposto… mio padre era monarchico e io repubblicano…
Quindi povera mamma…
Però, inconsciamente, quelle che erano le sue doti vere, reali di uomo devo averle travasate nel personaggio Montalbano… mia moglie se n’è accorta.
Lui ha cominciato a vivere dopo la morte di suo padre?
Sì.
Quindi è stato anche un modo per lei per star vicino a suo padre…
Certo.
Che rapporti ha con Montalbano?
Be’… gli stessi rapporti che avevo con mio padre: lo amo e lo detesto, in alcuni momenti…
Ma lei quando lo ritrova? La mattina si mette lì e… quali sono i suoi orari?
No… Montalbano è un personaggio sempre presente. Sono io che sono costretto a…
…tenerlo lontano…
….a tenerlo lontano, perché altrimenti invaderebbe la mia vita. Poi è un killer, come ho detto altre volte… Montalbano, che è un commissario di polizia, in realtà è un killer… un killer di altri personaggi: cioè a dire se mi viene in mente un personaggio arriva Montalbano e dice  “no, per favore questo te lo faccio fuori: parla di me”
Quindi ecco l’egocentrico che viene fuori…
…ecco l’egocentrico…
Il suo amore, prima di essere quello per i libri e i romanzi di Montalbano, era il Teatro…
Era il Teatro. C’è stata per esempio la mia figlia maggiore, ora ultraquarantenne… le assegnarono un tema… sa, uno di questi temi orrendi che assegnano: Tema - Mio padre, la mia famiglia.
Che cosa ha detto?
E allora questo tema mi è rimasto impresso nella memoria: “ Mio padre quando torna a casa litiga con mia madre, poi si chiude nello studio e legge copioni. La sera esce e torna l’indomani mattina. Qualche volta sa fare andare la lavatrice.” E’ vero: la lavatrice si inceppava e io avevo trovato un sistema per farla procedere nel lavaggio.
Ora, che tutto il mio contributo familiare consistesse nel far procedere la lavatrice mi sembra francamente un po’ riduttivo, però era così che lei mi vedeva e forse quest’incubo ha fatto sì che  - mi colpì tanto questo tema – ha fatto sì che io coi miei nipoti sia in un modo diverso, suscitando le gelosie…
…delle figlie…
...delle figlie, madri dei miei nipoti che dicono “tu a noi così non ci trattavi”.
I Siciliani sono molto “famiglia”… amano molto …
Io amo moltissimo la famiglia. Io, col mestiere che ho fatto sempre fuori di casa, incontrando anche belle donne, tutto quello che volete, belle occasioni eccetera… Dio mio, sono sposato da quasi quarantasette anni con la stessa donna… non è merito mio.
Merito suo?
Eh, certo…
Perché lei è difficile da sopportare?
Io credo di sì…
Quali sono i suoi difetti?
Mah… quelli di Montalbano: l’egocentrismo,  essere sempre al centro dell’attenzione di tutti…
Cosa vuol dire essere Siciliani?
Vuol dire essere servito fino all’ultimo… io ammiro i miei generi, non letterari, quelli che hanno sposato le mie figlie, che lavano i piatti oppure badano ai bambini…
E invece lei fuma mentre gli altri….
Eh sì… io fumo e mi ritiro nelle mie stanze….
Senta, parlando di Camilleri l’intellettuale, la persona di cultura, il testimone… stiamo vivendo un periodo non semplice: lei cosa ne dice?
Io sono nato nel ’25 e la prima parola che ho capito verso l’età di nove anni, otto anni era la parola guerra: la guerra d’Abissinia, la conquista dell’impero etiopico da parte di Mussolini, nel ‘36/’37 ho continuato a sentire la parola guerra che era la Spagna e già nel ’38 ho cominciato a sentire la parola guerra che era la guerra devastante che c’è stata negli anni dopo. Mi sono illuso che la pace potesse esistere e ora mi ritrovo di nuovo a una elaborazione malefica del principio di guerra che è la guerra preventiva.
E’ il terrorismo, anche…
Devo distinguere tra terrorismo e guerra. Il terrorismo si manifesta in modo tale che ancora all’ ONU, all’ UNESCO non si riesce ancora a darne una definizione. Che cos’è il terrorismo? Erano terroristi Cesare Battisti e i nostri partigiani, a seconda dei punti da cui li vedi. Il terrorismo raggiunge forme abnormi, estreme, orrende come quella dell’11 settembre dove delle persone che si recano al lavoro – 3000 o giù di lì – vengono ammazzate senza un perché e senza un percome, questo è ignobile, ma la forma di combattimento di questo terrorismo è la guerra? Questa è la domanda di fronte alla quale noi oggi ci troviamo. E’ una guerra preventiva? La guerra preventiva significa che dove ci sia un’ipotesi di terrorismo si è autorizzati a fare la guerra.
Ma l’Iraq senza Saddam?
Meraviglioso… cioè a dire non bisogna giocare…
Non è così semplice…
Non è così semplice. Certo che noi ci troviamo di fronte a uno di quei dittatori che… le abbiamo viste le immagini… certe immagini possono mentire, altre non mentono. I Curdi ammazzati in un modo orrendo con il gas sono una realtà innegabile. La dittatura è il sistema peggiore che ogni nazione possa avere. Saddam non è implicato – perché non ce ne risulta uno degli attacchi alle torri gemelle – Saddam è se mai implicato in un’altra sorta di terrorismo che è il finanziamento alle famiglie dei Palestinesi che fanno i kamikaze… allora sono due problemi che non possono essere combattuti con una guerra, perché il terrorista è – Conrad insegna – è uno, due, tre… non sono un popolo.
Però porta pregiudizio a tutto un popolo…
Lei ha detto una cosa bellissima: portano pregiudizio a tutto un popolo… sta a chi ha l’intelligenza distinguere e levarsi da questo pregiudizio, colpire il terrorismo non significa mandare degli innocenti in ospedale senza gambe, senza piedi… perché questo alimenta il terrorismo, di questo ne sono convinto.
E come vive lei che parla di storie siciliane, di piccoli fatti giudiziari, di delitti, di cose di questo tipo, come fa a interessarsi, a riuscire a scrivere questo tipo di storie quando il mondo intorno a lei è…
Sai che cosa succede? Succede che questo che lei dice il piccolo delitto circoscritto diventa un paradiso… diventa un Eden… cioè diviene il luogo dove io mi rifugio fuggendo dall’orrore grosso. E mi creda, mi viene molto difficile, la sera, o il pomeriggio, guardare la televisione… Quando si diventa nonni si è deboli, in tante cose… si è vulnerabili. La sofferenza di un bambino, la sofferenza dei tuoi nipoti, la possibile, probabile sofferenza… ho una paura del diavolo quando vedo queste cose.
Ma lei, in questi giorni di guerra ha avuto la sensazione di essere più nervoso, più agitato?
Certo non tranquillo. Probabilmente più nervoso, sicuramente più arrabbiato, leggermente offeso, se mi è concesso dirlo… leggermente offeso in quanto Europeo. Ho sentito chiamare l’Europa, in un modo un po’ sprezzante, “questa vecchia Europa”… mah… siamo vecchi perché, come diceva Hegel, la Storia è un pesante fardello che noi Europei ci portiamo sulle spalle e questo fardello, con tutto il suo peso, credo che rallenti un po’ il passo di chi lo porta. Le nazioni con poca storia corrono più leggere di noi però il passo lento è quello più meditativo.
Ma lei pensa che questo periodo influirà sui suoi prossimi libri o no?
Non lo so. E’ difficile dirlo… vede, il mio ultimo giallo, questo ultimo di Montalbano, Il giro di boa… io non sapevo che sarebbero accaduti dei fatti che sarebbero entrati dentro questo libro… non lo sapevo, però questi fatti sono dovuti entrare perché fanno parte della realtà di oggi.
Può darsi che…
Può darsi che sì può darsi che no…
Quindi lei non sa mai quello che scriverà…
No. Questo è bellissimo…
Quindi non può dare nessuna anticipazione…
Non posso dare nessuna anticipazione su quello che scriverò perché quello che scriverò sempre, o quasi sempre, mi viene dettato da ciò che accadrà… e ciò che accadrà io al momento attuale non lo so.
Mi dicono che lei non sta lavorando tanto in questi tempi…
No.
Come lo chiama, lei, il periodo in cui non lavora? Perché ho sentito dire che c’è un modo siciliano…
Tambasiare, si chiama… cioè a dire … tambasiare è girare la mattina di un giorno di festa, metta conto, senza essersi sbarbato ancora in pigiama o come vuole lei, girando per le stanze della casa e facendo cose fondamentali come mettere un quadro che era un po’ fuori squadra… guardare una lettera senza leggerla… fare queste cose fondamentali… ecco. Che però sembrano un perdita di tempo e non lo sono. Sono una raccolta, una… come posso dire?… una somma di piccole cose che poi finiscono per determinare una qualche azione.
Mi sembra che l’elemento tempo, come occupare il tempo presente sia qualcosa che domina abbastanza la sua vita…
E’ molto acuto questo, perché uno deve fare i conti col tempo. Il tempo non è solo il tempo che tu perdi o impieghi in qualche modo… certe volte ti vengono anche le riflessioni sul tempo… cioè che cos’è il tempo? L’idea che il tempo continuerà dopo di te ti da un po’ di fastidio, l’idea che il tempo sia esistito prima di te è tutta una gran materia di studio, no? E l’idea che il presente ti impedisca qualche volta di dire io sono e ti fa preferire io ero - alla mia età io sarò è molto difficile dirlo – be’ questo è un pochino poco gradevole dire io ero, cioè avere la preferenza per il passato… forse è un fatto di età.
Professor Camilleri, la ringrazio e le auguro naturalmente, aspettando il prossimo
libro, il prossimo anche Montalbano, le auguro un buon lavoro.
[trascrizione a cura di Paola]
 
 

Liberazione, 9.4.2003
Nella nuova inchiesta di Montalbano la denuncia dei fatti di Genova diventa l'occasione per un salto di qualità insieme letterario ed etico
Il "giro di boa" di Camilleri

Dopo Genova, dopo quei drammatici giorni, si era detto e ripetuto: niente sarà più come prima. Per la politica, per la stessa etica. Per l'arte e la letteratura.
Purtroppo non sempre è stato così. Spesso, molto più spesso, ha prevalso la volontà di dimenticare, di semplificare, di banalizzare.
Ma c'è chi non è venuto meno al compito di ricordare, di cambiare se stesso e quello che fa. Tra questi - occupando un posto d'onore - Andrea Camilleri che con il suo ultimo romanzo, Il giro di boa (Sellerio Editore, Palermo, pp. 269, euro 10,00) fa un salto di qualità, insieme etico e letterario, che parte da quei giorni, dalla mattanza della Diaz, per scrivere, quasi scolpire, una lingua e un racconto impregnati di Storia. Di un presente dolente, a causa di una guerra preventiva e infinita che è anche fatta di uomini donne bambine e bambini naufraghi nel mondo della globalizzazione.
Per lo scrittore di best-seller è finito il tempo di stare a guardare. E' davvero finito.
Allo stesso modo la pensa il suo personaggio icona, Montalbano, protagonista de Il giro di boa. Saputo quello che è successo nel capoluogo ligure, il commissario di Vigàta entra in crisi. Splendido, da antologia, l'attacco: «Nuttata fitusa, 'nfami, tutta un arramazzarsi, un votati e rivotati, un addrummisciti e un arrisbigliati, un susiti e un curcati». L'agitazione di Montalbano non è la stessa, celebre, di don Abbondio. E' semmai l'agitarsi di fra' Cristofaro. Non è espressione di ignavia. E' l'esatto opposto. Saputo quello che è successo alla Diaz, il commissario entra a tal punto in crisi che si vuole dimettere. Che c'entra lui con quella polizia, che falsifica le prove, che massacra pacifici ragazzi no global? Il fatto è - scrive Camilleri, pensa Montalbano - che «i suoi compagni e colleghi, a Genova, avevano compiuto un illegale atto di violenza alla scordatina, una specie di vendetta fatta a friddo e per di più fabbricando prove false. Cose che facevano tornare in mente episodi seppelluti della polizia fascista o di quella di Scelba». Ma il nostro protagonista va ancora più in là. Perché non solo denuncia le connivenze in ambito governativo durante le giornate di luglio, ma accusa come anche a Napoli, il marzo precedente, quando l'esecutivo era di centrosinistra, le cose non andarono in maniera diversa. Esclama infatti Montalbano, nel dialogo con un collega: «La metto peggio di prima. Credi che non ci abbia riflettuto, Mimì? Vuol dire che tutta la facenna è assai più grave». «Cioè», chiede l'altro. «Che questa lurdia è dentro di noi» risponde lapidario il commissario.
Se questo è l'incipit, del romanzo e di una nuova fase della Storia, il racconto è conseguente, sul piano della scelta linguistica e della costruzione simbolica. Camilleri cambia registro e fa sbattere il muso al suo protagonista contro le contraddizioni del mondo, che prendono la forma di un corpo morto sui cui finisce lo scoraggiato Montalbano.
Ma è soprattutto nell'incontro con un bambino migrante, sbarcato da una delle tante navi cariche di disperazione, che il celebre personaggio deve misurare se stesso e il proprio livello di assunzione di responsabilità. Dopo averlo preso per mano, guardato negli occhi, toccata la sua magrezza da campo di sterminio, quella creatura viene uccisa. Montalbano, già incazzato per la terribile legge Cozzi-Pini (evidente e sarcastico riferimento alla Bossi-Fini), perde davvero le staffe. E' anche colpa sua se il bambino, che pure aveva tentato di fuggire, finisce nelle mani degli assassini. Ma invece di arrendersi, decide di stare. Di non mollare.
Le inchieste vanno avanti parallelamente, apparentemente separate. Ma ancora prima che, leggendo il romanzo, scopriate quale intreccio lega i diversi episodi, è evidente che c'è un legame simbolico tra Genova (e la mattanza della Diaz), il corpo morto, il bambino che tenta di fuggire e poi muore. Il punto in comune è il mondo in cui viviamo, il suo sistema politico ed economico, il suo livello di sfruttamento.
Come il celebre commissario anche lo scrittore siciliano non ci sta. E non ci sta in primo luogo sul piano della lingua. Molto più che negli altri romanzi Camilleri scava con il dialetto siciliano dentro le forme dell'italiano. Quella lingua dei governanti e dei burocrati, di chi parla bene e razzola male. La lingua del conformismo e della menzogna, dove il principio di contraddizione non vale più. E chi governa, e non solo, può dire tutto e il contrario di tutto, senza una possibile verifica di verità. Camilleri, scava e scava, trasformando non solo la grammatica, ma la stessa sintassi. E se la lingua è in primo luogo la descrizione (la creazione) di un mondo, quello de Il giro di boa, è un altro mondo. Dove prevale l'indignazione, la ribellione, dove l'esistente diventa, è inaccettabile. E si può, si deve cambiare.
C'è un gioco che si ripete nel romanzo. Catarella, uno dei poliziotti che lavora con il commissario di Vigàta, sbaglia sempre i nomi. Anche quello di un giornalista, Sozio Melato, che al di là delle apparenze si rivelerà assai utile per sbrogliare l'intricata inchiesta. Quando lo pronuncia il collaboratore di Montalbano il suo nome viene trasformato in Ponzio Pilato. Lapsus che ricorre molte volte, troppe, per non essere interpretato come una chiave di lettura del libro. Secondo l'esegesi biblica Pilato è colui che non sceglie, che sa ma non vuole assumersi la responsabilità di dire la verità. E che fa finta di nulla. Montalbano-Camilleri si oppongono all'indifferenza, scelgono da che parte stare. Una presa di posizione che lascerebbe il tempo che trova se non si fissasse in immagini di grande forza emotiva, in una letteratura di primissimo ordine. In un "giallo" di rara qualità, dove la mimesi della realtà, altre volte troppo prevalente nei romanzi di Camilleri, questa volta è solo un punto di partenza per costruire la rivolta. Della società. Della letteratura. E anche di chi legge.
Post- scriptum: Il giro di boa fa anche sbellicare dalle risate.
Angela Azzaro
 
 

Liberazione, 9.4.2003
Sellerio, un simbolo della cultura siciliana creato da una donna coraggiosa
Nasce nel 1969

La storia della casa editrice Sellerio, fiore all'occhiello della cultura siciliana, coincide praticamente con buona parte della vita della sua fondatrice, appunto Elvira Sellerio. Dopo aver lavorato per quattordici anni presso l'Eras (Ente riforma agraria in Sicilia), questa donna coraggiosa diede vita nel 1969 alla casa editrice, con la speranza, tra le altre cose, di ridare nuova linfa al suo matrimonio con Enzo, di professione fotografo. Ma le cose andarono diversamente e nel '79 i due si separarono e, di comune accordo, divisero anche l'attività editoriale: Elvira continuò ad occuparsi di narrativa e saggistica mentre suo marito di libri illustrati. Le prime collane della Sellerio, furono la "Civiltà perfezionata", poi "Prisma", diretta sempre da Nino Buttitta, amico di famiglia, antropologo legato al Partito socialista. La casa editrice è poi diventata famosa per il grande exploit di Andrea Camilleri, iniziato negli anni '80, e dei gialli di Margaret Doody. Il primo successo del creatore del commissario Montalbano è "Birraio di Preston", uscito alla fine degli anni '80, per la collana "La Memoria", una serie ormai divenuta famosa e caratterizzata per il rettangolo blu sempre corredato da un'immagine scelta dall'ex marito della signora Sellerio. Alla realizzazione della collana diede un contributo fondamentale Leonardo Sciascia che però, prima di morire nel 1989, firmò un accordo con la casa editrice Adelphi, con il quale cedette tutti i suoi diritti di autore. Un gesto che addolorò molto la Sellerio, che però rispettò la scelta dello scrittore scomparso.
Ancora oggi, il successo di questo gioiello della cultura isolana e nazionale di fatto assorbe tutte le giornate della signora Elvira, dopo la breve parentesi del '92 e '93, quando fece parte del Cda della Rai. A lavorare con lei quasi tutte donne, a parte suo figlio Antonio. Il suo braccio destro è Chiara Restivo, figlia dell'ex ministro e moglie del giudice Peppino Di Lello, europarlamentare di Rifondazione comunista. A 67 anni Elvira Sellerio non demorde, anche se non esclude di coinvolgere sempre più i figli alla gestione della sua creatura.
 
 

Rai 3, 13.4.2003
Per un pugno di libri

Nel corso della trasmissione, dedicata a "La donna della domenica" di Fruttero & Lucentitni, Piero Dorfles ha presentato "Il giro di boa", dicendo che se Fruttero & Lucentini sono tra i grandi del giallo italiano questa stessa cosa non può non dirsi di Andrea Camilleri. Ne "Il giro di boa" il suo Commissario Montalbano, come il Commissario Santamaria, dimostra non soltanto di essere un ottimo poliziotto, ma anche un poliziotto onesto e molto sensibile, con anche dei forti principi etici, e che è capace di scelte estreme. Tant'è vero che, dopo i fatti di Genova e un comportamento non proprio provvidenziale della polizia, il Commissario Montalbano sta per dare le dimissioni, se non fosse che quella mattina nel fare una lunga nuotata al largo si imbatte in un cadavere galleggiante: per riportarlo a casa lo lega al suo costumino e quando esce, nudo, viene arrestato.
[segnalazione di Paola]
 
 

Reuters, 14.4.2003
RTRS-Libri
Il noir italiano, in "crisi di realtà", salvato dal G8

ROMA, 14 aprile (Reuters) - Finiti i tempi degli imitatori nostrani di Agatha Christie, o degli emuli delle detective's story americane, il noir all'italiana vive da qualche anno, anche all'estero, una fortunata stagione editoriale.
Eppure, nonostante il successo di Andrea Camilleri, Carlo Lucarelli o Giorgio Faletti, malgrado la moltiplicazione di autori e titoli, secondo un esperto del settore il genere è in crisi di creatività, non molto attento all'attualità e ai fenomeni sociali, troppo ispirato a modelli letterari, più che dalla realtà.
Anche se una salutare scossa potrebbe venire dal "trauma" del G8, dai giorni di proteste noglobal e di violenza che nell'estate del 2001 accompagnarono il vertice di Genova dei Sette paesi più industrializzati del mondo e della Russia, e che hanno lasciato dietro di loro una scia di polemiche, dubbi sull'operato delle forze dell'ordine e inchieste giudiziarie ancora in corso.
"Da qualche anno a questa parte a quella che in Italia viene vissuta come la stagione più felice dal punto di vista delle vendite, corrisponde a un periodo di mancanza creativa - dice a Reuters Luigi Bernardi, 50 anni, che da alcuni anni cura la collana "Stile Libero Noir" di Einaudi insieme a Lucarelli, uno dei più prolifici e noti autori italiani di noir.
"A parte alcuni autori che si guardano attorno, che sanno raccontare una criminalità plausibile, tutto il resto è una rimasticatura del genere - dice Bernardi, che è anche traduttore, critico letterario, giornalista e scrittore (ultimo libro, uscito proprio in questi giorni: "Vittima facile" editrice Zona). "Abbiamo tantissimi tardo-finti commissari Maigret, poliziotti stanchi e disillusi, che riflettono una stanchezza del vivere e della giustizia, che conducono indagini vecchie".
Anche nei manoscritti degli aspiranti autori che Bernardi legge in abbondanza, c'è "poco sangue, ci sono pochi sapori, pochi odori, pochi cervelli che pensano".
L'esplosione del noir in Italia risale ai primi anni 90, grazie soprattutto a Lucarelli (ultimo libro: "Misteri d'Italia. I casi di 'Blu Notte'", Einaudi), da tempo approdato anche in tv con le sue trasmissioni sui misteri italiani.
A differenza del giallo "classico" nel noir non è così importante scoprire chi è l'assassino, ma contano di più l'atmosfera, le dinamiche sociali, i caratteri dei protagonisti.
E come nel caso della Francia, dove il noir si è imposto ormai da decenni, anche in Italia i "noiristi" sono spesso gente di sinistra, e nei loro scritti c'è una parte di critica sociale, si percepisce un sentimento di opposizione.
GENERAZIONE NOIR
"Si tratta di nuovi scrittori vogliono raccontare il loro paese, i misteri, quello che accade, un certo punto di vista non ufficiale, con un certo taglio sociale. C'è un'impronta fortemente sociale, poi declinata in vari modi", spiega a Reuters Sandrone Dazieri, 39 anni, direttore editoriale della celebre collana "Il Giallo Mondadori" e "noirista" lui stesso ("Gorilla Blues", Mondadori).
"C'è chi è più letterario, come Marcello Fois ("L'altro mondo", Frassinelli), chi sa perfettamente come funziona la polizia, come Lucarelli, chi è un inventore di ballate metropolitane giocate sul calembour come Andrea Pinketts ("Nonostante Clizia", Mondadori), chi parla di criminalità come Massimo Carlotto ("Il maestro di Nodi", Edizioni E/o) chi viene dai centri sociali, come me".
E tra gli "avanguardisti" del noir, Dazieri indica Loriano Macchiavelli ("I sotterranei di Bologna", Mondadori), creatore del celebre brigadiere Sarti Antonio, "un prototipo di poliziotto inserito in una realtà urbana, credibile".
Ma la consacrazione del giallo-noir italiano come fenomeno da best seller si deve ad Andrea Camilleri ("Il giro di boa", Sellerio), con le sue avventure del commissario siciliano Salvo Montalbano, che ottengono a ogni nuovo volume un record di vendite, e che sono diventate un serial tv di successo.
Eppure, per Luigi Bernardi, la grande produzione di noir di questi ultimi anni, con il moltiplicarsi di collane dedicate al genere e di un'attenzione enormemente cresciuta da parte dei media, non deve trarre in inganno: "Se arrivasse un marziano e cercasse di capire l'Italia attraverso i gialli, penserebbe che questo è un paese di serial killer, di gente che ammazza per l'eredità... A parte Dazieri, o Carlotto, nessuno parla di albanesi, di mafie diverse da quella classica, che comunque è cambiata anch'essa".
"IO UCCIDO"? TROPPO AMERICANO
Un esempio in negativo? Bernardi non ha dubbi, è quel "Io uccido" (edito da Baldini&Castoldi) dell'attore e cantante Giorgio Faletti che è da mesi e mesi ai primi posti delle classifiche dei libri più venduti.
Una trama piuttosto classica, e ispirata alla tradizione del thriller americano, quella del volume di Faletti: un dj di Radio Monte Carlo è minacciato da un misterioso serial killer, in una spirale di colpi di scena e omicidi su cui indaga un agente dell'Fbi in congedo.
"Non riesco a spiegarmi come il romanzo di Faletti abbia venduto tanto - dice Bernardi - Ha scritto un romanzo mediocre che avremmo rimproverato a uno scrittore medio americano".
Dello stesso avviso anche Dazieri: "Un romanzo a grandissima diffusione, e costruito bene, dal punto di vista della presa sul pubblico.
Ma è un libro che riporta il giallo italiano alla sudditanza verso il genere americano... si ripropone come l'imitazione dell'America".
D'altronde, per l'inventore del "Gorilla", "c'è una grandissima parte del pubblico a cui non frega niente del discorso sociale o politico del giallo: vuole il divertimento puro, il serial killer".
A differenza di Bernardi, Dazieri è però meno categorico sulla "crisi" del noir italiano: "Il problema non è la crisi del noir... Il punto, invece, è che noi andiamo a occupare un microscopico spazio lasciato libero dagli scrittori di letteratura "bianca", o di letteratura propriamente detta, che dagli anni 70 hanno smesso di parlare dell'oggi. Anche quelli più impegnati. La maggior parte si guarda l'ombelico... E' più interessante il proprio intimo, il proprio diario, il proprio amore".
Insomma, "c'è una morte del presente nella letteratura italiana... Gli unici che ne parlano sono gli autori del noir. E se parli di albanesi o di G8, non puoi certo pensare di vendere 300.000 copie", conclude Dazieri.
"IL GIRO DI BOA" DEL G8
Ma è proprio la vicenda del G8 a convincere Serge Quadruppani, uno scrittore francese da noi noto soprattutto per essere il traduttore in Francia di Andrea Camilleri, che il rapporto tra noir italiano e realtà non è affatto in crisi: "Ci sono tre romanzi recenti che parlano di G8, quello di Dazieri, quello di Carlotto, l'ultimo di Camilleri. E' una coincidenza che mi ha colpito molto, quello è stato un trauma importante per l'Italia", dice Quadruppani, 51 anni, a Reuters.
Per Quadruppani - la cui traduzione de "L'odore della notte" di Camilleri è appena uscita in Francia col titolo "L'odeur de la nuit" per Fleuve Noir - quella del noir italiano "non è più soltanto una crescita, è una vera e propria affermazione. Fino a 10 anni fa, il campo era scarso".
E in Francia, come sono accolti i nostri scrittori di noir? "Camilleri ha sfondato, alcuni vanno abbastanza bene, come Dazieri o Fois. Ma è ancora presto per parlare di fenomeno editoriale".
Ma per l'autore di "L'assassina di Belleville" (Mondadori), l'importante è che l'Italia stia uscendo da "questo atteggiamento provinciale, per il quale si pensa che la letteratura di genere, il noir, non sia letteratura... Eppure (Carlo Emilio) Gadda, o (Leonardo) Sciascia, hanno scritto gialli. Per (Daniel) Pennac è lo stesso, ha cominciato scrivendo noir".
"Mi ricordo che quando in Italia dicevo di essere uno scrittore, mi guardavano con ammirazione - dice Quadruppani - Poi, quando spiegavo che scrivevo gialli, vedevo comparire un mezzo sorriso sulla bocca dei miei interlocutori... ora però è diverso, penso che ci sia un fenomeno di cambiamento culturale, di apertura, contro la rigidità accademica che regnava prima".
Massimiliano Di Giorgio
 
 

Giornale di Sicilia, 14.4.2003
Festa della polizia, gli auguri pure da Camilleri

Il centocinquantunesimo compleanno della polizia si è concluso ieri sera con una grande kermesse al Teatro Politeama. Alle 21 ad accogliere le autorità, i funzionari di polizia, accompagnati dalle loro famiglie, e tutti gli invitati _ più di 1150 _ sono stati l'orchestra sinfonica del conservatorio "Francesco Bellini" e il coro del corpo della polizia. Sotto la direzione dei maestri Carmelo Caruso e Marcello Iozzia, orchestra e coro hanno eseguito l'inno di Mameli, il Nabucco e Va' pensiero di Verdi, compresi in un ampio repertorio di musica classica che ha caratterizzato la prima parte dello spettacolo. Nell'intervallo l'intervento del questore Francesco Cirillo che ha ringraziato i presenti e ha ricordato gli obiettivi raggiunti in quest'ultimo anno dal corpo di polizia. "Vicini alla gente è il nostro motto e un'esigenza da perseguire a ogni costo _ ha detto _. Proprio per rimarcare questo nostro impegno civile tra la gente, per la gente e con la gente, abbiamo voluto che quest'anno i poliziotti si avvicinassero alle tradizioni culturali di Palermo nello splendido e glorioso teatro Politeama Garibaldi". Presentatore della serata l'attore agrigentino Gianfranco Iannuzzo, che ha letto agli invitati un brano di Andrea Camilleri. Lo stesso Camilleri in videoconferenza ha rivolto un saluto alla polizia, padre di quel commissario Montalbano che ha spopolato in libreria e in tv. Poi, su un grande schermo, sono stati proiettati due filmati per ricordare i caduti della polizia e illustrare i compiti delle forze dell'ordine. Nel primo, una dolorosa carrellata sui luoghi delle stragi, dal 1958 a quella di via D'Amelio, in sottofondo la voce di Iannuzzo che ha letto i nomi delle vittime della mafia. La seconda parte della serata ha visto protagonista il cantante e attore Massimo Ranieri. L'artista si è esibito in concerto, cantando numerosi successi della sua lunga carriera, da "Rose rosse" a "Perdere l'amore", la canzone con la quale ha vinto il festival di Sanremo nel 1988. Accompagnato da sei musicisti, capitanati da Mauro Di Domenico, ha proposto pure canzoni dell'album "Oggi o dimane". Al termine della serata, sul tetto del Teatro, hanno illuminato il cielo particolari giochi fluorescenti. Davanti a piazza Castelnuovo, con il naso all'insù, gli invitati in abito da sera hanno letto una scritta luminosa comparsa accanto ai quattro cavalli del Teatro: "Evviva Palermo, evviva la polizia di Stato".
Romina Marceca
 
 

Bresciaoggi, 16.4.2003
Nuovo appuntamento al «S. Barnaba» con i peccati capitali
L’ira secondo Boncinelli è genuina e necessaria
«Gola»: il 29 forfait di Camilleri, sostituito (ma il 30) da Vissani

[...]
Il 29 aprile, per parlare del tema della «gola», doveva esserci lo scrittore Andrea Camilleri, ma il papà del commissario Montalbano ha dato forfait. In sostituzione, il giorno 30 il famoso chef Gianfranco Vissani sarà intervistato da Enzo Vizzeri.
Nino Dolfo
 
 

Tele Akras, 16.4.2003
Intervista ad Andrea Camilleri
Cliccare qui per ascoltare un brano
 
 

La Sicilia, 16.4.2003
Benvenuti al «Caffè Vigata»

Porto Empedocle. Il «Ladro di merendine» tradotto in cinese, russo, inglese, o il «Birraio di Preston» in spagnolo, tedesco o francese. Il tutto, immerso nell'atmosfera del bar all'ingresso di via Roma che, tra qualche giorno, si chiamerà «Caffè Vigata».
Senza aspettare che enti pubblici di vario genere seguano la scia del «Camilleri business», Stefano Albanese e i suoi figli proseguono nella inarrestabile metamorfosi che li ha ormai resi gestori di una vera e propria «segreteria» del noto scrittore empedoclino. Oltre a raccogliere i libri dei cultori del «papà» del commissario Montalbano per farli autografare dall'autore, il titolare del bar ha messo in vetrina una ventina di libri del prestigioso compaesano, tradotti in molte lingue e inviati nei giorni scorsi dalla sorella di Camilleri [in effetti si tratta della sorella di Albanese, Camilleri è figlio unico, NdCFC], nella città in cui lo scrittore tornerà in questo fine settimana per trascorrere le festività pasquali. Desta una certa sensazione il vedere tradotto con ideogrammi con caratteri cirillici le pubblicazioni dello scrittore. Particolare curiosità ha suscitato soprattutto e da subito la copertina del «Ladro di merendine» in versione «made in Japan».
I volumi che racchiudono le opere sono stati disposti in uno degli scaffali della vetrina dove sono sistemate le uova di pasqua. Ma cosa ci farà Albanese con questi libri scritti in maniera incomprensibile per molti? I destinatari dell'iniziativa non sono gli empedoclini, ma i turisti stranieri i quali, tra un caffè e un cannolo con crema di ricotta, potranno trascorrere qualche minuto immersi nella lettura delle avventure di Montalbano, tradotte nella loro lingua. Un business fai da te, visto che fino a oggi, nessun ente pubblico aveva pensato di sfruttare il successo planetario di Camilleri, per guadagnare qualche soldo in più, oltre a una notevole dose di visibilità e prestigio. Intanto, nel «bar segreteria» fervono i preparativi per la sistemazione della nuova insegna che verrà piazzata tra qualche giorno. Accanto alla dicitura «Bar Albanese», campeggerà infatti un inequivocabile «Caffè Vigata», in onore dell'illustre rappresentante della cittadina marinara nel mondo, le cui fotografie fanno capolino alle pareti del locale.
Francesco Di Mare
 
 

Gazzetta del Mezzogiorno, 16.4.2003
Sellerio raccoglie le note di copertina
Leonardo Sciascia e i risvolti della memoria

È il volume numero 567 della collana «La memoria» delle edizioni Sellerio di Palermo quello che raccoglie tutti i materiali del lavoro editoriale (dai risvolti di copertina a lettere e consigli) di Leonardo Sciascia, che quella collana creò nel 1979, per smentire il detto secondo il quale «stampare libri in Sicilia è come coltivare fichidindia a Milano».
Si intitola Leonardo Sciascia scrittore editore, ovvero La felicità di far libri (pp. 316 - euro 10,00) ed è curato da Salvatore S. Nigro, partendo dal progetto dello stesso scrittore prima di morire nel 1989, cui divertiva il gioco che sarebbe nato dal titolo «I risvolti della memoria», in cui raccogliere i 70 risvolti scritti per i primi 71 numeri della sua collana (non era suo solo quello per Donna di Porto Pim di Antonio Tabucchi).
E ora eccoli qui riuniti, dal primo per il suo Dalle parti degli infedeli sino a Retablo di Vincenzo Consolo. Se Vittorini, come ricorda Nigro nella sua introduzione, componeva di sua mano i risvolti dei «Gettoni» einaudiani e Gallo e Sereni quelli per «Il Tornasole» di Mondadori, Sciascia lavorava sulla traccia composta redazionalmente, e vi lavorava con minuzia e attenzione ai particolari, aggiungendo e tagliando, come dimostrano gli esempi riportati, relativi a Le dorate stanze di Luisa Adorno e a La strage dimenticata di Andrea Camilleri [la cui prima edizione però non è stata pubblicata ne "La memoria", ma nella collana "Quaderni della Biblioteca siciliana di storia e letteratura", NdCFC], due autori non scoperti da lui, ma che lui rilanciò creando loro l'attenzione che meritavano, mentre è tutto da ascriversi a suo merito il debutto di Gesualdo Bufalino.
Del resto il titolo della collana nasceva dal rilevare come «uno dei più evidenti e gravi difetti della società italiana.... stesse nella mancanza di memoria», così che i libri proposti nascevano come «un'esortazione a non dimenticare certi scrittori, certi testi, certi fatti», come scriveva lo stesso Sciascia nella presentazione per l'uscita della nuova collana Sellerio.
La raccolta si apre con la auto-nota per il segnalibro che accompagnò L'affaire Moro, uscito nel '78 nella collana senza risvolti «La civiltà perfezionata», in cui l'autore rispondeva anonimamente alle lodi preventive di Scalfari e di Montanelli: «Può darsi che i due illustri giornalisti - e quanti altri si sono occupati di questo libro senza averlo ancora letto - si sbaglino: e cioè che il libro non affascini, non commuova, non abbia qualità letterarie; che sia soltanto una nuda e dura ricerca della nuda e dura verità».
Poi nel 1983, ristampandolo, notava «a distanza di cinque anni questo libro potrebbe anche essere letto come opera letteraria. Ma l'autore - come membro della Commissione parlamentare di vigilanza sull'affaire - ha continuato a viverlo come opera di verità».
Dalla ricchezza dei materiali di questo volume esce evidente come Sciascia abbia segnato la vita e il futuro, che continua ancora secondo le direttive da lui impostate allora, della casa editrice di Elvira Sellerio, facendo da consigliere, consulente, lettore, direttore editoriale e, grazie al suo nome e conoscenze, promotore di un «far libri» secondo uno stile preciso, raffinato e popolare assieme, sempre colto e attento alla storia con quello sguardo illuministico che era proprio della sua partecipazione scettica alla vita e della sua fiducia nella letteratura, di «uomo che sa leggere il mondo attraverso i libri e i libri attraverso il mondo».
Paolo Petroni
 
 

NRK 2, 17.4.2003
Tra le 8:15 e le 9:30, andrà in onda sulla radio norvegese una conversazione fra il giornalista italo-norvegese Ugo Fermariello e Jon Ronglien, che ha tradotto in norvegese La forma dell'acqua. Il libro è appena stato pubblicato in Norvegia, col titolo Slik vann tar form.
 
 

Il Venerdì di Repubblica, 18.4.2003
Gialli. Chi sta giocando sulla parentela
Il fratello segreto di Andrea Camilleri

Un giallo degno di Montalbano.
Ma ambientato a Milano anziché nell'immaginaria Vigàta.
I personaggi sono Stefano e Sandro Camilleri, padre e figlio, che nel capoluogo lombardo dirigono la CardNet, società di informatica. In un comunicato risultano essere fratello e nipote di Andrea, lo scrittore. Che però è figlio unico. Mistero, Anzi equivoco. "Lo chiamo zio", conferma Sandro, "ma la verità è che siamo parenti alla lontana".
 
 

La Repubblica, ed. di Roma, 18.4.2003
Presentata la seconda edizione della manifestazione: dodici appuntamenti dal 21 maggio al 20 giugno. Le letture affidate anche agli attori
Letteratura a tempo di jazz a Massenzio il Festival dei big
E sul palco salgono De Lillo, Auster, Camilleri 
In cartellone, insieme alle novità dalla scena russa, anche Sontag e Lessing. Un programma che ha "convinto" Pennac
Enrico Rava e Stefano Bollani suonano per le parole di Andrea Camilleri che saranno lette oltre che dall'autore da Luca Zingaretti

Per esempio Daniel Pennac aveva detto di essere molto occupato in quei giorni. Libro da finire, letture pubbliche, insomma troppi impegni. Agli organizzatori aveva risposto, «desolé» niente Roma. Poi ha ricevuto via mail il calendario del Festival internazionale di letteratura. Ha letto i nomi degli scrittori, forse ha avuto modo di capire meglio cosa succede sotto le stelle della primavera romana alla basilica di Massenzio per il secondo anno consecutivo, sulle note del jazz e con un felice coro di attori. Alla fine neanche lui ha resistito: il caleidoscopico autore della «Fata carabina» arriva a Roma. La scena sarà sua giovedì 5 giugno, la lettura di un suo testo affidata alla voce di Silvio Orlando, subito dopo Tracy Chevalier, l´autrice del romantico (e amatissimo) «La ragazza con l´orecchino di perla».
È una piccola storia che dice molto della nuova edizione del Festival delle Letterature che torna con dodici appuntamenti, dal 21 maggio al 20 giugno alle nove di sera ad ingresso rigorosamente gratuito, schierando una scelta di artisti sui tre fronti - letterario, musicale, di spettacolo - da veri appassionati. Anche quest´anno il jazz accompagnerà le letture di testi da parte degli attori subito prima della lettura, in lingua originale, degli scrittori invitati che hanno preparato un testo proprio per Roma. Per tutti il tema da svolgere è «Passato, presente».
La presenza degli italiani è la principale novità di questa edizione. Due classici come Dacia Maraini e Andrea Camilleri affiancano il meglio della letteratura americana.
[...]
Francesca Giuliani
 
 

Liberazione, 18.4.2003
Dal 21 maggio al 20 giugno, grandi scrittori ospiti del festival internazionale
"Passato, futuro". Roma capitale della letteratura

E' uno degli eventi più interessanti e più ricchi dell'inizio estate romana. Lo ha voluto fortemente il sindaco Walter Veltroni, e quest'anno è alla sua seconda edizione. Parliamo del Festival internazionale Letterature, presentato ieri in Campidoglio e curato da Maria Ida Gaeta, responsabile della meritevole Casa delle Letterature. Davvero un grande evento, non solo di facciata, che già l'anno scorso ha portato nel cuore della capitale le migliori firme della scrittura mondiale. E che ha visto una partecipazione notevole di gente, a dimostrazione della validità di un esperimento in cui la parola scritta diventa incontro, racconto, affabulazione.
L'iniziativa si ripete quest'anno, nello scenario magnifico della Basilica di Massenzio, con la stessa formula: presenza dell'autore, letture affidate a bravi artisti, commenti musicali appropriati. Le date sono quelle comprese tra il 21 maggio e il 20 giugno, con un calendario molto fitto.
[...]
Serata da non mancare anche quella con il siciliano Andrea Camilleri, il 27 maggio. Del suo ultimo libro "Il giro di boa" (Sellerio ed.) abbiamo già avuto occasione di parlare sul nostro giornale, con il suo Montalbano che entra in crisi dopo i fatti di Genova. Libro e serata, lo ripetiamo, da non perdere.
[...]
Roberta Ronconi
 
 

Corriere della sera, 18.4.2003
Festival dal 21 maggio
De Lillo e Auster nella basilica parlano di libri

Arriveranno anche Doris Lessing e Don De Lillo, Susan Sontag e Paul Auster, Daniel Pennac e Hanif Kureishi tra gli scrittori che daranno vita alla seconda edizione del Festival internazionale delle Letterature, in programma dal 21 maggio al 20 giugno nella cornice della basilica di Massenzio. «Il tema di questa edizione è dedicato al "passato-futuro" - ha specificato il sindaco Walter Veltroni, che ieri ha presentato la manifestazione - e vuole proporre una riflessione sul rapporto tra la memoria del vissuto individuale e collettivo e le brucianti questioni del domani». Tutti gli autori sono stati invitati a confrontarsi con lo stesso argomento e molti di loro presenteranno degli inediti. La formula è quella dello scorso anno: sul palco di Massenzio gli scrittori leggeranno i loro testi avvicendandosi con un gruppo di attori, tra cui Valeria Moriconi, Giuseppe Cederna, Silvio Orlando e Laura Morante. Il commento musicale sarà affidato ad alcuni musicisti della scena contemporanea, come Ludovico Einaudi, Enrico Pierannunzi, Andrea Centazzo.
Le novità di quest’anno sono due: accanto ad autori molto affermati ci saranno anche scrittori emergenti, come la giovanissima russa Irina Denezkina o l’americana Tracy Chevalier, e scrittori italiani, come Andrea Camilleri che sarà letto da Luca Zingaretti (popolare interprete del commissario Montalbano) e Dacia Maraini i cui brani saranno presentati da Ascanio Celestini. 
L. Col.
 
 

La Stampa, 18.4.2003
TORNA «LETTERATURE»
Arrivano i più grandi scrittori del mondo a tu per tu con il passato e con il futuro

[...]
Gli italiani sono due e di tutto rispetto: il “Simenon italiano” Andrea Camilleri, di recente insignito dal presidente Ciampi del titolo di Grand’Ufficiale, e la pluripremiata Dacia Maraini.
[...]
Valentina Pigmei
 
 

La Sicilia, 19.4.2003
Camilleri: «Nel '43 l'unico saccheggiatore fui io. Di libri»

Sciascia vide una festa nello sbarco alleato in Sicilia perché una divisione, la «Texas», era formata da figli di emigrati siciliani che fraternizzarono parlando in dialetto. Negli stessi giorni - oltre che nella stessa zona - come vide lo sbarco Andrea Camilleri? «Avevamo passato - dice - giorni duri, sotto mitragliamenti e scontri, per cui se non fu una festa, l'invasione ebbe un senso di liberazione».
Una parte della popolazione parteggiò per gli alleati, un'altra per i nazifascisti. Divisa, com'è successo in Iraq.
«Io vedevo la popolazione impegnata in un gioco a nascondere. Favoriva per esempio la fuga dei prigionieri italiani che venivano portati al porto per essere imbarcati per l'Africa. Faceva il possibile per distrarre gli autisti e i soldati, magari ubriacandoli. Poi andava a festeggiare gli alleati.»
Fu un'occupazione o una liberazione?
«Non mi sento di chiamarla occupazione. Anzi mi sento di riconoscere agli alleati l'importanza di quanto hanno fatto. Io non sono un pacifista di fondo, ma uno che dice "quando ci vuole ci vuole": e quella invasione di americani, inglesi, russi, canadesi, ci voleva.»
Però arrivarono anche i marocchini dell'esercito francese. E stuprarono e depredarono paesi, come avvenne a Capizzi. 
"A Capizzi la gente fece una giusta rivolta contro quella che non era più una liberazione ma che si profilava come una vendicativa occupazione. Credo che il problema di base sia sempre la guerra, che porta con sé sempre scie inevitabili di violenza.»
Già, ma qualcosa cambia: quelli che allora erano chiamati liberatori oggi in Iraq sono detti conquistatori.
«Diciamoci francamente che Germania e Italia rappresentavano un assoluto pericolo per l'Europa, mentre non mi pare si possa dire la stessa cosa per Saddam.»
Come no? Lo hanno chiamato nuovo Hitler.
"I kuwaitiani lo hanno visto come tale. Se io fossi del Kuwait credo che sarei felice della lezione impartita a Saddam. E stia attento che, dicendo questo, non sono minimamente vicino a Saddam.»
Ma nemmeno a Bush, mi pare.
«Infatti. Nemmeno vicino a Bush, ma non all'America. Sono contro la politica estera di Bush e spero che questa dottrina della guerra preventiva sia stata applicata solo in Iraq.»
A Bagdad si sono avuti atti di saccheggio anche di musei.
«E' fisiologico dopo anni di privazioni e di fame. Esecrabile ma comprensibile. Nella rivoluzione sovietica, il commissario appena insediato, tra i primi atti, dispose di sorvegliare con le armi i musei. Questo in Iraq non è stato fatto.»
Ricorda se ci furono saccheggi nel '43 in Sicilia?
«Non mi risulta. Credo di esere stato io l'unico saccheggiatore. A Serradifalco i tedeschi, prima di andarsene, disgustati dal tradimento italiano, presero a cannonate la Casa del Fascio e io ci sono andato a fare razzia di libri. Ma nessun altro razziò niente.»
Gli angloamericani sì e fecero dei soprusi. Un pretore che protestò contro gli inglesi per delle angherie e disse «Non potete fare di tutta l'erba un fascio» fu deportato perché agli inglesi bastò aver sentito la parola «fascio».
«Può darsi. Per esempio al mio paese arrivavano muniti di una lista dei fascisti e furono tutti presi e imprigionati. Mi aspettavo che prendessero anche mio padre, che era fasciscta. Invece gli misero una fascia al collo e lo fecero capo civile del porto, perché ci lavorava.»
Nel '35 anche lei fu tentato di farsi balilla e combattere contro gli Abissini. E' la storia del suo prossimo libro.
«Avevo dieci anni.»
Poco più grandicello Vittorini scappò per partecipare alla marcia su Roma. Vuol dire che il regime irretiva anche i bambini.
«Non c'è dubbio. Ma "La presa di Macallè" non vuol dare delle spiegazioni, quanto rendere un clima.»
Che spirito ribelle agita un siciliano come lei, che quasi in tutti i romanzi storici riprende temi di rivolte popolari, di folle e di follie?
«Quello che noi chiamiamo "u scuru e a fudda", il buio e la folla, scatena una sorta di corda pazza in molti e soprattutto in Sicilia, dove si presenta come possibilità di improbabili rese di conti personali.»
Gianni Bonina
 
 

La Repubblica, ed. di Palermo, 20.4.2003
Lirica
"Il fantasma" di Betta in onda su RadioTre

"Il fantasma nella cabina", l'opera da camera di Marco Betta tratta dal racconto di Camilleri, sarà trasmessa stasera alle 20.50 su RadioTre nell´ambito della rubrica "Il cartellone". La regia è di Rocco Mortelliti, protagonisti sono il tenore Vincenzo La Scola, nel ruolo del commissario Cecè Collura, Katia Ricciarelli, interprete della passeggera che vede il fantasma, Luciana Serra, Fabio Previati, Danilo Formaggia, la pianista Paola Ghigo, e lo stesso Mortelliti. L´opera è coprodotta dal teatro Vittorio Emanuele di Messina.
 
 

Rai Radiotre, 20.4.2003
Il cartellone

GUIDO BARBIERI […] stanno coltivando un grande progetto, che non si limita all’opera che ascolteremo questa sera ma guarda più lontano, che tenta di mettere le ali al racconto, alla prosa di Andrea Camilleri. Oggi ascolteremo il primo frutto di questo disegno, di questo sogno…si intitola “Il fantasma nella cabina” e naturalmente però per entrare attraverso la porta grande dentro quest’opera dobbiamo farci aiutare da due…come posso dire?…da due colonne che ci faranno entrare dentro questa porta ovverossia proprio Marco Betta e Rocco Mortelliti. Buona sera ad entrambi.
MARCO BETTA Buona sera.
ROCCO MORTELLITI Buona sera.
G.B. Benarrivati! Mi sembra quasi un replay perché qualche mese fa, proprio prima che l’opera andasse in scena al Teatro Donizetti di Bergamo ci siamo trovati proprio noi tre a disegnare un piccolo triangolo a priori… adesso lo disegniamo a posteriori, a cose in qualche modo fatte, ma la vostra opera sta per assumere una dimensione radiofonica e di questo dobbiamo tener conto per aiutare un po’ i nostri ascoltatori a orientarsi diciamo in un mare che è abbastanza calmo, dal punto di vista strettamente musicale, nel senso che tutto ciò che ascolterete è perfettamente leggibile, nitido, terso, chiaro anche sotto il profilo narrativo. Ascolterete le parole, sentirete ciò che i cantanti e gli attori dicono e quindi il nostro compito è tutto sommato abbastanza limitato no, Marco Betta? Perché uno dei tuoi disegni a priori credo proprio che sia quello di cercare continuamente una grande chiarezza, leggibilità, nel tessuto sia musicale che narrativo…
M.B. Diciamo in qualche modo una cosa che è stata per me una conquista, dopo tanti anni, dopo vent’anni di lavoro. Io credo che in generale poi ogni compositore racconti un po’ tutte le sue esperienze, per esperienze intendo anche quelle che riguardano il luogo in cui si vive… io credo che la mia musica sia stata fortemente influenzata dalla presenza architettonica della Sicilia, la terra in cui io vivo, dall’esperienza letteraria, dal tipo di luce. Questo credo che avvenga per ogni scrittore, autore, compositore… In generale la scelta della chiarezza e della leggibilità non è una scelta che in qualche modo è venuta per me dietro un calcolo, un ragionamento: ho sempre cercato di seguire la mia indole, in qualche modo sono partito dalla grande tradizione della musica mediterranea, dai canti che noi chiamiamo dei carrettieri passando attraverso la melodia di Vincenzo Bellini e quindi proiettando tutto questo nell’esperienza di oggi, nel nostro tempo. Cioè la mia musica credo che sia il risultato di una serie di situazioni che hanno a che fare con la musica e che anche non hanno a che fare e che riguardano la mia esperienza di vita personale.
G.B. E poi, certamente, quando si ha a che fare con gli strumenti, gli “arnesi” del teatro credo fatalmente il proprio gesto si debba adattare…
M.B. Sì, indubbiamente. Il teatro è il luogo dove la musica diventa sorella delle altre arti e si sposa con delle altre arti per dare luogo a un risultato che poi noi con un termine forse limitativo definiamo opera lirica, ma  in qualche modo l’opera lirica è un miracolo, è qualcosa di più che l’unione fra musica, teatro, letteratura, canto, danza… è un risultato molto più complesso che nasce dal fatto che la musica entra in sinergia, e si trasforma diventando qualcos’altro. Poc’anzi tu dicevi un sogno: questo progetto con Andrea Camilleri e Rocco Mortelliti nasce dalla grande idea, secondo me, del sogno, dell’idea di una musica di oggi che può proiettarsi attraverso le pieghe, le pause della narrazione dei racconti di Andrea Camilleri ed evidenziarne i significati profondi, i suoni delle parole, anche andando in controtendenza, a volte, con la drammaturgia del testo ma esaltando questa emozionalità fortissima che hanno questi testi.
G.B. A proposito di sogno, il racconto da cui avete tratto questo primo frutto del vostro lavoro è certamente un racconto “realistico” nel senso che ha le cadenze, le movenze, i canoni, in qualche misura, del giallo, però mi sembra rispettando un topos molto diffuso per altro della letteratura noir e gialla, basta pensare ad Agatha Christie, per esempio: si svolge in un  luogo non-luogo che è una nave in mezzo al mare e quindi entro una cornice che in realtà è perfettamente, squisitamente astratta, persino onirica, per l’appunto, come tutti i non-luoghi… Allora, Rocco Mortelliti, come avete letto il “Commissario di bordo”, che poi è questo il racconto da cui la vostra opera è tratta, un racconto pubblicato in origine su un quotidiano… una serie di racconti pubblicati da La Stampa di Torino anni fa… allora, questo racconto di Camilleri è più giallo o più favola?
R.M. Dunque, esattamente tutte e due le cose. Quando ho letto il racconto apparentemente realistico perché parlava della “tragedia” di una attrice in pensione che per sopravvivere accetta questa farsa… però quando ho cominciato a visualizzare l’opera, o lo spettacolo teatrale come lo vogliamo chiamare, ho pensato appunto a far entrare lo spettatore dentro a un sogno – avete detto benissimo all’inizio un sogno – entrare in una favola, in un racconto e attraverso la stilizzazione, poi, dell’opera si può essere credibili. Quindi mi sono preoccupato anche della stilizzazione, di far entrare lo spettatore in questo racconto. Inizialmente noi vediamo una nave stilizzata ma poi ci abituiamo a questo segnale teatrale che abbiamo voluto dare io, Marco Betta e Italo Grassi, scenografo dell’opera. Io mi sono fatto aiutare moltissimo dalla prosa, dal teatro di prosa - perché vengo da lì – e dal cinema e dagli insegnamenti di Andrea. Ho cercato di raccontare questa storia, diciamo plausibile. Mentre scrivevo questo libretto m’è capitato di leggere più volte “attore, morto in disgrazia, senza più soldi, abbandonato”… quindi mi è capitato, appunto, leggendo di un cabarettista che vedevo anni fa, che si chiamava credo Andrea Porcaro: lessi un trafiletto “abbandonato, morto in un ospedale fuori Milano”, senza più un quattrino… ecco, questa cosa proprio mentre stavo scrivendo questo libretto che, in qualche modo rispecchiava la realtà. E ho cercato, chiaramente, di rispettare il linguaggio camilleriano del protagonista che è un commissario di Vigàta, se vogliamo, ecco.
G.B. Ecco, a proposito proprio del lessico di Camilleri – ne avevamo già parlato prima che l’opera andasse in scena – in parte in qualche modo ciò che lei ha ri-scritto – anche se è difficile ri-scrivere Camilleri – ovviamente rispetta profondamente alcune scelte lessicali, il dialetto siciliano insomma o quel particolarissimo idioma - quell’idioletto di Camilleri, potremmo dire -  in parte rimane, in parte invece si deve ovviamente adattare alla cadenza della lingua cantata. Ecco, allora, queste due cose – l’idioletto camilleriano e la lingua cantata – come convivono insieme nel libretto?
R.M. Mah, io devo dire che le arie che canta Cecè Collura, che sono delle arie con il linguaggio camilleriano, devo dire che Marco è riuscito a renderle, ripeto,  plausibili ma molto efficaci e funzionali. Chiaramente, nell’opera è soltanto il personaggio di Cecè che in qualche modo ricopre il linguaggio camilleriano, gli altri personaggi parlano la loro lingua, altri dialetti. Devo dire che non abbiamo dovuto modificare quasi nulla, è andato tutto abbastanza tranquillamente.
G.B. Marco Betta, allora, dal punto di vista più squisitamente musicale, mettendoti all’opera appunto sulla lingua di Camilleri e di Mortelliti che tipo di “arnesi” hai messo sul tuo tavolo? Perché, ascoltando l’opera ci si rende conto che quella ricerca di “narratività” ti ha portato in fondo a scegliere un linguaggio a volte anche molto accattivante… ci sono delle espansioni melodiche, lo sentirete subito, all’inizio, proprio nel preludio orchestrale, strumentale, ma poi anche nelle arie. C’è anche il tentativo, qua e là, mi sembra anche di “rapprendere” un po’ il discorso basandosi su schemi ritmici abbastanza ripetitivi ed elementari, in fondo… e conseguentemente c’è un suono estremamente narrativo. Allora, insomma, quali sono questi arnesi?
M.B. Mah, l’arnese della melodicità è un po’ una mia caratteristica, una scelta di linguaggio che in qualche modo coincide con quella che è la mia indole. Devo dire che io avevo già affrontato il linguaggio camilleriano realizzando con Andrea Camilleri  - che saluto, sono sicuro che lui in questo momento ci sta ascoltando, e gli mando un grande abbraccio…
G.B. Anche da parte nostra…
M.B. É iniziato tutto… il mio rapporto con la letteratura è un rapporto molto antico. In generale io compongo come se scrivessi racconti anche quando faccio la musica tra virgolette “pura”. Mi piace sempre lavorare su delle trame che poi non sono svelate perché chiaramente il linguaggio dei suoni non è  intelleggibile come il linguaggio della narrativa. La forma che ha preso subito l’opera è quella di un singspiel moderno dove la prosa e la lirica si fondono e danno luogo ad un singspiel moderno, dove in aggiunta c’è anche un po’ la presenza del cinema, cioè ci sono dei dialoghi che avvengono sulla musica, che si rapprende in qualche modo sui leitmotiven dell’opera. Uno dei grandi motivi fondamentali di quest’opera è la malinconia e la presenza del mare. Questa è forse un po’ una categoria siciliana ma non lo è poi neanche tanto perché sono categorie poi generali e universali… io ho sempre pensato che in qualche modo la malinconia del raccontare, che è una malinconia che in fondo c’è nel “Commissario di bordo”, così come in tante opere di Camilleri, è uno dei tratti per me più affascinanti, la cosa che più mi ha colpito, anche quando abbiamo fatto Magarìa - questa favola che facemmo a Ravenna, con Andrea Camilleri, per voce recitante e orchestra – è che la malinconia è una categoria straordinaria, è un po’ il dissidio tra vivere all’interno del perimetro dell’Isola e però poi vedere anche questa grande linea infinita o non delimitata che è l’orizzonte. Quindi c’è questo contrasto fra finito e non delimitato che dà soprattutto a chi è un isolano questo senso di malinconia… Questa è stata una delle grandi categorie sulle quali ho lavorato. Poi, gli arnesi della mia musica... In qualche modo ho cercato di non essere  onomatopeico, rispetto al teatro. La musica non è in quest’opera in qualche modo un’eco superficiale del testo ma ho cercato di scavare all’interno di quelli che possono essere i significati profondi della parola: da un lato il suono del fonema, che rende così caratteristico il linguaggio di Camilleri, echeggia se vogliamo come una categoria armonica nella musica, e dall’altro il significato profondo di queste categorie emozionali che poi sono quelle che danno il tessuto narrativo, quindi il senso della malinconia, questa grande bontà di Collura, interpretato magistralmente da Vincenzo La Scola, che è un commissario di polizia  astutissimo e straordinario nei suoi ragionamenti ma anche dotato di una umanità grandissima, per cui quando poi si rende conto delle tragedie personali di quest’attrice esprime una umanità che nella sua semplicità diventa in qualche modo gigantesca, immensa, straordinaria proprio per la semplicità dei gesti, è un’opera…
R.M. Nella seconda opera, scusami Marco, che stiamo per fare, questa umanità viene ancora fuori, soprattutto nel secondo racconto “Che fine ha fatto la piccola Irene?”. Insomma, è molto forte come racconto. Lì, mentre con la penna stavo appunto scrivendo questo personaggio e non sapevo come finire, finisce in un mutismo veramente senza…
M.B. … e allora queste categorie diventano in qualche modo il trait d’union fra il legame che quest’opera vuole avere con la grande tradizione lirica italiana però proiettata nel nostro tempo. Gli arnesi musicali sono poi quelli che io in qualche modo uso sempre oramai nel mio linguaggio  e quindi diciamo c’è questo senso orizzontale che per me è la melodia, quindi questa visione dell’orizzonte che viene sospesa rispetto a sfumature… Per me le categorie fondamentali, le tre categorie fondamentali della musica sono: la melodia, quindi la linea orizzontale, la polifonia e quindi la sovrapposizione di linee e la categoria armonica. Il mio discorso è molto elementare e molto semplice perché riduco a categoria fondamentali ma lavoro su queste categorie proprio come se poi tutti questi elementi tecnici diventassero personaggi o espedienti per costruire la trama di un grande racconto. In realtà quest’opera è una grande sinfonia con variazioni attorno agli elementi e alle categorie emozionali dell’opera.
G.B. Sì… poi si coglie anche all’ascolto, in maniera anche abbastanza scoperta, come poi ci sia una categoria sonora, una categoria armonica dentro la quale -  come dentro una cornice - ogni personaggio trova il suo ritratto, e questi ritratti si dispongono come una specie di galleria, anche simultanea, un racconto parallelo.
M.B. Sì, la musica diventa come un altro racconto, che è poi quello… In realtà io quando scrivo musica - non solo quest' opera ma ormai in generale sempre di più -  immagino un po' le emozioni che noi proviamo quando leggiamo un libro. Quando leggiamo un libro probabilmente non ce ne rendiamo conto ma vediamo colori, sentiamo musiche, abbiamo delle altre sensazioni che ci circondano… Lì, in questo ambito segreto dell’anima io mi diverto a cercare il riflesso della mia immagine musicale, e tutta quest’opera in qualche modo è qui. Io cerco, appunto, attraverso lo specchio di questi riflessi marini, questo incedere della nave, questo ritmo della nave che va avanti e che abbiamo costruito proprio in modo musicale, queste categorie del tramonto, dell’alba, che si vedono e non si vedono però sono presenti, come anche nella grande tradizione lirica poi sono presenti, queste categorie nella musica. Ho voluto eccedere in questo tipo di rappresentazioni emozionali che talvolta sono anche in dissidio con quello che avviene, nel senso che vanno a volte in controtendenza, perché anticipano oppure ricordano delle cose che sono appena avvenute e quindi diventa una narrazione parallela, la musica.
G.B. Rocco Mortelliti, un’ultimissima cosa, perché adesso è venuto il momento di…
R.M. Eh sì, di ascoltare…
G.B. ... di partire, poi, sulla nave insieme a Cecè Collura… però ci dia soltanto l’incipit narrativo, non voglio che ci racconti tutta la vicenda -  che per altro è leggibile e i nostri ascoltatori la scopriranno piano piano entrando dentro il gorgo, il vortice della narrazione -  ma ci metta soltanto sulla buona strada per disegnare un piccolo prologo e poi gli ascoltatori andranno per proprio conto.
R.M. La musica è l’anima del racconto e qui metto un punto. Cecè Collura chi è? Allora, semplicemente, è un amico di Salvo Montalbano, un suo collega, sono abbastanza simili…forse è un po’ più giovane -  carattere molto schivo, anche lui da solo, tutti i commissari di Andrea sono da soli, non hanno legami di fimmini, come dice Andrea - lui durante una sparatoria è stato ferito e quindi durante la convalescenza i suoi amici, lo stesso Montalbano sicuramente gli avrà detto “vatti a fare una bella crociera. Lì non c’è da faticare, devi fare solamente il commissario di bordo, che significa semplicemente fare compagnia ai croceristi.” Poi fa un piccolo corso per sapere come si sta in una nave e quindi si imbarca. Non ha da subito un buon rapporto col comandante che è un tipo molto preciso, che comincia dalla divisa, che vuole la cravatta ben messa, la giacca abbottonata…
G.B. Solo che… che cosa accade?  Dopo poco dall’inizio della crociera che cosa accade?
R.M. Appena messa  la divisa Cecè viene subito - mentre sta prendendo un drink con l’unica persona che in qualche modo lo interessa cioè la pianista - viene subito interrotto dal vice Premuda che gli dice “In commissariato è arrivata una signora che non riesce neppure a parlare, è spaventatissima, l’unica cosa che riesce a dire è che ha visto un fa… fa… fa….” Questo lazzo del “fa…” dura moltissimo e alla fine: fantasma. “Ma la signora per caso aveva alzato il gomito?” “No, dice di essere astemia”  “E che cosa vuole?” “Vuole cambiare cabina…” “Bene facciamogliela cambiare, questa cabina” “Non è possibile perché già ha scombussolato tutti i croceristi con questo fantasma, per cui sono già tutti in agitazione e qui cominciano veramente…”. Il commissario deve risolvere il problema perché si sta creando un movimento di massa terribile.
G.B. Direi di fermarci qui  perché altrimenti la raccontiamo tutta e non c’è più niente da scoprire e invece c’è “molto” da scoprire…
R.M. D’accordo… alla prossima… opera…
G.B. Visto che la state… è lì lì sotto gli arnesi di lavoro…
R.M. Il 14 e 15 luglio alla Chigiana di Siena con “Il mistero del finto cantante” e “Che fine ha fatto la piccola Irene?”.
G.B. Benissimo… abbiamo già un appuntamento… Grazie a Marco Betta  e a Rocco Mortelliti.
R.M. e M.B. Grazie.
G.B. Allora, primo atto...
Trascrizione a cura di Paola
 
 

SardiNews, 22.4.2003
Autori
Francesco Abate, controcorrente nel dna. Redazione web, locali notturni, dee jay
Un cronista che detesta il giornalistese parla del suo libro edito da Il Maestrale

Francesco Abate, 38 anni, è giornalista professionista per l’Agenzia Unione Editoriale, alle spalle un passato di cronista di nera per “L’Unione”. Si divide fra la redazione web e i locali notturni dove si chiama Frisko e fa il dee jay. Quando gli resta tempo scrive romanzi. Ha appena pubblicato il secondo: “Il cattivo cronista”, edito da Il Maestrale. Guai a chiamarlo l’ultima sua fatica letteraria. Sì perché Abate, non sopporta il “giornalistese”: le vertenze che si inaspriscono, i malviventi che fanno irruzione armati di pistola e col volto coperto, i sanitari che scendono in campo - mai visti i bidet sfilare in corteo - tutto quel gergo che, per strada, ha perso di senso e utilità, formule martoriate dall’uso, ormai solo macchie d’inchiostro dove sempre solo quell’aggettivo o quel verbo precedono sempre solo quel sostantivo. E pazienza se il cronista- inesperto, stagionato, in ritardo con il pezzo o semplicemente stanco- continua a propinarle ai lettori. Parla del suo libro. Protagonista è Rodolfo Saporito, rampollo senza laurea di una blasonata famiglia di avvocati, che finisce a fare il cronista di nera in una città di provincia.
[...]
Come lavori sulla scrittura? L’uso dell’elemento dialettale dà l’idea che ti sia un po’ “camillerizzato”. Se questo può piacere al cagliaritano vale lo stesso per un marchigiano?
“Mai letto Camilleri. Come lavoro sulla scrittura, non lo so: ascolto la musicalità delle parole. È più una questione di istinto, come quando metti camicia e pantaloni e ti accorgi che non stanno bene insieme. Ho cercato di creare un dialogo serrato e, soprattutto, ritmato. Prima che nascessero Atzeni o Fois, per anni abbiamo dovuto sorbirci il siciliano dei siciliani, e il genovese dei genovesi. Che si becchino ora anche l’eja o il bagassa”.
[...]
Roberta Mocco
 
 

Politiken, 23.4.2003
Indemurede lig
Femte bind i Andrea Camilleris krimiserie om kriminalkommissær Salvo Montalbano er begavet underholdning.
Terrakottahunden, Fremad, 284 sider, 298 kr. Forfatter Andrea Camilleri

Vigàta er en opdigtet, men meget realistisk og overbevisende beskrevet siciliansk kystby, hvor mangt og meget går i svang. Mafiavirksomhed, illegal våbenhandel, embedsmisbrug, korruption, svindel med offentlige midler og prostitution for alle tænkelige seksuelle orienteringer er bare noget af det, som den snu og retfærdighedssøgende kriminalkommissær Salvo Montalbano har at slås med i hverdagen.
Dertil kommer blandt mange andre udfordringer hans ret dejlige, men ikke altid lige forstående norditalienske kæreste, en kvindelig kollega, der er ulykkeligt forelsket i ham, en underskøn svensk mekaniker og rallykører, som han fra tid til anden må hjælpe mod hendes liderlige og brutale svigerfar, og hans egen chef, som insisterer på at anbefale ham til en velfortjent forfremmelse, en tanke, der fylder den offentlighedssky Montalbano med rædsel.
Alle disse mere eller mindre gennemgående elementer i Andrea Camilleris foreløbig fem bind lange Montalbanoserie er i 'Terrakottahunden' vævet ind i en besynderlig, men både interessant og romantisk historie om et mystisk ligfund.
Ligene af to unge mennesker, som efter alt at dømme har været døde i mere end et halvt århundrede, findes tæt sammenslyngede i en tilmuret klippehule sammen med en vandkande, en skål mønter og en terrakottafigur forestillende en liggende hund.
Det sære fund stimulerer Montalbano en hel del mere end de aktuelle sager, der ligger på hans skrivebord, og fører ham ud i en højst usædvanlig og originalt gennemført efterforskning, som omfatter den amerikanske landgang på Sicilien i 1943, Koranen, kristne legender og siciliansk folklore.
Dette meget kulørte, men i vid udstrækning altså også meget litterære stof formidles gennem en skare herlige bipersoner, hvoraf især en ældgammel frikadelle af en lærd præst, som ind imellem sine foredrag om lokale gravskikke tager sig en slurk vælling af en sutteflaske, er guld værd.
'Terrakottahunden' er begavet underholdning og en lejlighed til for en tid at lade sig opsluge af en fascinerende og farverig verden og personkreds, som Camilleri skildrer med både vid og varme og sans for litterære lån og hentydninger.
Cecilia Jakobsen har klogelig undladt at forsøge at gengive Camilleris særegne blanding af siciliansk dialekt og rigsitaliensk, men har til gengæld formået af anslå og fastholde en særlig tone, hvis blanding af poetisk raffinement, slang og grovheder isprængt enkelte sicilianske udtryk - nogle af dem oversatte, andre ikke - gør fin fyldest.
Thomas Harder

Cadaveri murati
Quinto volume della serie poliziesca di Andrea Camilleri con il commissario Salvo Montalbano è divertimento intelligente.

Vigata è una cittadina inventata che si trova in Sicilia, ma è descritta in maniera realistica e convincente e succedono molte cose. Mafia, traffico di armi, abuso d’ufficio, corruzione, appropriazione indebita di denaro pubblico, prostituzione per tutti i gusti e tendenze sessuali sono solo alcune delle attività con le quali l’astuto e giusto commissario Montalbano si trova a lottare quotidianamente.
Tra le diverse sfide ci si mettono anche la sua non sempre comprensiva fidanzata, una collega, innamorata perdutamente di lui, una meccanica svedese, pilota di rally e di una bellezza mozzafiato, che ha problemi con il suocero, brutale e libidinoso, e il suo capo, che insiste nel volergli dare una promozione: un pensiero che fa inorridire lo schivo Montalbano.
Tutti questi elementi, che si ritrovano in quasi tutti i cinque volumi della serie di Montalbano, scritti da Andrea Camilleri, sono, ne ”Il cane di terracotta” intrecciati in storia strana ma interessante e romantica di un misterioso ritrovamento di cada veri.
I corpi di due giovani, che sembrano morti più di mezzo secolo fa, sono ritrovati abbracciati dentro una sorta di grotta murata, con una brocca d’acqua, una ciotola piena di monete e una figura di terracotta che raffigura un cane accucciato.
Questa strana scoperta stimola Montalbano molto più di tutti i casi attuali che riempiono la sua scrivania e lo conduce in un’indagine più insolita e originale, che comprende gli sbarchi degli americani nel ’43, il Corano, le leggende cristiane e il folklore siciliano.
Il contenuto molto colorito, ma anche molto letterario, è raccontato con l’aiuto di una folla di personaggi secondari e importanti. Tra questi, il vecchio prete gigione, che mentre tiene la sua lezione sugli usi funerari locali, beve un sorso di pappa dal biberon, è una vera perla.
“Il cane di terracotta” è divertimento intelligente e un’occasione per farsi trasportare in mondo affascinante e colorato con tante persone diverse che Camilleri descrive con arguzia e calore, e con allusioni letterarie.
Cecilia Jakobsen ha saggiamente evitato di cercare di riprodurre la miscela di dialetto e di italiano, tipica di Camilleri, mantenendo però un certo tono, dove si mescolano finezze poetiche, la lingua di strada e le parolacce o i modi di dire in siciliano, a volte tradotti, a volte no, ed ha fatto bene.
Traduzione dal danese di Paola Vannacci
 
 

Corriere della sera, 24.4.2003
PIAZZA NAVONA
I libri «liberati» da Veltroni e Frattini

Roma. È cominciata ieri in piazza Navona e proseguirà fino al 4 maggio la prima Fiera del Libro, organizzata dalle Biblioteche romane, dall’Associazione Librai e dal I Municipio. Sotto il tendone bianco è partito anche il Bookcrossing. Hanno aderito donando uno o più libri da liberare, il sindaco Walter Veltroni, il ministro degli Esteri, Franco Frattini, Alberto Arbasino, Andrea Camilleri, Michele Mirabella, Giuseppe Tornatore.
 
 

Forward Village '03
Da venerdì 25 a domenica 27 aprile 2003 si terrà a Kastalia (Ragusa) Forward Village '03.

Manifestazioni sportive, promozione turistica del territorio, seminari e, sabato 26 aprile, un convegno dal titolo I luoghi del commissario Montalbano: un viaggio tra mente e ambiente; al tavolo dei relatori esperti di cultura, turismo, sport e benessere, giornalisti di fama nazionale mentre su uno schermo gigante saranno proiettate immagini del famoso fotografo Walter Leonardi e l'attrice Fiorella Buffa leggerà brani di Andrea Camilleri.
 
 

TGR, 26.4.2003
Bell'Italia
Intervista ad Andrea Camilleri

L'intervista è stata fatta in occasione della riapertura del teatro Regina Margherita di Racalmuto.
 
 

La Repubblica, ed. di Palermo, 27.4.2003
Esce la raccolta di saggi di Massimo Onofri sulla letteratura siciliana. Che non prevede il "papà" di Montalbano
Abbate promosso, Camilleri escluso un critico dà le pagelle agli scrittori
Il ritratto di un´isola che fa da pietra di paragone dei problemi dell´intera penisola
"Come giallista mi sembra che lavori su una materia troppo caratterizzata"
Promossi anche Alajmo e Calaciura. Consolo difeso dalle critiche

"La modernità infelice" (Avagliano editore, 13 euro) è il titolo della nuova raccolta di saggi di Massimo Onofri sulla letteratura siciliana del Novecento. Sicilianista attento, docente di Critica letteraria e di Letteratura italiana contemporanea all´Università di Sassari, critico de "L´Unità" e del "Manifesto", autore di studi importanti su Pirandello, Borgese e Sciascia, Massimo Onofri con questa suo nuovo volume ha ricapitolato i suoi studi sulla produzione letteraria isolana a cavallo tra la fine dell´Ottocento e gli ultimi scampoli del Novecento. L´Isola, «amata e patita» scrive Onofri, viene assunta «come pietra di paragone della mancata democratizzazione e modernizzazione dell´intera penisola». La raccolta di saggi del critico viterbese si apre con "Il caso Borgese", passando attraverso le pagine di Pirandello, Verga, Brancati, Tomasi di Lampedusa, l´immancabile Sciascia, per spingersi fino a Bufalino e a Consolo.
C´è il caso Borgese, dunque, ad apertura, ma manca il caso Camilleri in chiusura. Lo scrittore di Porto Empedocle forse non rientra in questo diagramma civile-antropologico? «L´intellettuale Camilleri - spiega Onofri - ha indubbiamente forti tensioni civili e politiche. Come scrittore a me pare che lavori a una materia fortemente caratterizzata nei suoi topoi a volte regressivi, che si materializza in un dialetto lessicale, non lavorato dentro un´ipotesi gnoseologica. Certo, c´è il Camilleri del filone ottocentesco, che è quello che più mi interessa: il suo lavorare dentro le saccocce dell´inchiesta parlamentare di Sonnino e di Franchetti è un´idea davvero geniale».
E Consolo? Oggi non si perde occasione per rinfacciargli la sua afasia, la sua incapacità di darci un altro grande romanzo...
«Consolo è un grande scrittore politico e sperimentale. Uno degli errori più grossi compiuto dai critici è stato quello di ridurlo a un nipotino di Gadda, battendo sul registro del plurilinguismo. Consolo è figlio di Sciascia, un figlio però molto diverso dal padre. Lui è uno scrittore che, attraverso la letteratura, vuole parlarci del mondo. L´afasia rappresenta un nodo cruciale, in quanto corrisponde perfettamente all´ontologia della società italiana. In pratica l´afasia riproduce il delirium tremens della nostra società».
Avviciniamoci ai nostri giorni, considerando la produzione letteraria degli ultimi dieci anni: la temperatura civile e antropologica di queste opere è ancora alta? La Sicilia rappresenta ancora una metafora?
«Gli scrittori siciliani ancora oggi, più degli altri, risentono di questa forte tradizione, di cui vorrebbero liberarsi e non si liberano. A iniziare da Fulvio Abbate, col suo Zero maggio a Palermo, nel quale ci si imbatte in una Palermo finalmente dicibile, che profuma di zagara e di gelsomino e soprattutto in una Sicilia inedita, sognante e leggera, in bilico tra comicità e malinconia. C´è poi Roberto Alajmo, che nei suoi libri ha sviluppato un problematicismo post-pirandelliano dando forma a un´anagrafe dell´implausibile. Nel suo ultimo romanzo si registra un mutamento di direzione, presentandosi sulla scena il problema della mafia, ma con un personaggio di singolarissima anagrafe, privo della sintassi di quella Sicilia sperta a cui siamo abituati. Giosuè Calaciura ha invece fatto leva su una cifra di grande espressività, puntando sulle oltranze della forma; ma si tratta sempre di un contributo di scrittura della realtà. C´è stato poi il caso di Domenico Conoscenti, con la sua Palermo infetta e noir. La stanza dei lumini rossi mi ha fatto pensare al racconto di Silvio D´Arzo intitolato Casa d´altri; ma si tratta di un Silvio D´Arzo innestato nella tradizione siciliana. Oggi siamo in attesa di un nuovo romanzo di Conoscenti».
Negli ultimi tempi ha uscito le sue unghie di narratrice anche Evelina Santangelo: che ne pensa?
«La Santangelo è una scrittrice molto dotata, che però mi pare estranea a questa tradizione. Lei rappresenta probabilmente uno iato generazionale, anche perché più giovane. Si può fare a meno di Palermo e della Sicilia per leggerla».
Per concludere, quali sono gli auspici per il «dopo-Consolo»?
«Gli scrittori appena citati potrebbero avere il testimone in mano, anche se mi sembra che formino un esercito disarmato. Oggi ognuno di questi se ne va per conto proprio, provocando un inevitabile sfilacciamento che fa sì che dalla Sicilia non arrivino segnali positivi. Quest´isola oggi vive uno dei momenti più brutti della sua storia. Un momento di stanchezza e di imbarbarimento. Basti considerare la povertà politica che si registra a tutti i livelli nella classe dirigente. Dove sono i grandi leader politici? Da qui, penso, la disperazione e il malumore di Consolo. La Sicilia, oggi più di ieri, è una terra irredimibile».
Salvatore Ferlita
 
 

La Repubblica, 28.4.2003
Andrea Camilleri ha autorizzato il comune dell'agrigentino ad adottare come secondo nome quello del pase del commissario
Porto Empedocle diventa Vigata. Ora esiste la città di Montalbano
Ma la villa dei telefilm è a Puntasecca, in provincia di Ragusa la può affittare chiunque, a tremila euro per una settimana

ROMA - Prossima uscita, Vigata. Nessuna perlessità se, viaggiando per le strade della Sicilia, vi capiterà di intravedere un cartello con l'indicazione della città di Salvo Montalbano. Perché Andrea Camilleri ha dato il suo benestare al comune di Porto Empedocle, che gli aveva chiesto di poter adottare, come secondo nome, quello del paese in cui vive e lavora il celebre commissario. Perché Camilleri è nato proprio a Porto Empedocle, e lì ha ricevuto, durante le vacanze di Pasqua, la visita del sindaco, Paolo Ferrara, e dell'assessore al Turismo, Antonio Guido. Concessione approvata, con tanto di protocollo nei registri del Comune: "Con la presente, ritenendomi estremamente onorato della proposta, consento acchè il Comune di Porto Empedocle utilizzi la parola 'Vigata' accanto alla propria denominazione ufficiale Porto Empedocle".
Vigata ha smesso da tempo di essere luogo della fantasia, per trasferirsi nelle geografie dell'isola. Perché se il nome è inventato, strade, case e panorami sono reali, e il pubblico ha potuto conoscerli grazie alla televisione. Ad esempio, Marinella, dove vive Salvo Montalbano. Quella spiaggia lunga e larga, sulla quale affaccia la terrazza dela casa del commissario, è Puntasecca, accanto a Marina di Ragusa. E la casa è a disposizione, grazie all'azienda provinciale del turismo: tremila euro d'affitto per sette giorni (dieci camere da letto e aria condizionata), per risvegliarsi di fronte al bagnasciuga che ha visto lo sguardo e i pensieri perduti di Montalbano/Zingaretti.
Ma anche Montelusa esiste davvero, perché è null'altro che Ragusa. E il commissariato, dove Montalbano trova a vigilare di pirsona il fedele Catarella, è il vecchio municipio di Scicli. E poi c'è la storia personale di Andrea Camilleri, che, nato a Porto Empedocle, ha spostato a Vigata pezzi di vita vissuta. Come l'osteria San Calogero, dove spesso mangia Montalbano: è là, nella centrale via Roma di Porto Empedocle, al civico numero due. Con le stesse triglie allo scoglio, che piacciono al commissario.
Più facile, dunque, "ricomporre" la geografia variabile di Vigata andando in giro per la Sicilia. Ma Porto Empedocle voleva quel nome in più. "Come prima conseguenza - ha spiegato il sindaco Ferrara - saranno collocate ai quattro ingressi del nostro paese nuove tabelle stradali dove sotto la denominazione Porto Empedocle ci sarà pure la scritta Vigata. Vedremo, poi, quali iniziative assumere più in là".
 
 

La Repubblica, ed. di Palermo, 29.4.2003
Lettere
Il caso Camilleri e un critico ostico

Da comune lettore e da narratore ho prestato molta attenzione all'intervista di Salvatore Ferlita al critico Massimo Onofri, che ad oggi, per personale ignoranza, non conoscevo. Ho letto con attenzione, sì, ma non capisco. Non capisco perché con cadenza periodica una levata di scudi contro Andrea Camilleri, scrittore popolare, scrittore stravenduto, scrittore tutto-quello-che-volete, ma che anche il fruttivendolo del Capo riconosce - e questo mi consta personalmente - non importa se per l'opera letteraria o per l'adattamento televisivo dei Montalbano. Sempre di storie si tratta, e una buona storia non ha mai fatto male a nessuno, anzi. E' un mondo, quello di Camilleri, che è riuscito a filtrare attraverso la netta separazione tra letteratura "alta" e letteratura di mero consumo, un muro cui solo alcuni critici italiani sembrano ormai assicurare le fondamenta, alla faccia di Stephen King, che si avvia a diventare il Dickens americano (e non è un giudizio mio) o Giorgio Scerbanenco, che è stato narratore puro, né più e né meno di Camilleri. Senza scomodare, poi, Simenon.
Non capisco perché la levata di scudi arrivi proprio da quelli che, per posizione politica, dovrebbero essere soddisfatti dell'esistenza di un autore il cui immaginario è alla portata di tutti e del quale tutti possono nutrirsi come meglio credono, presupposto per una buona crescita intellettuale.
Ho cercato di capire le ragioni di Onofri mettendomi nei panni dell'uomo della strada, ma leggendo frasi come "un'anagrafe dell'implausibile" o "le oltranze della forma", no: non ho capito.
Un dubbio: che raccontare semplicemente una storia e lasciare che le istanze sociali e politiche siano leggibili tra le righe risulti dimostrazione di scarsa dignità letteraria? Se così fosse, io smetterei di scrivere e, meglio ancora, consiglierei a Camilleri di "complicarsi" in linguaggio onofriano, sicura garanzia di ingresso nella enclave degli intellettuali che si guardano bene dal prestare attenzione ad "una materia troppo caratterizzata". Ancora una volta, mi si perdoni, non capisco.
Giacomo Cacciatore, Palermo
 
 

La Repubblica, ed. di Palermo, 29.4.2003
Porto Empedocle si chiamerà Vigàta
Cambia nel nome di Camilleri
 

La retorica del nuovo

Anche nella memoria dell´inconsapevole Emanuele Filiberto in viaggio di formazione, resterà pur sempre la certezza d´aver visto i Templi di Agrigento e i mosaici di Piazza Armerina, bellezze che si legano ai luoghi col cordone ombelicale della Storia, immanente ed eterna, non politico-degradabile. Da siciliana ringrazio i sindaci di Agrigento e Piazza Armerina per la prudente conservazione toponomastica che consente, anche a chi è digiuno d´arte, di avere la certezza della Valle dei templi in Agrigento e dei mosaici del Casale in Piazza Armerina.
Un rapporto placentare quello dei luoghi con l´arte che, sola, ne nobilita la comune geografia, ne riscatta la banale urbanistica. Cosa può spingere un sindaco, quello di Porto Empedocle, a proporre la modifica del nome ultracentenario della sua città e l´assunzione d´un nome d´arte, Vigàta, in omaggio al sia pur eccellente Camilleri?
Forse a cotanto lo spinge quella sciagurata libido mutandi che, in nome della metamorfosi, getta vetriolo sulla tradizione rendendoci sempre più orfani di Storia, di Passato, di Memoria? O quel superbatterico «rinnovamento» in nome del quale non c´è più Destra né Sinistra, ma una indiscriminata proliferazione di mediocri nella gestione della Cosa Pubblica? O forse un contenzioso linguistico-progettuale che non sottintende nessun contenzioso ideale-politico, ma solo una necessità di protagonismo e di «rumore» da mettere a tacere con nuovi Vespri siciliani? Oppure, a muovere il sindaco, sarà stata quella Storia che, già nel 1863, aveva cambiato in Porto Empedocle il vecchio nome Molo di Girgenti, nome che non rendeva giustizia alla cittadina, facendone solo una «pertinenza» in servitù della più nomata Girgenti?
In latino si chiamava «laudator temporis acti» il nostalgico passatista, qualche volta ottusamente vocato alla conservazione ma, per lo più, sacra Vestale della tradizione, spesso miope nei confronti del Nuovo, se il Nuovo poteva costituire minaccia per la Cultura patria che non è moda né freestyle! Per una volta ci piacerebbe ascoltare la comune retorica di quanti empedoclini, gladiatori nell´arena della Storia patria, difenderanno con la lama, sempre meno affilata, della Storia patria il Porto Empedocle dove nacquero, figli d´un catasto magico, d´un´anagrafe non virtuale ma sanguigna e nobile.
Il Porto Empedocle dove nacquero i Padri, sacerdoti, ieri, dell´immutabile Mare che ingravida conchiglie, dove nascono i figli, salvatori, oggi, di immigrati neri, accartocciati dalla furia del mare come alghe alla ricerca d´una patria mai avuta. Resti ai suoi cittadini Porto Empedocle gloriosa, resti ai suoi lettori Vigàta, magica per letteratura.
Silvana Grasso
 

La giunta ha ottenuto l´autorizzazione a modificare la denominazione ufficiale del comune
"Ci chiameremo Vigàta"
Porto Empedocle cambia nel nome di Camilleri
Lo scrittore e l´attore Luca Zingaretti saranno presenti al battesimo ufficiale
I cartelli stradali sono già stati ordinati. L´iniziativa punta a catturare i turisti

PORTO EMPEDOCLE - Vigàta non è più soltanto quel posto nato dalla fantasia di Andrea Camilleri. Da ieri Vigàta esiste per davvero, perché Porto Empedocle, il paese natale del celebre scrittore, ha deciso di chiamarsi così. Così come nei libri del commissario Montalbano o nei racconti a metà tra storia e fantasia. Un paese che ha scelto di chiamarsi con una sorta di pseudonimo allo scopo di attirare turisti e dunque per cercare di dare una spinta all´economia. L´iniziativa è dall´amministrazione comunale empedoclina ed è già esecutiva con tanto di determina firmata dal sindaco Paolo Ferrara e controfirmata pure dal segretario comunale: il nome «Vigàta» sarà infatti associato a quello originario di Porto Empedocle senza dovere passare per il referendum popolare, che, a sentire la maggior parte degli empedoclini, rischierebbe anche di fallire.
L´unico ostacolo era il via libera dello stesso autore del Birraio di Preston che è «proprietario» del nome. E Camilleri l´autorizzazione l´ha data e pure con entusiasmo: «Con la presente - ha scritto il papà del commissario Montalbano in una lettera consegnata alla delegazione empedoclina - ritenendomi estremamente onorato della proposta, consento acché il Comune di Porto Empedocle utilizzi la parola "Vigàta" accanto alla propria denominazione ufficiale Porto Empedocle».»Siamo andati a Roma a casa dello scrittore - hanno raccontato il sindaco di Porto Empedocle Paolo Ferrara e l´assessore al Turismo Antonio Guido - per farci autorizzare e lui si è detto estremamente onorato». Il ritorno a Porto Empedocle è stato trionfale: in pochissimi giorni sono stati predisposti i documenti e da ieri Porto Empedocle si chiama «Porto Empedocle-Vigàta». «Al più presto - hanno aggiunto Antonio Guido e Paolo Ferrara - saranno collocati ai quattro ingressi del nostro paese le nuove tabelle dove sotto la denominazione Porto Empedocle, sarà citata la più famosa Vigàta e l´indicazione che si tratta di città a prevalente economia turistica». Per i residenti cambia poco o niente, perché non dovranno cambiare nulla nei documenti, per l´amministrazione è un gran colpo di cui andare orgogliosi, per gli automobilisti ed i turisti sarà una sorpresa perché le nuove tabelle con la denominazione «Vigàta» sono già state ordinate. Il progetto turismo di Porto Empedocle intende insomma investire tutto su Vigàta e sui personaggi di Camilleri e non è un caso se lo scrittore è atteso nella sua «Vigàta» per dare il battesimo ufficiale alla nuova denominazione. Arriverà Luca Zingaretti, il Salvo Montalbano della fiction tv, neo cavaliere, che tornerà nei luoghi che l´hanno reso noto al grande pubblico.
Fabio Russello
 

L´INTERVISTA
Il giallista spiega perché ha detto sì all´operazione. E confida qualche perplessità
"Troppi palazzacci il paese di oggi non è più il mio"
I luoghi sono talmente devastati che i produttori della serie tv hanno dovuto cercare quella Sicilia tra Siracusa e gli Iblei
Anche un ristorante e un bar sono stati ribattezzati così. E all´osteria San Calogero chiedono i menù di Montalbano

Lo scrittore va in soccorso del filosofo. Empedocle è lontano, la Vigàta di Camilleri vicina. Così il sindaco, per adescare i turisti, pensa di affiancare il nome del paese di Montalbano a quello del filosofo-poeta-erudito-scienziato, precipitato nelle viscere dell´Etna nel 552. Il paradosso di tutta la vicenda è che la Vigàta descritta da Camilleri è morta e sepolta da tempo. Il paese della sua infanzia, che odorava di mare e di mandorle, ha lasciato posto a un agglomerato urbano intricatissimo e disordinato. Le piccole case «terragne» (a un piano) dei pescatori, dai colori pastello (bianco sporco, giallino, azzurro-azolo) sono state seppellite dalla frana prima e dalle colate di cemento dopo. Le finestre che una volta davano sul mare adesso si affacciano su altre finestre. Lo stesso autore della saga di Montalbano, il quale più volte ha rimarcato l´equazione Vigàta-Porto Empedocle, quando parla dell´oggi del suo paese lo fa con una grande amarezza.
«Trent´anni fa tagliarono gli ultimi alberi che reggevano il terreno e alla prima alluvione la collina scivolò giù, portandosi via le case dei pescatori. Poi hanno costruito i palazzacci secondo il principio del lager e del bunker, e quello che era un viottolo transennato è diventato un´autostrada. Mi si torcono le budella ogni volta che lo percorro. I luoghi sono talmente devastati che i produttori della serie televisiva su Montalbano sono stati costretti a cercare un´altra Sicilia per ritrovare Vigàta: il Siracusano e gli Iblei, Scicli, Palazzolo Acreide, dove le campagne e i paesi sono conservati meglio».
Se la sua Vigàta ormai non esiste più, che senso ha sovrapporla a Porto Empedocle?
«L´idea non è stata mia. Quando in paese il sindaco, nei giorni di Pasqua, mi ha chiesto l´autorizzazione a usare il nome di Vigàta, ne sono stato contento. È sicuramente un riconoscimento che viene dato a questo centro immaginario che è in gran parte il paese della mia adolescenza».
Ci sono altri segni della «vigatizzazione» di Porto Empedocle?
«Il bar Albanese in piazza, che è il mio rifugio estivo, ha già cambiato nome in Vigàta. Ed è di prossima apertura il ristorante "La grotta di Vigàta". E che dire dei menù di Montalbano che chiedono all´osteria "San Calogero"? Diciamo che ormai Porto Empedocle comincia a essere Vigàta».
Sarebbe bello se con il nome si recuperassero anche le antiche atmosfere...
«Il tempo ha stravolto tante cose. Troppe. Ma per fortuna non ha cambiato il carattere della gente. Mi accontenterei di due cose: che si ponesse un freno agli antichi scempi, salvaguardando più passato possibile, e che la gente mantenesse sempre quello spirito vivace che l´ha sempre contraddistinta».
Come le è venuto in mente Vigàta, utilizzato per la prima volta nel 1980 per il romanzo "Un filo di fumo"?
«Non volevo un nome che ricordasse Porto Empedocle. E allora, pensa che pensa, mi è rimbalzato nella testa Licata: da qui il passo è stato facile».
E Montelusa?
«L´ho letteralmente rubato a Pirandello per dare un volto ad Agrigento. In un suo racconto, "Le tonache di Montelusa", parla dei preti di Girgenti».
Pirandello, in perfetto stile pirandelliano, è conteso da due centri: Agrigento, dove è nato casualmente in contrada Caos, e Porto Empedocle dove risiedeva la famiglia, al momento della nascita sfrattata in campagna per sfuggire a un´epidemia. Lei, che di Pirandello è lontano parente, con quale partito si schiera?
«Difendo il mio paese, anche se l´anagrafe ci penalizza».
Vogliamo continuare il gioco di vedere cosa nasconde la maschera del nome inventato? Bibera?
«È Ribera».
Cannatello?
«Cannelle».
Capo Russello?
«Capo Rossello».
Ciucàfa?
«Le colline dietro Porto Empedocle».
Comisini?
«Comitini».
Fiacca?
«Sciacca».
Fela, che è contesa tra Ragusa e Gela?
«Gela, senza alcun dubbio».
Levanza?
«Lampedusa».
Monterreale?
«Realmonte».
Ragona?
«Aragona».
Sampedusa?
«Lampedusa».
Qual è il posto di Porto Empedocle-Vigàta che ama di più?
«Il porto. Anche se vederlo privo di pescherecci mi dà un grande disagio. Vedo intorno tanta desolazione, ma oggi finalmente anche qualche segno di ripresa. Mi dicono che dopo trent´anni di abbandono hanno ripreso a dragare il fondo. Spero che sia la premessa di un recupero».
Qual è la nostalgia che le affiora nella mente con più frequenza?
«Le scorribande nei campi per rubare ceci verdi, saporitissimi, e frutta. Certe volte facevamo fermare la corriera per Agrigento e noi studenti scendevamo a frotte per spogliare i ciliegi e i mandorli. Ma queste sono storie di altri tempi». Storie di Vigàta, quella vera.
Tano Gullo
 
 

La Repubblica, 29.4.2003
Porto Empedocle si chiamerà anche Vigata, come nella saga di Montalbano
Camilleri ribattezza la città
 

Il sogno di essere un luogo da romanzo

Sul momento non vengono in mente precedenti di sorta al caso del nome di una città che venga cambiato per motivi letterari. Ma tanta è la fama della saga del commissario Montalbano narrata nei libri di Andrea Camilleri che Porto Empedocle ha deciso di adeguarsi. D´ora in poi si chiamerà Porto Empedocle Vigata, perché Vigata è il suo «nome d´arte», il travestimento con cui Camilleri ha scelto la sua città natale come sfondo delle vicende del suo personaggio.
E´ infatti a Vigata, cioè Porto Empedocle, che Montalbano ha una bella casetta da cui, nell´incipit della prima storia, Il ladro di merendine, «talìa fora dalla finestra spalancata» (talia fora? guarda fuori!) il mare, all´alba. Prima di prendere questa decisione, il comune di Porto Empedocle ha chiesto il doveroso permesso all´inventore del nome Vigata, e Camilleri lo ha accordato di buon grado, assai lieto dell´onore. E così un altro strano capitolo verrà aggiunto alla già bizzarra storia dei nomi dei luoghi. La toponomastica è una scienza favolosa sin dal suo nome, e ha conosciuto vicende intricate, che hanno sempre interessato la letteratura. I nomi dei luoghi trovati su un orario ferroviario che incantano un personaggio di Proust; i nomi delle città che danno un riferimento assurdamente realistico alla dolce follia dei limerick, città vere e città immaginarie che si alternano negli atlanti mentali che ogni lettore di letteratura sfoglia nella sua memoria... andare in vacanza a Macondo! visitare il cimitero di Spoon River! prendere il sole a Balbec!
Gli amministratori locali hanno già ripetutamente reso omaggio alla letteratura, ma senza mai attraversare la barriera che separa la finzione dalla realtà. Arquà Petrarca, Castagneto Carducci, Castelvecchio Pascoli... il cittadino illustre affianca con il suo cognome il nome della città in cui è nato o in cui ha scritto i suoi capolavori: la città rivendica il suo ruolo di madre o moglie, che ha generato o ospitato e accudito il geniale figlio-marito (normalmente si tratta infatti di celebrità di sesso maschile).
L´usanza è venuta meno. A nessuno è ancora venuto in mente di ribattezzare Milano come Milano Manzoni (sembra uno sponsor, e allora forse non sarebbe del tutto sbagliato). Ma mettiamo il caso che una futura giunta milanese - con quella attuale pare totalmente irrealistico - decida di onorare la Cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda e legga le parole «Pastrufazio, la più dinamica città del paese; spàppola i suoi sobborghi ovest e sud un po´ piacciosi e piuttosto lerci...». Pastrufazio è un travestimento gaddiano e sudamericano di Milano. Chiamarsi Milano Pastrufazio non sarebbe, finalmente, spiritoso? E l´Austria non dovrebbe omaggiare Robert Musil, che nell´Uomo senza qualità la chiama sempre, spietatamente, Kakania? Prenda esempio da Porto Empedocle Vigata e diventi Austria Kakania.
Non succederà, almeno non subito. Però succederà a Porto Empedocle, che accogliendo il nome di Vigata si trasformerà progressivamente nella città di Montalbano, sul modello dei «parchi letterari» che stanno nascendo qui e là, per Pinocchio a Collodi o per Rodari a Omegna. Disneyland per bambini o per adulti (la differenza non è poi più tanto avvertibile, almeno nel tempo libero). Verranno forse messe targhe, qui dormì Montalbano, qui mangiò molto bene (a Parigi, con il commissario Maigret, succede già), qui arrestò un omicida...
A Camilleri, che usa travestire la realtà e la lingua con una sapienza tecnica che lascia scoperti gli artifici, il destino ha riservato l´ennesima sorpresa: la realtà ha accettato il travestimento, e ha anzi deciso di indossarlo, anche con una certa disinvoltura. Come se occorresse un surplus di fantasia, che viene da fuori, dall´Altrove della letteratura, per trovare pezzi di una nuova identità. Quello di Porto Empedocle è sì un omaggio a Camilleri, ma è soprattutto un sogno. Il sogno di essere davvero un luogo da romanzo, di conformare la realtà alla narrativa. Il sogno di essere Vigata.
Stefano Bartezzaghi
 

Il sindaco della cittadina siciliana mette sui cartelli stradali anche lo pseudonimo letterario
"Benvenuti a Vigata", Montalbano cambia nome a Porto Empedocle
"Sono lusingato - dice Andrea Camilleri - ma non è solo un omaggio alla letteratura. C´entra l´idea di incrementare il turismo"

ROMA - «Adesso tedeschi, svedesi, francesi, tutti i turisti che vorranno, potranno passeggiare davvero sul molo del commissario Montalbano. Vigata era un luogo dello spirito, quello spazio dentro di me in cui ritrovavo le emozioni, i gesti, i colori e le cose della Sicilia della mia infanzia. Ora è una città». Lo scrittore Andrea Camilleri ha autorizzato il comune di Porto Empedocle, il paese in cui è nato, ad usare il nome di Vigata, la cittadina di fantasia in cui vive e agisce il commissario Salvo Montalbano, protagonista di romanzi di grande successo e di una fortunata fiction televisiva interpretata da Luca Zingaretti. Così chi entrerà nella cittadina che si affaccia sul mare a pochi chilometri da Agrigento troverà ad accoglierlo un cartello messo a nuovo: "Benvenuti a Porto Empedocle-Vigata".
«Sono onorato e lusingato - ammette Camilleri - ma non credo che si tratti soltanto di un omaggio alla letteratura. C´entra pure l´idea di incrementare il turismo». A Parigi da un anno e mezzo esiste un ristorante che si chiama "Casa Vigata", a Porto Empedocle c´è un "caffè Vigata", il Comune - spiega Camilleri - non poteva restare un passo indietro. Il giorno dopo la Pasquetta, martedì 22 aprile, il sindaco di Porto Empedocle, Paolo Ferrara, è andato a trovare lo scrittore a casa. «Mi ha chiesto se poteva chiamare anche col nome di Vigata la nostra cittadina, ho risposto di sì e ho firmato un´autorizzazione. L´ho fatto con piacere», racconta Camilleri.
Ma qual è il segreto del commissario Salvo Montalbano, eroe di carta prestato al piccolo schermo? Come fa a sedurre tutti? «Non lo so - dice lo scrittore - Montalbano è un uomo normale che, con lealtà, vince sulla realtà e diventa un eroe positivo. È un enigma, soprattutto per me».
Elsa Vinci
 
 

Giornale di Sicilia, 29.4.2003
Camilleri, papà di Montalbano, "regala" il nome del paese immaginario alla sua città natale
Porto Empedocle è Vigàta, col permesso di don Nenè

PORTO EMPEDOCLE. Porto Empedocle diventa pure «Vìgàta» per gentile omaggio dello scrittore Andrea Camilleri, empedoclino puro sangue. Il «papà» del commissario Salvo Montalbano ha infatti dato il proprio assenso affinché l'amministrazione comunale di Porto Empedocle utilizzi la parola «Vìgàta» accanto alla propria denominazione ufficiale. Lo ha fatto per iscritto alcuni giorni fa nel corso di un incontro avuto con il sindaco Paolo Ferrara e con l'assessore al Turismo Antonio Guido. «Vigàta» è il paesino a due passi dal mare dove sono ambientate le sue storie più famose, che hanno come protagonista il commissario Montalbano. «Vìgàta» richiamava alla mente più Licata, altra cittadina marinara dell'Agrigentino, che il centro empedoclino. Allora Licata o Porto Empedocle? O lo scrittore magari pensava ad un altro paesino? Per risolvere il «giallo» non c'è stato bisogno di scomodare il commissario Montalbano. Ci ha pensato, in prima persona, lo stesso Camilleri. «Vìgàta in realtà, ha chiarito tempo fa, è Porto Empedocle. Ora, Porto Empedocle è un posto di diciottomila abitanti che non può sostenere un numero eccessivo di delitti, manco fosse la Chicago dei tempi del proibizionismo: non è che siano santi, ma neanche sono a questi livelli. Allora, tanto valeva mettere un nome di fantasia: c'è Licata vicino, e così ho pensato Vìgàta. Ma Vìgàta non è neanche lontanamente Licata. È un luogo ideale, questo lo vorrei chiarire una volta per tutte». Ed allora perché non «approfittarne»? Perché, hanno pensato al Comune di Porto Empedocle, non farlo sapere a tutti, magari iniziando a scriverlo sulla cartellonista stradale? Può essere un richiamo turistico. Già, bella l'idea. Ma Camilleri che cosa ne pensava?. Avrebbe dato la propria autorizzazione? Bastava chiederglielo. Detto fatto ed ecco così l'incontro tra lo scrittore, il sindaco e l'assessore comunale. Si vedono tutti in casa dello stesso Camilleri, a Porto Empedocle, in via La Porta. C'è poco da discutere. Camilleri ascolta i due amministratori poi prende carta e penna e scrive di proprio pugno l'autorizzazione che sblocca tutto e che fa felici sindaco ed assessore. «Oggi 22 aprile, il sottoscritto prof. Camilleri Andrea, nato a Porto Empedocle, esprime con la presente, il proprio consenso acché il Comune di Porto Empedocle utilizzi la parola Vigàta accanto alla propria denominazione ufficiale Porto Empedocle». Segue la firma sotto la quale «don Nenè», come qualcuno ancora lo chiama affettuosamente in paese, aggiunge di ritenersi «estremamente onorato della proposta». L'autorizzazione è stata già assunta al protocollo del Comune al n. 688 dello scorso 24 aprile. Tutto è già pronto per cambiare la cartellonistica. «Sì - dice il sindaco Paolo Ferrara - inizieremo sostituendo le tabelle poste al quattro ingressi del paese, dove sotto la denominazione Porto Empedocle scriveremo appunto Vigàta. Tra qualche giorno vedremo quale altre iniziative possiamo intraprendere. La carta intestata? Sì, potremo cambiare anche quella. Di certo non ci fermeremo ai soli cartelli stradali. Ma si tratterà di passaggi graduali che vedremo di potere concordare, in alcuni casi, con lo stesso Camilleri. Ci ha detto che dovrebbe essere a Porto Empedocle dal 15 giugno al 30 luglio. Insieme a lui stiamo appunto lavorando per concretizzare altre idee, compresa quella di portare qui anche Luca Zingaretti. Vogliamo portare all'esterno le bellezze di Porto Empedocle e Camilleri ci darà sicuramente una mano».
Entusiasta anche l'assessore comunale Antonio Guido. «Noi empedoclini - dice - dobbiamo sentirci onorati di essere concittadini di un così famoso e grande scrittore. È un marinìsi come noi che porta lustro alla nostra cittadina».
Gerlando Gandolfo
 
 

La Sicilia, 29.4.2003
Vigata ora esiste è Porto Empedocle
Porto Empedocle.  Entro la prossima settimana verranno installate, nei quattro ingressi principali della città, tabelle con la scritta: «Porto Empedocle - Vigata Comune a prevalenza economica turistica». Il sindaco ha ottenuto l'autorizzazione di Andrea Camilleri per aggiungere a quello ufficiale il nome della immaginaria città inventata dallo scrittore.
Francesco Di Mare, Gaetano Ravanà
 
 

Il Messaggero, 29.4.2003
Cultura
Quatrano, chiacchiere e veleni in tribunale

Quella che vince è la verità più semplice, meno faticosa. Anche se qualcuno l’ha costruita per realizzare i suoi progetti di morte. Ma ciò non turba i sonni di un pubblico ministero napoletano, Francesco Cardarelli, giovane e in carriera. È certo di «essere nel giusto», di aver trovato la soluzione del «complicato enigma»: tutto fila, tutto è coerente nella burocrazia delle sue carte. La verità sta però in una lettera spedita da Napoli a Nizza, da un mittente che non conosce il destinatario e viceversa. Così, in un contesto in cui prevale la falsa verità, non avrà conseguenze. Un noir classico e ben costruito quello di Nicola Quatrano, prima pm e ora gip a Napoli, che descrive un mondo a lui ben noto, quello delle inchieste e dei processi, in cui c’è spazio anche per amori, sesso e vecchie passioni politiche. Nel suo esordio letterario, come annota Andrea Camilleri nella prefazione, l’autore ha l’abilità di trattare ogni nuovo evento come se fosse l’unico in grado di fornire la soluzione, salvo far scoprire puntualmente al lettore che è fuorviante. E lo fa mostrandoci un palazzo di giustizia reale, con le sue chiacchiere di corridoio e i suoi veleni sulle indagini fatte da un magistrato che tutti conoscono e che partono proprio con l’omicidio del suo assistente, ucciso con l’arsenico. Alla fine un dramma che tocca quattro vite, molto diverse tra loro ma unite, si traduce in un’inchiesta che è «un’orribile farsa, durante la quale colpevoli e innocenti, accusati e accusatori coopereranno, tutti, perché trionfi la menzogna in nome della verità». Dunque, come scriveva Shakespeare nel Re Lear, «la verità è un cane».
 
 

Rai Libro, 30.4.2003
L'investigatore e Camilleri
Il detective Montalbano

Andrea Camilleri, uno degli scrittori italiani più conosciuti e tradotti all'estero, nasce a Porto Empedocle (Agrigento) il 6 settembre 1925. Ha lavorato come regista, autore e sceneggiatore in televisione e a teatro, ma la sua affermazione come romanziere è molto più tardiva: dopo Il corso delle cose (1978), passato pressoché inosservato, pubblica nel 1980 Un filo di fumo, primo di una serie di romanzi ambientati nell’immaginaria cittadina siciliana di Vigàta, a cavallo fra la fine dell’800 e l’inizio del ’900. Ma il grande successo arriverà soltanto nel ’94, con l’apparizione de La stagione della caccia, cui seguono nel 1995 Il birraio di Preston (best seller internazionale), La concessione del telefono e La mossa del cavallo (1999). Sempre Vigàta, ma quella dei giorni nostri, è teatro della celebre 'serie' del Commissario Salvo Montalbano, dal cui personaggio è stata tratta una fortunata serie televisiva.
D. Com’è nato il personaggio di Montalbano?
R. Il nome del personaggio di Montalbano nasce come omaggio allo scrittore spagnolo Manuel Vásquez Montalbán, anche se non in relazione alla sua produzione giallistica e al personaggio del detective Pepe Carvalho. Anni fa lessi un suo romanzo dal titolo Il pianista che mi diede il modo di organizzare un mio romanzo: Il birraio di Preston.
Quando, in seguito, mi ritrovai tra le mani un personaggio giallo da delineare gli diedi il nome di Montalbano, prima di tutto perché si tratta di un cognome siciliano diffusissimo e in secondo luogo proprio come ringraziamento a Vásquez Montalbán.
C’è poi da aggiungere che il personaggio di un detective, e quindi la scrittura di un giallo, nasce come un mio personale bisogno di ordine, perché il romanzo giallo necessita di una consecutio temporis e di una consecutio logica ben determinate, ha bisogno di una struttura profondamente delineata. Questi elementi non erano stati fino ad allora presenti nei miei romanzi, e quindi provai a vedere se sarei stato capace di scrivere in questo modo, nella gabbia del romanzo giallo.
D. Qual è l’importanza della squadra per Montalbano?
R. Enorme. La squadra è fondamentale. Una volta un procuratore capo fece il possibile per non essere trasferito in un’altra procura perché era sicuro che non sarebbe mai riuscito ad avervi la squadra che stava per abbandonare. In questi fatti di indagini il lavoro di squadra è fondamentale.
D. Qual è l’importanza delle consuetudini caratteriali e comportamentali nella delineazione del personaggio di un detective?
R. È molto importante perché lo rende più personaggio. In un mio recente intervento citavo un giallista di nome Edgar Wallace di cui ormai quasi nessuno ricorda più i suoi detective proprio perché non è mai riuscito a creare il personaggio dell’investigatore. Nello stesso intervento me la sono presa con la povera Agata Christie per altri motivi, ma bisogna riconoscere che Poirot è delineato benissimo. I vizi e le consuetudini dell’investigatore sono importanti anche perché permettono al lettore di affezionarsi al personaggio e di protrarre questo affetto in tutte le diverse avventure di cui è protagonista.
D. C’è qualcosa di Andrea Camilleri in Montalbano?
R. No, ma c’è molto di mio padre…non l’ho scoperto io, l’ha scoperto mia moglie.
Maria Agostinelli
 
 

La Repubblica, 30.4.2003
Agrigento, dall´alba di ieri il cadavere di un clandestino legato a una boa aspetta che qualcuno vada a recuperarlo
L´annegato che nessuno vuole
Scaricabarile tra burocrazie per un corpo che galleggia nel mare siciliano
Nessuno dall´Italia, dalla Tunisia o da Malta si è mosso per recuperarlo
L´uomo è stato avvistato da un motopesca tunisino in acque internazionali

AGRIGENTO - Qualcuno dice che è un nero e qualcuno dice che è un bianco. Non si riconosce più nemmeno il colore della sua pelle. È gonfio d´acqua. Ed è senza testa, rosicchiata dai pesci. L´uomo è in mezzo al Mediterraneo, allacciato a una boa sballottata dalle onde. È lì nel mare tra l´Africa e l´Europa dall´alba di ieri, attaccato con una cima a quel galleggiante, abbandonato alle correnti. È un cadavere che nessuno vuole. Non lo vanno a prendere le motovedette tunisine. Non lo vanno a prendere i maltesi. Non lo vanno a prendere neppure i nostri della Guardia costiera. La tomba dell´uomo senza testa è mare che non ha bandiera, sono «acque internazionali».
Di lui non sapremo mai il nome né da dove viene. Sappiamo però che nelle ultime dodici ore non c´è stato un solo marinaio tra la Sicilia e La Valletta o Tunisi che ha cercato di portarlo a riva. Segnalazioni via-radio tra pescherecci in navigazione, messaggi tra capitanerie, allarmi smistati a ripetizione, poi arrivano in ogni porto le coordinate del punto nave che indicano il «mare di nessuno» e quel cadavere decapitato resta lì. Un clandestino, uno dei tanti. Come quel cadavere incrociato dal commissario Montalbano nell´ultimo libro di Andrea Camilleri, «Il giro di boa», il commissario che nuota e sfiora un morto che «certamente non era frisco... perché carne attaccata alle ossa ne restava picca e la testa era addivintata praticamente un teschio...». Sembrava in un primo momento proprio un naufrago venuto dall´altra parte del mondo quello di Montalbano (era in realtà un trafficante barese di bambini), uno come l´uomo ritrovato a sud di Lampedusa, uno che voleva approdare da questa parte del Mediterraneo quando le onde l´hanno inghiottito.
L´uomo senza nome e senza testa è stato avvistato verso le cinque del mattino in un punto del Canale battuto dai motopesca che salpano da Sfax e da Kelibia. Sono i marinai dell´"Harus el Bahar" che tirano su le reti e vedono qualcosa galleggiare. Si avvicinano, è un cadavere. Chiamano le autorità marittime tunisine e poi segnalano il ritrovamento ai pescatori del "Sabri", un´altra barca di Sfax. I marinai del primo motopesca si allontanano, quelli del "Sabri" spengono i motori e via radio spiegano alle autorità marittime italiane che c´è un cadavere. La nostra Guardia Costiera individua il punto del ritrovamento e avverte La Valletta, da quel momento cala il silenzio. Per tre o quattro ore i pescatori tunisini aspettano una motovedetta maltese, all´orizzonte però non si vedono barche. È a quel punto che calano la boa, un pescatore scivola in mare, lega il cadavere al galleggiante e poi il «Sabri» fa rotta verso il golfo della Sirte.
Il resto della storia è diventato un caso burocratico, una questione di "sovranità" su acque che nessuno riconosce come sue, uno scaricabarile. Dichiarazioni ufficiali nessuno ne fa, ma intanto nessuno si muove per riprendere quell´uomo legato alla boa. Le prime notizie erano confuse, sembrava che fosse uno di quei 69 irakeni che navigavano ancora su una carretta dopo tre giorni e tre notti, un legno fradicio che ieri mattina stava andando a fondo proprio a sud di Lampedusa. Ma quei naufraghi sono stati tutti salvati dai marinai della Guardia costiera. Come altri 68 che erano stipati ieri pomeriggio in un barcone ondeggiante davanti alle coste agrigentine. Salvati anche loro. Salvati come altre centinaia di magrebini che nelle ultime settimane hanno preso il mare per raggiungere la Sicilia.
Si annuncia una piccola «invasione» nei prossimi due mesi, l´estate è alle porte è il traffico di clandestini tra le due sponde del Mediterraneo sembra non fermarsi. Come l´anno scorso, quando da giugno a ottobre ne arrivarono migliaia e migliaia. C´è anche una segnalazione dell´ultima ora molto particolare, si cerca una nave piena di clandestini che va a zig zag nel Mediterraneo nel tentativo di trovare uno scalo riparato e sicuro. Lontano dalle scogliere. Lontano dai guardiacoste.
Attilio Bolzoni
 

IL LIBRO
Così la storia di Montalbano

Nell´ultimo libro di Andrea Camilleri dedicato alle avventure di Montalbano, "Il giro di boa" (Sellerio), la trama gialla ruota attorno al ritrovamento di un cadavere che galleggia nel mare davanti alla casa del commissario. Il morto si rivelerà un trafficante di bambini ucciso nel quadro di una vendetta interna alla sua banda e non quello di un povero clandestino, come con tutta probabilità è il caso dell´uomo annegato in mezzo al canale di Sicilia.
 
 

La Repubblica, ed. di Palermo, 30.4.2003
Porto Empedocle
Granata perplesso sul nome Vigàta

«Capisco le ragioni del cuore di Camilleri e dello stesso sindaco ma la vicenda mi lascia perplesso». Così l´assessore ai Beni culturali Fabio Granata ha commentato l´ipotesi di cambiare il nome di Porto Empedocle in Vigàta. «In primo luogo, per il rispetto verso Empedocle e per quello che rappresenta il filosofo agrigentino - ha affermato Granata - poi, perché Vigata è la Sicilia della memoria e dell´immaginario e attrae proprio perché è un´immagine onirica».
 
 

La Repubblica, ed. di Palermo, 30.4.2003
Lettere

Da Proust a Camilleri
Porto Empedocle cambia nome, o meglio ne aggiunge uno: «Benvenuti a Porto Empedocle Vigata» reciterà d'ora in poi un bel cartello all'ingresso della cittadina siciliana. Camilleri dà la sua autorizzazione al sindaco Paolo Ferrara e ci mancherebbe altro… e così il travestimento letterario assurge a pari dignità della tradizionale denominazione, rinvigorisce una esausta toponomastica e si appresta a reclamizzare nel mondo la patria del commissario Montalbano.
La notizia, lo ammetto, mi è quasi indifferente. Un po' di fastidio, forse, nulla più. Ma mi lascio andare lo stesso le code agli uffici postali sono fatte apposta a un'oziosa lettura dei numerosi articoli sull'argomento. Perché c'è un piccolo tarlo che mi si è insinuato dentro la cui causa confesserò tra poco e non riesco a scacciarlo.
E mi accorgo presto di un intervento di Stefano Bartezzaghi sulla prima pagina dell'edizione nazionale di "Repubblica": gli do volentieri la precedenza. Eccone l' incipit : «Sul momento non vengono in mente precedenti di sorta al caso del nome di una città che venga cambiato per motivi letterari». Ho una piccola perplessità, ma sarei ben disposto a glissare. Poi però la lettura va avanti e tra gustosi riferimenti letterari spiccano due allusioni proustiane. Appunto, mi dico. Se a Parigi c'è da un anno e mezzo il ristorante "Casa Vigata" a un centinaio di chilometri di distanza in direzione sud-ovest in treno si cambia a Chartres c'è il minuscolo paesino dove Proust ha passato gran parte della sua infanzia, Illiers, immortalato nella Recherche con il nome di Combray. Le carte stradali prima e la segnaletica all'ingresso del paese poi ne confermano il doppio nome: Illiers-Combray, dunque, dove tanti appassionati dello scrittore francese si riuniscono una volta l'anno per celebrare il loro culto laico e dove tanti turisti vanno a curiosare tra la casa della zia Léonie e il Pré Catelan assaporando deliziosi biscotti fosforici a forma di conchiglietta, le immancabili madeleines.
Che gli amministratori empedoclini si siano convinti per un istante di essere stati originali in buona fede, per carità, non voglio certo attribuire loro improbabili suggestioni proustiane si può anche capire. Non accordiamo però eccessiva novità a questa amena trovata turistica. Mi dispiace di dover raffreddare l'euforia provinciale: è opportuno ricordare che non viviamo al centro del mondo nemmeno letterario ma in una simpatica, assolata periferia. Anche se qualcuno, talvolta, vuole illuderci del contrario.
Sandro Volpe, Palermo

Non cancellate però le orme di Empedocle
Leggo che si parla di Camilleri, di Vigata, di Agrigento. Certo, ma dove mai è sparito Empedocle? Non voglio credere che nessuno sa più chi fosse. Forse è stata scoperta nella sua opera qualche scorrettezza?
Come mai questo grande filosofo agrigentino si ritrova a essere trascinato nell'oblio, dopo millenni di rispetto nella nostra cultura, per essere sostituito dal nome di un paese virtuale, la cui fama (anche se a me Camilleri piace molto) non potrà mai, sia nel tempo che nello spazio, raggiungere la sua?
Almeno, per favore, spiegate alla gente chi era Empedocle.
Aimée Carmoz, carmoz@tiscali.it
 
 

La Sicilia, 30.4.2003
Sarà Vigata la regina del Teatro

Porto Empedocle. Continua, inarrestabile, il nuovo rapporto fra Andrea Camilleri e la sua città. Dopo l'ufficializzazione dell'aggiunta del nome Vigata al tradizionale Porto Empedocle, si gettano le basi per far fruttare quello che ha il sapore del business. Il Comune sta infatti organizzando il primo premio nazionale di teatro di base denominato «Città di Vigata».
L'iniziativa è dell'assessore comunale allo Spettacolo, Tonino Guido, il quale ha immediatamente trovato la disponibilità del sindaco, Paolo Ferrara, del presidente del Consiglio comunale, Maurizio Cimino, e degli altri amministratori locali. A luglio dunque, la cittadina marinara diventerà la capitale del teatro amatoriale a livello nazionale. Per consentire a quante più compagnie possibili di giungere a Vigata, verrà diffuso un bando via internet che permetterà di pubblicizzare l'iniziativa lungo tutto lo stivale. A giudicare i professionisti del teatro di base saranno esperti del settore, primo fra tutti il «papà» del commissario Montalbano, lo scrittore Andrea Camilleri, al quale si affiancherà quasi certamente l'attrice Monica Guerritore. Da oggi a luglio l'amministrazione comunale provvederà a limare gli ultimi particolari dell'iniziativa, messa su anche con i contributi economici di sponsor e con qualche euro in arrivo dalla Regione. Fin qui il futuro ormai alle porte, ma è la stretta attualità che pone Porto Empedocle al centro dell'attenzione nazionale e internazionale, in quanto terra nativa di Camilleri.
Dopo la metamorfosi toponomastica, ieri il sindaco non ha avuto il tempo di alzarsi dalla sedia del suo studio. Il telefono del primo cittadino non ha smesso di squillare per un minuto. Radio, giornali, televisioni, curiosi e tanti altri rappresentanti del mondo dei media hanno chiesto a Ferrara il perché della sua decisione.
«Vogliamo dare di Porto Empedocle il volto migliore. L'esempio arriva dal Bar Albanese, ricordato da tanti solo come quello della strage di mafia del 1986, trasformatosi negli ultimi mesi nella segreteria personale di Camilleri.
Oggi quel bar si chiama «Caffè Vigata» e vuole contribuire a cambiare l'idea che tanti hanno del nostro paese».
Francesco Di Mare
 
 

La Sicilia, 30.4.2003
Prendetevi Vigàta, Ragusa si tiene i turisti

Prendetevi pure il nome di Vigàta, tanto noi ci teniamo i turisti. A Porto Empedocle non basterà fregiarsi di una discutibile appendice romanzesca per attirare soprattutto svedesi, norvegesi e tedeschi, che, sotto l'effetto della serie televisiva del commissario Montalbano tratta dai romanzi di Andrea Camilleri, hanno imparato ad amare la Sicilia barocca, le chiese di Ragusa e Modica, la spiaggia di Puntasecca. Un segno di consolidata rivoluzione del gusto, se consideriamo che dal Settecento a metà Novecento i turisti del Grand Tour evitavano accuratamente tutto ciò che non fosse classicità greca. Uno stile spesso trova le vie più casuali per essere apprezzato. Questa volta si tratta di un duplice tradimento: nei confronti della Porto Empedocle che ha ispirato Camilleri e poi di Agrigento, la città della sublime Valle dei Templi.
Il fenomeno Montalbano si trascina dietro anche una fiorente industria della paccottiglia, tutto ciò che è legato alla finzione letteraria diventa oggetto di desiderio. Si è creato un legame indissolubile tra le avventure romanzesche e il Ragusano. Se portate un turista sul molo di una città che, in un miscuglio di filosofia e fantasia, si chiamasse Porto Empedocle Vigàta, si sentirebbe a disagio. Non la immaginava così, il suo eroe ormai ha acquisito uno sfondo barocco.
Rossella Schembri
 
 

Belice.it
ANDREA CAMILLERI
IL GIRO DI BOA
Pagg.269 Euro 10 SELLERIO

Ancora una volta lo scrittore siciliano non delude i suoi lettori, ancora una volta Camilleri centra in pieno l’obiettivo. Ne “Il giro di boa”, ultimo libro pubblicato, lo scrittore ci regala una trama articolata e complessa, avvincente, ricca di colpi di scena, riuscendo, come al solito, a tenere inchiodato il lettore sino alla fine del libro. Questa volta il commissario Montalbano è alle prese con un cadavere rinvenuto per  caso in alto mare, un corpo in stato di decomposizione con i polsi e le caviglie incisi. Un caso che potrebbe essere benissimo archiviato, ma il commissario più  famoso d’Italia, in crisi come uomo e come poliziotto per le vicende del G8 di Genova, che hanno offerto una immagine certamente non idilliaca della polizia, propenso a rassegnare le dimissioni, decide di approfondire il mistero del cadavere che si intreccia con il caso di un bambino travolto volontariamente da una macchina, una vicenda che ricorda molto il piccolo François del libro “Il ladro di merendine”. Due casi definiti dallo scrittore “convergenze parallele, citando una delle frasi più famose di Aldo Moro e si può affermare, senza ombra di dubbio, che quest’ultimo libro di Camilleri è un testo apertamente “politico”. L’autore non ha esitazioni a criticare la nuova legge sull’immigrazione, meglio conosciuta come la “Bossi-Fini”, scrive che “stavano via via agonizzando macari la compassione, la fraternità, il rispetto per i vecchi, per gli ammalati, per i picciliddri”, mette in evidenza il “commercio” dei bambini extracomunitari, “usati” per l‘espianto degli organi, per i pedofili e il dialogo, su questo tema, fra Montalbano e il  giornalista è una delle pagine più interessanti del volume. L’autore critica l’indifferenza della gente, la superficialità della   televisione: Montalbano- Camilleri (l‘identificazione fra i due è d’obbligo) non riesce più a riconoscersi  in una società che ha smarrito il senso dell’esistenza umana, interessata solo ai soldi e al successo. In questo libro lo scrittore ci delinea un Montalbano in crisi, stanco, anche se l’inchiesta lo coinvolgerà in maniera totale, sempre più triste, cupo, affaticato e, non a caso, alla fine del romanzo, il commissario avrà dei dolori che supererà grazie all’aiuto dell’”angelo” Fazio. ”Il giro di  boa” lascia, alla fine della lettura, un inquietante interrogativo nel lettore. Lo scrittore terrà ancora in vita il commissario Montalbano o il fatto di essere ferito in un conflitto lascia presagire la sua prossima  “morte letteraria”? Il libro, nonostante Camilleri usi il solito linguaggio, un mix di italiano e siciliano, è diverso dagli altri perché viene ridimensionata la figura di Catarella  e, di conseguenza, i sorrisi che suscitava nel lettore, ma è permeato, nel contempo, da un profondo pessimismo e da una forte vis polemica. L’autore dimostra di essere sempre abile nell’imbastire trame narrative non facili, nel delineare magistralmente personaggi e situazioni dimostrando una facilità e felicità di scrittura, doti certamente non comuni; del resto, dopo un primo tempo in cui veniva snobbato dai critici, oggi è riconosciuto come uno degli scrittori più apprezzati e non è un caso che abbia ottenuto il  prestigioso “Premio Mondello” per la letteratura per “Il re di Girgenti”.
Giuseppe Petraia
 

 


 
Last modified Monday, June, 03, 2013