RASSEGNA STAMPA
APRILE 2003
La
Crusca per voi, n.26, 4.2003
Quesiti e risposte
Vincenzo Teodoro di Roma rileva l’artificiosità della lingua
usata da Camilleri e chiede a che livello di regionalità si possa
collocare.
Il successo di Andrea Camilleri, scrittore d’origine siciliana ma da
molti anni trasferitosi a Roma, ha suscitato grande interesse tra gli addetti
ai lavori (basti pensare che nel marzo 2002 a Palermo si è svolto
un importante convegno su "Letteratura e storia: il caso Camilleri"; e
chi scrive, con Patrizia Bertini Malgarini, sta lavorando da diverso tempo
a un volume sugli aspetti linguistici della scrittura di Camilleri, di
cui si anticiperanno alcuni risultati nel prossimo Convegno internazionale
su “Identità e diversità nella lingua e nella letteratura
italiana”, per il Cinquantenario dell’Associazione Internaz. di Studi di
Lingua e Letteratura Italiana, A.I.S.L.L.I., a Lovanio – Louvain-laneuve
– Anversa – Bruxelles, 16-19 luglio 2003). Ma molta curiosità Camilleri
ha destato anche in un pubblico più vasto, e tra i lettori della
“Crusca per voi”: in particolare rispondiamo alla lettera di Vincenzo Teodoro
di Roma. Molti sono i quesiti propostici, che qui potremo affrontare necessariamente
solo in forma sommaria; e del resto esiste ormai una se pur limitata bibliografia
critica alla quale ci si può riferire: infatti da diversi punti
di vista e in più riprese gli studiosi si sono interrogati sulle
ragioni di una affermazione tanto clamorosa quanto inaspettata e giunta
per lui in età piuttosto avanzata.
Di questo successo (e ce lo confermano tutti coloro che se ne sono
interessati) la lingua è certo uno dei fattori principali, anche
per chi ritiene il “camillerese” una «pura vernicetta virtuosistica»
(G. Pacchiano, "Il «Camillerese » è soltanto virtuosismo?",
in «Il Sole-24 Ore», 27 gennaio 2002). Si tratta, a nostro
parere (e di molti altri), proprio di una scelta linguistica originalissima,
variamente
definita con le etichette di “misto”, “ibrido”, “meticciato” (e così
via) che mescola variamente italiano, dialetto e forme regionali. Questi
diversi componenti (potremmo dire ingredienti, in considerazione dei richiami
frequentissimi alla gastronomia nelle opere dello scrittore di Porto Empedocle),
della “cucina” di Camilleri per di più appaiono al loro interno
ulteriormente stratificati e complicati: non solo quindi forme assolutamente
locali (dialetto vero e proprio), forme di incontro tra lingua nazionale
e usi locali e regionali (dialetto più o meno italianizzato e italiano
più o meno regionale), ma pure italiano popolare (soprattutto nella
parodica imitazione della lingua dei semicolti), e infine letterarietà
più o meno scopertamente esibita (si pensi solo alle non infrequenti
clausole ritmico-metriche di cui la prosa camilleriana è non casualmente
trapuntata).
Un impasto così complesso, com’è ovvio, pone problemi
non piccoli pure agli ormai numerosi traduttori del nostro scrittore, che
(come mostra il caso del francese S. Quadruppani) hanno dovuto sperimentare
strade in alcuni casi del tutto nuove per rendere con efficacia la prosa
di Camilleri in situazioni linguistiche che spesso sono assai lontane e
difficilmente comparabili con quella di partenza.
I romanzi di Camilleri se non potranno garantirgli un posto, magari
accanto a Dante o a Manzoni, nei manuali di storia della letteratura (vd.
A. Camilleri, "La gita a Tindari", Palermo, Sellerio, 2000, p. 261), pur
tuttavia rappresentano ormai un preciso punto di riferimento nel panorama
letterario di questi ultimi anni, come in primo luogo mostra il recentissimo
primo volume a lui dedicato dai “Meridiani” ("Storie di Montalbano", a
cura e con un saggio di M. Novelli e un’importante introduzione di N. Borsellino,
Milano, Mondadori, 2002), nonché la nomina a Grand’Ufficiale al
merito della Repubblica da parte del Presidente Ciampi.
Il problema di una letteratura che si “compromette” con le varietà
locali è un problema “di lunga durata” nella nostra tradizione culturale
(vd. da ultimo di Patrizia Bertini Malgarini e Ugo Vignuzzi, "Dialetto
e letteratura, in Dialetti italiani. Storia, struttura, uso", a cura di
M. Cortelazzo, C. Marcato, N. De Blasi, G. P. Clivio, Torino, Utet, 2002,
pp. 996-1028, che si chiude appunto con alcune riflessioni sul “caso Camilleri”):
e in questo senso ci pare di non dover nutrire troppa preoccupazione nei
confronti di una prosa narrativa che attinge alla realtà dialettale
ma non è dimentica al contempo della letterarietà della tradizione
italiana.
Ugo Vignuzzi
Stilos, 1.4.2003
Cosa direbbero gli scrittori italiani a Bush e Saddam se li avessero
di fronte?
[...]
Andrea Camilleri: Direi una sola cosa a entrambi: ma finitela, che
non è il momento.
[...]
Le Magazine Littéraire, 1.4.2003
Le Roi Zosimo
Comme à son habitude, Andrea Camilleri - qui depuis peu a fait son entrée dans la Pléiade italienne, les Meridiani de Mondadori - alterne enquêtes contemporaines du commissaire Montalbano et romans ayant pour cadre le passé de sa Sicile natale. Avec "Le Roi Zosimo", vaste fresque historique à laquelle il a travaillé plusieurs années, il propose de découvrir l'incroyable et rocambolesque aventure de Michele Zosimo, un paysan qui, au début du XVIIIe siècle, devint pendant quelque temps le roi de la ville d'Agrigente.
Avec cet épisode méconnu de l'histoire sicilienne, Camilleri a voulu rendre hommage à un personnage haut en couleurs, un révolté porté sur la voyance, qui essaya de défendre ses compatriotes des abus du pouvoir. Comme dans tous ses autres romans, l'écrivain sicilien, outre sa parfaite maîtrise des structures narratives et sa propension à l'ironie, montre son habituel attachement à une langue riche et métissée, où se mélangent l'italien et le sicilien. Un mélange que la traductrice a transposé en français en utilisant le parler franco-provençal de la région rhodanienne.
F.G.
Stilos, 1.4.2003
Intervento di Nino Borsellino al convegno "Scrittori e critici a
confronto"
[...]
Quello che alcuni chiamano processo al Risorgimento è in realtà
processo al post-Risorgimento o Risorgimento incompiuto. I romanzi storici
di Camilleri, fino al Re di Girgenti, hanno a fondamento celebri inchieste
sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia, ma accentuano il
motivo dell'inconciliabilità fra due formae mentis, quella degli
amministratori calati nell'isola dalle regioni centrali e settentrionali
della penisola e quella degli amministrati che tentano di far valere interessi
legittimi e illegittimi: questi più tutelati dal potere amministrativo
spesso complice della malavita. Da qui il registro comico della scrittura
camilleriana originato da un corto circuito della comunicazione che si
esaspera nella difformità fra scritto e parlato, fra la rigidità
cancelleresca del burocratese e la equivocità del dialetto, usato
come arma dei rei, per sostituire alla legge comune la legge mafiosa, ma
anche dagli innocenti per difendersi dai soprusi del potere.
La mossa del cavallo, del 1999, è il romanzo che più
di altri, anche più della Concessione del telefono, intreccia i
nodi della comprensibilità e li scioglie scoprendone gli inganni.
Vizi pubblici e vizi privati formano un maledetto imbriglio, ma è
il privato che garantisce la verità del narrato, mentre la vicenda
arriva alla sua soluzione imprevedibilmente, come negli atti dell'esistenza
che Camilleri insegue anche nei dettagli con allegra partecipazione.
La storia del passato inserisce le storie di Camilleri in un arco di
tempo che va dal 1848, dall'anno della Strage dimenticata, all'età
umbertina. Il corso delle cose [che si svolge peraltro intorno alla
fine degli anni Sessanta, però del 1900, NdCFC], La stagione
della caccia, Il birraio di Preston, Un filo di fumo, oltre ai titoli già
ricordati, sono romanzi che vi si possono cronologicamente iscrivere e
rispecchiano figure e costumi - come si diceva una volta - esasperatamente
ma plausibilmente d'epoca. Quando però gli anni, anzi i secoli,
si allontanano, e la misura della megastoria si impicciolisce in microstoria,
il condimento dell'invenzione si fa leggendario e convoca fatti reali e
irreali, di cronaca e di magia. Il lettore del Re di Girgenti deve attraversare
lo specchio della storia per convivere col mondo popolare ricreato a dritto
e a rovescio, nella temporalità dei giorni feriali e nella extratemporalità
del carnevale.
[...]
In quel romanzo Zosimo, sovrano di un giorno di rivolta, fa proprio
il progetto per una pace universale scritto su un albero scorteggiato da
Don Chisciotti. Come l'Hidalgo siciliano [probabilmente è un
refuso per spagnolo o castigliano NdCFC] anche il re contadino vuole
raddrizzare l'albero storto dell'umanità.
[...]
Neppure Camilleri, e per lui il commissario Salvo Montalbano, nasconde
la sua ammirazione per un maestro dell'indagine criminale come Sciascia,
ma ha rinunciato a seguirne la pista. Eppure - l'ho già scritto
- la mafia è un elemento costitutivo del suo immaginario giallo-comico;
è una presenza che genera isteria sociale e distrae dal disvelamento
di un mistero privato e doloroso per quanto comicamente inscenato. Le storie
di Montalbano si svolgono davvero in una casa degli specchi, di specchi
ingannevoli che sono essi stessi apparenze illusorie di vita ordinaria
elevata dal delitto a testimonianza di un destino eccezionale, come in
tutti i grandi racconti polizieschi. I lettori di Camilleri-Montalbano
sempre in crescita in Italia e nel mondo lo sanno benissimo, e lo sa bene
la larga audience televisiva. I pochissimi che possono aver letto la mia
glossa di prefatore a un denso volume dei Meridiani Mondadori sanno anche
quel che penso della psicologia di quel poliziotto demiurgo e della sua
pietas di giustiziere. Resta solo da insistere su un dato che rischia di
incrinare il suo piacere più che dovere, di indagare. Il giro di
boa, l'ultimo titolo della serie, si apre con una volontà di rinuncia.
Montalbano è mortificato da episodi di slealtà che contrappongono
gli organi dello Stato a cui egli appartiene e la società civile.
Ma la rinuncia è rinviata, un piccolo profugo destinato allo sfruttamento,
anzi al sacrificio infantile, lo rimette in situazione. Il dramma dell'emigrazione
clandestina dai Paesi poveri o espropriati di nazionalità è
una realtà che entra nello specchio di una storia di oggi, globale
non locale, ma che proprio in quanto isola la Sicilia vive giorno dopo
giorno lungo tutte le sue coste. Ed è una realtà vincolante.
Per essa, come eventualmente per altre, Montalbano sarà costretto,
per nostra fortuna, a rimanere un commissario con le dimissioni in tasca.
Nino Borsellino
Il Messaggero,
1.4.2003
Montalbano: giro di boa tra dubbi e rimorsi
ANCHE il commissario Montalbano cresce, cambia, segue il tempo che scorre,
sempre fedele però alle proprie convinzioni più profonde.
E un poliziotto della sua tempra, uno sbirro come lui che ha passato la
vita dalla parte delle istituzioni, e dunque dalla parte dei cittadini,
si sente tradito: di fronte a ciò che è successo a Genova
durante il G8, Montalbano «che fa, può far finta di niente?».
Sulla coscienza del commissario di Vigàta pesano, pesano come macigni,
i pestaggi indiscriminati ai manifestanti, l'irruzione alla scuola Diaz,
l'atmosfera "cilena" di quelle giornate genovesi, e alla fidanzata Livia
il poliziotto confida: «Mi dimetto. Domani vado dal questore e gli
presento le dimissioni». E' la stagione dei dubbi, dei rimorsi, della
crisi profonda di un uomo ormai cinquantenne che non sa più bene
cosa fare della sua vita, incerto tra la fedeltà ai propri valori
e le piccole sicurezze di un'esistenza che comincia ad essere segnata dall'incalzare
del tempo. E' il momento, insomma, de Il giro di boa (Sellerio, 269 pagine,
10 euro), come recita opportunamente il titolo del nuovo romanzo firmato
da Andrea Camilleri. Lo scrittore siciliano ci consegna stavolta una delle
storie più intense del commissario Montalbano. Una storia avvincente
e sottile come sempre, che mescola tutti gli elementi che hanno decretato
il travolgente successo del Simenon siciliano: l'originale impasto linguistico,
l'inconfondibile e umanissimo cast dei personaggi, l'oliata macchina del
"giallo" che rende illusorie le frontiere di un mondo ordinato dove bene
e male, delinquenza e innocenza sono divisi e riconoscibili. Ma adesso
Camilleri fa qualcosa di più: radica come non mai il suo romanzo
nel presente e lo imbottisce di dubbi, di nostalgia, di rimpianto. Montalbano
è un commissario che non crede più in quello che fa, ma non
è capace di fermarsi. E proprio per questo è costretto a
fare dolorosamente i conti con la propria coscienza che lo trascina fino
a lì, fino al "giro di boa": quel punto in mezzo al mare che segna
la rotta del ritorno, che obbliga a voltarsi e guardare indietro. Nonostante
tutto la coscienza non farà naufragio. E una nuova indagine riuscirà
a salvare il commissario di Vigàta: sulla spiaggia è stato
infatti rinvenuto il cadavere di un presunto immigrato clandestino, forse
un povero cristo come tanti altri in cerca di fortuna. Sembra un'inchiesta
di routine nella quale Montalbano s'infila solo per caso, ma vi resterà
impigliato (e con lui, i lettori) fino all'ultima pagina.
Bergenpuls.no, 1.4.2003
Utsøkt fra Sicilia
Konsis krim fra mafialand
Hva burde vel passe bedre sammen enn Sicilia og krim? Men noen mafiaroman
av samme støpning som «Gudfaren» er det ikke snakk om
fra Andrea Camilleris hånd. Vi går ikke så langt inn
i familiefeidene som hos Puzo. «Slik vann tar form» er derimot
en tradisjonell, nesten klassisk handlingsmettet politiroman, noe som rimer
godt med at forfatteren, da han var regissør i det italienske Fjernsynsteatret,
blant annet hadde hovedansvaret for den berømte Maigret-serien.
Intrigen i «Slik vann tar form» utgår fra Silvio
Luparellos dødsfall. Han er en innflytelsesrik entreprenør
og fremstående politiker i småbyen Vigàta, nylig valgt
til leder for sitt parti. Han blir funnet død i en bil på
det beryktede stedet la mànnara, der hvor narkohandelen og prostitusjonen
foregår.
Patologen sverger på at Luparello døde naturlig av hjertesvikt.
Men den dyktige og klartenkte etterforskeren inspektør Montalbano
aner ugler i mosen. Hvorfor var for eksempel Luparellos underbukser på
vrangen da han ble funnet?
Montalbano er en likendes kar; høflig, dannet, fokusert - en
klassisk skarpsynt og suveren detektiv av Hercule Poirot-tapning. Persongalleriet
er stort, en nøkkelperson er den langbente svenske blondinen og
femme fatale Ingrid Sjostrom. Begivenhetene følger tett på
hverandre, fremdriften i handlingen er så drivende at det krever
konsentrasjon av leseren, helt til vi får en oppklaring med stor
O.
«Slik vann tar form» er svært konsis og nesten matematisk
presist komponert, hvert kapittel er for eksempel på temmelig nøyaktig
ti sider.
En serie om Montalbano er blitt en stor suksess på italiensk
fjernsyn. Camilleri har bygd opp store leserskarer i flere land. Han bør
få mange norske også, dette burde være snadder ikke minst
for dem som vet å sette pris på stilsikkert og utsøkt
krimhåndverk.
Verktittel: Slik vann tar form
Forfattere: Andrea Camilleri
Fakta: Slik vann tar form. Oversatt av Jon Rognlien ukens nye krim.
Gyldendal
Rolf Enger
Gazzetta del Sud,
1.4.2003
Nuovo volume di Carlo Oliva
Storia sociale del giallo da Caino a Camilleri
Il primo racconto giallo è la storia di Caino nella Bibbia, l'Edipo
Re o l'Amleto? Carlo Oliva ricorda il dibattito sulle origini di un genere
che però, sottolinea, avrà fortuna solo con la nascita della
società industriale e delle moderne metropoli (da Parigi a Londra
e New York), tanto che Edgar Allan Poe quando crea il suo Dupin nel 1841,
sarà ancora un po' in anticipo sui tempi. Il discorso è quello
d'apertura della «Storia sociale del giallo» che Oliva ha scritto
e che arriva in questi giorni in libreria (Todaro Ed. pp. 222 – euro 16,90),
in cui si ricorda anche che il giallo porta con sé, nelle sue origini,
un sentore di zolfo, una lotta tra male e bene che ha inevitabilmente qualcosa
di luciferino: «Il fatto che ancora nel 1930 Dashiell Hammet senta
il bisogno di precisare che il suo Sam Spade ricorda, “in modo piuttosto
attraente, un diavolo biondo”, fa capire che per dissipare quel vago sentore
che aleggia ab origine attorno ai nostri eroi ci vorrà ancora qualche
tempo». L'assunto di Oliva, che cerca di vedere quanto il giallo
rispecchi la società del suo tempo, è che questo tipo di
racconto, «essendo un genere di narrativa di largo consumo, popolare
dunque, ha bisogno, innanzi tutto, di un pubblico di lettori abbastanza
ampio per giustificare la definizione e una editoria in grado di soddisfarne
(e stimolarne) le esigenze». E questo senza dimenticare che prima
di Napoleone la polizia, come la intendiamo oggi, che indaga e dovrebbe
far rispettare a tutti tutte le eleggi, non esisteva, e il primo responsabile
di un corpo di investigazioni criminali fu il celebre Vidocq, le cui «memorie»
uscirono nel 1828, mentre il primo giallista a riscuotere successo di massa
è sempre un francese, Emile Gaboriau, che nel 1865 pubblica «L'affare
Lerouge» e inventa un investigatore che guarda caso si chiama Lecoq.
Oliva ricorda anche che il giallo, proprio perché «genere
nuovo, senza rapporti (dichiarati) con la tradizione dotta e la letteratura
accademica, il giallo si era rivelato praticabile sin dall'inizio dalle
scrittrici, che dall'accademia, si sa, erano escluse», e cita il
successo di Helen Wood a metà ottocento, gli 80 titoli di Mary Elizabeth
Braddon, morta nel 1915, ma soprattutto Anna Katharine Green e il suo «Il
mistero delle due cugine» del 1878, «libro ascrivibile alla
categoria dei mattoni», ma che fu un vero best seller e segna il
ritorno del giallo nella sua terra di origine, quella di Poe, gli Stati
Uniti, dove avrà il suo vero, grande sviluppo. Ma il ritorno da
Parigi all'America passa per Londra e lo studio in rosso di Arthur Conan
Doyle col suo Sherlock Holmes, dopo il quale «il giallo non sarebbe
stato più lo stesso». Oliva quindi procede affrontando i temi
e personaggi più vari, da Fantomas, che riprende nel Novecento tecniche
da feuilletton, «quintessenza, incarnazione platonica del criminale,
il vero e autentico Genio del Male... nel complesso incarna tutte le pulsioni
e le paure di un'epoca che si sta febbrilmente preparando al grande macello
della prima guerra mondiale, in cui l'indifferenza per il valore della
vita umana sarebbe stata elevata a sistema», alla discussione attorno
allo scarso valore di Agatha Christie (cui hanno contributi analisti diversi
come Edmund Wilson e Raymond Chandler), che comunque seduce il pubblico
e ha finito per rappresentare «un autentico spartiacque», insegnando
al lettore che non si deve fidare mai di nessuno, ma ormai nemmeno dell'autrice.
E così via, di scrittore in personaggio, attraverso Chandler e il
suo legame con la vita vera e «quel che va davvero accadendo nel
mondo», l'hard boiled degli anni '30 e poi il noir del dopoguerra,
la crisi di valori, da una parte e l'altra dell' oceano, l'America come
terra delle grandi promesse ma anche delle grandi delusioni, infine gli
anni Sessanta («ci è voluto un po', com'è noto, prima
che qualcuno negli Usa, come del resto in Europa, si rendesse conto che
erano cominciati gli anni '60»). Il saggio di Oliva si chiude con
la fine del monopolio anglo-francese, la nascita del giallo latino e mediterraneo,
e il boom italiano degli anni '90 quando «i tempi sono maturi per
un salto di qualità», quello che avrebbe fatto del noir italiano
una delle esperienze letterarie più interessanti a livello europeo»,
grazie ai Lucarelli, Pinketts, Carlotto e così via, passando per
la Sicilia atipica di Sciascia prima e di Camilleri, concludendo che «gli
eroi del giallo non possono mai accontentarsi di una sola personalità:
devono saper essere, al tempo stesso, figli del mondo in cui vivono e incarnazioni
di certi modelli ideali acquisiti, figure diaboliche e dispensatori di
giustizia, manifestazioni della personalità dell'autore e specchio
dei sogni e delle fantasie di chi legge».
Paolo Petroni
La
Nuova Sardegna, 1.4.2003
Venerdì un confronto con la «scuola siciliana»
Fois e i «giallisti» sardi al festival di San Pellegrino
Il tre aprile si aprono in contemporanea i due maggiori festival dedicati
alla narrativa gialla nel nostro paese: quello di San Pellegrino Terme
e «A qualcuno piace giallo» di Brescia. Al centro di tutti
e due, ma nel secondo con spazio anche a rassegne e mostre, un inevitabile
ricordo di Georges Simenon nel centenario della nascita.
Il successo di queste manifestazioni è una delle conferme che
il genere giallo sta vivendo una momento di particolare fortuna: basta
un’occhiata alle classifiche dei libri più venduti dove troviamo
periodicamente Ken Follett, Deaver, Ellroy, Grisham con i suoi legal thriller,
Patricia Cornwell, mentre tra gli italiani spiccano, oltre a Camilleri,
Lucarelli e Carlotto, i due i casi letterari del momento, due esordienti
come Giorgio Faletti con «Io uccido» e Tullio Avoledo, che
con «L’elenco telefonico di Atlandide» sarà a Brescia
il 12 aprile.
Il festival del «giallo» di San Pellegrino Terme (provincia
di Bergamo), diretto da Raffele Crovi con la consulenza di Tecla Dozio
e Luca Crovi, si apre giovedì con Carlo Fruttero e Bruno Gambarotta
che ricordano appunto Simenon, cui segue una tavola rotonda sulla fiction
televisiva da Sheridan e Wolfe a «Distretto di polizia», mentre
il giorno dopo c’è un omaggio a Giorgio Scerbanenco con la presentazione
del romanzo inedito «Il paese senza cielo». Le altre tre giornate
saranno dedicate a come il noir oggi racconta il nostro paese e si comincia
dal Sud con interventi, tra i tanti, di Roberto Alajmo, Massimo Carlotto,
Marcello Fois, Flavio Soriga; quindi l’Emilia e la Toscana viste da Nino
Filastò, Carlo Lucarelli, Giampiero Rigosi, Stefano Tura, Roberto
Valentino; poi Milano e la Lombardia con Piero Colaprico, Sandrone Dazieri,
Andrea Pinketts, Nicoletta Vallorani, cui segue una lettura delle cronache
nere di Buzzati giornalista. Sabato anche una tavola rotonda su «Poliziotti,
avvocati e magistrati». Venerdì alle 10 si terrà un
dibattito dal titolo «Sardegna e Sicilia tra sviluppo e lutto»,
che vedrà la partecipazione di quattro autori sardi e di quattro
autori siciliani. I sardi sono Marcello Fois, Massimo Carlotto, Flavio
Soriga e Luciano Marrocu. Gli autori siciliano sono Roberto Alajmo, Domenico
Cacopardo, Roberto Mistretta e Santo Piazzese. Giornata di appuntamenti
in particolare per Luciano Marrocu (autore per il Maestrale dei romanzi
«Fàulas» e «Debrà Libanòs»)
che sempre venerdì, alle 19, sarà il protagonista, in diretta
telefonica, del programma «Una stanza tutta per sé»
condotto da Giulia Gadaleta su Radio Città 103 di Bologna. La trasmissione
verterà sul tema dell’Africa coloniale italiana, l’ambientazione
dell’ultimo romanzo di Marrocu, «Debrà Libanòs».
A Brescia, «A qualcuno piace giallo» (promosso dall’ amministrazione
provinciale e curato per il terzo anno da Magda Biglia, Carla Boroni, Sonia
Mangoni, Milena Moneta) si inaugura giovedì con un’intervista impossibile
a Maigret con Andrea Bosco e Gianni Quilici. In programma anche una lettura
scenica sul «Caso Simenon», l’apertura di una mostra curata
da Mauro Corradini con 16 artisti che rendono personali omaggi a Simenon
e altri incontri sul tema, compreso uno sulle passioni culinarie di Simenon
e Maigret, del quale saranno proiettate sino al 13 aprile le sue 16 celebri
inchieste tv con Gino Cervi protagonista.
2.4.2003
Oggi, alle ore 10:00, alla Biblioteca "Angelo Monteverdi" (all'università
"La Sapienza" di Roma), giornata in onore di Nino Borsellino, che lascia
l'insegnamento.
Verrà presentato il volume Sylva. Studi in onore di Nino
Borsellino.
Parleranno Andrea Camilleri, Agostino Lombardo, Giorgio Patrizi, Jacqueline
Risset.
Interverrà il Prof. Nino Borsellino.
l'Unità, 2.4.2003
La rivincita (a metà) della Sicilia
Storici ed economisti parlano del ruolo culturale e politico dell’isola
nell’Italia di oggi
Cos’è e com’è la Sicilia oggi? O com’era e cosa è
diventata? L’isola che Goethe considerò come una sorta di chiave
di volta per penetrare l’essenza concettuale e storico-culturale dell’Italia
intera, è da sempre al centro dell’attenzione. Terra dalle plurime
contraddizioni, dalle mille potenzialità, la Sicilia si presta ad
essere oggetto di elaborazione mitica o di facili e superficiali definizioni
mediatiche. Suggestive, ma poco utili per comprendere la Sicilia, che è
una dimensione da capire a fondo, nelle sue molteplici sfaccettature, da
descrivere senza avere la presunzione di definirla, ovvero classificarla
con vetusti schemi. Con il contributo di storici ed economisti attenti
conoscitori delle dinamiche del Sud d’Italia ed in particolare dell’isola
che con Verga, Pirandello e Sciascia ha segnato la storia della letteratura
ed ella cultura moderna e contemporanea, non solo italiana, abbiamo provato
a raccontarvi la Sicilia di oggi.
Rosario Mangiameli, studioso di storia contemporanea, docente alla
facoltà di Scienze Politiche di Catania, originale indagatore del
Sud d’Italia, si è occupato con risultati brillanti dell’immagine
del Sud d’Italia nella rappresentazione storica, ed inevitabilmente nella
rappresentazione nella comunicazione e nei media. Mangiameli sostiene:
“Scandalizzerò qualche storico tradizionalista, ma per capire cos’è
la Sicilia oggi e come è cambiata, credo che possiamo iniziare con
una considerazione su Camilleri e sul suo commissario Montalbano, notissimo
ormai in Italia e all’estero. I romanzi ed i racconti di Camilleri non
contengono più quei luoghi comuni che normalmente servono
a identificare il cosiddetto carattere siciliano nel resto d’Italia: un
certo regime di rapporti tra i sessi, una forma di sospetto verso il moderno,
la scarsa attitudine alla collaborazione con la polizia e la magistratura
(definita, questa, erroneamente omertà). Non contengono neanche
messaggi di tipo sicilianista, ovvero quella lamentazione che attribuisce
tutti i guai della Sicilia agli altri e pertanto ne chiede il risarcimento
“a quelli di lassù”, siano essi il governo, gli industriali del
Nord, gli operai del Nord, o qualsiasi altra categoria di non siciliani
ritenuta privilegiata a nostro danno. Camilleri è riuscito a caratterizzare
e rendere riconoscibile un ambiente senza metterci tutto questo, e ciò
mi sembra un segno nuovo e positivo. Ed ha avuto anche successo di pubblico,
laddove prima era solo il luogo comune a rendere riconoscibile un discorso
sulla Sicilia. Mi sembra importante tutto ciò perché l’immagine
letteraria della Sicilia ha sempre avuto un peso rilevante nel panorama
culturale e politico italiano. Il sicilianismo in vario modo presentato
è stato una forza mobilitante oltre che un criterio di lettura condiviso
entro e fuori l’isola. Ha spiegato l’arretratezza (con le altrui responsabilità,
appunto, assolvendo di volta in volta classi dominanti e classe politica
locali) e ne ha suggerito le soluzioni (nel risarcimento da chiedere allo
stato). Insomma ha rappresentato un legame tra politica e cultura che oggi
nel bene e nel male viene messo in crisi. Prova ne è il fatto che
quando l’attuale governo regionale ha tentato di riproporre questa vecchia
logica, anche in occasione della vicenda di Termini Imerese, non ha ottenuto
grande ascolto - per un verso questa crisi scioglie vecchi luoghi comuni;
è infatti difficile considerarla come tipica di un’area arretrata
e non industrializzata”.
[...]
Salvo Fallica
Il Mattino,
2.4.2003
IL FESTIVAL DI SAN PELLEGRINO
Giallo Sud, il colore dell’incertezza
All'inizio di tutto ci fu il cavaliere Auguste Dupin, nato dalla penna
visionaria di Edgar Allan Poe. Poi vennero Sherlock Holmes ed Hercule Poirot,
Maigret e Marlowe, Kay Scarpetta e Pepe Carvalho. Senza dimenticare i nostri:
dal commissario Santamaria a Montalbano. Il primo indaga tra i rigattieri
nella torinese Porta Palazzo, il secondo nella Sicilia immaginata da Camilleri.
Tutti protagonisti del "giallo". Più che un genere, una scatola
di colori, perché molteplici sono le sue declinazioni della letteratura
d'indagine: poliziesco, hard boiled, medical thriller, legal thriller...
purché ci sia inquietudine e mistero. Perché il "giallo"
è letteratura sociale, un bisturi che consente di indagare il delitto
quanto la società.
Gli autori italiani di thriller scrivendo di crimini raccontano l'Italia
di oggi. Questa è la tesi di fondo della seconda edizione del Festival
del giallo italiano. Da domani al 6 aprile la palazzina liberty del Casinò
di San Pellegrino Terme ospiterà 40 autori impegnati in una serie
di tavole rotonde da "tutto esaurito". Carlo Fruttero e Bruno Gambarotta
celebreranno Georges Simenon, si parlerà della ricca Lombardia in
crisi e dell'Emilia tra benessere e violenza, si ricorderà la figura
di Giorgio Scerbanenco e un suo inedito quanto profetico romanzo (Il paese
senza cielo, scritto nel 1939 racconta di una guerra degli Usa nel 2002...).
"I giovani giallisti sono quelli che raccontano meglio l'Italia in cui
viviamo, con i suoi conflitti e le sue violenze, i cambiamenti di costume,
il degrado metropolitano, la crisi della giustizia”, dice Crovi, ideatore
della manifestazione. In programma venerdì ci sarà anche
una tavola rotonda intitolata "Il Sud tra sviluppo e lutto". Il giallo
non è più un genere "nordico", perché non pochi sono
gli autori meridionali e le storie ambientate nel Sud d'Italia come in
quel Sud d'Europa che è il Mediterraneo. Ma c'è una cifra
comune che consente di parlare di "letteratura gialla meridionale"? Ancora
Crovi: "Sì, ed è la coesistenza dello sviluppo e del lutto.
Il Sud d'Italia è un territorio attraversato dallo sviluppo economico
come da vistosi cambiamenti di costume. C'è una modernizzazione
in atto, ma deve fare i conti con la tragedia quotidiana della criminalità.
Cacopardo, Carofiglio, Carlotto, Fois, Marrocu, Mistretta, Piazzese e Soriga
sono tutti testimoni di questa doppia realtà. Che ha due specifici:
il primo è la messa in scena del cambiamento dei rapporti interfamiliari.
La famiglia è scoppiata, la madre mediterranea non ha più
potere intimidatorio, non è più la vestale di una famiglia
da mascherare. Il secondo connotato mi pare essere il tema della malagiustzia
e della corruzione del potere politico".
Massimo Carlotto per i suoi romanzi preferisce la location del ricco
nordest, ma il prossimo romanzo sarà ambientato in Sardegna: "Da
Camilleri a Jean-Claude Izzo il filo rosso è la criminalità
organizzata. Il Mediterraneo è un laboratorio straordinario per
quanto riguarda i nuovi fenomeni criminali. È in atto una ristrutturazione
in tutte le mafie, nascono alleanze fino a qualche anno fa impensabili".
Diversa la convinzione di Gianrico Carofiglio, il magistrato autore de
Il testimone inconsapevole (Sellerio): "Non credo esista un elemento comune
tra i diversi autori, se non il fatto che il Sud è una zona di frontiera,
fisica e culturale. Il mio romanzo è ambientato a Bari, ma molti
lettori mi hanno detto che in alcuni momenti sembra di ritrovarsi a Chicago.
Questo è il frutto delle mie letture, certo, ma anche dell'idea
di far parte di una frontiera cosmopolita. Però non credo che uno
scrittore si metta al computer con lo scopo di fare attraverso la narrativa
un saggio sociologico. Finirebbe con il fare cattiva saggistica e pessima
letteratura. Altro è scrivere una storia, collocarla in un dato
habitat e quindi in questo modo elaborare una lettura di quella realtà.
Ma non c'è nulla di deliberato in tutto ciò. Chesterton diceva
che ciò che conta non è la forma che si usa, ma la struttura
della storia. È questa a determinare la buona o la cattiva qualità
di un libro".
Emanuele Rebuffini
Sette, supplemento del Corriere
della sera, 3.4.2003
Hanno ammazzato un prete. Ma il commissario Camilleri non brancola
nel buio.
Dall'8 aprile con il Corriere sarà in edicola "La
mossa del cavallo", con la prefazione di Antonio D'Orrico.
"Camilleri appartiene a una categoria molto rara da noi. Mi fa pensare
a quel tipo di narratore ipotizzato da Joyce, che se ne sta dietro o accanto
alla sua opera, in disparte, a curarsi le unghie. Voglio dire che è
un narratore di totale oggettività".
(Raffaele La Capria sul Corriere della sera del 5 maggio 1998)
"Dagli appunti di Leopoldo Franchetti, Camilleri ha preso l'episodio
che ha fatto da spunto al suo ultimo romanzo. Questo: "A Barrafranca furono
tirate due fucilate a un prete ricco, corrotto, prepotente, odiatissimo
in paese. Circa 60 metri lontano dal luogo dove cadde il prete stava un
torinese venuto in Sicilia come ispettore di molini. Questi voltava la
schiena al prete. Al rumore delle fucilate si voltò e corse verso
il prete il quale, prima di morire, gli disse: "M'ha assassinato il tale,
mio cugino". Il torinese montò a cavallo e corse al paese a raccontare
il fatto alla stazione dei carabinieri, sulla strada a tutti raccontava
l'assassinio e la rivelazione dell'assassino. Il prete aveva da 12 anni
una lite col cugino che l'assassinò, c'era tra loro forte inimicizia;
24 ore dopo era stato arrestato come presunto autore dell'assassinio il
torinese stesso e fra i testimoni a suo carico era il cugino stesso assassino
del prete e tutto il processo s'informava su questa via mentre il paese
intero e i comuni circonvicini diceva sotto sotto chi era l'assassino".
(Pietrangelo Buttafuoco su "Amica" del 21 luglio 1999)
"Mi sono preoccupato davvero quando a Catania, presentando "La voce
del violino", tre signore mi hanno inglobato per dirmi, tutte serie:"Guardi
che questo matrimonio tra Montalbano e la genovese non si deve fare: con
tante belle picciotte che ci sono qua". Mi sono detto: se fossi uno scrittore
americano da tre milioni di copie lo troverei un pazzo che mi rompeva le
gambe come in "Misery non deve morire" per non far sposare Montalbano con
la genovese".
(Andrea Camilleri in una intervista all'Espresso del 25 giugno
1998)
La Sicilia, 3.4.2003
Camilleri & turismo. L'offerta del sindaco all'attore. Al bar le
traduzioni delle sue opere
Zingaretti cittadino onorario di P. Empedocle
Vigata vuol dare la cittadinanza onoraria al commissario Montalbano
televisivo, Luca Zingaretti.
L'idea è del sindaco Paolo Ferrara, il quale nei prossimi giorni
chiederà ad Andrea Camilleri, «papà» del poliziotto
più amato d'Italia, di fare intervenire il noto attore alla cerimonia
di attribuzione dell'attestato, da svolgersi nelle prossime settimane.
Un'«intercessione» che Ferrara chiederà allo scrittore,
ormai diventato il testimonial per eccellenza della sicilianità
nel mondo. Del resto fare di Camilleri un business col quale attrarre i
turisti sembra essere diventato l'obiettivo.
C'è infatti il titolare del bar all'inizio della centrale via
Roma, Stefano Albanese, che continua a svolgere l'attività di «segreteria»
particolare dello scrittore ormai da anni trapiantatosi a Roma, per ovvi
motivi di lavoro. Tra un cannolo alla ricotta e una pastina di mandorle,
Albanese raccoglie i libri dei fans di Camilleri per farglieli autografare
quando ritorna nel proprio paese d'origine e quindi riconsegnarli ai legittimi
proprietari. Un vero e proprio rito, al quale Stefano Albanese, la moglie
e i figli non si sottraggono e che tra qualche giorno si arricchirà
di una nuova e «golosa» «specialità». Nell'armadio
a vetri in cui sono sistemate da sempre le bottiglie di liquore, entro
la prossima settimana verranno piazzati i libri di Andrea Camilleri tradotti
in inglese, francese, tedesco, russo, coreano e giapponese. Tutte pubblicazioni
raccolte con cura dalla sorella dello scrittore e spedite a Porto Empedocle.
Un carico di pubblicazioni che renderà il bar una sorta di club
ufficiale del papà del commissario Montalbano. Dunque, da un lato
ci si avvia alla concessione della cittadinanza onoraria a Luca Zingaretti,
dall'altro il boom del bar fans club. È su queste due iniziative
che poggiano gran parte delle speranza della cittadina marinara, proiettata
a diventare per tutti la vera Vigata, riconosciuta come tale nel mondo.
Molti ricorderanno in tal senso, la polemica scoppiata nei mesi scorsi
quando Ragusa Ibla, soppiantò di fatto il centro empedoclino nell'immaginario
collettivo, su dove fosse il luogo originale delle avventure di Salvo Montalbano.
Per gli spettatori dei film tv trasmessi dalla Rai, Marinella e la
spiaggia di Montelusa erano in provincia di Ragusa e non a Porto Empedocle.
Proprio per evitare che si verificasse uno «scippo» dei luoghi
originari del Camilleri pensiero, i due assessori regionali Cascio e Cimino
hanno avanzato richiesta alla Rai di fare effettuare alcune riprese delle
prossime puntate in programma nel prossimo autunno, nella Vigata doc, o
al massimo nei dintorni.
Una Vigata che però, lo stesso Camilleri ha bocciato: «Non
la riconosco più a causa del troppo cemento che si erge proprio
in contrada Marinella. Non posso chiedere di ambientare i film in luoghi
che non sono più quelli di prima e che io ricordo come incontaminati».
Intanto però, il giapponese o il tedesco appassionati delle
opere dello scrittore empedoclino potranno recarsi nel bar all'inizio di
via Roma, per assaporare oltre al caffè, anche l'atmosfera di Vigata.
Quella vera.
Francesco Di Mare
Il Resto
del Carlino, 3.4.2003
Ravenna
'Hotel Girgenti', solo per barboni
Si chiama 'Il re di Girgenti', è il nuovo centro di accoglienza,
notturna e diurna,— il cui regolamento è stato approvato l'altra
sera in consiglio comunale — in via Mangagnina 61 a Ravenna, allestito
dal Consorzio dei servizi sociali. Una volta veniva chiamato dormitorio
pubblico (quello di Ravenna, davanti all'ex macello, è stato demolito
anni fa, ora c'è un parcheggio). E' un servizio «rivolto -
spiega Carlo Savorelli, direttore del Consorzio, alle povertà estreme,
a chi non ha nulla». Il nome, 'Il re di Girgenti', viene da un romanzo
di Camilleri, dove il protagonista diventa il re dei poveri, è ambientato
in Sicilia, Girgenti era l'antica Agrigento. Al centro possono trovare
ospitalità persone senza fissa dimora, il vecchio barbone, il clochard,
persone sfrattate, ex detenuti, "gente che deve essere messa nelle condizioni
di superare una fase di particolare difficoltà. Questo quindi non
è un servizio rivolto alle famiglie con problemi di affitto, ma
proprio a quella fascia di persone in condizioni di estrema povertà,
quelli che magari dormono in macchina, se ce l'hanno, o su una panchina
o dove c'è un riparo lungo le strade, gente che si muove, si sposta,
viene da fuori".
[...]
Augusto Mari
La Stampa, 4.4.2003
LO SPETTACOLO DELLA CITTÀ
Un anno di musica, mostre e letteratura Borgna: ma non chiamatela
Massenzio
«Dico che quest´anno non c´è città al
mondo con un programma culturale come quello offerto da Roma». Il
sindaco Walter Veltroni s´è messo ieri mattina sul volto la
maschera severa di chi è raggiante ma non lo vuol fare vedere. «Desideriamo
dare un messaggio di serenità e di speranza attraverso la vita culturale
della città. Dunque ecco un´Estate Romana che dura tutto l´anno,
con una concentrazione massima nel periodo primavera-estate». Veltroni
lo dice anche in un altro modo: «Visto che la situazione economica
mondiale è così dura, il nostro intento è di legare
la Roma culturale al turismo». Insomma contro la paura della guerra,
contro la crisi e il calo dei visitatori stranieri, il Campidoglio ha deciso
di riempire la città da qui alla fine di agosto di concerti, spettacoli,
eventi, mostre, balletti, cinema, letteratura e quant´altro possa
attrarre il romano e il forestiero.
[...]
Il sindaco [...] è affezionato [...] al festival della Letteratura
alla Basilica di Massenzio, dove arriveranno personaggi del calibro di
Andrea Camilleri, Susan Sontag, Don De Lillo, Doris Lessing.
[...]
Marcantonio Lucidi
Il Venerdì di Repubblica,
4.4.2003
Disfide. Gli scrittori litigano, l'isola si schiera
Se Consolo attacca Camilleri la Sicilia sta con Montalbano
Lo scrittore Vincenzo Consolo sull'Unità liquida il giallo come
genere integrato nel sistema capitalistico. Il Sole 24 Ore insinua: non
sarà geloso di chi ha più successo di lui (l'altro siciliano
Andrea Camilleri)? Ma Camilleri abbozza: "Discussione campata in aria".
E poi che ne sa Consolo, che sta a Milano. Ci sono cose più importanti
di cui occuparsi: la legge sull'immigrazione Bossi-Fini, per esempio, che
nell'ultimo giallo, Giro diboa, lui ha ribattezzato "Cozzi-Pini". Facendo
andare su tutte le furie il Polo. Tranne che in Sicilia. Dove anzi il governo
di Totò Cuffaro ha persino chiesto alla Rai di girare sull'isola
altre puntate di Montalbano: "Portano tanti stranieri", dice l'assessore
al turismo Francesco Cascio. Potere del giallo. O del capitalismo?
a.s.
Il Mattino,
4.4.2003
Effetto guerra nello scaffale
C’è sempre molta voglia di risate nella classifica della narrativa,
testimoniata dalla presenza di Oreglio e di Annamaria Barbera, alfieri,
se non della svagatezza, di una cospicua leggerezza. Sarà per l’effetto
guerra, che però non vale per Camilleri, da tempo in vetta alle
classifiche appena arriva in libreria.
[...]
Faedrelandsvennen,
4.4.2003
BOKANMELDELSE
Andrea Camilleri - Slik vann tar form
Friskt om korrupsjon og skjeletter i skapet
Slik vann tar form er en meget tiltalende bok. Intrigen holder vann,
absolutt, spenningen tikker og pulserer. I tillegg finnes det betydelige
sjarmetillegg: Et fargerikt miljø og en like fargerik, frisk og
ledig språktone.
Helten i Andrea Camilleris bøker er politiinspektør Montabano.
Heltene er alltid politiinspektører nå, både i romaner
og tv-serier. Men gudskjelov er hans inspektør ingen mutt fyr med
begynnende magesår og et anstrengt forhold til sin ex-hustru. Han
er en mann med humør og humor, riktignok av det litt oppgitte og
stoiske slaget. Han er meget velartikulert. Og han er uredd.
Det hele utspilles på Sicilia, øya hvor vi liker å
tro at alle mafiamedlemmer har slekt.
Denne romanen, med en meget poetisk tittel, forøvrig, skrur
seg handlingsmessig om dødsfallet til en prominent politiker. Han
blir funnet på en strand, som alle vet blir benytett til prostitusjonstrafikk.
Han blir funnet, helt konkret, med buksene nede. Alle puster lettet ut
da det fra legehold blir opplyst at dødsårsaken er hjertesvikt.
Vår mann Montalbano insisterer på å fortsette etterforskingen.
Han uttaler meget veltalende: - Jeg fortsetter etterforskningen i den hensikt
å avskjære i fødselen enhver ondsinnet spekulasjon om
et mulig forsett hos politiet om ikke å belyse sakens enkeltheter
og henlegge dem uten tilbørlige vertifiseringer.
Inspektør Montalbano beveger seg rundt i et landskap som er
gjennomsyret av korrupsjon. Samtidig virker det som om alle, absolutt alle,
har skjeletter i skapet! Fra den minste lille hallik til den mest fornemme
frue.
BOK
Forfatter: Andrea Camilleri
Tittel: Slik vann tar form
Kriminalroman
Oversatt fra siciliansk av Jon Rognlien
Forlag: Gyldendal
Knut Holt
Io donna, supplemento del Corriere
della sera, 5.4.2003
Andrea Camilleri
LA MOSSA DEL CAVALLO
Un puro narratore. Il lettore che apre un libro di Camilleri
si trova proiettato in un universo che non ha bisogno di illustrazioni
preliminari e che sembra esistere da sempre; e questo in virtù di
un linguaggio speciale, anzi unico, che attinge al vocabolario e alle cadenze
della Sicilia. Abbiamo a che fare con parole strane, di cui tuttavia capiamo
subito il significato; e non solo capiamo il significato, ma “vediamo”
il paesaggio sociale e la mentalità da cui scaturiscono, una caratteristica
della letteratura italiana è l’avidità lessicale: basti pensare
a Carlo Emilio Gadda e al suo mirabolante strascico di termini arcaici,
dialettali, tecnici o burocratici. Ma Gadda era mosso da una furia espressionistica:
altri sono mossi da lirismo. Diverso il caso di Camilleri. Le sue ricerche
e invenzioni lessicali approdano a uno strumento linguistico agile, disinvolto
e molto comunicativo che lo scrittore mette al servizio della sua vocazione
di puro narratore.
Torna a casa, lessico. Camilleri scrive gialli: alcuni – quelli
di Montalbano – collocati ai nostri giorni, altri ambientati nel passato.
A questa categoria appartiene La mossa del cavallo, che si svolge nella
Sicilia del secondo Ottocento, all’epoca della tassa su macinato. Inviato
a Vigata come ispettore dei mulini, Giovanni Bovara, assiste all’uccisione
di un prete, e viene accusato di essere lui l’assassino. Bovara riuscirà
a scagionarsi recuperando il dialetto delle proprie origini. Solo attraverso
il dialetto – sembra voler dire Camilleri – si può giungere alla
verità.
La parola mancante. Ne La mossa del cavallo, romanzo liberamente
ispirato a un episodio vero, non appare mai la parola “mafia”; e tuttavia
la “mafia” è presente in ogni piega della storia di Giovanni Bovara.
Giovanni Mariotti
Radio 24, 6.4.2003
Tra
le righe
Andrea Camilleri
Il giro di boa (Sellerio; 272 pagg; 10 €)
Intervista
ad Andrea Camilleri
E' un Montalbano in crisi di identità quello che troviamo in
questo libro. E' stanco e scettico nei confronti del suo lavoro, amareggiato
dal comportamento della polizia al G8 di Genova, tanto da pensare alle
dimissioni. Tuttavia questo pensiero lo lacera perchè in realtà
la polizia che lui ha intorno, le persone che lui frequenta non sono quelle
che l'hanno disgustato. E' un Montalbano che ha che fare con la quotidianità
e che, invecchiando, si pone più dubbi, ha sempre meno risposte,
ha difficoltà a tenere il passo coi tempi, dei tempi che non gli
piacciono affatto. E' un Montalbano che vive un disagio forte quando si
trova di fronte alla disperazione degli sbarchi dei clandestini, con il
loro odore, "non un feto di gente mala lavata, ma feto di scanto, d'angoscia,
di sofferenza, di disperazione". La vicenda inizia con un cadavere pescato
per caso in alto mare, trovato da Montalbano durante una nuotata ristoratrice.
Questa morte, archiviata sommariamente come l'annegamento di un clandestino,
incrocia le vicende di un bambino che il commissario riacciuffa il giorno
dello sbarco perché sfuggito a quella che si presume essere la madre.
Camilleri spiega che le braccia alzate con cui il bambino si arrende al
poliziotto sono la citazione dell'immagine del bimbo fotografato nel ghetto
di
Varsavia in posizione analoga, un'immagine che lo getta in un forte senso
di colpa, il senso di colpa di tutto un secolo. Il piccolo immigrato dopo
pochi giorni verrà investito da un'auto. "Il giro di boa" tocca
anche ambiti politici, perché Montalbano non approva la gestione
dell'immigrazione imposta dalla legge "Cozzi- Pini" e per l'ambientazione
in luoghi in cui l'abusivismo edilizio è la normalità. E'
un romanzo in cui si fanno i conti con la contemporaneità che stiamo
vivendo, dalla quale Camilleri pesca a piene mani. Lo stesso autore spiega
che per la prima volta le fonti bibliografiche sono tutte giornalistiche:
racconti dei quotidiani, inchieste, immagini degli sbarchi. Una testimonianza
di quanto la realtà possa essere più acuta e fantasiosa della
fantasia stessa.
Antonio Calabrò
Corriere della sera,
7.4.2003
Da domani con il nostro giornale «La mossa del cavallo»,
uno dei bestseller del padre di Montalbano. Con un protagonista che parla
genovese
Camilleri: «Non so ancora perché ho successo»
Il re delle classifiche italiane, sette milioni di libri venduti, potrebbe
essere definito da chi ama le compiaciute reminiscenze scolastiche un ossimoro,
e cioè un connubio di contrapposizioni e di opposti dato che è
uno scrittore popolare e insieme colto, intelligente, raffinato e insieme
supercommerciale. Più sbrigativamente Andrea Camilleri potrebbe
essere catalogato come un fenomeno, visto che riesce a trasformare la letteratura
in un prodotto di largo consumo. Una vaga parentela con certi gufi saggi
e amabili dei cartoni animati, un vocione fondo da tabagista, riceve in
uno studiolo piccolo e piacevolmente dimesso. Sulla scrivania una scultura
giovanile di Fazzini, «un ritratto di Orazio Costa, mio maestro di
teatro». Nel corridoio i rumori e i profumi di una casa borghese,
con via vai di figlie e nipoti. «Quella di Camilleri è una
narrativa da intrattenimento alto», sentenziava Carlo Bo. Particolare
non da poco: un tipo di narrativa quasi inesistente in Italia.
In La mossa del cavallo, pubblicato nel '99, c'è una trama poliziesca
in una cornice storica. Da dove nasce questo innesto?
«Spesso utilizzo come miniera un'inchiesta governativa del 1875
sulla Sicilia, un documento con trascrizione stenografica delle interviste
della commissione. Mi basta una frase, uno spunto qualunque. Per esempio:
per La stagione della caccia sono partito dal dialogo tra il senatore Cusa
e un sindaco della provincia di Caltanissetta: "Da queste parti avete fatti
di sangue?" , "No, eccellenza, solo un delitto d'amore con sette morti".
Un'altra inchiesta di quegli anni, la Franchetti-Sonnino, si limitava ad
elencare una serie di conclusioni. Franchetti però scrisse un diario
siciliano e in una sua pagina si parla di un ispettore di mulini che trovò
un prete morente per una fucilata, diede l'allarme ma venne accusato dell'omicidio.
Questo l'avvio de La mossa del cavallo ».
Il protagonista, un funzionario arrivato dal Nord per controllare i
pagamenti della tassa sul macinato, vive le sue avventure nel 1877 eppure
somiglia parecchio al commissario Montalbano: è uno sbirro, incorruttibile,
testardo.
«Tutti i personaggi positivi si somigliano. Anche nella realtà,
il che, oltretutto, semplifica il lavoro dei narratori. Questo l'ho chiamato
Giovanni Bovara: è il nome di un ministro genovese che cercò
di abolire la tassa sul macinato».
Perché la scelta tenacissima di un pastiche lessicale italo-siculo
che però magicamente si fa capire da tutti?
«Nella mia famiglia si parlava sia il dialetto sia l'italiano.
Quando mi esibivo con dei raccontini a voce capivo di essere più
efficace se usavo una lingua mista. Cominciai a chiedermi perché
l'italiano non mi bastava e studiai come Pirandello faceva parlare i suoi
personaggi. Più tardi mi colpì la sua affermazione "la lingua
esprime il concetto, il dialetto il sentimento di una cosa": è diventata
la base del mio scrivere».
In La mossa del cavallo il protagonista, che pur essendo nato in Sicilia
è cresciuto a Genova, manifesta la sua diversità con un dialetto
difficilissimo: il genovese. Una sfida?
«Ho scelto questa lingua proprio perché è ostica.
Cercavo la spigolosità, la durezza. Quando Bovara ragiona in genovese
dà al lettore lo spiazzamento dell'incomunicabilità».
Perché un titolo da scacchista?
«Perché nel gioco degli scacchi il cavallo può
entrare nel campo avversario, introdursi nelle retrovie. Come fa Bovara
quando, accusato ingiustamente, capisce che per salvarsi deve entrare nelle
file nemiche e acquisire la lingua dei nemici come un codice. Recupera
il suo originario dialetto siciliano per combattere ad armi pari: questa
la sua chiave di accesso al territorio nemico».
La mafia fa da perno alla vicenda, ma non viene mai chiamata col suo
nome.
«La mafia nei miei libri è presente, ma spesso come un
rumore di fondo. Occuparsene direttamente non è compito degli scrittori,
ma della polizia e dei carabinieri o dei sociologi. In effetti a me non
interessa descrivere una realtà siciliana, ma una realtà
di potere. Questo libro è ambientato nel 1877, ma parla specularmente
del presente, del rovesciamento dei ruoli, del testimone che viene fatto
passare per colpevole, un gioco delle parti molto attuale. Il burattinaio
di turno, quello che tiene le fila dell'intera macchinazione, è
esistito, ma soprattutto continua ad esistere. Nella mia storia l'ho reso
un assassino per evitare che venisse identificato troppo esplicitamente
con burattinai reali».
Camilleri, ovvero la leggenda di uno scrittore tardivo.
«Ho cominciato a scrivere giovanissimo e delle mie antiche poesie
restano tracce in un'antologia di Ungaretti. Poi uno stop lunghissimo:
oltre trent'anni di teatro e di televisione. Quando nel '68 ricominciai
fu come riaprire una parentesi. Ma fino al '92 un'altra pausa, il mio lungo
addio al teatro».
Vigàta e Montelusa, nomi immaginari per luoghi reali.
«Vigàta è una mia invenzione, Montelusa un furto:
Pirandello chiamava così Agrigento, ma lui non può protestare».
Il suo ispettore dei mulini è un servitore fedele dello Stato,
ma di uno Stato gabelliere, punitivo.
«Infatti. Nel realizzare l'unità d'Italia furono commessi
errori micidiali. Per esempio, la mancata preparazione psicologica alla
leva obbligatoria. Con i Borboni un ragazzo poteva scegliere se presentarsi
o no. Con l'unità d'Italia un figlio, forza lavoro, veniva sottratto
per tre anni alla famiglia: un'altra tassa inferta alla povertà.
Gli storici raccontano che i genitori lo salutavano vestiti a lutto. In
Sicilia nei cinque anni dopo l'unificazione ci fu un crollo demografico,
sparì il piacere del procreare. Così come sparirono migliaia
di telai perché bisognava privilegiare le stoffe di Biella. Quello
che chiamavano brigantaggio in realtà erano rivolte contadine. I
bollettini ufficiali parlavano di 20 mila briganti: cioè di insurrezioni».
Un nuovo Montalbano, Il giro di boa , in testa alle classifiche. La
media di mezzo milione di copie vendute per ogni titolo. Un Meridiano lo
scorso ottobre, un secondo l'anno prossimo. Che effetto fa un successo
tanto pieno?
«Lo considero agghiacciante, nel senso che non riesco a capirne
le ragioni. Sono un essere razionale e quello che non comprendo mi spaventa.
Quando incontro persone che mi dicono "ho cominciato a leggere soltanto
con i suoi libri", imploro: "ma adesso andate avanti, leggete almeno gli
autori che legge Montalbano"».
Che rapporto ha l'autore con questo libro?
«Un legame strettissimo perché è una sintesi dei
miei temi narrativi: il romanzo storico all'interno del quale si innesta
un elemento giallo giocato a carte scoperte. Ma il punto importante, quello
a cui tengo profondamente è che la soluzione, lo sciogliersi dell'intrigo,
avviene attraverso il linguaggio, elemento fondamentale del mio narrare.
Se riusciamo a farci capire con il linguaggio le zone d'ombra spariscono.
E' una certezza. O una speranza».
Donata Righetti
L'Eco di Bergamo,
9.4.2003
La svolta politica del commissario Montalbano
Immigrazione, G8 e poliziotti violenti protagonisti nel nuovo libro
di Camilleri «Il giro di boa»
Impegno sociale, forti contenuti di attualità: è un Camilleri
pessimista quello che nella nuova avventura del commissario Montalbano
fa riferimenti insolitamente espliciti alla situazione politica italiana.
E se anche questa volta gli estimatori dello scrittore siciliano si sono
presentati puntuali all'appello in libreria (il romanzo edito da Sellerio
è già in testa alle classifiche di vendita) altrettanto puntuali
sono arrivate le polemiche.
Ne Il giro di boa si parla di G8 e poliziotti violenti; ma soprattutto
di immigrazione, con critiche dirette alla legge «Cozzi-Pini»
che gli esponenti della Lega non hanno gradito. «Si illudevano di
fermare una migrazione epocale con provvedimenti di polizia e con decreti
di legge», riflette Montalbano dopo aver assistito all'ennesimo sbarco
di clandestini. Replica La Padania in prima pagina: «Contro la maggioranza
scelta dagli italiani nel maggio 2001, Camilleri abbandona il coté
storico filosofico e si getta a capofitto sull'attualità: cominciando
da nome e cognome dei responsabili, cioè da Bossi e Fini, trasformati
- ma che fantasia! - in Cozzi e Pini».
I tempi sono cambiati e al posto della mafia Montalbano deve affrontare
la criminalità legata allo sfruttamento degli extracomunitari, orde
di disperati che giorno dopo giorno approdano sulle coste siciliane. Le
indagini partono dal ritrovamento di un cadavere anonimo in alto mare -
annegamento o omicidio? - e finiscono per intrecciarsi a una tragica vicenda
di violenza sui minori.
Appena sbarcato a Vigata un piccolo profugo prova a fuggire, ma il
commissario interviene riuscendo a riconsegnarlo alla madre. Poco dopo
il bambino viene investito da un'auto pirata. Trovare i suoi assassini
potrà lenire i sensi di colpa; ma non cancellare quel disagio che
si percepisce sin dalle prime pagine, una vena di amarezza e malinconia
che Camilleri non aveva mai sfiorato nei precedenti romanzi. Difficile
credere che un personaggio come Montalbano abbia perso smalto ed entusiasmo:
eppure in diverse occasioni è sul punto di dare le dimissioni, sfiduciato
nel significato di un mestiere che pure ama visceralmente.
Perché il commissario è sbirro fino al midollo, però
sono trascorsi quasi dieci anni dalla prima avventura (La forma dell'acqua
, 1994); e nel suo animo qualcosa incomincia ad incrinarsi. La fiducia
nell'operato delle forze dell'ordine viene meno: «Manco contro il
peggio delinquente ho fabbricato una prova! Mai! Se l'avessi fatto mi sarei
messo al suo livello. Allora sì che il mio mestiere di sbirro sarebbe
diventato una cosa lorda!..» - si sfoga con la fidanzata Livia riferendosi
all'irruzione della polizia nella scuola Diaz a Genova, e dopo col collega
Mimì Augello: «Questa lurdia è dintra di noi».
Sconforto e disillusione lo accompagnano in quella che dovrebbe essere
la sua ultima indagine; e poi il tempo passa anche per lui, che si ritrova
a lottare con i primi malanni dell'età scoprendosi vecchio e stanco.
Ma più umano. Dopotutto sono le debolezze di questo antieroe che
lo hanno reso così popolare: vizi, abitudini e un gran brutto carattere.
Ora è diventato un po'ipocondriaco, attentissimo ad interpretare
ogni segnale di cambiamento nel corpo e nella mente: un Montalbano diverso,
dedito all'ascolto di se stesso, se possibile ancora più solitario.
Non è cambiato, invece, l'istinto del segugio, che lo porterà
sulla pista giusta per risolvere il caso. E ritroviamo anche la consueta
ironia, di cui Camilleri si serve per stemperare i momenti drammatici toccando
vette di irresistibile umorismo.
Come quando Montalbano, deluso per la chiusura della sua trattoria
preferita (per lui il cibo ha quasi una valenza affettiva, passionale)
sperimenta un altro locale: «Nel misto di triglie, spigole e orate
alla griglia il commissario ritrovò quel paradisiaco sapore che
aveva temuto perso per sempre. Un motivo principiò a sonargli dintra
la testa, una specie di marcia trionfale…Doppo lunga e perigliosa navigazione,
Ulisse finalmente aviva attrovato la sò tanto circata Itaca».
Ci sono sempre l'ingenuo Catarella, il fedele Fazio, la paziente fidanzata
Livia, ormai così radicati nell'immaginario collettivo da apparire
quasi reali - in un'intervista semiseria Camilleri ha ammesso che è
restio a celebrare le nozze tra la genovese Livia e il siculo Montalbano
perché teme le reazioni sconsiderate di qualche «picciotto».
Il giro di boa non delude. Anche questo Camilleri più politicizzato
ci conferma la stagione felice che sta vivendo il noir italiano da quando
il giallo si affianca all'analisi di una precisa realtà territoriale
(la Bologna di Lucarelli è un altro esempio). E, nel caso del nostro
autore, grazie anche alla sua voce così personale, dove il dialetto
coesiste con l'italiano in pacifica armonia, e lo stile è percepito
come ostacolo solo da chi cerca una lettura «facile».
Adele Olivieri
La 7, 13.4.2003
L'intervista
Alain Elkann incontra Andrea Camilleri
Professor Camilleri, mentre sono qui che guardo i suoi libri mi sembra
che sia cominciata l’intervista… E allora volevo chiederle una cosa che
forse incuriosisce i nostri telespettatori: è vero che il suo ultimo
libro “Il giro di boa”, pubblicato da Sellerio, in pochissime settimane
ha già venduto oltre 300.000 copie?
Mah… l’ho detto e torno a ripeterlo: per me questa sorta di successo
rimane un problema. Essendo una persona francamente razionale cioè
che cerca di ragionare sopra le cose, non riesco a capirlo, questo successo.
Però è un dato concreto che il personaggio Montalbano, soprattutto
– come posso dire? – conquista sempre più lettori.
Be’ anche Simenon col suo Maigret conquistava lettori in tutto il
mondo…
Io l’invidio, Simenon: forse lui una ragione del suo successo riusciva
a farsela. Da com’era combinato mentalmente, sapeva costruirlo, sapeva
destinarlo… sapeva, proprio, il mercato dei suoi libri.
Da quando lei pubblicò i suoi primi libri, non so,
per esempio La stagione della caccia, da Sellerio che vendeva sette/ottomila
copie… adesso lei vende cinquecentomila, in Germania duecentocinquantamila…
lo sforzo è uguale?
No, per ciò che riguarda scrivere un libro la situazione non
si sposta… cioè a dire io scrivo un libro, che poi abbia un milione
di copie vendute o diecimila copie per me è lo stesso. Perché
il punto di partenza non è il numero di copie ma come lo hai scritto,
un libro. Quindi quando Elvira Sellerio mi diceva “Ho venduto settemila
copie della Stagione della caccia”, bè, io saltavo di gioia, perché
Aldo Busi aveva detto che uno scrittore – una volta lo avevo sentito
in una spiritosa trasmissione - può dirsi tale a tutti gli effetti
quando ha venduto almeno tremila copie del libro pubblicato.
Quindi lei, avendone vendute il doppio…
Ma figurati! Ero uno scrittore al quadrato… al doppio, no? Poi, all’improvviso,
è successo qualche cosa alla fine del 1997: esterrefatta, Elvira
mi ha comunicato che le vendite da 7.000 copie erano passate a 197.000…
che cosa è successo in quegli ultimi tre mesi del 1997 meriterebbe
un’indagine non di Montalbano che è parte in causa, ma almeno di
Maigret…
Lei non aveva fatto niente? Mai una promozione… niente?
Ma nulla! Elvira Sellerio non faceva pubblicità, sono stato
io che sono andato a presentare questi libri nelle varie librerie. Mi sono
fatto circa 80 librerie in tre mesi, viaggiando come un commesso viaggiatore,
proprio, per l’Italia: mi invitavano, ci andavo volentieri. Ma io credo
che alla base ci sia stato una sorta di bocca-orecchio, di passa parola
tra i lettori.
Senta, adesso Montalbano è anche un grosso personaggio televisivo…
l’attore che interpreta Montalbano è un grande divo, questo fatto
ha fatto aumentare molto le vendite?
No, no. La verità è che non le ha fatte aumentare… sì,
qualche piccolo aumento c’è stato, però in realtà
il personaggio nasceva – come si dice in politica – da uno zoccolo duro
bello affermato. Quando i primi Montalbano televisivi sono arrivati sul
piccolo schermo ormai il personaggio aveva un suo larghissimo pubblico.
Ma chi è questo Montalbano?
Montalbano è un personaggio che uno può ricevere a casa
sua, cenarci assieme tranquillamente in assoluta libertà e tranquillità,
ma anche non condividerne le idee. Montalbano è un poliziotto: ha
le sue idee politiche, l’ha detto duemila volte e tante volte è
stato accusato di essere un comunista arraggiato, mentre non lo è…
però deve risolvere dei casi e mette in campo, mentre risolve questi
casi, non le sue idee ma il suo essere uomo, il suo riuscire a ragionare
in un certo modo.
Quali sono i suoi difetti?
Bè… è un individuo assolutamente egocentrico, è
una persona che… io non capisco perché ad esempio la sua eterna
fidanzata Livia continui a stare con lui… io se fossi una donna, se fossi
Livia, con lui non ci starei…
E quindi avrà un suo fascino…
Può darsi che questo abbia un fascino per le donne ma, comunque
sia, come uomo non è che mi piaccia molto, Montalbano… però
è un uomo del quale ci si può fidare, questo mi sembra estremamente
importante…
Ma lei per costruire Montalbano, avendo bazzicato Eduardo De Filippo,
Pirandello, avendo conosciuto, essendo stato amico di Sciascia, avendo
chiaramente letto tutti i loro libri… si è ispirato a tutti questi
o Montalbano se l’è inventato proprio di sana pianta?
No, Montalbano me lo sono inventato di sana pianta. C’è una
cosa che devo dire e che mi interessa moltissimo dire, cioè a dire
che dopo il terzo romanzo di Montalbano mia moglie mi ha detto una cosa
che mi ha colpito profondamente e che è autentica… però l’ha
scoperto lei, non io… cioè a dire: “Ma ti rendi conto che con Montalbano
stai facendo un lungo ritratto di tuo padre?” Cioè a dire Montalbano
è, ha i tratti, molti tratti di mio padre…
Lei andava d’accordo con suo padre?
No. Io non sono andato d’accordo con mio padre per fatti politici…
Cioè lei era comunista e suo padre era di destra…
No, mio padre non era di destra, mio padre era fascista, era squadrista…
quindi voglio dire, da questo punto di vista eravamo all’opposto… mio padre
era monarchico e io repubblicano…
Quindi povera mamma…
Però, inconsciamente, quelle che erano le sue doti vere, reali
di uomo devo averle travasate nel personaggio Montalbano… mia moglie se
n’è accorta.
Lui ha cominciato a vivere dopo la morte di suo padre?
Sì.
Quindi è stato anche un modo per lei per star vicino a suo
padre…
Certo.
Che rapporti ha con Montalbano?
Be’… gli stessi rapporti che avevo con mio padre: lo amo e lo detesto,
in alcuni momenti…
Ma lei quando lo ritrova? La mattina si mette lì e… quali
sono i suoi orari?
No… Montalbano è un personaggio sempre presente. Sono io che
sono costretto a…
…tenerlo lontano…
….a tenerlo lontano, perché altrimenti invaderebbe la mia vita.
Poi è un killer, come ho detto altre volte… Montalbano, che è
un commissario di polizia, in realtà è un killer… un killer
di altri personaggi: cioè a dire se mi viene in mente un personaggio
arriva Montalbano e dice “no, per favore questo te lo faccio fuori:
parla di me”
Quindi ecco l’egocentrico che viene fuori…
…ecco l’egocentrico…
Il suo amore, prima di essere quello per i libri e i romanzi di
Montalbano, era il Teatro…
Era il Teatro. C’è stata per esempio la mia figlia maggiore,
ora ultraquarantenne… le assegnarono un tema… sa, uno di questi temi orrendi
che assegnano: Tema - Mio padre, la mia famiglia.
Che cosa ha detto?
E allora questo tema mi è rimasto impresso nella memoria: “
Mio padre quando torna a casa litiga con mia madre, poi si chiude nello
studio e legge copioni. La sera esce e torna l’indomani mattina. Qualche
volta sa fare andare la lavatrice.” E’ vero: la lavatrice si inceppava
e io avevo trovato un sistema per farla procedere nel lavaggio.
Ora, che tutto il mio contributo familiare consistesse nel far procedere
la lavatrice mi sembra francamente un po’ riduttivo, però era così
che lei mi vedeva e forse quest’incubo ha fatto sì che - mi
colpì tanto questo tema – ha fatto sì che io coi miei nipoti
sia in un modo diverso, suscitando le gelosie…
…delle figlie…
...delle figlie, madri dei miei nipoti che dicono “tu a noi così
non ci trattavi”.
I Siciliani sono molto “famiglia”… amano molto …
Io amo moltissimo la famiglia. Io, col mestiere che ho fatto sempre
fuori di casa, incontrando anche belle donne, tutto quello che volete,
belle occasioni eccetera… Dio mio, sono sposato da quasi quarantasette
anni con la stessa donna… non è merito mio.
Merito suo?
Eh, certo…
Perché lei è difficile da sopportare?
Io credo di sì…
Quali sono i suoi difetti?
Mah… quelli di Montalbano: l’egocentrismo, essere sempre al centro
dell’attenzione di tutti…
Cosa vuol dire essere Siciliani?
Vuol dire essere servito fino all’ultimo… io ammiro i miei generi,
non letterari, quelli che hanno sposato le mie figlie, che lavano i piatti
oppure badano ai bambini…
E invece lei fuma mentre gli altri….
Eh sì… io fumo e mi ritiro nelle mie stanze….
Senta, parlando di Camilleri l’intellettuale, la persona di cultura,
il testimone… stiamo vivendo un periodo non semplice: lei cosa ne dice?
Io sono nato nel ’25 e la prima parola che ho capito verso l’età
di nove anni, otto anni era la parola guerra: la guerra d’Abissinia, la
conquista dell’impero etiopico da parte di Mussolini, nel ‘36/’37 ho continuato
a sentire la parola guerra che era la Spagna e già nel ’38 ho cominciato
a sentire la parola guerra che era la guerra devastante che c’è
stata negli anni dopo. Mi sono illuso che la pace potesse esistere e ora
mi ritrovo di nuovo a una elaborazione malefica del principio di guerra
che è la guerra preventiva.
E’ il terrorismo, anche…
Devo distinguere tra terrorismo e guerra. Il terrorismo si manifesta
in modo tale che ancora all’ ONU, all’ UNESCO non si riesce ancora a darne
una definizione. Che cos’è il terrorismo? Erano terroristi Cesare
Battisti e i nostri partigiani, a seconda dei punti da cui li vedi. Il
terrorismo raggiunge forme abnormi, estreme, orrende come quella dell’11
settembre dove delle persone che si recano al lavoro – 3000 o giù
di lì – vengono ammazzate senza un perché e senza un percome,
questo è ignobile, ma la forma di combattimento di questo terrorismo
è la guerra? Questa è la domanda di fronte alla quale noi
oggi ci troviamo. E’ una guerra preventiva? La guerra preventiva significa
che dove ci sia un’ipotesi di terrorismo si è autorizzati a fare
la guerra.
Ma l’Iraq senza Saddam?
Meraviglioso… cioè a dire non bisogna giocare…
Non è così semplice…
Non è così semplice. Certo che noi ci troviamo di fronte
a uno di quei dittatori che… le abbiamo viste le immagini… certe immagini
possono mentire, altre non mentono. I Curdi ammazzati in un modo orrendo
con il gas sono una realtà innegabile. La dittatura è il
sistema peggiore che ogni nazione possa avere. Saddam non è implicato
– perché non ce ne risulta uno degli attacchi alle torri gemelle
– Saddam è se mai implicato in un’altra sorta di terrorismo che
è il finanziamento alle famiglie dei Palestinesi che fanno i kamikaze…
allora sono due problemi che non possono essere combattuti con una guerra,
perché il terrorista è – Conrad insegna – è uno, due,
tre… non sono un popolo.
Però porta pregiudizio a tutto un popolo…
Lei ha detto una cosa bellissima: portano pregiudizio a tutto un popolo…
sta a chi ha l’intelligenza distinguere e levarsi da questo pregiudizio,
colpire il terrorismo non significa mandare degli innocenti in ospedale
senza gambe, senza piedi… perché questo alimenta il terrorismo,
di questo ne sono convinto.
E come vive lei che parla di storie siciliane, di piccoli fatti
giudiziari, di delitti, di cose di questo tipo, come fa a interessarsi,
a riuscire a scrivere questo tipo di storie quando il mondo intorno a lei
è…
Sai che cosa succede? Succede che questo che lei dice il piccolo delitto
circoscritto diventa un paradiso… diventa un Eden… cioè diviene
il luogo dove io mi rifugio fuggendo dall’orrore grosso. E mi creda, mi
viene molto difficile, la sera, o il pomeriggio, guardare la televisione…
Quando si diventa nonni si è deboli, in tante cose… si è
vulnerabili. La sofferenza di un bambino, la sofferenza dei tuoi nipoti,
la possibile, probabile sofferenza… ho una paura del diavolo quando vedo
queste cose.
Ma lei, in questi giorni di guerra ha avuto la sensazione di essere
più nervoso, più agitato?
Certo non tranquillo. Probabilmente più nervoso, sicuramente
più arrabbiato, leggermente offeso, se mi è concesso dirlo…
leggermente offeso in quanto Europeo. Ho sentito chiamare l’Europa, in
un modo un po’ sprezzante, “questa vecchia Europa”… mah… siamo vecchi perché,
come diceva Hegel, la Storia è un pesante fardello che noi Europei
ci portiamo sulle spalle e questo fardello, con tutto il suo peso, credo
che rallenti un po’ il passo di chi lo porta. Le nazioni con poca storia
corrono più leggere di noi però il passo lento è quello
più meditativo.
Ma lei pensa che questo periodo influirà sui suoi prossimi
libri o no?
Non lo so. E’ difficile dirlo… vede, il mio ultimo giallo, questo ultimo
di Montalbano, Il giro di boa… io non sapevo che sarebbero accaduti dei
fatti che sarebbero entrati dentro questo libro… non lo sapevo, però
questi fatti sono dovuti entrare perché fanno parte della realtà
di oggi.
Può darsi che…
Può darsi che sì può darsi che no…
Quindi lei non sa mai quello che scriverà…
No. Questo è bellissimo…
Quindi non può dare nessuna anticipazione…
Non posso dare nessuna anticipazione su quello che scriverò
perché quello che scriverò sempre, o quasi sempre, mi viene
dettato da ciò che accadrà… e ciò che accadrà
io al momento attuale non lo so.
Mi dicono che lei non sta lavorando tanto in questi tempi…
No.
Come lo chiama, lei, il periodo in cui non lavora? Perché
ho sentito dire che c’è un modo siciliano…
Tambasiare, si chiama… cioè a dire … tambasiare è girare
la mattina di un giorno di festa, metta conto, senza essersi sbarbato ancora
in pigiama o come vuole lei, girando per le stanze della casa e facendo
cose fondamentali come mettere un quadro che era un po’ fuori squadra…
guardare una lettera senza leggerla… fare queste cose fondamentali… ecco.
Che però sembrano un perdita di tempo e non lo sono. Sono una raccolta,
una… come posso dire?… una somma di piccole cose che poi finiscono per
determinare una qualche azione.
Mi sembra che l’elemento tempo, come occupare il tempo presente
sia qualcosa che domina abbastanza la sua vita…
E’ molto acuto questo, perché uno deve fare i conti col tempo.
Il tempo non è solo il tempo che tu perdi o impieghi in qualche
modo… certe volte ti vengono anche le riflessioni sul tempo… cioè
che cos’è il tempo? L’idea che il tempo continuerà dopo di
te ti da un po’ di fastidio, l’idea che il tempo sia esistito prima di
te è tutta una gran materia di studio, no? E l’idea che il presente
ti impedisca qualche volta di dire io sono e ti fa preferire io ero - alla
mia età io sarò è molto difficile dirlo – be’ questo
è un pochino poco gradevole dire io ero, cioè avere la preferenza
per il passato… forse è un fatto di età.
Professor Camilleri, la ringrazio e le auguro naturalmente, aspettando
il prossimo
libro, il prossimo anche Montalbano, le auguro un buon lavoro.
[trascrizione a cura di Paola]
Liberazione, 9.4.2003
Nella nuova inchiesta di Montalbano la denuncia dei fatti di Genova
diventa l'occasione per un salto di qualità insieme letterario ed
etico
Il "giro di boa" di Camilleri
Dopo Genova, dopo quei drammatici giorni, si era detto e ripetuto: niente
sarà più come prima. Per la politica, per la stessa etica.
Per l'arte e la letteratura.
Purtroppo non sempre è stato così. Spesso, molto più
spesso, ha prevalso la volontà di dimenticare, di semplificare,
di banalizzare.
Ma c'è chi non è venuto meno al compito di ricordare,
di cambiare se stesso e quello che fa. Tra questi - occupando un posto
d'onore - Andrea Camilleri che con il suo ultimo romanzo, Il giro di boa
(Sellerio Editore, Palermo, pp. 269, euro 10,00) fa un salto di qualità,
insieme etico e letterario, che parte da quei giorni, dalla mattanza della
Diaz, per scrivere, quasi scolpire, una lingua e un racconto impregnati
di Storia. Di un presente dolente, a causa di una guerra preventiva e infinita
che è anche fatta di uomini donne bambine e bambini naufraghi nel
mondo della globalizzazione.
Per lo scrittore di best-seller è finito il tempo di stare a
guardare. E' davvero finito.
Allo stesso modo la pensa il suo personaggio icona, Montalbano, protagonista
de Il giro di boa. Saputo quello che è successo nel capoluogo ligure,
il commissario di Vigàta entra in crisi. Splendido, da antologia,
l'attacco: «Nuttata fitusa, 'nfami, tutta un arramazzarsi, un votati
e rivotati, un addrummisciti e un arrisbigliati, un susiti e un curcati».
L'agitazione di Montalbano non è la stessa, celebre, di don Abbondio.
E' semmai l'agitarsi di fra' Cristofaro. Non è espressione di ignavia.
E' l'esatto opposto. Saputo quello che è successo alla Diaz, il
commissario entra a tal punto in crisi che si vuole dimettere. Che c'entra
lui con quella polizia, che falsifica le prove, che massacra pacifici ragazzi
no global? Il fatto è - scrive Camilleri, pensa Montalbano - che
«i suoi compagni e colleghi, a Genova, avevano compiuto un illegale
atto di violenza alla scordatina, una specie di vendetta fatta a friddo
e per di più fabbricando prove false. Cose che facevano tornare
in mente episodi seppelluti della polizia fascista o di quella di Scelba».
Ma il nostro protagonista va ancora più in là. Perché
non solo denuncia le connivenze in ambito governativo durante le giornate
di luglio, ma accusa come anche a Napoli, il marzo precedente, quando l'esecutivo
era di centrosinistra, le cose non andarono in maniera diversa. Esclama
infatti Montalbano, nel dialogo con un collega: «La metto peggio
di prima. Credi che non ci abbia riflettuto, Mimì? Vuol dire che
tutta la facenna è assai più grave». «Cioè»,
chiede l'altro. «Che questa lurdia è dentro di noi»
risponde lapidario il commissario.
Se questo è l'incipit, del romanzo e di una nuova fase della
Storia, il racconto è conseguente, sul piano della scelta linguistica
e della costruzione simbolica. Camilleri cambia registro e fa sbattere
il muso al suo protagonista contro le contraddizioni del mondo, che prendono
la forma di un corpo morto sui cui finisce lo scoraggiato Montalbano.
Ma è soprattutto nell'incontro con un bambino migrante, sbarcato
da una delle tante navi cariche di disperazione, che il celebre personaggio
deve misurare se stesso e il proprio livello di assunzione di responsabilità.
Dopo averlo preso per mano, guardato negli occhi, toccata la sua magrezza
da campo di sterminio, quella creatura viene uccisa. Montalbano, già
incazzato per la terribile legge Cozzi-Pini (evidente e sarcastico riferimento
alla Bossi-Fini), perde davvero le staffe. E' anche colpa sua se il bambino,
che pure aveva tentato di fuggire, finisce nelle mani degli assassini.
Ma invece di arrendersi, decide di stare. Di non mollare.
Le inchieste vanno avanti parallelamente, apparentemente separate.
Ma ancora prima che, leggendo il romanzo, scopriate quale intreccio lega
i diversi episodi, è evidente che c'è un legame simbolico
tra Genova (e la mattanza della Diaz), il corpo morto, il bambino che tenta
di fuggire e poi muore. Il punto in comune è il mondo in cui viviamo,
il suo sistema politico ed economico, il suo livello di sfruttamento.
Come il celebre commissario anche lo scrittore siciliano non ci sta.
E non ci sta in primo luogo sul piano della lingua. Molto più che
negli altri romanzi Camilleri scava con il dialetto siciliano dentro le
forme dell'italiano. Quella lingua dei governanti e dei burocrati, di chi
parla bene e razzola male. La lingua del conformismo e della menzogna,
dove il principio di contraddizione non vale più. E chi governa,
e non solo, può dire tutto e il contrario di tutto, senza una possibile
verifica di verità. Camilleri, scava e scava, trasformando non solo
la grammatica, ma la stessa sintassi. E se la lingua è in primo
luogo la descrizione (la creazione) di un mondo, quello de Il giro di boa,
è un altro mondo. Dove prevale l'indignazione, la ribellione, dove
l'esistente diventa, è inaccettabile. E si può, si deve cambiare.
C'è un gioco che si ripete nel romanzo. Catarella, uno dei poliziotti
che lavora con il commissario di Vigàta, sbaglia sempre i nomi.
Anche quello di un giornalista, Sozio Melato, che al di là delle
apparenze si rivelerà assai utile per sbrogliare l'intricata inchiesta.
Quando lo pronuncia il collaboratore di Montalbano il suo nome viene trasformato
in Ponzio Pilato. Lapsus che ricorre molte volte, troppe, per non essere
interpretato come una chiave di lettura del libro. Secondo l'esegesi biblica
Pilato è colui che non sceglie, che sa ma non vuole assumersi la
responsabilità di dire la verità. E che fa finta di nulla.
Montalbano-Camilleri si oppongono all'indifferenza, scelgono da che parte
stare. Una presa di posizione che lascerebbe il tempo che trova se non
si fissasse in immagini di grande forza emotiva, in una letteratura di
primissimo ordine. In un "giallo" di rara qualità, dove la mimesi
della realtà, altre volte troppo prevalente nei romanzi di Camilleri,
questa volta è solo un punto di partenza per costruire la rivolta.
Della società. Della letteratura. E anche di chi legge.
Post- scriptum: Il giro di boa fa anche sbellicare dalle risate.
Angela Azzaro
Liberazione, 9.4.2003
Sellerio, un simbolo della cultura siciliana creato da una donna coraggiosa
Nasce nel 1969
La storia della casa editrice Sellerio, fiore all'occhiello della cultura
siciliana, coincide praticamente con buona parte della vita della sua fondatrice,
appunto Elvira Sellerio. Dopo aver lavorato per quattordici anni presso
l'Eras (Ente riforma agraria in Sicilia), questa donna coraggiosa diede
vita nel 1969 alla casa editrice, con la speranza, tra le altre cose, di
ridare nuova linfa al suo matrimonio con Enzo, di professione fotografo.
Ma le cose andarono diversamente e nel '79 i due si separarono e, di comune
accordo, divisero anche l'attività editoriale: Elvira continuò
ad occuparsi di narrativa e saggistica mentre suo marito di libri illustrati.
Le prime collane della Sellerio, furono la "Civiltà perfezionata",
poi "Prisma", diretta sempre da Nino Buttitta, amico di famiglia, antropologo
legato al Partito socialista. La casa editrice è poi diventata famosa
per il grande exploit di Andrea Camilleri, iniziato negli anni '80, e dei
gialli di Margaret Doody. Il primo successo del creatore del commissario
Montalbano è "Birraio di Preston", uscito alla fine degli anni '80,
per la collana "La Memoria", una serie ormai divenuta famosa e caratterizzata
per il rettangolo blu sempre corredato da un'immagine scelta dall'ex marito
della signora Sellerio. Alla realizzazione della collana diede un contributo
fondamentale Leonardo Sciascia che però, prima di morire nel 1989,
firmò un accordo con la casa editrice Adelphi, con il quale cedette
tutti i suoi diritti di autore. Un gesto che addolorò molto la Sellerio,
che però rispettò la scelta dello scrittore scomparso.
Ancora oggi, il successo di questo gioiello della cultura isolana e
nazionale di fatto assorbe tutte le giornate della signora Elvira, dopo
la breve parentesi del '92 e '93, quando fece parte del Cda della Rai.
A lavorare con lei quasi tutte donne, a parte suo figlio Antonio. Il suo
braccio destro è Chiara Restivo, figlia dell'ex ministro e moglie
del giudice Peppino Di Lello, europarlamentare di Rifondazione comunista.
A 67 anni Elvira Sellerio non demorde, anche se non esclude di coinvolgere
sempre più i figli alla gestione della sua creatura.
Rai 3, 13.4.2003
Per
un pugno di libri
Nel corso della trasmissione, dedicata a "La donna della domenica" di
Fruttero & Lucentitni, Piero Dorfles ha presentato "Il giro
di boa", dicendo che se Fruttero & Lucentini sono tra i grandi del
giallo italiano questa stessa cosa non può non dirsi di Andrea Camilleri.
Ne "Il giro di boa" il suo Commissario Montalbano, come il Commissario
Santamaria, dimostra non soltanto di essere un ottimo poliziotto, ma anche
un poliziotto onesto e molto sensibile, con anche dei forti principi etici,
e che è capace di scelte estreme. Tant'è vero che, dopo i
fatti di Genova e un comportamento non proprio provvidenziale della polizia,
il Commissario Montalbano sta per dare le dimissioni, se non fosse che
quella mattina nel fare una lunga nuotata al largo si imbatte in un cadavere
galleggiante: per riportarlo a casa lo lega al suo costumino e quando esce,
nudo, viene arrestato.
[segnalazione di Paola]
Reuters, 14.4.2003
RTRS-Libri
Il noir italiano, in "crisi di realtà", salvato dal G8
ROMA, 14 aprile (Reuters) - Finiti i tempi degli imitatori nostrani
di Agatha Christie, o degli emuli delle detective's story americane, il
noir all'italiana vive da qualche anno, anche all'estero, una fortunata
stagione editoriale.
Eppure, nonostante il successo di Andrea Camilleri, Carlo Lucarelli
o Giorgio Faletti, malgrado la moltiplicazione di autori e titoli, secondo
un esperto del settore il genere è in crisi di creatività,
non molto attento all'attualità e ai fenomeni sociali, troppo ispirato
a modelli letterari, più che dalla realtà.
Anche se una salutare scossa potrebbe venire dal "trauma" del G8, dai
giorni di proteste noglobal e di violenza che nell'estate del 2001 accompagnarono
il vertice di Genova dei Sette paesi più industrializzati del mondo
e della Russia, e che hanno lasciato dietro di loro una scia di polemiche,
dubbi sull'operato delle forze dell'ordine e inchieste giudiziarie ancora
in corso.
"Da qualche anno a questa parte a quella che in Italia viene vissuta
come la stagione più felice dal punto di vista delle vendite, corrisponde
a un periodo di mancanza creativa - dice a Reuters Luigi Bernardi, 50 anni,
che da alcuni anni cura la collana "Stile Libero Noir" di Einaudi insieme
a Lucarelli, uno dei più prolifici e noti autori italiani di noir.
"A parte alcuni autori che si guardano attorno, che sanno raccontare
una criminalità plausibile, tutto il resto è una rimasticatura
del genere - dice Bernardi, che è anche traduttore, critico letterario,
giornalista e scrittore (ultimo libro, uscito proprio in questi giorni:
"Vittima facile" editrice Zona). "Abbiamo tantissimi tardo-finti commissari
Maigret, poliziotti stanchi e disillusi, che riflettono una stanchezza
del vivere e della giustizia, che conducono indagini vecchie".
Anche nei manoscritti degli aspiranti autori che Bernardi legge in
abbondanza, c'è "poco sangue, ci sono pochi sapori, pochi odori,
pochi cervelli che pensano".
L'esplosione del noir in Italia risale ai primi anni 90, grazie soprattutto
a Lucarelli (ultimo libro: "Misteri d'Italia. I casi di 'Blu Notte'", Einaudi),
da tempo approdato anche in tv con le sue trasmissioni sui misteri italiani.
A differenza del giallo "classico" nel noir non è così
importante scoprire chi è l'assassino, ma contano di più
l'atmosfera, le dinamiche sociali, i caratteri dei protagonisti.
E come nel caso della Francia, dove il noir si è imposto ormai
da decenni, anche in Italia i "noiristi" sono spesso gente di sinistra,
e nei loro scritti c'è una parte di critica sociale, si percepisce
un sentimento di opposizione.
GENERAZIONE NOIR
"Si tratta di nuovi scrittori vogliono raccontare il loro paese, i
misteri, quello che accade, un certo punto di vista non ufficiale, con
un certo taglio sociale. C'è un'impronta fortemente sociale, poi
declinata in vari modi", spiega a Reuters Sandrone Dazieri, 39 anni, direttore
editoriale della celebre collana "Il Giallo Mondadori" e "noirista" lui
stesso ("Gorilla Blues", Mondadori).
"C'è chi è più letterario, come Marcello Fois
("L'altro mondo", Frassinelli), chi sa perfettamente come funziona la polizia,
come Lucarelli, chi è un inventore di ballate metropolitane giocate
sul calembour come Andrea Pinketts ("Nonostante Clizia", Mondadori), chi
parla di criminalità come Massimo Carlotto ("Il maestro di Nodi",
Edizioni E/o) chi viene dai centri sociali, come me".
E tra gli "avanguardisti" del noir, Dazieri indica Loriano Macchiavelli
("I sotterranei di Bologna", Mondadori), creatore del celebre brigadiere
Sarti Antonio, "un prototipo di poliziotto inserito in una realtà
urbana, credibile".
Ma la consacrazione del giallo-noir italiano come fenomeno da best
seller si deve ad Andrea Camilleri ("Il giro di boa", Sellerio), con le
sue avventure del commissario siciliano Salvo Montalbano, che ottengono
a ogni nuovo volume un record di vendite, e che sono diventate un serial
tv di successo.
Eppure, per Luigi Bernardi, la grande produzione di noir di questi
ultimi anni, con il moltiplicarsi di collane dedicate al genere e di un'attenzione
enormemente cresciuta da parte dei media, non deve trarre in inganno: "Se
arrivasse un marziano e cercasse di capire l'Italia attraverso i gialli,
penserebbe che questo è un paese di serial killer, di gente che
ammazza per l'eredità... A parte Dazieri, o Carlotto, nessuno parla
di albanesi, di mafie diverse da quella classica, che comunque è
cambiata anch'essa".
"IO UCCIDO"? TROPPO AMERICANO
Un esempio in negativo? Bernardi non ha dubbi, è quel "Io uccido"
(edito da Baldini&Castoldi) dell'attore e cantante Giorgio Faletti
che è da mesi e mesi ai primi posti delle classifiche dei libri
più venduti.
Una trama piuttosto classica, e ispirata alla tradizione del thriller
americano, quella del volume di Faletti: un dj di Radio Monte Carlo è
minacciato da un misterioso serial killer, in una spirale di colpi di scena
e omicidi su cui indaga un agente dell'Fbi in congedo.
"Non riesco a spiegarmi come il romanzo di Faletti abbia venduto tanto
- dice Bernardi - Ha scritto un romanzo mediocre che avremmo rimproverato
a uno scrittore medio americano".
Dello stesso avviso anche Dazieri: "Un romanzo a grandissima diffusione,
e costruito bene, dal punto di vista della presa sul pubblico.
Ma è un libro che riporta il giallo italiano alla sudditanza
verso il genere americano... si ripropone come l'imitazione dell'America".
D'altronde, per l'inventore del "Gorilla", "c'è una grandissima
parte del pubblico a cui non frega niente del discorso sociale o politico
del giallo: vuole il divertimento puro, il serial killer".
A differenza di Bernardi, Dazieri è però meno categorico
sulla "crisi" del noir italiano: "Il problema non è la crisi del
noir... Il punto, invece, è che noi andiamo a occupare un microscopico
spazio lasciato libero dagli scrittori di letteratura "bianca", o di letteratura
propriamente detta, che dagli anni 70 hanno smesso di parlare dell'oggi.
Anche quelli più impegnati. La maggior parte si guarda l'ombelico...
E' più interessante il proprio intimo, il proprio diario, il proprio
amore".
Insomma, "c'è una morte del presente nella letteratura italiana...
Gli unici che ne parlano sono gli autori del noir. E se parli di albanesi
o di G8, non puoi certo pensare di vendere 300.000 copie", conclude Dazieri.
"IL GIRO DI BOA" DEL G8
Ma è proprio la vicenda del G8 a convincere Serge Quadruppani,
uno scrittore francese da noi noto soprattutto per essere il traduttore
in Francia di Andrea Camilleri, che il rapporto tra noir italiano e realtà
non è affatto in crisi: "Ci sono tre romanzi recenti che parlano
di G8, quello di Dazieri, quello di Carlotto, l'ultimo di Camilleri. E'
una coincidenza che mi ha colpito molto, quello è stato un trauma
importante per l'Italia", dice Quadruppani, 51 anni, a Reuters.
Per Quadruppani - la cui traduzione de "L'odore della notte" di Camilleri
è appena uscita in Francia col titolo "L'odeur de la nuit" per Fleuve
Noir - quella del noir italiano "non è più soltanto una crescita,
è una vera e propria affermazione. Fino a 10 anni fa, il campo era
scarso".
E in Francia, come sono accolti i nostri scrittori di noir? "Camilleri
ha sfondato, alcuni vanno abbastanza bene, come Dazieri o Fois. Ma è
ancora presto per parlare di fenomeno editoriale".
Ma per l'autore di "L'assassina di Belleville" (Mondadori), l'importante
è che l'Italia stia uscendo da "questo atteggiamento provinciale,
per il quale si pensa che la letteratura di genere, il noir, non sia letteratura...
Eppure (Carlo Emilio) Gadda, o (Leonardo) Sciascia, hanno scritto gialli.
Per (Daniel) Pennac è lo stesso, ha cominciato scrivendo noir".
"Mi ricordo che quando in Italia dicevo di essere uno scrittore, mi
guardavano con ammirazione - dice Quadruppani - Poi, quando spiegavo che
scrivevo gialli, vedevo comparire un mezzo sorriso sulla bocca dei miei
interlocutori... ora però è diverso, penso che ci sia un
fenomeno di cambiamento culturale, di apertura, contro la rigidità
accademica che regnava prima".
Massimiliano Di Giorgio
Giornale di Sicilia, 14.4.2003
Festa della polizia, gli auguri pure da Camilleri
Il centocinquantunesimo compleanno della polizia si è concluso
ieri sera con una grande kermesse al Teatro Politeama. Alle 21 ad accogliere
le autorità, i funzionari di polizia, accompagnati dalle loro famiglie,
e tutti gli invitati _ più di 1150 _ sono stati l'orchestra sinfonica
del conservatorio "Francesco Bellini" e il coro del corpo della polizia.
Sotto la direzione dei maestri Carmelo Caruso e Marcello Iozzia, orchestra
e coro hanno eseguito l'inno di Mameli, il Nabucco e Va' pensiero di Verdi,
compresi in un ampio repertorio di musica classica che ha caratterizzato
la prima parte dello spettacolo. Nell'intervallo l'intervento del questore
Francesco Cirillo che ha ringraziato i presenti e ha ricordato gli obiettivi
raggiunti in quest'ultimo anno dal corpo di polizia. "Vicini alla gente
è il nostro motto e un'esigenza da perseguire a ogni costo _ ha
detto _. Proprio per rimarcare questo nostro impegno civile tra la gente,
per la gente e con la gente, abbiamo voluto che quest'anno i poliziotti
si avvicinassero alle tradizioni culturali di Palermo nello splendido e
glorioso teatro Politeama Garibaldi". Presentatore della serata l'attore
agrigentino Gianfranco Iannuzzo, che ha letto agli invitati un brano di
Andrea Camilleri. Lo stesso Camilleri in videoconferenza ha rivolto un
saluto alla polizia, padre di quel commissario Montalbano che ha spopolato
in libreria e in tv. Poi, su un grande schermo, sono stati proiettati due
filmati per ricordare i caduti della polizia e illustrare i compiti delle
forze dell'ordine. Nel primo, una dolorosa carrellata sui luoghi delle
stragi, dal 1958 a quella di via D'Amelio, in sottofondo la voce di Iannuzzo
che ha letto i nomi delle vittime della mafia. La seconda parte della serata
ha visto protagonista il cantante e attore Massimo Ranieri. L'artista si
è esibito in concerto, cantando numerosi successi della sua lunga
carriera, da "Rose rosse" a "Perdere l'amore", la canzone con la quale
ha vinto il festival di Sanremo nel 1988. Accompagnato da sei musicisti,
capitanati da Mauro Di Domenico, ha proposto pure canzoni dell'album "Oggi
o dimane". Al termine della serata, sul tetto del Teatro, hanno illuminato
il cielo particolari giochi fluorescenti. Davanti a piazza Castelnuovo,
con il naso all'insù, gli invitati in abito da sera hanno letto
una scritta luminosa comparsa accanto ai quattro cavalli del Teatro: "Evviva
Palermo, evviva la polizia di Stato".
Romina Marceca
Bresciaoggi, 16.4.2003
Nuovo appuntamento al «S. Barnaba» con i peccati capitali
L’ira secondo Boncinelli è genuina e necessaria
«Gola»: il 29 forfait di Camilleri, sostituito (ma il 30)
da Vissani
[...]
Il 29 aprile, per parlare del tema della «gola», doveva
esserci lo scrittore Andrea Camilleri, ma il papà del commissario
Montalbano ha dato forfait. In sostituzione, il giorno 30 il famoso chef
Gianfranco Vissani sarà intervistato da Enzo Vizzeri.
Nino Dolfo
Tele Akras, 16.4.2003
Intervista ad Andrea Camilleri
Cliccare
qui per ascoltare un brano
La Sicilia, 16.4.2003
Benvenuti al «Caffè Vigata»
Porto Empedocle. Il «Ladro di merendine» tradotto in cinese,
russo, inglese, o il «Birraio di Preston» in spagnolo, tedesco
o francese. Il tutto, immerso nell'atmosfera del bar all'ingresso di via
Roma che, tra qualche giorno, si chiamerà «Caffè Vigata».
Senza aspettare che enti pubblici di vario genere seguano la scia del
«Camilleri business», Stefano Albanese e i suoi figli proseguono
nella inarrestabile metamorfosi che li ha ormai resi gestori di una vera
e propria «segreteria» del noto scrittore empedoclino. Oltre
a raccogliere i libri dei cultori del «papà» del commissario
Montalbano per farli autografare dall'autore, il titolare del bar ha messo
in vetrina una ventina di libri del prestigioso compaesano, tradotti in
molte lingue e inviati nei giorni scorsi dalla sorella di Camilleri [in
effetti si tratta della sorella di Albanese, Camilleri è figlio
unico, NdCFC], nella città in cui lo scrittore tornerà
in questo fine settimana per trascorrere le festività pasquali.
Desta una certa sensazione il vedere tradotto con ideogrammi con caratteri
cirillici le pubblicazioni dello scrittore. Particolare curiosità
ha suscitato soprattutto e da subito la copertina del «Ladro di merendine»
in versione «made in Japan».
I volumi che racchiudono le opere sono stati disposti in uno degli
scaffali della vetrina dove sono sistemate le uova di pasqua. Ma cosa ci
farà Albanese con questi libri scritti in maniera incomprensibile
per molti? I destinatari dell'iniziativa non sono gli empedoclini, ma i
turisti stranieri i quali, tra un caffè e un cannolo con crema di
ricotta, potranno trascorrere qualche minuto immersi nella lettura delle
avventure di Montalbano, tradotte nella loro lingua. Un business fai da
te, visto che fino a oggi, nessun ente pubblico aveva pensato di sfruttare
il successo planetario di Camilleri, per guadagnare qualche soldo in più,
oltre a una notevole dose di visibilità e prestigio. Intanto, nel
«bar segreteria» fervono i preparativi per la sistemazione
della nuova insegna che verrà piazzata tra qualche giorno. Accanto
alla dicitura «Bar Albanese», campeggerà infatti un
inequivocabile «Caffè Vigata», in onore dell'illustre
rappresentante della cittadina marinara nel mondo, le cui fotografie fanno
capolino alle pareti del locale.
Francesco Di Mare
Gazzetta del Mezzogiorno,
16.4.2003
Sellerio raccoglie le note di copertina
Leonardo Sciascia e i risvolti della memoria
È il volume numero 567 della collana «La memoria»
delle edizioni Sellerio di Palermo quello che raccoglie tutti i materiali
del lavoro editoriale (dai risvolti di copertina a lettere e consigli)
di Leonardo Sciascia, che quella collana creò nel 1979, per smentire
il detto secondo il quale «stampare libri in Sicilia è come
coltivare fichidindia a Milano».
Si intitola Leonardo Sciascia scrittore editore, ovvero La felicità
di far libri (pp. 316 - euro 10,00) ed è curato da Salvatore S.
Nigro, partendo dal progetto dello stesso scrittore prima di morire nel
1989, cui divertiva il gioco che sarebbe nato dal titolo «I risvolti
della memoria», in cui raccogliere i 70 risvolti scritti per i primi
71 numeri della sua collana (non era suo solo quello per Donna di Porto
Pim di Antonio Tabucchi).
E ora eccoli qui riuniti, dal primo per il suo Dalle parti degli infedeli
sino a Retablo di Vincenzo Consolo. Se Vittorini, come ricorda Nigro nella
sua introduzione, componeva di sua mano i risvolti dei «Gettoni»
einaudiani e Gallo e Sereni quelli per «Il Tornasole» di Mondadori,
Sciascia lavorava sulla traccia composta redazionalmente, e vi lavorava
con minuzia e attenzione ai particolari, aggiungendo e tagliando, come
dimostrano gli esempi riportati, relativi a Le dorate stanze di Luisa Adorno
e a La strage dimenticata di Andrea Camilleri [la cui prima edizione
però non è stata pubblicata ne "La memoria", ma nella collana
"Quaderni della Biblioteca siciliana di storia e letteratura", NdCFC],
due autori non scoperti da lui, ma che lui rilanciò creando loro
l'attenzione che meritavano, mentre è tutto da ascriversi a suo
merito il debutto di Gesualdo Bufalino.
Del resto il titolo della collana nasceva dal rilevare come «uno
dei più evidenti e gravi difetti della società italiana....
stesse nella mancanza di memoria», così che i libri proposti
nascevano come «un'esortazione a non dimenticare certi scrittori,
certi testi, certi fatti», come scriveva lo stesso Sciascia nella
presentazione per l'uscita della nuova collana Sellerio.
La raccolta si apre con la auto-nota per il segnalibro che accompagnò
L'affaire Moro, uscito nel '78 nella collana senza risvolti «La civiltà
perfezionata», in cui l'autore rispondeva anonimamente alle lodi
preventive di Scalfari e di Montanelli: «Può darsi che i due
illustri giornalisti - e quanti altri si sono occupati di questo libro
senza averlo ancora letto - si sbaglino: e cioè che il libro non
affascini, non commuova, non abbia qualità letterarie; che sia soltanto
una nuda e dura ricerca della nuda e dura verità».
Poi nel 1983, ristampandolo, notava «a distanza di cinque anni
questo libro potrebbe anche essere letto come opera letteraria. Ma l'autore
- come membro della Commissione parlamentare di vigilanza sull'affaire
- ha continuato a viverlo come opera di verità».
Dalla ricchezza dei materiali di questo volume esce evidente come Sciascia
abbia segnato la vita e il futuro, che continua ancora secondo le direttive
da lui impostate allora, della casa editrice di Elvira Sellerio, facendo
da consigliere, consulente, lettore, direttore editoriale e, grazie al
suo nome e conoscenze, promotore di un «far libri» secondo
uno stile preciso, raffinato e popolare assieme, sempre colto e attento
alla storia con quello sguardo illuministico che era proprio della sua
partecipazione scettica alla vita e della sua fiducia nella letteratura,
di «uomo che sa leggere il mondo attraverso i libri e i libri attraverso
il mondo».
Paolo Petroni
NRK 2, 17.4.2003
Tra le 8:15 e le 9:30, andrà in onda sulla radio norvegese una
conversazione fra il giornalista italo-norvegese Ugo Fermariello e Jon
Ronglien, che ha tradotto in norvegese La forma dell'acqua. Il libro
è appena stato pubblicato in Norvegia, col titolo Slik vann tar
form.
Il Venerdì di Repubblica,
18.4.2003
Gialli. Chi sta giocando sulla parentela
Il fratello segreto di Andrea Camilleri
Un giallo degno di Montalbano.
Ma ambientato a Milano anziché nell'immaginaria Vigàta.
I personaggi sono Stefano e Sandro Camilleri, padre e figlio, che nel
capoluogo lombardo dirigono la CardNet, società di informatica.
In un comunicato risultano essere fratello e nipote di Andrea, lo scrittore.
Che però è figlio unico. Mistero, Anzi equivoco. "Lo chiamo
zio", conferma Sandro, "ma la verità è che siamo parenti
alla lontana".
La Repubblica,
ed. di Roma, 18.4.2003
Presentata la seconda edizione della manifestazione: dodici appuntamenti
dal 21 maggio al 20 giugno. Le letture affidate anche agli attori
Letteratura a tempo di jazz a Massenzio il Festival dei big
E sul palco salgono De Lillo, Auster, Camilleri
In cartellone, insieme alle novità dalla scena russa, anche
Sontag e Lessing. Un programma che ha "convinto" Pennac
Enrico Rava e Stefano Bollani suonano per le parole di Andrea Camilleri
che saranno lette oltre che dall'autore da Luca Zingaretti
Per esempio Daniel Pennac aveva detto di essere molto occupato in quei
giorni. Libro da finire, letture pubbliche, insomma troppi impegni. Agli
organizzatori aveva risposto, «desolé» niente Roma.
Poi ha ricevuto via mail il calendario del Festival internazionale di letteratura.
Ha letto i nomi degli scrittori, forse ha avuto modo di capire meglio cosa
succede sotto le stelle della primavera romana alla basilica di Massenzio
per il secondo anno consecutivo, sulle note del jazz e con un felice coro
di attori. Alla fine neanche lui ha resistito: il caleidoscopico autore
della «Fata carabina» arriva a Roma. La scena sarà sua
giovedì 5 giugno, la lettura di un suo testo affidata alla voce
di Silvio Orlando, subito dopo Tracy Chevalier, l´autrice del romantico
(e amatissimo) «La ragazza con l´orecchino di perla».
È una piccola storia che dice molto della nuova edizione del
Festival delle Letterature che torna con dodici appuntamenti, dal 21 maggio
al 20 giugno alle nove di sera ad ingresso rigorosamente gratuito, schierando
una scelta di artisti sui tre fronti - letterario, musicale, di spettacolo
- da veri appassionati. Anche quest´anno il jazz accompagnerà
le letture di testi da parte degli attori subito prima della lettura, in
lingua originale, degli scrittori invitati che hanno preparato un testo
proprio per Roma. Per tutti il tema da svolgere è «Passato,
presente».
La presenza degli italiani è la principale novità di
questa edizione. Due classici come Dacia Maraini e Andrea Camilleri affiancano
il meglio della letteratura americana.
[...]
Francesca Giuliani
Liberazione, 18.4.2003
Dal 21 maggio al 20 giugno, grandi scrittori ospiti del festival internazionale
"Passato, futuro". Roma capitale della letteratura
E' uno degli eventi più interessanti e più ricchi dell'inizio
estate romana. Lo ha voluto fortemente il sindaco Walter Veltroni, e quest'anno
è alla sua seconda edizione. Parliamo del Festival internazionale
Letterature, presentato ieri in Campidoglio e curato da Maria Ida Gaeta,
responsabile della meritevole Casa delle Letterature. Davvero un grande
evento, non solo di facciata, che già l'anno scorso ha portato nel
cuore della capitale le migliori firme della scrittura mondiale. E che
ha visto una partecipazione notevole di gente, a dimostrazione della validità
di un esperimento in cui la parola scritta diventa incontro, racconto,
affabulazione.
L'iniziativa si ripete quest'anno, nello scenario magnifico della Basilica
di Massenzio, con la stessa formula: presenza dell'autore, letture affidate
a bravi artisti, commenti musicali appropriati. Le date sono quelle comprese
tra il 21 maggio e il 20 giugno, con un calendario molto fitto.
[...]
Serata da non mancare anche quella con il siciliano Andrea Camilleri,
il 27 maggio. Del suo ultimo libro "Il giro di boa" (Sellerio ed.) abbiamo
già avuto occasione di parlare sul nostro giornale, con il suo Montalbano
che entra in crisi dopo i fatti di Genova. Libro e serata, lo ripetiamo,
da non perdere.
[...]
Roberta Ronconi
Corriere della sera,
18.4.2003
Festival dal 21 maggio
De Lillo e Auster nella basilica parlano di libri
Arriveranno anche Doris Lessing e Don De Lillo, Susan Sontag e Paul
Auster, Daniel Pennac e Hanif Kureishi tra gli scrittori che daranno vita
alla seconda edizione del Festival internazionale delle Letterature, in
programma dal 21 maggio al 20 giugno nella cornice della basilica di Massenzio.
«Il tema di questa edizione è dedicato al "passato-futuro"
- ha specificato il sindaco Walter Veltroni, che ieri ha presentato la
manifestazione - e vuole proporre una riflessione sul rapporto tra la memoria
del vissuto individuale e collettivo e le brucianti questioni del domani».
Tutti gli autori sono stati invitati a confrontarsi con lo stesso argomento
e molti di loro presenteranno degli inediti. La formula è quella
dello scorso anno: sul palco di Massenzio gli scrittori leggeranno i loro
testi avvicendandosi con un gruppo di attori, tra cui Valeria Moriconi,
Giuseppe Cederna, Silvio Orlando e Laura Morante. Il commento musicale
sarà affidato ad alcuni musicisti della scena contemporanea, come
Ludovico Einaudi, Enrico Pierannunzi, Andrea Centazzo.
Le novità di quest’anno sono due: accanto ad autori molto affermati
ci saranno anche scrittori emergenti, come la giovanissima russa Irina
Denezkina o l’americana Tracy Chevalier, e scrittori italiani, come Andrea
Camilleri che sarà letto da Luca Zingaretti (popolare interprete
del commissario Montalbano) e Dacia Maraini i cui brani saranno presentati
da Ascanio Celestini.
L. Col.
La Stampa, 18.4.2003
TORNA «LETTERATURE»
Arrivano i più grandi scrittori del mondo a tu per tu con
il passato e con il futuro
[...]
Gli italiani sono due e di tutto rispetto: il “Simenon italiano” Andrea
Camilleri, di recente insignito dal presidente Ciampi del titolo di Grand’Ufficiale,
e la pluripremiata Dacia Maraini.
[...]
Valentina Pigmei
La Sicilia, 19.4.2003
Camilleri: «Nel '43 l'unico saccheggiatore fui io. Di libri»
Sciascia vide una festa nello sbarco alleato in Sicilia perché
una divisione, la «Texas», era formata da figli di emigrati
siciliani che fraternizzarono parlando in dialetto. Negli stessi giorni
- oltre che nella stessa zona - come vide lo sbarco Andrea Camilleri? «Avevamo
passato - dice - giorni duri, sotto mitragliamenti e scontri, per cui se
non fu una festa, l'invasione ebbe un senso di liberazione».
Una parte della popolazione parteggiò per gli alleati, un'altra
per i nazifascisti. Divisa, com'è successo in Iraq.
«Io vedevo la popolazione impegnata in un gioco a nascondere.
Favoriva per esempio la fuga dei prigionieri italiani che venivano portati
al porto per essere imbarcati per l'Africa. Faceva il possibile per distrarre
gli autisti e i soldati, magari ubriacandoli. Poi andava a festeggiare
gli alleati.»
Fu un'occupazione o una liberazione?
«Non mi sento di chiamarla occupazione. Anzi mi sento di riconoscere
agli alleati l'importanza di quanto hanno fatto. Io non sono un pacifista
di fondo, ma uno che dice "quando ci vuole ci vuole": e quella invasione
di americani, inglesi, russi, canadesi, ci voleva.»
Però arrivarono anche i marocchini dell'esercito francese. E
stuprarono e depredarono paesi, come avvenne a Capizzi.
"A Capizzi la gente fece una giusta rivolta contro quella che non era
più una liberazione ma che si profilava come una vendicativa occupazione.
Credo che il problema di base sia sempre la guerra, che porta con sé
sempre scie inevitabili di violenza.»
Già, ma qualcosa cambia: quelli che allora erano chiamati liberatori
oggi in Iraq sono detti conquistatori.
«Diciamoci francamente che Germania e Italia rappresentavano
un assoluto pericolo per l'Europa, mentre non mi pare si possa dire la
stessa cosa per Saddam.»
Come no? Lo hanno chiamato nuovo Hitler.
"I kuwaitiani lo hanno visto come tale. Se io fossi del Kuwait credo
che sarei felice della lezione impartita a Saddam. E stia attento che,
dicendo questo, non sono minimamente vicino a Saddam.»
Ma nemmeno a Bush, mi pare.
«Infatti. Nemmeno vicino a Bush, ma non all'America. Sono contro
la politica estera di Bush e spero che questa dottrina della guerra preventiva
sia stata applicata solo in Iraq.»
A Bagdad si sono avuti atti di saccheggio anche di musei.
«E' fisiologico dopo anni di privazioni e di fame. Esecrabile
ma comprensibile. Nella rivoluzione sovietica, il commissario appena insediato,
tra i primi atti, dispose di sorvegliare con le armi i musei. Questo in
Iraq non è stato fatto.»
Ricorda se ci furono saccheggi nel '43 in Sicilia?
«Non mi risulta. Credo di esere stato io l'unico saccheggiatore.
A Serradifalco i tedeschi, prima di andarsene, disgustati dal tradimento
italiano, presero a cannonate la Casa del Fascio e io ci sono andato a
fare razzia di libri. Ma nessun altro razziò niente.»
Gli angloamericani sì e fecero dei soprusi. Un pretore che protestò
contro gli inglesi per delle angherie e disse «Non potete fare di
tutta l'erba un fascio» fu deportato perché agli inglesi bastò
aver sentito la parola «fascio».
«Può darsi. Per esempio al mio paese arrivavano muniti
di una lista dei fascisti e furono tutti presi e imprigionati. Mi aspettavo
che prendessero anche mio padre, che era fasciscta. Invece gli misero una
fascia al collo e lo fecero capo civile del porto, perché ci lavorava.»
Nel '35 anche lei fu tentato di farsi balilla e combattere contro gli
Abissini. E' la storia del suo prossimo libro.
«Avevo dieci anni.»
Poco più grandicello Vittorini scappò per partecipare
alla marcia su Roma. Vuol dire che il regime irretiva anche i bambini.
«Non c'è dubbio. Ma "La presa di Macallè" non vuol
dare delle spiegazioni, quanto rendere un clima.»
Che spirito ribelle agita un siciliano come lei, che quasi in tutti
i romanzi storici riprende temi di rivolte popolari, di folle e di follie?
«Quello che noi chiamiamo "u scuru e a fudda", il buio e la folla,
scatena una sorta di corda pazza in molti e soprattutto in Sicilia, dove
si presenta come possibilità di improbabili rese di conti personali.»
Gianni Bonina
La Repubblica,
ed. di Palermo, 20.4.2003
Lirica
"Il fantasma" di Betta in onda su RadioTre
"Il fantasma nella cabina", l'opera da camera di Marco Betta tratta
dal racconto di Camilleri, sarà trasmessa stasera alle 20.50 su
RadioTre nell´ambito della rubrica "Il cartellone". La regia è
di Rocco Mortelliti, protagonisti sono il tenore Vincenzo La Scola, nel
ruolo del commissario Cecè Collura, Katia Ricciarelli, interprete
della passeggera che vede il fantasma, Luciana Serra, Fabio Previati, Danilo
Formaggia, la pianista Paola Ghigo, e lo stesso Mortelliti. L´opera
è coprodotta dal teatro Vittorio Emanuele di Messina.
Rai Radiotre,
20.4.2003
Il cartellone
GUIDO BARBIERI […] stanno coltivando un grande progetto, che non si
limita all’opera che ascolteremo questa sera ma guarda più lontano,
che tenta di mettere le ali al racconto, alla prosa di Andrea Camilleri.
Oggi ascolteremo il primo frutto di questo disegno, di questo sogno…si
intitola “Il fantasma nella cabina” e naturalmente però per entrare
attraverso la porta grande dentro quest’opera dobbiamo farci aiutare da
due…come posso dire?…da due colonne che ci faranno entrare dentro questa
porta ovverossia proprio Marco Betta e Rocco Mortelliti. Buona sera ad
entrambi.
MARCO BETTA Buona sera.
ROCCO MORTELLITI Buona sera.
G.B. Benarrivati! Mi sembra quasi un replay perché qualche mese
fa, proprio prima che l’opera andasse in scena al Teatro Donizetti di Bergamo
ci siamo trovati proprio noi tre a disegnare un piccolo triangolo a priori…
adesso lo disegniamo a posteriori, a cose in qualche modo fatte, ma la
vostra opera sta per assumere una dimensione radiofonica e di questo dobbiamo
tener conto per aiutare un po’ i nostri ascoltatori a orientarsi diciamo
in un mare che è abbastanza calmo, dal punto di vista strettamente
musicale, nel senso che tutto ciò che ascolterete è perfettamente
leggibile, nitido, terso, chiaro anche sotto il profilo narrativo. Ascolterete
le parole, sentirete ciò che i cantanti e gli attori dicono e quindi
il nostro compito è tutto sommato abbastanza limitato no, Marco
Betta? Perché uno dei tuoi disegni a priori credo proprio che sia
quello di cercare continuamente una grande chiarezza, leggibilità,
nel tessuto sia musicale che narrativo…
M.B. Diciamo in qualche modo una cosa che è stata per me una
conquista, dopo tanti anni, dopo vent’anni di lavoro. Io credo che in generale
poi ogni compositore racconti un po’ tutte le sue esperienze, per esperienze
intendo anche quelle che riguardano il luogo in cui si vive… io credo che
la mia musica sia stata fortemente influenzata dalla presenza architettonica
della Sicilia, la terra in cui io vivo, dall’esperienza letteraria, dal
tipo di luce. Questo credo che avvenga per ogni scrittore, autore, compositore…
In generale la scelta della chiarezza e della leggibilità non è
una scelta che in qualche modo è venuta per me dietro un calcolo,
un ragionamento: ho sempre cercato di seguire la mia indole, in qualche
modo sono partito dalla grande tradizione della musica mediterranea, dai
canti che noi chiamiamo dei carrettieri passando attraverso la melodia
di Vincenzo Bellini e quindi proiettando tutto questo nell’esperienza di
oggi, nel nostro tempo. Cioè la mia musica credo che sia il risultato
di una serie di situazioni che hanno a che fare con la musica e che anche
non hanno a che fare e che riguardano la mia esperienza di vita personale.
G.B. E poi, certamente, quando si ha a che fare con gli strumenti,
gli “arnesi” del teatro credo fatalmente il proprio gesto si debba adattare…
M.B. Sì, indubbiamente. Il teatro è il luogo dove la
musica diventa sorella delle altre arti e si sposa con delle altre arti
per dare luogo a un risultato che poi noi con un termine forse limitativo
definiamo opera lirica, ma in qualche modo l’opera lirica è
un miracolo, è qualcosa di più che l’unione fra musica, teatro,
letteratura, canto, danza… è un risultato molto più complesso
che nasce dal fatto che la musica entra in sinergia, e si trasforma diventando
qualcos’altro. Poc’anzi tu dicevi un sogno: questo progetto con Andrea
Camilleri e Rocco Mortelliti nasce dalla grande idea, secondo me, del sogno,
dell’idea di una musica di oggi che può proiettarsi attraverso le
pieghe, le pause della narrazione dei racconti di Andrea Camilleri ed evidenziarne
i significati profondi, i suoni delle parole, anche andando in controtendenza,
a volte, con la drammaturgia del testo ma esaltando questa emozionalità
fortissima che hanno questi testi.
G.B. A proposito di sogno, il racconto da cui avete tratto questo primo
frutto del vostro lavoro è certamente un racconto “realistico” nel
senso che ha le cadenze, le movenze, i canoni, in qualche misura, del giallo,
però mi sembra rispettando un topos molto diffuso per altro della
letteratura noir e gialla, basta pensare ad Agatha Christie, per esempio:
si svolge in un luogo non-luogo che è una nave in mezzo al
mare e quindi entro una cornice che in realtà è perfettamente,
squisitamente astratta, persino onirica, per l’appunto, come tutti i non-luoghi…
Allora, Rocco Mortelliti, come avete letto il “Commissario di bordo”, che
poi è questo il racconto da cui la vostra opera è tratta,
un racconto pubblicato in origine su un quotidiano… una serie di racconti
pubblicati da La Stampa di Torino anni fa… allora, questo racconto
di Camilleri è più giallo o più favola?
R.M. Dunque, esattamente tutte e due le cose. Quando ho letto il racconto
apparentemente realistico perché parlava della “tragedia” di una
attrice in pensione che per sopravvivere accetta questa farsa… però
quando ho cominciato a visualizzare l’opera, o lo spettacolo teatrale come
lo vogliamo chiamare, ho pensato appunto a far entrare lo spettatore dentro
a un sogno – avete detto benissimo all’inizio un sogno – entrare in una
favola, in un racconto e attraverso la stilizzazione, poi, dell’opera si
può essere credibili. Quindi mi sono preoccupato anche della stilizzazione,
di far entrare lo spettatore in questo racconto. Inizialmente noi vediamo
una nave stilizzata ma poi ci abituiamo a questo segnale teatrale che abbiamo
voluto dare io, Marco Betta e Italo Grassi, scenografo dell’opera. Io mi
sono fatto aiutare moltissimo dalla prosa, dal teatro di prosa - perché
vengo da lì – e dal cinema e dagli insegnamenti di Andrea. Ho cercato
di raccontare questa storia, diciamo plausibile. Mentre scrivevo questo
libretto m’è capitato di leggere più volte “attore, morto
in disgrazia, senza più soldi, abbandonato”… quindi mi è
capitato, appunto, leggendo di un cabarettista che vedevo anni fa, che
si chiamava credo Andrea Porcaro: lessi un trafiletto “abbandonato, morto
in un ospedale fuori Milano”, senza più un quattrino… ecco, questa
cosa proprio mentre stavo scrivendo questo libretto che, in qualche modo
rispecchiava la realtà. E ho cercato, chiaramente, di rispettare
il linguaggio camilleriano del protagonista che è un commissario
di Vigàta, se vogliamo, ecco.
G.B. Ecco, a proposito proprio del lessico di Camilleri – ne avevamo
già parlato prima che l’opera andasse in scena – in parte in qualche
modo ciò che lei ha ri-scritto – anche se è difficile ri-scrivere
Camilleri – ovviamente rispetta profondamente alcune scelte lessicali,
il dialetto siciliano insomma o quel particolarissimo idioma - quell’idioletto
di Camilleri, potremmo dire - in parte rimane, in parte invece si
deve ovviamente adattare alla cadenza della lingua cantata. Ecco, allora,
queste due cose – l’idioletto camilleriano e la lingua cantata – come convivono
insieme nel libretto?
R.M. Mah, io devo dire che le arie che canta Cecè Collura, che
sono delle arie con il linguaggio camilleriano, devo dire che Marco è
riuscito a renderle, ripeto, plausibili ma molto efficaci e funzionali.
Chiaramente, nell’opera è soltanto il personaggio di Cecè
che in qualche modo ricopre il linguaggio camilleriano, gli altri personaggi
parlano la loro lingua, altri dialetti. Devo dire che non abbiamo dovuto
modificare quasi nulla, è andato tutto abbastanza tranquillamente.
G.B. Marco Betta, allora, dal punto di vista più squisitamente
musicale, mettendoti all’opera appunto sulla lingua di Camilleri e di Mortelliti
che tipo di “arnesi” hai messo sul tuo tavolo? Perché, ascoltando
l’opera ci si rende conto che quella ricerca di “narratività” ti
ha portato in fondo a scegliere un linguaggio a volte anche molto accattivante…
ci sono delle espansioni melodiche, lo sentirete subito, all’inizio, proprio
nel preludio orchestrale, strumentale, ma poi anche nelle arie. C’è
anche il tentativo, qua e là, mi sembra anche di “rapprendere” un
po’ il discorso basandosi su schemi ritmici abbastanza ripetitivi ed elementari,
in fondo… e conseguentemente c’è un suono estremamente narrativo.
Allora, insomma, quali sono questi arnesi?
M.B. Mah, l’arnese della melodicità è un po’ una mia
caratteristica, una scelta di linguaggio che in qualche modo coincide con
quella che è la mia indole. Devo dire che io avevo già affrontato
il linguaggio camilleriano realizzando con Andrea Camilleri - che
saluto, sono sicuro che lui in questo momento ci sta ascoltando, e gli
mando un grande abbraccio…
G.B. Anche da parte nostra…
M.B. É iniziato tutto… il mio rapporto con la letteratura è
un rapporto molto antico. In generale io compongo come se scrivessi racconti
anche quando faccio la musica tra virgolette “pura”. Mi piace sempre lavorare
su delle trame che poi non sono svelate perché chiaramente il linguaggio
dei suoni non è intelleggibile come il linguaggio della narrativa.
La forma che ha preso subito l’opera è quella di un singspiel moderno
dove la prosa e la lirica si fondono e danno luogo ad un singspiel moderno,
dove in aggiunta c’è anche un po’ la presenza del cinema, cioè
ci sono dei dialoghi che avvengono sulla musica, che si rapprende in qualche
modo sui leitmotiven dell’opera. Uno dei grandi motivi fondamentali di
quest’opera è la malinconia e la presenza del mare. Questa è
forse un po’ una categoria siciliana ma non lo è poi neanche tanto
perché sono categorie poi generali e universali… io ho sempre pensato
che in qualche modo la malinconia del raccontare, che è una malinconia
che in fondo c’è nel “Commissario di bordo”, così come in
tante opere di Camilleri, è uno dei tratti per me più affascinanti,
la cosa che più mi ha colpito, anche quando abbiamo fatto Magarìa
- questa favola che facemmo a Ravenna, con Andrea Camilleri, per voce recitante
e orchestra – è che la malinconia è una categoria straordinaria,
è un po’ il dissidio tra vivere all’interno del perimetro dell’Isola
e però poi vedere anche questa grande linea infinita o non delimitata
che è l’orizzonte. Quindi c’è questo contrasto fra finito
e non delimitato che dà soprattutto a chi è un isolano questo
senso di malinconia… Questa è stata una delle grandi categorie sulle
quali ho lavorato. Poi, gli arnesi della mia musica... In qualche modo
ho cercato di non essere onomatopeico, rispetto al teatro. La musica
non è in quest’opera in qualche modo un’eco superficiale del testo
ma ho cercato di scavare all’interno di quelli che possono essere i significati
profondi della parola: da un lato il suono del fonema, che rende così
caratteristico il linguaggio di Camilleri, echeggia se vogliamo come una
categoria armonica nella musica, e dall’altro il significato profondo di
queste categorie emozionali che poi sono quelle che danno il tessuto narrativo,
quindi il senso della malinconia, questa grande bontà di Collura,
interpretato magistralmente da Vincenzo La Scola, che è un commissario
di polizia astutissimo e straordinario nei suoi ragionamenti ma anche
dotato di una umanità grandissima, per cui quando poi si rende conto
delle tragedie personali di quest’attrice esprime una umanità che
nella sua semplicità diventa in qualche modo gigantesca, immensa,
straordinaria proprio per la semplicità dei gesti, è un’opera…
R.M. Nella seconda opera, scusami Marco, che stiamo per fare, questa
umanità viene ancora fuori, soprattutto nel secondo racconto “Che
fine ha fatto la piccola Irene?”. Insomma, è molto forte come racconto.
Lì, mentre con la penna stavo appunto scrivendo questo personaggio
e non sapevo come finire, finisce in un mutismo veramente senza…
M.B. … e allora queste categorie diventano in qualche modo il trait
d’union fra il legame che quest’opera vuole avere con la grande tradizione
lirica italiana però proiettata nel nostro tempo. Gli arnesi musicali
sono poi quelli che io in qualche modo uso sempre oramai nel mio linguaggio
e quindi diciamo c’è questo senso orizzontale che per me è
la melodia, quindi questa visione dell’orizzonte che viene sospesa rispetto
a sfumature… Per me le categorie fondamentali, le tre categorie fondamentali
della musica sono: la melodia, quindi la linea orizzontale, la polifonia
e quindi la sovrapposizione di linee e la categoria armonica. Il mio discorso
è molto elementare e molto semplice perché riduco a categoria
fondamentali ma lavoro su queste categorie proprio come se poi tutti questi
elementi tecnici diventassero personaggi o espedienti per costruire la
trama di un grande racconto. In realtà quest’opera è una
grande sinfonia con variazioni attorno agli elementi e alle categorie emozionali
dell’opera.
G.B. Sì… poi si coglie anche all’ascolto, in maniera anche abbastanza
scoperta, come poi ci sia una categoria sonora, una categoria armonica
dentro la quale - come dentro una cornice - ogni personaggio trova
il suo ritratto, e questi ritratti si dispongono come una specie di galleria,
anche simultanea, un racconto parallelo.
M.B. Sì, la musica diventa come un altro racconto, che è
poi quello… In realtà io quando scrivo musica - non solo quest'
opera ma ormai in generale sempre di più - immagino un po'
le emozioni che noi proviamo quando leggiamo un libro. Quando leggiamo
un libro probabilmente non ce ne rendiamo conto ma vediamo colori, sentiamo
musiche, abbiamo delle altre sensazioni che ci circondano… Lì, in
questo ambito segreto dell’anima io mi diverto a cercare il riflesso della
mia immagine musicale, e tutta quest’opera in qualche modo è qui.
Io cerco, appunto, attraverso lo specchio di questi riflessi marini, questo
incedere della nave, questo ritmo della nave che va avanti e che abbiamo
costruito proprio in modo musicale, queste categorie del tramonto, dell’alba,
che si vedono e non si vedono però sono presenti, come anche nella
grande tradizione lirica poi sono presenti, queste categorie nella musica.
Ho voluto eccedere in questo tipo di rappresentazioni emozionali che talvolta
sono anche in dissidio con quello che avviene, nel senso che vanno a volte
in controtendenza, perché anticipano oppure ricordano delle cose
che sono appena avvenute e quindi diventa una narrazione parallela, la
musica.
G.B. Rocco Mortelliti, un’ultimissima cosa, perché adesso è
venuto il momento di…
R.M. Eh sì, di ascoltare…
G.B. ... di partire, poi, sulla nave insieme a Cecè Collura…
però ci dia soltanto l’incipit narrativo, non voglio che ci racconti
tutta la vicenda - che per altro è leggibile e i nostri ascoltatori
la scopriranno piano piano entrando dentro il gorgo, il vortice della narrazione
- ma ci metta soltanto sulla buona strada per disegnare un piccolo
prologo e poi gli ascoltatori andranno per proprio conto.
R.M. La musica è l’anima del racconto e qui metto un punto.
Cecè Collura chi è? Allora, semplicemente, è un amico
di Salvo Montalbano, un suo collega, sono abbastanza simili…forse è
un po’ più giovane - carattere molto schivo, anche lui da
solo, tutti i commissari di Andrea sono da soli, non hanno legami di fimmini,
come dice Andrea - lui durante una sparatoria è stato ferito e quindi
durante la convalescenza i suoi amici, lo stesso Montalbano sicuramente
gli avrà detto “vatti a fare una bella crociera. Lì non c’è
da faticare, devi fare solamente il commissario di bordo, che significa
semplicemente fare compagnia ai croceristi.” Poi fa un piccolo corso per
sapere come si sta in una nave e quindi si imbarca. Non ha da subito un
buon rapporto col comandante che è un tipo molto preciso, che comincia
dalla divisa, che vuole la cravatta ben messa, la giacca abbottonata…
G.B. Solo che… che cosa accade? Dopo poco dall’inizio della crociera
che cosa accade?
R.M. Appena messa la divisa Cecè viene subito - mentre
sta prendendo un drink con l’unica persona che in qualche modo lo interessa
cioè la pianista - viene subito interrotto dal vice Premuda che
gli dice “In commissariato è arrivata una signora che non riesce
neppure a parlare, è spaventatissima, l’unica cosa che riesce a
dire è che ha visto un fa… fa… fa….” Questo lazzo del “fa…” dura
moltissimo e alla fine: fantasma. “Ma la signora per caso aveva alzato
il gomito?” “No, dice di essere astemia” “E che cosa vuole?” “Vuole
cambiare cabina…” “Bene facciamogliela cambiare, questa cabina” “Non è
possibile perché già ha scombussolato tutti i croceristi
con questo fantasma, per cui sono già tutti in agitazione e qui
cominciano veramente…”. Il commissario deve risolvere il problema perché
si sta creando un movimento di massa terribile.
G.B. Direi di fermarci qui perché altrimenti la raccontiamo
tutta e non c’è più niente da scoprire e invece c’è
“molto” da scoprire…
R.M. D’accordo… alla prossima… opera…
G.B. Visto che la state… è lì lì sotto gli arnesi
di lavoro…
R.M. Il 14 e 15 luglio alla Chigiana di Siena con “Il mistero del finto
cantante” e “Che fine ha fatto la piccola Irene?”.
G.B. Benissimo… abbiamo già un appuntamento… Grazie a Marco
Betta e a Rocco Mortelliti.
R.M. e M.B. Grazie.
G.B. Allora, primo atto...
Trascrizione a cura di Paola
SardiNews, 22.4.2003
Autori
Francesco Abate, controcorrente nel dna. Redazione web, locali notturni,
dee jay
Un cronista che detesta il giornalistese parla del suo libro edito
da Il Maestrale
Francesco Abate, 38 anni, è giornalista professionista per l’Agenzia
Unione Editoriale, alle spalle un passato di cronista di nera per “L’Unione”.
Si divide fra la redazione web e i locali notturni dove si chiama Frisko
e fa il dee jay. Quando gli resta tempo scrive romanzi. Ha appena pubblicato
il secondo: “Il cattivo cronista”, edito da Il Maestrale. Guai a chiamarlo
l’ultima sua fatica letteraria. Sì perché Abate, non sopporta
il “giornalistese”: le vertenze che si inaspriscono, i malviventi che fanno
irruzione armati di pistola e col volto coperto, i sanitari che scendono
in campo - mai visti i bidet sfilare in corteo - tutto quel gergo che,
per strada, ha perso di senso e utilità, formule martoriate dall’uso,
ormai solo macchie d’inchiostro dove sempre solo quell’aggettivo o quel
verbo precedono sempre solo quel sostantivo. E pazienza se il cronista-
inesperto, stagionato, in ritardo con il pezzo o semplicemente stanco-
continua a propinarle ai lettori. Parla del suo libro. Protagonista è
Rodolfo Saporito, rampollo senza laurea di una blasonata famiglia di avvocati,
che finisce a fare il cronista di nera in una città di provincia.
[...]
Come lavori sulla scrittura? L’uso dell’elemento dialettale dà
l’idea che ti sia un po’ “camillerizzato”. Se questo può piacere
al cagliaritano vale lo stesso per un marchigiano?
“Mai letto Camilleri. Come lavoro sulla scrittura, non lo so: ascolto
la musicalità delle parole. È più una questione di
istinto, come quando metti camicia e pantaloni e ti accorgi che non stanno
bene insieme. Ho cercato di creare un dialogo serrato e, soprattutto, ritmato.
Prima che nascessero Atzeni o Fois, per anni abbiamo dovuto sorbirci il
siciliano dei siciliani, e il genovese dei genovesi. Che si becchino ora
anche l’eja o il bagassa”.
[...]
Roberta Mocco
Politiken, 23.4.2003
Indemurede lig
Femte bind i Andrea Camilleris krimiserie om kriminalkommissær Salvo Montalbano er begavet underholdning.
Terrakottahunden, Fremad, 284 sider, 298 kr. Forfatter Andrea Camilleri
Vigàta er en opdigtet, men meget realistisk og overbevisende beskrevet siciliansk kystby, hvor mangt og meget går i svang. Mafiavirksomhed, illegal våbenhandel, embedsmisbrug, korruption, svindel med offentlige midler og prostitution for alle tænkelige seksuelle orienteringer er bare noget af det, som den snu og retfærdighedssøgende kriminalkommissær Salvo Montalbano har at slås med i hverdagen.
Dertil kommer blandt mange andre udfordringer hans ret dejlige, men ikke altid lige forstående norditalienske kæreste, en kvindelig kollega, der er ulykkeligt forelsket i ham, en underskøn svensk mekaniker og rallykører, som han fra tid til anden må hjælpe mod hendes liderlige og brutale svigerfar, og hans egen chef, som insisterer på at anbefale ham til en velfortjent forfremmelse, en tanke, der fylder den offentlighedssky Montalbano med rædsel.
Alle disse mere eller mindre gennemgående elementer i Andrea Camilleris foreløbig fem bind lange Montalbanoserie er i 'Terrakottahunden' vævet ind i en besynderlig, men både interessant og romantisk historie om et mystisk ligfund.
Ligene af to unge mennesker, som efter alt at dømme har været døde i mere end et halvt århundrede, findes tæt sammenslyngede i en tilmuret klippehule sammen med en vandkande, en skål mønter og en terrakottafigur forestillende en liggende hund.
Det sære fund stimulerer Montalbano en hel del mere end de aktuelle sager, der ligger på hans skrivebord, og fører ham ud i en højst usædvanlig og originalt gennemført efterforskning, som omfatter den amerikanske landgang på Sicilien i 1943, Koranen, kristne legender og siciliansk folklore.
Dette meget kulørte, men i vid udstrækning altså også meget litterære stof formidles gennem en skare herlige bipersoner, hvoraf især en ældgammel frikadelle af en lærd præst, som ind imellem sine foredrag om lokale gravskikke tager sig en slurk vælling af en sutteflaske, er guld værd.
'Terrakottahunden' er begavet underholdning og en lejlighed til for en tid at lade sig opsluge af en fascinerende og farverig verden og personkreds, som Camilleri skildrer med både vid og varme og sans for litterære lån og hentydninger.
Cecilia Jakobsen har klogelig undladt at forsøge at gengive Camilleris særegne blanding af siciliansk dialekt og rigsitaliensk, men har til gengæld formået af anslå og fastholde en særlig tone, hvis blanding af poetisk raffinement, slang og grovheder isprængt enkelte sicilianske udtryk - nogle af dem oversatte, andre ikke - gør fin fyldest.
Thomas Harder
Cadaveri murati
Quinto volume della serie poliziesca di Andrea Camilleri con il commissario Salvo Montalbano è divertimento intelligente.
Vigata è una cittadina inventata che si trova in Sicilia, ma è descritta in maniera realistica e convincente e succedono molte cose. Mafia, traffico di armi, abuso d’ufficio, corruzione, appropriazione indebita di denaro pubblico, prostituzione per tutti i gusti e tendenze sessuali sono solo alcune delle attività con le quali l’astuto e giusto commissario Montalbano si trova a lottare quotidianamente.
Tra le diverse sfide ci si mettono anche la sua non sempre comprensiva fidanzata, una collega, innamorata perdutamente di lui, una meccanica svedese, pilota di rally e di una bellezza mozzafiato, che ha problemi con il suocero, brutale e libidinoso, e il suo capo, che insiste nel volergli dare una promozione: un pensiero che fa inorridire lo schivo Montalbano.
Tutti questi elementi, che si ritrovano in quasi tutti i cinque volumi della serie di Montalbano, scritti da Andrea Camilleri, sono, ne ”Il cane di terracotta” intrecciati in storia strana ma interessante e romantica di un misterioso ritrovamento di cada veri.
I corpi di due giovani, che sembrano morti più di mezzo secolo fa, sono ritrovati abbracciati dentro una sorta di grotta murata, con una brocca d’acqua, una ciotola piena di monete e una figura di terracotta che raffigura un cane accucciato.
Questa strana scoperta stimola Montalbano molto più di tutti i casi attuali che riempiono la sua scrivania e lo conduce in un’indagine più insolita e originale, che comprende gli sbarchi degli americani nel ’43, il Corano, le leggende cristiane e il folklore siciliano.
Il contenuto molto colorito, ma anche molto letterario, è raccontato con l’aiuto di una folla di personaggi secondari e importanti. Tra questi, il vecchio prete gigione, che mentre tiene la sua lezione sugli usi funerari locali, beve un sorso di pappa dal biberon, è una vera perla.
“Il cane di terracotta” è divertimento intelligente e un’occasione per farsi trasportare in mondo affascinante e colorato con tante persone diverse che Camilleri descrive con arguzia e calore, e con allusioni letterarie.
Cecilia Jakobsen ha saggiamente evitato di cercare di riprodurre la miscela di dialetto e di italiano, tipica di Camilleri, mantenendo però un certo tono, dove si mescolano finezze poetiche, la lingua di strada e le parolacce o i modi di dire in siciliano, a volte tradotti, a volte no, ed ha fatto bene.
Traduzione dal danese di Paola Vannacci
Corriere della sera,
24.4.2003
PIAZZA NAVONA
I libri «liberati» da Veltroni e Frattini
Roma. È cominciata ieri in piazza Navona e proseguirà
fino al 4 maggio la prima Fiera del Libro, organizzata dalle Biblioteche
romane, dall’Associazione Librai e dal I Municipio. Sotto il tendone bianco
è partito anche il Bookcrossing. Hanno aderito donando uno o più
libri da liberare, il sindaco Walter Veltroni, il ministro degli Esteri,
Franco Frattini, Alberto Arbasino, Andrea Camilleri, Michele Mirabella,
Giuseppe Tornatore.
Forward Village
'03
Da venerdì 25 a domenica 27 aprile 2003 si terrà a Kastalia
(Ragusa) Forward Village '03.
Manifestazioni sportive, promozione turistica del territorio, seminari
e, sabato 26 aprile, un convegno dal titolo I luoghi del commissario
Montalbano: un viaggio tra mente e ambiente; al tavolo dei relatori
esperti di cultura, turismo, sport e benessere, giornalisti di fama nazionale
mentre su uno schermo gigante saranno proiettate immagini del famoso fotografo
Walter Leonardi e l'attrice Fiorella Buffa leggerà brani di Andrea
Camilleri.
TGR, 26.4.2003
Bell'Italia
Intervista
ad Andrea Camilleri
L'intervista è stata fatta in occasione della riapertura del
teatro Regina Margherita di Racalmuto.
La Repubblica,
ed. di Palermo, 27.4.2003
Esce la raccolta di saggi di Massimo Onofri sulla letteratura siciliana.
Che non prevede il "papà" di Montalbano
Abbate promosso, Camilleri escluso un critico dà le pagelle
agli scrittori
Il ritratto di un´isola che fa da pietra di paragone dei problemi
dell´intera penisola
"Come giallista mi sembra che lavori su una materia troppo caratterizzata"
Promossi anche Alajmo e Calaciura. Consolo difeso dalle critiche
"La modernità infelice" (Avagliano editore, 13 euro) è
il titolo della nuova raccolta di saggi di Massimo Onofri sulla letteratura
siciliana del Novecento. Sicilianista attento, docente di Critica letteraria
e di Letteratura italiana contemporanea all´Università di
Sassari, critico de "L´Unità" e del "Manifesto", autore di
studi importanti su Pirandello, Borgese e Sciascia, Massimo Onofri con
questa suo nuovo volume ha ricapitolato i suoi studi sulla produzione letteraria
isolana a cavallo tra la fine dell´Ottocento e gli ultimi scampoli
del Novecento. L´Isola, «amata e patita» scrive Onofri,
viene assunta «come pietra di paragone della mancata democratizzazione
e modernizzazione dell´intera penisola». La raccolta di saggi
del critico viterbese si apre con "Il caso Borgese", passando attraverso
le pagine di Pirandello, Verga, Brancati, Tomasi di Lampedusa, l´immancabile
Sciascia, per spingersi fino a Bufalino e a Consolo.
C´è il caso Borgese, dunque, ad apertura, ma manca il
caso Camilleri in chiusura. Lo scrittore di Porto Empedocle forse non rientra
in questo diagramma civile-antropologico? «L´intellettuale
Camilleri - spiega Onofri - ha indubbiamente forti tensioni civili e politiche.
Come scrittore a me pare che lavori a una materia fortemente caratterizzata
nei suoi topoi a volte regressivi, che si materializza in un dialetto lessicale,
non lavorato dentro un´ipotesi gnoseologica. Certo, c´è
il Camilleri del filone ottocentesco, che è quello che più
mi interessa: il suo lavorare dentro le saccocce dell´inchiesta parlamentare
di Sonnino e di Franchetti è un´idea davvero geniale».
E Consolo? Oggi non si perde occasione per rinfacciargli la sua afasia,
la sua incapacità di darci un altro grande romanzo...
«Consolo è un grande scrittore politico e sperimentale.
Uno degli errori più grossi compiuto dai critici è stato
quello di ridurlo a un nipotino di Gadda, battendo sul registro del plurilinguismo.
Consolo è figlio di Sciascia, un figlio però molto diverso
dal padre. Lui è uno scrittore che, attraverso la letteratura, vuole
parlarci del mondo. L´afasia rappresenta un nodo cruciale, in quanto
corrisponde perfettamente all´ontologia della società italiana.
In pratica l´afasia riproduce il delirium tremens della nostra società».
Avviciniamoci ai nostri giorni, considerando la produzione letteraria
degli ultimi dieci anni: la temperatura civile e antropologica di queste
opere è ancora alta? La Sicilia rappresenta ancora una metafora?
«Gli scrittori siciliani ancora oggi, più degli altri,
risentono di questa forte tradizione, di cui vorrebbero liberarsi e non
si liberano. A iniziare da Fulvio Abbate, col suo Zero maggio a Palermo,
nel quale ci si imbatte in una Palermo finalmente dicibile, che profuma
di zagara e di gelsomino e soprattutto in una Sicilia inedita, sognante
e leggera, in bilico tra comicità e malinconia. C´è
poi Roberto Alajmo, che nei suoi libri ha sviluppato un problematicismo
post-pirandelliano dando forma a un´anagrafe dell´implausibile.
Nel suo ultimo romanzo si registra un mutamento di direzione, presentandosi
sulla scena il problema della mafia, ma con un personaggio di singolarissima
anagrafe, privo della sintassi di quella Sicilia sperta a cui siamo abituati.
Giosuè Calaciura ha invece fatto leva su una cifra di grande espressività,
puntando sulle oltranze della forma; ma si tratta sempre di un contributo
di scrittura della realtà. C´è stato poi il caso di
Domenico Conoscenti, con la sua Palermo infetta e noir. La stanza dei lumini
rossi mi ha fatto pensare al racconto di Silvio D´Arzo intitolato
Casa d´altri; ma si tratta di un Silvio D´Arzo innestato nella
tradizione siciliana. Oggi siamo in attesa di un nuovo romanzo di Conoscenti».
Negli ultimi tempi ha uscito le sue unghie di narratrice anche Evelina
Santangelo: che ne pensa?
«La Santangelo è una scrittrice molto dotata, che però
mi pare estranea a questa tradizione. Lei rappresenta probabilmente uno
iato generazionale, anche perché più giovane. Si può
fare a meno di Palermo e della Sicilia per leggerla».
Per concludere, quali sono gli auspici per il «dopo-Consolo»?
«Gli scrittori appena citati potrebbero avere il testimone in
mano, anche se mi sembra che formino un esercito disarmato. Oggi ognuno
di questi se ne va per conto proprio, provocando un inevitabile sfilacciamento
che fa sì che dalla Sicilia non arrivino segnali positivi. Quest´isola
oggi vive uno dei momenti più brutti della sua storia. Un momento
di stanchezza e di imbarbarimento. Basti considerare la povertà
politica che si registra a tutti i livelli nella classe dirigente. Dove
sono i grandi leader politici? Da qui, penso, la disperazione e il malumore
di Consolo. La Sicilia, oggi più di ieri, è una terra irredimibile».
Salvatore Ferlita
La Repubblica,
28.4.2003
Andrea Camilleri ha autorizzato il comune dell'agrigentino ad adottare
come secondo nome quello del pase del commissario
Porto Empedocle diventa Vigata. Ora esiste la città di Montalbano
Ma la villa dei telefilm è a Puntasecca, in provincia di Ragusa
la può affittare chiunque, a tremila euro per una settimana
ROMA - Prossima uscita, Vigata. Nessuna perlessità se, viaggiando
per le strade della Sicilia, vi capiterà di intravedere un cartello
con l'indicazione della città di Salvo Montalbano. Perché
Andrea Camilleri ha dato il suo benestare al comune di Porto Empedocle,
che gli aveva chiesto di poter adottare, come secondo nome, quello del
paese in cui vive e lavora il celebre commissario. Perché Camilleri
è nato proprio a Porto Empedocle, e lì ha ricevuto, durante
le vacanze di Pasqua, la visita del sindaco, Paolo Ferrara, e dell'assessore
al Turismo, Antonio Guido. Concessione approvata, con tanto di protocollo
nei registri del Comune: "Con la presente, ritenendomi estremamente onorato
della proposta, consento acchè il Comune di Porto Empedocle utilizzi
la parola 'Vigata' accanto alla propria denominazione ufficiale Porto Empedocle".
Vigata ha smesso da tempo di essere luogo della fantasia, per trasferirsi
nelle geografie dell'isola. Perché se il nome è inventato,
strade, case e panorami sono reali, e il pubblico ha potuto conoscerli
grazie alla televisione. Ad esempio, Marinella, dove vive Salvo Montalbano.
Quella spiaggia lunga e larga, sulla quale affaccia la terrazza dela casa
del commissario, è Puntasecca, accanto a Marina di Ragusa. E la
casa è a disposizione, grazie all'azienda provinciale del turismo:
tremila euro d'affitto per sette giorni (dieci camere da letto e aria condizionata),
per risvegliarsi di fronte al bagnasciuga che ha visto lo sguardo e i pensieri
perduti di Montalbano/Zingaretti.
Ma anche Montelusa esiste davvero, perché è null'altro
che Ragusa. E il commissariato, dove Montalbano trova a vigilare di pirsona
il fedele Catarella, è il vecchio municipio di Scicli. E poi c'è
la storia personale di Andrea Camilleri, che, nato a Porto Empedocle, ha
spostato a Vigata pezzi di vita vissuta. Come l'osteria San Calogero, dove
spesso mangia Montalbano: è là, nella centrale via Roma di
Porto Empedocle, al civico numero due. Con le stesse triglie allo scoglio,
che piacciono al commissario.
Più facile, dunque, "ricomporre" la geografia variabile di Vigata
andando in giro per la Sicilia. Ma Porto Empedocle voleva quel nome in
più. "Come prima conseguenza - ha spiegato il sindaco Ferrara -
saranno collocate ai quattro ingressi del nostro paese nuove tabelle stradali
dove sotto la denominazione Porto Empedocle ci sarà pure la scritta
Vigata. Vedremo, poi, quali iniziative assumere più in là".
La Repubblica,
ed. di Palermo, 29.4.2003
Lettere
Il caso Camilleri e un critico ostico
Da comune lettore e da narratore ho prestato molta attenzione all'intervista
di Salvatore Ferlita al critico Massimo Onofri, che ad oggi, per personale
ignoranza, non conoscevo. Ho letto con attenzione, sì, ma non capisco.
Non capisco perché con cadenza periodica una levata di scudi contro
Andrea Camilleri, scrittore popolare, scrittore stravenduto, scrittore
tutto-quello-che-volete, ma che anche il fruttivendolo del Capo riconosce
- e questo mi consta personalmente - non importa se per l'opera letteraria
o per l'adattamento televisivo dei Montalbano. Sempre di storie si tratta,
e una buona storia non ha mai fatto male a nessuno, anzi. E' un mondo,
quello di Camilleri, che è riuscito a filtrare attraverso la netta
separazione tra letteratura "alta" e letteratura di mero consumo, un muro
cui solo alcuni critici italiani sembrano ormai assicurare le fondamenta,
alla faccia di Stephen King, che si avvia a diventare il Dickens americano
(e non è un giudizio mio) o Giorgio Scerbanenco, che è stato
narratore puro, né più e né meno di Camilleri. Senza
scomodare, poi, Simenon.
Non capisco perché la levata di scudi arrivi proprio da quelli
che, per posizione politica, dovrebbero essere soddisfatti dell'esistenza
di un autore il cui immaginario è alla portata di tutti e del quale
tutti possono nutrirsi come meglio credono, presupposto per una buona crescita
intellettuale.
Ho cercato di capire le ragioni di Onofri mettendomi nei panni dell'uomo
della strada, ma leggendo frasi come "un'anagrafe dell'implausibile" o
"le oltranze della forma", no: non ho capito.
Un dubbio: che raccontare semplicemente una storia e lasciare che le
istanze sociali e politiche siano leggibili tra le righe risulti dimostrazione
di scarsa dignità letteraria? Se così fosse, io smetterei
di scrivere e, meglio ancora, consiglierei a Camilleri di "complicarsi"
in linguaggio onofriano, sicura garanzia di ingresso nella enclave degli
intellettuali che si guardano bene dal prestare attenzione ad "una materia
troppo caratterizzata". Ancora una volta, mi si perdoni, non capisco.
Giacomo Cacciatore, Palermo
La Repubblica,
ed. di Palermo, 29.4.2003
Porto Empedocle si chiamerà Vigàta
Cambia nel nome di Camilleri
La retorica del nuovo
Anche nella memoria dell´inconsapevole Emanuele Filiberto in viaggio
di formazione, resterà pur sempre la certezza d´aver visto
i Templi di Agrigento e i mosaici di Piazza Armerina, bellezze che si legano
ai luoghi col cordone ombelicale della Storia, immanente ed eterna, non
politico-degradabile. Da siciliana ringrazio i sindaci di Agrigento e Piazza
Armerina per la prudente conservazione toponomastica che consente, anche
a chi è digiuno d´arte, di avere la certezza della Valle dei
templi in Agrigento e dei mosaici del Casale in Piazza Armerina.
Un rapporto placentare quello dei luoghi con l´arte che, sola,
ne nobilita la comune geografia, ne riscatta la banale urbanistica. Cosa
può spingere un sindaco, quello di Porto Empedocle, a proporre la
modifica del nome ultracentenario della sua città e l´assunzione
d´un nome d´arte, Vigàta, in omaggio al sia pur eccellente
Camilleri?
Forse a cotanto lo spinge quella sciagurata libido mutandi che, in
nome della metamorfosi, getta vetriolo sulla tradizione rendendoci sempre
più orfani di Storia, di Passato, di Memoria? O quel superbatterico
«rinnovamento» in nome del quale non c´è più
Destra né Sinistra, ma una indiscriminata proliferazione di mediocri
nella gestione della Cosa Pubblica? O forse un contenzioso linguistico-progettuale
che non sottintende nessun contenzioso ideale-politico, ma solo una necessità
di protagonismo e di «rumore» da mettere a tacere con nuovi
Vespri siciliani? Oppure, a muovere il sindaco, sarà stata quella
Storia che, già nel 1863, aveva cambiato in Porto Empedocle il vecchio
nome Molo di Girgenti, nome che non rendeva giustizia alla cittadina, facendone
solo una «pertinenza» in servitù della più nomata
Girgenti?
In latino si chiamava «laudator temporis acti» il nostalgico
passatista, qualche volta ottusamente vocato alla conservazione ma, per
lo più, sacra Vestale della tradizione, spesso miope nei confronti
del Nuovo, se il Nuovo poteva costituire minaccia per la Cultura patria
che non è moda né freestyle! Per una volta ci piacerebbe
ascoltare la comune retorica di quanti empedoclini, gladiatori nell´arena
della Storia patria, difenderanno con la lama, sempre meno affilata, della
Storia patria il Porto Empedocle dove nacquero, figli d´un catasto
magico, d´un´anagrafe non virtuale ma sanguigna e nobile.
Il Porto Empedocle dove nacquero i Padri, sacerdoti, ieri, dell´immutabile
Mare che ingravida conchiglie, dove nascono i figli, salvatori, oggi, di
immigrati neri, accartocciati dalla furia del mare come alghe alla ricerca
d´una patria mai avuta. Resti ai suoi cittadini Porto Empedocle gloriosa,
resti ai suoi lettori Vigàta, magica per letteratura.
Silvana Grasso
La giunta ha ottenuto l´autorizzazione a modificare la denominazione
ufficiale del comune
"Ci chiameremo Vigàta"
Porto Empedocle cambia nel nome di Camilleri
Lo scrittore e l´attore Luca Zingaretti saranno presenti al battesimo
ufficiale
I cartelli stradali sono già stati ordinati. L´iniziativa
punta a catturare i turisti
PORTO EMPEDOCLE - Vigàta non è più soltanto quel
posto nato dalla fantasia di Andrea Camilleri. Da ieri Vigàta esiste
per davvero, perché Porto Empedocle, il paese natale del celebre
scrittore, ha deciso di chiamarsi così. Così come nei libri
del commissario Montalbano o nei racconti a metà tra storia e fantasia.
Un paese che ha scelto di chiamarsi con una sorta di pseudonimo allo scopo
di attirare turisti e dunque per cercare di dare una spinta all´economia.
L´iniziativa è dall´amministrazione comunale empedoclina
ed è già esecutiva con tanto di determina firmata dal sindaco
Paolo Ferrara e controfirmata pure dal segretario comunale: il nome «Vigàta»
sarà infatti associato a quello originario di Porto Empedocle senza
dovere passare per il referendum popolare, che, a sentire la maggior parte
degli empedoclini, rischierebbe anche di fallire.
L´unico ostacolo era il via libera dello stesso autore del Birraio
di Preston che è «proprietario» del nome. E Camilleri
l´autorizzazione l´ha data e pure con entusiasmo: «Con
la presente - ha scritto il papà del commissario Montalbano in una
lettera consegnata alla delegazione empedoclina - ritenendomi estremamente
onorato della proposta, consento acché il Comune di Porto Empedocle
utilizzi la parola "Vigàta" accanto alla propria denominazione ufficiale
Porto Empedocle».»Siamo andati a Roma a casa dello scrittore
- hanno raccontato il sindaco di Porto Empedocle Paolo Ferrara e l´assessore
al Turismo Antonio Guido - per farci autorizzare e lui si è detto
estremamente onorato». Il ritorno a Porto Empedocle è stato
trionfale: in pochissimi giorni sono stati predisposti i documenti e da
ieri Porto Empedocle si chiama «Porto Empedocle-Vigàta».
«Al più presto - hanno aggiunto Antonio Guido e Paolo Ferrara
- saranno collocati ai quattro ingressi del nostro paese le nuove tabelle
dove sotto la denominazione Porto Empedocle, sarà citata la più
famosa Vigàta e l´indicazione che si tratta di città
a prevalente economia turistica». Per i residenti cambia poco o niente,
perché non dovranno cambiare nulla nei documenti, per l´amministrazione
è un gran colpo di cui andare orgogliosi, per gli automobilisti
ed i turisti sarà una sorpresa perché le nuove tabelle con
la denominazione «Vigàta» sono già state ordinate.
Il progetto turismo di Porto Empedocle intende insomma investire tutto
su Vigàta e sui personaggi di Camilleri e non è un caso se
lo scrittore è atteso nella sua «Vigàta» per
dare il battesimo ufficiale alla nuova denominazione. Arriverà Luca
Zingaretti, il Salvo Montalbano della fiction tv, neo cavaliere, che tornerà
nei luoghi che l´hanno reso noto al grande pubblico.
Fabio Russello
L´INTERVISTA
Il giallista spiega perché ha detto sì all´operazione.
E confida qualche perplessità
"Troppi palazzacci il paese di oggi non è più il mio"
I luoghi sono talmente devastati che i produttori della serie tv hanno
dovuto cercare quella Sicilia tra Siracusa e gli Iblei
Anche un ristorante e un bar sono stati ribattezzati così. E
all´osteria San Calogero chiedono i menù di Montalbano
Lo scrittore va in soccorso del filosofo. Empedocle è lontano,
la Vigàta di Camilleri vicina. Così il sindaco, per adescare
i turisti, pensa di affiancare il nome del paese di Montalbano a quello
del filosofo-poeta-erudito-scienziato, precipitato nelle viscere dell´Etna
nel 552. Il paradosso di tutta la vicenda è che la Vigàta
descritta da Camilleri è morta e sepolta da tempo. Il paese della
sua infanzia, che odorava di mare e di mandorle, ha lasciato posto a un
agglomerato urbano intricatissimo e disordinato. Le piccole case «terragne»
(a un piano) dei pescatori, dai colori pastello (bianco sporco, giallino,
azzurro-azolo) sono state seppellite dalla frana prima e dalle colate di
cemento dopo. Le finestre che una volta davano sul mare adesso si affacciano
su altre finestre. Lo stesso autore della saga di Montalbano, il quale
più volte ha rimarcato l´equazione Vigàta-Porto Empedocle,
quando parla dell´oggi del suo paese lo fa con una grande amarezza.
«Trent´anni fa tagliarono gli ultimi alberi che reggevano
il terreno e alla prima alluvione la collina scivolò giù,
portandosi via le case dei pescatori. Poi hanno costruito i palazzacci
secondo il principio del lager e del bunker, e quello che era un viottolo
transennato è diventato un´autostrada. Mi si torcono le budella
ogni volta che lo percorro. I luoghi sono talmente devastati che i produttori
della serie televisiva su Montalbano sono stati costretti a cercare un´altra
Sicilia per ritrovare Vigàta: il Siracusano e gli Iblei, Scicli,
Palazzolo Acreide, dove le campagne e i paesi sono conservati meglio».
Se la sua Vigàta ormai non esiste più, che senso ha sovrapporla
a Porto Empedocle?
«L´idea non è stata mia. Quando in paese il sindaco,
nei giorni di Pasqua, mi ha chiesto l´autorizzazione a usare il nome
di Vigàta, ne sono stato contento. È sicuramente un riconoscimento
che viene dato a questo centro immaginario che è in gran parte il
paese della mia adolescenza».
Ci sono altri segni della «vigatizzazione» di Porto Empedocle?
«Il bar Albanese in piazza, che è il mio rifugio estivo,
ha già cambiato nome in Vigàta. Ed è di prossima apertura
il ristorante "La grotta di Vigàta". E che dire dei menù
di Montalbano che chiedono all´osteria "San Calogero"? Diciamo che
ormai Porto Empedocle comincia a essere Vigàta».
Sarebbe bello se con il nome si recuperassero anche le antiche atmosfere...
«Il tempo ha stravolto tante cose. Troppe. Ma per fortuna non
ha cambiato il carattere della gente. Mi accontenterei di due cose: che
si ponesse un freno agli antichi scempi, salvaguardando più passato
possibile, e che la gente mantenesse sempre quello spirito vivace che l´ha
sempre contraddistinta».
Come le è venuto in mente Vigàta, utilizzato per la prima
volta nel 1980 per il romanzo "Un filo di fumo"?
«Non volevo un nome che ricordasse Porto Empedocle. E allora,
pensa che pensa, mi è rimbalzato nella testa Licata: da qui il passo
è stato facile».
E Montelusa?
«L´ho letteralmente rubato a Pirandello per dare un volto
ad Agrigento. In un suo racconto, "Le tonache di Montelusa", parla dei
preti di Girgenti».
Pirandello, in perfetto stile pirandelliano, è conteso da due
centri: Agrigento, dove è nato casualmente in contrada Caos, e Porto
Empedocle dove risiedeva la famiglia, al momento della nascita sfrattata
in campagna per sfuggire a un´epidemia. Lei, che di Pirandello è
lontano parente, con quale partito si schiera?
«Difendo il mio paese, anche se l´anagrafe ci penalizza».
Vogliamo continuare il gioco di vedere cosa nasconde la maschera del
nome inventato? Bibera?
«È Ribera».
Cannatello?
«Cannelle».
Capo Russello?
«Capo Rossello».
Ciucàfa?
«Le colline dietro Porto Empedocle».
Comisini?
«Comitini».
Fiacca?
«Sciacca».
Fela, che è contesa tra Ragusa e Gela?
«Gela, senza alcun dubbio».
Levanza?
«Lampedusa».
Monterreale?
«Realmonte».
Ragona?
«Aragona».
Sampedusa?
«Lampedusa».
Qual è il posto di Porto Empedocle-Vigàta che ama di
più?
«Il porto. Anche se vederlo privo di pescherecci mi dà
un grande disagio. Vedo intorno tanta desolazione, ma oggi finalmente anche
qualche segno di ripresa. Mi dicono che dopo trent´anni di abbandono
hanno ripreso a dragare il fondo. Spero che sia la premessa di un recupero».
Qual è la nostalgia che le affiora nella mente con più
frequenza?
«Le scorribande nei campi per rubare ceci verdi, saporitissimi,
e frutta. Certe volte facevamo fermare la corriera per Agrigento e noi
studenti scendevamo a frotte per spogliare i ciliegi e i mandorli. Ma queste
sono storie di altri tempi». Storie di Vigàta, quella vera.
Tano Gullo
La Repubblica,
29.4.2003
Porto Empedocle si chiamerà anche Vigata, come nella saga di
Montalbano
Camilleri ribattezza la città
Il sogno di essere un luogo da romanzo
Sul momento non vengono in mente precedenti di sorta al caso del nome
di una città che venga cambiato per motivi letterari. Ma tanta è
la fama della saga del commissario Montalbano narrata nei libri di Andrea
Camilleri che Porto Empedocle ha deciso di adeguarsi. D´ora in poi
si chiamerà Porto Empedocle Vigata, perché Vigata è
il suo «nome d´arte», il travestimento con cui Camilleri
ha scelto la sua città natale come sfondo delle vicende del suo
personaggio.
E´ infatti a Vigata, cioè Porto Empedocle, che Montalbano
ha una bella casetta da cui, nell´incipit della prima storia, Il
ladro di merendine, «talìa fora dalla finestra spalancata»
(talia fora? guarda fuori!) il mare, all´alba. Prima di prendere
questa decisione, il comune di Porto Empedocle ha chiesto il doveroso permesso
all´inventore del nome Vigata, e Camilleri lo ha accordato di buon
grado, assai lieto dell´onore. E così un altro strano capitolo
verrà aggiunto alla già bizzarra storia dei nomi dei luoghi.
La toponomastica è una scienza favolosa sin dal suo nome, e ha conosciuto
vicende intricate, che hanno sempre interessato la letteratura. I nomi
dei luoghi trovati su un orario ferroviario che incantano un personaggio
di Proust; i nomi delle città che danno un riferimento assurdamente
realistico alla dolce follia dei limerick, città vere e città
immaginarie che si alternano negli atlanti mentali che ogni lettore di
letteratura sfoglia nella sua memoria... andare in vacanza a Macondo! visitare
il cimitero di Spoon River! prendere il sole a Balbec!
Gli amministratori locali hanno già ripetutamente reso omaggio
alla letteratura, ma senza mai attraversare la barriera che separa la finzione
dalla realtà. Arquà Petrarca, Castagneto Carducci, Castelvecchio
Pascoli... il cittadino illustre affianca con il suo cognome il nome della
città in cui è nato o in cui ha scritto i suoi capolavori:
la città rivendica il suo ruolo di madre o moglie, che ha generato
o ospitato e accudito il geniale figlio-marito (normalmente si tratta infatti
di celebrità di sesso maschile).
L´usanza è venuta meno. A nessuno è ancora venuto
in mente di ribattezzare Milano come Milano Manzoni (sembra uno sponsor,
e allora forse non sarebbe del tutto sbagliato). Ma mettiamo il caso che
una futura giunta milanese - con quella attuale pare totalmente irrealistico
- decida di onorare la Cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda e legga
le parole «Pastrufazio, la più dinamica città del paese;
spàppola i suoi sobborghi ovest e sud un po´ piacciosi e piuttosto
lerci...». Pastrufazio è un travestimento gaddiano e sudamericano
di Milano. Chiamarsi Milano Pastrufazio non sarebbe, finalmente, spiritoso?
E l´Austria non dovrebbe omaggiare Robert Musil, che nell´Uomo
senza qualità la chiama sempre, spietatamente, Kakania? Prenda esempio
da Porto Empedocle Vigata e diventi Austria Kakania.
Non succederà, almeno non subito. Però succederà
a Porto Empedocle, che accogliendo il nome di Vigata si trasformerà
progressivamente nella città di Montalbano, sul modello dei «parchi
letterari» che stanno nascendo qui e là, per Pinocchio a Collodi
o per Rodari a Omegna. Disneyland per bambini o per adulti (la differenza
non è poi più tanto avvertibile, almeno nel tempo libero).
Verranno forse messe targhe, qui dormì Montalbano, qui mangiò
molto bene (a Parigi, con il commissario Maigret, succede già),
qui arrestò un omicida...
A Camilleri, che usa travestire la realtà e la lingua con una
sapienza tecnica che lascia scoperti gli artifici, il destino ha riservato
l´ennesima sorpresa: la realtà ha accettato il travestimento,
e ha anzi deciso di indossarlo, anche con una certa disinvoltura. Come
se occorresse un surplus di fantasia, che viene da fuori, dall´Altrove
della letteratura, per trovare pezzi di una nuova identità. Quello
di Porto Empedocle è sì un omaggio a Camilleri, ma è
soprattutto un sogno. Il sogno di essere davvero un luogo da romanzo, di
conformare la realtà alla narrativa. Il sogno di essere Vigata.
Stefano Bartezzaghi
Il sindaco della cittadina siciliana mette sui cartelli stradali anche
lo pseudonimo letterario
"Benvenuti a Vigata", Montalbano cambia nome a Porto Empedocle
"Sono lusingato - dice Andrea Camilleri - ma non è solo un omaggio
alla letteratura. C´entra l´idea di incrementare il turismo"
ROMA - «Adesso tedeschi, svedesi, francesi, tutti i turisti che
vorranno, potranno passeggiare davvero sul molo del commissario Montalbano.
Vigata era un luogo dello spirito, quello spazio dentro di me in cui ritrovavo
le emozioni, i gesti, i colori e le cose della Sicilia della mia infanzia.
Ora è una città». Lo scrittore Andrea Camilleri ha
autorizzato il comune di Porto Empedocle, il paese in cui è nato,
ad usare il nome di Vigata, la cittadina di fantasia in cui vive e agisce
il commissario Salvo Montalbano, protagonista di romanzi di grande successo
e di una fortunata fiction televisiva interpretata da Luca Zingaretti.
Così chi entrerà nella cittadina che si affaccia sul mare
a pochi chilometri da Agrigento troverà ad accoglierlo un cartello
messo a nuovo: "Benvenuti a Porto Empedocle-Vigata".
«Sono onorato e lusingato - ammette Camilleri - ma non credo
che si tratti soltanto di un omaggio alla letteratura. C´entra pure
l´idea di incrementare il turismo». A Parigi da un anno e mezzo
esiste un ristorante che si chiama "Casa Vigata", a Porto Empedocle c´è
un "caffè Vigata", il Comune - spiega Camilleri - non poteva restare
un passo indietro. Il giorno dopo la Pasquetta, martedì 22 aprile,
il sindaco di Porto Empedocle, Paolo Ferrara, è andato a trovare
lo scrittore a casa. «Mi ha chiesto se poteva chiamare anche col
nome di Vigata la nostra cittadina, ho risposto di sì e ho firmato
un´autorizzazione. L´ho fatto con piacere», racconta
Camilleri.
Ma qual è il segreto del commissario Salvo Montalbano, eroe
di carta prestato al piccolo schermo? Come fa a sedurre tutti? «Non
lo so - dice lo scrittore - Montalbano è un uomo normale che, con
lealtà, vince sulla realtà e diventa un eroe positivo. È
un enigma, soprattutto per me».
Elsa Vinci
Giornale di Sicilia, 29.4.2003
Camilleri, papà di Montalbano, "regala" il nome del paese immaginario
alla sua città natale
Porto Empedocle è Vigàta, col permesso di don Nenè
PORTO EMPEDOCLE. Porto Empedocle diventa pure «Vìgàta»
per gentile omaggio dello scrittore Andrea Camilleri, empedoclino puro
sangue. Il «papà» del commissario Salvo Montalbano ha
infatti dato il proprio assenso affinché l'amministrazione comunale
di Porto Empedocle utilizzi la parola «Vìgàta»
accanto alla propria denominazione ufficiale. Lo ha fatto per iscritto
alcuni giorni fa nel corso di un incontro avuto con il sindaco Paolo Ferrara
e con l'assessore al Turismo Antonio Guido. «Vigàta»
è il paesino a due passi dal mare dove sono ambientate le sue storie
più famose, che hanno come protagonista il commissario Montalbano.
«Vìgàta» richiamava alla mente più Licata,
altra cittadina marinara dell'Agrigentino, che il centro empedoclino. Allora
Licata o Porto Empedocle? O lo scrittore magari pensava ad un altro paesino?
Per risolvere il «giallo» non c'è stato bisogno di scomodare
il commissario Montalbano. Ci ha pensato, in prima persona, lo stesso Camilleri.
«Vìgàta in realtà, ha chiarito tempo fa, è
Porto Empedocle. Ora, Porto Empedocle è un posto di diciottomila
abitanti che non può sostenere un numero eccessivo di delitti, manco
fosse la Chicago dei tempi del proibizionismo: non è che siano santi,
ma neanche sono a questi livelli. Allora, tanto valeva mettere un nome
di fantasia: c'è Licata vicino, e così ho pensato Vìgàta.
Ma Vìgàta non è neanche lontanamente Licata. È
un luogo ideale, questo lo vorrei chiarire una volta per tutte».
Ed allora perché non «approfittarne»? Perché,
hanno pensato al Comune di Porto Empedocle, non farlo sapere a tutti, magari
iniziando a scriverlo sulla cartellonista stradale? Può essere un
richiamo turistico. Già, bella l'idea. Ma Camilleri che cosa ne
pensava?. Avrebbe dato la propria autorizzazione? Bastava chiederglielo.
Detto fatto ed ecco così l'incontro tra lo scrittore, il sindaco
e l'assessore comunale. Si vedono tutti in casa dello stesso Camilleri,
a Porto Empedocle, in via La Porta. C'è poco da discutere. Camilleri
ascolta i due amministratori poi prende carta e penna e scrive di proprio
pugno l'autorizzazione che sblocca tutto e che fa felici sindaco ed assessore.
«Oggi 22 aprile, il sottoscritto prof. Camilleri Andrea, nato a Porto
Empedocle, esprime con la presente, il proprio consenso acché il
Comune di Porto Empedocle utilizzi la parola Vigàta accanto alla
propria denominazione ufficiale Porto Empedocle». Segue la firma
sotto la quale «don Nenè», come qualcuno ancora lo chiama
affettuosamente in paese, aggiunge di ritenersi «estremamente onorato
della proposta». L'autorizzazione è stata già assunta
al protocollo del Comune al n. 688 dello scorso 24 aprile. Tutto è
già pronto per cambiare la cartellonistica. «Sì - dice
il sindaco Paolo Ferrara - inizieremo sostituendo le tabelle poste al quattro
ingressi del paese, dove sotto la denominazione Porto Empedocle scriveremo
appunto Vigàta. Tra qualche giorno vedremo quale altre iniziative
possiamo intraprendere. La carta intestata? Sì, potremo cambiare
anche quella. Di certo non ci fermeremo ai soli cartelli stradali. Ma si
tratterà di passaggi graduali che vedremo di potere concordare,
in alcuni casi, con lo stesso Camilleri. Ci ha detto che dovrebbe essere
a Porto Empedocle dal 15 giugno al 30 luglio. Insieme a lui stiamo appunto
lavorando per concretizzare altre idee, compresa quella di portare qui
anche Luca Zingaretti. Vogliamo portare all'esterno le bellezze di Porto
Empedocle e Camilleri ci darà sicuramente una mano».
Entusiasta anche l'assessore comunale Antonio Guido. «Noi empedoclini
- dice - dobbiamo sentirci onorati di essere concittadini di un così
famoso e grande scrittore. È un marinìsi come noi
che porta lustro alla nostra cittadina».
Gerlando Gandolfo
La Sicilia, 29.4.2003
Vigata ora esiste è Porto Empedocle
Porto Empedocle. Entro la prossima settimana verranno installate,
nei quattro ingressi principali della città, tabelle con la scritta:
«Porto Empedocle - Vigata Comune a prevalenza economica turistica».
Il sindaco ha ottenuto l'autorizzazione di Andrea Camilleri per aggiungere
a quello ufficiale il nome della immaginaria città inventata dallo
scrittore.
Francesco Di Mare, Gaetano Ravanà
Il Messaggero,
29.4.2003
Cultura
Quatrano, chiacchiere e veleni in tribunale
Quella che vince è la verità più semplice, meno
faticosa. Anche se qualcuno l’ha costruita per realizzare i suoi progetti
di morte. Ma ciò non turba i sonni di un pubblico ministero napoletano,
Francesco Cardarelli, giovane e in carriera. È certo di «essere
nel giusto», di aver trovato la soluzione del «complicato enigma»:
tutto fila, tutto è coerente nella burocrazia delle sue carte. La
verità sta però in una lettera spedita da Napoli a Nizza,
da un mittente che non conosce il destinatario e viceversa. Così,
in un contesto in cui prevale la falsa verità, non avrà conseguenze.
Un noir classico e ben costruito quello di Nicola Quatrano, prima pm e
ora gip a Napoli, che descrive un mondo a lui ben noto, quello delle inchieste
e dei processi, in cui c’è spazio anche per amori, sesso e vecchie
passioni politiche. Nel suo esordio letterario, come annota Andrea Camilleri
nella prefazione, l’autore ha l’abilità di trattare ogni nuovo evento
come se fosse l’unico in grado di fornire la soluzione, salvo far scoprire
puntualmente al lettore che è fuorviante. E lo fa mostrandoci un
palazzo di giustizia reale, con le sue chiacchiere di corridoio e i suoi
veleni sulle indagini fatte da un magistrato che tutti conoscono e che
partono proprio con l’omicidio del suo assistente, ucciso con l’arsenico.
Alla fine un dramma che tocca quattro vite, molto diverse tra loro ma unite,
si traduce in un’inchiesta che è «un’orribile farsa, durante
la quale colpevoli e innocenti, accusati e accusatori coopereranno, tutti,
perché trionfi la menzogna in nome della verità». Dunque,
come scriveva Shakespeare nel Re Lear, «la verità è
un cane».
Rai Libro, 30.4.2003
L'investigatore e Camilleri
Il detective Montalbano
Andrea Camilleri, uno degli scrittori italiani più conosciuti
e tradotti all'estero, nasce a Porto Empedocle (Agrigento) il 6 settembre
1925. Ha lavorato come regista, autore e sceneggiatore in televisione e
a teatro, ma la sua affermazione come romanziere è molto più
tardiva: dopo Il corso delle cose (1978), passato pressoché
inosservato, pubblica nel 1980 Un filo di fumo, primo di una serie
di romanzi ambientati nell’immaginaria cittadina siciliana di Vigàta,
a cavallo fra la fine dell’800 e l’inizio del ’900. Ma il grande successo
arriverà soltanto nel ’94, con l’apparizione de La stagione della
caccia, cui seguono nel 1995 Il birraio di Preston (best seller
internazionale), La concessione del telefono e La mossa del cavallo
(1999). Sempre Vigàta, ma quella dei giorni nostri, è teatro
della celebre 'serie' del Commissario Salvo Montalbano, dal cui personaggio
è stata tratta una fortunata serie televisiva.
D. Com’è nato il personaggio di Montalbano?
R. Il nome del personaggio di Montalbano nasce come omaggio allo scrittore
spagnolo Manuel Vásquez Montalbán, anche se non in relazione
alla sua produzione giallistica e al personaggio del detective Pepe Carvalho.
Anni fa lessi un suo romanzo dal titolo Il pianista che mi diede
il modo di organizzare un mio romanzo: Il birraio di Preston.
Quando, in seguito, mi ritrovai tra le mani un personaggio giallo da
delineare gli diedi il nome di Montalbano, prima di tutto perché
si tratta di un cognome siciliano diffusissimo e in secondo luogo proprio
come ringraziamento a Vásquez Montalbán.
C’è poi da aggiungere che il personaggio di un detective, e
quindi la scrittura di un giallo, nasce come un mio personale bisogno di
ordine, perché il romanzo giallo necessita di una consecutio temporis
e di una consecutio logica ben determinate, ha bisogno di una struttura
profondamente delineata. Questi elementi non erano stati fino ad allora
presenti nei miei romanzi, e quindi provai a vedere se sarei stato capace
di scrivere in questo modo, nella gabbia del romanzo giallo.
D. Qual è l’importanza della squadra per Montalbano?
R. Enorme. La squadra è fondamentale. Una volta un procuratore
capo fece il possibile per non essere trasferito in un’altra procura perché
era sicuro che non sarebbe mai riuscito ad avervi la squadra che stava
per abbandonare. In questi fatti di indagini il lavoro di squadra è
fondamentale.
D. Qual è l’importanza delle consuetudini caratteriali e comportamentali
nella delineazione del personaggio di un detective?
R. È molto importante perché lo rende più personaggio.
In un mio recente intervento citavo un giallista di nome Edgar Wallace
di cui ormai quasi nessuno ricorda più i suoi detective proprio
perché non è mai riuscito a creare il personaggio dell’investigatore.
Nello stesso intervento me la sono presa con la povera Agata Christie per
altri motivi, ma bisogna riconoscere che Poirot è delineato benissimo.
I vizi e le consuetudini dell’investigatore sono importanti anche perché
permettono al lettore di affezionarsi al personaggio e di protrarre questo
affetto in tutte le diverse avventure di cui è protagonista.
D. C’è qualcosa di Andrea Camilleri in Montalbano?
R. No, ma c’è molto di mio padre…non l’ho scoperto io, l’ha
scoperto mia moglie.
Maria Agostinelli
La Repubblica,
30.4.2003
Agrigento, dall´alba di ieri il cadavere di un clandestino legato
a una boa aspetta che qualcuno vada a recuperarlo
L´annegato che nessuno vuole
Scaricabarile tra burocrazie per un corpo che galleggia nel mare siciliano
Nessuno dall´Italia, dalla Tunisia o da Malta si è mosso
per recuperarlo
L´uomo è stato avvistato da un motopesca tunisino in acque
internazionali
AGRIGENTO - Qualcuno dice che è un nero e qualcuno dice che è
un bianco. Non si riconosce più nemmeno il colore della sua pelle.
È gonfio d´acqua. Ed è senza testa, rosicchiata dai
pesci. L´uomo è in mezzo al Mediterraneo, allacciato a una
boa sballottata dalle onde. È lì nel mare tra l´Africa
e l´Europa dall´alba di ieri, attaccato con una cima a quel
galleggiante, abbandonato alle correnti. È un cadavere che nessuno
vuole. Non lo vanno a prendere le motovedette tunisine. Non lo vanno a
prendere i maltesi. Non lo vanno a prendere neppure i nostri della Guardia
costiera. La tomba dell´uomo senza testa è mare che non ha
bandiera, sono «acque internazionali».
Di lui non sapremo mai il nome né da dove viene. Sappiamo però
che nelle ultime dodici ore non c´è stato un solo marinaio
tra la Sicilia e La Valletta o Tunisi che ha cercato di portarlo a riva.
Segnalazioni via-radio tra pescherecci in navigazione, messaggi tra capitanerie,
allarmi smistati a ripetizione, poi arrivano in ogni porto le coordinate
del punto nave che indicano il «mare di nessuno» e quel cadavere
decapitato resta lì. Un clandestino, uno dei tanti. Come quel cadavere
incrociato dal commissario Montalbano nell´ultimo libro di Andrea
Camilleri, «Il giro di boa», il commissario che nuota e sfiora
un morto che «certamente non era frisco... perché carne attaccata
alle ossa ne restava picca e la testa era addivintata praticamente un teschio...».
Sembrava in un primo momento proprio un naufrago venuto dall´altra
parte del mondo quello di Montalbano (era in realtà un trafficante
barese di bambini), uno come l´uomo ritrovato a sud di Lampedusa,
uno che voleva approdare da questa parte del Mediterraneo quando le onde
l´hanno inghiottito.
L´uomo senza nome e senza testa è stato avvistato verso
le cinque del mattino in un punto del Canale battuto dai motopesca che
salpano da Sfax e da Kelibia. Sono i marinai dell´"Harus el Bahar"
che tirano su le reti e vedono qualcosa galleggiare. Si avvicinano, è
un cadavere. Chiamano le autorità marittime tunisine e poi segnalano
il ritrovamento ai pescatori del "Sabri", un´altra barca di Sfax.
I marinai del primo motopesca si allontanano, quelli del "Sabri" spengono
i motori e via radio spiegano alle autorità marittime italiane che
c´è un cadavere. La nostra Guardia Costiera individua il punto
del ritrovamento e avverte La Valletta, da quel momento cala il silenzio.
Per tre o quattro ore i pescatori tunisini aspettano una motovedetta maltese,
all´orizzonte però non si vedono barche. È a quel punto
che calano la boa, un pescatore scivola in mare, lega il cadavere al galleggiante
e poi il «Sabri» fa rotta verso il golfo della Sirte.
Il resto della storia è diventato un caso burocratico, una questione
di "sovranità" su acque che nessuno riconosce come sue, uno scaricabarile.
Dichiarazioni ufficiali nessuno ne fa, ma intanto nessuno si muove per
riprendere quell´uomo legato alla boa. Le prime notizie erano confuse,
sembrava che fosse uno di quei 69 irakeni che navigavano ancora su una
carretta dopo tre giorni e tre notti, un legno fradicio che ieri mattina
stava andando a fondo proprio a sud di Lampedusa. Ma quei naufraghi sono
stati tutti salvati dai marinai della Guardia costiera. Come altri 68 che
erano stipati ieri pomeriggio in un barcone ondeggiante davanti alle coste
agrigentine. Salvati anche loro. Salvati come altre centinaia di magrebini
che nelle ultime settimane hanno preso il mare per raggiungere la Sicilia.
Si annuncia una piccola «invasione» nei prossimi due mesi,
l´estate è alle porte è il traffico di clandestini
tra le due sponde del Mediterraneo sembra non fermarsi. Come l´anno
scorso, quando da giugno a ottobre ne arrivarono migliaia e migliaia. C´è
anche una segnalazione dell´ultima ora molto particolare, si cerca
una nave piena di clandestini che va a zig zag nel Mediterraneo nel tentativo
di trovare uno scalo riparato e sicuro. Lontano dalle scogliere. Lontano
dai guardiacoste.
Attilio Bolzoni
IL LIBRO
Così la storia di Montalbano
Nell´ultimo libro di Andrea Camilleri dedicato alle avventure
di Montalbano, "Il giro di boa" (Sellerio), la trama gialla ruota attorno
al ritrovamento di un cadavere che galleggia nel mare davanti alla casa
del commissario. Il morto si rivelerà un trafficante di bambini
ucciso nel quadro di una vendetta interna alla sua banda e non quello di
un povero clandestino, come con tutta probabilità è il caso
dell´uomo annegato in mezzo al canale di Sicilia.
La Repubblica,
ed. di Palermo, 30.4.2003
Porto Empedocle
Granata perplesso sul nome Vigàta
«Capisco le ragioni del cuore di Camilleri e dello stesso sindaco
ma la vicenda mi lascia perplesso». Così l´assessore
ai Beni culturali Fabio Granata ha commentato l´ipotesi di cambiare
il nome di Porto Empedocle in Vigàta. «In primo luogo, per
il rispetto verso Empedocle e per quello che rappresenta il filosofo agrigentino
- ha affermato Granata - poi, perché Vigata è la Sicilia
della memoria e dell´immaginario e attrae proprio perché è
un´immagine onirica».
La Repubblica,
ed. di Palermo, 30.4.2003
Lettere
Da Proust a Camilleri
Porto Empedocle cambia nome, o meglio ne aggiunge uno: «Benvenuti
a Porto Empedocle Vigata» reciterà d'ora in poi un bel cartello
all'ingresso della cittadina siciliana. Camilleri dà la sua autorizzazione
al sindaco Paolo Ferrara e ci mancherebbe altro… e così il travestimento
letterario assurge a pari dignità della tradizionale denominazione,
rinvigorisce una esausta toponomastica e si appresta a reclamizzare nel
mondo la patria del commissario Montalbano.
La notizia, lo ammetto, mi è quasi indifferente. Un po' di fastidio,
forse, nulla più. Ma mi lascio andare lo stesso le code agli uffici
postali sono fatte apposta a un'oziosa lettura dei numerosi articoli sull'argomento.
Perché c'è un piccolo tarlo che mi si è insinuato
dentro la cui causa confesserò tra poco e non riesco a scacciarlo.
E mi accorgo presto di un intervento di Stefano Bartezzaghi sulla prima
pagina dell'edizione nazionale di "Repubblica": gli do volentieri la precedenza.
Eccone l' incipit : «Sul momento non vengono in mente precedenti
di sorta al caso del nome di una città che venga cambiato per motivi
letterari». Ho una piccola perplessità, ma sarei ben disposto
a glissare. Poi però la lettura va avanti e tra gustosi riferimenti
letterari spiccano due allusioni proustiane. Appunto, mi dico. Se a Parigi
c'è da un anno e mezzo il ristorante "Casa Vigata" a un centinaio
di chilometri di distanza in direzione sud-ovest in treno si cambia a Chartres
c'è il minuscolo paesino dove Proust ha passato gran parte della
sua infanzia, Illiers, immortalato nella Recherche con il nome di Combray.
Le carte stradali prima e la segnaletica all'ingresso del paese poi ne
confermano il doppio nome: Illiers-Combray, dunque, dove tanti appassionati
dello scrittore francese si riuniscono una volta l'anno per celebrare il
loro culto laico e dove tanti turisti vanno a curiosare tra la casa della
zia Léonie e il Pré Catelan assaporando deliziosi biscotti
fosforici a forma di conchiglietta, le immancabili madeleines.
Che gli amministratori empedoclini si siano convinti per un istante
di essere stati originali in buona fede, per carità, non voglio
certo attribuire loro improbabili suggestioni proustiane si può
anche capire. Non accordiamo però eccessiva novità a questa
amena trovata turistica. Mi dispiace di dover raffreddare l'euforia provinciale:
è opportuno ricordare che non viviamo al centro del mondo nemmeno
letterario ma in una simpatica, assolata periferia. Anche se qualcuno,
talvolta, vuole illuderci del contrario.
Sandro Volpe, Palermo
Non cancellate però le orme di Empedocle
Leggo che si parla di Camilleri, di Vigata, di Agrigento. Certo, ma
dove mai è sparito Empedocle? Non voglio credere che nessuno sa
più chi fosse. Forse è stata scoperta nella sua opera qualche
scorrettezza?
Come mai questo grande filosofo agrigentino si ritrova a essere trascinato
nell'oblio, dopo millenni di rispetto nella nostra cultura, per essere
sostituito dal nome di un paese virtuale, la cui fama (anche se a me Camilleri
piace molto) non potrà mai, sia nel tempo che nello spazio, raggiungere
la sua?
Almeno, per favore, spiegate alla gente chi era Empedocle.
Aimée Carmoz, carmoz@tiscali.it
La Sicilia, 30.4.2003
Sarà Vigata la regina del Teatro
Porto Empedocle. Continua, inarrestabile, il nuovo rapporto fra Andrea
Camilleri e la sua città. Dopo l'ufficializzazione dell'aggiunta
del nome Vigata al tradizionale Porto Empedocle, si gettano le basi per
far fruttare quello che ha il sapore del business. Il Comune sta infatti
organizzando il primo premio nazionale di teatro di base denominato «Città
di Vigata».
L'iniziativa è dell'assessore comunale allo Spettacolo, Tonino
Guido, il quale ha immediatamente trovato la disponibilità del sindaco,
Paolo Ferrara, del presidente del Consiglio comunale, Maurizio Cimino,
e degli altri amministratori locali. A luglio dunque, la cittadina marinara
diventerà la capitale del teatro amatoriale a livello nazionale.
Per consentire a quante più compagnie possibili di giungere a Vigata,
verrà diffuso un bando via internet che permetterà di pubblicizzare
l'iniziativa lungo tutto lo stivale. A giudicare i professionisti del teatro
di base saranno esperti del settore, primo fra tutti il «papà»
del commissario Montalbano, lo scrittore Andrea Camilleri, al quale si
affiancherà quasi certamente l'attrice Monica Guerritore. Da oggi
a luglio l'amministrazione comunale provvederà a limare gli ultimi
particolari dell'iniziativa, messa su anche con i contributi economici
di sponsor e con qualche euro in arrivo dalla Regione. Fin qui il futuro
ormai alle porte, ma è la stretta attualità che pone Porto
Empedocle al centro dell'attenzione nazionale e internazionale, in quanto
terra nativa di Camilleri.
Dopo la metamorfosi toponomastica, ieri il sindaco non ha avuto il
tempo di alzarsi dalla sedia del suo studio. Il telefono del primo cittadino
non ha smesso di squillare per un minuto. Radio, giornali, televisioni,
curiosi e tanti altri rappresentanti del mondo dei media hanno chiesto
a Ferrara il perché della sua decisione.
«Vogliamo dare di Porto Empedocle il volto migliore. L'esempio
arriva dal Bar Albanese, ricordato da tanti solo come quello della strage
di mafia del 1986, trasformatosi negli ultimi mesi nella segreteria personale
di Camilleri.
Oggi quel bar si chiama «Caffè Vigata» e vuole contribuire
a cambiare l'idea che tanti hanno del nostro paese».
Francesco Di Mare
La Sicilia, 30.4.2003
Prendetevi Vigàta, Ragusa si tiene i turisti
Prendetevi pure il nome di Vigàta, tanto noi ci teniamo i turisti.
A Porto Empedocle non basterà fregiarsi di una discutibile appendice
romanzesca per attirare soprattutto svedesi, norvegesi e tedeschi, che,
sotto l'effetto della serie televisiva del commissario Montalbano tratta
dai romanzi di Andrea Camilleri, hanno imparato ad amare la Sicilia barocca,
le chiese di Ragusa e Modica, la spiaggia di Puntasecca. Un segno di consolidata
rivoluzione del gusto, se consideriamo che dal Settecento a metà
Novecento i turisti del Grand Tour evitavano accuratamente tutto ciò
che non fosse classicità greca. Uno stile spesso trova le vie più
casuali per essere apprezzato. Questa volta si tratta di un duplice tradimento:
nei confronti della Porto Empedocle che ha ispirato Camilleri e poi di
Agrigento, la città della sublime Valle dei Templi.
Il fenomeno Montalbano si trascina dietro anche una fiorente industria
della paccottiglia, tutto ciò che è legato alla finzione
letteraria diventa oggetto di desiderio. Si è creato un legame indissolubile
tra le avventure romanzesche e il Ragusano. Se portate un turista sul molo
di una città che, in un miscuglio di filosofia e fantasia, si chiamasse
Porto Empedocle Vigàta, si sentirebbe a disagio. Non la immaginava
così, il suo eroe ormai ha acquisito uno sfondo barocco.
Rossella Schembri
Belice.it
ANDREA CAMILLERI
IL GIRO DI BOA
Pagg.269 Euro 10 SELLERIO
Ancora una volta lo scrittore siciliano non delude i suoi lettori, ancora
una volta Camilleri centra in pieno l’obiettivo. Ne “Il giro di boa”, ultimo
libro pubblicato, lo scrittore ci regala una trama articolata e complessa,
avvincente, ricca di colpi di scena, riuscendo, come al solito, a tenere
inchiodato il lettore sino alla fine del libro. Questa volta il commissario
Montalbano è alle prese con un cadavere rinvenuto per caso
in alto mare, un corpo in stato di decomposizione con i polsi e le caviglie
incisi. Un caso che potrebbe essere benissimo archiviato, ma il commissario
più famoso d’Italia, in crisi come uomo e come poliziotto
per le vicende del G8 di Genova, che hanno offerto una immagine certamente
non idilliaca della polizia, propenso a rassegnare le dimissioni, decide
di approfondire il mistero del cadavere che si intreccia con il caso di
un bambino travolto volontariamente da una macchina, una vicenda che ricorda
molto il piccolo François del libro “Il ladro di merendine”. Due
casi definiti dallo scrittore “convergenze parallele, citando una delle
frasi più famose di Aldo Moro e si può affermare, senza ombra
di dubbio, che quest’ultimo libro di Camilleri è un testo apertamente
“politico”. L’autore non ha esitazioni a criticare la nuova legge sull’immigrazione,
meglio conosciuta come la “Bossi-Fini”, scrive che “stavano via via agonizzando
macari la compassione, la fraternità, il rispetto per i vecchi,
per gli ammalati, per i picciliddri”, mette in evidenza il “commercio”
dei bambini extracomunitari, “usati” per l‘espianto degli organi, per i
pedofili e il dialogo, su questo tema, fra Montalbano e il giornalista
è una delle pagine più interessanti del volume. L’autore
critica l’indifferenza della gente, la superficialità della
televisione: Montalbano- Camilleri (l‘identificazione fra i due è
d’obbligo) non riesce più a riconoscersi in una società
che ha smarrito il senso dell’esistenza umana, interessata solo ai soldi
e al successo. In questo libro lo scrittore ci delinea un Montalbano in
crisi, stanco, anche se l’inchiesta lo coinvolgerà in maniera totale,
sempre più triste, cupo, affaticato e, non a caso, alla fine del
romanzo, il commissario avrà dei dolori che supererà grazie
all’aiuto dell’”angelo” Fazio. ”Il giro di boa” lascia, alla fine
della lettura, un inquietante interrogativo nel lettore. Lo scrittore terrà
ancora in vita il commissario Montalbano o il fatto di essere ferito in
un conflitto lascia presagire la sua prossima “morte letteraria”?
Il libro, nonostante Camilleri usi il solito linguaggio, un mix di italiano
e siciliano, è diverso dagli altri perché viene ridimensionata
la figura di Catarella e, di conseguenza, i sorrisi che suscitava
nel lettore, ma è permeato, nel contempo, da un profondo pessimismo
e da una forte vis polemica. L’autore dimostra di essere sempre abile nell’imbastire
trame narrative non facili, nel delineare magistralmente personaggi e situazioni
dimostrando una facilità e felicità di scrittura, doti certamente
non comuni; del resto, dopo un primo tempo in cui veniva snobbato dai critici,
oggi è riconosciuto come uno degli scrittori più apprezzati
e non è un caso che abbia ottenuto il prestigioso “Premio
Mondello” per la letteratura per “Il re di Girgenti”.
Giuseppe Petraia
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