RASSEGNA STAMPA
MAGGIO 2003
Gazzetta del Sud,
1.5.2003
Granata di An è contrario mentre Cimino (Fi) si dice entusiasta
Porto Empedocle-Vigata fa litigare gli assessori regionali
PALERMO – La “rivoluzione toponomastica” di Porto Empedocle, nè
la prima, nè forse l'ultima cittadina nel mondo ad aver scelto di
rinvigorire il proprio tradizionale toponimo, affiancandogli quello letterario
e assai più famoso di «Vigata», ha innescato in Sicilia
una disputa filosofico-politica che rischia adesso di contrapporre due
assessori della giunta regionale, di An e Fi, da ieri in aperta polemica.
Duellano verbalmente su quell'originale battesimo che lo scrittore Andrea
Camilleri ha benedetto con tanto di autorizzazione e che promette in futuro
di reclamizzare al meglio in tutto il mondo la patria dell'amatissimo commissario
Montalbano. «Non basta definirsi Vigata per esserlo», ha decretato
l'assessore regionale ai Beni Culturali, Fabio Granata (An), ricordando
che nell'immaginario nazional-popolare, la cittadina partorita dalla fantasia
di Camilleri (empedoclino doc) è legata ai set della serie televisiva
dedicata a Montalbano: tutti scenari, secondo l'assessore, che ben poco
hanno a che spartire con Porto Empedocle, essendo localizzati in buona
parte in provincia di Ragusa. «La produzione della fiction – ricorda
Granata – per i luoghi di Montalbano ha utilizzato gli scenari Iblei e
non quelli dell'agrigentino». Ma non è questa l'unica ragione
per cui Granata si definisce «assai perplesso». L'altro motivo
di perplessità, spiega l'assessore «deriva dal rispetto verso
Empedocle e quello che rappresenta il filosofo agrigentino nell'ambito
della storia della filosofia e del pensiero occidentale». «Da
empedoclino resto stupefatto per quello che è stato detto – ribatte
l'assessore regionale alla Cooperazione Michele Cimino (Fi) – per quello
che è stato detto anche dai rappresentanti dello stesso governo
regionale al quale appartengo e provenienti proprio da quei luoghi che
pretendono di avere l'esclusiva sulle opere dell'empedoclino Camilleri».
«Ritengo opportuno ricordare – prosegue Cimino – che Camilleri ha
certamente improntato la quasi totalità delle sue opere a Porto
Empedocle o nell'agrigentino. Il birraio di Preston è dichiaratemente
Porto Empedocle; Il re di Girgenti è certamente Agrigento; Montelusa
è un antico nome di Agrigento, per cui dire o scrivere che Vigata
è Porto Empedocle non è che una constatazione di fatto».
«Non basta, insomma, una villetta al mare – conclude Cimino, alludendo
all'immagine della suggestiva casa al mare di Montalbano che nella fiction
tv si trova a Punta Secca, sullo splendido litorale ragusano – o creare
come cinecittà delle scenografie adattate ai romanzi, per mettere
in discussione i luoghi che hanno ispirato la fantasia di Camilleri».
La sofistica contesa tra i due autorevoli esponenti delle istituzioni siciliane
– che se non fosse vera potrebbe essere architettata dalla stessa fantasia
camilleriana – mette in gioco una posta non indifferente: le prossime fortune
turistiche – e quindi elettorali – di due aree della Sicilia, entrambe
belle e bisognose di promozione. La polemica tra gli assessori siciliani,
comunque, è l'unica novità che proviene dalla “trovata empedoclina”.
L'idea del “battesimo letterario” di oscure cittadine in cerca di facile
pubblicità o di più nobili blasoni, infatti, non sarebbe
affatto originale: un lettore dell'edizione locale di Repubblica, nella
rubrica delle lettere, ricorda stamane che il minuscolo paesino francese
dove Sartre trascorse gran parte della sua infanzia, Illiers, immortalato
nella “Recherche” con il nome di Combray, porta sulle carte stradali e
sulla segnaletica d'ingresso il doppio nome: Illiers-Combray. Ai tempi
di Sartre, obbietteranno i nostri assessori, non c'era la televisione.
Ma nessuno sembra essersene mai offeso.
Gazzetta del Sud,
1.5.2003
Iniziano lunedì gli appuntamenti che mirano a celebrare questo
importante traguardo
I 125 anni del liceo classico «Campailla»
Modica – Guardare al futuro potenziando la già ricca offerta
formativa composta dall'abbinamento, rivelatosi vincente, tra cultura classica
e artistica. In tale ottica, lo storico e prestigioso liceo classico «Tommaso
Campailla» si appresta a festeggiare il 125. anniversario dalla sua
fondazione, avvenuta nel lontano 1878.
[...]
Gli appuntamenti prevedono la partecipazione di prestigiosi nomi, tra
cui lo scrittore Andrea Camilleri, “papà” del celebre commissario
Montalbano
[...]
Antonio Di Raimondo
Tuttoturismo, 5.2003
Italia meravigliosa. Sicilia
A spasso con Montalbano
Viaggio fra letteratura e realtà lungo la costa meridionale
dell’isola. In una terra piena di tesori. Tutti da… indagare
Una Sicilia autentica, con i suoi problemi e le sue ricchezze, la mafia
e la nobiltà, le lande desolate e le verzure rigogliose. Ma anche
una Sicilia inventata, dove i luoghi geografici diventano fantastici e
ogni cosa - per dirla con Leonardo Sciascia - sembra diventare metafora
di qualcos'altro.
Una terra dove case moderne, partorite dal dubbio ingegno di architetti
non eccelsi, s'affiancano a templi che nulla hanno da invidiare ai più
celebrati edifici sacri della penisola ellenica e a un mare che sa d'antico,
tanto appare intatto. È la Sicilia che scaturisce dalle pagine di
Andrea Camilleri, lo scenario in cui il commissario Salvo Montalbano conduce
le sue intricate indagini: un luogo/non luogo tutto da scoprire lungo la
costa meridionale dell'isola, in un viaggio a metà strada tra l'immaginario
e il reale.
Il punto di partenza dell'itinerario non può che essere la "mitica"
Vigàta che, dietro il nome di fantasia, cela l'identità del
paese natale di Camilleri, ossia Porto Empedocle. Un po' come la Donnafugata
di Tomasi di Lampedusa e la Regalpetra di Leonardo Sciascia, per intenderci,
entrambe ispirate ai centri più amati dai due scrittori - rispettivamente
Santa Margherita Belice e Racalmuto - e diventate esse stesse luoghi "reali".
Per trovare Vigàta occorre, dunque, oltrepassare Agrigento (ribattezzata
Montelusa, grazie a un piccolo "scippo" ai danni di Pirandello, che fu
il primo a usare questo nome per la città) con i palazzoni che pericolosamente
penzolano sulla voragine di profondi burroni, e affacciarsi sull'incanto
della Valle dei Templi.
La vedi, Vigàta, dall'alto, un po' vecchio paese in riva al
mare, un po' incredibile metropoli, con la sua incongrua skyline di ciminiere
e palazzi giganteschi che racchiude un corso d'altri tempi - non troppo
lungo, non troppo breve - tra la chiesa, il Municipio, la farmacia e il
bar: via Roma, nella fantasia come nella realtà.
Ci arrivi lungo arterie veloci che, con viadotti spericolati, saltano
case e persone, tempi e luoghi, fagocitando lo spazio e il pensiero, prima
di trasformarsi in strade strette che scendono in curve non meno strette
verso il mare. Vigàta, la vecchia Marina di Agrigento (gli abitanti,
ufficialmente empedoclini, si chiamano ancora marinisi), a dire la verità
è anche un po' Sciacca e Siculiana, Naro e Caltabellotta, Mazara
e Gela, somma e sintesi del paese siciliano.
Sul corso - illuminato, la sera, da lampioni gialli dall'aria rétro
- si può solo passeggiare. I vecchi conquistano le panchine e, da
sotto le coppole, osservano i ragazzi con la zazzera dritta e il piercing,
mentre aspirano l'odore salso del mare che il vento alita senza sforzo
fin negli angoli di vicoli e cortili.
D'altronde è proprio lì a due passi, il mare. Le sue
onde sciabordano ai piedi di un poderoso torrione squadrato dal quale,
a partire dal '500, i soldati tenevano d'occhio l'orizzonte, semmai si
fosse presentata una nave pirata con intenzioni predatorie. Barchette da
diporto e grossi pescherecci ondeggiano ai moli all'ombra dei traghetti
e degli aliscafi che, a Dio piacendo, ogni giorno levano l'ancora per raggiungere
le Pelagie, le più remote terre italiane, a metà strada fra
Europa e Africa.
Al porto, quando ha bisogno di pensare, passeggia il commissario Montalbano,
spiluccando dal suo involto calia e simenza (ovvero ceci abbrustoliti e
semi di zucca salati), uno sfizio decisamente siciliano che ben si addice
al personaggio, profondissimo estimatore delle specialità gastronomiche
della sua isola.
La buona cucina, del resto, insieme all'uso sperimentale del dialetto,
intrecciato con l'italiano in una neolingua straordinariamente ricca di
sfumature, è il "filo rosso" che unisce fra loro tutti i romanzi
che vedono Montalbano protagonista. Il cibo, da gustare preferibilmente
in solitudine e, comunque, sempre in religioso silenzio, non è solo
espressione della cultura di un luogo, ma anche - e soprattutto - il segno
del legame profondo fra il commissario e la sua terra: a Montalbano la
sola idea di un allontanamento da Vigàta, ancorché per una
promozione, dà la febbre.
Una raccolta di novelle ha perfino preso il titolo dagli arancini che
la cammarera Adelina prepara, invero di rado (ci vogliono due giorni, secondo
la ricetta tradizionale, minuziosamente illustrata nel racconto omonimo,
“Gli arancini
di Montalbano”), ma il cui ricordo il commissario, a suo dire, ormai
si porta nel Dna.
Alla fantasia culinaria, gustosamente popolare, Montalbano usa affidarsi
interamente, quando apre il frigorifero con la stessa trepidazione con
cui, da bambino, cercava il canestro colmo dei doni lasciati dai morti
il 2 novembre, secondo un'antica usanza di questa terra. In quel frigorifero
trova immancabilmente qualcosa di suo gradimento: dalla caponatina sciavurosa,
colorita, abbondante, alla pasta 'ncasciata, piatto degno dell'Olimpo,
passando per il sugo di seppie, stretto e nero, e la granita di limone,
che la cammarera gli prepara secondo la formula "uno, due, quattro", ossia
un bicchiere di succo di limone, due di zucchero, quattro d'acqua.
Quando non torna a casa, per mangiare Montalbano si rifugia da Calogero,
nella piccola trattoria affacciato sul corso. Il cuoco, che ormai lo conosce,
sa già che cosa offrirgli: a partire dalla pasta con le sarde e
dai purpitieddri, piatti d'estrema semplicità, rigorosamente tradizionali.
A Porto Empedocle esisteva davvero, fino all'anno scorso, la trattoria
San Calogero, alla quale Camilleri s'è ispirato, mentre oggi la
tradizione della sua cucina prosegue nella vicina Trattoria Pirandello,
gestita da uno dei due ristoratori del vecchio locale. Qui si può
anche gustare, su richiesta, il "menu Montalbano", elaborato sulla base
della lettura dei libri di Camilleri. Una pagina via l'altra, si viaggia
così tra le emozioni della buona cucina e del buon vino, scoprendo,
per esempio, tra i vicoli medievali del centro storico di Agrigento, l'antica
abbazia di Santo Spirito, dove le monache di clausura modellano divini
dolcetti (fermarsi per assaggiare, Montalbano docet).
Si viaggia lungo la costa per apprezzare il mare, onnipresente nei
romanzi: Montalbano ama molto nuotare, è un esercizio che, dice,
«lo rimette in vita». Si va dal litorale empedoclino di Marinella
(dove Camilleri ha immaginato la casa del commissario) a quello in cui
si staglia la meravigliosa Scala dei Turchi, una parete di roccia candida
che precipita tra le onde in un accavallarsi di gradoni modellati da secoli
di vento e salsedine. Dal mare di Punta Secca a quello di Siculiana Marina,
quasi nascosta alla fine di una stradina stretta stretta. Fino alla riserva
naturale di Torre Salsa, strappata «con i denti» alla speculazione,
e al fiume Platani, ai piedi dell'altissimo promontorio bianco su cui,
migliaia di anni fa, re Minosse in persona fondò la sua colonia
siciliana, Eraclea Minoa.
Si viaggia nella storia, tra i templi - da 2.500 anni imponenti testimoni
della straordinaria ricchez-za di Akragas, definita da Pindaro «la
più bella città dei mortali» - e il Museo Archeologico,
che di tanta nobiltà tramanda la memoria.
Si viaggia nella letteratura, accostando alle pagine contemporanee
di Camilleri il ricordo di quelle di un mostro sacro, quel Luigi Pirandello
che nacque proprio a breve distanza da qui, in una località dal
nome emblematico: Caos. La casa del drammaturgo, oggi, è un vero
museo in cui sono raccolti documenti, fotografie, manifesti, oggetti appartenuti
allo scrittore. Nel grande giardino, durante l'estate, le pagine più
belle delle sue opere rivivono grazie alle attività del parco letterario
a lui intitolato. Un sentierino che si diparte a fianco dell'edificio conduce
al derelitto mozzicone di un pino marittimo (l'albero, nel '97, venne distrutto
da un fulmine), sotto il quale, in un masso, sono murate le ceneri dello
scrittore.
Il nostro viaggio con Camilleri può continuare attraverso questi
e molti altri luoghi. A volte è facilissimo individuarli, perché
nei libri conservano il loro nome: semplice, per esempio, sarà trovare
Mazara, terra siciliana dal cuore arabo, con tanto di souk e fumatori di
narghilé in caffettano; o Mozia, quieta e deliziosa isoletta a pochi
passi dalle saline, che per nulla sembra essere stata la sede di trucidi
riti sacrificali.
Altre volte, invece, bisognerà compiere un piccolo sforzo di
fantasia per identificare i posti: Sciacca, con il suo animatissimo porto,
gli artigiani che dipingono la ceramica sulla porta delle botteghe, i nobili
palazzi che narrano le storie di antiche aristocrazie, è diventata
Fiacca. Caltabellotta, un pugno di case bigie che s'arrampicano su per
un costone roccioso fino a quasi mille metri d'altezza e custodiscono la
memoria di alcuni degli eventi più significativi della storia siciliana,
è ribattezzata Gallotta. Gela, stretta fra gli accidenti moderni
di una ciclopica raffineria e
la straordinaria ricchezza di una capitale della Magna Grecia, è
divenuta Fela. Senza dimenticare le isole, come I"'africana" Lampedusa
che si trasforma in Sampedusa, né la Sicilia dell'interno, quella
che Montalbano predilige e che Camilleri, ne “Il cane di terracotta”, ci
descrive con penna magistrale: «Aride colline, quasi tumoli giganteschi,
coperte solo di stoppie gialle d'erba secca, abbandonate dalla mano dell'uomo
per sopravvenute sconfitte dovute alla siccità, all'arsura o più
semplicemente alla stanchezza di un combattimento perso in partenza, di
tanto in tanto interrotte dal grigio di rocce a pinnacolo, assurdamente
nate dal nulla o forse piovute dall'alto, stalattiti o stalagmiti di quella
fonda grotta a cielo aperto che era la Sicilia».
Ultima parte del nostro viaggio, allora, la vogliamo dedicare proprio
alle campagne antiche, con i loro piccoli villaggi, poche case e un campanile,
i pastori a guardia di pecore e capre, i contadini sui muli, come in una
vecchia foto in bianco e nero. Paesaggi molto diversi da quelli della costa.
Ma, d'altra parte, «la Sicilia bisognerebbe vederla seguendo le proprie
inclinazioni, dandosi tutto il tempo possibile: non esiste un luogo che
non meriti di essere visitato». Chi parla così è proprio
Andrea Camilleri, che incontriamo al Teatro Regina Margherita di Racalmuto,
nella sua nuova veste di direttore artistico. «La Sicilia è
straordinariamente diversa da sé, a ogni momento: noi ci facciamo
una certa immagine della Sicilia, giriamo l'angolo ed è un'altra
cosa».
E la fiction? Si gira nel Ragusano
Per ritrovare le atmosfere "camilleriane" in cui ambientare le indagini
di Montalbano, il regista Alberto Sironi ha scelto la scenografia di un'altra
provincia siciliana, quella di Ragusa. È qui - tra volute barocche,
spiagge sabbiose e masserie di campagna - che si muove il commissario interpretato
da Luca Zingaretti. L’itinerario attraverso i luoghi della fiction muove
da Ragusa, la cui piazza principale - un rettangolo allungato con una fuga
di scalini che porta alla cattedrale di San Giorgio - è apparsa
in numerose scene. Come un'altra lunga scalinata, quella di Santa Maria
delle Scale, che lega la parte moderna della città a Ibla, il nucleo
antico. Dalla sua sommità si gode una vista stupefacente proprio
su quest'ultima, con le case affastellate le une sulle altre; nel '700
la nobiltà locale innestò la ricostruzione barocca su questo
reticolo urbano medievale, creando una suggestiva combinazione di stili.
Ancora scale e chiese nella vicina Modica: da non perdere San Giorgio,
dall'alta facciata. Interessante anche il Castello di Donnafugata, che
nell'800 era la magione più ricca della provincia: è stato
restaurato e aperto al pubblico, che vi riconoscerà la casa dell'anziano
boss Balduccio Sinagra. Un'altra splendida dimora è stata scelta
per le scene iniziali di “La voce del violino”: l'Eremo della Giubiliana,
convento-fortezza dei '500 trasformato in un albergo che rappresenta la
base ideale per visitare la zona. Per "mangiare con il commissario", però,
si deve rientrare a Ragusa:
la Rusticana ripropone ambienti e pietanze della trattoria San Calogero.
Numerose, inoltre, le scene girate a Scicli, gioiello barocco: su via Penna
- una delle strade più spettacolari di Sicilia per l'ininterrotta
teoria di eleganti edifici - si trova Palazzo Iacono, cioè la questura
di Montelusa. La mannara, il rudere della fabbrica di mattoni Pisciotto
- presso la quale, nell'episodio “La forma dell'acqua”, viene ritrovato
il cadavere dell'ingegner Luparello - è in contrada Sampieri, frazione
rivierasca di Scicli.
La casa di Montalbano si trova a pochi chilometri, nell'abitato di
Punta Secca. Solo l'esterno, in verità, perché l'interno
è stato ricreato altrove. Ma che cosa importa? la terrazza dalla
quale il commissario scende direttamente in acqua è proprio questa.
Maria Cristina Castellucci
ifatti.net
"Il Commissario Montalbano": uno sceneggiato da quattro soldi
Ancora una volta la Sicilia è riproposta con la coppola storta.
Questa volta è il commissario Montalbano che con i suoi falsi e
ridicoli atteggiamenti da incallito poliziotto fa credere che la terra
d'artisti, di scienziati, di scrittori e poeti è, invece così
come lui settimanalmente la descrive.
Con "La piovra" la Rai prese di mira Catania per gettare fango sui
siciliani; oggi la criminalizzata è Ragusa. E' certo che queste
commedia penalizzano la Sicilia. In questo caso nessun politico ha protestato.
Durante le riprese di "Piovra 9" il presidente della Provincia, Nello
Musumeci, protestò con una lettera aperta. Era l'estate del 1997
e Musumeci, alla provincia aveva la carriera aperta. Davanti a sè
aveva ben cinque anni di potere e da poter, bene o male, amministrare.
Adesso, per fortuna, sta per scadere (a maggio 2003) il suo mandato non
rinnovabile, quindi non ha più motivo di far sentire la sua voce.
Allora strillava e se la prendeva con Bianco gridandogli che non aveva
il coraggio di azzittire mamma Rai con l'Ulivo; oggi Forza Italia azzittisce
Musumeci.
Il commissario Montalbano è ridicolo. Un cronista con quarant'anni
di cronaca nera sulle spalle o un graduato di polizia che sta per andare
in pensione, non hanno mai visto le ridicole sequenze di quelle scene negli
uffici della Questura, dei Carabinieri o della Guardia di Finanza: un funzionario
che da solo va a caccia dell'assassino. Tesse una ragnatela, sempre da
solo, poichè i suoi quattro collaboratori sono decerebrati. Egli,
che è un illuminato da Dio, capisce qual è il movente, scopre
l'autore del duplice, triplice omicidio. L'assassino gli cade, come una
pera cotta fra le braccia. Chissà cosa ne penserebbe oggi il duro
questore Buttiglione, padre dell'On. Rocco. Noi, quell'investigartore Montalbano
lo faremmo operare al nord dove tanti delitti sono ancora rimasti insoluti.
Gli Attori sono guitti e lavorano tutti all'insegna dell'improvvisazione,
fatta eccezione per Ciccino Sineri, quel Ciccino che con quelle poche battute
manifesta la sua grande professionalità.
Le soir, 2.5.2003
Un bel hommage
La ville natale de l'auteur à succès Andrea Camilleri,
Porto Empedocle, en Sicile, a rendu ce qui est peut-être le plus
bel hommage à un écrivain: changer son nom pour celui de
la localité fictive où se situent les romans policiers de
son glorieux rejeton.
«Bienvenue à Porto Empedocle Vigata» proclamera
désormais une pancarte à l'entrée de la ville. Vigata
se réfère à l'endroit où le héros de
Camilleri possède une petite maison.
AFP
La Repubblica,
ed. di Palermo, 3.5.2003
Lo scrittore critica il cambiamento di nome
Porto Empedocle-Vigàta. Consolo: "Una buffoneria"
Lo scrittore Vincenzo Consolo boccia l´idea del Comune di Porto
Empedocle che ha voluto aggiungere al nome del paese quello di Vigàta,
la città di Montalbano, l´investigatore creato da Andrea Camilleri.
«Avere immaginato di unire il nome sacramentale di Empedocle con
uno inventato e insignificante come Vigàta... Mi sembra che siamo
veramente alla barzelletta berlusconiana o alla buffoneria», ha detto
Consolo ieri a Siracusa. Lo scrittore di Sant´Agata critica Paolo
Ferrara, sindaco di Porto Empedocle: «Un amministratore che riesce
a concepire una cosa così credo che non meriti di amministrare dei
cittadini».
Süddeutsche
Zeitung, 3.5.2003
Sommerhit Vigàta
Wie ein literarischer Ort auf Sizilien Wirklichkeit wurde
So sicher wie der Sommer in Italien kommt ein Bestseller von Andrea
Camilleri. Seit nicht einmal zehn Jahren wirft der anscheinend altersbedingt
von allen Schreibhemmungen befreite 78-jährige Dramaturgie- Pensionär
höchst erfolgreiche Bücher auf den Markt. Oft erscheinen gar
im Abstand von nur wenigen Monaten mal ein Krimi über die sizilianische
Gegenwart, mal eine romanhafte Auseinandersetzung mit ihrer Vergangenheit
(Wagenbach hat gerade die Übersetzung der wunderschönen Geschichte
von „König Zosimo“ verlegt). Aber jedes Mal ist ein Sommerbuch dabei,
das die italienischen Leser in die warme Jahreszeit begleitet wie das sich
langsam aufbauende Azorenhoch. Diesmal ist es wieder der Kommissar Montalbano
– längst auch deutschen Lesern (bei Lübbe) oder Zuschauern (durch
die TV-Serie) bekannt –, der für den Sellerio Verlag aus Palermo die
Bestsellerlisten fest im Polizeigriff hat. Wie immer bei Camilleris fiktiven
Geschichten spielen auch in diesem Roman „Il giro di boa“ („Das Wendemanöver“)
soziale und politische Anspielungen eine große Rolle. Eine so große
sogar, dass sie den rechtschaffenen und links fühlenden Salvo Montalbano
aus dem südsizilianischen Phantasieort Vigàta in eine Sinnkrise
stürzen. Die ganz realen Polizeigriffe beim G8-Gipfel von Genua vor
zwei Jahren, das Fälschen von Beweisen, das Misshandeln von Demonstranten,
lassen den fiktiven Kommissar an seinem Berufsstand verzweifeln. „Ich fühle
mich nicht verraten“, sagt er seiner Dauerverlobten Livia, die fern von
ihm in Ligurien lebt, „ich bin verraten worden.“
Dass dann dennoch das Schlimmste, seine Demission nämlich, vorerst
verhindert werden kann, liegt auch an verzweifelten Dritte-Welt-Flüchtlingen,
die an der sizilianischen Küste landen – und an einer Leiche, die
im Meer vor Vigàta schwimmt. Montalbano kann vielleicht nicht die
Wirklichkeit erlösen, aber, wenn auch mit schlechtem Gewissen, einen
Fall in Vigàta klären, dass kann er dann doch noch.
Camilleri-Fans wissen längst, dass dieses sympathische Vigàta,
wo man außerdem wundervolle Fischgerichte serviert bekommt, dem Städtchen
Porto Empedocle mit seinen 17000 Einwohnern vor den Toren von Agrigent,
wo der Autor 1925 das Licht Siziliens erblickte, erstaunlich ähnlich
sieht. Den Stadtvätern von Porto Empedocle ist das ebenfalls nicht
entgangen. Und wenn Camilleri sich in seinen Romanen bei der Wirklichkeit
bedient, warum sollten sie sich nicht an der Fiktion schadlos halten? Gesagt
getan: mit einem einstimmigen Beschluss des Gemeinderates (und auch mit
der Zustimmung des sich geehrt fühlenden Schriftstellers) nennt sich
das Städtchen vom ersten Mai an ganz offiziell „Porto Empedocle Vigàta“.
In der italienischen Toponomastik kennt man Fälle, wo sich Orte mit
einem Autorennamen verbinden (zum Beispiel Arqua Petrarca oder Castagneto
Carducci). Es ist jedoch das erste Mal in der Geschichte, dass man an einen
literarischen Ort wirklich reisen kann. Und vermutlich wird das auch erwünscht.
Vigàta, ein Sommerhit? Vielleicht. Aber nur, wenn Montalbano weitermacht.
Henning Klüver
TG1, 3.5.2003
Andrea Camilleri incontra Paolo Conte
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VINCENZO MOLLICA: Paolo Conte e Andrea Camilleri si sono incontrati
a Roma qualche giorno fa. Conte ha appena pubblicato un disco, “Reveries”,
in cui ricanta, riarrangiati, alcuni suoi classici. Camilleri è
in testa alle classifiche con il volume “Il giro di boa”, nuovo racconto
del Commissario Montalbano.
Cominciamo con quello che l’uno avrebbe voluto rubare all’arte dell'altro.
PAOLO CONTE: Tutto… tutto… soprattutto la capacità di far stare
insieme la trama del racconto con la possibilità di dire anche delle
cose poetiche che ti piace dire… senza che una dia fastidio all’altra.
Metterci… è tutta una cosa lussureggiante… cioè c’è
il piacere di fare del paesaggismo, e questo paesaggio viene dato magnificamente
bene.
ANDREA CAMILLERI: Qualche cosa che non è musicale, per quanto
possa parere curioso, e che è comune in tutto quello che fa ed è
una cosa che è di difficile definizione, se lei me ne chiede la
definizione, ma anche questa è un'impressione: l’eleganza dell’intelligenza.
VINCENZO MOLLICA: Questi sono i libri che Paolo Conte ama di Camilleri.
PAOLO CONTE: Ci metto "Il birraio di Preston" in testa, poi "La Mossa
del cavallo" secondo… sicuri. Terzo ci potrei mettere "La concessione del
telefono".
ANDREA CAMILLERI: Vuoi essere interrogato "a saltare", come si diceva
nelle scuole...
PAOLO CONTE: …non si possono fare questi sbalzi… Direi così:
come prima scelta sono questi.
VINCENZO MOLLICA: E questa è la canzone di Paolo Conte che Camilleri
ama di più.
ANDREA CAMILLERI: Entriamo nell’ovvio ma non so che farci: mi piace
da matti "Via con me".
VINCENZO MOLLICA: Mi dice perché le piace "Via con me"?
ANDREA CAMILLERI: Ma perché l’avrei voluto dire tante volte!
Magari non trovandone il coraggio, ecco…
PAOLO CONTE [brano filmato da un concerto, NdT]: "Via via,
vieni via con me, entra in questo amore buio, non perderti per niente al
mondo…"
VINCENZO MOLLICA: Ma Montalbano, canta?
ANDREA CAMILLERI: Se è come me, in alcune cose, è completamente
stonato: io perfino in bagno mi rifiuto di canticchiare qualche cosa perché
sono di una stonatura… incapacità assoluta di… Quindi Montalbano
ogni tanto canticchia “e te lo vojo di’ che so’ stato io”… 'ste
cose, così, come si canticchia, ma non ha una vera e propria inclinazione
musicale come avrei voluto avere io.
[trascrizione a cura di Paola]
La Gazzetta del Mezzogiorno,
4.5.2003
Geografia vera di paesi immaginari
L'amministrazione comunale di Porto Empedocle, il paese siciliano di
cui è originario Andrea Camilleri, chiede di poter affiancare al
proprio nome quello di «Vigata», l'immaginaria località
dove sono ambientate le storie del commissario Montalbano. Una lusinghiera
riprova del successo conquistato da un personaggio che contribuisce ad
affrancare l'immaginario italiano dalla colonizzazione culturale americana.
Ma anche un caso esemplare di come, a volte, sia l'invenzione a prevalere
sulla realtà, nell'eterno gioco a rimpiattino tra le due cose innescato
dall'arte di raccontare in tutte le sue varianti: romanzo, cinema, teatro,
televisione, fumetto.
L'esempio da manuale è quello di Sherlock Holmes. Il suo microcosmo
londinese ruota intorno al 221b di Baker Street. Una numerazione del tutto
immaginaria, ai tempi dell'uscita delle avventure del celebre detective
sullo «Strand Magazine». Poi, qualcuno scoprì che in
tempi recenti a quell'indirizzo si trovava un ufficio assicurativo, presso
il quale una segretaria si assumeva il compito di rispondere alle lettere
degli «sherlockiani» che giungevano da tutto il mondo. Molte,
con la richiesta di una consulenza investigativa per casi particolarmente
ostici nei quali l'intervento della normale polizia si rivelava inadeguato.
Sta di fatto che la Londra vittoriana ricreata da Sir Arthur Conan Doyle
per ambientarvi i gialli del «gran detective» ha finito per
sovrapporsi a quella storica, nella quale, peraltro, non mancavano enigmi
polizieschi degni di Holmes, vale per tutti l'identità mai scoperta
di Jack lo Squartatore.
È proprio nel campo del thriller che l'ambivalenza dei luoghi
di ambientazione acquisisce più presa sugli appassionati, fino ad
attirarli in pellegrinaggio. Gli itinerari sherlockiani di Londra comprendono,
oltre al falso studio di Holmes ricostruito nei pressi del 221b di Baker
Street, anche tappe nelle zone in cui si svolgono le storie più
celebri dedicategli da Conan Doyle.
Dall'altro lato dell'oceano, e addirittura sulla riva opposta degli
Stati Uniti, a San Francisco, alcune lapidi commemorano i momenti più
celebri del giallo dei gialli, Il falcone maltese, soprattutto nella sua
versione cinematografica del 1941, sceneggiata e diretta da John Huston,
sulla scorta del romanzo di Dashiell Hammett. Per esempio, una targa è
affissa dove una volta si trovava Burrit Alley, al termine di Bush Street,
sullo Stockton Tunnel, per ricordare che lì viene ucciso dalla Brigid
O' Shaughnessy il socio gigione di Sam Spade, Miles Archer. Da quel delitto
si scatena la sanguinosa caccia alla preziosissima statuetta del falcone.
Per tornare in Europa, il commissario Maigret, da tutti ritenuto il
simbolo dell'acume investigativo francese, fu creato in realtà da
un belga, Georges Simenon. Il quale, addirittura, fa nascere il suo personaggio
a Delfzijl, in Olanda. Ed è in questo porto che nel 1966 fu inaugurata
la statua al celebre commissario. Alla cerimonia erano presenti, oltre
a Simenon, i quattro interpreti più significativi di Maigret: l'inglese
Rupert Davies, il tedesco Heinz Ruhmann, l'olandese Jan Teuling e l'italiano
Gino Cervi, che a detta dell'autore li superava tutti, compreso Jean Gabin.
(A tutt'oggi, sono parecchi i turisti-lettori che a Parigi vanno a farsi
una capatina nel boulevard Richard Lenoir, dove vivrebbe fittiziamente
Maigret: per cogliere qualche atmosfera quotidiana del celebre commissario.)
Sempre restando alle statue, ve n'è più di una dedicata
a Braccio di Ferro. Le più note a Springdale, Arizona, e Chester,
Illinois. Ma qui si tratta di tributi per meriti acquisiti da un'icona
popolare come il marinaio mangiaspinaci. Mentre la ricerca di corrispondenze
tra i luoghi e le loro reinvenzioni letterarie si fa più complessa
e stimolante fuori dal repertorio del grande consumo.
Il Wessex di Thomas Hardy è un vasto affresco che comprende
lo contee sudorientali dell'Inghilterra, assemblate in uno scenario dove
le distanze sono più adatte alla misura della narrazione. Così
vi si possono rintracciare riferimenti geografici nella realtà molto
più distante. Con il risultato di raffigurarsi nella mente gli stessi
luoghi per Giuda l'oscuro, Via dalla pazza folla e Tess dei d'Urberville.
Quando, se ci si reca nelle immensità del Sussex e dintorni, si
finerebbe disorientati e privi di agganci con le vicende forti e passionali
narrate da Hardy.
Marcel Proust ha fatto di più per nascondere i luoghi di Alla
ricerca del tempo perduto. I sette volumi del suo romanzo fiume uscivano
mentre l'aristocrazia parigina ed ebraica che vi era ritratta non aveva
certo abbandonato le luci della ribalta. Dunque, Iliers, la località
dove l'infante Marcel andava in vacanza, diviene Combray, e i cognomi dei
grandi casati reali vengono stemperati nell'unica tentacolare confraternita
dei Guermantes.
William Faulkner sceglie di ambientare i suoi viaggi romanzati nel
cuore di tenebra del sud americano, inventando la contea di Yoknapatawpha,
labirintica e infida come l'impronunciabile nome di derivazione indiana.
Là si consumano stupri di gruppo, inconfessabili rapporti familiari
e tregende di un'umanità fin troppo riconoscibile nei suoi eccessi.
Il fondale comune di Yoknapatawpha conferisce unità tematica ed
ambientale a capolavori assoluti che si chiamano L'urlo e il furore, Santuario,
Luce d'agosto.
Gabriel García Márquez, dal canto suo, ha creato quel
Macondo ormai più famoso del romanzo cui fa da sfondo, Cento anni
di solitudine. L'immaginaria contrada sudamericana ha acquisito lo status
di luogo privilegiato del realismo magico. Al Macondo sono debitori i quasi
conterranei di Márquez, Allende e Volpe, ma anche scrittori agli
antipodi, come gli indiani Salman Rushdie e Amitav Gosh, campioni di topografie
immaginarie dietro le quali si nascondono le loro radici.
Ed è questo l'intento che si cela dietro la reinvenzione dei
luoghi. La volontà di trasfigurare per il racconto una realtà
talmente nota a chi vi è nato e l'ha nelle vene, che rischierebbe
di restare attaccata addosso senza coinvolgere altri. Laddove il ritocco
romanzesco finisce per far sentire anche il lettore più estraneo
contiguo, se non conterraneo, dell'autore.
Enzo Verrengia
La Sicilia, 4.5.2003
Ferrara: «Caro Granata, venga a visitare la vera Vigata»
«Venga a Vigata a prendere le vere arancine di Montalbano o a
fare una passeggiata alla Scala dei Turchi». E' questo l'invito lanciato
dal sindaco di Porto Empedocle, Paolo Ferrara, all'assessore regionale
ai Beni culturali, Fabio Granata, nei giorni in cui divampa la bagarre
dopo l'appropriazione della denominazione che ricorda il paese immaginario
creato dalla penna di Andrea Camilleri. Il primo cittadino intende mettere
alcuni paletti in una polemica che vede palesemente schierato il rappresentante
del governo regionale - di origine siracusana - in favore dello sviluppo
di quella parte dell'isola, compresa tra il centro aretuseo e la provincia
di Ragusa, teatro del set televisivo. Granata sottolineò come non
basta definirsi Vigata per esserlo davvero. «Penso sia necessario
- dice Ferrara - che l'assessore visiti i luoghi originari di Camilleri
che hanno ispirato le avventure del commissario Montalbano. Non è
possibile che altre località si approprino di un marchio che possiamo
vantare solo noi. Credo sia opportuno che lo stesso Granata manifesti attenzione
verso la nostra realtà, dando dimostrazione di equilibrio tra due
zone che hanno il diritto di crescere, ognuna col proprio patrimonio culturale
e ambientale». Intanto, il presidente della Pro Loco empedoclina
Paolo Savatteri, sottolinea come «non serve a nulla il gran parlare
della denominazione Vigata, quando la città è impresentabile
e turisticamente improponibile», riferendosi alle «immondizie
che si accumulano nei giorni festivi».
f.d.m.
La Repubblica,
ed. di Roma, 7.5.2003
Banditi a roma
Giancarlo De Cataldo parla di "Romanzo criminale" alle 18.30 a Il Seme
[EXNOVO, NdCFC] via Monte Zebio 3. Interventi di Andrea Camilleri, Valerio
Calzolaio e Marino Sinibaldi.
Le soir, supplemento
MAD (Magazine des Arts et Divertissements), 7.5.2003
C'est dans les poches
Andrea Camilleri, «La voix du violon»
Pocket 11390, 255 pp., 5,50 euros.
Montalbano, le plus célèbre flic sicilien, n'est pas du
genre à contourner les ennuis. Quand son chauffeur emboutit une
Twingo (mal) garée devant une villa et que personne ne réagit
alors qu'il a laissé le numéro de téléphone
du commissariat sous l'essuie-glace, il n'hésite pas à pénétrer
(par effraction? c'est bien comme cela qu'on dit?) dans la villa pour y
trouver le cadavre nu d'une très belle jeune femme. Passons sur
les moyens détournés qu'il doit mettre en oeuvre pour faire
savoir qu'un meurtre a été commis. Il entre très vite
en conflit avec la hiérarchie qui n'aime pas ses méthodes.
Anciennes, les méthodes. D'ailleurs, il ne s'entend guère
non plus avec la police scientifique. Mais explore par la bande et trouve.
Avec la gouaille de Camilleri, un pur bonheur de baragouin chez le téléphoniste
du commissariat.
P.My.
La Repubblica,
7.5.2003
L´attore girerà due film per Mediaset che hanno per protagonista
il mitico personaggio di Georges Simenon
"Il commissario curioso e dispotico ha pietà per chi commette
i crimini"
Modernizzazione. Per sette secondi abbiamo pensato di modernizzarlo,
ma era inimmaginabile. La forza del progetto è l´epoca
Fa come gli pare. È uno che fa come gli pare È autorevole,
ma anche autoritario ed è sempre misteriosamente solidale con il
colpevole.
Ancora incerto il cast delle puntate da "La trappola" e "Ombra cinese"
E intanto gira i provini per il film tratto dal libro della moglie
ROMA - Sergio Castellitto sta facendo i provini per il film che dirigerà
a luglio da Non ti muovere (ha appena finito con Angela Finocchiaro). Nei
fine settimana, gli altri giorni è a Parigi sul set di Ne quittez
pas di Arthur Joffé. Ha appena finito Caterina va in città
di Paolo Virzì. E non ha sportivamente digerito i David che hanno
ignorato L´ora di religione. Ma siamo qui per parlare di Maigret.
«La popolarità televisiva porta con sé il rischio della
bassa qualità. Allora ecco lo sforzo di rintracciare nella letteratura,
anzi nella grande storia della tv italiana i passaggi popolari alti. Gino
Cervi e il suo Maigret stanno alla storia degli sceneggiati come un bel
libro a una monnezza. E poi mi piace tirarmi fuori dall´obbligo di
raccontare storie italiane, approfittare della convenzione, rifare Parigi
come fece allora quello sceneggiato. Che oggi forse è impresentabile...».
Troppo lento: lo direbbe anche un telespettatore attempato.
«Come un film giapponese, è vero. Però, con un
altro ritmo, che cosa ha Simenon? La grande letteratura popolare. E un
personaggio che è come Ferrari o Padre Pio, solo che è inventato
dalla penna di uno scrittore. Ma vive, esiste. Non nella storia sociale
ma in quella culturale degli spettatori. Con un rischio: quello del confronto».
Infatti la memoria dei telespettatori italiani s´identifica con
l´attore, con Cervi.
«Tanto che Parigi sembrava Modena. La sensualità con cui
beveva la sua birra o mangiava il manicaretto preparato dalla Pagnani o
si accendeva la pipa, fa pensare più alla provincia italiana che
a Parigi. È tutto da "ri-missare" secondo il gusto di oggi. Ma mi
permette di sfuggire all´ennesima biografia: sono diventato un carburatorista
delle telebiografie...».
È un progetto suo?
«Sì. Un giorno chiacchieravo con Massimo Chiesa produttore
dei miei spettacoli teatrali, e si è materializzata un´idea
che sembrava impossibile. Lo rifai? C´è già. Perché
no: è repertorio, Amleto lo fanno tanti attori, così Maigret.
Fra l´altro, oltre a quelli francese e italiano, ne esistono uno
tedesco, inglese, spagnolo, c´è un Maigret dappertutto».
Chi ha dovuto convincere?
«Il progetto lo realizzerà Mediaset. Ma non è stato
difficile, c´è solo voluto un po´ di tempo. Roberto
Sessa produrrà: per ora due film, a fine anno. Andrea Camilleri
ha detto che il suo Montalbano, secondo me tra le cose migliori della tv
di questi anni, è oggettivamente figlio di quel Maigret...».
Camilleri ebbe una parte nel Maigret di allora?
«Sì, come funzionario Rai. Comunque non vedremo le Alfette,
vedremo le Dauphine. Una Parigi un po´ provinciale, un mondo di convenzione
e poi un´epoca. Nessuna contemporaneità».
Perché: sta diventando una schiavitù?
«Un impedimento a interpretare, è tutto pornograficamente
documentaristico in tv. L´epoca invece ti allontana e ti dà
una "visione": che fai, ambienti Maigret oggi, tra cellulari e computer?
Non si può».
Vuol dire che vi siete posti il problema se modernizzarlo?
«Ci siamo fatti la domanda per cestinarla dopo sette secondi.
La forza del progetto è l´epoca. Francesco Scardamaglia e
Nicola Lusuardi hanno scritto la sceneggiatura delle prime due storie che
abbiamo scelto: La trappola e L´ombra cinese. Li abbiamo ambientati
negli anni 50. Utilizzando pensieri, spunti per dialoghi, comportamenti
che vengono anche da altri romanzi. Qual è la grandezza di quel
personaggio? Maigret è durissimo come un poliziotto oggi non potrebbe
essere, troppi paletti...».
Fa come gli pare, se ne infischia delle regole.
«È autorevole ma anche autoritario. Quando ci vuole è
anche dispotico. Però è curioso, come solo uno psichiatra
può essere. Ed è pietoso come un prete. L´indagine
poliziesca sconfina in un´indagine esistenziale, umana. Ha sempre
pietà per chi commette il crimine: questo fa la sua differenza.
Ogni interrogatorio diventa una conversazione sull´esistenza. E questo
permetterà ai film di non ridursi alla costruzione della suspense
per impedire al telespettatore di cambiare canale. La scommessa è
quella di tenerlo legato a un poliziesco che è soltanto il mezzo
attraverso il quale passano i sentimenti che sono spesso al centro delle
storie di Maigret: relazioni familiari, mogli che tradiscono i mariti,
amanti. E sorvolo sull´ossessione sessuale di Simenon, è nota.
Da assatanato qual era ha costruito un personaggio invece fedele, integerrimo.
Ma in lui senti la sensualità: sa riconoscere la dolcezza delle
donne. Struttura drammaturgica solidissima, insomma, che è solo
pretesto per appoggiarci sopra le relazioni umane. Cupe, scure. Com´è
nella provincia: i grandi delitti accadono in provincia, dove la sporcizia
umana ha sempre una facciata per bene».
La regia?
«Ancora da decidere».
La sua interpretazione: sa che si dirà subito che lei non somiglia
per niente a Maigret-Cervi...
«Certo non ingrasserò venti chili perché non faccio
Cervi, faccio il mio Maigret. Non mi preoccupo, anche se so che tutti i
commissari Maigret fatti non mi somigliano, sono più corpulenti
o più attempati. Sarà un uomo della mia età, tra i
40 e i 50, che ha accanto una bella donna, la signora Maigret, con la quale
devi anche immaginare, diciamo, una certa intimità. Tra loro c´è
un patto di reciproca protezione: lui ogni mattina esce e s´immerge
nel male, nel dolore, e torna ogni sera come un marinaio in porto, da lei,
angelo saggio e dolce. C´è una domanda che mi sono fatto ma
non so rispondere: perché non hanno figli?».
Paolo D´Agostini
La Vanguardia, 8.5.2003
Opinion (El Runrún)
Andrea Camilleri nació en 1925 en la siciliana villa de Porto
Empedocle, en la misma provincia de Agrigento que décadas antes
había visto nacer al gran Luigi Pirandello, fino creador de personajes
teatrales a la búsqueda de un autor. Con los años Camilleri
se iría a Roma para dedicarse al llamado arte dramático,
y en 1978, cumplidos los cincuenta, publicaría su primera novela.
El éxito, de una rotundidad fuera de lo común, le llegó
anteayer, ya septuagenario, con las novelas del inspector Sandro Montalbano.
Montalbano es un apellido muy frecuente en Sicilia, pero el autor ¿portoempedoclino?
Nunca ha ocultado que también lo escogió como homenaje a
su admirado Vázquez Montalbán. La semana pasada el Consistorio
de Porto Empedocle brindó un homenaje a su ilustre novelista: cambió
oficialmente de nombre. Desde el 29 de abril del 2003 Porto Empedocle se
llama “Porto Empedocle Vigata” y sus felices habitantes... ¿portoempedoclinovigatenses?
Vigata es el topónimo que Camilleri inventó para situar
la casa de su ficticio Montalbano. Es decir, un topónimo como Macondo,
Sinera, Vetusta o el faulkneriano condado de Yoknapatawpha que hasta ahora
sólo figuraba en las cartografías literarias y en el rótulo
de un restaurante parisino de especialidades sicilianas: Casa Vigata (44,
Rue Léon-Frot). Curiosas son las veleidades literarias del gremio
de la restauración: busquen “restaurant Macondo” en Internet y hallarán
más de 500 referencias, en lugares tan dispares como Hvar (Croacia),
Trebon (República Checa), Boston (EE.UU), Sayulita (México),
Zancudo (Costa Rica)... y naturalmente en Cuba, con un Macondo Azul donde
los rojos castristas aún deben de ponerse morados.
O sea, que cualquier espíritu sencillo podría concluir
fácilmente que los sicilianos acaban de dar un bello ejemplo de
respeto por la literatura y que (ay!) podríamos imitarlos por estos
lares para promover la literatura catalana. En cierta medida, si los vascos
toleran que en los carteles de su capital se lea Vitoria-Gasteiz y el año
pasado en todos los de la nuestra se leía Barcelona-Gaudí,
no sería de extrañar que en Arenys propusieran a sus futuros
representantes municipales completar tan arenáceo topónimo
con un espriuano Arenys-Sinera. ¡Y qué decir del mítico
Escornaldiable que Pep Albanell se inventó para situar la acción
de su injustamente olvidada novela “Ventada de morts”! ¿Es que ningún
consistorio va a revindicar tan diabólico topónimo? Se da
circunstancia de que el (ya) antiguo Porto Empedocle se denominaba así
en honor a otro agrigentino ilustre que habitó la ínsula
cinco siglos antes de Cristo: el filósofo Empedocles. El mismo que
explicó el universo a partir de los cuatro elementos (tierra, fuego,
agua y aire) mezclados por el amor y el odio, en cíclica alternancia.
¿Se removerán en la tumba dos clásicos como Empedocles
o Pirandello ante el fulgurante ascenso toponímico del advenedizo
Camilleri? Imaginar estas cosas entre sicilianos da un poco de miedo.
Claro que el creador de Vigata, que sabe por viejo y por siciliano,
ha puesto rápidamente las cosas en su sitio: “Me siento muy honrado
y halagado –ha escrito en “La Repúbblica”-, pero no creo que sea
ningún homenaje a la literatura. Es una idea puramente destinada
a aumentar el turismo”. Pues eso.
Màrius Serra
La Sicilia, 8.5.2003
Porto Empedocle si attrezza
«Impiegati di Vigata leggete Camilleri per accogliere i turisti»
Porto Empedocle. «Costretti» a una full immersion di Camilleri,
per far conoscere ai turisti la vera Vigata. In vista dell'imminente invasione
di fans dello scrittore, molti dipendenti del Comune empedoclino sono stati
«precettati» dall'assessore al turismo e spettacolo Tonino
Guido, affinchè leggano gran parte della produzione del «papà»
del commissario Montalbano.
Una decisione dettata dalla necessità di formare quanti più
conoscitori dell'arte letteraria camilleriana, in modo da da renderli inappuntabili
«Cicerone» dei villeggianti che dovrebbero sbarcare in massa
già dai prossimi giorni a Vigata. Sono migliaia infatti coloro i
quali hanno già fatto capire attraverso prenotazioni ad alberghi
dell'hinterland agrigentino di essere intenzionati a visitare i posti veri
delle gesta del commisario Montalbano.
Lido Marinella, Azzurro, la torre di Carlo V, la Scala dei Turchi e
tutto quanto il resto dovranno essere raccontati da gente che conosce a
menadito il mondo camilleriano. Per questo motivo, già ieri mattina
l'assessore Guido ha cominciato a esplorare tra il personale a disposizione
dei vari uffici, per individuare coloro i quali potranno assolvere al ruolo
di particolari guide turistiche, dopo però avere letto i libri di
Camilleri.
E così nei prossimi giorni, sul comodino accanto al letto tanti
dipendenti comunali sistemeranno i libri di Camilleri, da leggere magari
prima di andare a dormire o comunque nei ritagli di tempo.
«E' necessario che i nostri collaboratori siano perfettamente
a conoscenza degli ambienti in cui il nostro illustre compaesano ha fatto
vivere il suo personaggio più famoso». A parlare è
l'assessore comunale al Turismo Tonino Guido, il quale non esita a parlare
di «una bomba scoppiata in paese», riferendosi ovviamente allo
straordinario effetto pubblicitario che sta avendo la decisione di accostare
il nome Vigata, alla denominazione tradizionale della cittadina marinara.
Francesco Di Mare
L'Unione Sarda,
9.5.2003
Il libro di Fois
Molto più di un giallo
[commento tratto dalla prefazione
di Andrea Camilleri a "Sempre caro", NdCFC]
Andrea Camilleri
Sette, supplemento del Corriere
della sera, 9.5.2003
Fratelli d'Italia
Se Porto Empedocle diventa Vigata
La scemenza avrà una sua capitale. Alla faccia degli inglesi
di “Città del peto”
La toponomastica inglese è probabilmente la più simpatica
del mondo perché rimanda a un empirismo sano, quello anglosassone
appunto, che dice pane al pane e vino al vino. Così per esempio
fu naturale chiamare Wyre Piddle, che vuol dire Pipì, la città
che nel Worchestershire fu costruita accanto a una fogna che ruscellava
a cielo aperto. Ovviamente quel ruscello di pipì non esiste più,
ma a nessuno è venuto in mente di cambiare il nome alla città.
Anzi, chi vi nasce trova in quel nome una lezione di ironia :”Dove sei
nato?” “A Pipì”. La stessa cosa succede a Little Snoring (Piccola
ronfata) e a Brown Willy dove nessuno ha il pisellino marrone.
Le isole sono i posti del mondo dove meglio si conserva la forma originaria
delle cose, in botanica e in zoologia (oltre che in politica) e sicuramente
anche nella toponomastica. Benchè a Booze (liquore) non ci siano
oggi troppi ubriaconi e a Beer non si consumi più birra che altrove,
i nomi esprimono e proteggono l’essenza primitiva della città, la
connotazione che ha dato origine alla denotazione.
L’Inghilterra poi è un’isola speciale, più impermeabile
ai cambiamenti perchè il suo territorio è stato “invaso”
poche volte e dunque deve alla mancanza di dominazioni la stabilità
delle denominazioni. Tutto il contrario della Sicilia, per esempio, che
è anch’essa un’isola, ma popolata da gente di confine, troppe volte
mescolata, trasformata, dominata e denominata. In un’isola sempre occupata
e sempre colonizzata le città sono accampamenti, rocche, castelli
da difendere o da assediare, come appunto Caltanissetta, Caltagirone, Castelvetrano,
Calatafimi... Più in generale la toponomastica italiana, oltre che
alla guerra, rimanda spesso alla mitologia, a valori astratti e alla religione,
per quella sorta di provincialismo idealistico che ci fa sognare e che
sempre ci allontana dalla verità delle cose.
Solo un popolo empirista e antiidealista può avere città
chiamate Spital in the Street (Sputo nella strada) che si trova nel Lincolnshire
o Rest and Be Thankful (Riposa e sii grato) o ancora Ugley (Brutto) o Pease
Pottage (Zuppa di piselli) perchè in quella zona dell’East Sussex
piove tanto e la terra fangosa ha la consistenza della Peasemarsh, Palude
di piselli, una piccola città a poche miglia dalla tenuta di campagna
di Paul Mc Cartney.
La toponomastica inglese meritava dunque il nuovo Penguin Dictionary
of British Place Names che è appena arrivato in libreria e che rintraccia
le radici di più di diecimila città e villaggi della gran
bretagna. L’autore si chiama Adrian Room, un professore di geografia che
ha già scritto trenta libri di toponomastica. La lista, molto sapida,
comprende una città alla periferia di Plymouth dove un giorno qualcuno
si arricchì facilmente e che si chiama dunque Pennycomequick (Soldo
vieni presto) benchè oggi sia diventata molto povera.C’è
anche Matching Tye (cravatta coordinata) e nel Sussex c’è Old Sodbury
(Vecchio stronzo). In Dorset c’è Shitterton (Paese di merda) e poi
Pratt’s Bottom (Culo di scemo), Fartown (Città del peto), Wetwang
(Cazzo bagnato) e Penistone (Pene di pietra). L’autore aveva già
scritto il Dizionario mondiale di toponomastica e si è dunque divertito
a fare il giro del mondo del corpo umano. E’ andato ad Eye (Occhio) nel
Suffolk poi a Tongue (Lingua) in Ayrshire, quindi a Nose (Naso) in Giappone,
a Finger (Dito) in Tennessee, a Chin (Mento) in Canada, a Elbow (Gomito)
ancora in Canada, ad Harry’s Armpit (Ascella di Harry) sempre in Canada
per finire a Gilbert’s Bottom (Culo di Gilbert) in Montserrat.
Come si è capito c’è pure un sapido e intelligentissimo
sciocchezzaio toponomastico. Ebbene, all’autore mi permetterò di
segnalare la triste storia della città siciliana di Porto Empedocle
che il sindaco Ferrara ha deciso di ribattezzare Vigata, nome teleletterario
della città di Montalbano, il personaggio di successo inventato
da Andrea Camilleri. Al sindaco per ora si oppone l’assessore regionale
alla cultura Fabio Granata (il dio del mare e il filosofo Empedocle lo
proteggano). Pare che il sindaco non si riconosca più nel magnifico
porto (sino al 1863 la città si chiamava Molo) e neppure nel vecchio
filosofo agrigentino ma si ritrovi invece nella macchietta del siciliano
di successo consacrata da Camilleri, il siciliano che non riesce neppure
a parlare in italiano, divertente e pittoresco stereotipo di un sottosviluppo
allegro e compiaciuto. Immalinconisce quest’ansia di buttarsi via e penso
a Stendhal che non sopportava la propria città, “la mia Grenoble
escrementizia”, e infieriva su di essa per infierire su se stesso chiamandola
con disprezzo Cularo. E meno male che questo Ferrara di Porto Empedocle
legge Camilleri e non Stendhal. Pensate invece che nel Galles c’è
una città fiera dell’impronunciabile nome più lungo del mondo:
Llanfairpwllgwyngyllgogerychwyrndrobwllllantysiliogogogogh. In gallese
antico significherebbe: “La chiesa di Santa Maria nel tronco cavo dell’albero
di nocciole vicino al mulinello rapido del Llantysillo della caverna rossa”.
Come si vede in una sola parola c’è una mappa geografica, un esame
sociologico, e pure un manuale di storia. Insomma, in quel nome c’è
tutto, in Vigata invece non c’è niente.
Francesco Merlo
Carmilla,
9.5.2003
Il regno delle due Sicilie: Battiato vs. Camilleri
Magari non interessa granché, ma io ci tengo a parlarne. Intendo
della Sicilia: avendo salde radici sicule, vorrei intervenire su una sostanza
immaginifica che tracima dall'isola e, a mio parere, segnala uno specifico
tutto contemporaneo: il conflitto tra mito e fiction, esattamente proporzionale
a quello che si sviluppa tra la deità delle Sacre Scritture e la
sua scimmia. Due evenienze che non appartengono a quella che i colletti
bianchi dell'accademia intellettuale considerano "cultura alta". Siccome
della "cultura alta" mi frega esattamente quanto della "cultura bassa",
cioè zero al quoto, è senza inibizioni che voglio considerare
significative due evenienze della Sicilia nel cinema e nella tv più
recenti. Ho assistito all'anteprima di PERDUToAMOR, film scritto e diretto
da Franco Battiato. E, come altri nove milioni di italiani, ho assistito
a qualche puntata del Commissario Montalbano. Il regno delle due Sicilie
emblematizza due generi opposti di rappresentazione: una mitologica e perciò
umana (quella di Battiato), l'altra finzionale e antiumana (quella del
Camilleri televisivo).
Non sono un critico cinematografico e non dispongo del retroterra culturale
che permette raffinate analisi tecniche. Parlo da scrittore che si trova
di fronte un sogno e il suo opposto. Le cautele dovrebbero essere molteplici:
per dirne soltanto una, sto lasciandomi andare a una tentazione non metodologicamente
corretta, che affianca e oppone grande e piccolo schermo. Generalmente,
di una simile metodologia, me ne fotto bellamente - mi permetto di fottermene
anche qui.
PERDUToAMOR è un film che, immagino, irriterà i cinefili
e disinteresserà gli spettatori che vanno al cinema per vedersi
una pellicola che li catturi secondo standard americanoidi. A me è
molto piaciuto. Non tanto perché Franco Battiato è una mia
mitologia puberale e sono a tutt'oggi convinto che costituisca un perno
fondamentale per comprendere la cultura popolare italiana negli anni Ottanta.
Il film di Battiato mi è piaciuto perché rasserena: è
la serenità vacua e azzurrina con cui Battiato regista realizza
un racconto iniziatico che mi ha colpito. All'inizio, per fare soltanto
un esempio, c'è una lezione di buddhismo rigoroso condotta in purissima
normalità:
un piccolo trattato sull'attenzione e l'autosservazione raccontato attraverso
gli insegnamenti di una maestra di cucito alle sue allieve, in un cortile
interno di una casa siciliana negli anni Cinquanta. Si sta narrando di
una Sicilia fuori dal tempo, in realtà. Una Sicilia esuberantemente
verde, carica di intrecci vegetali e onirici, obliqua, magnificiente nel
nascondersi e nel mostrarsi, sacrale senza adesione al territorio. E' l'altra
faccia del mito terrestre e del radicamento: non il sangue abbarbicato
al suolo, bensì lo spazio di sogno purissimo, rarefatto, con cui
l'uomo entra in incantamento per sperimentare l'unico dio che c'è:
se stesso bambino, il sé che non giudica e non etichetta, un sé
incantato e incantatorio, una realtà molto concreta e vivibile,
non retorizzata, non enfatizzata in epica astratta. La Sicilia di PERDUToAMOR
non è un amor perduto. Il Perduto Amor di Battiato è quella
nostalgia inquieta che, nel momento in cui si esce dall'incantamento e
si è preda dell'idea classificatrice (si cresce, si legge, si giudica,
ci si forma, si abbandona la spontaneità), spinge a cercare altro:
questo altro che si ricorda e che deve averci parecchio innamorato se lo
si cerca non sapendo più cosa esso sia in realtà. Lezione
più che mistica condotta attraverso il racconto di vent'anni di
cultura popolare italiana: dalla secolarità meridionale all'esplosione
della
musica pop e poi dello sperimentalismo à la Stratos in una
Milano travolgente e suggerita per scorci d'autore.
La Sicilia di Battiato è l'India: un'India shankariana vista
con occhi sudamericani. Colombiani, per la precisione: è un'adolescenza
che Garcìa Marquez iscriverebbe nella sua Macondo quella che Battiato
illumina con una luce per nulla abbagliante, aprendo porte strane e metafisiche:
in una scena che mi ha colpito si entra in un canneto verdissimo e fitto,
in soggettiva, insieme a tre bambini; li vediamo intorno a una pozza d'acqua
oscura, appoggiati a una staccionata improvvisata; parlano - al contrario,
un backward masking bellissimo, che si avvicina alla sequenza più
onirica di Papillon; la camera inquadra poi le irregolarità dell'acqua.
Sembra di entrare in un labirinto surreale e reale al tempo stesso: diverticoli
e svolte improvvise, scene staccate di netto e connesse soltanto da una
serenità di sguardo dal di fuori. Non è una Sicilia olografica:
è una Trinacria del sogno infantile, stato perpetuo che investe
la veglia e la sussume in una sostanza ozonata e luminosa e ombrosa (tra
l'altro, esplicitamente, la questione dei "momenti di veglia" viene affrontata
a più riprese e accennata dalla voce pastosa e incrinata di Sgalambro).
Contro questa Sicilia, si schiera quella cartolinistica, inesistente,
falsissima, radiosamente crepuscolare che gli italiani hanno subìto
assistendo alla veterofiction di Montalbano. Una Sicilia rabberciata tra
la valle del Noto e fantasmatici dintorni Vigatesi; ecco, proprio una Sicilia
vigatese: si sa, Vigata non esiste anche se vorrebbero farla esistere.
Una Sicilia fintamente comunitaria, spaccata in due: i terroni nobili e
i terroni stronzi. Un gattopardismo che non conserva nulla della verità
gattopardesca. Chiese e rovine esposte a una luce ocrata, gioielli di secolarità
supposta, case sul fronte del mare che ricollocano il litorale di Cefalù
alla latitudine di una Miami per borghesi parlemitani. Ville sontuosamente
decadenti, campi di grano pettinati dal vento e acconciati da un sole maturo.
Un macrospot della proloco. Nulla di differente rispetto all'inganno della
pubblicità del riso Scotti, quando l'omonimo testimonial Gerry canta
le lodi delle suo riso (che non è suo) facendo vedere un campo di
grano e dicendo "Questo è il mio riso".
La fiction è finta. Ciò che è finto non sempre
inganna, ma la fiction inganna sempre e comunque. La fiction si oppone
alla storia: la storia è una storia di storie, che nascono da esperienze
e azioni ed emozioni e sogni di un'umanità che attraversa il divenire;
la fiction assomiglia a una storia, ma non nasce da alcuna umanità.
La Sicilia decalcomanica di Montalbano non nasce da alcuna esperienza:
è astratta, sordidamente astratta in quanto irradia la malizia spottistica
dell'inganno. La storia di storie è il mito vissuto da un'umanità
che nasce invecchia e muore e si perpetua nella tragedia e nella commedia
di un tempo protratto; la fiction è una parodia della storia umana,
tutta asservita a un vecchio sogno del Potere, che è quello di non
farci sognare per tenerci tranquilli e imbambolati, tubi digerenti che
pappano il pop corn della loro funebre semivita, catatonica, catodica,
cazzutissima.
La Sicilia di Battiato è un'esperienza del sogno che ha attraversato
lo sguardo di un'infanzia sicula e mitologica, vera, storica, una coincidenza
miracolosa che capita all'artista, quando fa incrociare la storia dell'umanità
con la specola di se stesso. La Sicilia di Montalbano (come, del resto,
il grano meridionale dell'ultimo Salvatores) è la cattiva imitazione
di quel sogno: cattiva non tanto perché è di qualità
discutibile, quanto perché esprime il male, che è l'antiumanità
della fiction stessa, la scimmia dell'uomo.
Giuseppe Genna
La Gazzetta del Mezzogiorno,
9.5.2003
Accordo editoriale
Laterza-Sellerio collana di letture per la scuola
Sarà la rete scolastica della Laterza a promuovere e distribuire
una nuova collana di narrativa per la scuola della Sellerio. Le due più
importanti case editrici del Mezzogiorno (Bari e Palermo), entrambe indipendenti
e quindi estranee alle concentrazioni editoriali degli ultimi anni, stringono
così un'alleanza, anticipata nei mesi scorsi dalla «Gazzetta»,
nel nome di un progetto innovativo di letture per la secondaria.
I testi della collana diretta da Renato Alfieri e Vincenzo Campo saranno
infatti proposti nella loro veste originaria, senza alcuna aggiunta o manipolazione.
Allegata al testo ci sarà una guida alla lettura di 32 pagine, in
sé autonoma anche graficamente in un'elegante copertina gialla,
per suggerire percorsi analitici e riflessioni di ricerca. La guida è
suddivisa in cinque parti: un'intervista reale o immaginaria all'autore,
una sezione operativa sugli elementi costitutivi del testo, una o più
schede d'interpretazione critica, un approfondimento della cornice storico-letteraria
del libro, un invito alla lettura di testi analoghi o in qualche modo affini
al volume analizzato.
I primi titoli proposti sono «Il delitto di lord Arturo Savile»
di Oscar Wilde (1891) e «Uomini sotto il sole» di Ghassan Kanafani
(1963). I prezzi sono contenuti fra i sei e i sette euro. Seguiranno opere
del passato o del presente (da Apuleio a Moravia, da Stendhal a Camilleri,
da Dumas a Bontempelli), che affiancheranno i classici di sempre nelle
aule scolastiche.
La Sicilia, 9.5.2003
«Così lavoriamo per formare il pubblico di domani»
Orchestra sinfonica siciliana.
Nostra intervista con il maestro Fabrizio Carminati, direttore artistico
del teatro Donizetti di Bergamo
[...] Il concerto in cartellone per la stagione dell'Orchestra Sinfonica
Siciliana ascoltato in questo week-end al teatro Politeama [...] ha presentato
uno dei più apprezzati giovani direttori della scena musicale nazionale,
Fabrizio Carminati [...].
Come direttore artistico, anche Lei si sarà posto il problema
«Quale repertorio, per quale pubblico?»
«Il pubblico bergamasco anche se ha una grande predilezione per
il proprio autore concittadino, Gaetano Donizetti, è molto vario.
[...] Ogni anno rappresentiamo un'opera nuova, e quest'anno è toccato
all'opera di Marco Betta, «Il fantasma nella cabina», su testo
di Andrea Camilleri, che ha avuto un grande successo, tanto che verrà
riproposta anche nel 2004 [...]».
[...]
Pippo Ardini
La Repubblica,
ed. di Palermo, 10.5.2003
Birritteri lo voleva in giunta
Camilleri scrive al centrosinistra "Lavorerò con voi"
Per lo scrittore un ruolo da consulente
AGRIGENTO - Andrea Camilleri non potrà fare il vice presidente
della Provincia di Agrigento, nel caso in cui il candidato del centrosinistra
Luigi Birritteri dovesse vincere le prossime elezioni, ma di sicuro potrà
fare il consulente per la cultura a titolo gratuito. Lo scrittore lo ha
comunicato via lettera allo staff del candidato presidente dell´Ulivo
e di Rifondazione comunista.
«Avrei voluto essere attivamente al suo fianco nel corso di questa
campagna elettorale per le elezioni provinciali, ma purtroppo - scrive
Camilleri - l´età, con acciacchi connessi, me lo ha impedito.
Resto comunque a sua completa disposizione per qualsiasi cosa possa tornarle
utile, perché ritengo mio dovere di cittadino tentare di arrestare
una deriva politica che di giorno in giorno si manifesta sempre più
pericolosa». Ad Andrea Camilleri, Birritteri aveva proposto la vice
presidenza.
Intanto sono stati resi noti i nomi degli assessori designati da Birritteri:
ci saranno due donne, Gea Schirò Planeta e Gabriella Curella Taibi,
l´ex sindaco di Bivona Giovanni Panepinto, Giuseppe Lauricella, docente
universitario figlio dell´ex presidente dell´Ars Salvatore
Lauricella, il funzionario della Camera di commercio Santo Di Bella e infine
l´ingegnere Calogero Sala.
Fabio Russello
L'Unione Sarda,
10.5.2003
Riviste
“Nae” al secondo numero Cento pagine di cultura
È arrivato in edicola e in libreria il secondo numero di Nae,
la rivista di cultura diretta da Giuseppe Marci e pubblicata dall’editrice
Cuec. Cento pagine, grafica raffinata, foto a colori (di Giorgio Dettori)
di opere di Pinuccio Sciola, articoli, contributi, recensioni, interviste.
In copertina Il cantico delle Pietre di Sciola. Fra l’altro, scritti di
Elisa Careddu e Giuseppe Marci sull’opera di Salvatore Satta; interventi
sul problema della traduzione delle opere letterarie (Yasmina Melaouah
traduttrice in italiano dei romanzi di Pennac e di Serge Quadruppani che
traduce in francese i romanzi di Camilleri). Ci sono anche una lunga intervista
di Paolo Lusci a Sergio Frau, autore del libro-inchiesta di archeologia
Le Colonne d’Ercole e un’altra, non meno interessante, di Eleonora Frongia
ad Alessandro Carrera (letteratura e identità nei territori di confine).
Altri interventi: Giose Rimanelli, Silvano Tagliagambe, Mauro Pala, Giorgio
Rimondi, Susanna Paulis, Alessandra Carta, Filiberto Farci, Vanni Boni,
Simona Pilia, Simona Serra, Tania Baumanna, Alessandra Menesini.
La
Stampa - Tutto Libri, 10.5.2003
Eco insegna le regole del mestiere
Il commissario Montalbano ha i baffi? Per quanto si tratti di uno dei
personaggi attualmente più famosi in Italia, non c'è una
risposta univoca a questa domanda. Dipende dalle versioni. Nelle pagine
di Camilleri, anche se una volta si accenna a dei "baffetti", manca un'accurata
descrizione fisica del celebre poliziotto di Vigàta. Nella rappresentazione
televisiva di Zingaretti c'è un'ombra di barba ma niente baffi.
In una meno nota raffigurazione a cartoni animati lo stereotipo del viso
scuro adorno di mustacchi è ben presente. Alla radio la questione
è del tutto ininfluente. Potremmo dire: chiediamolo all'autore;
che però, interrogato in proposito, s'è spesso schermito.
Oppure: lasciamolo stabilire ai suoi numerosi fans. Sì, ma quali?
I lettori, i telespettatori, gli amanti del fumetto, gli ascoltatori radiofonici?
Insomma, la faccenda va discussa, non foss'altro perché ogni possibile
risposta implica complesse decisioni preventive circa la natura di un personaggio,
la sua proprietà da parte di un autore, la sua fortuna presso il
pubblico, la sua gestione estetica ed editoriale. Una domanda oziosa suscita
interrogativi tutt'altro che ovvi. Qualcosa del genere viene mostrato nell'ultimo
libro di Umberto Eco, Dire quasi la stessa cosa (Bompiani, pp. 391, €
18), dedicato all'intricata questione della traduzione, sia essa la traduzione
propriamente detta, quella fra due lingue, come anche quella fra testi
appartenenti a linguaggi diversi come la letteratura, la pittura o il cinema.
La pratica del tradurre, sostiene Eco, richiede un costante esercizio di
pazienza e di umiltà (tant'è che spesso non viene sufficientemente
valorizzata), ma anche e soprattutto una serie di impegnative decisioni
circa il testo che si deve "voltare" da una versione di partenza, già
data, a una nuova, tutta da costruire. Il traduttore compie cioè,
in modo più o meno intuitivo, più o meno riflesso, una serie
di operazioni molto delicate, che comportano una grande quantità
di prese di posizione sull'eventuale rispetto da tributare all'autore,
sull'ausilio da fornire al lettore, sulla cultura di riferimento dell'uno
e dell'altro, sugli obiettivi comunicativi del testo, il suo stile, la
sua musicalità, la sua collocazione storica e così via. La
questione della traduzione si fonda, ricorda Eco, su un paradosso: se pure
in linea di principio è impossibile una traduzione perfetta, dato
che non esistono due lingue strutturalmente sovrapponibili, la pratica
del tradurre è al tempo stesso necessaria e diffusissima. Le lingue
sono fra loro incommensurabili, restando comunque perfettamente comparabili.
Tanto vale allora, più che discutere che cosa sia e in che cosa
consista teoricamente la traduzione, esplorare che cosa accade in effetti
nel corso dell'esperienza del tradurre. Esperienza che Eco ha fatto personalmente,
non solo traducendo testi complessi come gli Esercizi di stile di Queneau
o Sylvie di Nerval, ma anche discutendo fittamente con i molteplici traduttori
dei suoi romanzi, nonché, in qualità di redattore e responsabile
di collana, rivedendo traduzioni altrui da destinare alla stampa. Ne viene
fuori una ricchissima raccolta di esempi e di casi concreti, che prendono
in considerazione autori e testi di epoche e culture diverse, da Joyce
ad Aulo Gellio, dalla Bibbia a Eliot, da Manzoni a Poe. Più che
un libro di traduttologia, ecco insomma il racconto di una serie di problemi
e di quelle che Eco chiama "negoziazioni", ossia delle soluzioni volta
per volta adottate, sulla base delle decisioni ritenute localmente pertinenti.
Tradurre non è, allora, essere più o meno fedeli, più
o meno traditori, secondo un filone di pensiero un po' moralistico. È
semmai attuare continue forme di compromesso fra i vari elementi in gioco:
l'autore, il lettore, il testo e, perché no? Il traduttore medesimo.
Ma nel libro c'è in realtà molto di più, in quanto
ognuno dei casi concreti ricordati da Eco evoca problemi filosofici e semiotici
molto delicati, che vengono regolarmente esposti e discussi. Ed ecco allora
passare in rassegna i principali concetti dell'attuale riflessione sul
linguaggio: la natura del significato, la centralità dell'interpretazione,
la relazione fra schemi cognitivi e culture di riferimento, il referenzialismo,
l'intertestualità, la relazione fra codici che usano materie sensoriali
diverse, gli effetti visivi della lingua verbale e così via. Scopriamo
in tal modo che la pratica della "negoziazione" non è relativa soltanto
all'esperienza traduttiva, ma è presente più in generale
ogni qualvolta riconosciamo il significato di una parola o di un intero
testo, ma anche attribuiamo un certo senso agli elementi diversi del mondo
che ci circonda. Da questo punto di vista, Dire quasi la stessa cosa continua
il lavoro di ricerca avviato da Eco in precedenti volumi teorici, soprattutto
Lector in fabula (1979) e Kant e l'ornitorinco (1997), dove già
il principio della condivisione intersoggettiva del significato e della
cooperazione interpretativa erano esposti in tutta la loro centralità.
Laddove in quei libri venivano esposte le basi teoriche generali della
cooperazione e della negoziazione, quest'ultimo volume le discute nuovamente,
e le riafferma, sulla base di un problema al tempo stesso centrale e specifico
qual è, appunto, quello della traduzione. Centrale perché
evoca i principali fenomeni linguistici e comunicativi. Specifico perché
la traduzione viene comunque intesa da Eco sotto l'egida dell'interpretazione.
Se ogni traduzione è una forma di interpretazione, non vale per
questo il contrario: l'interpretazione è per Eco un fenomeno semiotico
più generale. Da qui la pertinenza dei presunti baffi del celebre
commissario di Vigàta: metterli o meno non è solo un problema
di traduzione fra linguaggi, ma anche di lettura del personaggio e con
essa di visione del mondo.
Gianfranco Marrone
Lire, 5.2003
Le roi Zosimo
Andrea Camilleri, 375 p., Fayard, 20 €
Quelle galéjade, allez-vous dire! Eh non, Michel Zosimo, paysan
sicilien misérable, surduoé et voyant, devint bien roi éphémère
de Girgenti, l’ancienne Agrigente, en 1718, après avoir désarmé
l’armée piémontaise. C’est en découvrant sa trace
dans un opuscule que le très gourmand, prolixe et inspiré
Camilleri, dont dix-huit romans tantot policiers, tantot historiques sont
déjà traduits en français, décida d’en faire
le récit. Ce grand raconteur d’histoires siciliennes, inventeur
quand il faut, chroniquer quand il sied, n’a pas son pareil pour mettre
en scène et en verve ce fieffé Zosimo qui apprit à
lire et à se cultiver aux cotés d’un ermite illuminé.
Derrière Zosimo et son histoire, c’est toute une société,
mal partagée entre des paysans et une poignée de grands propriétaires
terriens, le tout sous domination espagnole, qu’Andrea Camilleri, qui connait
son ile sur le bout des doigts, dépeint avec drolerie et conviction
(anticléricale notamment). Né en 1925, dans le coin, il livre
avec ce roman auquel il travaillait depuis des années, le meilleur
de son savoir-faire ainsi qu’un vibrant hommage à la liberté
et au reve.
Repères
En Italie, la langue est un millefeuille marqué par la persistance
de dialectes. Camilleri, plus que d’autres, utilise cette inventivité
verbale en melant étroitement, depuis son premier livre, l’italien
littéraire et le dialecte sicilien auxquels il adjoint ici des expressions
espagnoles et un italien d’époque, délicieusement suranné.
De cette façon, chaque personnage, chaque classe sociale et chaque
situation possède son vibrato. Pour rendre cette richesse linguistique,
Dominique Vittoz, la traductrice du Roi Zosimo et des precédénts
La saison de la chasse et Un filet de fumée, transpose l’effet de
décalage entre l’italien classique et le dialecte en recourant à
un décalage du meme ordre entre français moderne d’un coté
et français régional de Lyon ou ancien français de
l’autre. Un parti pris bien plus intéressant que celui qui aurait
consisté à recourir à l’argot ou au patois. “Le lecteur
français, meme s’il ne consulte pas le lexique obligeamment mis
à sa disposition par la traductrice, tout comme le fait à
partir d’un texte original de Camilleri un Italien qui ne connait pas le
sicilien, perçoit donc le mouvement général des phrases
et du récit, emporté qu’il est par le mouvement de la narration
et des dialogues, dans une lecture globale que pimentent des termes ou
des expressions peut-etre inhabituelles pour lui, voire oubliées,
mais nullement hermétiques”, explique judicieusement Mario Fusco
dans sa préface.
Catherine Argand
La Sicilia, 12.5.2003
Miccichè «scomunica» Camilleri
Montalbano «indaga» su Berlusconi?
Camilleri? La sua prosa nasconde attacchi a Berlusconi. Parola del
viceministro Gianfranco Miccichè che in un intervento a Ragusa ha
duramente attaccato lo scrittore, esortando gli stupiti amministratori
a non usare i luoghi del commissario Montalbano, come promozione turistica.
Ragusa. Montalbanomania? Macchè! I luoghi celebrati nello
sceneggiato televisivo più «in» degli ultimi anni? Dimenticateli,
non vanno utilizzati a scopo promozionale. La prosa di Camilleri? Nasconde
un costante attacco contro Berlusconi. Parola di Gianfranco Miccichè,
vice ministro per l'Economia, coordinatore regionale di Forza Italia che,
ieri mattina, a Ragusa, durante una visita a sostegno della campagna elettorale
condotta dal sindaco uscente Domenico Arezzo, ha preso di mira, senza mezzi
termini, lo scrittore di Porto Empedocle, tra lo stupore generale anche
di qualche compagno di partito che, sulle fortune di Montalbano, ha raggiunto,
a livello locale, traguardi insperati sul piano della valorizzazione del
territorio. Una visione che, evidentemente, dovrà essere capovolta
dopo quanto sostenuto da Miccichè. «Montalbano subitelo -
ha detto tra l'altro il vice ministro - non menatelo a vanto. Ho letto
uno degli ultimi libri di Camilleri. Scrive contro Berlusconi. Ha storpiato
i nomi di alcuni ministri ma il riferimento è chiaro. Si vede che
è prezzolato, idealmente o realmente, dai nostri avversari politici.
Per cui, non fate in modo che la provincia di Ragusa venga caratterizzata
dall'esistenza di fattori promozionali rivolti ad un nostro grandissimo
nemico. Camilleri è un «assassino» del centrodestra».
In sala è sceso il silenzio. Qualche imbarazzo anche perchè,
proprio nell'area iblea, della «Montalbanomania», si è
fatto un cavallo di battaglia. Basti pensare che l'amministrazione comunale
di Modica, retta dal centrodestra, ha conferito la cittadinanza onoraria
a Luca Zingaretti, l'attore che impersona il commissario. E lo stesso,
se non fosse stata bruciata sul tempo, avrebbe voluto fare anche la Giunta
del capoluogo, retta sempre dalla Cdl, che sulle fortune dello sceneggiato
trasmesso dalla Rai ha comunque fondato buona parte della promozione turistica.
«Le città della provincia di Ragusa - ha aggiunto Miccichè
- caratterizziamole in un altro modo, con i prodotti ortofrutticoli ad
esempio. Carote, peperoni, melenzane. Sempre meglio di Montalbano».
E la fine di un idillio tra il territorio ragusano e il commissario di
Camilleri? Chissà.
Giorgio Liuzzo
Gazzetta del Sud,
12.5.2003
Ragusa. Il viceministro Miccichè contro Camilleri alla convention
di Forza Italia
«Basta con Montalbano»
Amministratori invitati a puntare su altri “prodotti”
RAGUSA – Prima un invito al candidato sindaco della Casa delle Libertà
Domenico Arezzo di parlare solo in terza persona, coinvolgendo la coalizione;
poi, il ricordo agli altri partiti del Polo che Forza Italia resta la forza
maggiore; quindi, l'affondo contro Andrea Camilleri, reo di aver scritto
un libro contro Berlusconi. La conseguenza è un invito esplicito
ai ragusani: «Montalbano subitelo, ma non vantatelo, perché
il signor Camilleri è uno che scrive contro Berlusconi». Il
vice ministro dell'Economia Gianfranco Miccichè, in provincia di
Ragusa per supportare i candidati a sindaco del centro destra, usa il bastone
e la carota. Prima che prenda la parola alla convention di Forza Italia,
sul podio si alternano il deputato nazionale Giovanni Mauro, il senatore
Riccardo Minardo, il deputato regionale Innocenzo Leontini, il presidente
della Provincia Franco Antoci e il candidato sindaco Domenico Arezzo. Quindi
tocca a Miccichè. Il plenipotenziario di Berlusconi in Sicilia mette
in evidenza i risultati portati a casa con il governo Berlusconi e lo fa
rimarcando le differenze con la coalizione avversaria: «Mentre Violante,
Mussi, Rutelli e D'Alema, in Sicilia, dicevano che il governo Berlusconi
si è dimenticato della Sicilia, il Cipe firmava gli assegni per
14,2 miliardi di euro per il Mezzogiorno, la cifra più alta mai
ricevuta dal Sud. Alla Sicilia sono arrivati 640 milioni di euro. In più,
sono arrivati altri 800 milioni di euro, grazie al lavoro fatto da Enrico
La Loggia per il contenzioso Stato-Regione». Restando sui temi economici,
Miccichè ha rimarcato le peculiarità della provincia iblea,
ricordando che questa «è la provincia numero uno in Sicilia
per prodotto interno lordo. State meglio degli altri – ha rimarcato – e
crescete meglio degli altri». Ciò, comunque, non significa
che a Ragusa non arriverà una parte dei fondi destinati alla Sicilia,
perché «è la Regione ad essere obiettivo uno e voi
siete qui». Al tema del giorno, la polemica su Telekom Serbia, Miccichè
dedica solo un passaggio, chiarendo subito di non voler entrare nel merito
e di non saper bene cosa sia questa questione. Ma, aggiunge, «davanti
a me ho questa fotografia: uno sta in galera, è assassino riconosciuto,
accusa Berlusconi ed esce; un altro è fuori dalla galera, non è
riconosciuto delinquente da nessuno, accusa Prodi e vi entra». Miccichè
ha scoperto, arrivando a Ragusa, che, nel capoluogo ibleo, non c'è
l'accordo tra la coalizione che supporta il sindaco uscente Arezzo e Nuova
Sicilia. E' rimasto meravigliato e non l'ha nascosto. Nel corso della convention
ha ammonito i rappresentanti della Casa delle Libertà e, indirettamente,
anche Nuova Sicilia. «E' necessario che il rapporto a Ragusa cambi.
Deve cambiare – ha aggiunto – più da parte loro che da parte nostra.
Però, coinvolgete anche il livello regionale. Nuova Sicilia è
un partito cui la CdL ha dato due collegi nazionali, per cui non può
decidere di andarsene così». Il vice ministro ha assicurato
il suo intervento immediato: «Chiamerò Bartolo Pellegrino,
obbligandolo a un disimpegno. Non c‘è motivo perché i candidati
della sua lista debbano far votare un sindaco inesistente. Pellegrino ce
lo deve». Prima di lasciare il palco del teatro don Bosco, il vice
ministro torna a parlare del commissario Montalbano e del suo “padre”,
Andrea Camilleri, ammonendo gli amministratori iblei: «Per favore,
tutto questo vanto di Camilleri vorrei evitarlo. Scrive bene, ma se una
persona mi sta tentando di massacrare non mi piace più. Non posso
essere contento che un posto si caratterizzi dell'esistenza di un nostro
nemico».
Antonio Ingallina
Carmilla,
12.5.2003
Il regno delle due Sicilie: Battiato abbraccia Camilleri
“Il regno delle due Sicilie emblematizza due generi opposti di rappresentazione:
una mitologica e perciò umana (quella di Battiato), l'altra finzionale
e antiumana (quella del Camilleri televisivo).”
“Contro questa Sicilia, si schiera quella cartolinistica, inesistente,
falsissima, radiosamente crepuscolare che gli italiani hanno subìto
assistendo alla veterofiction di Montalbano.”
Ho stampato l’articolo di Giuseppe Genna, pubblicato il 9 maggio su
Carmila on line, e sottolineato le parole che, in questo mio scritto, riporto
in apertura, a mo’ di citazione. Amo tantissimo Battiato, e da anni leggo
con piacere i romanzi di Camilleri (che non ha scritto solo storie imperniate
su Salvo Montalbano), e devo confessare che sono parole che mi hanno fatto
molto riflettere, forse mi hanno anche turbato un poco.
Per questo ho messo su un cd di Battiato e posato accanto a me, vicino
alla tastiera del computer, il romanzo di Camilleri che amo di più
- La concessione del telefono -, come se i due oggetti, l’uno esplicando
i suoi effetti attraverso gli altoparlanti, l’altro mostrandomi civettuolo
la copertina, potessero dare risposta ai miei dubbi.
Alla fine sono giunto a una conclusione alla Catalano: la musica è
musica, la fiction è fiction. E i film di un musicista sono i film
di un musicista. Aggiungerei anche: “La Sicilia è Sicilia”, se non
temessi di dilungarmi troppo in simili, tautologiche, affermazioni.
Innanzitutto un appunto a Giuseppe Genna (ma piccolo piccolo, ché,
in fin dei conti, non ha comunque sbagliato il centro che di pochi millimetri):
se parla di Montalbano in TV, non parla del Montalbano letterario. Quello
della fiction TV è un Montalbano decorativo, utile alla finzione
televisiva; chiunque abbia letto i romanzi che lo vedono protagonista,
sa che il Montalbano di carta è cinquantino e non si sa esattamente
che aspetto abbia, mentre il Montalbano TV ha la faccia di uno Zingaretti
che impersona perfettamente il poliziotto rude ma buono, poco propenso
a rivelare i propri sentimenti, epperò profondo e legato a valori
positivi e, per soprammercato, gaglioffo e amato dalle donne. Dicevo, un
appunto piccolo piccolo, perché le fiction TV, in fin dei conti,
rispecchiano pressoché integralmente i romanzi.
Fatto l’appunto, però, devo concordare con Genna. E’ vero: Montalbano
(intendo la fiction-romanzo, non il personaggio) è falso, slegato
dalla realtà locale, talvolta macchiettistico; tende a rappresentare
una Sicilia iconografica, evocativa di sensazioni comuni e comprensibili
a spettatori cresciuti a storie di mafia, e di poliziotti buoni che non
rispettano le gerarchie burocratiche, e di episodi di bontà deamicisiani,
e di piccoli episodi quotidiani che s’incasellano nel grande trascinarsi
degli eventi, e tante altre cose ancora.
Trovo che sia una cosa naturale: la fiction (così come i bestseller)
vive della propria capacità di essere compresa da ampi strati della
società, senza necessità di un valore qualitativo eccelso.
Ma è fiction. Solo fiction.
Una fiction che forse ci fa sentire (noi siciliani, intendo) talvolta
stupidotti, talvolta scaltri, oppure insistentemente ossequiosi, dediti
a complotti, capaci di grandi slanci come di azioni terribili, o in mille
altri modi. Comunque mai come persone normali, che vivono la vita di ogni
giorno senza raffrontarsi in continuazione col resto del mondo oltre lo
Stretto.
Camilleri infarcisce i suoi romanzi di poliziotti semianalfabeti o
imbecilli e di poliziotti volponi. Non esiste la via di mezzo (che poi
sarebbe il poliziotto ordinario, quello che, probabilmente incontreremmo
recandoci in un qualsiasi commissariato). E poi: professori in pensione
legati a valori antichi, vecchi boss mafiosi che parlano come filosofi,
giovani boss mafiosi irruenti e violenti, anziane e sagge signore in carrozzina
che danno consigli sulle indagini, operai umili ma onesti, immagini di
miseria e di unità tra poveri, collaboratrici domestiche che ringraziano
il commissario di aver arrestato i loro figli straviati (non è una
citazione!).
Tutto eccessivo? Tutte immagini per palati dai gusti poco raffinati?
Finzione scenica di bassa lega?
Forse. Però a me piace… Piaceva, prima di leggere l’articolo
di Genna.
Ma è finzione anche l’opera di Battiato, che, per inciso, fu
pure lui accusato di fare musica commerciale e di bassa lega.
Non ho visto il film diretto dal musicista, ma lo intuisco attraverso
le parole di Genna.
“La Sicilia di Battiato è l'India: un'India shankariana vista
con occhi sudamericani. Colombiani, per la precisione: è un'adolescenza
che Garcìa Marquez iscriverebbe nella sua Macondo quella che Battiato
illumina con una luce per nulla abbagliante, aprendo porte strane e metafisiche:…”
Chi vive in Sicilia - chi vive la Sicilia! – non vede ciò che
lo circonda con “occhi sudamericani”, non sa nemmeno cosa voglia dire “shankariano”,
e ritengo che quelli che sanno cosa sia Cent’anni di solitudine, siano
in numero molto minore di quelli che sanno dove trovare “Cronaca vera”.
Battiato, nella musica (come, suppongo, nel suo film) racconta spesso
la sua infanzia e la sua giovinezza.
Mammanu ca passunu i jonna
Sta frevi mi ntrasi nta l’ossa
Cu ttuttu ca fora c’è a guerra
Non mori
Mi sentu stranizza d’amuri
L’amuri
E ancora
E quannu t’ancontru nta strata
Mi veni na scossa nto cori
Cu ttuttu ca fora si mori
Non mori
Stranizza d’amuri
L’amuri
Trovo bellissimi questi versi, così come questi altri, tratti
dalla stessa canzone:
Nto vadduni da Scammacca
Ogni tantu i carritteri
Ci lasaunu i loru bisogni
E i muscuni c’abbulaunu supra
Jemmu a caccia di lucettuli
A litturina da Ciccumettnea
I saggi ginnici, u Nabuccu,
a scola sta finennu
Descrizioni commoventi di un’infanzia rivista sotto una luce soffusa,
ambrata. Nostalgie di un poeta, capaci di evocare nostalgia in chi le ascolta.
E’ vero (cito Genna): “La Sicilia di Battiato è un'esperienza
del sogno che ha attraversato lo sguardo di un'infanzia sicula e mitologica,
vera, storica, una coincidenza miracolosa che capita all'artista, quando
fa incrociare la storia dell'umanità con la specola di se stesso.”;
ma fino a un certo punto!
La profondità del messaggio, il fatto che scaturisca dalla volontà
di esprimere se stessi e non solo dalla necessità di conquistare
nuove fette di mercato, la sua bellezza intrinseca, non deve indurre a
pensare che sia “più vero” di quello trasmesso dai romanzi-fiction
di Camilleri, che è siciliano quanto Battiato (e quanto altri cinque
milioni e mezzo di persone), ma fa un mestiere diverso e, soprattutto,
vuole raggiungere (per il tramite di Montalbano) fini diversi.
Prendersela, per come la vedo io, può essere forse una naturale
presa di posizione di chi ama la propria terra e non desidera che venga
messa in ridicolo assieme a tutti i suoi abitanti; ma è pur vero
che la rappresentazione sintetica, edulcorata e romanzesca della realtà
(la scimmia di cui parla Genna) non riguarda solo la Sicilia. Per anni
abbiamo trangugiato film western e avventure di Bruce Lee (due esempi a
caso, ché la lista sarebbe lunga), senza chiederci come potessero
sentirsi gli abitanti del Far West a essere descritti come truci sterminatori
di indigeni. O gli abitanti di Hong Kong a essere immaginati come una razza
di esseri litigiosi e perennemente dediti a cavarsi, con le dita, gli occhi
l’un l’altro.
Mal comune, mezzo gaudio; e forse è comunque positivo che la
Sicilia abbia un’immagine sua, un’identità, una dignità (magari
vilipesa): altre regioni d’Italia non sono altrettanto fortunate.
Il compito di chi vende divertimento è attirare il pubblico,
e il pubblico, nelle sue considerazioni, non è sempre sottile come
si desidererebbe.
Piacerebbe anche a me che i siciliani non fossero immediatamente identificati
con i personaggi de Il Padrino (due sequel, se non ricordo male, tutti
di grande successo), o de La Piovra (tantissimi sequel!), o come i ragazzi
dentro (verissimi eppure iconografici anch’essi), di Mary per sempre. Mi
piacerebbe perché, ogni volta che vado più su di Napoli –
e per il solo fatto che cerco di comportarmi secondo l’educazione che i
miei genitori mi hanno impartito - mi sento dire che non sembro siciliano,
come se quella siciliana fosse una razza particolare, una genìa
che adora andare in giro armata a terrorizzare e uccidere, o anche solo
a intessere importanti relazioni votate a chissà quali fini illeciti.
In questo contesto, trovo che Montalbano sia il minore dei mali, probabilmente
il più innocuo dei modelli negativi. In fin dei conti si tratta
di un poliziotto buono che combatte i grandi incubi del giorno d’oggi:
pedofilia, traffico d’organi, politici corrotti, trafficanti di droga,
caronti di extracomunitari. Anche qualche mafioso, ogni tanto.
Ecco, ora che ho messo su carta i motivi del mio turbamento, e ad esso
ho dato sollievo, mi sento meglio.
Continuerò ad ascoltare Battiato e andrò a vedere il
suo film. E continuerò a leggere Camilleri, a guardare le fiction
in TV, divertendomi a riconoscere i posti dove sono state girate le scene
- tutti posti lontanissimi da Vigata-Porto Empedocle -, magari per decidere
di andarci a fare una capatina.
E’ fiction. Solo fiction.
Mauro Mirci
La Vanguardia, 12.5.2003
Opinion (El Runrún)
Por un artículo de Màrius Serra ("Promoción literaria",
8/V/03) nos enteramos de que el Ayuntamiento de Porto Empedocle, en Sicilia,
ha honrado al escritor Andrea Camilleri cambiando el nombre de la ciudad.
Camilleri se inspiró en Porto Empedocle, donde nació, para
crear la ficticia "Vigàta", en la que vive su personaje Montalbano;
y ahora el Consistorio ha bautizado la ciudad Porto Empedocle Vigàta.
¿Es eso la gloria? Los buenos lectores saben que Macondo, donde
transcurre "Cien años de Soledad", es (con todos los matices que
se quiera) Aracataca, ciudad natal de García Márquez, igual
que el barón de Charlus, en "A la búsqueda del tiempo perdido",
es el conde de Montesquieu; pero pocos autores han tenido el honor de que
sus personajes o escenarios crucen, en el sentido inverso, la frontera
que separa la realidad de la ficción. Tan excepcional como el Porto
Empedocle Vigàta es el caso del pueblo francés llamado hoy
Illiers-Combray, nombre compuesto a partir del "Illiers" verdadero y el
"Combray" inventado por Proust; o el de la villa manchega de El Toboso,
donde se puede visitar una casa llamada "de Dulcinea"; o el de Alice Liddell,
que por haber sido en su infancia amiguita de Lewis Carroll, hasta el fin
de sus días fue conocida como "Alicia, la del País de las
Maravillas"... ¿Qué es la gloria? De lejos, parece fácil
contestar esa pregunta. La gloria sería que algún día,
tras la muerte del artista, se escriban libros sobre su vida, o se dé
su nombre a una calle, o se publiquen sus cartas o su casa se convierta
en museo...
Pero eso que se llama aceleración de la historia está
produciendo un efecto curioso: achata el mito. Antes, la biografía
estaba separada de la vida por el tiempo y la distancia, que permitían
estilizar, depurar, idealizar: el biografiado adquiría un aura,
una pátina; parecía predestinado, hecho de otra materia que
la del común de los mortales. Ahora, cuando las biografías
se escriben tan pronto como el biografiado ha muerto, si no antes,
cada vez es más difícil ocultar que fue como qualquiera de
nosotros. Yo traduje la biografía de una escritora que trabajaba
en una revista, hacía régimen para adelgazar y cuidaba las
plantas. Las cartas de muchos artistas, cuando se publican, resulta que
sólo hablan de dinero y cotilleos. En uno de sus sarcásticos
poemas, Philip Larkin se imagina a su futuro biógrafo contándole
a un colega, junto a la máquina de coca-cola de la biblioteca, que
ese tal Larkin era un reprimido, un tarado, sin mayor interés, y
que está escribiendo su biografía porque no le queda más
remedio si quiere un contrato fijo en el departamento... ¿El nombre
de una ciudad, entonces, o de una calle?... Camilleri, con muy buen criterio,
ha sido el primero en señalar que lo de Porto Empedocle Vigàta
es más que nada una maniobra turística: donde parece que
se le honra, en realidad se le usa. Yo paso cada día por una callejuela
feísima, pobretona, compuesta por desangelados edificios de ladrillo,
que se llama María Zambrano. Pobre María Zambrano: ¿para
aeso trabajó toda su vida, se entregó a su obra, soportando
la miseria y el exilio,?... Dice Proust que el escritor empieza a escribir
po la gloria, pero termina haciéndolo por la literatura misma. Más
le vale.
Laura Freixas
La Sicilia, 13.5.2003
Camilleri «si avvale della facoltà di non rispondere»
alle accuse del viceministro Miccichè che lo ha definito «assassino
del centrodestra e nemico di Berlusconi».
«Non ribatto a Miccichè»
Camilleri tace. E Granata difende il commissario Montalbano
Agrigento. Probabilmente non risponderebbe nemmeno se ad interrogarlo
fosse il commissario Montalbano, il celebre personaggio che lui stesso
ha creato. Andrea Camilleri ha insomma scelto di non replicare alle accuse
che gli ha rivolto il viceministro dell'Economia Gianfranco Micciché
(che domenica a Ragusa gli ha dato, tra altre cose, dell'«assassino
del Centrodestra» e del «nemico di Berlusconi»). «A
Gianfranco Miccichè non rispondo» ha detto seccamente Andrea
Camilleri che peraltro non ha mai nascosto le sue inclinazioni politiche
tanto da avere accettato la nomina di consulente per la cultura dal candidato
del Centrosinistra alla presidenza della Provincia di Agrigento, Gigi Birritteri.
Ieri Gianfranco Miccichè, viceministro e coordinatore regionale
di Forza Italia, ha in parte corretto il tiro ma ha ribadito: «Nessuna
polemica con Camilleri, ma non lo conosco e non lo voglio conoscere».
Ieri da Catania anche il leader dell'Udc Marco Follini ha preso le
distanze da Micciché: «Leggo Montalbano e sono amico di Silvio
Berlusconi e tra le due cose non vedo contraddizioni». Da Agrigento
invece, a due passi da Vigata, l'assessore regionale ai Beni culturali
Fabio Granata ha dichiarato: «Ognuno ha i suoi gusti letterari ed
ognuno interpreta il rapporto tra politica e cultura come meglio crede.
Io ritengo però che lo sceneggiato di Montalbano ha oggettivamente
promosso un'area della Sicilia. Vorrei ricordare che a Ragusa le presenze
turistiche sono aumentate del 29 per cento, mentre a Siracusa del 21 per
cento. A Micciché questo dovrebbe fare piacere. E poi i turisti
lì ci vanno non perché c'è solo Montalbano, ma anche
perché c'è la qualità del territorio, ci sono i prodotti
tipici e c'è la Val di Noto ed il suo barocco».
C'è insomma imbarazzo anche tra gli stessi uomini del Centrodestra
perché sul business legato al commissario Montalbano ed ai luoghi
in cui è stata girata la fiction tv si è creata una fiorente
economia: l'Apt ragusana ha inserito la casa utilizzata nelle riprese tv
sul commissario Montalbano in un tour turistico, sono nati bed and breakfast
per accogliere i turisti in cerca degli angoli raccontati nei romanzi di
Camilleri, alla Bit di Milano è stato presentato un video per illustrare
«i luoghi del commissario Montalbano», mentre Modica, retta
peraltro da una giunta di centrodestra, ha conferito la cittadinanza onoraria
all' attore Luca Zingaretti, senza dimenticare che il presidente della
Repubblica Ciampi ha nominato cavaliere l' attore e grande ufficiale Andrea
Camilleri.
Fabio Russello
La Sicilia, 13.5.2003
La polemica. Il deputato vittoriese La Grua non condivide il pensiero
del viceministro Miccichè
«Non ripudiamo i luoghi di Montalbano»
Una cosa è la politica, un'altra è la serie televisiva.
Soprattutto se quest'ultima spinge l'arrivo dei turisti. Il giorno dopo,
le esternazioni del vice ministro per l'Economia Gianfranco Micciché
su Andrea Camilleri e il suo famoso «figlio di penna», il commissario
Salvo Montalbano, rimbombano tra perplessità e disaccordi all'interno
della stessa coalizione di centro destra. Il deputato di An Saverio La
Grua non ha alcuna remora a prendere apertamente le distanze dalle parole
che il leader di Forza Italia ha usato durante la visita a sostegno della
campagna elettorale del sindaco uscente di Ragusa, Domenico Arezzo. «Non
posso non dissociarmi - scrive l'on. La Grua in una nota - dalle valutazioni
di Micciché sull'utilizzo del commissario Montalbano come mezzo
di promozione del nostro territorio». Riconoscendo al vice ministro
il merito del risultato elettorale di due anni fa in Sicilia e la paternità
dei consistenti aiuti finanziari all'isola, il deputato vittoriese distingue
il giudizio politico di Micciché sullo scrittore (ha detto il vice
ministro: "Ho letto uno degli ultimi libri di Camilleri, scrive contro
Berlusconi, ha storpiato i nomi di alcuni ministri ma il riferimento è
chiaro. Si vede che è prezzolato, idealmente e realmente, dai nostri
avversari politici. Per cui - riferito agli amministratori locali della
Casa delle libertà - non fate in modo che la provincia di Ragusa
venga caratterizzata dall'esistenza di fattori promozionali rivolti ad
un nostro grandissimo nemico...") al marketing turistico legato alla scenografia
della serie televisiva ammirata in tutta Europa. «Le valutazioni
politiche - prosegue La Grua - su Andrea Camilleri posso anche condividerle,
ma ciò non può e non deve impedire agli enti locali o a quelli
preposti allo sviluppo turistico della nostra provincia di utilizzare l'immagine
ed i luoghi di Montalbano per richiamare nel nostro territorio tanti turisti
che vogliono vedere nella realtà i palazzi, le chiese, i paesaggi,
le case, il mare che hanno visto in tv nei vari episodi. Sarebbe un errore
se questa popolarità non venisse adeguatamente sfruttata, anche
se questa è frutto della fantasia di uno scrittore del quale non
si condividono le idee politiche ostili agli uomini del centro destra».
Per La Grua anche stavolta il fine giustifica i mezzi. «Con buona
pace di Micciché i ragusani continueranno a menar vanto degli splendidi
luoghi dove è stata filmata la fiction».
Antonio Casa
La Sicilia, 13.5.2003
Elezioni. Il segretario dell'Udc a Catania: «Bossi esagera con
la sua devolution. Voteremo una legge che non danneggi nessuno»
Follini: «Noi, una garanzia per il Sud»
[...]
Senta, onorevole Follini, lei che è uomo di pace, pensa, come
Gianfranco Miccichè, che Andrea Camilleri e il suo commissario Montalbano
tramino (anche loro) contro Berlusconi?
«Leggo Montalbano e sono amico di Silvio Berlusconi. Dico solo
che tra le due cose non vedo contraddizioni».
Andrea Lodato
La Repubblica,
ed. di Palermo, 13.5.2003
IL VILLAGGIO
La polemica di Miccichè contro l´autore di Montalbano
Gianfrancuzzo aiuta il turismo
Lettera di Mariannina Scuffaro, amica oramai dilettissima del direttore
di questo giornale.
Direttore mio, ve lo dissi in passato e ora ve lo ripeto, Gianfrancuzzo
Miccichè non lo voglio toccato, perché lui è bellu
giovine e quando parla spara cantonate. Lo dissi stamattina anche dalla
parrucchiera Santuzza, che ha una bottega sotto casa mia.
E fu lì, mentre stavo sotto il casco per farmi i riccioli -
sì, direttore mio, riccioluta sono, anche se non di natura ma di
permanente - che ci fu il cortiglio generale. Dissero che Gianfrancuzzu
ha mandato la fatuah a Montalbano e a Camilleri, davanti a tutti li condannò,
vestito magari della jellaba, dissero, e senza mezze misure per giunta,
perché comunista e mangipicciriddi. E per questo alla bottega ci
fu mormorio generale, perché nessuno conosce questo Camilleri ma
tutti conoscono il commissario Montalbano.
E tutte quelle galline dicevano: «Io a Montalbano non lo voglio
toccato, ché ammazzasse piuttosto questo Camilleri, chi è
poi, chi lo conosce?». Dicevano. E qualcuna che si dava arie di femmina
di intelletto, invece è 'na sciollera e non voglio dire chi è
perché non voglio fare pettegolezzi - certe cose si dicono solo
a voce e se Lei, direttore mio, vuole saperlo io glielo dico poi in privato;
insomma questa sciollera di femmina disse: «Come chi è? Quello
che ha scritto Montalbano è». E naturalmente alla bottega
ci fu il finimondo - Cettina Sghembari si bruciò persino i capelli
per avere fatto la pazza sotto al casco - perché nessuna e dico
nessuna volle crederci, ché Montalbano dissero tutte è opera
di natura, e che qualcuna di loro l´ha persino conosciuto, a Palermo,
dove il dottor Montalbano in carne e ossa le fece un favore, quale non
disse.
Poi nella confusione a me si rivolsero, che sono giramondo e cosmopolita:
«Voi che ne pensate donna Mariannina?», così mi dissero.
«Che siete tutte cretine», risposi. «Primo perché
non capite che Gianfrancuzzo non si deve toccare, secondo perché
lui lo sa benissimo che Montalbano è un personaggio, persino Gianfrancuzzo
lo è, e persino il cavaliere Berlusconi» - di se stesso, ho
precisato, di se stesso; ché anzi lui si scrive e lui si recita.
Che il mondo è fatto di due mondi dissi, quello che c´è
e quello che si inventa. È quando i due mondi si toccano che avviene
il patatrac.
E per portare esempio, diciamo per proverbio, dissi che qualche giorno
addietro ero andata con mio marito - quello cretino - a Montelepre e mangiai
nella trattoria "Il castello di Giuliano", e mangiai bene, anzi benissimo,
sotto gli occhi del nipote del bandito, in tutte le pose e in tutte le
forme presente, in fotografia gigantesca, in pittura - ora era quello il
bandito assassino che le cronache dicono, o fantasia dell´immaginazione
romantica del nipote? - che poi tanto romantico non doveva essere; - insomma
questo chiesi: il Giuliano pittato era fantasia o realtà? O realtà
diventata fantasia? O al contrario fantasia diventata reale come il dottor
Montalbano della Questura di Palermo che avevano visto in carne e ossa?
«Ma allora il viceministro Miccichè chi voleva condannare?»,
chiesero.
«Nessuno. E che credete che il mio Gianfrancuzzu sia così
stonato come voi? Quello voleva dare impulso al turismo. E poiché
niente come una fatuah condannevole rende famoso un posto, una persona,
chiunque» - persino del dottor Rushdie dovetti parlare a quelle cretine,
che io stesso ho conosciuto con gli occhi miei a Washington, quello che
aveva scritto i Versetti del Profeta al contrario e con tutte le porcherie
dell´epoca. E che per questo è stato maledetto dal capo dei
Mullah del suo paese (Gesuzzu quante cose so). E che da allora tutti fanno
finta di volerlo ammazzare, per finta ripeto, con il vero scopo di fare
vendere qualche libro alla Mondadori.
Per questo ora dico: Gianfrancuzzu, io ti approvo e ti do la mia benedizione,
tu però sempre tosto sei, come da picciriddu. Ti benedico, perché
il turismo quest´anno dicevano che era di malannata, invece con la
tua condanna ora tutti vengono a vedere i luoghi di Montalbano, e senza
che la Regione spenda una lira per fare pubblicità. E se per caso
viene a fare turismo anche il dottor Montalbano di Palermo e il dottor
Zingaretti da Roma vuol dire che si spartono gli autografi.
Silvana La Spina
La Repubblica,
13.5.2003
POLITICA. Il viceministro dell'Economia invita a non affidarsi al creatore
di Montalbano per promuovere l'immagine di Ragusa
Micciché attacca Camilleri: "E' un assassino del Polo"
"Storpia i nomi dei ministri, ce l'ha con noi"
PALERMO - Meglio i pomodori e le zucchine che il commissario Montalbano.
Per esportare l'immagine di Ragusa è meglio affidarsi ai prodotti
ortofrutticoli - vanto e traino dell'economia della zona - che ad Andrea
Camilleri. Parola del viceministro dell'Economia Gianfranco Miccichè,
secondo il quale lo scrittore agrigentino da anni in testa alle classifiche
di vendita dei libri, si trascina dietro una pecca che gli impedisce di
fare da testimonial a questa zona della Sicilia dove è stato girato
lo sceneggiato tv tratto dai suoi gialli: "Scrive contro Berlusconi. In
uno dei suoi ultimi libri ha storpiato i nomi di alcuni ministri ma il
riferimento è chiaro".
Probabilmente il riferimento è all'ultimo giallo, "Il giro di
boa", nel quale il commissario Montalbano rimugina a lungo sul "presidente
del consiglio che se la fissiava avanti e narrè per i carrugi di
Genova", oppure si arrabbia per la legge "Cozzi-Pini" sull'immigrazione.
Il vice di Tremonti, che l'estate scorsa aveva attaccato il regista Luigi
Ronconi, "colpevole" di aver messo in scena a Siracusa una versione delle
"rane" di Aristofane in cui comparivano le caricature di Bossi, Fini e
Berlusconi, ora ha messo nel suo mirino il creatore del commissario Montalbano.
E lo ha fatto nel corso di un incontro elettorale a Ragusa. Il coordinatore
siciliano di Forza Italia ha usato parole pesantissime contro lo scrittore:
"Si vede che è prezzolato, idealmente o realmente, dai nostri avversari
politici. Per cui non fate in modo che la provincia di Ragusa venga caratterizzata
da iniziative promozionali riconducibili ad un nostro grandissimo nemico.
Camilleri è un assassino del centrodestra".
Nella sala dove si svolgeva il comizio elettorale è sceso il
gelo. Il fatto è che proprio in quella zona, un tempo isola rossa
siciliana governata dal Pci e oggi roccaforte forzista, da qualche tempo
si è innescato un feeling tra gli amministratori e lo scrittore.
Il comune di Modica, retto dal centrodestra, ha conferito la cittadinanza
onoraria a Luca Zingaretti (l'attore che ha impersonato il commissario
Montalbano in tv) e la stessa giunta di Ragusa - guidata da un esponente
di Forza Italia - ha inserito la casa utilizzata nelle riprese televisive
in un tour turistico. Come se non bastasse, poi, l'assessore alla Cultura
della Regione, Fabio Granata, di An, ha chiamato proprio Andrea Camilleri
a fare da testimonial della Sicilia all'ultimo salone del libro di Parigi.
La sortita di Miccichè ha quindi messo in imbarazzo lo stesso
centrodestra. Ieri, da Catania - dove era impegnato in un giro elettorale
- il segretario dell'Udc Marco Follini ha tagliato corto: "Leggo Camilleri
e sono amico di Silvio Berlusocni e tra le due cose non vedo contraddizioni".
Anche il viceministro dell'Economia è tornato sull'argomento.
Solo per ripetere che "Camilleri è bravissimo, scriva quello che
vuole, ma per caratterizzare Ragusa c'è di meglio".
L'eco delle parole pronunciate davanti ai forzisti ragusani, però,
arriva fino alle orecchie dello scrittore siciliano che replica così:
"Io sono tradotto in 22 lingue, succede che molti dei lettori abbiano voglia
di vedere i luoghi dove si svolgono i miei romanzi. Questo rappresenta
un piccolo incremento per il turismo in Sicilia, mi pare che per un vice
ministro all'economia tutto questo dovrebbe essere importante". Poi Camilleri
aggiunge: "Non è una questione di Polo o di poli. Io non faccio
distinzioni, i sindaci rappresentano i paesi siciliani e i cittadini da
cui sono stati eletti. Berlusconi? Non direi che tutti ce l'hanno con lui,
Berlusconi va giudicato per quello che fa".
Goffredo De Marchis / Enrico Del Mercato
La Repubblica,
13.5.2003
Bonsai
Il Dott. Melanzana
Che non gli piacciano i pubblici ministeri, lo sapevamo da un pezzo.
Che non ami i giudici, l´abbiamo capito. Ma ora scopriamo che il
Cavaliere non gradisce neanche il commissario Montalbano. Anche se non
ha mai indagato sul caso Imi-Sir, sul lodo Mondadori o sulla vendita della
Sme, il più popolare (e il meno reale) dei poliziotti italiani è
finito nel libro nero di Forza Italia. Apprendiamo dalla cronaca de «La
Sicilia» che il viceministro Gianfranco Miccichè, proconsole
berlusconiano nell´isola, ha spiegato ai compagni di partito che
Andrea Camilleri «scrive contro Berlusconi» ed è «prezzolato
idealmente o realmente dai nostri avversari», insomma «è
un assassino del centro-destra».
Ma cosa si può fare per neutralizzare l´unico commissario
di polizia che non dipenda dal Viminale? L´ordine impartito dal viceministro
è quello di ignorarlo: da ora in poi non va più nominato
tra i simboli della Sicilia. Per promuovere le nostre città, ha
detto Micciché, «utilizziamo carote, peperoni e melanzane».
Forse faranno anche una legge ad hoc, o magari una riforma costituzionale,
per trasferire da Montelusa il commissario comunista. E così, al
prossimo episodio, troveremo il suo successore: «Pronto, Melanzana
sono".
Sebastiano Messina
l'Unità, 13.5.2003
Micciché ordina: "Camilleri è un nemico, l'assassino
del centrodestra"
Altro che Montalbano: "Micciché sono: viceministro e viceré
berlusconiano nelle terre di Sicilia". In preda ad un irrefrenabile delirio
di onnipotenza Gianfranco Micciché sfodera la spada e mena fendenti
ad Andrea Camilleri.
In visita elettorale a Ragusa, il finto professore universitario se
l'è presa col papà del commissario Montalbano. "Camilleri
subitelo - ha detto ai suoi - menatelo a vanto della Sicilia". Il perché
è presto detto. Nell'ultimo suo libro, "Il giro di boa", Camilleri
"scrive contro Berlusconi. Ha storpiato i nomi di alcuni ministri, ma il
riferimento è chiaro". Certo, lo scrittore empedoclino ha
venduto milioni di copie con i suoi libri e nella sua Sicilia è
semplicemente venerato, ma questo non basta, perché Micciché
("uno che ha tanto fiuto e non solo politico", secondo il suo ex nemico
Ciccio Musotto) ha già pronto il suo anatema e non ci sarà
bolla di componenda a sanare la diatriba. Perché "si vede che Camilleri
è prezzolato, idealmente o realmente, dai nostri avversari politici.
Per cui non fate in modo che la provincia di Ragusa venga promossa grazie
a questo personaggio. Camilleri è un nostro grandissimo nemico,
un "assassino del centrodestra". Certo, individuato il cadavere - il centrodestra
- e l'assassino, ci vuole un commissario per arrestarlo. Detto fatto: c'è
Montalbano. Che non sia la trama del prossimo romanzo? Nell'attesa, Micchiché
ordina ai suoi di non caratterizzare più le città e i paesi
del Ragusano con il famoso commissario. "Ci sono i prodotti ortofrutticoli,
le carote, i peperoni, le melanzane". Più ortaggi meno libri. La
folla forzista ha applaudito convinta, ed è tutto vero, non è
la riedizione della gustosa gag dell'onorevole siculo-calabrese Cetto Laqualunque
di Antonio Albanese, quello che alla fine di ogni comizio prometteva "cchiù
pilu pi tutti". E' proprio lui, Gianfrancuccio Micciché. Che in
un colpo solo si è inimicato il famosissimo scrittore siciliano,
i suoi fans e anche molti sindaci di centrodestra della sua Sicilia. Quelli
di Modica, proprio nel ragusano, che hanno conferito con tutti gli onori
la cittadinanza onoraria a Luca Zingaretti, il Montalbano televisivo, e
quelli di Porto Empedocle che hanno chiesto e ottenuto di aggiungere al
nome originario della città anche quello della finzione, Vigata.
Perché Montalbano tira, nelle librerie e in tv, con milioni di libri
venduti e ascolti elevati, e la descrizione di angoli della Sicilia a volte
sconosciuti è di per sé un traino per il turismo. Lo hanno
capito i sindaci, i proprietari di alberghi e ristoranti, non lo ha capito
Micciché. E questa non è una notizia.
Perché il viceministro è ormai totalmente preso dalla
logica amico-nemico, impegnato com'è nel grande regolamento di conti
(politico, s'intende) con il suo avversario in Sicilia: Marcello Dell'Utri.
E quindi un Camilleri che parla di Genova e di G8, di governo e leggi razziste,
del suo Montalbano che medita addirittura di lasciare la polizia non gli
va proprio giù: è un nemico di Berlusconi. E il turismo vada
a farsi benedire.
"Da tempo il viceministro Micciché manifesta evidenti sintomi
di delirio, ma adesso sembra essere entrato nella fase più acuta",
è il duro commento di Antonello Cracolici, segretario dei ds siciliani,
"ora persino Camilleri nei suoi romanzi nasconderebbe una pericolosa trama
comunista e il commissario Montalbano altro non sarebbe se non un agente
al servizio del complotto anti-berlusconiano. Povera Sicilia, in che mani
è finita!".
Che dire? Sull'ex venditore di Publitalia miracolosamente assurto al
ruolo di viceministro, un vecchio signore parlemitano aveva le idee brutalmente
chiare. Si chiama Pino Mandalari, è massone ed è accusato
di essere il commercialista di Totò Riina: "Micciché è
un cretino, è stato voluto da personaggi importanti ma non vale
niente". Giudizi netti, ai quali l'interessato risponde scrollando le spalle.
Lui tira dritto. Come fece un paio d'anni fa quando con un corteo di auto
blu - c'era Totò Cuffaro e altri notabili forzisti siciliani - entrò
nella via Sacra della Valle dei Templi ad Agrigento, i custodi protestarono
e la vicenda finì sui giornali.
Inchiostro sprecato. Spallucce anche per la storia della coca al ministero:
"Martello (il presunto pusher, ndr) non lo conosco", dichiarò ai
giornali, poi si scoprì che lo conosceva e come. Gesti di strafottenza
anche per la faccenda della finta docenza universitaria. Sul sito del ministero
fa scrivere che insegna "Politiche di sviluppo e pianificazione nelle aree
deboli" all'Università di Reggio Calabria, poi si scopre che non
ha neppure una laurea, il rettore smentisce sdegnato e lui niente. Neppure
un leggero rossore. Ora tocca a Camilleri "assassino" del centrodestra.
Che deve pagare la colpa di aver mandato una bella lettera al candidato
del centrosinistra alla Provincia di Agrigento. "Sono con voi - scrive
il papà di Montalbano - per tentare di arginare una deriva politica
che di giorno in giorno si manifesta sempre più pericolosa".
Spallucce anche questa volta, come un paladino dell'opera dei pupi,
Micciché combatte a testa bassa contro il nuovo "nemico". Bisogna
dargli un consiglio: signor viceministro, si calmi! Una antica filastrocca
di Porto Empedocle può esserle utile per sedare i bollenti spiriti.
Recita così: "Amici miei, lu tempu vinni d'iri a cogliri scaramuzza
cu Filippu Mangialuna...".
Traduzione: "Amici miei, è venuto il tempo di andare a raccogliere
cicche con Filippo Mangialuna...". Ci vada e tra una scaramuzza e l'altra,
sfogli Camilleri.
Enrico Fierro
Gazzetta del Sud,
13.5.2003
Ragusa Miccichè scomunica Camilleri ma il Centrodestra non ci
sta
“Montalbano” diventa un caso
Follini prende le distanze mentre lo scrittore non commenta
RAGUSA – Ma il commissario Montalbano è di destra o di sinistra?
Ci vorrebbe un nuovo episodio della fortunata serie televisiva per venire
a capo dell'interrogativo, che tanto pleonastico non dev'essere, visto
che sul “padre” di Montalbano si è scatenata la bufera. A provocarla
il coordinatore regionale di Forza Italia, Gianfranco Miccichè,
il quale, parlando ad una convention azzurra nel capoluogo ibleo, ha tirato
in ballo il commissario Montalbano e Andrea Camilleri. Perché tanto
astio? Perché lo scrittore siciliano «è un assassino
del centro destra». Miccichè non ha pesato le parole ed è
andato giù come un caterpillar. Le ragioni di questa presa di posizione
sono tutte concentrate in un libro, «Il cavaliere», nel quale
Miccichè legge un duro attacco a Berlusconi. «In questo libro
– ha affermato davanti ad un uditorio attonito – non avete idea di cosa
ha detto di Berlusconi. Camilleri ha storpiato i nomi dei ministri del
governo Berlusconi, dipingendoli come delinquenti». Aggiungendo subito
dopo: «Scrive bene, ma se uno mi sta tentando di massacrare non mi
piace più». Da qui l'invito agli amministratori della Casa
delle Libertà della provincia iblea: «Subite Montalbano, ma
non vantatelo. Non mi piace che un posto si caratterizzi per il nome di
un nostro grandissimo nemico». Il che detto ad un territorio che
dell'eroe di Camilleri ha fatto il proprio marchio identificativo (Modica
ha anche dato la cittadinanza onoraria a Luca Zingaretti, mentre Ragusa
gliel'ha proposta) per il rilancio turistico suona come una bocciatura
della politica fin qui portata avanti. Questi concetti Miccichè
li ha ribaditi anche ieri a Palermo, a margine del seminario dei giovani
di Assindustria, sia pure stemperando i toni. «Camilleri è
bravissimo – ha affermato nel capoluogo siciliano – scriva quello che vuole.
Siccome mi dicevano che si vorrebbe caratterizzare la provincia di Ragusa
solo perché lui ne scrive nei suoi libri, ho detto che, secondo
me, ci sono cose migliori che possono caratterizzare la città».
Se Andrea Camilleri, in modo laconico, si limita a dire: «A Gianfranco
Miccichè non rispondo», all'interno della Casa delle Libertà
i distinguo non mancano. Il segretario dell'Udc Marco Follini non segue
il vice ministro nella polemica: «Leggo Montalbano – ha detto – e
sono amico di Berlusconi. Tra le due cose non vedo contraddizioni».
Le dichiarazioni di Miccichè hanno provocato, com'era ovvio, una
presa di distanza nella provincia di Ragusa, dove Montalbano è un'icona
e nel suo nome centinaia di turisti girano per i luoghi, le piazze e le
città in cui il serial è stato girato. Il deputato di Alleanza
nazionale Saverio La Grua, non accetta il diktat del coordinatore di Forza
Italia: «Non può e non deve impedire agli enti locali o a
quelli preposti allo sviluppo turistico della nostra provincia di utilizzare
l'immagine e i luoghi di Montalbano. Sarebbe un errore se non venisse adeguatamente
sfruttata la popolarità del personaggio televisivo, anche se frutto
della fantasia di uno scrittore di cui non si condividono le idee politiche
e gli atteggiamenti ostili agli uomini del centro destra».
Antonio Ingallina
La Sicilia, 13.5.2003
La Torre Carlo V tornerà a rivivere
Porto Empedocle. A trarre beneficio dall'inarrestabile «effetto
Camilleri» sarà anche la Torre di Carlo V. L'imponente struttura,
lasciata da decenni al proprio destino in balia degli agenti atmosferici
e dell'incuria, nelle prossime ore verrà visitata dal capo dell'Ufficio
tecnico comunale, Luigi Gaglio, e dall'assessore al Turismo, Tonino Guido,
chiamati a fare il punto sullo stato di conservazione del sito. L'intendimento
dell'amministrazione empedoclina è quello di aprirlo al pubblico,
per renderlo una della tappe principali del tour che i turisti in arrivo
a Porto Empedocle - Vigata effettueranno nelle prossime settimane sull'onda
lunga della ridenominazione della cittadina marinara, per evidenti fini
commerciali.
Prima di recarsi a «Lido Marinella» o alla «Scala
dei Turchi», gli appassionati dei luoghi di camilleriana memoria
potranno dunque entrare nella struttura scelta dallo scrittore per farne
lo sfondo in cui ambientare «La strage dimenticata», il libro
storico che ha fatto conoscere nel mondo il «papà» del
commissario Montalbano. Una strage davvero dimenticata, visto lo stato
di pressocché totale abbandono in cui versa il colosso di pietra,
posto nel cuore del porto empedoclino, nei secoli passati utilizzato prima
come fortezza di avvistamento, poi come carcere dal quale i reclusi uscivano
solo quando sopraggiungeva la morte. Quello che ad oggi è un rudere,
verrà dunque testato dal capo dell'Utc per valutare con estrema
attenzione se effettivamente sia in grado di accogliere turisti a iosa,
evitando quindi il verificarsi di crolli o cedimenti strutturali.
La Torre non si apre da un paio d'anni, dal giorno in cui per lo svolgimento
di alcune riprese televisive, le porte della suggestiva struttura vennero
aperte per un paio d'ore. Porte che si richiusero puntualmente, senza che
nessun'altro sia riuscito a rivarcarne la soglia. Adesso, gli amministratori
comunali empedoclini, sfruttando la scia dell'inarrestabile effetto trainante
della notorietà raggiunta da Camilleri, hanno deciso di pigiare
sull'acceleratore, per aprire al pubblico anche parzialmente l'ex fortezza,
i cui spazi attigui sono stati trasformati in gabinetti pubblici a cielo
aperto. C'è grande attesa, dunque, per il responso che nelle prossime
ore verrà dato dall'ingegnere capo e dall'assessore al Turismo.
Il tutto, mentre prende sempre più forma quella che si può
definire come l'estate vigatese.
Già otto dipendenti comunali, tutte donne in servizio nei chioschi
di piazza «Italia», hanno dato il loro benestare a svolgere
l'attività di guida turistica, dopo avere «studiato»
i libri di Camilleri. Un'infarinatura indispensabile per dare risposte
precise ai turisti stranieri che giungeranno a centinaia a Vigata, per
ammirarne i luoghi originali e le storiche strutture, in primis la Torre
di Carlo V. Intanto, nei prossimi giorni il comune piazzerà sulla
banchina del porto - all'altezza del punto di sbarco del traghetto Paolo
Veronese - due gazebo, nei quali verranno esposte le specialità
artistiche, culinarie e culturali di Porto Empedocle.
Francesco Di Mare
La Sicilia, 13.5.2003
Scuola di teatro, quanti forfeit
Racalmuto. Si erano iscritti in 125 alla scuola di teatro del «Regina
Margherita» di Racalmuto, ma nel giro di pochi giorni cento hanno
dato forfeit, si sono ritirati senza attendere la selezione che il vicedirettore
artistico, Giuseppe De Pasquale, intendeva fare. E' infatti, impossibile
potere seguire contemporaneamente più di cento giovani, la selezione
si rende necessaria per sfornare attori che possano subito «spiccare
il volo». Un po' quello che intende fare Francesco Bellomo al teatro
«Pirandello» di Agrigento.
Che i corsi sono difficili lo si sapeva già in partenza. Molti
giovani però, hanno voluto tentare l'avventura anche perché
il «Regina Margherita» intende realmente costituire una compagnia
teatrale e sotto la direzione artistica di Andrea Camilleri è destinata
a fare grandi cose. Il sindaco, Restivo, è molto felice di come
stanno andando le cose: «La prima stagione teatrale che è
andata agli archivi - dice - ha dimostrato che c'è un certo interesse
attorno al teatro. I giovani, in particolare quelli che amano il teatro,
hanno preso subito la palla al balzo iscrivendosi al corso per attori,
ma come in tutte le grandi scuole teatrali, non tutti sono destinati a
fare carriera. La selezione era naturale, ma la stragrande maggioranza
ha capito ancora prima di cominciare che era meglio mettersi da parte».
Il corso consta di un anno di lezioni e poi naturalmente gli attori
dovranno fare gli esami per dimostrare tutto il loro talento. Non è
per nulla facile questa scuola, ecco perché è importante
creare un gruppo di poche unità, al massimo 30, per poterli seguire
direttamente e nel migliore dei modi. Per moltissimi giovani però
rimane sempre una buona occasione la presenza del teatro visto che Camilleri
intende portare avanti altri corsi che prevedono la formazione dei tecnici
del suono e delle luci, le sarte, il personale che dovrà essere
impiegato dietro le quinte.
Insomma, con la struttura teatrale, inaugurata da appena tre mesi,
diversi potrebbero trovare un posto di lavoro. Del resto ogni occasione
è buona per creare occupazione sopratutto in una città dove
il tasso di disoccupati è abbastanza alto e dove tanti giovani hanno
preferito emigrare.
Gaetano Ravanà
Liberazione,
13.5.2003
"La breve estate dei colchici" Serge Quadruppani
"La breve estate dei colchici"
Serge Quadruppani, Il Giallo Mondadori n°2822 (pp. 218, euro 3,55)
Al di là di una brutta vicenda personale che lo ha visto in
gioventù vicino alla "Vieille taupe", la libreria dell'estrema sinistra
parigina che ha finito negli anni Ottanta per legarsi al circuito del revisionismo
storico e a personaggi come Robert Faurisson, Serge Quaddruppani resta
senza alcun dubbio una figura di grande interesse nell'ambito dell'ultima
generazione di scrittori noir d'oltralpe. Traduttore di Camilleri e Evangelisti,
autore di saggi legati alle vicende politiche dei movimenti dell'ultragauche
e alla repressione scatenata contro di loro anche in Francia, Quadruppani
ha saputo creare solidi intrecci dove la vita sociale e politica del paese,
i codici narrativi del giallo e una notevole capacità di leggere
la vita della strada, si incontrano a perfezione. Nelle sue storie ritorna
a più riprese l'eco degli anni Settanta, legata a una certa fascinazione,
ben spiegabile, per l'atmosfera insieme ribelle e malavitosa della Parigi
proletaria di un tempo: un mondo sospeso tra sogni di rivolta, ma anche
di "svolta" personale, e una realtà spesso dura e violenta, fatta
di emarginazione e povertà. Dopo "L'assassina di Belleville", il
Giallo Mondadori ci propone questo "La breve estate dei colchici" la cui
vicenda muove, ancora una volta, a partire dagli anni Settanta. E' da una
rapina finita male che riemerge vent'anni dopo una storia rimossa, un personaggio
che sembra uscire da un buco nero che si credeva cancellato per sempre
e che finirà invece per sconvolgere la vita dei protagonisti. E
tutti quelli che pensavano di essersi rifatti una vita capiranno che quel
drammatico passato è tornato inesorabilmente a bussare alla loro
porta.
Guido Caldiron
La Repubblica,
ed. di Palermo, 14.5.2003
Vignetta
di Gianni Allegra
La Repubblica,
ed. di Palermo, 14.5.2003
Non si arresta la polemica dopo le accuse del viceministro, che viene
criticato anche nel centrodestra
Gli scrittori bocciano Miccichè
Dai dodici finalisti del Premio Strega un coro pro Camilleri
Il coro di critiche a Gianfranco Micciché si leva da Palermo
il giorno dopo l´attacco sferrato dal viceministro a Camilleri, «colpevole»
di non rappresentare a dovere la Sicilia per aver inserito nel suo "Giro
di boa" alcuni riferimenti critici al governo Berlusconi. Allo Spasimo
c´erano i dodici scrittori finalisti del Premio Strega, per la prima
serata della storica competizione letteraria. Hanno tutti condannato le
parole di Micciché, pur trovandosi a casa del Polo. Critiche al
viceministro anche da esponenti del centrodestra.
I dodici candidati al premio Strega ieri a Palermo si schierano con
l´artista attaccato dal viceministro di Forza Italia
La rivolta degli scrittori
"Miccichè, giù le mani da Camilleri e dalla cultura"
Pioggia di reazioni da Roma, solo Leontini difende il suo leader "Aggressione
ingiusta"
La condanna unanime allo Spasimo nel corso della prima serata della
manifestazione
Nessuno tocchi Camilleri. E la politica stia lontana dalla letteratura.
Il coro di condanna per Gianfranco Miccichè si leva da Palermo il
giorno dopo l´attacco sferrato dal viceministro al padre del commissario
Montalbano, «colpevole» di non rappresentare a dovere la Sicilia
per aver inserito nel suo "Giro di boa" alcuni riferimenti critici al governo
Berlusconi. Ieri, allo Spasimo, c´erano i dodici scrittori candidati
al Premio Strega, per la prima serata della storica competizione letteraria.
Che hanno condannato in coro Miccichè, pur essendo a casa del Polo
(l´amministrazione di Diego Cammarata, che ha parlato del premio
come di «grande privilegio per la città», patrocina
l´intera manifestazione). E mentre Innocenzo Leontini, capogruppo
di Forza Italia all´Ars, parla di «aggressione pazzesca per
una frase che dava più risalto ai valori reali» della Sicilia,
«piuttosto che a quelli virtuali di un romanzo», le reazioni
arrivano fino a Roma, dove alcuni rappresentanti del Polo non hanno esitato
a stroncare l´attacco a Camilleri.
«Assassino del centrodestra», «Prezzolato, idealmente
o realmente», le parole di Miccichè dirette a Camilleri, pesanti
come macigni, stemperate solo in serata da una frase più morbida
(«È bravissimo e scriva quello che vuole, ma purché
caratterizzi Ragusa»). Il deputato Udc Pippo Gianni, segretario della
commissione di vigilanza Rai, osserva senza mezzi termini che Miccichè
è forse vittima «degli effetti disastrosi dello stress e del
caldo». «Miccichè combatte la cultura, non solo la sinistra»,
dice il presidente della Provincia di Siracusa, Bruno Marziano. L´ex
sindaco di Racalmuto, Salvatore Petrotto, si dichiara «complice e
reo confesso di un assassino del centrodestra» per avere nominato
lo scrittore direttore del teatro Regina Margherita della città
agrigentina.
A Roma la polemica si fa ancora più aspra. «La destra
estremista odia chiunque osi scrivere e fare satira senza chiedere il permesso
al capo proprietario e ai suoi federali di paese», dice Giuseppe
Giulietti, dell´associazione Articolo 21. «Il commissario Montalbano
continua a mettere a rischio il sistema democratico con le sue indagini»,
ironizza il responsabile per i beni culturali della Margherita, Andrea
Colasio. «Di fronte al delirio di onnipotenza del sovrano, i sudditi
si inginocchiano», aggiunge Gabriella Pistone, deputata dei Comunisti
italiani. E secondo il diessino Vincenzo Vita, solo «l´oscurantismo
di questo governo può permettersi di attaccare personalità
come Dario Fo e Camilleri». «Miccichè dice cose tanto
deliranti da recare sicuro danno al Polo» dice Rino Piscitello, dell´esecutivo
della Margherita. E il suo compagno di partito Egidio Ortisi si chiede:
«Dopo Berlusconi compositore, Miccichè critico letterario?».
Per il senatore Ds Costantino Garraffa si tratta di «un autogol che
i lettori di Camilleri e i siciliani sapranno cogliere».
«Ma finiamola, finiamola - taglia corto la patronne dello Strega,
Anna Maria Rimoaldi - uno scrittore può dire quello che vuole, è
l´essere più libero del mondo». E come lei la pensa
tutto il suo allegro «gregge letterario». Incredula Margaret
Mazzantini, vincitrice dell´ultima edizione: «È impensabile
limitare la libertà di uno scrittore. E in particolare se si parla
di Camilleri, che è gran persona perbene e piena di garbo anche
nell´ironia». «Si rimarca la differenza di statura»,
dice Leonardo Pica Ciamarra. Valerio Varesi si sofferma sul «complesso
di assedio del centrodestra», mentre per Errico Buonanno «bisogna
smetterla di considerare nemico chi ha idee politiche». Per Chiara
Palazzolo «è l´ennesima volta che il potere aggredisce
la cultura». E «chi è Miccichè per fare una simile
critica», se lo chiede Giuseppe Antonelli. Per Sandra Petrignani
«Camilleri continuerà a essere letto, a destra e a sinistra».
E «se la politica tenta di orientare la letteratura, si capisce benissimo
di cosa stiamo parlando», dice Melania Mazzucco.
Il palermitano Roberto Alajmo vorrebbe fare «come Totò,
con uno spettatore che lo fischiava. "Ce l´ho con quello accanto
a lei, che non la butta giù", gli disse. Me la prendo con chi li
ha votati». E per il gioco della sorte, qualche ora dopo, proprio
il sindaco Cammarata citerà Alajmo come esempio della «straordinaria
vitalità culturale e intellettuale della nostra città».
Alberto Bonanno
La Sicilia, 14.5.2003
Sicilia, scrittori «amici» e «nemici»
Zucchine o Camilleri
Si racconta che quando Leonardo Sciascia cominciava a pubblicare i primi
libri, il politico democristiano Franco Restivo, allora presidente della
Regione Sicilia, in seguito ministro, appreso che lo scrittore era maestro
in una scuola elementare, diede disposizioni perché fosse comandato
presso l’assessorato regionale alla cultura. A fare che? Chiese Sciascia.
A scrivere libri, rispose Restivo. Così un notabile lungimirante
mostrava di intuire il valore che l’opera dello scrittore avrebbe rappresentato
sia per la cultura sia per l’immagine del mondo siciliano, che generazioni
di lettori hanno imparato a conoscere e amare proprio attraverso libri
come Il giorno della civetta o Il consiglio d’Egitto, nonostante denuncino
il potere mafioso o la corruzione politica. Ma la lezione di Restivo non
ha fatto scuola, se Gianfranco Miccichè, deputato siciliano di Forza
Italia, responsabile politico del partito nell’isola e viceministro dell’economia,
nel corso della campagna per le amministrative, ha invitato gli elettori
ragusani ad affidare la promozione della zona ai prodotti ortofrutticoli
e non a iniziative culturali che valorizzino i libri di Andrea Camilleri
o che facciano del padre del commissario Montalbano un testimonial della
Sicilia. Perché Camilleri, nelle parole di Miccichè - secondo
quanto riferiscono le cronache - «è prezzolato, idealmente
o realmente, dai nostri avversari politici». Scrive «contro
Berlusconi». Per cui è «grandissimo nemico». È
come se l’onorevole avesse detto, apertis verbis: il criterio che si applica
alla produzione culturale e ai suoi protagonisti è quello, storico,
degli «amici» e dei «nemici», degli «amici
degli amici» e così via, non quello dei meriti, del prestigio,
neppure del mercato (considerato che Camilleri domina da tempo le classifiche
delle vendite di narrativa in Italia). Oppure il giro è più
largo e più sofisticato: non è semplicemente che si criticano
uomini politici (Miccicchè si sarebbe lamentato che in uno dei suoi
ultimi libri Camilleri avrebbe fatto la caricatura di alcuni ministri berlusconiani),
è che si lavano in pubblico i panni sporchi, si parla male di Garibaldi,
per dirla con un vecchio motto. E questo, per Miccicchè, non farebbe
bene alla Sicilia. Ma allora chi si salva? Via il Vittorini di Conversazione
in Sicilia, via il Brancati di Paolo il caldo, neanche nominare Sciascia
e Bufalino, e, risalendo per li rami, addio anche a Tomasi di Lampedusa,
con quel Principe così gattopardesco e quell’abate così mellifluo,
e ovviamente a Verga, con quei pescatori così poco beautiful, sempre
in mezzo al mare in tempesta, che non è bello per il turismo. Cancellato
il più celebre di tutti, il Pirandello della Giara, con quel padrone
così padrone, che non fa bene al buon nome dell’imprenditoria. Chissà
se l’onorevole Miccicchè, con la sua intemerata, si sarà
accorto di aver azzerato la letteratura siciliana. «Lasciamolo babbiare»,
direbbe Montalbano.
Alberto Papuzzi
Gazzetta del Sud,
14.5.2003
Ragusa Pioggia di strali per le esternazioni di Micciché contro
Camilleri
Sud-est compatto su “Montalbano”
Leontini: un'aggressione. Piscitello: grazie al vice ministro
RAGUSA – Insorgono gli amministratori locali. Insorge il popolo della
sinistra. E' una sollevazione contro il vice ministro dell'Economia Gianfranco
Miccichè. Quelle esternazioni su Andrea Camilleri e il commissario
Montalbano non sono andate giù a tutto il sud-est della Sicilia.
Tutto è concesso, ma non le critiche all'eroe di Camilleri, a quel
commissario Montalbano che sta portando frotte di turisti nei luoghi in
cui la fiction è stata girata. La polemica si è allargata
a tal punto che Miccichè ha sentito il bisogno d'intervenire ancora
una volta sulla questione. Ma non l'ha fatto direttamente. Si è
affidato al presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia all'Ars
Innocenzo Leontini, che è anche coordinatore azzurro nella provincia
di Ragusa. Leontini ritiene «pazzesca l'aggressione che sta subendo
il vice ministro Miccichè per una semplice frase pronunciata a Ragusa,
che dava più risalto ai nostri valori reali e ai nostri prodotti,
piuttosto che a quelli virtuali di uno o più romanzi polizieschi».
Per Leontini, «il sistema adottato, ci dà la piena e ferma
convinzione che i metodi della denigrazione della sinistra rimangono gli
stessi dei momenti più bui della loro storia». A parziale
sostegno di Miccichè arriva il sindaco di Santa Croce Camerina,
il comune nel cui territorio è ubicata la casa di Montalbano. Per
Lucio Schembari (Forza Italia), «Montalbano non va utilizzato per
attaccare il governo Berlusconi o qualsiasi altra forza politica».
Schembari invita a distinguere il Montalbano del romanzo da quello della
riduzione televisiva e ritiene più giusto «puntare su altro:
ortofrutta di qualità e risorse paesaggistiche e monumentali».
Al vice ministro Miccichè, il presidente della Provincia di Siracusa
Bruno Marziano ricorda che lo scorso anno sollevò il caso Ronconi,
considerato blasfemo nei confronti di Berlusconi. Adesso, tocca a Camilleri.
Marziano ritiene che questo confermi «che Miccichè è
un uomo che combatte la cultura, non solo la sinistra. E combatte, soprattutto,
le opportunità che la cultura propone alla Sicilia come veicolo
della sua promozione», aggiungendo che «non tutti gli amministratori
siciliani si faranno intimidire da Miccichè». Ancora da Siracusa,
e dall'on. Nino Consiglio, segretario dei Ds, arrivano le altre critiche.
Per Consiglio c'è un dato certo: «la calura di maggio non
contribuisce a tenere in equilibrio gli umori dell'on. Miccichè».
Mentre Rino Piscitello (La Margherita) invita il centro sinistra a non
attaccare Miccichè: «Nessuno lo attacchi. E' nostro prezioso
alleato. Quando un avversario arriva a dire cose che gli mettono contro
tutti i siciliani, fa un danno di tale rilievo al Polo, che attaccarlo
è assolutamente inopportuno». Per il senatore Ds di Ragusa,
Gianni Battaglia, infine, le dichiarazioni di Miccichè su Montalbano
sono da considerare solo «ridicole». L'esponente della Quercia
ritiene ben più gravi altri passaggi dell'intervento del vice ministro
dell'economia alla convention di Forza Italia di domenica scorsa. E su
queste ha depositato due interrogazioni: al ministro delle Finanze Giulio
Tremonti e al ministro dell'Interno Beppe Pisanu.
Antonio Ingallina
Il Gazzettino, 14.5.2003
Piccola tempesta turistico-letteraria: ...
Piccola tempesta turistico-letteraria: la provincia di Ragusa suppone
di poter sfruttare Andrea Camilleri e il suo famosissimo commissario Montalbano
per darsi un po' di lustro, ma il sottosegretario Micciché (Fi)
è assolutamente contrario. Per caratterizzare Ragusa, assicura Micciché,
«c'è di meglio che Camilleri». Anzi, in un incontro
elettorale, gli scappa detto che lo scrittore, con quel suo commissario,
è «un grandissimo nemico del Polo e un assassino del centrodestra».
Camilleri risponde con pacatezza: «Sono tradotto in 22 lingue, succede
che molti dei lettori abbiano voglia di vedere i luoghi dove si svolgono
i miei romanzi. Questo rappresenta un piccolo incremento per il turismo
in Sicilia, mi pare che per un vice ministro all'Economia tutto questo
dovrebbe essere importante». Di fatto - anche se a Micciché
forse non è piaciuto che, nell'ultimo romanzo, Montalbano si interroghi
se restare ancora in una Polizia colpevole degli incidenti al G8 di Genova
- a Ragusa il turismo è aumentato del 29 per cento, l'Apt ragusana
ha inserito la casa utilizzata nelle riprese del film tv in un tour turistico,
alla Borsa internazionale del turismo Ragusa ha presentato un video per
illustrare «i luoghi del commissario Montalbano». Da Micciché
prende subito le distanze Follini (Udc), mentre le opposizioni reagiscono
con durezza: solo «l'oscurantismo culturale di questo governo»
può permettersi di attaccare personalità della cultura come
Dario Fo (che si è cercato di tener fuori dal cartellone teatrale
a Genova) e Andrea Camilleri, sostiene Vita (Ds) aggiungendo che «l'attacco
in sè è insignificante e non meriterebbe risposta, ma è
un sintomo: in altre stagioni tragiche della storia italiana, la degenerazione
autoritaria vera e propria cominciò con episodi simili». Gabriella
Pistone, responsabile Spettacolo del Pdci, sottolinea che «evidentemente
Micciché ha un pessimo rapporto con la cultura: l'anno scorso bersagliò
il regista Ronconi, quest'anno se la prende con Camilleri, che è
come dire che il lupo perde il pelo ma non il vizio». Dalla Margherita,
Colasio sceglie l'ironia: «Berlusconi ha ragione: il regime esiste
e trama contro di lui, ne è prova il fatto che il commissario Montalbano
continui a mettere a rischio il sistema democratico con le indagini create
dalla fantasia di Camilleri. Montalbano è sfuggito al controllo
e deve essere epurato e, con lui, lo scrittore che lo ha inventato: se
tutto ciò non fosse vero, sarebbe un ottimo canovaccio teatrale».
M.Ant
Il Resto
del Carlino, 14.5.2003
Follini: «La vera follia è la ragionevolezza...»
[...]
Ma sempre dal fronte centrista sono venute poche, ma chiare parole
sul viceministro dell'Economia Miccichè, che ha accusato lo scrittore
Camilleri di essere, per i suoi scritti, «un assassino del centrodestra».
Commento dell'Udc Gianni: «Qualcuno è sotto gli effetti disastrosi
dello stress e del caldo».
Articolo 21
Liberi di, 15.5.2003
Micciché, Forza Italia: “Camilleri? Un nemico del Polo”
Lo scrittore: “Montalbano risponderebbe: lasciatelo abbaiare”
Intervista a Andrea Camilleri
In un recente incontro elettorale a Ragusa, Gianfranco Micciché,
coordinatore siciliano di Forza Italia, delfino di Silvio Berlusconi nonché
vice-ministro all’Economia, ha definito il “padre” del commissario Montalbano,
lo scrittore Andrea Camilleri “un grandissimo nemico del Polo e un assassino
del Centrodestra”. Miccichè nell’occasione ha anche esortato gli
amministratori iblei a “caratterizzare la città con cose migliore
di quelle proposte da Camilleri”.
Allo scrittore siciliano, Articolo21 ha rivolto tre domande.
Allora Camilleri, come si sente nei panni dell’accusato?
“Io sono uno scrittore. Meglio. Sono uno scrittore siciliano che scrive
di uomini e cose di Sicilia. Sono tradotto in 22 lingue, i miei romanzi
sono pubblicati in tutto il mondo. Succede che molti dei miei lettori abbiano
voglia di vedere i luoghi dove si svolgono le mie storie. Questo, secondo
me, rappresenta un piccolo incremento per il turismo in Sicilia. Mi pare
che per un vice-ministro all’Economia tutto questo dovrebbe essere importante”.
Il commissario Montalbano cosa risponderebbe a Micciché?
“Mi viene istintivo dire: lasciatelo abbaiare. Non sono il primo intellettuale
ad essere finito nella lista nera del vice-ministro. Ricordo che l’anno
scorso, gli strali si abbatterono sul regista teatrale Luca Ronconi accusato
di fare propaganda anti-governativa. Oggi è toccata a me, domani
chissà…”.
Vede forse dei pericoli in Italia nella libera circolazione delle
idee?
“Ormai è una realtà. Gli spazi espressivi di libertà
si riducono di giorno in giorno. Giornalisti, operatori dell’informazione,
registi, artisti sono tutti tacciati di tramare alla spalle del Gran Signore.
Per fortuna che in questo Paese, la società civile non si piega.
Bisogna resistere, resistere, resistere…”.
La Repubblica,
ed. di Palermo, 15.5.2003
Il caso
Quei favori di Miccichè
Dopo gli scrittori, insorti per difendere Andrea Camilleri, anche i
sindaci bocciano Gianfranco Miccichè. In rivolta gli amministratori
locali del centrosinistra, ai quali Miccichè vorrebbe sbarrare le
porte del suo ufficio, garantendo invece ai sindaci del Polo una corsia
preferenziale. Miccichè lo ha affermato domenica, a Ragusa, e lo
ha ribadito ai microfoni del giornale radio. «Di una cosa simile
non può essere convinto neppure lo stesso Miccichè»,
afferma il segretario dell´Anci. I Ds presentano interrogazioni all´Ars
e al Senato.
Il viceministro
Dopo le polemiche provocate dalle dichiarazioni su Camilleri nuova
bufera sul leader di Forza Italia
I favoritismi di Miccichè fanno arrabbiare i sindaci
La reazione dell´Anci "È contraddittorio con la sua carica
nel governo nazionale"
"Il mio ufficio sarà sempre aperto ma solo per gli amministratori
del centrodestra"
Dopo gli scrittori sono i sindaci che bocciano Gianfranco Miccichè.
La seconda stroncatura in 48 ore al viceministro dell´Economia arriva
dagli amministratori locali del centrosinistra, saltati su dopo avere appreso
quanto dichiarato domenica scorsa da Miccichè in un incontro elettorale,
a Ragusa. «Il mio ufficio - ha detto Miccichè, ripetendolo
ai microfoni del giornale radio Rai andato in onda di ieri mattina - sarà
sempre aperto agli amministratori locali del centrodestra, mentre per gli
altri sarà interdetto. Perché i sindaci della Casa delle
libertà dovranno essere i primi cittadini di coloro che li hanno
votati e sostenuti, e non di tutti. Ai comuni governati dal centrosinistra
andrà solo l´ordinario, i finanziamenti straordinari saranno
destinati solo agli enti locali retti dal centrodestra». Come dire,
i sindaci di comuni siciliani come Caltanissetta, Acireale, Bronte, Caltagirone,
Gela, Giarre, Marsala, Sciacca e Paternò, per citare alcuni dei
centri più grossi amministrati dal centrosinistra, al ministero
non avranno vita facile. Una boutade - dopo quella diretta ad Andrea Camilleri
e sonoramente criticata dagli scrittori del Premio Strega e da alcuni rappresentanti
del Polo stesso (ai quali si aggiunge l´associazione dei Siciliani
del Piemonte) - che neppure l´Anci si sente di prendere sul serio.
Ma che ha scatenato una nuova bufera politica.
[...]
Alberto Bonanno
La Sicilia, 15.5.2003
Caso Montalbano
«La Sicilia? Non solo mafia e coppole»
Non solo «coppole e mafia»: la Sicilia di Camilleri è
sole, mare, campagne, muri a secco e splendidi, quanto spesso sconosciuti,
paesaggi barocchi. Questi i motivi che hanno spinto un gruppo di cittadini
sciclitani a costituire un comitato spontaneo per raccogliere firme per
esprimere solidarietà allo scrittore e ringraziare il commissario
Montalbano, interpretato dall'attore Luca Zingaretti, testimonial d'eccezione
di tutti i luoghi della provincia di Ragusa che hanno ospitato la location
della fortunata serie televisiva. In testa la stanza del sindaco di Scicli
divenuta mèta di turisti: chiedono di vedere dal vivo l'ambiente
che nella fiction è la stanza del questore.
«Montalbano? Il testimonial del barocco»
Scicli. Un comitato spontaneo di cittadini, che ha avviato una raccolta
di firme da inviare ad Andrea Camilleri e al suo commissario, Salvo Montalbano.
E' quello costituitosi a Scicli dopo le dichiarazioni del vice ministro
Gianfranco Miccichè, il quale, domenica scorsa, in un suo intervento
a Ragusa ha definito Camilleri uno «scrittore prezzolato»,
invitando gli amministratori della provincia di Ragusa che hanno ospitato
le location della fortunata serie televisiva a non usare i luoghi di Montalbano
per la promozione turistica delle loro città.
Parole dure quelle del viceministro, che a Scicli hanno provocato la
nascita spontanea di un comitato di cittadini che ha avviato una raccolta
di firme per esprimere solidarietà allo scrittore di Porto Empedocle
e al suo personaggio di maggior successo. «Grazie a Montalbano la
nostra città e la nostra provincia sono finalmente ben conosciute
ed apprezzate in tutta Italia: per il barocco, i muri a secco, i carrubi,
le masserie, il mare, la luce, la pulizia, il Pisciotto - scrivono i promotori
dell'iniziativa -. Finalmente si è visto che la Sicilia non è
solo "mafia e coppole". I turisti arrivano quindi per vedere i luoghi di
Montalbano». Già, perché da quando la fiction va in
onda la stanza del sindaco al primo piano del municipio, nel serial televisivo
la stanza del questore, è diventata meta di tanti turisti e visitatori
che chiedono di visitare l'austera stanza del primo cittadino. In tal senso
una cosa i promotori del comitato spontaneo rimproverano al sindaco Falla:
di non aver mantenuto, al pianterreno del Municipio, la scenografia del
commissariato dove Luca Zingaretti gira gli interni della fiction. Ed infatti
i gruppi culturali della città si sono fatti promotori di una iniziativa,
che mira a ricreare la location del commissariato dove oggi si trova l'ufficio
protocollo del Comune, per consentire ai turisti in visita nei luoghi di
Montalbano di assaporare un'ulteriore ambientazione delle atmosfere di
Camilleri, trasposte in pellicola dal regista Alberto Sironi, dopo quella
della stanza del primo cittadino.
L'obiettivo del comitato è quello di raggiungere al più
presto quota diecimila firme, da inviare a Camilleri per esprimere la solidarietà
della città e la gratitudine per le pagine che ha regalato alla
nostra letteratura e per la promozione che esse hanno rappresentato per
il territorio sciclitano e per l'intera provincia di Ragusa.
Giuseppe Savà
La Sicilia, 15.5.2003
Quella straordinaria «squadra»
Sono trascorsi sessant'anni. Proprio sessant'anni fa, in questo periodo,
nel maggio del 1943, avvenne ad Agrigento qualcosa che segnò profondamente
la vita della città. Per via della guerra vennero sospese definitivamente,
dalle autorità, le lezioni scolastiche e per la prima volta nella
storia della città, gli studenti delle "superiori" non sostennero
gli esami di maturità e i docenti furono costretti a giudicare gli
allievi esclusivamente per scrutinio sulla base del profitto conseguito
durante l'anno. Erano gli anni bui della guerra; anni che, ancora oggi,
molti agrigentini ricordano perfettamente.
"La notizia venne comunicata agli studenti il 10 maggio del '43 - racconta
oggi Domenico Rubino, che all'epoca frequentava il liceo Empedocle - perché
ormai lo sbarco degli Alleati era imminente e, tra allarmi aerei, contraerea
e bombardamenti, non poteva più essere garantita la continuità
delle lezioni e la sicurezza degli studenti che si trovavano negli edifici
scolastici".
Poche settimane dopo, il 10 luglio del 1943, gli americani sbarcarono
in Sicilia, tra Licata e Gela, con tutte le vicende che poi ne derivarono
e per lungo tempo la città stentò a riprendere la vita e
le attività quotidiane. Di quel particolare periodo della vita di
Agrigento ama spesso parlare anche lo scrittore Andrea Camilleri che fece
parte, con Gaspare Giudice, Enzo Lauretta, Dante Bernini, Ugo La Rosa e
Luigi Giglia, di quella straordinaria "squadra" di studenti liceali dell'
"Empedocle" destinati nel futuro a diventare personaggi di primo piano
nel mondo della letteratura, dell'arte e della politica.
Racconta Andrea Camilleri: "Durante gli anni del liceo andai ad abitare
ad Agrigento, ospite di una mia zia, perché Porto Empedocle veniva
spesso bombardato. In quel periodo, ogni mattina per andare a frequentare
le lezioni, scendevo le ripide scalette che portavano allo spiazzo San
Calogero. Ed è stato proprio da quelle scale che vidi più
volte la città bruciare sotto le bombe. Ricordo che con i compagni
di scuola poi, parlavamo di politica e del futuro che allora sembrava nero.
Poi, l'incrudelire della guerra e lo sbarco alleato, ci divisero ma fu
solo per poco tempo. Ci ritrovammo tutti, negli anni del dopoguerra. Tutto
il periodo contrassegnato dalla guerra segnò profondamente la mia
esistenza".
Anche un altro scrittore agrigentino, Enzo Lauretta, compagno di liceo
di Camilleri, di quel particolare periodo storico, ha scritto un romanzo,
considerato dai critici come uno dei migliori, intitolato "I giorni della
vacanza". Si tratta della "storia" di Enrico e Brunella, due studenti agrigentini
appena usciti dal liceo che si trovano d'improvviso a fronteggiare una
situazione difficile dove si insinuano gli avvenimenti che scuotono Agrigento
e la Sicilia, durante quelle roventi giornate.
Lorenzo Rosso
Corriere della sera,
15.5.2003
Fiera del libro
[...]
Insomma, la Fiera che si apre oggi sarà senz’altro una fiera
politicizzata. E non potrebbe non esserlo, visto che la politica (d’opposizione)
si è infiltrata pure nella casa editrice del Cavalier Berlusconi,
la Mondadori, che pubblica le esternazioni anti-Bush del regista Michael
Moore e perfino i romanzi di Andrea Camilleri, che il sottosegretario Miccichè
ha l’altro giorno definito «grandissimo nemico».
Ranieri Polese
La Sicilia, 16.5.2003
Montalbano, così la fantasia diventò realtà
Dalla fantasia alla realtà il passo, forse, non è mai
stato così breve. Il commissario Salvo Montalbano e i suoi luoghi
sembrano essere usciti dallo schermo televisivo e avere invaso il quotidiano
con una prepotenza tale da diventare addirittura argomento di dibattito
politico. Parlare di dibattito è però veramente restrittivo.
La miccia l'accende il viceministro Gianfranco Micciché che nella
foga di un comizio elettorale si lascia andare a considerazioni poco apprezzate
sulla fede politica di Montalbano e del suo autore, lo scrittore Andrea
Camilleri.
E' l'irresistibile lancio di un assist che i fan di Montalbano non
possono lasciarsi sfuggire. Così nascono i comitati di solidarietà.
Sono quelli costituiti dalla gente che magari non ha letto il libro ma
di sicuro non ha perso una sola puntata delle fiction. A questi si aggiungono
quelli che apprezzano l'opera di Camilleri quale scrittore che ha finalmente
mostrato l'altra faccia della Sicilia.
Tuoni e fulmini si abbattono su Micciché. «E' pazzesca
l'aggressione che sta subendo il viceministro per una semplice frase che
dava più risalto ai nostri valori reali e ai nostri prodotti piuttosto
che a quelli virtuali di uno o più romanzi polizieschi» afferma
indignato l'on. Innocenzo Leontini, delegato a replicare ufficializzando
la posizione di Forza Italia. Dello stesso avviso e partito Lucio Schembari
che sindaco di S. Croce, Comune sede della casa di Montalbano, difende
la positività della promozione turistica ma ritiene che «Montalbano
non debba essere utilizzato per attaccare il governo Berlusconi o qualsiasi
altra forza politica». E ancora, perché no, la proposta, sottoscritta
dal consigliere ds Paolo Roccuzzo e firmata da 7 consiglieri del centrosinistra,
di convocare un Consiglio provinciale dedicato alle dichiarazioni dell'on.
Micciché con tutte le considerazioni del caso.
Da Vittoria fa eco il sindaco Francesco Aiello che invita Camilleri
a Scoglitti e bolla le affermazioni di Micciché come «espressione
di una visione materialistica del mondo». A questo punto parla il
sindaco di Ragusa Domenico Arezzo: «Nessun caso politico, solo la
volontà di ribadire l'importanza che il Comune di Ragusa e, dunque
l'Amministrazione, ha riservato a questa politica di promozione del territorio
anche attraverso fiction e programmi televisivi che hanno veicolato le
nostre bellezze architettoniche e monumentali su scala internazionale».
Franca Antoci
La Sicilia, 16.5.2003
Porto Empedocle
Torre di Carlo V, tarda il via libera al restauro
Si guarda ma non si tocca. Questo è il destino della Torre di
Carlo V, che gli amministratori comunali avrebbero voluto riaprire per
farvi entrare i turisti vogliosi di conoscere i luoghi raccontati da Andrea
Camilleri. Dello storico e cadente sito, dunque, i villeggianti potranno
ammirarne solo da lontano la precaria maestosità, in quanto l'accesso
alla torre è reso impossibile per il sempre incombente rischio di
crollo.
Il punto critico è all'altezza della scala che porta dal pian
terreno al primo piano, in condizioni di precaria stabilità, con
una parete pronta a sbriciolarsi da un momento all'altro. Per limitare
al minimo ogni tipo di rischio, si potrebbe piazzare un'impalcatura in
grado di contenere la parte di parete maggiormente danneggiata. Un intervento
di messa in sicurezza che non può essere effettuato prima del necessario
nulla osta da parte della Soprintendenza ai Beni Culturali di Agrigento.
Un nulla osta difficile da ottenere, come difficile è stato incassare
i fondi che l'Unione europea aveva assegnato mesi fa a vari siti siciliani
in cui insistono storiche strutture in precarie condizioni di staticità
e che necessitano d'interventi urgenti di restauro. Tra le testimonianze
del passato che potranno essere recuperate non figura la Torre di Carlo
V. Una situazione che è andata via via deteriorandosi sempre più,
tanto da impedire anche la riapertura parziale di quella che un tempo fu
fortezza e poi carcere.
Dunque, se nei secoli scorsi era difficile fuggire dalle imponenti
mura di pietra, oggi è difficile entrare, per ammirarne la maestosità.
Per questo motivo, al termine di un sopralluogo esplorativo, condotto dal
vice capo dell'ufficio tecnico comunale e dall'assessore al Turismo Tonino
Guido, è stato deciso di rinviare a malincuore la riapertura al
pubblico della torre, programmando però un piano di valorizzazione
alternativo.
Per non fare uscire il simbolo ritratto nel gonfalone della cittadina
marinara dal tour turistico nei luoghi di Camilleri, l'amministrazione
comunale vigatese piazzerà nelle vicinanze della fortezza alcune
lampade che la illumineranno nelle ore serali come viene fatto per i Templi
della Valle agrigentina.
Per la serie si guarda ma non si tocca dunque, in attesa che dalla
Soprintendenza ai beni culturali giungano buone notizie su un possibile
ripescaggio di qualche fondo dalle casse della Regione e dell'Unione europea,
da utilizzare per ristrutturare totalmente lo storico sito il cui interno,
tra l'altro, non è in pessime condizioni.
Francesco Di Mare
Il Venerdì di Repubblica,
16.5.2003
Duemilatre
Consolo vuole arrestare Montalbano
ALT. Porto Empedocle diventa Vigata, lo scrittore insorge
Dopo la polemica sul giallo come genere letterario, nuovo scontro tutto
siciliano tra Vincenzo Consolo e Andrea Camilleri. Stavolta per questioni
toponomastiche. Allo scrittore non piace l'idea del sindaco di Porto Empedocle
di dare alla città anche il nome di Vigata, in onore di Montalbano.
"Chi fa una cosa simile non merita di amministrare i cittadini. Vigata
è un nome insignificante. Avvicinarlo a Empedocle è degno
di una barzelletta berlusconiana".
a.s.
Il Manifesto, 16.5.2003
Gli indignati di Sesto san Giovanni
I girotondini milanesi migrano nell'hinterland. Ma gli obiettivi sono
quelli di sempre
In mille contro Berlusconi a Sesto san Giovanni. Dal palco Ottavia
Piccolo ha cantato «Bandiera rossa», per il «terrore»
del premier
MILANO. Ecco un'altra «città ostile». Ieri anche
i girotondini milanesi sono scesi in piazza per manifestare la loro indignazione
davanti all'offensiva contro tutto e contro tutti di Berlusconi. Questa
volta non hanno sfilato in piazza Duomo e nemmeno hanno presidiato il palazzo
di giustizia della procura dei «comunisti». Hanno preferito
espatriare nell'hinterland. Tutti in trasferta per un happening a Sesto
San Giovanni.
[...]
«Abbiamo avuto anche il saluto del sindaco - da il via allo spettacolo
Gianni Barbacetto - a Milano non sarebbe successo». Poi elenca i
misfatti di Berlusconi dalla sentenza Previti ad oggi, prima di cedere
la palla all'attrice Laura Curino e al comico Zuzzurro che leggono testi
di Travaglio e Camilleri, a Ottavia Piccolo che canta «Bandiera Rossa»
mentre suonano Ricky Gianco e il duo jazz Calvacanti-Tononi.
[...]
Giorgio Salvetti
Il Mattino,
16.5.2003
Malumore per il governo assente
«Sud» piace al Salone del Libro
TORINO. C’era una volta Sud, ci sarà di nuovo «Sud».
I lettori de Il Mattino lo hanno appreso ieri, trovando col giornale il
numero zero di una rivista della quale, nonostante sia passato oltre mezzo
secolo dall’uscita dell’ultimo numero, non si è ancora perduto il
ricordo. Sempre ieri, e sempre con una copia de Il Mattino, questo numero
è stato presentato e diffuso alla Fiera del Libro di Torino, la
cui sedicesima edizione si è aperta ieri mattina nei padiglioni
del Lingotto.
Certo rimane attorno a questo periodico, che avrà scadenza trimestrale
e costerà 3 euro, il fascino di una pubblicazione fondata da Pasquale
Prunas nel 1945 e su cui scrissero Raffaele La Capria, Anna Maria Ortese,
Luigi Compagnone, Gianni Scognamiglio, Mario Stefanile, Giuseppe Patroni
Griffi, Franco Rosi, Antonio Ghirelli e tanti altri. Ma non si tratta,
assicurano i promotori dell’iniziativa, né di un’operazione rétro
né di un’operazione neo-, ma di una continuità ideale: costruire
un periodico popolare e fresco, al servizio dei lettori, recuperando a
Napoli il respiro di capitale letteraria grazie anche alla redazioni soprattutto
di Parigi ma anche di Milano e New York, che permettono l’inserimento sia
di giovani esordienti sia di voci autorevoli dell’arte e della letteratura.
«Sud» si avvarrà infatti della collaborazione dell’Atelier
du Roman fondato da Milan Kundera, e nel primo numero pubblicherà
anche un intervento di Andrea Camilleri, che lo scrittore siciliano propose
alla rivista nel 1947, e che non fu inserito perché nel frattempo
la rivista aveva chiuso. Aria di festa ieri attorno alle copie del giornale,
con molti dei protagonista a parlare, illustrare, progettare.
Un’aria cui ha fatto da singolare contraltare la cerimonia ufficiale
dell’inaugurazione della Fiera, disertata - ed è la prima volta
nella storia della manifestazione - dalle autorità di governo. Se
è comprensibile che la sera della vigilia mancassero alcune autorità
locali, che non avevano saputo (o potuto) mancare l’appuntamento con la
Juventus che ”doveva” vincere col Real Madrid, il fatto che nessun ministro
sia intervenuto ha provocato sorpresa e anche qualche malumore. «Si
vede - ha commentato a caldo il segretario generale, onorevole Rolando
Picchioni - che questa è la considerazione che il governo ha dei
libri e del suo mondo».
Giovanni Nardi
Gente, 22.5.2003
Camilleri fa un dono alla sua città
Questa volta la fantasia ha vinto sulla realtà. In Sicilia è
successo che il nome inventato di una città riesce ad aggiungersi
a quello “storico” di una città vera. Da oggi Porto Empedocle, città
natale dello scrittore Andrea Camilleri, e dove lavorava la famiglia Pirandello,
si chiamerà anche Vigata. Il Comune ha infatti chiesto e ottenuto
il nulla osta dello scrittore per aggiungere anche Vigata al nome di Porto
Empedocle.
Vigata, lo ricordiamo per quei pochi che non hanno letto i romanzi
di Camilleri o seguito i film in TV che hanno reso popolare l'attore Luca
Zingaretti, è la cittadina inventata dallo scrittore Andrea Camilleri,
che a Porto Empedocle è nato e che qui, chiamando il luogo Vigata,
ha ambientato tutti i suoi romanzi, sia quelli storici sia quelli del commissario
Salvo Montalbano. Le riprese televisive, però, erano sempre state
fatte nel Ragusano. Gli abitanti di Porto Empedocle l'avevano considerato
come un vero e proprio “esproprio” e avevano contestato lo stesso Camilleri,
il quale si era giustificato dicendo che la Porto Empedocle che viene descritta
nelle sue opere era diversa da quella che era diventata nel tempo.
Ma lo “strappo” fra lo scrittore e la città è stato superato
ora con la clamorosa iniziativa degli amministratori comunali, accolta
con grande soddisfazione da Camilleri. L'idea è stata del sindaco
Paolo Ferrara che, accompagnato dall'assessore al Turismo Antonio Guido,
è andato a trovare Andrea Camilleri per chiedergli l'autorizzazione
di aggiungere il nome Vigata a Porto Empedocle.
“Camilleri”, ha dichiarato il sindaco Ferrara “ha molto apprezzato
la nostra iniziativa. In effetti è molto legato alla città
dove è nato e non ha mai nascosto che Vigata, la città descritta
nei suoi libri, è proprio Porto Empedocle. Così, Camilleri,
che l'11 febbraio scorso è stato insignito dal presidente della
Repubblica Ciampi dal titolo di Grand'Ufficiale, ha preso carta e penna
e ha scritto la sua “autorizzazione”
all'uso del nome Vigata per la nuova denominazione di Porto Empedocle.
“Oggi 22 aprile 2003”, ha scritto Andrea Camilleri”, presso la propria
abitazione sita in via La Porta a Porto Empedocle, il sottoscritto prof.
Andrea Camilleri, nato il 06.09.1925 a Porto Empedocle (AG), alla presenza
del sindaco Paolo Gerrara e dell'assessore Antonio Guido, esprime, con
la presente, il proprio consenso acché il Comune di Porto Empedocle
utilizzi la parola “Vigata” accanto alla propria denominazione ufficiale
“Porto Empedocle”. E ha aggiunto, dopo la firma: “Ritenendomi estremamente
onorato della proposta”.
Un gran colpo davvero per la città agrigentina, dopo lo “smacco”
delle riprese televisive del commissario Montalbano nel Ragusano. Uno “smacco”
mai ben digerito, ma ora “vendicato” alla grande. L'abbinamento del nome
Vigata a quello della città, infatti, non potrà che portare
vantaggio al turismo, visto che i libri di Camilleri, dai quali sono stati
tratti popolarissimi telefilm, sono famosi in tutto il mondo. Tutto è
pronto per un grande rilancio: ai due alberghi già esistenti se
ne aggiungerà presto un terzo ed entro poche settimane partiranno
i lavori di drenaggio del porto che consentiranno alle grosse navi da crociera
di poter attraccare nel centro marinaro.
Entro la prossima settimana verranno anche ubicate, nei quattro ingressi
principali della città, le targhe con la scritta: “Porto Empedocle
Vigata”, Comune a prevalenza economica turistica”. E contemporaneamente
si sta già lavorando per una grande festa, con la presenza di Camilleri,
durante la quale verrà conferita la “cittadinanza onoraria” di Porto
Empedocle Vigata a Luca Zingaretti, l'attore che interpreta il commissario
Montalbano.
Stelio Zaccaria
Gazzetta
di Reggio, 17.5.2003
GUASTALLA
Studenti in scena
La compagnia teatrale «La Luba» dell'istituto Russell presenta
lo spettacolo «La scomparsa di Patò» di Andrea Camilleri.
Appuntamento al Ruggeri oggi e domani, alle 21.
Gazzetta del Sud,
18.5.2003
Andrea Camilleri protagonista a Messina della conversazione-concerto
sulla «Lupa»
È una sorta di conversazione-concerto su una delle novelle più
celebri di Verga, La Lupa, quella di cui sarà protagonista oggi
pomeriggio (alle 18), al Teatro Savio, Andrea Camilleri: ospite della «Filarmonica
Laudamo», il creatore del Commissario Montalbano, dall'alto della
propria lunga esperienza di regista, sceneggiatore, didatta e uomo di teatro
– oltre che di popolarissimo scrittore – racconterà al pubblico
messinese come può essere reso in maniera diversa (perché
diversi sono i linguaggi e gli strumenti che ciascuna forma è solita
usare) e comunque efficace un testo letterario quale la novella verghiana.
Una conversazione col pubblico, la sua, che sarà intervallata dalla
proiezione di spezzoni dei film che trattano questo tema, dalla lettura
del testo verghiano e dall'esecuzione di parti musicali a esso ispirate
e in qualche modo riconducibili. «Metamorfosi di un testo: La Lupa».
Dalla novella di Verga al teatro, all'opera, alla danza, al cinema: questo
il titolo dell'affascinante appuntamento odierno che, ne siamo sicuri,
richiamerà nel teatro di via Peculio Frumentario il pubblico delle
grandi occasioni e non soltanto i musicofili. Insieme con Camilleri saranno
impegnati Giampiero Cicciò (voce recitante), Caterina D'Angelo (mezzosoprano),
Claudia Caristi (soprano), Francesco Denaro (tenore) e Cinzia Bombara (pianoforte);
collaborazione e regia di Maria Luisa Bigai.
m.p.
Gazzetta del Sud,
18.5.2003
Non si lascia prendere dalla passione
L'arte evita di far politica
Nella vexata quaestio dei rapporti tra intellettuali e politica, un
posto a parte spetta a quello tra quest'ultima e l'attività “artistica”,
perché il rapporto che con la politica possono avere uno storico
o un sociologo non è lo stesso di quello di un artista. Su questo
problema la cultura europea ha assunto atteggiamenti molto diversi. Nel
1931, ad esempio, Benedetto Croce, in un saggio dal titolo Apoliticismo,
scriveva che «la società non lascia di raccomandare e rammentare
ai suoi poeti [...] di guardarsi dalle passioni della politica»,
perché «la verità universale, la pura umanità
non si ottiene nelle opere loro se non col superare le particolari passioni
e tendenze, quali sono per eminenza quelle che si raccolgono sotto il nome
di politica». Se Croce sia stato, o meno, coerente con questo assunto
– peraltro attenuato nel corso della stessa nota – non è qui il
caso di dire. Ma molto più drastico di lui era stato Thomas Mann,
che nel 1919, nelle Considerazioni di un impolitico – per la verità,
forse il suo libro più discutibile – scriveva che al posto della
«sottomissione al reale», erano ormai dominanti «l'attivismo,
il volontarismo, il migliorismo, il politicismo, l' espressionismo, in
una parola: la tirannia degli ideali». Questa, proseguiva, esige
che «l'arte ha da fare propaganda per le riforme di natura sociale
e politica. Se si rifiuta, la condanna è già pronunciata;
in termine critico suona: estetismo; in termine polemico: parassitismo».
Queste condanne le abbiamo sentite pronunciare molte volte, e sappiamo
dove e da chi. Ma questo non ha più importanza: vorrei invece ricordare
che posizioni come quelle di Mann e di Croce nel secondo dopoguerra vennero
radicalmente ribaltate. A parte affermazioni di grande portata come quella
di Theodor W. Adorno, secondo cui «arte non significa accentuare
alternative, bensì opporsi, usando esclusivamente la sua forma specifica,
al corso del mondo che tiene sempre puntata la pistola contro il petto
dell'uomo»; a parte queste considerazioni, dicevo, il testo ufficiale
della nuova tendenza risale al 1947, anno della pubblicazione del noto
saggio di Sartre, Che cos'è la letteratura? , dove si legge che
«lo scrittore impone alla società una coscienza inquieta,
perché è in eterno antagonismo con le forze conservatrici,
che mantengono l'equilibro che lui vuole rompere». Queste parole
indicano chiaramente il telos del discorso di Sartre, l'ideologia ad esso
sottesa, affatto opposta a quello dei pensatori della prima metà
del Novecento, che avevano compreso che la sottomissione dell'arte alla
“tirannide degli ideali” – vulgo: alle ideologie – non poteva che significarne
la fine: inutile, o quasi, ricordare il “realismo socialista”. Perché
riaprire oggi questi vecchi discorsi? Una ragione c'è, anche se,
per così dire, “piccola piccola”: le parole polemiche dirette da
un uomo politico siciliano a uno scrittore anch'esso siciliano, di cui
ha parlato, oltre quella locale, anche la stampa nazionale. Forse non era
qui necessario scomodare tanti grandi pensatori, scatenare una tempesta
per “abbattere un fuscello”: ma poiché l'episodio rientra proprio
nella vexata quaestio dei rapporti tra letteratura e politica, richiamarne
i momenti più alti, può non essere stato del tutto inopportuno.
Il fatto, dunque, è noto: un importante dirigente politico siciliano,
Gianfranco Miccichè, ha sferrato un duro attacco allo scrittore
Andrea Camilleri, accusato di “massacrare” con i suoi scritti il centro-destra,
e di non meritare, quindi, elogi da parte delle città o delle province
in cui i suoi romanzi o racconti sono ambientati. Ora, che Andrea Camilleri
sia uno scrittore, come si diceva una volta, “impegnato” – sinonimo di
“scrittore di sinistra” – potrebbe sfuggire soltanto a coloro che dei suoi
romanzi o racconti sono interessati soltanto alla “trama”, cioè
all'aspetto esteriore, anche se spesso assai coinvolgente. Questo però
non toglie che molti dei suoi libri siano di notevole livello artistico;
e questo lo rivela capace di convertire l'energia del suo sentimento politico
in opera d'arte. Naturalmente non è sempre così, e i casi
in cui la passione politica prende il sopravvento sull'artista, non mancano
certo nella sua produzione. Ma sono convinto che egli stesso sappia che
quando usa consapevolmente il suo ingegno di scrittore come una catapulta
contro gli avversari politici, sta rinunciando a “fare arte”. Ma il suo
antagonista avrebbe dovuto tenere presente il celebre interrogativo di
Jean-Paul Sartre, «se il quadro di Guernica avesse guadagnato un
solo uomo alla causa spagnola»; e ricordare che gli intellettuali
di solito predicano la salvezza a chi è già salvo. Non credo
che le avventure del commissario Montalbano abbiano guadagnato elettori
al centro-sinistra, né credo che Andrea Camilleri le scriva con
questo fine; se così fosse le leggerebbero davvero in pochi.
Girolamo Cotroneo (girolamocotroneo@hotmail.com)
Il Sole 24 Ore,
supplemento "Domenica", 18.5.2003
Vespe
Camilleri svizzero, Fallaci siciliana onoraria
"Camilleri sono". Il doganiere svizzero lo squadrò incredulo:
"Chi, quello del commissario Montalbano?". "Sissignura, io pirsonalmente
di pirsona". "E che ci fa lei qui, scusi?". "Asilo politico sono vinuto
a dimandari, cillenza". "Asilo politico?". "Sissignura. In Italia nun pozzi
cchiù campari. Mi deve crìdiri, cillenza. Chilli viciministri,
Gianfranco Miccichè, ha ditto che sono un grandissimo nimico del
Polo, un assassino, e che non mi vuole più vidiri. Accussì
ho pigghiato il trenu e sono scapocchiato in Svizzera". "Ma noi, in Svizzera,
volevamo la Fallaci, mica lei. Ha scritto cose razziste contro gli islamici.
La dobbiamo processare". "La Fallaci? Chilla fimmina simpri arraggiata?
A Modica sta. Siciliana onoraria, la vugghiono fari". Nel frattempo, al
comune di Modica, Oriana Fallaci stava conversando amabilmente con l'assessore
alla cultura: "Ho visto un uomo che orinava sulla scalinata di San Giorgio.
Dalla lunghezza del getto ho subito capito che era un musulmano. O bischeracci,
come potete tollerare tutto questo? Ma ce l'avete uno zinzino d'orgoglio,
dove avete messo gli attributi? Una manica di smidollati, ecco cosa siete".
L'assessore alzò gli occhi al cielo e murmuriò: "Aridatece
Montalbano!".
Troppo tardi. Proprio in quel momento Camilleri, assittato su una panchina
di Lugano s'addrumava una sigaretta e principiava a ragionare sul suo conto
in banca. Ormai noto come "lo Cunto di li Cunti".
La Sicilia, 18.5.2003
Gaglio e i «Racconti di mare»
Ha scritto William Saroyan che "gli uomini passano ma i libri restano,
custodi delle memorie e delle emozioni".
Così sono, i libri, anche per Alfonso Gaglio, scrittore empedoclino,
amico d'infanzia di Andrea Camilleri, che, in questi giorni, per festeggiare
i suoi 80 anni, ha deciso di dare alle stampe il suo ultimo lavoro di narrativa,
"Racconti di mare". Si tratta di dodici episodi legati al mondo del mare,
dove lo scrittore "pesca" nella memoria e nei ricordi che l'hanno accompagnato
nelle stagioni della sua vita, oppure "ruba" le storie ad alcuni anziani
pescatori di Porto Empedocle, per trasformarle in episodi letterari quasi
leggendari. Con questi racconti Alfonso Gaglio si appresta a pubblicare
la sua sesta opera, dopo essersi occupato, in passato, di teatro, di saggistica
e di narrativa. E' stata proprio la grande passione di Gaglio, maturata
fin da ragazzo, per il teatro, a cementare l'amicizia con quel giovane
esile e "strano" , già all'epoca considerato un cervellone, di Andrea
Camilleri, personaggio che sarebbe poi diventato a distanza di oltre mezzo
secolo, lo scrittore più conosciuto e amato d'Italia.
A vent'anni, Alfonso Gaglio fondò a Porto Empedocle una compagnia
di filodrammatici , "Maschere nude", per cercare di mettere in scena, per
la regia di Andrea Camilleri, i primi testi teatrali che scriveva. L'immagine
di un'epoca è tutta racchiusa in una fotografia, scattata nell'estate
del 1942 a Capo Rossello di Realmonte, dove viene ripresa la compagnia
teatrale al gran completo, dopo una gita al mare, con Andrea Camilleri
al centro a petto nudo e con gli occhiali e Alfonso Gaglio, seduto in basso,
su una marna. A rivedere quella foto a distanza di sessant'anni, Alfonso
Gaglio si commuove: riconosce gli amici-attori di un tempo; Filippo Ferrara,
le signorine Troja, Nello Urso e poi ancora Salvatore Attardo, la signorina
Massa e Angela Catalano (poi diventata sua moglie) e ricorda gli amici
che non ci sono più.
La prima messa in scena, in quegli anni giovanili, fu la commedia "Il
treno fantasma" liberamente ispirata all'opera di un autore americano che
il giovane e promettente regista Camilleri diresse in modo superlativo.
Lorenzo Rosso
La Stampa, 19.5.2003
Mi manda il tenente Sheridan
Come è cambiato il giallo italiano in televisione
TORINO. «Diciamo la verità: se in tv tornasse il tenente
Sheridan non piacerebbe più a nessuno». Alla fine Giancarlo
De Cataldo, giudice di Corte d’Assise con solida vocazione da scrittore
noir, dà ufficialmente l’addio ai bei tempi andati. Sono passati
i giorni di Ubaldo Lay, del suo impermeabile alla Humphrey Bogart e delle
sfide intellettuali che Paolo Ferrari poneva al club di giallisti con garbo
e passo implacabilmente lento. Adesso investigare in tv significa piuttosto
velocità implacabile, rabbia metropolitana, poche speculazioni e
molta, moltissima realtà. Nel salone dei colori è il giorno
del giallo: lo scenario è la tavola rotonda Rai «Il poliziesco
in tv: da Sheridan alla Squadra». Accanto a De Cataldo c’è
Massimo Bonetti, volto della serie tv di Raitre ambientata a Napoli, e
alcuni dei fautori di questo poliziesco davvero di squadra, Giusi Buondonno,
Gabriella Carosio, Anna Maria di Paolo. Già, perché sono
finiti, o quasi, anche i tempi dell’investigatore - e dell’autore - onnisciente.
Ieri c’era Sheridan, c’era il Maigret di Gino Cervi, amatissimo da Georges
Simenon («Nessuno l’ha interpretato con altrettanta efficacia»),
c’era Nero Wolfe-Tino Buazzelli che con pesante incedere ritmava il tempo
della narrazione. Oggi su Raitre ci sono quelli del Commissariato Sant’Andrea,
undici agenti diversi per aspetto e vocazione, ognuno dei quali possiede
un brandello della verità totale di Nero Wolfe. Su Canale 5 c’è
il romano Distretto di Polizia di Isabella Ferrari, Ricky Memphis e Giorgio
Tirabassi, un’altra storia corale, solo con un pizzico di comedy in più.
«Certo, c’è anche Montalbano - continua De Cataldo - forse
è proprio lui l’erede della mitica trilogia del telegiallo italiano
Sheridan-Maigret-Wolfe. Ma Camilleri è un caso a parte, un’opera
ai confini tra tv e cinema per qualità, spessore narrativo, capacità
di far sognare. Oltretutto firmata da uno come Camilleri che la tv la conosce
come le sue tasche». E’ chiaro fin dall’ambientazione: da una parte
grandi città come Roma e Napoli, dall’altra un luogo dell’immaginario
per eccellenza, quella Vigata che è pura essenza di Sicilia ma non
esiste né in Sicilia né altrove. Vigata è categoria
dello spirito, parente della casa newyorchese da cui Wolfe non si muove
mai e dove pure viene a conoscere tutto. Le strade di Roma e Napoli dove
si affannano Massimo Bonetti e Giorgio Tirabassi assomigliano all’87°
Distretto di Ed McBain, o, come dicono i loro autori, a quella Hill Street
giorno e notte che nel 1981 ha aperto la strada a tanti telefilm americani
di crudo realismo rivoluzionando il mistery tradizionale: non vincono affatto
sempre i buoni e poi, i buoni, chi sono? Il giallo di ieri era un raffinato
balletto intellettuale dove tutto andava a posto in un impeccabile meccanismo
a orologeria, appagando le inquietudini del lettore. Oggi bisogna sporcarsi
le mani con l’ambiguità del reale e accettare di vedere le proprie
certezze scardinate. Ieri era lavoro da grandi artigiani dello scrivere,
ora è «catena di montaggio - dice Giusi Buondonno - un prodotto
industriale dove ognuno dà il suo contributo». Il motivo è
innanzitutto finanziario: vengono applicate rigorosamente le economie di
scala. In due settimane un episodio passa dalla carta allo schermo: per
poter fare così in fretta è necessario che i protagonisti
siano tanti: uno gira in interni, l’altro in esterni, il terzo impara la
parte. Il realismo è fondamentale «intanto perché è
quello che il pubblico chiede oggi - spiegano a Raitre - e poi per rispettare
la linea della rete che passa da Un giorno in pretura per arrivare a Mi
manda Raitre: una linea che crede nell’inchiesta giornalistica, nella cronaca
più che nel sogno». Lo testimonia la presenza di moltissimi
esponenti della Polizia di Stato dietro le quinte di un telefilm come La
squadra: le storie sono spesso vere, l’autentica testimonianza di una poliziotta
infiltrata non si distingue dalla «novelization» della serie
tv. «La sfida - conclude De Cataldo - è fare bene nonostante
gli schemi rigidi. Un po’ come quei pittori che lavoravano su commissione
nel Rinascimento: dovevano dipingere un’Annunciazione in dati limiti di
tempo e spazio. Alcuni si limitavano alla routine, altri creavano capolavori».
Lui delle sfide non ha certo paura. Con il suo Romanzo Criminale (Einaudi)
- che presto sarà un film diretto da Marco Tullio Giordana - si
è immerso nelle vicende della banda della Magliana, inseguendo,
nell’arco di tempo che va dalla metà degli Anni Settanta agli inizi
di Tangentopoli, la storia di un gruppo di duri di borgata che s’intreccia
ai rapporti con politici, uomini d’affari, funzionari dei servizi segreti,
mafiosi e camorristi. A chi non ha seguito con attenzione le cronache dell’epoca
potrebbe sembrare fantasia pura di un grande autore. Invece è tutto
vero.
Raffaella Silipo
Gazzetta del Sud,
20.5.2003
Lo scrittore parla della conversazione-concerto realizzata a Messina
Camilleri: ecco come si “tradisce” un testo
Nelle riduzioni di cinema e teatro è necessario essere infedeli
a un'opera
Incontriamo Camilleri alla fine della mattinata quando, a Messina, finita
la prova generale della conversazione concerto dedicata alla «Lupa»
di Verga, accoglie l'invito del presidente della «Filarmonica Laudamo»,
Manlio Nicosia, di prendere un aperitivo insieme. E si mostra gentile e
disponibile, parlando, tra una sigaretta e l'altra, parla a ruota libera
dei suoi romanzi, del commissario Montalbano, del «Birraio di Preston»
(il suo volume migliore, secondo molti dei conversatori, autore compreso)
e del successo piovutogli addosso («del tutto casualmente»,
rivela).
– Il suo rapporto con Messina sappiamo essere di vecchia data... «Di
vecchissima data – ammette con sincero piacere –. Ho lavorato a lungo quando
facevo teatro con Massimo Mòllica (che era presente allo spettacolo
e che, alla fine, è andato ad abbracciare il suo compagno di tanti
lavori, ndc). Ho fatto tantissime regie: e ricordo con vero piacere che
una di queste regie, "Merli e Malvizzi" di Biagio Belfiore, inaugurò
il Teatro in Fiera (da qualche anno, ormai, inopinatamente chiuso, lo informiamo,
ndc). Ho tanti ricordi e tanti amici, ancora...». Riemergono, così,
dallo scrigno della memoria (che, più che lucida, definiremmo elefantiaca)
episodi divertenti che, come ciò che è lontano nel tempo
e non può ritornare, hanno dell'incredibile. «Una volta, a
tarda notte, di ritorno da Tindari, con Massimo Mòllica – racconta
– ci fermammo a parlare e a progettare al Bar Irrera, a Piazza Cairoli.
Parlammo fino alla mattina successiva e non ci accorgemmo di avere consumato
sei granite ciascuno». E giù una risata, divertita e amara
insieme.
– Parliamo di questa conversazione-concerto. «Siamo andati a
considerare – spiega Camilleri – quelli che sono stati gli adattamenti
dalla novella originale fatti dallo stesso Verga per il Teatro, e poi altri
per il balletto, l'opera e soprattutto per il cinema: una negli anni Cinquanta
di Lattuada e un'altra, qualche anno fa, di Lavia con la Guerritore».
– Gli adattamenti sono spesso manomissioni, tradimenti dell'opera originaria.
Lei, che è stato dall'una (sceneggiatore) e che adesso è
dall'altra parte (scrittore), come la vede? «Guardi, se uno fosse
assolutamente fedele – ipotizza – ne verrebbe fuori qualcosa di non funzionante
né teatralmente né cinematograficamente. Dunque, è
una infedeltà necessaria, indispensabile. Il problema è –
puntualizza, accalorandosi – vedere i limiti di quest'infedeltà
e se rispetta lo spirito dell'opera».
– Prendiamo il caso del suo Montalbano. L'hanno fatta mai arrabbiare?
«Qualche volta Francesco Bruni, che è lo sceneggiatore primo
della serie televisiva (lo sono anch'io, sia chiaro), mi ha fatto arrabbiare
ma, e lo dico con estrema franchezza, per motivi completamente diversi
da quelli che ci si può aspettare. Mi sono trovato a dirgli: «Francesco,
mica può essere così fedele a quello che ho scritto...!».
In quel momento evidentemente, – riconosce – prevaleva in me non lo scrittore
ma quello che sono stato, cioè il regista e lo sceneggiatore. È
stato, cioè, fin troppo aderente a certe situazioni mie: ed è
cosa rara fra gli sceneggiatori, che spesso si precipitano come elefanti
in un negozio di vetrerie...».
– La direzione artistica del teatro «Regina Margherita»
di Racalmuto. «Razionalmente avrei detto subito di no. Ma poi ho
ripensato a Leonardo (Sciascia, suo amico , ndc) i cui occhi quando parlava
di questo teatro acquistavano una particolare intensità. Era molto
legato a questo teatro e io ho accettato esclusivamente per questo. E riesco
a portare avanti questa direzione perché ho dei collaboratori straordinari:
a cominciare da Giuseppe Di Pasquale, che è stato mio allievo all'Accademia
e che è una di quelle persone di cui ti puoi fidare appieno. Facciamo
assieme il cartellone. Insomma, non tutto ricade su di me: altrimenti,
sinceramente, non ce l'avrei potuta fare».
Matteo Pappalardo
La novella di Verga al microscopio
La metamorfosi della «Lupa»
C'era il pubblico delle grandi occasioni, domenica al Teatro Savio,
per l'attesa conversazione-concerto di Camilleri, ospite della «Filarmonica
Laudamo». «Metamorfosi di un testo: La Lupa. Dalla novella
di Verga al teatro, all'opera, alla danza, al cinema»: questo il
titolo dell'originale e composito spettacolo (perché di questo si
è trattato), ben coordinato da Maria Luisa Bigai, nel quale il celebre
scrittore siciliano, partendo dal testo originario verghiano (letto – anzi,
diremmo «interpretato» – con sicurezza e classe da Giampiero
Cicciò), ha parlato dei principali adattamenti che ne sono stati
tratti in oltre 120 anni di «vita» (la novella è stata
pubblicata la prima volta nel 1880, nella raccolta «Vita dei campi»).
Dopo una breve ma efficace parte introduttiva dedicata allo stile «verista»
(del quale La Lupa è una delle pagine più rappresentative),
Camilleri ha preso in esame l'adattamento teatrale («infarcito di
spiegazioni», ha commentato causticamente), firmato dallo stesso
Verga, andato in scena nel 1896 al Teatro Gerbino di Torino (con Virginia
Reiter grande protagonista, nel ruolo che 70 anni più tardi sarebbe
stato dell'indimenticabile Anna Magnani, diretta da Zeffirelli). Poi, La
Lupa che diventa opera. Dopo il successo riscosso da «Cavalleria
rusticana» di Mascagni, si pensò di farla diventare un'opera
(ma né Puccini né Mascagni ne scrissero la musica): per questo,
lo stesso Verga, insieme con De Roberto, ne trasse un libretto che, solo
nel 1933, sarebbe stato musicato da Pierantonio Tasca (data in prima assoluta
quello stesso anno al Teatro Littorio di Noto). E di quest'opera sono state
eseguite – da Caterina D'Angelo (mezzosoprano), Claudia Caristi (soprano),
Francesco Denaro (tenore) accompagnati al pianoforte da Cinzia Bombara
– alcune delle parti più significative. Gli stessi interpreti hanno
proposto con puntualità all'attento pubblico peloritano alcune parti
dell'opera che ne trasse nel 1990 per l'Estate Livornese Marco Tutino,
su libretto di Giuseppe Di Leva (edizione fin troppo libera, con Nun è
peccato di Peppino Di Capri inusuale e sorprendente leit-motiv della passione
tra Gnà Pina e Nanni Lasca). Poi, un momento assai suggestivo (un
«passo a due») del balletto andato in scena a Milano (Teatro
Parenti) con Luciana Savignano splendida protagonista (coreografie di Susanna
Beltrami, musiche di Cesare Picco e adattamento di Aurelio Grimaldi). E,
in conclusione, le parti finali delle due versioni cinematografiche, realizzate
nel 1953 da Alberto Lattuada («che ha come modello più “Duello
al sole” che il testo verghiano» ha concluso Camilleri, riprendendo
una critica del tempo) e nel 1996 da Gabriele Lavia («dalle tinte
forti e melodrammatiche» ha commentato).
Seduto su una poltrona nel salottino «ricreato» sul palco
del Teatro Savio, Camilleri ha condotto da par suo la particolarissima
conversazione-concerto pensata su misura per lui, mettendo in evidenza
intuizioni (poche, a dire il vero), esagerazioni (arbitrarie e, a volte,
gratuite) e limiti delle varie riletture della novella verghiana. E ha
concluso con un simpatico episodio che lo ha visto protagonista insieme
con Sciascia. «Una volta – ha raccontato – dovetti adattare per la
televisione un testo di Sciascia, “Western di casa nostra”, di appena tre
pagine. Ne vennero fuori tre episodi da un'ora ciascuno. Un giorno, a pranzo,
chiesi a Leonardo se gli erano piaciuti. Mi rispose di sì. E mi
chiese come avessi fatto a fare diventare le tre paginette tre ore di film.
«Sciogliendoli» risposi. Siccome mi accorsi che non gli era
chiaro, gli spiegai che il suo testo era un concentrato come il dado e
che io avevo dovuto fare il brodo. Ecco – ha concluso Camilleri – bisogna
sapere fare il brodo!».
m.p.
Il Messaggero,
20.5.2003
Cultura. Il programma
Testi inediti, grandi attori e “tutto quel jazz"
La scrittrice Doris Lessing apre domani alla Basilica di Massenzio al
Foro Romano il Festival internazionale Letterature (ore 21, ingresso libero).
Nel corso delle 11 serate, un attore italiano introdurrà gli scrittori,
leggendo alcune loro pagine, mentre i migliori jazzisti nostrani, da Enrico
Pieranunzi a Danilo Rea, chiuderanno le serate. Tutti i testi, per la maggior
parte inediti, saranno letti in lingua e la loro traduzione in italiano
scorrerà simultaneamente su un grande schermo alle spalle dell’autore.
[...]
27 maggio. Andrea Camilleri presenterà una riflessione inedita
sul tema del Festival. L’attore coinvolto, ovviamente, non poteva essere
che l’interprete televisivo del commissario Montalbano, Luca Zingaretti;
il jazzista Enrico Rava e il pianista Stefano Bollati suoneranno durante
l’intervento dell’autore siciliano.
[...]
Claudia Rocco
Radio 3,
20.5.2003
Atlantis
[...]
Ora parliamo di Sicilia, di un Commissario, di libri e di una città
immaginaria.
Immaginaria e di cui, nei libri di Camilleri, non vengono date indicazioni
e allora, noi sapevamo perché eravamo informati che Vigata era Porto
Empedocle; ma perché ne parliamo?
Allora, avete letto negli scorsi giorni che il Sindaco di Vigata ha
chiesto ad Andrea Camilleri, inventore della Vigata letteraria, se poteva
aggiungere al nome di Porto Empedocle anche quello di Vigata e Camilleri
immediatamente ha detto sì.
A ruota, perché in Italia non mancano mai, le polemiche di Vincenzo
Consoli che dice no, è volgare, non si deve fare eccetera, eccetera
eccetera.
Ma che importa, se andate... se andrete a Porto Empedocle siamo convinti
che per quanto vi fingiate distratti un'occhiatina a vedere se quell'angolo
dove e' stata girata quella scena, quella piazza, quella via, quella discesa
verso il mare sono proprio quelle che avete visto in televisione e adesso
vedete nella realtà.
Questo per dire che cosa? Per dire che comunque questo battesimo indiretto,
perché non si chiama Porto Empedocle - Camilleri ma Porto Empedocle
- Vigata, è cosa tutt'altro che nuova perché in Italia alcuni
posti che hanno avuto "figli" celebri hanno deciso di aggiungere al loro
nome il nome di questo celebre figlio: per esempio Castagneto Carducci
in Toscana e poi ad esempio anche Caprese, patria del Buonarroti, che
si chiama Caprese Michelangelo.
Fra l'altro, se vogliamo, Castagneto ha un po' rubato la cosa perché
i "cipressi che a Bolgheri alti e schietti" sono un pochino... un pochino
più in la e purtroppo anche malati.
E poi se pensiamo, per esempio, al condottiero Barce da Montone uno
dice "montone il quadrupede" no, Montone è un borgo in effetti,
molto bello, sempre in Toscana.
Poi Alfieri... l'Alfieri è stato consegnato alla memoria di
un piccolo paese del Piemonte e, anche a Pascoli in Emilia, Puccini di
nuovo in Toscana.
Queste sono le realtà minime ma ci vogliamo dimenticare una
su tutte?
L'America che prese il nome da Amerigo Vespucci con gran dispetto,
dall'alto dei cieli, di Cristoforo Colombo.
Bene... alla fine Consolo ci perdoni, noi siamo contentissimi di varcare
i confini di Porto Empedocle - Vigata e, magari, i turisti balneari e gastronomici
di trovare... vorremmo trovare i cartelli che indicano "Spiaggia Montalbano",
"Ristorante Montalbano" e poi l'indirizzo di quella signora che al Commissario
fa sempre trovare il frigorifero pieno di delizie.
[trascrizione a cura di Andrea]
La Repubblica,
ed. di Palermo, 20.5.2003
L'antisiciliano
Chiediamo a Musotto la verità su Miccichè
[...]
Musotto sembrava parlare, una volta tanto, come "persona informata
dei fatti". Fatti che, ora, sarebbe il caso di spiegare ai cittadini in
quest'ultimo scampolo di campagna elettorale. Per evitare che qualcuno,
dentro o fuori dalla Sicilia, possa eventualmente pensare male o farsi
strane idee. Insomma, per salvaguardare quel "buon nome della Sicilia"
che il povero Miccichè, nel suo piccolo, vorrebbe tutelare a colpi
di carote, peperoni e melanzane contro i cosacchi rossi invasori tipo Camilleri
e Montalbano.
[...]
Marco Travaglio
La Repubblica,
ed. di Palermo, 20.5.2003
L´INIZIATIVA
Filiale a Milano per l´agenzia Im*media un successo iniziato
col cd di Montalbano
Im*media apre a Milano. A dispetto della tendenza generale nel rapporto
fra Nord e Sud, l´agenzia di comunicazione digitale palermitana ha
istituito a Milano un punto di rappresentanza, in via Mugello 7, mantenendo
la produzione interamente in Sicilia. «Un´iniziativa presa
per ovviare alle discriminazioni di cui le aziende siciliane si ritrovano
vittime per vari motivi: geografici, culturali, sociali», spiega
Marco Giammona, fondatore della società insieme a Pillo Esposito
Lavina. A ben guardare Im*media non sembra aver subito discriminazioni:
l´80 per cento dei clienti è costituito da compagnie non siciliane
(Rizzoli Pubblicità, Poste Italiane, Orangee, Activa per fare alcuni
esempi), e diverse commesse arrivano anche dall´estero: la casa di
moda newyorkese Tocca, la Repubblica di San Marino, la Thöndo di Atlanta.
La società, nata nel 1995, offre comunicazione e marketing multimediale:
siti Internet, servizi avanzati per il web, video promozionali e Cd-rom.
Oggi conta una ventina di dipendenti: «tutti regolarmente assunti
e retribuiti» ricorda ancora Giammona.
I primi subappalti sono stati per Nazzareno Gabrielli e Alitalia. Ma
l´esplosione di notorietà per l´azienda si è
avuta l´anno scorso con il lancio dei cartoni animati interattivi
del commissario Montalbano creati per la Sellerio e oggi al terzo episodio
con "La voce del violino". Ultimo orgoglio dell´azienda in ordine
di tempo è il video realizzato per Emergency "Guerra alla guerra"
che ha partecipato all´ultimo festival di Berlino.
Le soir, 21.5.2003
Andrea Camilleri réinvente un moment où le rêve
fut roi
«Le roi Zosimo», roman passionnant au langage savoureux,
est sans doute son meilleur livre
« Le roi Zosimo », Andrea Camilleri, Fayard, 384 pp.,
20 euros
Quel plaisir! Quel régal! Quelle verve! Quelle imagination! On
ne sait pas où commencer pour parler de ce livre jubilatoire qu'est
« Le roi Zosimo » d'Andrea Camilleri.
En quelques années, ce dernier a conquis le public italien (tous
ses livres sont d'énormes succès de vente dans son pays)
mais aussi international avec deux types de livre bien différents.
D'une part, des enquêtes policières menées par le très
original commissaire Montalbano. D'autre part, des romans historiques souvent
teintés d'énigmes vaguement policières. Mais, dans
un cas comme dans l'autre, ce que Camilleri met d'abord en évidence,
c'est sa Sicile natale, ses habitants, ses us et coutumes, ses grands mystères
et ses petits secrets, sa violence parfois extrême et sa merveilleuse
humanité.
Tout cela, on le retrouve dans «Le roi Zosimo» qui est
sans doute l'ouvrage le plus ambitieux de Camilleri à ce jour. Tout
part, assure l'auteur, d'un fait historique, retrouvé par lui lors
de recherches sur son île bien-aimée et plus particulièrement
sur sa ville natale d'Agrigente. Au début du XVIIIe siècle,
la révolte gronda parmi la population de la région tiraillée
entre la noblesse locale, les occupants espagnols, le pouvoir religieux
et de nombreuses autres misères dont la peste ne fut pas la moindre.
C'est dans cette époque troublée qu'un certain Zosimo allait
devenir un éphémère roi d'Agrigente, suivi par toute
la population locale. C'est l'histoire de ce Zosimo que nous livre Andrea
Camilleri et, à travers elle, une partie de l'histoire de sa ville.
Soyons franc, les premières pages laissent perplexe. Depuis
toujours, Andrea Camilleri utilise dans ses livres un mélange d'italien
et de dialecte sicilien. Mais jamais, semble-t-il, il n'a été
aussi loin dans l'utilisation de ce dernier, y ajoutant des expressions
espagnoles en raison de la présence de ceux-ci dans la Sicile de
l'époque. Pour rendre la saveur de cette langue, la traductrice
Dominique Vittoz a fait appel au parler franco-provençal de la région
rhodanienne comme elle l'avait déjà fait pour «La saison
de la chasse» et «Un filet de fumée».
Il n'est donc pas anormal d'avoir quelques difficultés à
entrer dans un ouvrage au parler si déroutant. Mais, très
vite, on se laisse entraîner dans le tourbillon des aventures narrées
par Camilleri. Tout commence par un meurtre raté. Oh! pas un meurtre
bien méchant. Juste un petit coup de pouce au destin qui a placé
un prince en fâcheuse posture après une chute de cheval en
montagne. Il suffirait d'un rien pour que le prince bascule définitivement
dans le vide. Et Gisué pourrait alors s'emparer de toutes les richesses
portées par le malheureux : Gisué en était comme
une carpe qui perd l'eau. C'était pas un homme, de chair et de sang,
mais une mine, un filon qui mettrait à couvert sa famille, et ses
enfants encore à faire, pour le restant de ses jours! Vingt dieux,
c'était un sacré coup de ragache! Le v'la qu'allait d'venir
riche!
Seulement voilà, au moment où Gisué va commettre
son forfait, une troupe lancée à la recherche du prince surgit
et le sort de sa fâcheuse position.
Heureusement, le prince, qui croit que Gisué a voulu le sauver,
le fait mander en son château… pour lui administrer une solide correction.
Car, qui l'eut cru, le prince n'était pas dans ce ravin par hasard.
Il voulait en finir avec la vie… avant de voir surgir cette bonne vieille
trouille qui le fit appeler à l'aide. Mais cette fois, c'est sûr,
il a pris sa décision. Il veut mourir et demande à Gisué
de l'occire, tout simplement. Nous ne vous en dirons pas plus sur cette
première partie de l'histoire qui n'est qu'un petit (mais déjà
délicieux) apéritif aux aventures de Zosimo, fils de Gisué
et véritable héros de l'ouvrage.
Paysan et fin lettré (il dévore tous les livres qui lui
tombent sous la main dès sa plus tendre enfance), doté de
pouvoirs de divination dont il n'abuse jamais, ami d'un ermite exorciste,
Zosimo va connaître un destin peu banal qui, bien sûr, ne pourra
que finir sur l'échafaud.
En ces temps en effet - mais les choses ont-elles vraiment changé?
-, un paysan devenu roi n'avait guère d'illusion à se faire.
Il en profiterait quelques jours, au mieux quelques semaines, avant que
les puissants ne reprennent le pouvoir. Et cela, Zosimo le sait dès
le départ comme le montre Camilleri en nous narrant toute sa vie,
émaillée de mille épisodes fantastiques, drôles,
chaleureux, émouvants.
Ce n'est que dans la dernière partie de l'ouvrage que Zosimo
deviendra roi, pour quelques pages seulement, avant d'être arrêté,
condamné et pendu. Mais que de bonheur il nous aura donné
avant cette triste fin qui, même elle, parvient par la grâce
d'un simple cerf-volant à nous émouvoir et à nous
faire rêver.
Avant cela, nous aurons suivi l'enfance de Zosimo, la constitution
de sa petite bande d'amis, ses démêlés avec l'aristocratie
locale, ses rencontres avec l'évêque, son voyage à
Palerme, son dépucelage peu banal, ses fiançailles et sa
vie heureuse avec Ciccina jusqu'à la mort de celle-ci, la mort terrible,
après torture, du père Uhu et bien d'autres épisodes
hauts en couleur et riches en émotion rappelant les univers de Garcia
Marquez, d'Amado et autres conteurs de génie.
L'émotion de l'enfance retrouvée flotte dans toutes ces
pages, la générosité, le sens du combat commun, le
don de soi font souffler un vent frais d'utopie dans une époque
où chacun ne combat plus que pour lui-même.
«Le roi Zosimo» est un grand livre parce qu'il nous donne
du plaisir, du bonheur, du courage, des raisons d'espérer et parce
que, comme le dit Zosimo lui-même à propos de ce qu'il apporte
au peuple qui le suit: J'leur offre un rêve!
Jean-Marie Wynants
Gazzetta del Sud,
21.5.2003
Verso le Amministrative La Margherita replica a Forza Italia: «I
nostri sondaggi danno in vantaggio Saitta»
Il clima s'arroventa
Mancano ancora 20 presidenti di sezione
[...]
In cinquanta hanno firmato un appello a sostegno delle candidature
di Antonio Saitta e di Federico Martino, al quale ha aderito anche lo scrittore
siciliano Andrea Camilleri.
[...]
Lucio D'Amico
Giornale di Sicilia, 22.5.2003
Altri due gialli da "Il commissario di bordo" diventano opere liriche.
Debutto in teatro a Siena
Camilleri torna sulla scena del delitto
Roma. Due racconti "gialli" di Andrea Camilleri, tratti da "Il commissario
di bordo", diventano opera lirica. Si tratta de "Il mistero del finto cantante"
e "Che fine ha fatto la piccola Irene?", un dittico che su musica di Marco
Betta debutta, in "prima" assoluta, alla «Settimana Chigiana»
di Siena, il 14 luglio al teatro dei Rozzi. Prosegue così il percorso
dello scrittore siciliano che si prefigge una trilogia musicale "da camera"
dal suo "Inchieste del commissario Collura". Un progetto a lunga gittata
inaugurato il dicembre scorso al teatro Donizetti di Bergamo con "Il fantasma
nella cabina", accolto con notevole interesse dal pubblico e dalla critica
e che poi fu replicato in tutta Italia, Sicilia compresa al teatro Vittorio
Emanuele di Messina.
Si tratta di quattro riduzioni degli otto racconti del "Commissario
di bordo", un ciclo che porta l'autore più letto d'Italia sui palcoscenici
lirici, un passo che si lega con il passato teatrale dello scrittore di
Porto Empedocle che è stato, com e si sa, regista teatrale e radiofonico,
oltre che insegnante, per tanti anni, all'Accademia nazionale d'arte drammatica
"Silvio D'Amico".
Le due opere della seconda parte del progetto, drammaturgicamente elaborate
da Rocco Mortelliti, (peraltro anche regista dell'allestimento) saranno
eseguite dal gruppo strumentale dell'Accademia chigiana diretto da Federico
Longo, interpreti Ugo Dighero, Denia Mazzola, Patrizia Orciani, Paola Ghigo,
Luca Canonici, Leonardo De Lisi e Fabio Previati. Scene e costumi sono
di Italo Grassi.
I due racconti hanno per protagonista il commissario di bordo Cecè
Collura, la signora Agata Masseroni, un finto cantante e una misteriosa
signora che ha perduto la figlia. Personaggi che si cimentano in una serie
di bizzarre avventure fra verità e finzione.
Ha detto Marco Betta nella conferenza stampa di presentazione della
«Settimana Chigiana»: "Si disegnano con la musica le emozioni,
una sorta di grande sinfonia da camera con variazioni. Partendo dalla grande
tradizione lirica si arriva ad un tipo di spettacolo particolare. I cantanti
sono anche attori, alle prese con arie, duetti, concertati ma anche recitazione
sulla musica. Le idee musicali dipendono dai vari personaggi e percorrono
le due opere con una luce sonora che si fonde con la malinconia e l'ironia
sottile del testo".
La Nazione,
22.5.2003
"Nei miei vent'anni e più di ..."
ROMA — "Nei miei vent'anni e più di teatro ho già interpretato
personaggi che tendevano ad avvicinarsi a Dio. Ma mai come questa volta
mi ci sento vicino". O ancora: "Per questa conferenza stampa ho indossato,
come il personaggio che interpreterò nel Mistero del finto cantante,
scarpe con soletta di sette centimetri, per abituarmi al ruolo". Le dichiarazioni
di Ugo Dighero sono state il momento più sapido della presentazione
della 72ª Estate Musicale Chigiana e della 60ª Settimana senese,
svoltasi ieri nella sede centrale del Monte dei Paschi a Roma.
A proseguire a distanza la polemica sviluppatasi in questi giorni fra
alcuni protagonisti della Casa delle Libertà e lo scrittore Camilleri,
è questa volta l'interprete dell'opera composta da Marco Betta,
commissionatagli dall'Accademia chigiana e in prima assoluta il 14 e 15
luglio prossimi al Teatro dei Rozzi di Siena. "Il mistero del finto cantante"
e "Che fine ha fatto la piccola Irene" fanno parte delle otto storie del
commissario di bordo da cui Betta e il librettista e regista Rocco Mortelliti
(che di Andrea Camilleri è anche cognato) hanno deciso di trarre
altrettante opere da camera, nel rispetto della tradizione musicale italiana
del genere", spiega con garbo il maestro Aldo Bennici, direttore artistico
dell'Accademia musicale chigiana: "il fatto che il finto cantante a bordo
della nave da crociera sia in realtà un vecchio leader politico
che cerca ancora il consenso del pubblico ricorda, è innegabile,
la storia del nostro Presidente del Consiglio che, al contrario, è
stato prima cantante sulle navi e poi premier".
Che sia un modo per innescarne altre o per sopire le ultime polemiche
avremo modo di vederlo.
[...]
David Toschi
La Stampa, 22.5.2003
Una satira sul premier
Camilleri fa cantare il Cavaliere
Andrea Camilleri porta in scena, nella stagione musicale dell’Accademia
Chigiana, una satira del premier Silvio Berlusconi. Lo fa attraverso un'opera
da camera, tratta dalla serie Il commissario di bordo (pubblicata sulle
pagine del nostro giornale). La «Settimana Chigiana» prevede
fra le prime esecuzioni assolute due atti unici su libretto Rocco Mortelliti
e musiche di Marco Betta: Il mistero del finto cantante e Che fine ha fatto
la piccola Irene? tratti dai racconti di Andrea Camilleri. Il primo dei
due atti unici «vuole essere - ha raccontato Mortelliti, regista
e drammaturgo, genero dello scrittore - un omaggio al presidente del consiglio,
anche lui amante delle crociere». È la storia di un ex politico,
che rivive sogni di gioventù esibendosi, sotto le mentite spoglie
di un cantante, su una lussuosa nave. Il debutto dell'opera, in prima assoluta,
è in programma per il 14 luglio al Teatro dei Rozzi di Siena, con
il Gruppo strumentale dell'Accademia Chigiana sotto la direzione di Federico
Longo. Intanto Camilleri, che si è concesso «un anno sabbatico»,
ha parlato delle accuse rivoltegli dal viceministro Gianfranco Micciché,
per le allusioni a personaggi di Forza Italia nell’ultimo episodio di Montalbano
dal titolo Il giro di boa. In un comizio Micciché ha indicato Camilleri
come un «nemico». Lo scrittore commenta: «Miccichè
è libero di dire quello che vuole. Bisogna vedere però chi
lo segue». Quindi a proposito dell’atto unico che andrà in
scena il 14 luglio a Siena: «Il mio racconto ha la debita distanza
ironica dalla politica e i dichiarati riferimenti a Silvio Berlusconi colgono
di questo personaggio la vena nostalgica. È uno che si chiede continuamente
se quello che succede è realtà vera o virtuale. Come me del
resto».
La Repubblica,
ed. di Firenze, 22.5.2003
Presentata l´estate senese con Mehta, Gelmetti, Pollini, Volodos
e tanti altri
La Chigiana mette in musica Camilleri
Estate musicale chigiana numero settantadue - dal 5 luglio al 27 agosto.
[...]
Dall´antico al nuovo: la prima assoluta del «Mistero del
finto cantante» e «Che fine ha fatto la piccola Irene?»,
due atti unici con le musica di Marco Betta ricavati dal «Commissario
di bordo» di Andrea Camilleri - commissione chigiana; ai Rozzi il
14 e 15; regia Rocco Mortelliti, autore del libretto. L´allestimento
senese fa parte di un progetto a lunga gittata (inaugurato nel dicembre
scorso a Bergamo con «Il fantasma nella cabina») che prevede
ben quattro riduzioni operistiche degli otto racconti del ciclo di Camilleri.
[...]
g.m.
La Repubblica,
22.5.2003
La polemica
Camilleri: Micciché dica quel che vuole
«Micciché, dice che sono un avversario politico perché
ho scritto un racconto ironico riferito a Berlusconi? È libero di
dire quello che vuole». Andrea Camilleri replica alle accuse del
viceministro dell'Economia, Gianfranco Micciché, riguardo al racconto
"Il mistero del finto cantante". «I dichiarati riferimenti a Berlusconi
colgono la sua vena nostalgica», spiega Camilleri. Protagonista del
racconto è un uomo potente che ha nostalgia del suo passato di cantante
sulle navi da crociera. Di qui il travestimento ed il ritorno su una nave.Dal
racconto è stata tratta un'opera che debutterà a luglio a
Siena per l'Accademia Chigiana.
Selvaggia Lucarelli,
22.5.2003
Camilleri recensito dal Grifoni
Come vi ha spiegato Gene Gnocchi, ultimamente le mie giornate sono fitte
di impegni , per cui mi trovo costretta ad avvalermi della saltuaria collaborazione
di alcuni ghostwriters.
Già da tempo meditavo di elevare il livello culturale del mio
blog e, a tal fine, ho deciso di affidare una rubrica di recensioni letterarie
al celebre e valente critico letterario Everardo Grifoni.
Il Grifoni ha accettato a patto di occuparsi esclusivamente della copiosa
produzione letteraria di Andrea Camilleri e, visto che lui riceve i suoi
nuovi libri in anteprima, da oggi e solo su questo blog, potrete leggere
succose anticipazioni sui libri in imminente uscita dello scrittore tanto
amato.
Il ladro di sofficini
Edizione Sellerio, Euro 45
Trama
La Findus, dopo aver parlato con un subagente della Toro Assicurazioni
di Catania amico di Miccichè, si convince ad aprire uno stabilimento
ad otto chilometri da Ragusa.
Purtroppo, appena avviato lo stabilimento, una serie di strani decessi
tra le maestranze, sconvolge la zona.
Micheluzzo Scardocchia detto “O’ Rombo”, addetto alla panatura dei
bastoncini, viene trovato bollito dentro l’enorme pentolone di zinco dove
viene preparata a 200° centigradi la zuppa di pesce della “Quattro
salti in padella” , quella economica con poco pesce e molti aromi.
Poche ore dopo il corpo di Sebastianuccio Picciau detto “Micetto”,
responsabile del settore mondatura piselli surgelati, viene rinvenuto nudo
con un solo calzino della Nike al piede sinistro sotto la montagna di zucche
utilizzate per la preparazione dei tortelli di zucca della Giovanni Rana
che da tempo subappalta alla Findus alcuni lavoretti.
Accanto ai corpi, come firma degli omicidi, una spigola al cartoccio
calda fumante.
Il commissario Montalbano comincia le indagini e scopre una cosa inquietante:
le due spigole al cartoccio vengono dal mercato del pesce di Conegliano
Veneto poichè serrano ancora tra le pinne un volantino che invita
a votare per Gentilini sindaco di Treviso.
Così Montalbano sale al Nord, dove in un susseguirsi di colpi
di scena come l’auto piena di mosche o quello del bar con l’insegna all’interno
del locale o quello del capotreno che perde la paletta, farà luce
su questo intricato mistero.
Troverete “Il ladro di sofficini” presto in libreria al prezzo di 45
euro, prezzo insolitamente alto, ma giustificato dal fatto che Camilleri
ha investito quasi tutto in bot il cui rendimento non lo lascia affatto
tranquillo.
Buona lettura dal vostro
Everardo Grifoni
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Commenti
Zagor - Se ognuno ha i nemici che si merita, è pure che
vero che ognuno c'ha le caricature che si merita... L'ultimo di Montalbano,
Il Giro di Boa, divorato come al solito a pochi giorni dall'uscita, è
un romanzo ignobile, offensivo di tutto quanto di meravigliosamente divertente
Camilleri ha scritto fino ad oggi. Se il personaggio ha esaurito gli argomenti,
meglio lasciarlo morire, come fece Conan Doyle con Sherlock Holmes, piuttosto
che usarlo per fare propaganda elettorale e raccattare qualche spicciolo.
Sennò ci si ritrova con parodie come questa. Selvà, senti
a me, lascia stare la letteratura. Torna in te. Già ci manchi...
:: scritto il 22/05/03
PEDRO - Mah... Selvaggia ti prego: torna tu a farci ridere!
:: scritto il 22/05/03
Saltwater - Si, qui prenotazioni... come si chiama? Signor Grifoni?
Dove va? Località sconosciuta ad 8 km da Ragusa... Uhm! Andata e
ritorno? Ok, sola andata... si, le facciamo lo sconto x aver trovato la
paletta del capotreno... ah, non l'ha trovata, ci ha sbattuto contro...
come dice? E' stato assunto x sostituire il Picciau buonanima nella mondatura
di piselli surgelati... Ah, ma lei è il critico letterario: ma bene,
finalmente a lavorareeeeeeee :: scritto il 22/05/03
Gilgamesh - Un solo appunto.. Picciau è un cognome sardo,
non siciliano.. Si sarebbe dovuto chiamare Bustianeddu, non Sebastianuccio.
Poi, che ci faceva a 8 km. da Ragusa? Per giunta nella Sicilia "Babba",
cioè quella a bassa densità mafiosa? A Riesi o a Patti, lo
doveva ambientare, vicino Caltanissetta.. là si, che sanno come
fare.
Gimmi - a me sto fatto delle mosche in macchina intriga parecchio!
crea tensione narrativa!..e poi? c'è la coda al casello? lo sciacquone
rotto all'autogrill e fuori c'è la coda e tutti sapranno chi è
stato!! brividi!! :: scritto il 22/05/03
andrea - complimenti, ma... lo stile del ghostwriter mi ricorda
qualcuno... non è che il "Grifoni" fa Eugenio (detto Gene) di nome?
eheheheh :: scritto il 22/05/03
Lorenzo - Affiderei la parte investigativa a capitan Findus
più che al commissario Montalbano ) :: scritto il 22/05/03
Alain - Libro interessante. Con la particolarità che
deve essere letto entro tre giorni. :: scritto il 22/05/03
giorgia - Lo comprero' sicuramente, sono una sua fan!!! Ho appena
finito di leggere "GIRO DI BOA". E' l'inchiesta piu' dura del commissario
Montalbano che indaga sull'improvvisa e misteriosa morte di una certa bionda
chiamata TINA, ospite fissa della trasmissione UOMINI E DONNE condotta
dalla telegatta Maria De Filippi. Unico indizio: un boa in piume di struzzo
finte, color rosa, ritrovato nei camerini degli studi televisivi ... :)
Giorgia :: scritto il 22/05/03
eR - Il ritorno in termini di rendimento di un investimento
di 45 euro spesi in un buon libro non è quantificabile.
Se però tra i libri surgelati acquistabili si dovesse incappare
nel pesce palla il confronto con i Bot ritornerebbe ad avere un senso preciso.
Ed a favore dei Bot, senza dubbio.
Ora mi chiedo: può un critico misurare l'adeguatezza di questo
tipo di investimenti? Per lui stesso, certamente si, ma per nessun'altro.
Esiste un rischio che noi lettori non possiamo "delegare", ma del quale
ci dobbiamo fare individualmente, emotivamente ed esclusivamente carico.
:: scritto il 22/05/03
Orange - Uhm... poco tempo fa, Camilleri è venuto in
università da noi per ricevere la laurea ad honorem. Non sembrava
una persona tanto avventata da affidarsi ai BOT. E' proprio vero che le
persone non vanno mai giudicate dalle prime apparenze!!! :: scritto il
22/05/03
La Sicilia, 23.5.2003
Racalmuto punta sul teatro
Due nuove produzioni per il Teatro "Regina Margherita" di Racalmuto.
Dopo la "Controversia liparitiana" di Leonardo Sciascia, allestita e messa
in scena a tempo di record dal laboratorio teatrale racalmutese, adesso
sono in preparazione altri due spettacoli. Il primo è proprio di
Andrea Camilleri che è il direttore artistico del "Regina Margherita".
Si tratta di: "La favola del figlio cambiato", dedicata a Luigi Pirandello.
La seconda produzione invece prenderà corpo subito dopo la stagione
estiva. Verrà prodotta un'opera di Pirandello dal titolo: "La vita
che ti diedi", con Ida Carrara, vedova del grande attore e regista Turi
Ferro.
La produzione della "Favola del figlio cambiato" potrà contare
su attori professionisti e non solo siciliani, alcuni dei quali debuttanti,
che verranno fuori dal corso di recitazione che partirà a giugno
e si protrarrà anche per tutto il mese di luglio.
Tutte queste iniziative sono state rese note dopo che l'altro ieri
nell'abitazione capitolina di Andrea Camilleri si è svolta la riunione
del Consiglio d'amministrazione della Fondazione del Teatro di Racalmuto.
Nel corso dei lavori è stata programmata anche la stagione estiva
che si svolgerà al giardino del castello Chiaramontano che nel frattempo
è interessato da alcuni lavori di sistemazione. Si comincia il 14
giugno con Vincenzo La Scola, uno dei tenori più amati in Italia
tanto che si è esibito per il presidente della Repubblica, Carlo
Azeglio Ciampi, nell'ultimo concerto di Capodanno. Poi una serie di serate
dedicate alle parrocchie di Regalpetra. Prevista l'esibizione del musicista
Pino Ingrosso che fa parte dello staff di Nicola Piovani. Infine, spazio
ai "salotti siciliani" con scrittori, poeti, letterati della Sicilia compresa
una serata con Andrea Camilleri che discuterà con il pubblico delle
sue opere.
Si è anche discusso della prossima stagione del teatro "Regina
Margherita" con grosse novità. Infatti, sarà dato molto spazio
al ciclo più classico con commedie di Pirandello e Moliere, ma sono
previste anche serate di musica anche lirica e di operetta. Camilleri ha
già contattato tutti gli artisti che si alterneranno nella stagione
2003-2004.
Gaetano Ravanà
La Repubblica,
23.5.2003
De Luca tallona Camilleri, mentre entra Tamaro
Camilleri, si sa, quando appare in classifica, conquista subito la vetta
e la mantiene. Così sta succedendo anche questa volta, con i top
ten rilevati nella settimana dal 12 al 18 maggio, con Il giro di Boa. Lo
incalza comunque il nuovo libro di Erri De Luca, Il contrario di uno
[...]
L'espresso,
23.5.2003
Poesia criminale
Ma chi ha detto che chi scrive polizieschi è un romanziere di
serie B?
Dagli Stati Uniti alla Norvegia arriva una nuova generazione di autori.
Dove la suspense si sposa a un´ottima letteratura
C´era una volta il giallista dalla doppia vita. Quello che scriveva
i gialli con la mano sinistra e concentrava la sua creatività nei
romanzi ´veri´. A volte adottava persino uno pseudonimo per
non confondere il lettore. Altre volte, come Georges Simenon, pur mantenendo
lo stesso nome finiva con il crearsi due anime, una sola delle quali verrà
immortalata nella Pléiade. Una linea che ha fatto scuola, con buona
pace della fedeltà del lettore: non tutti i patiti del commissario
Montalbano sono riusciti a seguire Andrea Camilleri anche in sperimentazioni
come ´La concessione del telefono´.
Oggi però, tra le centinaia di gialli che invadono le librerie,
si riconosce una tendenza nuova: una manciata di libri che si distaccano
dalla routine del giallo e arrivano alla statura di romanzi veri.
[...]
Angiola Codacci-Pisanelli
Diario, anno VII, n.20,
23.5.2003
Commissari da non perdere
Montalbano e Bordelli, due poliziotti in gamba
Il giro di boa
di Andrea Camilleri
Sellerio, pp.269, 10 euro
Una brutta faccenda
di Marco Vichi
Guanda, pp.245, 13,50 euro
Più che i lettori, a Salvo Montalbano devono essere grati i poliziotti,
con buona pace del viceministro Gianfranco Miccichè. Tradizionalmente,
infatti, la categoria non ha mai goduto in Italia di un buon trattamento,
anche nella narrativa specializzata, polizieschi e noir. Questioni di riflessi
dalla vita quotidiana dove le forze dell'ordine non si sono mai sforzate
troppo per godere di stima incondizionata. Gli addetti ai lavori hanno
sempre riconosciuto la difficoltà di avere un Simenon italiano in
primo luogo per la mancanza di un Maigret. Poi i rapporti con la società
civile sono cambiati. E Andrea Camilleri, storia dopo storia, ha lavorato
intorno alla figura di uno sbirro simpatico, umano e con sentimenti democratici.
Capace di indignarsi, come capita all'inizio del Giro di boa, per i fatti
di luglio 2001 a Genova. Indignarsi è poco, il poliziotto di Vigàta
vuole andarsene e ogni giorno chiede appuntamento al questore per dare
le dimissioni. A fermarlo ogni volta è un'inchiesta sull'immigrazione
clandestina che lo mette faccia a faccia con uno degli aspetti peggiori
del nostro tempo e lo fa ragionare con lucidità sulla legge Bossi-Fini.
Insomma, la trama prende il lettore che già inizia a pregustare
la versione televisiva con Luca Zingaretti, sperando di poterla vedere
al più presto.
Così come al più presto sullo schermo non ci starebbe
male il commissario Bordelli, il quale, dopo aver esordito lo scorso anno,
torna ora con una nuova indagine in "Una brutta faccenda". Tormentato,
ombroso il poliziotto fiorentino si muove nell'Italia del miracolo economico,
raccontandone il lato in ombra. Un personaggio di sapore pratoliniano,
come lo ha salutato all'esordio Giovanni Pacchiano, che scivola nella vita
come un'ombra lungo i muri. E tra le ombre del passato finisce per ritrovare
il bandolo della Shoah. Cinico, burbero, ma di sentimenti democratici come
Montalbano, Bordelli è disegnato dal suo autore Marco Vichi con
un ampio uso di toni chiaroscuri, duro ma dal cuore tenero, inattuale nel
suo come in altri tempi, poliziotto anomalo che preferisce frequentare
i delinquenti e che ha partecipato alla Resistenza. Tanti elementi difficili
da far rientrare dietro una faccia, operazione che riesce bene all'autore.
Alla fine, dopo aver scantonato più di un pericolo in compagnia
dei pensieri di Bordelli, forse i lineamenti precisi non si riescono a
indicare, ma un'idea di lui ce la si è fatta. E si vorrebbe tornare
al più presto in sua compagnia.
Pietro Cheli
La Stampa, 24.5.2003
Uno dei grandi interrogativi che assillano l'uomo, tra filosofia e
narrativa, teologia e scienza: Camilleri indaga.
Cercare di definirlo: "Vogliamo babbiare?" direbbe il commissario.
E` un concetto mutevole, persino i nostri cognomi hanno a che fare
con ciò che siamo e siamo stati.
Il tempo da Aristotele a Montalbano
Scorre solo per noi, dice Sant'Agostino. Finirà quando finiranno
i giorni, avverte Savater. Per me ha a che fare con i verbi: passato, presente,
futuro. E se penso agli scrittori, a Melville, Kafka, Joyce, vedo che anche
per loro è creato dalla parola.
Il testo che qui in larga parte pubblichiamo sarà letto da
Andrea Camilleri a Roma, il prossimo martedì 27, nell’ambito della
rassegna Letterature, quest’anno alla seconda edizione. Il reading di Camilleri
sarà preceduto da un intervento di Luca Zingaretti, interprete sul
piccolo schermo del personaggio di Montalbano.
Il Tempo con la «t» maiuscola è faccenda complicata
assai, tale da sbatterci la testa e rompersela. Ed è un incidente
che desidero assolutamente evitarmi. Perché, tanto per fare un esempio,
la prima domanda che viene spontanea è: il Tempo c'è stato
sempre o è venuto fuori a un certo punto? Pigliamo per buona la
risposta di sant'Agostino: il Tempo non c'era, non esisteva prima che Dio
creasse il mondo, comincia ad esserci contemporaneamente all'esistenza
dell'universo. Così facciamo felici i creazionisti e non se ne parla
più. Ad ogni modo, ci sarebbe dunque una specie d'inizio del Tempo,
tanto è vero che un fisico come Werner Heisenberg può scrivere
che «rispetto al tempo sembra esserci qualche cosa di simile a un
principio. Molte osservazioni ci parlano d'un inizio dell'universo quattro
miliardi di anni orsono… prima di questo periodo il concetto di tempo dovrebbe
subire mutamenti sostanziali». Per amor del cielo, fermiamoci qua
e non cadiamo in domande-trappola tipo: allora che faceva Dio prima di
creare il mondo? Ci meriteremmo la risposta: Dio stava preparando l'inferno
per quelli che fanno domande così cretine. Ma possono esserci domande
assai meno stupide, tipo: quando finirà il tempo? Se accettiamo
l'ipotesi sveviana di un mondo privo d'uomini e di malattie che continua
a rotolare come una palla liscia di bigliardo nell'universo, dove è
andato a finire il Tempo? Sant'Agostino tagliava corto affermando che il
tempo scorre solo per noi e forse aveva ragione. Il Tempo finirà,
come scrive Savater, quando «verrà il giorno che metterà
fine ai giorni, l'ora finale, l'istante oltre il quale termineranno le
vicissitudini, l'incerta sequela dei fatti, e non accadrà più
nulla, mai». Elementare, Watson. Allora da quale lato affronto la
questione passato-futuro con un minimo di cognizione di causa? Dal lato
filosofico? Ma ci vorrebbe una cultura della quale sono assolutamente sprovvisto.
Dal lato fisico-matematico? Vogliamo babbiare? - direbbe il mio Montalbano.
Del Tempo riesco sì e no a parlare col metodo che mi è stato
insegnato alle scuole elementari, vale a dire l'uso dei tempi verbali.
E dovrete contentarvi. Ad ogni modo, presento subito la mia carta di credito,
firmata Aristotele, quando afferma, nella Poetica, che il verbo reca in
sé, oltre che il senso, soprattutto l'idea di tempo. E infatti il
verbo, fin dall'antichità, è stato considerato la parola
per eccellenza. Tutto ciò premesso, la constatazione subitanea che
mi viene da fare è che sicuramente si stava meglio prima! «Prima
quando?» - penso che vi state domandando un pochino imparpagliati.
Rispondo subito. Quando, ad esempio, Immanuel Kant poteva scrivere con
assoluta convinzione che «è legge necessaria della nostra
sensibilità e quindi condizione formale di tutte le percezioni che
il Tempo precedente determini necessariamente il seguente». Oppure
quando, per saltare all'indietro dalla metafisica alla fisica, Laplace,
nella sua Teoria analitica delle probabilità, del 1814, scriveva
che «lo stato presente dell'universo è da considerarsi come
l'effetto del suo stato anteriore e come la causa del suo stato futuro».
E quindi i tempi del verbo, in questo determinismo meccanicistico, si stagliavano
nel nostro quotidiano discorso, e perciò nella nostra vita, come
i fari che segnalano ai naviganti l'attracco in porti sicuri, in ancoraggi
certi. Del resto non c'è stato un grande storico francese che sosteneva
come la storia del suo paese fosse stata resa possibile dall'organizzazione
definitiva della lingua e di conseguenza dalla netta definizione e distinzione
di passato, presente, futuro? Ripassiamoceli, questi tempi verbali, in
uso nella lingua italiana, cominciando da quelli che si riferiscono a ciò
che è già successo: imperfetto (io ero); passato prossimo
(sono stato); passato remoto (io fui); trapassato prossimo (ero stato);
trapassato remoto (fui stato). A ciò che succederà, vengono
designati il futuro (io sarò) e il futuro anteriore (sarò
stato). Risulta evidentissima la sperequazione: cinque modi per dire del
passato e due soltanto per accennare al futuro. Dev'essere perché
«di doman non v'è certezza», come sosteneva il poeta.
E a questo proposito devo dire, di passata, che noi siciliani, nel nostro
dialetto, manchiamo completamente tanto del trapassato remoto quanto del
futuro anteriore che viene sostituito dal futuro semplice il quale, a sua
volta, è usato, avvertono i grammatici, così scarsissimamente
che si può sostenere che non venga mai usato. Ha un senso questa
assenza del futuro? E perché alla lingua ebraica, lo apprendo da
de Saussure, la definizione dei tempi verbali è del tutto estranea,
sino a non riconoscere la distinzione tra il passato, il presente e il
futuro? Ma insomma, malgrado tutto, Melville poteva iniziare il suo Moby
Dick scrivendo: «chiamatemi lsmaele». Frase che sottaceva,
dava per scontato il seguito: «perché io sono realmente Ismaele».
Il nome coincideva in modo perfetto con l'essere, Ismaele sapeva benissimo
chi era e aveva la certezza di esserlo. Lo sapeva perché i tempi
verbali che avevano scandito la sua esistenza passata, io ero, io sono
stato, io ero stato, o comunque si dica nella lingua inglese, lo portavano
inequivocabilmente, necessariamente, a quel presente indicativo: io sono
Ismaele. Una sferica, inattaccabile, coscienza di sé. Il romanzo
di Melville è del 1851. Ma questo stato di certezze è destinato
a durare assai poco, le cose cominciano subito dopo a guastarsi, a farsi
meno semplici, il rigido principio della causa-effetto inizia a emettere
sinistri scricchiolii. Lo stesso concetto di Tempo, dopo innumerevoli assalti
tendenti a una limitazione di quello che potremmo impropriamente chiamare
il suo spazio operativo in campo filosofico, finisce coll'essere totalmente
negato da McTaggart nel 1908, per il quale il Tempo è una formula
assolutamente irreale. E in più, a metterci il carrico da undici,
sempre come direbbe Montalbano, suppergiù in quegli stessi anni
arriva la vera e propria rivoluzione della fisica quantistica che culminerà
nel principio d'indeterminazione, escludendo ogni rapporto di causalità
e introducendo il principio della probabilità. Diciamola meglio
con un paradosso: non è assolutamente certo, è solamente
probabile che da un dato trapassato remoto consegua necessariamente il
suo presente indicativo. Sicché, cinquantatré anni appresso
Moby Dick, e precisamente tra le ore otto del mattino e le due di notte
del 16 giugno 1904, a Leopold Bloom verrà assai difficile dire «io
sono Leopold Bloom» con la stessa naturale consapevolezza d'Ismaele.
Perché? La solidità dei tempi verbali non è più
quella di una volta? Cominciano a incrinarsi, a sfarinarsi? E perché
Stephen Dedalus, l'amico di Leopold, sostiene che la storia, cioè
il passato, è un autentico incubo dal quale cerca di destarsi? Ulisse
di Joyce, del quale stiamo parlando, viene dato alle stampe nel 1922. Passano
appena due anni e Joseph K., il protagonista senza cognome del Processo
di Kafka, viene arrestato senza motivazioni, improvvisamente, e sottoposto
a un severo e misterioso procedimento penale con l'accusa indecifrabile
di aver commesso una colpa altrettanto indecifrabile. Dopo aver tentato
l'impossibile e disperata azione di rintracciare in un passato sconosciuto
o forse inesistente le ragioni dell'imputazione presente, Joseph non può
che rassegnarsi alla condanna. Che è la pena di morte, cioè
l'abolizione del suo tempo futuro. La condanna verrà eseguita il
giorno che Joseph K. compirà trentuno anni. Del protagonista, ripeto,
non conosciamo il cognome, ne sappiamo solamente l'iniziale, la lettera
K che è la stessa del cognome dell'autore. Ma questa coincidenza
qui non ci riguarda, o almeno ci riguarda perché quella semplice
iniziale non ci permette di conoscere il cognome intero. Ha importanza
questa omissione, questa amputazione, chiamatela come volete? Credo proprio
di sì. Aristotele aveva scritto che il nome in sé non reca
nessuna idea di tempo. Sarà stato verissimo nell'antichità,
ma in epoche più recenti è invalso l'uso di dare al nome
un plusvalore di memoria, cioè di tempo. A molti neonati viene imposto
il nome di una persona cara scomparsa, più frequentemente si dà
ai nipoti il nome dei nonni. Che è un senso di continuità
nel tempo, cioè nella Storia.
[...]
Se non sempre però il nome porta in sé un'idea di tempo,
per dirla con Aristotele, il cognome, che è sorto in epoche assai
più recenti, un'idea di tempo ce l'ha e come! Il cognome è
il nome della famiglia d'appartenenza, in sé quindi reca la storia,
il passato di quella famiglia. Joseph K., per tornare al Processo di Kafka,
invece non ha cognome e quindi non ha alcuna possibilità di coniugarsi
al di fuori dell'imperfetto, non è in grado di pervenire più
né al passato prossimo né al trapassato. Il nome e il cognome
rappresentano l'identità storica dell'individuo, tant'è vero
che i carnefici degli stermini di massa si sono sempre preoccupati per
prima cosa di far perdere questa identità alle loro vittime riducendo
la loro identificazione a un numero marchiato sulla carne.
[...]
Andrea Camilleri
La Stampa
- Tuttolibri, 24.5.2003
Fronti basse, orecchie a foglia di cavolfiore, teste piene di bitorzoli...
Quell’Italia
Esce da Sellerio «Gli indesiderabili» (pp. 250, 9 euro,
a cura di Beppe Benvenuto), un’inchiesta di Gian Carlo Fusco per il «Secolo
XIX». Gli indesiderabili sono i mafiosi rimpatriati dagli Usa nel
1952. Pubblichiamo in anteprima alcuni passi della postfazione di Andrea
Camilleri. E’ in arrivo sugli schermi il film «Gli indesiderabili»,
per la regia di Pasquale Scimeca.
Le strade di Roma di cortei ne hanno visti migliaia, ma un corteo come
quello del marzo 1955, composto da un centinaio di persone appena, sicuramente
ancora non l’avevano visto, né l’avrebbero visto in seguito. I componenti
erano tutti ultrasessantenni, e costituivano una fauna umana che avrebbe
fatto la felicità di un disegnatore come George Groz o di uno studioso
come Lombroso: fronti basse, orecchie a foglia di cavolfiore, testa piene
di bitorzoli, mani enormi e pelose.
Una fauna della quale è possibile farsi un’idea osservando certe
comparse del film Il padrino che, almeno da questo punto di vista, è
attendibile. Marciando, non agitavano bandiere e non cantavano inni o canzoni.
Una canzone rappresentativa della loro condizione avrebbe potuto essere
quella che s’intitolava Spaghetti, pollo e insalatina e che paragonava
una splendida e dispendiosa vita giovanile a Detroit alle ristrettezze
e ai disagi dalla vecchiaia in patria. Ma Fred Bongusto non l’aveva ancora
scritta. Perciò i manifestanti, guidati da un tale che si chiamava
Frank Frigenti, si limitavano a distribuire in silenzio ai passanti foglietti
ciclostilati, scritti in un italiano improbabile, nei quali erano esposte
le loro richieste indirizzate alla «calorosa e generosa anima dell’Eccellentissimo
Onorevole Mario Scelba, figlio prediletto di Cristo, onore e vanto della
nobilissima terra di Trinacria» e all’ambasciatrice americana Claire
Booth Luce, «angelo biondo che porta nel cognome suo stesso il simbolo
di quel raggio di speranza che i derelitti aspettano con fiducia di figli
pronti a ripagare col sangue il beneficio ricevuto». Ma chi erano
questi «derelitti»?
Erano tutti ex gangster di origine italiana, perlopiù uomini-pistola,
soldati semplici delle organizzazioni mafiose, bassa manovalanza, come
si direbbe oggi. Nella loro vita non avevano fatto altro e altro non avrebbero
saputo fare. Nel 1945 il governo degli Stati Uniti, assieme alle derrate
alimentari del piano Marshall, aveva deciso di liberarsene rispedendoli
in Italia con la qualifica di «indesiderabili». Ne arrivarono,
con navi diverse, quasi seicento.
[...]
Un caso esemplare è quello del famoso Lucky Luciano del quale
si disse che nel giugno del 1943, un mese prima dello sbarco, fosse clandestinamente
arrivato in Sicilia per preparare il terreno alle forze alleate. Di questa
missione non esistono prove, all’epoca Luciano era ufficialmente nel carcere
di Dannemora, condannato a trent’anni di reclusione. Ma a lui, nel 1942,
si era rivolto il Naval Intelligence: «si trattava - scrive Fusco
- di mettere al servizio della nazione in guerra la perfetta, capillare
organizzazione portuale dell’onorata società». Luciano, potentissimo
anche tra le sbarre, accettò. L’operazione d’appoggio della mafia
riuscì perfettamente, in soli due mesi i casi di sabotaggio e di
passività antibellica si ridussero del settanta per cento. In «raccanuscenza»
a Luciano vennero abbuonati i vent’anni di carcere che aveva ancora da
scontare e a metà del febbraio 1946 venne imbarcato per l’Italia.
Visse tra donne, cavalli e alberghi di lusso a Napoli, nel cui aeroporto
morì nel 1962 colpito da collasso cardiaco.
In definitiva però a GianCarlo Fusco - giornalista sì,
ma soprattutto grande narratore - non interessano quei due o tre che, come
Luciano, poterono usufruire di un trattamento particolare. La sorridente
pietà di Fusco, non saprei come altrimenti definirla, lo porta a
scegliere tra le tigri con meno denti e più spelacchiate. Come Frank
Frigenti, appunto, che vive estorcendo qualche migliaio di lire a giornalisti
creduloni o rassegnati (quest’ultimo è il caso di Fusco) con la
promessa della cessione di una valigia piena di carte esplosive e documenti
compromettenti o come Lu (Napoleone) Grisafi, rimpatriato nel 1952, che
viene salvato dall’indigenza totale da un maresciallo dei carabinieri che
gli procura un posto di guardiano in una masseria. Ma il maresciallo non
riuscirà a salvarlo dalla morte: Lu Grisafi verrà ucciso
nel 1955, ultimo anello di una catena di vendette iniziate trent’anni prima.
A questi «indesiderabili» Fusco dedica i migliori capitoli
del suo libro, essi hanno i toni e i modi di un racconto tanto magistrale
da trasformare in personaggi, che paiono inventati con estro inesauribile,
persone realmente esistite.
Andrea Camilleri
La Sicilia, 24.5.2003
Ecco i «Gioielli discreti» di Giuseppe Di Pasquale
Il vicedirettore del Teatro "Regina Margherita" di Racalmuto, Giuseppe
Dipasquale, con la casa editrice "Arnaldo Editori" [sic!, NdCFC]
lancerà la prossima settimana la nuova collana Teatro dal titolo:
"Gioielli discreti". Le uscite avranno cadenza mensile; nella collana verranno
pubblicati copioni teatrali editi ed inediti. Il primo volume, presentato
alla Fiera del Libero [sic!, NdCFC] di Torino, è "Il birraio
di Preston", sceneggiato da Andrea Camilleri e dallo stesso Dipasquale.
Si tratta di una storia ambientata sempre a Vigata nel 1800. I successivi
titoli previsti nella collana sono le altre due sceneggiature scritte a
quattro mani da Camilleri e Dipasquale, cioè "Troppu trafficu ppi
nenti" (rivisitazione in siciliano dello scespiriano "Molto rumore per
nulla) e "La cattura" (da una novella di Luigi Pirandello). L'editore ha
anche annunciato per il prossimo mese di ottobre l'uscita della collana
Novecento.
La Gazzetta del Mezzogiorno,
24.5.2003
Sarà premiato anche De Cataldo col suo «Romanzo criminale»
Il giudice-scrittore
«No alla separazione delle carriere»
Magistrato Giancarlo De Cataldo, che senso ha per lei ricevere un premio
dalla sua terra?
«È stata una sorpresa lieta, ringrazio l'organizzazione
del Magna Grecia. Farò un blitz amichevole nella mia Taranto».
Col suo "Romanzo criminale" ha dato una scossa all'editoria italiana,
collezionando migliaia di copie e ammaliando la critica.
«Secondo molti il mio romanzo storico ha scompigliato i generi
letterari. Tra i fan del mio libro c'è Camilleri. Lui mi ha inorgoglito,
definendo la tecnica del mio testo come una scrittura di frontiera».
Un magistrato che si tuffa nella scrittura, ispirandosi ad una nota
lobby criminosa come la "Banda della magliana": è stato coraggioso...
«Potrei essere considerato un giudice "impavido" se vivessi nell'etichetta.
Invece sono solamente una persona attratta da vari interessi. Tra questi
c'è la scrittura».
Lei ha ridisegnato un pezzo di storia italiana, dai veleni degli anni
'70, imboccando la via del sequestro Moro, approdando a Tangentepoli. Libro
a parte, crede che la magistratura abbia fatto luce su quei fatti?
«Alfredo Rocca, un grande giurista, diceva che i processi possono
afferrare solo una verità umanamente possibile... ».
Attualmente si dibatte sulla separazione delle carriere in magistratura:
lei conviene con la proposta berlusconiana?
«Un magistrato non deve occuparsi di politica, ma quando lo Stato
approda sul terreno giuridico, credo che gli addetti ai lavori possano
e debbano offrire il loro pensiero. Il mio? In Italia, da 50 anni, si è
costruita una certa maniera di fare i processi. S'è consolidata
una certa tradizione. La separazione delle carriere, credo possa essere
valida in quei paesi (come l'Inghilterra) dove il processo avviene secondo
il rispetto delle parti. Ma non in Italia, dove la fase inquisitoria si
trasforma in un autentico match di calcio... ».
E se il Parlamento dovesse deliberare la separazione dei giudici?
«Noi magistrati accetteremo le regole, continuando a lavorare».
Secondo lei Tangentopoli ha stravolto la magistratura?
«Tangentopoli è figlia della caduta del muro di Berlino.
Da qui molti imprenditori hanno avuto il coraggio di denunciare l'illecito.
È un fenomeno che, come il fascismo, ha un influito su un certo
modo d'intendere la giustizia».
Torniamo alla scrittura, sta già pensando ad un prossimo romanzo?
«Ci sto pensando, ma non le dico nulla. Sono superstizioso, come
molti meridionali».
A proposito, lei opera presso la Corte d'Assise di Roma. Lì,
cosa ha importato dalla sua Taranto?
«Taranto rispecchia il sud Italia, che per me è il luogo
geografico dell'anima. Nulla a che fare con la "questione meridionale",
ma parlo di passione, che noi del sud trasmettiamo nel lavoro e nel sociale».
Alessandro Salvatore
La Stampa, 25.5.2003
Oggi alla Feltrinelli di via del Babuino Camilleri presenta il romanzo
noir di un magistrato
Sarà presentato oggi alle 11 alla libreria Feltrinelli di via
del Babuino il romanzo di Nicola Quatrano «La verità è
un cane». Insieme all’autore parteciperanno lo scrittore Andrea Camilleri
che ha curato la prefazione del libro, e Livio Pepino, presidente di Magistratura
democratica. Nicola Quatrano ha cinquant’anni ed è un magistrato
che vive a Napoli. Già protagonista da pubblico ministero della
stagione di «mani pulite», è oggi un giudice che non
nasconde il proprio impegno civile dalla parte di chi «non tiene
voce».
«La verità è un cane», ovvero la verità
più facile, quella che costa meno. Che poi sia tale perchè
qualcuno, sapientemente, l’ha tessuta in funzione dei propri disegni, è
questione che non può turbare la serenità di Francesco Cardarelli,
un pubblico ministero giovane e scrupoloso, ma incapace di distinguere
la complessità della vita dalla coerenza burocratica delle sue carte.
Un noir classico, l'esordio letterario di Nicola Quatrano, di quelli che
utilizzano l'invenzione romanzesca per descrivere la realtà. E'
un mondo, quello delle inchieste e dei processi, che l'autore conosce molto
bene. Lo testimonia l’intera sua vita professionale.
v. r.
ANSA, 25.5.2003
Camilleri presenta libro magistrato Nicola Quatrano, di cui ha scritto
anche la prefazione
Andrea Camilleri ha presentato "La verità è un cane",
il romanzo del magistrato Nicola Quatrano che si rifà ad una battuta
del "Re Lear" di Shakespeare. Protagonista della storia è un pm
napoletano che non brilla per intelligenza o arguzia nella conduzione delle
indagini. Lo scrittore siciliano ha sottolineato che "più che un
giallo, si tratta di un'orribile farsa durante la quale colpevoli e innocenti,
accusati e accusatori coopereranno tutti perchè trionfi la menzogna
in nome della verità".
La Stampa, 25.5.2003
Ora tutti leggono in pubblico e c’è chi lo fa anche per 62
ore
[...]
È previsto un autentico bagno di folla martedì per Andrea
Camilleri a Massenzio. Lo scrittore siciliano leggerà un brano inedito
scritto appositamente per il Festival e sarà introdotto dal Luca
Zingaretti.
[...]
Valentina Pigmei
La Repubblica,
ed. di Palermo, 25.5.2003
Mondadori pubblica il nuovo giallo dello scrittore siciliano. Protagonista
è ancora il suo sostituto procuratore
Elementare, Agrò, e` un caso di malasanità
Cacopardo indaga nell'Italia d'oggi
"La mano del Pomarancio" incrocia due inchieste, una su un cadavere
scomparso e un'altra su un dipinto
[...]
Ma va detto che i polizieschi di Cacopardo, per le loro intrinseche
qualità, ci riportano, più che a Camilleri o a Piazzese,
ai capolavori del giallo americano, con Chandler e Hammett in testa: il
ritmo sostenuto, la scrittura scarnificata ed essenziale, l'assenza del
colore locale fanno dello scrittore siciliano un giallista anomalo che
ha respirato tanta aria d'oltralpe.
[...]
Salvatore Ferlita
L´Indice, 5.2003
L´ultimo, eccellente Camilleri
Purtroppo è tutto vero
Siamo in tempi in cui non è possibile (ma quando mai lo è
davvero?) scindere interamente il giudizio letterario da quello politico,
nel senso che se una poesia o un romanzo si collocano sul terreno della
contemporaneità, oggi non è lecito che ne ignorino, specie
in Italia, il particolare, inquietante assetto politico e morale. Se non
ci si rifugia in universi paralleli (cosa di cui nessuno, per altro, si
vorrà scandalizzare), il confronto con quello reale e pubblico,
nazionale e internazionale, è in un certo senso inevitabile, e il
modo con cui un autore lo guarda non è indifferente (anche se non
è il solo) ai fini dell´impressione che abbiamo della sua
opera. Onore dunque ad Andrea Camilleri, grande e allegro vecchio della
nostra recente narrativa, che non rifiuta l´affondo nella contemporaneità,
non la nasconde (correndo anche qualche rischio di involontaria o ingiustificata
comicità, come quando la famigerata Bossi-Fini diventa, con storpiatura
paperinesca, la Cozzi-Pini), prende posizione, manifesta tutto il suo fastidio
e le sue paure. L´inizio e l´intero sfondo di questo nuovo
episodio della serie di Montalbano sono infatti centrati sugli eventi politici
più torbidi e ripugnanti del berlusconismo, a partire dai retroscena
polizieschi del G8 e della rivolta napoletana dei poliziotti -che scandalizzano
così tanto il commissario da indurlo a pensare seriamente a dimettersi-,
per arrivare al razzismo strisciante davanti agli immigrati e alla corruzione
di nuovo dilagante e autorizzata (l´abusivismo condonato). Gettati
sulla pagina, senza tanti filtri, eventi e comportamenti dell´Italia
di oggi mostrano subito il loro lato sinistro, con incredibile funzionalità
narrativa, al punto da poter essere scambiati per invenzioni di un autore
che voglia, come è solito, isolare il proprio eroe da quelle stesse
istituzioni per cui lavora. Invece è, purtroppo, tutto vero. Su
questo zoccolo di verità storica rappresentata e contestata, si
sviluppa l´ennesima storia di Montalbano, alle prese con trafficanti
di immigrati e in particolare di bambini. Il commissario è capace
come sempre di annodare i fili di vicende diverse in un unico dossier di
malvagità e violenza, contro cui, in polemica ancor più forte
con la polizia cui appartiene, combatte più che mai da solo. Nello
svolgimento, Camilleri adopera tutti gli ingredienti più collaudati
dei suoi romanzi del commissariato di Vigata: ci sono gli stessi uomini
e le stesso donne, le loro battute, i loro pasticci con la lingua (memorabili
questa volta più che mai quelli di Catarella e di Adelina, la "cammarera"),
i loro gesti ben noti (le stizze di Livia o l´ombrosità di
Mimì Augello o il gusto burocratico per i dati anagrafici di Fazio),
i loro tic (tipo "in famiglia tutto bene?" chiesto ogni volta allo scapolo
Montalbano dal segretario del questore, il candido Lattes, detto Lattes
e miele). Sicchè lo sfondo cupo e la trama appassionante sono alleggeriti
e interrotti piacevolmente da una miriade di battute, che strappano non
di rado un´aperta risata. Nella narrativa di Camilleri ci sono, come
si sa, due versanti: quello di Montalbano, situato nella Sicilia di oggi,
in cui ci si avvicina sempre di più, parallelamente all´invecchiamento
non pacifico del commissario, all´Italia contemporanea, e quello
di vicende e personaggi vari, collocati nella vecchia Sicilia, in genere
tra Unità d´Italia e fascismo, ma anche più indietro
nel tempo, come la storia del Re di Girgenti, ambientata nel Settecento.
I capolavori di Camilleri (La concessione del telefono o Il birraio di
Preston) appartengono tutti a questo secondo filone, ferme restando la
godibilità e l´intelligenza della serie di Montalbano. Più
mossi e meno prevedibili, i romanzi non seriali di Camilleri si aprono
a un certo punto in quel libro splendido (so che non tutti la pensano così),
in quella straordinaria scommessa stilistica che è Il re di Girgenti,
il più bel romanzo della nostra letteratura quasi interamente scritto
in dialetto. Il siciliano non è più solo un colore steso
sempre negli stessi punti e parole, ma diventa la lingua prevalente del
narratore, ed è il dialetto ad assimilare a sè la lingua
e non il contrario. Sinora nei romanzi di Montalbano il dialetto occupava
solo poche zone fisse dell´idioletto del commissario e dei suoi uomini,
e per intero soltanto il linguaggio di pochi personaggi minori (Catarella,
Adelina, i cuochi, i pescatori ecc.). Il giro di boa, invece, mette a frutto
la lezione del Re, dimostrando che questo libro ha segnato davvero una
svolta nella scrittura di Camilleri, che ora adopera il dialetto in tutti
i piani della narrazione, solo alternandolo con un po´ di italiano
e di siciliano italianizzato, giusto per non perdere il contatto con qualche
lettore meno smaliziato. Il risultato è un esercizio di scrittura
di assoluta bravura, in cui, come nel Re di Girgenti, si riesce a leggere
un testo quasi interamente dialettale senza accorgersi che è in
dialetto. Camilleri aveva già consolidato un uso non troppo vistosamente
realistico del dialetto, che fin dalle sue prime prove più che alla
verità sociolinguistica serviva all´autenticità psicologica
dei personaggi. Ora, con questo eccellente romanzo, consolida un uso non
espressionistico del dialetto stesso, una lingua che, per vivere e resistere,
non ha più bisogno di fare attrito con quella nazionale, ma se la
introietta, restituendocela più fresca e frizzante. Nell´Italia
che recupera i dialetti per un nuovo, stolto separatismo provincialistico
e rurale, il dialetto di Camilleri ne propone un impiego di alto profilo,
pienamente fungibile in chiave nazionale, perfino traducibile in altre
lingue nazionali, prive (come l´inglese o il francese) di dialetti.
Vittorio Coletti
L´Indice, 5.2003
Siciliani parigini, siciliani romani, siciliani in treno, siciliani
di Sicilia
Biglietto di solo ritorno
[...]
Gesualdo Bufalino, il meno ulisside degli scrittori siciliani, sogna
nel "Dialogo tra un viaggiatore e un sedentario" di essere agli antipodi
di Alibi, cioè in nessun posto, un Nullibi che equivale a un Altrove;
e indica tra chi parte e resta la terza via di chi "parte soltanto se sa
di tornare", percorsa dai siciliani di scoglio e non di mare aperto, secondo
le categorie di Vittorio Nisticò; siciliani-ostrica, attaccati allo
scoglio, nella visione verghiana. Nell'orazione funebre per Verga,
Pirandello disse di lui che era "un siciliano triste, come tutti i
siciliani, che hanno un'istintiva paura della vita oltre il breve
ambito del covo", tant'è che Sciascia -racconta Camilleri- costretto
a Parigi a letto da un'influenza, si sentiva "iettatu", gettato.
[...]
Ma ovunque l'Italia cominci, la Sicilia non finisce mai. Ogni scrittore
la porta con sè e non discorre che di essa.
[...]
Camilleri vi torna a ogni occasione per farsi raccontare storie da
Montalbano e rianimare regesti di storia.
[...]
Ma anche i siciliani della diaspora sono sempre a casa. Un giorno,
da solo al Cairo, Andra Camilleri disse alla moglie
che gli telefonò preoccupata per la lontananza: "Mi sento a
casa".
Gianni Bonina
Carmilla,
26.5.2003
Noir mon amour
Intervista a Serge Quadruppani
Il suo illustre connazionale Jean Partick Manchette lo definì:
“Il più interessante autore noir degli ultimi anni”; dichiarazione,
questa, che non tardò ad avere visibili riscontri nei paesi europei
dove erano stati pubblicati i suoi romanzi: Serge Quadruppani (1952) è
un autore solido e raffinato di splendidi giallo/noir che a volte sorprendono
e altre volte accarezzano la sensibilità dei lettori con l’insolita,
originale, malinconia che vela le pagine più riuscite delle sue
storie, come: L’Assassina di Belleville o La Breve Estate dei Colchici;
quest’ultimo pubblicato in Italia poco tempo fa da Mondadori nella collana
dei Gialli (n. 2822) per la traduzione di Maruzza Loria.
Profondamente innamorato dell’Italia, Serge Quadruppani è
anche il traduttore di Andrea Camilleri e Valerio Evangelisti: due dei
migliori scrittori nostrani che, data l’originalità linguistica
del primo e la vivissima cultura storica dell’altro, impegnano non poco
le giornate e la professionalità del francese. E’ stato proprio
Andrea Camilleri, durante innumerevoli interviste rilasciate, a parlare
dell’innata bravura di Quadruppani, affermando, ogni qual volta gli si
chiedesse quale traduzione preferisce dei suoi vendutissimi romanzi, che
le edizioni francesi sono le migliori in assoluto.
L’estate scorsa, in luglio, una lieta sorpresa attese in edicola
gli abituali lettori de “Il Giallo” mondadoriano: l’antologia 14 Colpi
al Cuore (n. 2789, poi in Oscar varia n. 1833) che raccoglieva splendidi
racconti a firma dei nostri migliori giallisti (Camilleri, Lucarelli, Fois,
Filastò, Carlotto, Dazieri, Piazzese ecc…) pubblicata in Italia
dopo che Quadruppani, che aveva curato l’edizione in Francia a scopo divulgativo
col titolo di Portes d’Italie, aveva raccolto ancora una volta una larga
serie di consensi.
L’autore si è concesso a questa lunga chiacchierata promettendosi
di svelarci, con il regalo di una mai tradotta nota personale, come riesce
a far parlare il francese ad un “garruso” come il commissario Salvo Montalbano.
Chianese: Parlami un po’ di te, dei tuoi studi, della tua passione
per il giallo e di questa Italia che è un po’ la tua seconda patria,
visto il lavoro che fai per i nostri scrittori.
Quadruppani: Nel 1970, dopo essere stato espulso dal liceo per agitazione
rivoluzionaria, avevo diciott’anni, ero partito per fare il concorso per
l’Ecole Normale Superieure, la “Grande Ecole” francese che forma le élites
della nazione, ma ho incontrato i grandi testi della tradizione rivoluzionaria
antistalinista e anche certe pratiche (moti, droghe, passioni amorose e
sesso) che mi hanno dato la sensazione che “la vita è altrove”,
come dice Rimbaud, e non ho fatto niente di confessabile fino a trent’anni.
In seguito ho cominciato a lavorare, lavorare, lavorare e non mi sono più
fermato. Ho scritto saggi, inchieste e quando ho cominciato a scrivere
romanzi, prima ho cominciato con lo scrivere romanzi storici, poi dei noir:
in ogni modo, mi sembrava naturale debuttare nel romanzo di genere, per
mantenere una distanza con le pretese “artistiche” della letteratura generalista.
Ma ho scritto anche un romanzo, Les Alpes de la lune, che ha anche queste
pretese, e sono in procinto di scriverne un altro. Nel frattempo ho incontrato
una siciliana che vive a Roma e attraverso di lei, l’Italia, la Sicilia
e la lingua italiana. Quello che mi colpisce è che l’Italia, così
vicina al paese dove sono nato, per me resta ancora profondamente esotica.
Amo vivere tra i due paesi, una buon metodo per evitare una delle cose
che odio di più al mondo: il patriottismo e lo sciovinismo.
Chianese: Quali sono stati i libri che più hanno influenzato
il tuo modo di scrivere?
Quadruppani: Sicuramente La società dello spettacolo di Guy
Debord e tutti i libri di Jean-Patrick Manchette, ma anche Flaubert, Rimbaud…
e migliaia d’altri, sarebbe impossibile elencarli tutti.
Chianese: ...E il cinema?
Quadruppani: Mi sento influenzato dalla scrittura cinematografica in
generale, come tanti autori contemporanei, ma non da un cineasta in particolare.
Chianese: In Francia sei il traduttore di Andrea Camilleri: un lavoraccio!
Dato che il nostro amabile scrittore siciliano fa parlare i suoi personaggi,
scrive, in una lingua poco affine al francese... come riesci a tradurlo?
Come riesci a far quadrare tutto con la tua lingua madre?
Quadruppani: Mi pongono questa domanda duemila volte all’anno… L’opera
letteraria di Andrea Camilleri conosce nel suo paese un tale successo che
sarebbe difficile trovare un equivalente in questa metà di secolo
in Italia. Buona parte di questo risultato è dovuta al linguaggio
particolare che egli utilizza. Non è facile dunque rendere la peculiarità.
E’ necessario innanzitutto far percepire i tre livelli sui quali essa gioca,
perché ciascuno di essi pone dei problemi specifici.
Il primo livello è quello dell’italiano “ufficiale”, che non
presenta particolare difficoltà per l’interprete: il più
delle volte lo si traduce in un francese locale, come l’italiano dell’autore,
in un registro familiare. Il terzo livello è quello di un dialetto
puro: in questi passaggi, sempre dialogati, il dialetto è abbastanza
simile all’italiano, tanto da renderne inutile la traduzione, infatti Camilleri,
a volte, ne fornisce una. A questo livello io ho semplicemente tradotto
il dialetto in francese permettendomi di segnalare nel testo che il dialogo
avviene in siciliano (riproducendone talvolta, per rendere il colore locale,
le frasi in dialetto affianco al francese).
La difficoltà principale si presenta per il livello intermedio,
quello dell’italiano sicilianizzato, che poi, è allo stesso tempo
quello del narratore e della maggior parte dei personaggi. Esso è
farcito di termini che non sono puro dialetto, ma piuttosto dei regionalismi
(per citare due esempi molto frequenti, taliare per guardare: regarder;
e spiare per chiedere: demander). Di queste parole Camilleri
non dà la traduzione, perché egli le ha messe in una maniera
tale che se ne afferra il senso grazie al contesto (è così,
spesso, grazie alla sonorità vicina di una parola conosciuta). Ecco
perché gli italiani di buona volontà (la stragrande maggioranza,
ma si trovano ancora quelli che affermano di non capire affatto la lingua
“camilleriana”) non hanno bisogno di glossario, gustano la stranezza della
lingua e comunque la capiscono.
Sostituire questa lingua con una delle “parlate” della Francia non
mi è sembrata la soluzione migliore: sia perché queste lingue,
cadute in disuso, sono incomprensibili alla maggior parte dei lettori (e
potrebbe sembrare bizzarro sostituire una lingua ben viva ed ancorata nelle
parlate della Sicilia di oggi, con una lingua morta), sia perché
sono dei modi di dire lontanissimi dalle lingue latine (un Camilleri argotico
avrebbe ancora qualcosa di siciliano?). Si è dovuto dunque rinunciare
a cercare, per ogni termine, degli equivalenti. Il “camilleriano” non è
la trascrizione pura e semplice di un idioma da parte di un linguista,
ma la creazione personale di uno scrittore a partire dalla parlata della
regione di Agrigento. E comunque se ogni vera traduzione comporta una parte
di creazione letteraria, il traduttore deve anche evitare di disputare
il suo ruolo con l’autore: era fuori questione inventare una lingua artificiale.
Per rendere il livello dell’italiano sicilianizzato, in certi punti
ho posto come dei limiti ricordando a quale dei livelli ci si trova, termini
del francese del mezzogiorno. Anzitutto perché il francese occitanizzato
si è molto diffuso, attraverso vari canali culturali, tanto che,
fino a Calais, si capisce cos’è un “picciriddu” . Inoltre questi
regionalismi apportano al francese un profumo di sud. D’altra parte io
ho scelto il partito della ch’timi: che è la lingua regionale dell’estremo
nord della Francia (intorno a Lille), quando si è trattato di rendere
percettibili alcune particolarità della costruzione delle frasi
(in versione soggetto/verbo: “sono Montalbano” : “Montalbano sono”) o curioso
impiego del passato remoto (che fu? "che cosa fu?" per "che cosa succede?")
da dove passa l’enfasi siciliana, o meglio ancora l’uso intemperante della
preposizione “à” con dei verbi diretti ed il ricorso frequentissimo
a forme pronominali ("si faceva un sogno" per "faceva un sogno"), ecc…
Ho cercato così di trasporre certe deformazioni che il maestro
di Porto Empedocle impone all’italiano classico, per far capire la pronuncia
della sua terra: "pinsare" invece di "pensare", in italiano classico, è
stato tradotto con il francese "pinser", "arricordarsi" invece di "ricordarsi"
è stato tradotto con "s’arappeller", "vrazzi" per "bracci", invece
che con il classico "les bras", è stato tradotto in "vras", ecc…
Una scelta certamente discutibile, ma che mi sembrava comunque la meno
peggiore delle soluzioni, perché permette di seguire l’evoluzione
dello stile del nostro autore. In effetti, l’abbondanza delle trasposizioni
di deformazioni orali non è la stessa nei primi romanzi del commissario
Montalbano che negli ultimi (sembra che, conquistato e ormai abituato il
suo pubblico, Camilleri abbia minore esitazione a far capire la singolarità
della sua musica), e la loro presenza più o meno importante in tale
o tale altro non è sprovvisto di significati, volontari o meno.
L’insieme di questi tipi di traduzione sfocia in una lingua abbastanza
lontana da quella che di solito si chiama “buon francese”, la mia traduzione
può apparire poco fluida e spesso si allontana deliberatamente dalla
correzione grammaticale. Da alcuni decenni il lavoro dei traduttori è
orientato al tentativo di rendere meglio la lingua dei loro autori sottraendosi
alla dittatura della “fluidità” e del “grammaticalmente corretto”,
che avevano imposto a delle generazioni di lettori francesi un idea troppo
vaga dello stile reale di tanti autori. Un tale movimento riunisce così
il lavoro degli autori francofoni che si impegnano a liberare la loro espressione
dal peso di una lingua su cui si è troppo legiferato. All’interno
di questo quadro, per il mio livello artigianale, l’essenziale sarebbe
tentare di restituire al lettore francese la maggior parte di quello che
avverte anche il lettore italiano, non siciliano, quando legge Camilleri.
Quel sentimento di strana familiarità che la sua lingua procura,
eco di ciò che si prova incontrando, su un'isola, un'antichissima
e modernissima civiltà.
Chianese: Ma secondo te quale è la ricetta (oggi come oggi)
per un giallo/noir a dir poco perfetto?
Quadruppani: Suppongo che la tua domanda sia uno scherzo. L’idea che
possa esistere una ricetta non ti è certamente venuta ... Ti darò
una risposta originalissima: per scrivere un giallo/noir di qualità,
bisogna avere del talento.
Chianese: Tu hai curato un’antologia per Mondadori, 14 colpi al cuore,
ma circolano indiscrezioni che sostengono che sei rimasto scontento dell’edizione
italiana di questo libro. Cos’hai da dire?
Quadruppani: Non so cosa siano queste indiscrezioni. Mi è molto
rincresciuto che Sandrone Dazieri abbia deciso di eliminare alcuni autori
presenti nella versione francese (Maccentelli, Curtoni) e che abbia domandato
a Michele Serio di scrivere un altro racconto, col pretesto che i lettori
italiani rischiavano di restare scioccati dal suo Cagnetta, storia un po’
spinta, certo, (le relazioni amorose e sessuali di una coppia d’italiani
ipernormali con la loro cagna), ma esilarante. Però queste scelte
appartengono a Sandrone Dazieri, in quanto curatore per Mondadori, e non
ho giudicato giusto rinunciare all’antologia per intero, per non penalizzare
gli altri autori.
Chianese: Gli autori di quel libro sono tutti degli scrittori italiani.
Facciamo un gioco: mi puoi abbozzare accanto ad ognuno (in base al suo
modo di scrivere o alla fatica che ti hanno fatto fare per tradurre) un
aggettivo?
Quadruppani: Ok! ma non sono stato io a tradurre i racconti per l’edizione
italiana:
Andrea Camilleri: Indispensabile
Gianfranco Manfredi: brillante
Laura Grimaldi: solida
Nino Filastò: barocco
Massimo Carlotto: fortemente documentato
Santo Piazzese: elegante
Danilo Arona: inquietante
Marcello Fois: eccellente
Enzo Fileno Carabba: spaventoso
Eraldo Baldini: angosciante
Michele Serio: perverso
Giacomo Cacciatore: saporoso
Cesare Battisti: virulento
Carlo Lucarelli: efficace
Chianese: In definitiva a te piace il giallo e il noir ma, da straniero
super partes, puoi dirmi sinceramente se c’è uno scrittore o un
tipo di letteratura in Italia che a tuo parere davvero non va?
Quadruppani: In Italia come in Francia, la stragrande maggioranza della
letteratura, quella che si vende di più in ogni caso, non m’interessa.
Chianese: Letterariamente pensi che l’Italia possa dare ancora dei
grandi scrittori di genere oppure questa ottima produzione, questi ottimi
nuovi autori sono destinati a spegnersi?
Quadruppani: Non vedo perchè dei grandi autori di genere non
dovrebbero rivelarsi nei prossimi anni.
Chianese: Noi abbiamo avuto Scerbanenco, Gadda, Fruttero & Lucentini
e tanti, tantissimi altri maestri. Ma, secondo te, perchè da noi
manca una vera e propria scuola, un vero e proprio genere affermato e rispettato?
Quadruppani: C’è un concetto accademico della cultura che pesa
qui ancor più che in Francia. Questa concezione tende, come dappertutto,
a essere rimpiazzata dalla dittatura dei mondi mediatici, che non è
il massimo. Ma è così
importante che esista un genere affermato e rispettato? Rispettato
da chi?
Dagli stronzi, ce ne freghiamo. E dai lettori, è già
fatto, no?
Chianese: Pensi che la nostra letteratura di genere sia stata contaminata
dal nostro modo di fare cinema o di rivolgerci verso prodotti stranieri
(siamo o non siamo degli esterofili?)
Quadruppani: Gli autori più interessanti sono quelli nei quali
le influenze non sono invadenti. Meno male che “vostra” letteratura non
è stata contaminata da “vostro” cinema contemporaneo: questa battuta
viene da qualcuno che ha adorato il cinema italiano dagli anni dai Cinquanta
ai Settanta. Ma questo possessivo, “nostro”, non ti dà fastidio?
Spero che non consideri come “tuo” il cinema di Tornatore, come non è
mia la letteratura di Houëllbecq.
Chianese: Una curiosità: perchè Scerbanenco in Francia
veniva trattato come un autore di destra?
Quadruppani: Pare che in certi testi si trovano dei brani discutibili,
ma non ne so niente e comunque, la correttezza politica in letteratura
è una delle più triste smanie, particolarmente insopportabile
nel genere noir.
Chianese: Puoi farci qualche anticipazione su chi tradurrai o che scriverai
nella prossima stagione? I lettori forti di cuore si aspettano un altra
antologia!
Quadruppani: Traduco Camilleri, P.G. Di Cara, Dazieri, Gallarzo. Rimpiango
molto di non tradurre più Valerio Evangelisti. Sto finendo un romanzo
con forte carica autobiografica. E appena uscita in Francia La nuit de
la dinde, un giallo. Ho proposto una antologia d’autori francesi a Sandrone
Dazieri e aspetto una risposta.
Chianese: Ma nel panorama francese del noir da chi ti aspetti veramente
qualcosa di speciale? Quanta amarezza è rimasta per la morte di
un grande come J. C. Izzo?
Quadruppani: Mi aspetto, e spero, che la moda “polar” in Francia passi,
che siano pubblicati meno libri cattivi. L’autore di cui rimpiango la sparizione,
letterariamente parlando, è J. Patrick Manchette (era un amico).
Umanamente mi piaceva molto, Izzo. Ma non lo considero un grande: la sua
trilogia marsigliese, per me, è simpatica ma molto consolatoria:
bisogna vedere come i marsigliesi adorano questo specchio che lui tende
loro. Il ruolo della buona letteratura è soprattutto di non essere
consolatorio.
Chianese: Cosa pensi del web e delle nuove tecnologie?
Quadruppani: Niente di molto originale: c’è un uso cretino,
e un uso intelligente. Questo mezzo apre dei nuovi spazi alla sensibilità,
ma non rimpiazzerà quelli vecchi, e sicuramente non i libri.
As Chianese
Bresciaoggi, 26.5.2003
Il suo intervento di domani [dopodomani, NdCFC] al Festival
Letterature a Roma
Camilleri: l’attualità è un batter di ciglia
Un lungo, colto intervento sul tempo, ricco di citazioni di autori umanisti
ma anche di scienziati, da Sant’Agostino ad Aristotele, da Laplace a Kant,
da Savater a Joyce. Con una chiosa legata all’attualità che fa riferimento
a Hegel. È l’intervento scritto da Andrea Camilleri in occasione
della sua partecipazione al Festival Letterature organizzato a Massenzio
dal Comune di Roma. Lo scrittore siciliano, che parlerà domani sera,
non nasconde una certa inquietudine a stare sul palco davanti a (previste)
duemila persone: «Comincia ad essere una sorta di comizio, cui non
sono abituato. Speriamo che vada bene».
È spaventato? «Quello che leggerò non è
un fatto narrativo ma una sorta di fatto saggistico, speriamo che la gente
lo prenda bene».
Forse ha esagerato nella complessità dell’argomento? «Credo
sia un intervento molto complesso ma ho fiducia nell’intelligenza del pubblico».
Parlerà del tempo ma non avrà... tempo per parlare dell’attualità,
perché? «Trattando un tema in fondo così ampio, gigantesco
come è il passato, come è il futuro, l’attualità non
è altro che un battito di ciglia».
Non poteva fare almeno un accenno? «Ma lo faccio. In ultimo un
minimo cenno c’è: quando parlo di Hegel e del fardello della storia
è evidente il richiamo alle accuse mosse dagli Stati Uniti al nostro
continente di essere un’Europa vecchia. Mi sembra un riferimento abbastanza
esplicito».
Invece non lascia spazio alla cronaca? «No, nessun indugio alla
cronaca».
Ieri intanto Camilleri ha presentato a Roma «La verità
è un cane», romanzo del magistrato Nicola Quatrano: rifacendosi
ad una battuta del ’Re Lear’ di Shakespeare, ha osservato che la verità
giudiziaria non potrà che essere diversa da quella storica. E così
infatti accade nella vicenda del libro, che ha per protagonista un pm napoletano
che non brilla per intelligenza o arguzia nella conduzione delle indagini.
Lo scrittore siciliano ha sottolineato che, «più che un
giallo, si tratta di un’orribile farsa durante la quale colpevoli e innocenti,
accusati e accusatori coopereranno, tutti perché trionfi la menzogna
in nome della verità».
Quatrano, che è stato presentato anche dall’ex segretario di
Magistratura Democratica Livio Pepino e dalla giornalista Rosanna Santoro,
ha precisato che il suo scopo era quello di «scrivere di persone
in cui il bene e il male non fossero così discriminanti. C’è
solo una discriminante, la legge, ma anche in questo caso la legge chi
la fa? Il più forte».
La Sicilia, 26.5.2003
I fondali bassi non fermano una maxi nave
Dagli Usa per visitare Vigata
PORTO EMPEDOCLE - «Invasione» di turisti a Vigata. Ieri
sono arrivati dal mare, a bordo della maxi nave da crociera «Silver
Cloud» e, da terra, a bordo di tre autobus. I primi a mettere piede
nella cittadina marinara sono stati 139 attempati americani, sbarcati dalla
lussuosa imbarcazione proveniente da Civitavecchia intorno alle 9. Tutti
a spasso prima nella Valle dei Templi, per poi fare un capatina veloce
nei luoghi cari ad Andrea Camilleri.
La fama del «papà» del commissario Montalbano ha
infatti varcato l'oceano Atlantico, creando grande curiosità intorno
al paese natale del fenomeno letterario del momento. Mentre gli americani
visitavano a gruppetti le bellezze agrigentine ed empedocline, irrompevano
in paese tre autobus carichi di villeggianti campani, provenienti da Sorrento.
In tutto duecento persone che hanno affollato qualche bar della cittadina
marinara, prima di proseguire il tour nelle più belle città
della Sicilia. Tra le mete visitate dai villeggianti di Sorrento la spiaggia
di Marinella e la Scala dei Turchi. Una giornata dunque positiva sul fronte
dello sviluppo turistico a Porto Empedocle - Vigata.
La domenica di festa si era per giunta iniziata con un brivido, corso
sulla schiena di chi gestisce l'accesso in porto delle navi. Rispetto a
quanto accaduto in molte altre occasioni, il comandante della «Silver
Cloud» ha deciso di osare, puntando diritto verso la banchina dello
scalo empedoclino, senza crearsi tanti problemi sul basso pescaggio del
fondale.
Dosando al millimetro ogni movimento della mastodontica imbarcazione,
sulla quale lavorano 200 persone di equipaggio, il comandante è
infatti riuscito a «parcheggiare» quello che da lontano sembrava
un palazzo galleggiante. L'imponente mole della nave da crociera, di proprietà
di un armatore delle Bahamas ha attratto l'attenzione di molti empedoclini
recatisi quasi in pellegrinaggio a vedere da vicino il «mostro»
bianco.
La «Silver Cloud» ha mollato gli ormeggi nel tardo pomeriggio
di ieri, portando con se gli americani che avevano invaso Vigata e Agrigento,
dopo avere aperto il cuore alla speranza, soprattutto del sindaco empedoclino
Paolo Ferrara. «Anche senza dragaggio del porto le grosse navi con
tanti villeggianti a bordo possono entrare, avendo un comandante con un
pizzico di coraggio e tanta bravura. Una constatazione che ci rende ancor
più ottimisti, pensando all'imminente adeguamento dei fondali».
Francesco Di Mare
Il Nuovo, 26.5.2003
Rai, stagione di tagli in vista
In bilico i due gioielli: Il commissario Montalbano e Un medico in
famiglia non saranno pronti per la prossima stagione televisiva. Rai Fiction:
arriveranno
ROMA - Ebbene sì. La Rai ha deciso. Niente Commissario Montalbano
e Un medico in famiglia fino al 2005. Se tutto va bene si punterà
su titoli importanti e popolari, tra cui la quarta serie del Maresciallo
Rocca, ma la perdita delle due serie, nei corridoi di viale Mazzini, è
considerata cosa di non poco conto. La Rai, secondo quanto trapelato dagli
ambienti dei produttori, non si decide a firmare i contratti, gli attori
prendono altri impegni e nell'incertezza generale e tutto procede a rilento
con la conseguenza di far slittare le riprese.
Del resto, visto i tempi magri, la Rai tutta, fiction compresa, deve
fare i conti con una riduzione dei budget, con costi inferiori del 15%
e così anche Il commissario Montalbano che piace a tutti, persino
al presidente della Repubblica, è fermo.
"Da una settimana si è riaperta la trattativa - dice non senza
riserbo il produttore Carlo Degli Esposti della Palomar - con il direttore
generale della Rai. Sto fermo sulle mie posizioni da un anno: Montalbano
è indubbiamente un fenomeno unico, anche l'iter contrattuale è
unico". Degli Esposti spiega di aver programmato per il 2004 o 2005, due
film (o quattro, si vedrà) sul personaggio scritto da Camilleri,
"ma più tempo passa, più penso che con si potrà fare
prima del 2005 proprio perché la situazione non si è ancora
sbloccata. Sono fiducioso comunque, alla fine trionferà il bene,
come nei film di Montalbano".
In attesa che la matassa si dipani (Camilleri secondo alcuni sarebbe
stato bloccato per motivi politici), Degli Esposti sta ultimando un film
documentario su Andrea Camilleri, realizzato con Rai Fiction. Quanto al
Medico, che domenica sera ha chiuso trionfalmente con il 40%, bisognerà
aspettare: "Le riprese non sono ipotizzabili prima dell'inizio del 2004
e se anche si riesce ad andare in onda in autunno, di fatto si salterà
una stagione", afferma Carlo Bixio della Publispei.
Per ora con la Rai ci sono due miniserie in cantiere, tra cui due puntate
ancora con Banfi, Raccontami una storia sul tema delle adozioni. "Gli attori
vogliono fare anche altre cose e se i contratti non sono avviati è
giusto che prendano altri impegni. E' un momento un po' delicato - conclude
Bixio - anche se il nuovo direttore di Rai Fiction Agostino Saccà
mi sembra pieno di buone intenzioni".
LA PRECISAZIONE
Secondo la Direzione Fiction Un medico in famiglia, che prima aveva
cadenza biennale, potrebbe diventare annuale: se non arriverà per
la primavera del 2004 arriverà all'autunno. Gli accordi col produttore
Carlo Bixio sono in via di accelerazione, spiegano ala Direzione. Quanto
a Montalbano, spiegano a Rai Fiction, c'é già un accordo
con la Palomar di Carlo degli Esposti per allargare la produzione anche
ai romanzi storici, Un modo, si sottolinea, per tenere comunque alta l'attenzione
su Camilleri e sulla Vigata storica, prima dell'arrivo delle nuove serie
sul commissario interpretato da Luca Zingaretti.
Il Messaggero, 27.5.2003
I segreti dell’irresistibile ascesa del commissario Montalbano
«Mi converto a Camilleri»
E’ una forma di snobismo assai diffusa quella esibita nei confronti
di Andrea Camilleri da critici, scrittori e altri addetti ai lavori dell’editoria
che, per dirla con un po’ di malignità, sono irritati dalle alte
tirature dei suoi libri. Si tratti di banale invidia (ma l’invidia, secondo
Elsa Morante, è ancora una virtù molto umana: deriva dal
riconoscere agli altri qualcosa di più di quel che noi abbiamo o
siamo) o di convinzioni profonde, si ha comunque il sospetto che quei tali
non siano suoi lettori, oppure che non apprezzino in alcun modo una letteratura
che non dimostri i suoi quarti di nobiltà letteraria. Non è
il caso di polemizzare oltre misura, mentre è invece il caso di
chiedersi se, dietro il fenomeno Camilleri, ci sia uno scrittore vero oppure
no. La risposta, se ci si spinge un po’ avanti, è certamente positiva.
Le ragioni del successo di un autore le si scopre sempre a posteriori,
e spesso scrittori che fanno di tutto per averlo (o il “sistema editoriale"
che hanno alle spalle e che li sostiene) non lo ottengono affatto. Un grande
editore mi disse una volta che avrebbe potuto, grazie alla pubblicità
e a recensioni più o meno controllate, riuscire a vendere di un
libro fino a trentamila copie ma non oltre; oltre, era il pubblico a decidere;
i veri, i grandi best-seller in qualche strano modo è il pubblico
a decretarli. Se un libro piace a tanti, qualche ragione c’è, anche
se è legittimo non condividerla e anzi in molti casi disgustarsene.
Per fortuna questo non è il caso dei best-seller di Camilleri,
per molti aspetti, diciamo così, “innocui", e per molti altri invece
accettabili e anzi amabili. Personalmente, rimprovero allo scrittore agrigentino
solo un certo abuso del dialetto - crescente negli ultimi libri, e forte
in particolare nell’ultimissimo, Il giro di boa (Sellerio). Quello che
era un ricorso spiritoso e caratterizzante, un “sale" aggiunto alla vivacità
della narrazione per definire un ambiente, anche se soltanto la sua superficie,
sta diventando un po’ invadente. Forse in questo c’è l’ambizione
di Camilleri a porsi nella schiera non vasta dei “gaddiani minori", che
sanno baroccamente giocare con la lingua anche a partire da una letteratura
“disimpegnata" o sbrigativa sul fronte della ricerca espressiva - e penso
in particolare a un “gaddiano minore" del Nord, a Gianni Brera - ma c’è,
ancora di più, una tradizione locale, se possiamo chiamare “locale"
per un girgentino una tradizione specificamente catanese, quella del teatro
di Angelo Musco, Martoglio e Capuana, di quello soprattutto che più
addomesticava il dialetto e lo rendeva palatabile per il “continentale"
bisognoso di colori locali meridionali.
Il rapporto delle commedie di Musco con la realtà del suo tempo
è molto mediato, come lo è quello dei polizieschi di Camilleri;
e il rapporto di Camilleri con il dialetto e con la lingua è divertito
e strumentale, non risponde a un bisogno espressivo reale. Ma, per l’appunto,
di divertimento si tratta, con la differenza che Camilleri non è
Greene né Simenon, e la sua scelta non è quella di dividersi
in due - un versante più serio e uno più commerciale o divertente/divertito
- ma di essere partito da un’idea di letteratura più elevata, se
pur accettando una scuola nella sudditanza al magistero di Sciascia, con
il racconto-ricostruzione di episodi storici significativi ancorché
secondari, e di essere rapidamente approdato al mero divertimento e cioè
ai romanzi di Montalbano.
Sono assenti da Camilleri sia la volgarità che la presunzione,
però nei polizieschi vagamente verosimili e nella sua Vigata vagamente
verosimile, che ne è lo sfondo naturale e sociale, saltano agli
occhi la generosità delle ambientazioni e la sommarietà delle
psicologie oltre alla pretestuosità della lingua. E però...
Però questi romanzi stanno in piedi benissimo, e giustificano appieno
l’interesse del “lettore comune" nei loro confronti, distinguendoli nettamente
da quelli di altri esponenti italiani di un genere di grande voga. In breve,
il genere si divide qui e altrove nei due filoni che possiamo chiamare
del “giallo" un po’ astratto, solo vagamente indicativo di realtà
precise, e del “noir" che, quando non è altrettanto astratto, ha
ambizioni di durezza e di crudezza maggiormente rappresentative degli orrori
della nostra epoca. Ma quanti sono gli autori importanti di “noir" in Italia
(andrebbero citati più dei titoli che degli autori: per esempio
Arrivederci amore addio di Carlotto, che con i romanzi della serie dell’Alligatore
è l’unico vero rivale, sul fronte veneto, del nostro scrittore siciliano,
o Io non ho paura di Ammaniti, giustamente celebrato), mentre abbondano
i “giallisti".
La differenza tra i tanti autori del genere Camilleri (e Carlotto)
sta nella durata. Di solito gli altri partono o sono partiti bene e si
sono poi arenati nella copia delle loro prime opere e non hanno saputo
crescere, per limiti individuali, per scarsità d’esperienza o di
tensione interna - che entrambe invece non mancano a Carlotto, ma non mancano
neanche a Camilleri. Però Carlotto è “partito da sé"
mentre la molla più forte di Camilleri sembra essere... l’anzianità.
Sì, proprio l’anzianità in senso di anni e di accumulo di
conoscenze, e non tanto quelle di prima mano quanto quelle di origine professionale.
Camilleri ha accumulato il suo sapere tecnico - la vera riserva cui sembra
attingere, più che alle storie di Vigata, Sicilia - a partire da
una lunghissima esperienza di “gestore", o regista, o programmista di serie
radiofoniche e televisive: teatro, romanzi sceneggiati, e affini. Si è
così costruito una cultura vastissima che gli permette di navigare
molto accortamente tra strutture, trame, sottotrame, caratteri, scansioni,
digressioni, agnizioni, zeppe e ficelles. Possiede un sapere specifico
che nessun altro sembra avere grande quanto lui, che è la sua “riserva"
e che fa la sua fortuna. Camilleri è arrivato molto tardi al successo,
e non ci dà affatto fastidio che egli se lo goda, salvo che nel
riciclaggio di coserelle non narrative (i manualetti di teatro per esempio,
superflui anche se non dannosi). Non butta via niente, insomma, delle sue
fatiche professionali quasi anonime di ieri, e questo non è un bene.
Camilleri la sa letteralmente lunga, ed è questo che attira
i suoi lettori. Ci vende, aggiornato, un genere d’intrattenimento che ha
fatto e rifatto le sue prove, ma che egli sa presentare sotto altri aspetti,
e ridargli vigore come fosse nuovo. Montalbano e Camilleri hanno finito
per entrare decisamente nel loro e nostro tempo, per appartenerci. Camilleri
sa essere un probo professionista dell’intrattenimento letterario, il più
noto e prolifico di tutti (perché deve riguadagnare il tempo perduto,
e non per mera grafomania), e sa rendersi simpatico, fin al punto di volerne
tentare una “illustrazione e difesa" di fronte ai suoi denigratori. Oltre
a tutti i motivi suddetti, c’è anche il fatto, per dirla volgarmente,
che Camilleri come Montalbano “non se la tira", mentre ahi come se la tirano!
tanti scrittorelli innamorati di sé. I primi in classifica tra gli
autori di best-seller in questo scorcio di stagione sono, con Camilleri,
De Luca e la Tamaro, e a me, senza infierire su nessuno, piace di più
Camilleri.
Goffredo Fofi
Il Messaggero, 27.5.2003
FESTIVAL LETTERATURE
Lo scrittore promette: «A Massenzio vi darò un’altra
immagine di me»
«I TEMPI verbali». E’ questo il punto di partenza della
riflessione che Andrea Camilleri leggerà questa sera (ore 21) al
Festival internazionale Letterature nella Basilica di Massenzio. Un Andrea
Camilleri che, ieri durante una conferenza stampa alla Casa delle Letterature,
si è presentato in forma smagliante e con il suo miglior biglietto
da visita: l’ironia. «Voglio vedere — ha subito apostrofato la sala
gremita — che non avessi accettato di partecipare! C’è un limite
al masochismo! Ti invitano, primo scrittore italiano, e che fai, rifiuti?
A me potrebbe capitare solo se fossi al manicomio».
E, dopo i ringraziamenti, proseguendo il suo gioco degno di una mente
da regista, ha spiegato la genesi dell’intera serata: «Mi hanno dato
da svolgere un tema, "Passato, futuro", e io a scuola sono sempre stato
molto bravo a scriverli. Il problema è che l’argomento può
essere affrontato da un punto di vista filosofico, scientifico, storico...
Ma io, mi sono chiesto, cosa so? I tempi verbali: io sono, sono stato,
fui, sarò». Camilleri non parlerà dunque del valore
del passato e del futuro nella sua scrittura (che pure ne ha tanto), ma
di come «nel corso del Novecento sia stato sempre più difficile
usare il presente indicativo: io sono». Un vero excursus letterario,
con esempi e citazioni: «Abbiamo ormai personaggi senza cognome,
senza nemmeno il più presente passato prossimo. Come Joseph K.,
fino ad arrivare all’abolizione del tempo con Antonio Pizzuto nella Signorina
Rosina. Una mancanza di passato e futuro. Un passato che è la storia
con la S maiuscola».
«Un discorso impegnativo — riflette ad alta voce Camilleri —
che ha fiducia nell’intelligenza del pubblico, ma che lascerà di
certo un po’ disorientati perché presenta un’altra immagine di me».
Una serata ad alto livello, non solo per la letteratura, ma anche per
il jazz. Mai stanco di professare il suo amore per questo genere musicale,
Camilleri ha accettato subito, «pieno di curiosità»,
il confronto: quattro interludi, con Enrico Rava alla tromba e Stefano
Bollani al piano, che non saranno un semplice contrappunto alle sue parole,
ma un percorso parallelo sullo stesso tema, l’abolizione del tempo nell’evolversi
del jazz.
Grande professione di stima per Luca Zingaretti, che aprirà
la serata leggendo non Montalbano, ma un brano da La concessione del telefono:
«L’ho conosciuto giovanissimo, allievo-attore dell’Accademia dove
insegno. Mi è sempre piaciuto tanto e l’ho tenuto sott’occhio. Quando
il regista Sironi l’ha scelto per il Montalbano televisivo, ho avuto un
sussulto: non aveva nulla a che vedere con il mio Montalbano. Oggi, quando
scrivo, devo dire: vattene Luca!».
Claudia Rocco
Radio Capital, 27.5.2003
Intervista ad Andrea Camilleri
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qui per ascoltare la registrazione
GIORNALISTA: …in estate c’è il Festival della letteratura dove
vengono invitati degli scrittori, in genere stranieri ma in questo caso
no, e mentre leggono i propri testi e mentre sullo sfondo c’è la
splendida basilica in stile romanico col cielo blu di Roma, con la luna
-insomma, fa sempre un certo effetto, ecco- contemporaneamente si svolge
anche un concerto di jazz. E questa sera c’è un personaggio di culto,
cioè l’attore Luca Zingaretti che interpreterà un testo inedito
di un altro personaggio di culto, Andrea Camilleri… ma intanto sentiamo
direttamente da Camilleri qual è il testo di stasera.
ANDREA CAMILLERI: Sono alcune variazioni sul tema dato che è
il passato/futuro, sulla evoluzione che il tempo presente, voce del verbo
essere “io sono”, subisce in rapporto alla mancanza di passato o alla impossibilità
di futuro nella letteratura.
GIORNALISTA: Questa è la sua prima volta in pubblico: è
emozionato?
ANDREA CAMILLERI: No, emozionato no, ma non ho mai avuto un pubblico
così vasto e quindi è un’esperienza da fare… non so come
va a finire, ma comunque è divertente farlo.
GIORNALISTA: Camilleri, come spiega il suo incredibile successo malgrado
il linguaggio sperimentale dei suoi romanzi, molto siciliano?
ANDREA CAMILLERI: Se fossi in grado di spiegarlo non farei lo scrittore,
metterei su una casa editrice applicando un tipo di formula di successo.
Quando io ho scritto il primo romanzo, per dieci anni nessun editore me
l’ha voluto pubblicare… non è che io mi sono suicidato o mi sono
disperato, continuavo a fare il regista: era un modo di comunicare anche
quello. E quindi in qualche modo parava questa perdita.
GIORNALISTA: E’ importante per lei la memoria?
ANDREA CAMILLERI: Ma sa che cosa c’è? C’è che il presente
tende a distruggere quasi sempre la memoria… la memoria conserva il passato,
lo conserva, perché la casa nella quale lei è vissuta può
essere stata distrutta, abbattuta dalle bombe, dalla ruspa, da quello che
vuole lei, ma lei, in qualsiasi momento, è capace non solo di ricostruirsela
com’era nella sua memoria, ma di riportare nella sua memoria l’odore di
una stanza, i suoni che sentiva in un’altra.
GIORNALISTA: Per concludere, io direi che non si può parlare
di Camilleri senza citare la Sicilia di Montalbano: ma com’è quella
Sicilia?
ANDREA CAMILLERI: In fondo la vera ambientazione di Montalbano è
la mia di quarant’anni fa, ormai irripetibile e introvabile.
GIORNALISTA: Questa era la bella voce profonda di Andrea Camilleri
che potrete trovare questa sera con Luca Zingaretti alla Basilica
di Massenzio per una serata speciale che vi abbiamo presentato in anteprima
qui su Radio Capital.
[trascrizione a cura di Paola]
La Stampa, inserto
"Vivere Roma", 27.5.2003
Stasera Andrea Camilleri fra passato e futuro
L'autore siciliano si esibirà con Enrico Rava alla tromba
In scena anche il pianista Stefano Bollani come tradizione
Il suo lavoro partirà da un pensiero sui tempi verbali
Andrea Camilleri è il primo autore italiano a calcare il palcoscenico
della Basilica di Massenzio, sede del Festival
Letterature che si chiuderà il 20 giugno con l'arrivo di Paul
Auster. Lo scrittore siciliano ha scelto di leggere per il suo
pubblico un testo scritto appositamente per la manifestazione, prendendo
spunto dal tema che fa da filo conduttore ai reading "Passato Futuro" e
sarà introdotto da Luca Zingaretti, l'attore che indossa i panni
del suo Commissario Montalbano nella fiction televisiva firmata dal regista
Alberto Sironi.
"Zingaretti stasera non sarà Montalbano - spiega Camilleri -
sarà semplicemente se stesso e leggerà un brano tratto da
"La concessione del telefono". Sono felice che mi introduca lui. Lo conosco
da quando era ragazzo e frequentava l'Accademia d'Arte Drammatica Silvio
D'Amico. Era un mio allievo attore e mi piaceva assai assai. Ho seguito
la sua attività anche negli anni successivi, l'ho sempre stimato
ma, quando mi fu comunicato che sarebbe stato lui a interpretare il mio
Commisario Montalbano, ebbi un sussulto. Non avevo voce in capitolo sulla
decisione dell'attore, né volevo prendermela, ma la prima cosa che
pensai è che Luca non aveva nulla a che vedere con il mio personaggio,
pur essendo un bravo attore. Quando scrivo le storie di Montalbano oggi
sono costretto a dirgli "vai via!".
A differenza di Doris Lessing che ha aperto "Letterature" separando
il suo reading dal concerto di jazz, Camilleri è
entusiasta dall'idea di interagire con il trombettista Enrico Rava
e il pianista Stefano Bollani, che saranno con lui in scena come vuole
la tradizione del Festival. "Ho chiesto ai jazzisti di dire in musica esattamente
quello che io dico a parole almeno in quattro punti della mia lettura,
in modo da far evolvere insieme note e letteratura" spiega Camilleri precisando:
"Parlerò di passato e futuro, ma con variazioni sul tema".
Il suo testo partirà da un ragionamento sui tempi verbali, per
esempio si soffermerà sulla difficoltà per uno scrittore
di usare il presente indicativo in fase di scrittura, fino ad arrivare
all'importanza della storia e del pesante fardello che a volte può
rappresentare e alla descrizione del suo orizzonte sempre "storico-futuro".
"Appartengo a una razza che non coniuga mai il tempo futuro - dice - A
Palermo nessuno dirà mai "domani andrò", ma "domani vado".
Il mio massimo futuro, infatti, arriva fino alle 24 o alle 48 ore. A stasera
dunque!".
f.b.
Il Secolo XIX,
27.5.2003
Il papà di Montalbano indaga sul Novecento citando Hegel
e il jazz
A Letterature di scena Andrea Camilleri
Leggerà un testo inedito sul rapporto tra passato e futuro Andrea
Camilleri questa sera al festival internazionale di Roma Letterature. L'autore
della serie romanzi di Montalbano, l'ultimo è Il giro di boa, appena
uscito da Sellerio, è il primo scrittore italiano che interviene
sul palco di Massenzio.
“Sono sempre stato bravo a svolgere i temi, fin dalle elementari. Il
segreto è conoscere i propri limiti, parlare di quello che si conosce.
E io cosa so? Conosco i tempi verbali: fui, ero, sono. Parlo di come mai
in questo Novecento sia stato sempre più difficile dire “io sono”.
Sono aumentati i personaggi senza nome, senza un passato prossimo, tipo
Josef K., addirittura si abolisce il tempo. E' un discorso impegnativo,
lo so, ma ho deciso di affidarmi all'intelligenza del pubblico, che mi
scoprirà sotto una veste diversa dal narratore di storie”.
Camilleri non vuole anticipare nulla: “Già scrivo e riscrivo,
se poi lo racconto prima, pensate che noia rileggere davanti al pubblico”,
però rivela qualcosa delle conclusioni: “Hegel, un filosofo noioso
ma fondamentale, diceva che la storia è un fardello pesante. Mi
è venuto in mente qualche mese fa, quando un giovane paese accusò
l'Europa di essere troppo vecchia. Noi non abbiamo il passo veloce perché
abbiamo un fardello millenario da portare. Un fardello che quando si cammina
sulla sabbia del tempo lascia segni forti, come non succede a chi è
troppo leggero”.
Insieme alla lettura di Camilleri ci saranno le improvvisazioni del
jazzisti Enrico Rava e Stefano Bollani. “Sarà una bella jam session.
Avrei voluto intervenire anch'io, con il mio sax tenore, ma sono stato
vivamente sconsigliato dai miei familiari. Una delle rare volte che mi
hanno detto qualcosa di utile”. L'intervento di Camilleri sarà preceduto
dal Montalbano televisivo, Luca Zingaretti, che leggerà brani tratti
da La concessione del telefono, un romanzo senza il commissario: “Conosco
Luca da quando era un allievo all'Accademia, dove io insegnavo regia. Era
bravo, molto bravo. Ma quando Sironi mi disse che lui era il prescelto,
mi prese un colpo. Perché non c'entrava proprio niente con il Montalbano
che io avevo immaginato. Ma lui è un bravo attore, riesce a dartela
a bere bene. E ora quando scrivo le storie del commissario fatico a togliermelo
di torno”.
Andrea Camilleri scrive a modo suo del passato, confessa: “Ho una buona
capacità falsificatoria del passato. E' come quella battuta di Woody
Allen: “sai far bene l'amore” e lui risponde: “mi esercito molto da solo”.
Anch'io mi esercito molto da solo, mi rigiro il passato tra me e me”. E
nello scrivere la lingua è teatro e il teatro è la lingua:
“Il siciliano è un dialetto teatrale, adatto a fare commedia nella
vita quotidiana. Si presta a ogni mistificazione”.
Perché pensa e scrive in siciliano non gli interessa il futuro:
“I siciliani non hanno il futuro: non si dice mai “andrò”. Il massimo
di futuro che posso pensare non va oltre le 48 ore. Come quando ero giovane
comunista” e qui Camilleri si diverte – “Lo posso dire? Ma tanto non aspiro
a incarichi di governo” – e prosegue “ci davamo gli appuntamenti la mattina
presto. Perché non si sa mai cosa può succedere”.
Bia Sarasini
Il Cittadino, 27.5.2003
Oggi a Roma duetto inedito fra Enrico Rava e Camilleri
Roma. Uno scritto inedito di Andrea Camilleri per il Festival Letterature
di Roma. Oggi nella Basilica di Massenzio lo scrittore siciliano leggerà
una sua riflessione che porta il titolo dell'edizione di quest'anno del
festival romano Passato, futuro.
Un "reading" a tempo di jazz con la tromba di Enrico Rava e la partecipazione
di Luca Zingaretti, l'attore che ha dato un volto alla creatura più
conosciuta di Camilleri: il commissario Montalbano. «Quando mi è
stata proposta la mia partecipazione al festival, ho cominciato a riflettere
sul rapporto primario tra passato e futuro partendo dai tempi dei verbi
per giungere a spiegare come l'uso di questi ultimi si sia trasformato
nella letteratura fino alla sua scomparsa». Ha spiegato Camilleri.
Nell'inedito dello scrittore di Porto Empedocle citazioni che vanno
dagli scritti del filosofo Hegel al contemporaneo Antonio Pizzuto. «È
uno scritto dove, tra riflessioni e citazioni - torna a spiegare lo scrittore
- mi soffermo sul peso la storia millenaria dell'Europa ha sulla nostra
cultura».
(Adnkronos)
La Sicilia, 27.5.2003
PORTO EMPEDOCLE. Sono già pronte le quattro tabelle stradali
con l'aggiunta del nome
Vigata è già una realtà
Sono già pronte le 4 tabelle stradali sulle quali campeggerà
la scritta Porto Empedocle - Vigata.
Entro questa settimana infatti, la ditta Futura di Agrigento piazzerà
negli ingressi della cittadina marinara la nuova cartellonistica, che suggella
il legame inscindibile tra Andrea Camilleri e il paese che l'ha visto nascere
e crescere. Da un lato campeggerà lo stemma empedoclino, dall'altro
il marchio dell'Unione Europea, entrambi a far corona alle scritte «benvenuti»,
«Porto Empedocle (Vigata)» e «comune a prevalente economia
turistica». Larghe 135 centimetri e altre 90, sono state realizzate
in alluminio classe 2 cioè - spiega Luigi Gangarossa della ditta
Futura - «ad alta resistenza alle intemperie e in grado di potere
essere viste anche in condizioni meteoroligiche avverse, perfino quando
c'è nebbia». Nebbia che raramente cala nella centro empedoclino,
al contrario di quanto sta accadendo e accadrà ancora di più
nei prossimi giorni. L'amministrazione comunale si è accordata con
un tour operator agrigentino, grazie al quale arriveranno a Porto Empedocle,
i turisti impegnati in escursioni nei siti d'interesse culturale. Tra una
visita a lido "Marinella" e una alla Torre di Carlo V, i turisti potranno
gustare anche gli arancini di Montalbano.
Francesco Di Mare
La Sicilia, 27.5.2003
Attivato dal comune
Accordo con tour operator per «le strade di Camilleri»
Il vulcanico assessore comunale al Turismo, Tonino Guido, ha infatti
concluso un accordo con un noto tour operator agrigentino, col quale far
prendere corpo il progetto denominato «Sulle orme di Montalbano».
Un accordo i cui obiettivi evidenti sono quelli dell'inserimento di
Porto Empedocle nel circuito internazionale del turismo culturale, valorizzando
i siti originari del personaggio creato da Camilleri e valorizzato dalla
fiction televisiva della Rai. L'intento è quello di fare arrivare
almeno 100 turisti al giorno.
Al fan di Montalbano verranno fatte vedere le bellezze di Vigata: la
Scala dei Turchi, la Torre di Carlo V, il lido «Marinella»,
il lido «Azzurro». Tutti spaccati di territorio in grado di
suscitare emozioni per la vista, affiancate però da altrettanta
soddisfazione per il palato del turista. Coloro i quali giungeranno a Vigata
a bordo di pullman da almeno 100 posti, potranno infatti gustare le specialità
tanto care al commissario Montalbano. Le arancine, le olive, i cannoli
con la ricotta.
Camilleri ma non solo Camilleri però. In ossequio all'altro
simbolo della cultura agrigentina, a Porto Empedocle verranno dedicati
ampi spazi per la visita dei luoghi e la conoscenza delle opere di Luigi
Pirandello. Nel corso delle escursioni effettuate dai villeggianti infatti,
gli operatori turistici convenzionati col comune, leggeranno brani delle
opere realizzate dai due scrittori, famosi in epoce diverse, e in grado
di smuovere un fiorente giro di denaro.
La Stampa, 27.5.2003
Un «grande ritorno» il successo dell’UDC
«Sorpasso» in Sicilia. Gli ex democristiani davanti
a Forza Italia
Ai primi risultati festeggiamenti in casa Cuffaro. Il presidente della
Regione: «E’ andata bene per tutta la coalizione. Nel capoluogo due
anni fa io presi il 60%, oggi lo prende Ciccio. Siamo in pareggio»
[...]
In Sicilia il centrodestra è ampiamente maggioritario; i suoi
avversari non sono più come un tempo concepiti come alternativi
al sistema; e a Palermo è più facile vedere un motociclista
con il casco che un manifesto con la quercia o la margherita. E' una sinistra
ancora agitata dal fantasma di Orlando e dei processi politici, ancora
divisa tra postcomunisti vicini all'ex sindaco (che li svuotò sino
a schiacciarli sotto il 10%) e postcomunisti critici, tra i Folena e i
Macaluso.
Elvira Sellerio coscienza critica della sinistra simpatizza per i secondi,
il suo autore di punta per i primi: «E' giusto fare i processi -
dice Andrea Camilleri - anche quando finiscono con le assoluzioni».
Entrambi, editrice e scrittore, concordano che la sinistra siciliana «ha
perso le motivazioni storiche».
[...]
La Repubblica,
ed. di Roma, 28.5.2003
Massenzio
Con Camilleri debutta l´Italia
La lettura lenta e pacata, la cadenza che riecheggia il ritmo delle
sue pagine scritte: Andrea Camilleri, primo scrittore italiano a salire
sul palco di Massenzio per il Festival internazionale delle Letterature,
ha conquistato la platea con il suo testo quasi filosofico, complesso,
pieno di citazioni ma comunque appassionante, applaudito con sincero affetto
da una gran folla di spettatori. È stato il clou della serata di
ieri, dopo la lettura di Luca Zingaretti e subito prima dell´allegria
jazz con la tromba di Rava e il pianoforte di Stefano Bollani. Ai piedi
della prospettiva di colonne del Tempio di Venere e Roma, oltre duemila
persone erano in attesa già da molto presto ieri sera per assicurarsi
un biglietto al botteghino: così, sul fare del tramonto il piazzale
di fronte al palco era già interamente occupato da gente di ogni
età, con i libri aperti sulle ginocchia per ingannare il tempo nell´attesa,
con un filo d´apprensione per il cielo carico di nuvole.
Tanti i fan di Camilleri, lo scrittore più amato dagli italiani,
almeno stando alle classifiche di vendita delle librerie, ma tantissimi
anche quelli (quelle, soprattutto) arrivati a Massenzio per vedere dal
vivo il popolare interprete del personaggio più celebre creato dalla
fantasia dell´autore di Porto Empedocle, in queste settimane di nuovo
in testa con "Il giro di boa", ultimo episodio della popolare serie del
commissario Montalbano.
La serata è cominciata intorno alle nove, con Luca Zingaretti
che ha letto un brano da "La concessione del telefono", stavolta naturalmente
senza la traduzione sul maxischermo alle spalle degli autori a cui è
ormai abituato il pubblico della Massenzio letteraria che nei primi due
appuntamenti ha visto sul palco Doris Lessing seguita dal tandem di americani,
Jonathan Lethem e Jeffrey Eugenides, ultimo premio Pulitzer.
Quello di ieri è stato dunque l´esordio della letteratura
italiana al Festival, un desiderio espresso anche dal pubblico alla conclusione
della passata edizione. E un esperimento riuscito, commentano gli organizzatori
del Comune dall´assessore Borgna alla curatrice Maria Ida Gaeta,
oltre che un appuntamento veramente straordinario, considerato che per
ragioni di salute, le uscite serali di Camilleri sono sempre più
rare e difficili, vederlo leggere in pubblico una vera rarità.
Con la serata di ieri il Festival è entrato nel vivo. Venerdì
sera è di scena una coppia di giallisti che Camilleri stesso ha
raccomandato e ha raccontato di conoscere per affinità di genere:
si tratta di Alan Warner e soprattutto del russo Boris Akunin, in testa
a tutte le classifiche del suo paese. Più avanti, la Letteratura
italiana farà ritorno a Massenzio in questa stessa edizione: il
13 giugno legge un brano inedito la scrittrice Dacia Maraini, accompagnata
dall´attore Ascanio Celestini e con la musica di Stefano Battaglia
e Michele Rabbia.
Francesca Giuliani
RomaOne, 28.5.2003
Il commissario Montalbano "ruba" plausi e lodi
Il quarto appuntamento del Festival delle Letterature, presso la basilica
di Massenzio, ha ospitato lo scrittore Andrea Camilleri. Con lui sul palco,
anche Luca Zingaretti, interprete del personaggio televisivo di Vigàta
C'erano tutti, o quasi, i nipoti pestiferi chiamati a gran voce da Andrea
Camilleri: più di duemila persone sono accorse ad ascoltare il popolarissimo
scrittore della saga del commissario Montalbano, in occasione del quarto
incontro del Festival delle Letterature, arrivato alla sua seconda edizione.
Composti o indisciplinati, gli appassionati delle avventure cartacee
e televisive del fortunato commissario erano tutti lì in attesa
di respirare quell'aria di Vigàta che non si è fatta attendere.
La bella basilica di Massenzio ha fatto da palco a quest'incantevole
serata, una valle dei templi in miniatura intagliata nella scenografia
artificiale dei riflettori e in quella naturalmente bella del Colosseo
e della via dei Fori Imperiali. Come dire, un pezzo di Sicilia dentro Roma.
Molto romana invece - quasi da stadio - la ressa all'entrata, dovuta
alla grande disorganizzazione nella distribuzione degli inviti gratuiti;
numerose lamentele si sono sollevate dalle due file che hanno preceduto
l'ingresso alla manifestazione. Poco importa, quando si spengono le luci
l'insofferenza di chi è ancora in piedi e di chi è costretto
a sedersi in terra, fa spazio alla poesia.
L'introduzione è stata del sindaco di Roma, Walter Veltroni,
che non ha mancato di ricordare con una punta di commozione la scomparsa
di Luciano Berio, presidente dell'Accademia di Santa Cecilia. Poi ha annunciato
l'ingresso del commissario Montalbano in carne ed ossa - è proprio
il caso di dirlo -, l'attore Luca Zingaretti, accolto con sincero calore
dal pubblico. Sono bastati pochi versi in dialetto interpretati dal Montalbano
televisivo per entusiasmare i presenti: il suo breve passaggio sul palco
per la lettura di alcune pagine de "La Concessione Del Telefono", ha rubato,
senza commettere reato, applausi e sorrisi.
Alla fine della sua bella esibizione il commissario è tornato
di carta, mentre un ammiccante Camilleri, che fino a quel momento aveva
sorriso alla platea solo da una fotografia, si è materializzato
velocemente sul palco per il momento centrale della serata. Il brano inedito
scelto per l'occasione è stato un lungo percorso sul rapporto passato-futuro:
la riflessione dello scrittore, giocata sulle differenze dei tempi verbali,
è stata un viaggio attraverso la filosofia e la letteratura, da
Sant'Agostino a Kafka, da Melville a Kant.
La grazia di Camilleri è stata quella del saper alleggerire
le sue stesse parole spezzandole di tanto in tanto con una battuta, una
scivolata volutamente dialettale, un ritorno allo spettatore-lettore condotto
sempre con umiltà anche attraverso quel suo gesticolare leggero
in aria della mano destra, che ha ricordato a molti la carezza di un nonno.
A distendere e a spezzare il ritmo della lettura ci ha pensato anche
il genio del duo jazz Bollani-Rava attraverso una tromba e un pianoforte
magistralmente suonati. I due interpreti hanno cercato e trovato il risultato
del connubio musica-scrittura in un jazz che si è snodato senza
tempo come le parole lette e secondo una formula inedita: per la prima
volta da quando esiste il festival è stata infatti ideata una struttura
parallela, che ha alternato i brani letti alle interpretazioni musicali.
L'idea è piaciuta molto al pubblico e non ci sarebbe niente
di strano a credere che anche questa trovata porti la firma di Camilleri.
Una sorpresa nel finale della serata: la presentazione di due capitoli
del nuovo romanzo [in effetti un racconto, NdCFC] dedicato a Montalbano,
intitolato "I 7 Lunedì", non ancora pubblicato e già attesissimo.
Come dire che Camilleri di firme a fondo pagina sembra ne voglia mettere
ancora molte altre.
La.Ca.
La Repubblica,
28.5.2003
Niente "Montalbano" né "Medico in famiglia" nei palinsesti:
causa ritardi e indecisioni di Viale Mazzini. Ma c´è D´Eusanio
in prima serata
Una stagione senza gioielli
Delle due serie di maggior successo se ne riparlerà, se va bene,
fra un paio d´anni
ROMA - Una stagione Rai senza Medico in famiglia e Commissario Montalbano,
ma con Alda D´Eusanio promossa su RaiUno in prima serata, l´arrivo
di Paolo Bonolis e il ritorno di un vecchio format come Scommettiamo che?.
Viale Mazzini si perde per strada due campioni di ascolto e nel nuovo palinsesto
rimescola le carte. Il Consiglio di amministrazione della Rai ha approvato
all´unanimità il progetto del bilancio 2002 che sarà
sottoposto all´assemblea degli azionisti. Il bilancio si chiude con
un utile di circa 5 milioni di euro che sarà destinato a riserva,
cioè da utilizzare per gli investimenti futuri. Il Consiglio ha
inoltre approvato, sempre all´unanimità, il piano industriale
relativo al triennio 2003-2005. Il Cda ha poi esaminato i piani di produzione
e trasmissione del 2003, insieme al palinsesto del prossimo autunno-inverno.
Tra ritorni e assenze vistose, le proposte sono state approvate all´unanimità
ma il presidente della Rai, Lucia Annunziata, ha voluto mettere a verbale
le sue perplessità sui reality show. Un genere da tenere sotto controllo,
per cui il presidente chiede maggiore attenzione, anche dopo gli incidenti
di percorso di Alda D´Eusanio su RaiDue (multata a febbraio con 26
mila euro per violazione del codice tv-minori). Ma proprio la D´Eusanio,
trionfa la contraddizione, è stata promossa in prima serata su RaiUno:
condurrà un nuovo reality show in onda il mercoledì.
La Rai paga mesi di caos organizzativo, della mancanza di un direttore
della fiction durata troppo a lungo: i produttori di fiction si sono lamentati
per un anno, hanno organizzato assemblee e minacciato scioperi. Di fatto
il settore si è fermato: montagne di progetti si sono arenati, per
la mancanza di una firma decisiva. Il commissario Montalbano e Un medico
in famiglia non saranno pronti per la prossima stagione. Se ne parlerà,
se tutto va bene, per il 2005. E se anche si punta su titoli importanti
e popolari, tra cui la quarta serie del Maresciallo Rocca con Gigi Proietti,
la perdita non è di poco conto. La fiction - è noto - ha
tempi piuttosto lunghi tra scrittura, riprese, edizione, e il pubblico,
si sa, vorrebbe vedere subito le nuove serie. D´altro canto la Rai
tutta, fiction compresa, deve fare i conti con una riduzione dei budget,
con costi inferiori del 15%.
Il caso Montalbano è emblematico: da due anni il produttore
Carlo Degli Esposti, dopo gli ascolti trionfali, aspetta una risposta dalla
Rai. Anche per conoscere le sorti del Medico, che domenica ha chiuso con
il 40% di share, bisognerà aspettare: «Le riprese non sono
ipotizzabili prima dell´inizio del 2004 e se anche si riesce ad andare
in onda in autunno, di fatto si salterà una stagione», spiega
Carlo Bixio della Publispei. Per ora con la Rai ci sono due miniserie in
cantiere, tra cui due puntate ancora con Banfi, Raccontami una storia sul
tema delle adozioni. Gli attori vogliono fare anche altre cose e se i contratti
non sono avviati è giusto che prendano altri impegni. E´ un
momento delicato anche se il nuovo direttore di Rai Fiction Agostino Saccà
mi sembra pieno di buone intenzioni».
E la direzione di Rai fiction si affretta a comunicare che la Rai non
perderà i suoi gioielli. «Si sta già scrivendo la nuova
sceneggiatura di Un medico in famiglia e c´è un accordo per
trasporre in fiction i romanzi storici di Camilleri prima delle nuove avventure
di Montalbano. Per questa serie c´era un accordo già chiuso,
anche se non ancora formalizzato in consiglio; il direttore generale Cattaneo
sarebbe favorevole alla formalizzazione della chiusura del contratto».
Meglio tardi che mai.
Silvia Fumarola
IL CASO
Degli Esposti: trattative in corso
Montalbano stop questione di soldi e anche di politica
Un fenomeno. Questo film è unico ma bisogna mantenere alto il
livello di qualità
ROMA - Chissà come l´avrebbe risolto il commissario Montalbano,
il caso di una fiction di successo (calcolo approssimativo: 200 milioni
di spettatori per 26 repliche), messa in soffitta. Montalbano piace a tutti,
anche al presidente della Repubblica Ciampi (l´11 febbraio Luca Zingaretti
è stato nominato Cavaliere al merito della Repubblica e Andrea Camilleri
Grande ufficiale), fa ascolti record, ma è fermo. «Da una
settimana si è riaperta la trattativa col direttore generale della
Rai Cattaneo» sospira il produttore Carlo Degli Esposti «tengo
il punto: Montalbano è indubbiamente un fenomeno unico, anche l´iter
contrattuale è unico. Ho programmato per il 2005 due film, e sono
fiducioso. La contesa è sui costi, bisogna mantenere il livello
della qualità alto». Problemi di budget a parte, Camilleri
è stato travolto dalle polemiche politiche: a Ragusa, Gianfranco
Miccichè (Forza Italia) ha accusato lo scrittore di «essere
un grandissimo nemico del Polo e un assassino del centro-destra».
Pensare che i compagni di partito di Miccichè avevano inserito come
pubblicità turistica i luoghi di Montalbano e l´immagine del
commissario. E alle elezioni a Ragusa ha vinto l´Ulivo. «Ma
non penso - dice Degli Esposti - che Montalbano venga bloccato per motivi
politici, sarebbe troppo». A Scicli, in segno di solidarietà,
hanno raccolto 14mila firme da inviare a Camilleri per ringraziarlo e tutto
il paese ha chiesto al sindaco di mantenere al pianterreno del municipio
la sede del "commissariato di Montalbano".
s.f.
Dalla Mailing
List del Camilleri Fans Club, 29.5.2003
Camilleri alla Basilica di Massenzio, c'ero anche io
Cari tutte e tutti,
ebbene si, martedì sera c'ero anche io con consorte a seguito.
Appena usciti dalla metropolitana, abbiamo visto una fila "quasi inglese"
così lunga che mia moglie si è letteralmente "scantata",
perchè a guardare meglio le file erano due: una per prendere i biglietti
d'ingresso, la seconda per entrare.
La consorte, donna di altri tempi, aveva suggerito di andare a mangiare
una pizza poichè....... non era cosa!
Ebbene si, per amore del sommo martedì sera mi sono comportato
in modo non consono alla mia veneranda età, e altresì ai
miei principi, anche se ovviamente a livello molto "low profile".
Ma per amore del Sommo si fa questo e altro!!
Risparmiandovi i dettagli, siamo riusciti a prendere due biglietti
e entrare nelle prime centinaia di persone. Buoni posti, buon ascolto,
serata gradevole.
Ecco qua un pur minimo di cronaca.
Sale sul palco Walter Veltroni e in primisi ha voluto ricordare la
dipartita di Luciano Berio, sottolineando con garbo la sua sensibilità
artistica, la sua continua ricerca nel mondo della musica, la sua attitudine
a sostenere opere di rilievo per la musica quali i tre scarabei dell'Auditorium
di Renzo Piano a Roma, la sua indomabile volontà nel perseguire
le sue cose sia a livello musicale che a livello culturale.
Introduce con simpatia e cordialità gli ospiti a seguire: Luca
Zingaretti e il Sommo.
Luca Zingaretti ha letto diverse pagine dal libro "La concessione del
telefono".
Letture gradevole, anche se qualche volta (in maniera volontaria?)
con una ottava in più!!
Comunque la scelta delle pagine è stata molto oculata e partendo
con le prime tre lettere del buon Pippo Genuardi al prefetto Vittorio Marascianno
in un crescendo costante ma rivolto verso l'apoteosi.
Dopo la lettura della corrispondenza, ha continuato la sua lettura
con la molto faceta confessione di Taninè al parrino, per finire
alle attitudini sessuali dei coniugi Genuardi, con riferimenti squisitamente
politici ai socialisti del tempo.
Ovazione alla bravura di Luca.
Lasciando il palco Luca ha incontrato il Sommo e dopo una abbraccio
il Palcoscenico ha preso un'altra prospettiva poichè oltre al sommo
sono saliti sul palco Enrico Rava e Stefano Bollani.
Il Sommo con delicatezza, e dopo aver confessato il suo antico amore
per il jazz, si è detto orgoglioso di avere alla sua veneranda età
di settantaotto anni al suo fianco e per tutta la serata, due jazzisti
del carico da undici, per dirla alla Montalbano.
Dopo l'applauso, il Sommo ha iniziato a snocciolare un suo testo sul
tempo, sotto diverse angolazioni e sfaccettature: scientifica, filosofica,
letterale e grammaticale per sottolineare in maniera inequivocabile i vari
rapporti grammaticali come periodo cui si riferisce l'azione espressa dal
verbo.
E partendo dal concetto di tempo come interessa la filosofia per le
due stringenti ragioni: come dinamica reale, ossia del divenire e come
problema della possibilità della durata e del suo concetto scientifico.
Pertanto se la problematica classica intorno al tempo concerne lo stesso
come ordine del divenire reale, quella Agostiniana verte essenzialmente
sul sentimento della durata e, nel definire autocoscienza della dinamica
interiore, il santo si sofferma su tre momenti della durata reale: futuro,
presente e passato.
Del futuro l'animo ha l'aspettazione, del presente intuizione, del
passato memoria.
Ma poichè il passato non è più e il futuro non
è ancora, solo il presente è reale nella continuità
dinamica del tempo.
E in tal senso il santo concepisce la presenza dell'anima a se stessa:
come fondamento dell'esperienza; analogamente l'eterna presenza di Dio
è fondamento irreversibile del tempo reale.
Ovviamente non poteva venire meno la garbata ironia del Sommo nei confronti
del lessico verbale dei siciliani che anche per un'azione futura preferiscono
dire io vado, invece di io andrò.
E' solo Scaramanzia? :))))))
Risparmio, anche se di un interesse notevole, le citazioni: da Einstein
a Kafka, da Joyce a Melville, da Cartesio a Leibniz.
Comunque anche se l'argomento non era prevedibile per l'autore di Montalbano,
ci siamo visti un Sommo più filosofico del solito, molto attento
alle digressioni scientifiche, curato nei dettagli per una facile comprensione
del suo testo.
Come sempre la sua voce bassa d'accanito fumatore ha ammaliato gli
spettatori e con il suol garbo espositivo ha riportato in termini semplici
e comprensibili al collettivo concetti dello scibile: dalla filosofia alla
matematica, dalla scienza
alla grammatica.
L'argomento è stato suddiviso in quattro letture, e tra una
lettura e l'altra Stefano Bollani ci ha incantato con il suo piano
più spumeggiante del solito, mentre Enrico Rava tramutava il suo
soffio attraverso la tromba, in un susseguirsi di note e di suoni a volte
allegri a volte dolenti, ma sempre sofisticati come il suo solito.
Senz'altro avere associato due colonne del jazz italico alla dissertazione
sul tempo del ns. Sommo si è creata una commistione letteral-musicale
di una qualità del sapore di unicum.
Anzi dimenticavo per finire di deliziarci, come ciliegina finale, il
Sommo ci ha letto i primi due capitoli di un libro in cantiere dal titolo
"Sette Lunedi".
Tra ammazzatine di grossi cefali e grossi polli, uccisi da un maniaco
con una revolverata in testa e un pizzino di carta in bocca, si preannuncia
un altro libro a alto gradimento.
Questo è tutto. Mi auguro che la presente nota a priosieguo
della prima alla Biblioteca Alessandrina risulti di interesse del collettivo
della ML.
Sono "rimasto alla finestra" della ML per parecchio, ma per il
Sommo mi sembrava doveroso rubare un ritaglio del mio tempo per farvi partecipi
di una serata deliziosa sotto tutti i punti di vista.
Cordialmente vostro
Franco Bava (Francuzzu)
La Repubblica,
ed. di Palermo, 29.5.2003
Debutta a Siena la nuova opera dello scrittore di Porto Empedocle con
le musiche di Marco Betta e la regia di Rocco Mortellitti
C´è un miliardario che canta sulle navi
L´ironia di Camilleri: ogni riferimento a Berlusconi non è
casuale
Un altro dittico di piccoli gialli tratto da "Le inchieste del commissario
Collura"
Il protagonista è Ugo Dighero che ha interpretato padre Puglisi
in "Brancaccio"
Nascono dalla penna di Camilleri, e poi via via diventano opere liriche.
O meglio singspiel, come precisa il compositore Marco Betta, con la
recitazione che si alterna al canto, e un taglio squisitamente cinematografico.
E´ pronto per il debutto un altro dittico di piccoli gialli di Andrea
Camilleri, tratto da "Le inchieste del commissario Collura" pubblicate
da la Libreria dell´Orso di Pistoia. Si tratta de "Il mistero del
finto cantante" e "Che fine ha fatto la piccola Irene?", rispettivamente
la seconda e la terza giornata che Cecè Collura trascorre sulla
nave da crociera come commissario di bordo. Il dittico, prodotto dall´Accademia
Chigiana di Siena, debutterà a Siena al teatro dei Rozzi il 14 e
il 15 luglio, con le musiche di Marco Betta e la regia di Rocco Mortelliti,
di nuovo alle prese con la scrittura del giallista di Porto Empedocle.
L´orchestra è quella dei solisti della Chigiana, diretta da
Federico Longo, le scene sono di Italo Grassi.
Nel primo atto l´impresa è sicuramente portare in scena
un personaggio in cui Camilleri neppure troppo velatamente, lascia riconoscere
un tipo che somiglia tanto al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Ne "Il mistero del finto cantante", infatti, Collura si trova a indagare
su un personaggio sospetto, un tale Joe Bolton, che si è imbarcato
sulla nave come cantante. Ma in lui tutto risulterà fasullo, dall´aspetto
fisico alle generalità; alla fine dietro il mistero si cela un miliardario,
camuffato con baffi finti, che cerca di rievocare il periodo in cui da
giovane, cantava sulle navi da crociera.
«Certo, anche nello spettacolo si ammiccherà a Berlusconi
- spiega il regista Rocco Mortelliti - d´altra parte, nel testo,
Camilleri dice che il finto cantante è stato anche "presidente del...".
Lo considero un omaggio scanzonato al premier, un modo giocoso di raccontare
una straordinaria carriera di chansonnier di una certa età che torna
a intonare canzoni anni Sessanta. Il nostro personaggio, che sarà
interpretato da Ugo Dighero, recita anche barzellette, oltre che cantare.
Insomma, lasceremo intendere ma senza prendere in giro nessuno. In fin
dei conti, il "presidente" potrebbe essere anche quello di una squadra
di calcio, o di una grande azienda. Certo, non tutti, da giovani hanno
cantato sulle navi...».
Nel secondo episodio, invece, si cambia atmosfera, con la storia tragica
di una madre, Laura Spoto, che ostinatamente continua a credere viva la
sua bambina scomparsa da anni, con una patetica pantomima che sarà
pietosamente celata da Collura. «E´ il segno della follia che
s´insinua nel nostro quotidiano - continua Mortelliti - ma anche
della chiusura della società e delle sue nevrosi, una riflessione
sulla solitudine, che è un po´ la malattia del nostro secolo».
Le musiche, ancora una volta, sono di Betta, che ha già firmato
la favola "Magarìa" nel 2000 e due anni fa "Il fantasma della cabina".
«Lo spettacolo è segnato da un primo atto intriso di un´ironica
malinconia - racconta il compositore palermitano - con un tango che non
si manifesta subito, ma poi segna il leit motiv del thriller del "Finto
cantante". Mentre per la seconda parte, ad apertura e chiusura di "Che
fine ha fatto la piccola Irene?" ci sarà una ninna nanna struggente,
per sottolineare una beffa assurda che serve a coprire un grande dolore».
Accanto a Dighero (recente interprete di padre Pino Puglisi in "Brancaccio"
di Gianfranco Albano), c´è un ottimo cast, con il tenore Luca
Canonici nei panni del commissario Collura, Leonardo Delisi in quelli del
suo assistente Scipio Premuda, Patrizia Orciani sarà Agata Masseroni,
e Denia Mazzola Laura Spoto, mentre Fabio Previati è il comandante
della nave.
Laura Nobile
Il Resto
del Carlino, 30.5.2003
Ascoltando Camilleri
Un colloquio con Andrea Camilleri curato da Lorenzo Pavolini, andrà
in onda per il ciclo «Letterature. Scrittori dal mondo a Massenzio»,
ispirato alla seconda edizione dell'omonimo Festival Internazionale di
Roma, oggi alle 14.30 su Radio3. Lo scrittore parlerà della sua
partecipazione al Festival romano e del tema «Passato e Futuro»,
riflessione sul rapporto tra memoria individuale e collettiva, al quale
il Festival è dedicato.
La Sicilia, 30.5.2003
Falla scrive al presidente Rai
«Non toccateci Montalbano»
Duecento milioni di telespettatori, in ventisei repliche. Sono i numeri
che ha totalizzato "Il commissario Montalbano" in questi anni, commissario
che la Rai vuole mandare in pensione. Sull'argomento interviene il sindaco
di Scicli, Bartolomeo Falla, con una lettera al direttore generale della
televisione pubblica, Cattaneo. In questi giorni sono in corso delle trattative
tra il produttore della fortunata serie televisiva, Carlo Degli Esposti
e la direzione generale della Rai, per trovare un accordo che consenta
alla produzione di ripartire a girare la nuova serie ispirata ai libri
di Andrea Camilleri. Alla base dei dissidi tra la produzione e la Rai questioni
di soldi ma anche polemiche politiche. E' di due settimane fa l'attacco
che Gianfranco Miccichè ha sferrato a Ragusa contro Camilleri, accusato
di essere "uno scrittore prezzolato dalla sinistra" e a Scicli è
partita una raccolta di firme di solidarietà all'indirizzo dello
scrittore di Porto Empedocle, che sta ampiamente superando le previsioni.
Il comitato spontaneo pensava di fermarsi a quota diecimila, ma le adesioni
sono state al di sopra delle aspettative ed anche estimatori Camilleri
di altri comuni chiedono di poter firmare. Il sindaco Falla si è
sentito a questo punto in dovere di scrivere al direttore generale della
Rai, Cattaneo, e per conoscenza al presidente Lucia Annunziata.
«Da cinque anni a questa parte gli sciclitani (e gli italiani
con noi) ci siamo identificati nel commissario Salvo Montalbano - scrive
Bartolomeo Falla -. Ci piacciono la sua umanità, professionalità,
libertà, onestà. Ci piacerebbe nuotare, mangiare del pesce,
passeggiare con lui sulla spiaggia. E ci piace come ci ha rappresentato
in televisione: grazie a lui la nostra città e la nostra provincia
sono finalmente ben conosciute ed apprezzate in tutta Italia: per il barocco,
i muri a secco, i carrubi, le masserie, il mare, la luce, la pulizia, la
civiltà; e per il Pisciotto, San Bartolomeo, Donnalucata, il nostro
Municipio. Finalmente si è visto che la Sicilia non è solo
"mafia e coppole". I turisti arrivano quindi per vedere "i luoghi di Montalbano"
e di Camilleri. Dobbiamo pertanto ringraziare Camilleri e Montalbano. Per
questo vi chiediamo di programmare una nuova serie della fiction televisiva,
certi che il commissario Montalbano incarna gli ideali degli italiani onesti,
come riconosciuto dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi,
in occasione del conferimento, lo scorso 11 febbraio, dell'onorificenza
di Cavaliere al Merito della Repubblica a Luca Zingaretti e di Grande Ufficiale
ad Andrea Camilleri». Chiaramente sarà la Rai a decidere se
Salvo Montalbano dovrà andare in pensione.
G. S.
Corriere della sera,
cronaca di Roma, 30.5.2003
Accademia d'Arte Drammatica
In ricordo di Ruggero Jacobbi incontro e letture sceniche
Al Teatro Studio «Eleonora Duse» dell’Accademia Nazionale
d’Arte Drammatica si svolgerà oggi pomeriggio un incontro dedicato
a Ruggero Jacobbi, artista e intellettuale geniale e anticonformista, poeta,
regista, critico e traduttore, direttore dal ’74 all’’80 dell’Accademia
Silvio d’Amico. Testimonianze e ricordi di Andrea Camilleri, Luciana Stegagno
Picchio, Anna Dolfi, Tiziana Bergamaschi, Maricla Boggio, Ennio Coltorti,
Fabrizio Gifuni, Giuseppe Pambieri, Caterina Sylos Labini, Marina Tagliaferri,
Laura Jacobbi. Un gruppo di attori leggerà passi dalle opere di
Jacobbi e qualche stralcio delle sue traduzioni teatrali, che usciranno
in volume in autunno.
TEATRO ELEONORA DUSE, per l’Accademia «Silvio d’Amico»,
via Vittoria 6, dalle ore 18, tel. 06.36000151
Corriere della sera,
cronaca di Roma, 30.5.2003
Storie di librai
«Il Seme» di Prati e i suoi germogli
Libreria «Il Seme», via Monte Zebio 3, tel. 06.3728377,
e-mail: libreriailseme@tiscali.it
È come quando se ne va un amico, o quando un maestro ci lascia
e dobbiamo sperimentare se abbiamo davvero imparato a camminare da soli.
È esattamente in questi momenti che i semi, lanciati nelle nostre
vite dagli amici veri o dai veri maestri, mostrano quel che sono riusciti
a diventare, un germoglio, una pianta, un albero. C’è un bell’albero,
florido e rigoglioso, dalle parti di piazza Mazzini. «Il seme»
l’ha piantato all’inizio degli anni Ottanta, Lucia Re, aprendo una libreria
che ne porta tuttora il nome e lo stile. Lucia era una funzionaria del
ministero dello Spettacolo («Una noia mortale») con in più
quella dose massiccia di passione e cocciutaggine che servono a superare
tutti gli ostacoli del buon senso. Altrimenti nessuna persona sensata si
occuperebbe di libri. «Non commerciante» come la maggior parte
dei suoi colleghi, Lucia Re ha pensato che un buon libraio deve avere il
coraggio di scegliere: e ha scelto. Ha voluto sugli scaffali della sua
libreria la saggistica del Mulino, di Feltrinelli, di Bollati Boringhieri.
Per la narrativa si è difesa dalla vorace invadenza delle case editrici,
offrendo ai lettori un percorso: per esempio ha sempre avuto uno scaffale
dedicato alle scrittrici. Ha voluto che il settore dedicato all’arte fosse
anche un momento di riflessione e incontro con le provocazioni della pubblicità
e le inquietudini della comunicazione: e l’avrebbe fatto anche se la Rai
non fosse stata così vicina. «Il Seme» è un motore
di curiosità, proprio come Lucia Re: nel piano inferiore dedicato
ai bambini e alla letteratura per l’infanzia e nel soppalco dove «abitano»
oggetti etnici che parlano altri linguaggi di altre culture. Dell’avventura
cominciata 24 anni fa a Lucia Re è rimasto intatto l’entusiasmo:
«altrimenti - come dice lei - uno si mette a fare qualcos’altro».
Come quando riesce a portare in libreria Andrea Camilleri e taglia corto:
«Ma abita proprio qua dietro, è un nostro cliente».
Con semplicità: proprio come i «semi» che ci regalano
gli amici e i maestri che se ne vanno.
Paolo Fallai
Il Messaggero,
30.5.2003
Akunin: «La mia Russia a un bivio»
Dal ventre panciuto della matrioska delle lettere russe è spuntato
un vero fenomeno editoriale, uno scrittore che si fa chiamare Boris Akunin
ma che all'anagrafe è registrato con l'impronunciabile nome di Grigorij
Tchkhartichvili. Classe 1956, georgiano trapiantato a Mosca, Akunin si
sarebbe pure accontentato di svolgere la sua doppia professione, quella
di consulente editoriale e di docente di lingua e letteratura del Sol Levante.
Ma quando ha capito che nel mercato librario dell'ex Urss mancava un Camilleri
russo, che c'era spazio per un «progetto letterario che unisse la
narrativa d'élite con quella di massa», si è sottoposto
a una nuova corvée. Si è rimboccato le maniche, ha impugnato
la penna e s'è messo a costruire romanzi gialli pieni di verve e
dalle trame estremamente cerebrali: tutti libri ambientati nella Russia
dell'Ottocento e forniti fino ad oggi di un protagonista fisso, l'eccentrico
investigatore dello zar Fandorin, che a seconda dei casi può trasformarmi
anche in spia o in semplice impiccione.
[...]
Francesco Fantasia
l'Unità, 31.5.2003
Un giorno, in campagna, andavo a spasso con un mio nipotino...
Testo pubblicato dal quotidiano e nel libro, ad esso allegato, "Il
soldato con la pistola ad acqua" (La pace salvata dai bambini. Pensieri,
parole, poesie disegni di bambini e adolescenti sulla guerra)
Un giorno, in campagna, andavo a spasso con un mio nipotino di cinque
anni armato di uno di quei fucili spaziali che si vedono nei brutti cartoni
animati giapponesi. A un tratto venne assalito dalla frenesia, si mise
a correre e a sparare girando su se stesso e urlando frasi senza senso.
“Che c'è?” - domandai
“Non lo vedi che questo posto è pieno di draghi?” - rispose,
sempre più impegnato nel combattimento. Decisi di partecipare al
gioco.
“Ho paura! Ho paura! Salvami” – gridai nascondendomi dietro un albero.
Smise di colpo e mi raggiunse preoccupato.
“Davvero hai paura?”
“Sì”.
“Ma non devi! Questi draghi non esistono, me l'invento io per giocarci”.
“Te l'inventi perché ti piace fargli la guerra?”
Ci pensò un momento.
“Non mi piace fare la guerra, ma se non gliela faccio vincono loro”.
Questa frase, sia detto fra parentesi, mi tornò a mente quando
sentii anni dopo George W. Bush esporre la dottrina della guerra preventiva.
Ma allora mi fece capire che i bambini, quando giocano alla guerra,
recitano le loro parti con quella recitazione straniata che voleva Brecht:
i bambini raccontano di essere guerrieri, ma sanno benissimo di non esserlo.
Però oscuramente intuiscono che la guerra fatta dai grandi,
da coloro nei quali ripongono tutt'intera la loro fiducia, è un'altra
cosa. Montaigne ha scritto che la guerra, il distruggerci e lo scannarci
tra di noi, è la testimonianza della nostra debolezza e della nostra
imperfezione.
Ecco, io credo che i bambini, quando noi ci facciamo la guerra, hanno
paura certo delle bombe e dei morti, ma hanno
soprattutto paura perché vedono con la nitidezza del loro sguardo
quello che i nostri occhi appannati non vogliono vedere: la nostra miserabile
imperfezione.
Ne ho avuto prova. Durante i giorni della guerra in Irak, due anziani
signori stavano a guardare il telegiornale seduti in poltrona. Alle loro
spalle, quattro bambini giocano rumorosamente alla guerra. A un tratto,
sullo schermo, cominciarono ad apparire immagini di ospedali di Baghdad,
con corpicini devastati, offesi, dilaniati. I due signori avvertirono che
lentamente alle loro spalle si era fatto silenzio. Si voltarono. I quattro
bambini avevano smesso di giocare alla guerra, guardavano il televisore
assorti, seri, preoccupati. Stavano tra loro stretti stretti, senza avvicinarsi,
senza stringersi ai grandi come avrebbero fatto se invece di quelle immagini
vere fosse stato trasmesso un film pauroso. Mettevano distanza tra i due
adulti e loro. Poi qualcuno disse: “Non fate vedere queste cose ai bambini!”.
E lo schermo fu oscurato. Ma queste cose non le vogliamo far vedere
ai bambini perché temiamo che ne rimangano scossi o perché
non vogliamo farci vedere da loro come in realtà noi grandi siamo
e di quali orrende atrocità siamo capaci?
Andrea Camilleri
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