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RASSEGNA STAMPA

MAGGIO 2003

 
Gazzetta del Sud, 1.5.2003
Granata di An è contrario mentre Cimino (Fi) si dice entusiasta
Porto Empedocle-Vigata fa litigare gli assessori regionali

PALERMO – La “rivoluzione toponomastica” di Porto Empedocle, nè la prima, nè forse l'ultima cittadina nel mondo ad aver scelto di rinvigorire il proprio tradizionale toponimo, affiancandogli quello letterario e assai più famoso di «Vigata», ha innescato in Sicilia una disputa filosofico-politica che rischia adesso di contrapporre due assessori della giunta regionale, di An e Fi, da ieri in aperta polemica. Duellano verbalmente su quell'originale battesimo che lo scrittore Andrea Camilleri ha benedetto con tanto di autorizzazione e che promette in futuro di reclamizzare al meglio in tutto il mondo la patria dell'amatissimo commissario Montalbano. «Non basta definirsi Vigata per esserlo», ha decretato l'assessore regionale ai Beni Culturali, Fabio Granata (An), ricordando che nell'immaginario nazional-popolare, la cittadina partorita dalla fantasia di Camilleri (empedoclino doc) è legata ai set della serie televisiva dedicata a Montalbano: tutti scenari, secondo l'assessore, che ben poco hanno a che spartire con Porto Empedocle, essendo localizzati in buona parte in provincia di Ragusa. «La produzione della fiction – ricorda Granata – per i luoghi di Montalbano ha utilizzato gli scenari Iblei e non quelli dell'agrigentino». Ma non è questa l'unica ragione per cui Granata si definisce «assai perplesso». L'altro motivo di perplessità, spiega l'assessore «deriva dal rispetto verso Empedocle e quello che rappresenta il filosofo agrigentino nell'ambito della storia della filosofia e del pensiero occidentale». «Da empedoclino resto stupefatto per quello che è stato detto – ribatte l'assessore regionale alla Cooperazione Michele Cimino (Fi) – per quello che è stato detto anche dai rappresentanti dello stesso governo regionale al quale appartengo e provenienti proprio da quei luoghi che pretendono di avere l'esclusiva sulle opere dell'empedoclino Camilleri». «Ritengo opportuno ricordare – prosegue Cimino – che Camilleri ha certamente improntato la quasi totalità delle sue opere a Porto Empedocle o nell'agrigentino. Il birraio di Preston è dichiaratemente Porto Empedocle; Il re di Girgenti è certamente Agrigento; Montelusa è un antico nome di Agrigento, per cui dire o scrivere che Vigata è Porto Empedocle non è che una constatazione di fatto». «Non basta, insomma, una villetta al mare – conclude Cimino, alludendo all'immagine della suggestiva casa al mare di Montalbano che nella fiction tv si trova a Punta Secca, sullo splendido litorale ragusano – o creare come cinecittà delle scenografie adattate ai romanzi, per mettere in discussione i luoghi che hanno ispirato la fantasia di Camilleri». La sofistica contesa tra i due autorevoli esponenti delle istituzioni siciliane – che se non fosse vera potrebbe essere architettata dalla stessa fantasia camilleriana – mette in gioco una posta non indifferente: le prossime fortune turistiche – e quindi elettorali – di due aree della Sicilia, entrambe belle e bisognose di promozione. La polemica tra gli assessori siciliani, comunque, è l'unica novità che proviene dalla “trovata empedoclina”. L'idea del “battesimo letterario” di oscure cittadine in cerca di facile pubblicità o di più nobili blasoni, infatti, non sarebbe affatto originale: un lettore dell'edizione locale di Repubblica, nella rubrica delle lettere, ricorda stamane che il minuscolo paesino francese dove Sartre trascorse gran parte della sua infanzia, Illiers, immortalato nella “Recherche” con il nome di Combray, porta sulle carte stradali e sulla segnaletica d'ingresso il doppio nome: Illiers-Combray. Ai tempi di Sartre, obbietteranno i nostri assessori, non c'era la televisione. Ma nessuno sembra essersene mai offeso.
 
 

Gazzetta del Sud, 1.5.2003
Iniziano lunedì gli appuntamenti che mirano a celebrare questo importante traguardo
I 125 anni del liceo classico «Campailla»

Modica – Guardare al futuro potenziando la già ricca offerta formativa composta dall'abbinamento, rivelatosi vincente, tra cultura classica e artistica. In tale ottica, lo storico e prestigioso liceo classico «Tommaso Campailla» si appresta a festeggiare il 125. anniversario dalla sua fondazione, avvenuta nel lontano 1878.
[...]
Gli appuntamenti prevedono la partecipazione di prestigiosi nomi, tra cui lo scrittore Andrea Camilleri, “papà” del celebre commissario Montalbano
[...]
Antonio Di Raimondo
 
 

Tuttoturismo, 5.2003
Italia meravigliosa. Sicilia
A spasso con Montalbano
Viaggio fra letteratura e realtà lungo la costa meridionale dell’isola. In una terra piena di tesori. Tutti da… indagare

Una Sicilia autentica, con i suoi problemi e le sue ricchezze, la mafia e la nobiltà, le lande desolate e le verzure rigogliose. Ma anche una Sicilia inventata, dove i luoghi geografici diventano fantastici e ogni cosa - per dirla con Leonardo Sciascia - sembra diventare metafora di qualcos'altro.
Una terra dove case moderne, partorite dal dubbio ingegno di architetti non eccelsi, s'affiancano a templi che nulla hanno da invidiare ai più celebrati edifici sacri della penisola ellenica e a un mare che sa d'antico, tanto appare intatto. È la Sicilia che scaturisce dalle pagine di Andrea Camilleri, lo scenario in cui il commissario Salvo Montalbano conduce le sue intricate indagini: un luogo/non luogo tutto da scoprire lungo la costa meridionale dell'isola, in un viaggio a metà strada tra l'immaginario e il reale.
Il punto di partenza dell'itinerario non può che essere la "mitica" Vigàta che, dietro il nome di fantasia, cela l'identità del paese natale di Camilleri, ossia Porto Empedocle. Un po' come la Donnafugata di Tomasi di Lampedusa e la Regalpetra di Leonardo Sciascia, per intenderci, entrambe ispirate ai centri più amati dai due scrittori - rispettivamente Santa Margherita Belice e Racalmuto - e diventate esse stesse luoghi "reali".
Per trovare Vigàta occorre, dunque, oltrepassare Agrigento (ribattezzata Montelusa, grazie a un piccolo "scippo" ai danni di Pirandello, che fu il primo a usare questo nome per la città) con i palazzoni che pericolosamente penzolano sulla voragine di profondi burroni, e affacciarsi sull'incanto della Valle dei Templi.
La vedi, Vigàta, dall'alto, un po' vecchio paese in riva al mare, un po' incredibile metropoli, con la sua incongrua skyline di ciminiere e palazzi giganteschi che racchiude un corso d'altri tempi - non troppo lungo, non troppo breve - tra la chiesa, il Municipio, la farmacia e il bar: via Roma, nella fantasia come nella realtà.
Ci arrivi lungo arterie veloci che, con viadotti spericolati, saltano case e persone, tempi e luoghi, fagocitando lo spazio e il pensiero, prima di trasformarsi in strade strette che scendono in curve non meno strette verso il mare. Vigàta, la vecchia Marina di Agrigento (gli abitanti, ufficialmente empedoclini, si chiamano ancora marinisi), a dire la verità è anche un po' Sciacca e Siculiana, Naro e Caltabellotta, Mazara e Gela, somma e sintesi del paese siciliano.
Sul corso - illuminato, la sera, da lampioni gialli dall'aria rétro - si può solo passeggiare. I vecchi conquistano le panchine e, da sotto le coppole, osservano i ragazzi con la zazzera dritta e il piercing, mentre aspirano l'odore salso del mare che il vento alita senza sforzo fin negli angoli di vicoli e cortili.
D'altronde è proprio lì a due passi, il mare. Le sue onde sciabordano ai piedi di un poderoso torrione squadrato dal quale, a partire dal '500, i soldati tenevano d'occhio l'orizzonte, semmai si fosse presentata una nave pirata con intenzioni predatorie. Barchette da diporto e grossi pescherecci ondeggiano ai moli all'ombra dei traghetti e degli aliscafi che, a Dio piacendo, ogni giorno levano l'ancora per raggiungere le Pelagie, le più remote terre italiane, a metà strada fra Europa e Africa.
Al porto, quando ha bisogno di pensare, passeggia il commissario Montalbano, spiluccando dal suo involto calia e simenza (ovvero ceci abbrustoliti e semi di zucca salati), uno sfizio decisamente siciliano che ben si addice al personaggio, profondissimo estimatore delle specialità gastronomiche della sua isola.
La buona cucina, del resto, insieme all'uso sperimentale del dialetto, intrecciato con l'italiano in una neolingua straordinariamente ricca di sfumature, è il "filo rosso" che unisce fra loro tutti i romanzi che vedono Montalbano protagonista. Il cibo, da gustare preferibilmente in solitudine e, comunque, sempre in religioso silenzio, non è solo espressione della cultura di un luogo, ma anche - e soprattutto - il segno del legame profondo fra il commissario e la sua terra: a Montalbano la sola idea di un allontanamento da Vigàta, ancorché per una promozione, dà la febbre. 
Una raccolta di novelle ha perfino preso il titolo dagli arancini che la cammarera Adelina prepara, invero di rado (ci vogliono due giorni, secondo la ricetta tradizionale, minuziosamente illustrata nel racconto omonimo, “Gli arancini
di Montalbano”), ma il cui ricordo il commissario, a suo dire, ormai si porta nel Dna.
Alla fantasia culinaria, gustosamente popolare, Montalbano usa affidarsi interamente, quando apre il frigorifero con la stessa trepidazione con cui, da bambino, cercava il canestro colmo dei doni lasciati dai morti il 2 novembre, secondo un'antica usanza di questa terra. In quel frigorifero trova immancabilmente qualcosa di suo gradimento: dalla caponatina sciavurosa, colorita, abbondante, alla pasta 'ncasciata, piatto degno dell'Olimpo, passando per il sugo di seppie, stretto e nero, e la granita di limone, che la cammarera gli prepara secondo la formula "uno, due, quattro", ossia un bicchiere di succo di limone, due di zucchero, quattro d'acqua.
Quando non torna a casa, per mangiare Montalbano si rifugia da Calogero, nella piccola trattoria affacciato sul corso. Il cuoco, che ormai lo conosce, sa già che cosa offrirgli: a partire dalla pasta con le sarde e dai purpitieddri, piatti d'estrema semplicità, rigorosamente tradizionali. A Porto Empedocle esisteva davvero, fino all'anno scorso, la trattoria San Calogero, alla quale Camilleri s'è ispirato, mentre oggi la tradizione della sua cucina prosegue nella vicina Trattoria Pirandello, gestita da uno dei due ristoratori del vecchio locale. Qui si può anche gustare, su richiesta, il "menu Montalbano", elaborato sulla base della lettura dei libri di Camilleri. Una pagina via l'altra, si viaggia così tra le emozioni della buona cucina e del buon vino, scoprendo, per esempio, tra i vicoli medievali del centro storico di Agrigento, l'antica abbazia di Santo Spirito, dove le monache di clausura modellano divini dolcetti (fermarsi per assaggiare, Montalbano docet).
Si viaggia lungo la costa per apprezzare il mare, onnipresente nei romanzi: Montalbano ama molto nuotare, è un esercizio che, dice, «lo rimette in vita». Si va dal litorale empedoclino di Marinella (dove Camilleri ha immaginato la casa del commissario) a quello in cui si staglia la meravigliosa Scala dei Turchi, una parete di roccia candida che precipita tra le onde in un accavallarsi di gradoni modellati da secoli di vento e salsedine. Dal mare di Punta Secca a quello di Siculiana Marina, quasi nascosta alla fine di una stradina stretta stretta. Fino alla riserva naturale di Torre Salsa, strappata «con i denti» alla speculazione, e al fiume Platani, ai piedi dell'altissimo promontorio bianco su cui, migliaia di anni fa, re Minosse in persona fondò la sua colonia siciliana, Eraclea Minoa.
Si viaggia nella storia, tra i templi - da 2.500 anni imponenti testimoni della straordinaria ricchez-za di Akragas, definita da Pindaro «la più bella città dei mortali» - e il Museo Archeologico, che di tanta nobiltà tramanda la memoria.
Si viaggia nella letteratura, accostando alle pagine contemporanee di Camilleri il ricordo di quelle di un mostro sacro, quel Luigi Pirandello che nacque proprio a breve distanza da qui, in una località dal nome emblematico: Caos. La casa del drammaturgo, oggi, è un vero museo in cui sono raccolti documenti, fotografie, manifesti, oggetti appartenuti allo scrittore. Nel grande giardino, durante l'estate, le pagine più belle delle sue opere rivivono grazie alle attività del parco letterario a lui intitolato. Un sentierino che si diparte a fianco dell'edificio conduce al derelitto mozzicone di un pino marittimo (l'albero, nel '97, venne distrutto da un fulmine), sotto il quale, in un masso, sono murate le ceneri dello scrittore.
Il nostro viaggio con Camilleri può continuare attraverso questi e molti altri luoghi. A volte è facilissimo individuarli, perché nei libri conservano il loro nome: semplice, per esempio, sarà trovare Mazara, terra siciliana dal cuore arabo, con tanto di souk e fumatori di narghilé in caffettano; o Mozia, quieta e deliziosa isoletta a pochi passi dalle saline, che per nulla sembra essere stata la sede di trucidi riti sacrificali.
Altre volte, invece, bisognerà compiere un piccolo sforzo di fantasia per identificare i posti: Sciacca, con il suo animatissimo porto, gli artigiani che dipingono la ceramica sulla porta delle botteghe, i nobili palazzi che narrano le storie di antiche aristocrazie, è diventata Fiacca. Caltabellotta, un pugno di case bigie che s'arrampicano su per un costone roccioso fino a quasi mille metri d'altezza e custodiscono la memoria di alcuni degli eventi più significativi della storia siciliana, è ribattezzata Gallotta. Gela, stretta fra gli accidenti moderni di una ciclopica raffineria e 
la straordinaria ricchezza di una capitale della Magna Grecia, è divenuta Fela. Senza dimenticare le isole, come I"'africana" Lampedusa che si trasforma in Sampedusa, né la Sicilia dell'interno, quella che Montalbano predilige e che Camilleri, ne “Il cane di terracotta”, ci descrive con penna magistrale: «Aride colline, quasi tumoli giganteschi, coperte solo di stoppie gialle d'erba secca, abbandonate dalla mano dell'uomo per sopravvenute sconfitte dovute alla siccità, all'arsura o più semplicemente alla stanchezza di un combattimento perso in partenza, di tanto in tanto interrotte dal grigio di rocce a pinnacolo, assurdamente nate dal nulla o forse piovute dall'alto, stalattiti o stalagmiti di quella fonda grotta a cielo aperto che era la Sicilia».
Ultima parte del nostro viaggio, allora, la vogliamo dedicare proprio alle campagne antiche, con i loro piccoli villaggi, poche case e un campanile, i pastori a guardia di pecore e capre, i contadini sui muli, come in una vecchia foto in bianco e nero. Paesaggi molto diversi da quelli della costa. Ma, d'altra parte, «la Sicilia bisognerebbe vederla seguendo le proprie inclinazioni, dandosi tutto il tempo possibile: non esiste un luogo che non meriti di essere visitato». Chi parla così è proprio Andrea Camilleri, che incontriamo al Teatro Regina Margherita di Racalmuto, nella sua nuova veste di direttore artistico. «La Sicilia è straordinariamente diversa da sé, a ogni momento: noi ci facciamo una certa immagine della Sicilia, giriamo l'angolo ed è un'altra cosa».
 

E la fiction? Si gira nel Ragusano

Per ritrovare le atmosfere "camilleriane" in cui ambientare le indagini di Montalbano, il regista Alberto Sironi ha scelto la scenografia di un'altra provincia siciliana, quella di Ragusa. È qui - tra volute barocche, spiagge sabbiose e masserie di campagna - che si muove il commissario interpretato da Luca Zingaretti. L’itinerario attraverso i luoghi della fiction muove da Ragusa, la cui piazza principale - un rettangolo allungato con una fuga di scalini che porta alla cattedrale di San Giorgio - è apparsa in numerose scene. Come un'altra lunga scalinata, quella di Santa Maria delle Scale, che lega la parte moderna della città a Ibla, il nucleo antico. Dalla sua sommità si gode una vista stupefacente proprio su quest'ultima, con le case affastellate le une sulle altre; nel '700 la nobiltà locale innestò la ricostruzione barocca su questo reticolo urbano medievale, creando una suggestiva combinazione di stili. Ancora scale e chiese nella vicina Modica: da non perdere San Giorgio, dall'alta facciata. Interessante anche il Castello di Donnafugata, che nell'800 era la magione più ricca della provincia: è stato restaurato e aperto al pubblico, che vi riconoscerà la casa dell'anziano boss Balduccio Sinagra. Un'altra splendida dimora è stata scelta per le scene iniziali di “La voce del violino”: l'Eremo della Giubiliana, convento-fortezza dei '500 trasformato in un albergo che rappresenta la base ideale per visitare la zona. Per "mangiare con il commissario", però, si deve rientrare a Ragusa: 
la Rusticana ripropone ambienti e pietanze della trattoria San Calogero. Numerose, inoltre, le scene girate a Scicli, gioiello barocco: su via Penna - una delle strade più spettacolari di Sicilia per l'ininterrotta teoria di eleganti edifici - si trova Palazzo Iacono, cioè la questura di Montelusa. La mannara, il rudere della fabbrica di mattoni Pisciotto - presso la quale, nell'episodio “La forma dell'acqua”, viene ritrovato il cadavere dell'ingegner Luparello - è in contrada Sampieri, frazione rivierasca di Scicli.
La casa di Montalbano si trova a pochi chilometri, nell'abitato di Punta Secca. Solo l'esterno, in verità, perché l'interno è stato ricreato altrove. Ma che cosa importa? la terrazza dalla quale il commissario scende direttamente in acqua è proprio questa.
Maria Cristina Castellucci
 
 

ifatti.net
"Il Commissario Montalbano": uno sceneggiato da quattro soldi

Ancora una volta la Sicilia è riproposta con la coppola storta. Questa volta è il commissario Montalbano che con i suoi falsi e ridicoli atteggiamenti da incallito poliziotto fa credere che la terra d'artisti, di scienziati, di scrittori e poeti è, invece così come lui settimanalmente la descrive.
Con "La piovra" la Rai prese di mira Catania per gettare fango sui siciliani; oggi la criminalizzata è Ragusa. E' certo che queste commedia penalizzano la Sicilia. In questo caso nessun politico ha protestato.
Durante le riprese di "Piovra 9" il presidente della Provincia, Nello Musumeci, protestò con una lettera aperta. Era l'estate del 1997 e Musumeci, alla provincia aveva la carriera aperta. Davanti a sè aveva ben cinque anni di potere e da poter, bene o male, amministrare. Adesso, per fortuna, sta per scadere (a maggio 2003) il suo mandato non rinnovabile, quindi non ha più motivo di far sentire la sua voce.
Allora strillava e se la prendeva con Bianco gridandogli che non aveva il coraggio di azzittire mamma Rai con l'Ulivo; oggi Forza Italia azzittisce Musumeci.
Il commissario Montalbano è ridicolo. Un cronista con quarant'anni di cronaca nera sulle spalle o un graduato di polizia che sta per andare in pensione, non hanno mai visto le ridicole sequenze di quelle scene negli uffici della Questura, dei Carabinieri o della Guardia di Finanza: un funzionario che da solo va a caccia dell'assassino. Tesse una ragnatela, sempre da solo, poichè i suoi quattro collaboratori sono decerebrati. Egli, che è un illuminato da Dio, capisce qual è il movente, scopre l'autore del duplice, triplice omicidio. L'assassino gli cade, come una pera cotta fra le braccia. Chissà cosa ne penserebbe oggi il duro questore Buttiglione, padre dell'On. Rocco. Noi, quell'investigartore Montalbano lo faremmo operare al nord dove tanti delitti sono ancora rimasti insoluti.
Gli Attori sono guitti e lavorano tutti all'insegna dell'improvvisazione, fatta eccezione per Ciccino Sineri, quel Ciccino che con quelle poche battute manifesta la sua grande professionalità.
 
 

Le soir, 2.5.2003
Un bel hommage

La ville natale de l'auteur à succès Andrea Camilleri, Porto Empedocle, en Sicile, a rendu ce qui est peut-être le plus bel hommage à un écrivain: changer son nom pour celui de la localité fictive où se situent les romans policiers de son glorieux rejeton.
«Bienvenue à Porto Empedocle Vigata» proclamera désormais une pancarte à l'entrée de la ville. Vigata se réfère à l'endroit où le héros de Camilleri possède une petite maison.
AFP
 
 

La Repubblica, ed. di Palermo, 3.5.2003
Lo scrittore critica il cambiamento di nome
Porto Empedocle-Vigàta. Consolo: "Una buffoneria"

Lo scrittore Vincenzo Consolo boccia l´idea del Comune di Porto Empedocle che ha voluto aggiungere al nome del paese quello di Vigàta, la città di Montalbano, l´investigatore creato da Andrea Camilleri. «Avere immaginato di unire il nome sacramentale di Empedocle con uno inventato e insignificante come Vigàta... Mi sembra che siamo veramente alla barzelletta berlusconiana o alla buffoneria», ha detto Consolo ieri a Siracusa. Lo scrittore di Sant´Agata critica Paolo Ferrara, sindaco di Porto Empedocle: «Un amministratore che riesce a concepire una cosa così credo che non meriti di amministrare dei cittadini».
 
 

Süddeutsche Zeitung, 3.5.2003
Sommerhit Vigàta
Wie ein literarischer Ort auf Sizilien Wirklichkeit wurde

So sicher wie der Sommer in Italien kommt ein Bestseller von Andrea Camilleri. Seit nicht einmal zehn Jahren wirft der anscheinend altersbedingt von allen Schreibhemmungen befreite 78-jährige Dramaturgie- Pensionär höchst erfolgreiche Bücher auf den Markt. Oft erscheinen gar im Abstand von nur wenigen Monaten mal ein Krimi über die sizilianische Gegenwart, mal eine romanhafte Auseinandersetzung mit ihrer Vergangenheit (Wagenbach hat gerade die Übersetzung der wunderschönen Geschichte von „König Zosimo“ verlegt). Aber jedes Mal ist ein Sommerbuch dabei, das die italienischen Leser in die warme Jahreszeit begleitet wie das sich langsam aufbauende Azorenhoch. Diesmal ist es wieder der Kommissar Montalbano – längst auch deutschen Lesern (bei Lübbe) oder Zuschauern (durch die TV-Serie) bekannt –, der für den Sellerio Verlag aus Palermo die Bestsellerlisten fest im Polizeigriff hat. Wie immer bei Camilleris fiktiven Geschichten spielen auch in diesem Roman „Il giro di boa“ („Das Wendemanöver“) soziale und politische Anspielungen eine große Rolle. Eine so große sogar, dass sie den rechtschaffenen und links fühlenden Salvo Montalbano aus dem südsizilianischen Phantasieort Vigàta in eine Sinnkrise stürzen. Die ganz realen Polizeigriffe beim G8-Gipfel von Genua vor zwei Jahren, das Fälschen von Beweisen, das Misshandeln von Demonstranten, lassen den fiktiven Kommissar an seinem Berufsstand verzweifeln. „Ich fühle mich nicht verraten“, sagt er seiner Dauerverlobten Livia, die fern von ihm in Ligurien lebt, „ich bin verraten worden.“
Dass dann dennoch das Schlimmste, seine Demission nämlich, vorerst verhindert werden kann, liegt auch an verzweifelten Dritte-Welt-Flüchtlingen, die an der sizilianischen Küste landen – und an einer Leiche, die im Meer vor Vigàta schwimmt. Montalbano kann vielleicht nicht die Wirklichkeit erlösen, aber, wenn auch mit schlechtem Gewissen, einen Fall in Vigàta klären, dass kann er dann doch noch.
Camilleri-Fans wissen längst, dass dieses sympathische Vigàta, wo man außerdem wundervolle Fischgerichte serviert bekommt, dem Städtchen Porto Empedocle mit seinen 17000 Einwohnern vor den Toren von Agrigent, wo der Autor 1925 das Licht Siziliens erblickte, erstaunlich ähnlich sieht. Den Stadtvätern von Porto Empedocle ist das ebenfalls nicht entgangen. Und wenn Camilleri sich in seinen Romanen bei der Wirklichkeit bedient, warum sollten sie sich nicht an der Fiktion schadlos halten? Gesagt getan: mit einem einstimmigen Beschluss des Gemeinderates (und auch mit der Zustimmung des sich geehrt fühlenden Schriftstellers) nennt sich das Städtchen vom ersten Mai an ganz offiziell „Porto Empedocle Vigàta“. In der italienischen Toponomastik kennt man Fälle, wo sich Orte mit einem Autorennamen verbinden (zum Beispiel Arqua Petrarca oder Castagneto Carducci). Es ist jedoch das erste Mal in der Geschichte, dass man an einen literarischen Ort wirklich reisen kann. Und vermutlich wird das auch erwünscht. Vigàta, ein Sommerhit? Vielleicht. Aber nur, wenn Montalbano weitermacht.
Henning Klüver
 
 

TG1, 3.5.2003
Andrea Camilleri incontra Paolo Conte
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VINCENZO MOLLICA: Paolo Conte e Andrea Camilleri si sono incontrati a Roma qualche giorno fa. Conte ha appena pubblicato un disco, “Reveries”, in cui ricanta, riarrangiati, alcuni suoi classici. Camilleri è in testa alle classifiche con il volume “Il giro di boa”, nuovo racconto del Commissario Montalbano.
Cominciamo con quello che l’uno avrebbe voluto rubare all’arte dell'altro.
PAOLO CONTE: Tutto… tutto… soprattutto la capacità di far stare insieme la trama del racconto con la possibilità di dire anche delle cose poetiche che ti piace dire… senza che una dia fastidio all’altra. Metterci… è tutta una cosa lussureggiante… cioè c’è il piacere di fare del paesaggismo, e questo paesaggio viene dato magnificamente bene.
ANDREA CAMILLERI: Qualche cosa che non è musicale, per quanto possa parere curioso, e che è comune in tutto quello che fa ed è una cosa che è di difficile definizione, se lei me ne chiede la definizione, ma anche questa è un'impressione: l’eleganza dell’intelligenza.
VINCENZO MOLLICA: Questi sono i libri che Paolo Conte ama di Camilleri.
PAOLO CONTE: Ci metto "Il birraio di Preston" in testa, poi "La Mossa del cavallo" secondo… sicuri. Terzo ci potrei mettere "La concessione del telefono".
ANDREA CAMILLERI: Vuoi essere interrogato "a saltare", come si diceva nelle scuole...
PAOLO CONTE: …non si possono fare questi sbalzi… Direi così: come prima scelta sono questi.
VINCENZO MOLLICA: E questa è la canzone di Paolo Conte che Camilleri ama di più.
ANDREA CAMILLERI: Entriamo nell’ovvio ma non so che farci: mi piace da matti "Via con me".
VINCENZO MOLLICA: Mi dice perché le piace "Via con me"?
ANDREA CAMILLERI: Ma perché l’avrei voluto dire tante volte! Magari non trovandone il coraggio, ecco…
PAOLO CONTE [brano filmato da un concerto, NdT]: "Via via, vieni via con me, entra in questo amore buio, non perderti per niente al mondo…"
VINCENZO MOLLICA: Ma Montalbano, canta?
ANDREA CAMILLERI: Se è come me, in alcune cose, è completamente stonato: io perfino in bagno mi rifiuto di canticchiare qualche cosa perché sono di una stonatura… incapacità assoluta di… Quindi Montalbano ogni tanto canticchia “e te lo vojo di’ che so’ stato io”… 'ste cose, così, come si canticchia, ma non ha una vera e propria inclinazione musicale come avrei voluto avere io.
[trascrizione a cura di Paola]
 
 

La Gazzetta del Mezzogiorno, 4.5.2003
Geografia vera di paesi immaginari

L'amministrazione comunale di Porto Empedocle, il paese siciliano di cui è originario Andrea Camilleri, chiede di poter affiancare al proprio nome quello di «Vigata», l'immaginaria località dove sono ambientate le storie del commissario Montalbano. Una lusinghiera riprova del successo conquistato da un personaggio che contribuisce ad affrancare l'immaginario italiano dalla colonizzazione culturale americana. Ma anche un caso esemplare di come, a volte, sia l'invenzione a prevalere sulla realtà, nell'eterno gioco a rimpiattino tra le due cose innescato dall'arte di raccontare in tutte le sue varianti: romanzo, cinema, teatro, televisione, fumetto.
L'esempio da manuale è quello di Sherlock Holmes. Il suo microcosmo londinese ruota intorno al 221b di Baker Street. Una numerazione del tutto immaginaria, ai tempi dell'uscita delle avventure del celebre detective sullo «Strand Magazine». Poi, qualcuno scoprì che in tempi recenti a quell'indirizzo si trovava un ufficio assicurativo, presso il quale una segretaria si assumeva il compito di rispondere alle lettere degli «sherlockiani» che giungevano da tutto il mondo. Molte, con la richiesta di una consulenza investigativa per casi particolarmente ostici nei quali l'intervento della normale polizia si rivelava inadeguato. Sta di fatto che la Londra vittoriana ricreata da Sir Arthur Conan Doyle per ambientarvi i gialli del «gran detective» ha finito per sovrapporsi a quella storica, nella quale, peraltro, non mancavano enigmi polizieschi degni di Holmes, vale per tutti l'identità mai scoperta di Jack lo Squartatore.
È proprio nel campo del thriller che l'ambivalenza dei luoghi di ambientazione acquisisce più presa sugli appassionati, fino ad attirarli in pellegrinaggio. Gli itinerari sherlockiani di Londra comprendono, oltre al falso studio di Holmes ricostruito nei pressi del 221b di Baker Street, anche tappe nelle zone in cui si svolgono le storie più celebri dedicategli da Conan Doyle.
Dall'altro lato dell'oceano, e addirittura sulla riva opposta degli Stati Uniti, a San Francisco, alcune lapidi commemorano i momenti più celebri del giallo dei gialli, Il falcone maltese, soprattutto nella sua versione cinematografica del 1941, sceneggiata e diretta da John Huston, sulla scorta del romanzo di Dashiell Hammett. Per esempio, una targa è affissa dove una volta si trovava Burrit Alley, al termine di Bush Street, sullo Stockton Tunnel, per ricordare che lì viene ucciso dalla Brigid O' Shaughnessy il socio gigione di Sam Spade, Miles Archer. Da quel delitto si scatena la sanguinosa caccia alla preziosissima statuetta del falcone.
Per tornare in Europa, il commissario Maigret, da tutti ritenuto il simbolo dell'acume investigativo francese, fu creato in realtà da un belga, Georges Simenon. Il quale, addirittura, fa nascere il suo personaggio a Delfzijl, in Olanda. Ed è in questo porto che nel 1966 fu inaugurata la statua al celebre commissario. Alla cerimonia erano presenti, oltre a Simenon, i quattro interpreti più significativi di Maigret: l'inglese Rupert Davies, il tedesco Heinz Ruhmann, l'olandese Jan Teuling e l'italiano Gino Cervi, che a detta dell'autore li superava tutti, compreso Jean Gabin. (A tutt'oggi, sono parecchi i turisti-lettori che a Parigi vanno a farsi una capatina nel boulevard Richard Lenoir, dove vivrebbe fittiziamente Maigret: per cogliere qualche atmosfera quotidiana del celebre commissario.)
Sempre restando alle statue, ve n'è più di una dedicata a Braccio di Ferro. Le più note a Springdale, Arizona, e Chester, Illinois. Ma qui si tratta di tributi per meriti acquisiti da un'icona popolare come il marinaio mangiaspinaci. Mentre la ricerca di corrispondenze tra i luoghi e le loro reinvenzioni letterarie si fa più complessa e stimolante fuori dal repertorio del grande consumo.
Il Wessex di Thomas Hardy è un vasto affresco che comprende lo contee sudorientali dell'Inghilterra, assemblate in uno scenario dove le distanze sono più adatte alla misura della narrazione. Così vi si possono rintracciare riferimenti geografici nella realtà molto più distante. Con il risultato di raffigurarsi nella mente gli stessi luoghi per Giuda l'oscuro, Via dalla pazza folla e Tess dei d'Urberville. Quando, se ci si reca nelle immensità del Sussex e dintorni, si finerebbe disorientati e privi di agganci con le vicende forti e passionali narrate da Hardy.
Marcel Proust ha fatto di più per nascondere i luoghi di Alla ricerca del tempo perduto. I sette volumi del suo romanzo fiume uscivano mentre l'aristocrazia parigina ed ebraica che vi era ritratta non aveva certo abbandonato le luci della ribalta. Dunque, Iliers, la località dove l'infante Marcel andava in vacanza, diviene Combray, e i cognomi dei grandi casati reali vengono stemperati nell'unica tentacolare confraternita dei Guermantes.
William Faulkner sceglie di ambientare i suoi viaggi romanzati nel cuore di tenebra del sud americano, inventando la contea di Yoknapatawpha, labirintica e infida come l'impronunciabile nome di derivazione indiana. Là si consumano stupri di gruppo, inconfessabili rapporti familiari e tregende di un'umanità fin troppo riconoscibile nei suoi eccessi. Il fondale comune di Yoknapatawpha conferisce unità tematica ed ambientale a capolavori assoluti che si chiamano L'urlo e il furore, Santuario, Luce d'agosto.
Gabriel García Márquez, dal canto suo, ha creato quel Macondo ormai più famoso del romanzo cui fa da sfondo, Cento anni di solitudine. L'immaginaria contrada sudamericana ha acquisito lo status di luogo privilegiato del realismo magico. Al Macondo sono debitori i quasi conterranei di Márquez, Allende e Volpe, ma anche scrittori agli antipodi, come gli indiani Salman Rushdie e Amitav Gosh, campioni di topografie immaginarie dietro le quali si nascondono le loro radici. 
Ed è questo l'intento che si cela dietro la reinvenzione dei luoghi. La volontà di trasfigurare per il racconto una realtà talmente nota a chi vi è nato e l'ha nelle vene, che rischierebbe di restare attaccata addosso senza coinvolgere altri. Laddove il ritocco romanzesco finisce per far sentire anche il lettore più estraneo contiguo, se non conterraneo, dell'autore.
Enzo Verrengia
 
 

La Sicilia, 4.5.2003
Ferrara: «Caro Granata, venga a visitare la vera Vigata»

«Venga a Vigata a prendere le vere arancine di Montalbano o a fare una passeggiata alla Scala dei Turchi». E' questo l'invito lanciato dal sindaco di Porto Empedocle, Paolo Ferrara, all'assessore regionale ai Beni culturali, Fabio Granata, nei giorni in cui divampa la bagarre dopo l'appropriazione della denominazione che ricorda il paese immaginario creato dalla penna di Andrea Camilleri. Il primo cittadino intende mettere alcuni paletti in una polemica che vede palesemente schierato il rappresentante del governo regionale - di origine siracusana - in favore dello sviluppo di quella parte dell'isola, compresa tra il centro aretuseo e la provincia di Ragusa, teatro del set televisivo. Granata sottolineò come non basta definirsi Vigata per esserlo davvero. «Penso sia necessario - dice Ferrara - che l'assessore visiti i luoghi originari di Camilleri che hanno ispirato le avventure del commissario Montalbano. Non è possibile che altre località si approprino di un marchio che possiamo vantare solo noi. Credo sia opportuno che lo stesso Granata manifesti attenzione verso la nostra realtà, dando dimostrazione di equilibrio tra due zone che hanno il diritto di crescere, ognuna col proprio patrimonio culturale e ambientale». Intanto, il presidente della Pro Loco empedoclina Paolo Savatteri, sottolinea come «non serve a nulla il gran parlare della denominazione Vigata, quando la città è impresentabile e turisticamente improponibile», riferendosi alle «immondizie che si accumulano nei giorni festivi».
f.d.m.
 
 

La Repubblica, ed. di Roma, 7.5.2003
Banditi a roma

Giancarlo De Cataldo parla di "Romanzo criminale" alle 18.30 a Il Seme [EXNOVO, NdCFC] via Monte Zebio 3. Interventi di Andrea Camilleri, Valerio Calzolaio e Marino Sinibaldi.
 
 

Le soir, supplemento MAD (Magazine des Arts et Divertissements), 7.5.2003
C'est dans les poches
Andrea Camilleri, «La voix du violon»
Pocket 11390, 255 pp., 5,50 euros.

Montalbano, le plus célèbre flic sicilien, n'est pas du genre à contourner les ennuis. Quand son chauffeur emboutit une Twingo (mal) garée devant une villa et que personne ne réagit alors qu'il a laissé le numéro de téléphone du commissariat sous l'essuie-glace, il n'hésite pas à pénétrer (par effraction? c'est bien comme cela qu'on dit?) dans la villa pour y trouver le cadavre nu d'une très belle jeune femme. Passons sur les moyens détournés qu'il doit mettre en oeuvre pour faire savoir qu'un meurtre a été commis. Il entre très vite en conflit avec la hiérarchie qui n'aime pas ses méthodes. Anciennes, les méthodes. D'ailleurs, il ne s'entend guère non plus avec la police scientifique. Mais explore par la bande et trouve. Avec la gouaille de Camilleri, un pur bonheur de baragouin chez le téléphoniste du commissariat.
P.My.
 
 

La Repubblica, 7.5.2003
L´attore girerà due film per Mediaset che hanno per protagonista il mitico personaggio di Georges Simenon 
"Il commissario curioso e dispotico ha pietà per chi commette i crimini"
Modernizzazione. Per sette secondi abbiamo pensato di modernizzarlo, ma era inimmaginabile. La forza del progetto è l´epoca
Fa come gli pare. È uno che fa come gli pare È autorevole, ma anche autoritario ed è sempre misteriosamente solidale con il colpevole.
Ancora incerto il cast delle puntate da "La trappola" e "Ombra cinese"
E intanto gira i provini per il film tratto dal libro della moglie

ROMA - Sergio Castellitto sta facendo i provini per il film che dirigerà a luglio da Non ti muovere (ha appena finito con Angela Finocchiaro). Nei fine settimana, gli altri giorni è a Parigi sul set di Ne quittez pas di Arthur Joffé. Ha appena finito Caterina va in città di Paolo Virzì. E non ha sportivamente digerito i David che hanno ignorato L´ora di religione. Ma siamo qui per parlare di Maigret. «La popolarità televisiva porta con sé il rischio della bassa qualità. Allora ecco lo sforzo di rintracciare nella letteratura, anzi nella grande storia della tv italiana i passaggi popolari alti. Gino Cervi e il suo Maigret stanno alla storia degli sceneggiati come un bel libro a una monnezza. E poi mi piace tirarmi fuori dall´obbligo di raccontare storie italiane, approfittare della convenzione, rifare Parigi come fece allora quello sceneggiato. Che oggi forse è impresentabile...».
Troppo lento: lo direbbe anche un telespettatore attempato.
«Come un film giapponese, è vero. Però, con un altro ritmo, che cosa ha Simenon? La grande letteratura popolare. E un personaggio che è come Ferrari o Padre Pio, solo che è inventato dalla penna di uno scrittore. Ma vive, esiste. Non nella storia sociale ma in quella culturale degli spettatori. Con un rischio: quello del confronto».
Infatti la memoria dei telespettatori italiani s´identifica con l´attore, con Cervi.
«Tanto che Parigi sembrava Modena. La sensualità con cui beveva la sua birra o mangiava il manicaretto preparato dalla Pagnani o si accendeva la pipa, fa pensare più alla provincia italiana che a Parigi. È tutto da "ri-missare" secondo il gusto di oggi. Ma mi permette di sfuggire all´ennesima biografia: sono diventato un carburatorista delle telebiografie...».
È un progetto suo?
«Sì. Un giorno chiacchieravo con Massimo Chiesa produttore dei miei spettacoli teatrali, e si è materializzata un´idea che sembrava impossibile. Lo rifai? C´è già. Perché no: è repertorio, Amleto lo fanno tanti attori, così Maigret. Fra l´altro, oltre a quelli francese e italiano, ne esistono uno tedesco, inglese, spagnolo, c´è un Maigret dappertutto».
Chi ha dovuto convincere?
«Il progetto lo realizzerà Mediaset. Ma non è stato difficile, c´è solo voluto un po´ di tempo. Roberto Sessa produrrà: per ora due film, a fine anno. Andrea Camilleri ha detto che il suo Montalbano, secondo me tra le cose migliori della tv di questi anni, è oggettivamente figlio di quel Maigret...».
Camilleri ebbe una parte nel Maigret di allora?
«Sì, come funzionario Rai. Comunque non vedremo le Alfette, vedremo le Dauphine. Una Parigi un po´ provinciale, un mondo di convenzione e poi un´epoca. Nessuna contemporaneità».
Perché: sta diventando una schiavitù?
«Un impedimento a interpretare, è tutto pornograficamente documentaristico in tv. L´epoca invece ti allontana e ti dà una "visione": che fai, ambienti Maigret oggi, tra cellulari e computer? Non si può».
Vuol dire che vi siete posti il problema se modernizzarlo?
«Ci siamo fatti la domanda per cestinarla dopo sette secondi. La forza del progetto è l´epoca. Francesco Scardamaglia e Nicola Lusuardi hanno scritto la sceneggiatura delle prime due storie che abbiamo scelto: La trappola e L´ombra cinese. Li abbiamo ambientati negli anni 50. Utilizzando pensieri, spunti per dialoghi, comportamenti che vengono anche da altri romanzi. Qual è la grandezza di quel personaggio? Maigret è durissimo come un poliziotto oggi non potrebbe essere, troppi paletti...».
Fa come gli pare, se ne infischia delle regole.
«È autorevole ma anche autoritario. Quando ci vuole è anche dispotico. Però è curioso, come solo uno psichiatra può essere. Ed è pietoso come un prete. L´indagine poliziesca sconfina in un´indagine esistenziale, umana. Ha sempre pietà per chi commette il crimine: questo fa la sua differenza. Ogni interrogatorio diventa una conversazione sull´esistenza. E questo permetterà ai film di non ridursi alla costruzione della suspense per impedire al telespettatore di cambiare canale. La scommessa è quella di tenerlo legato a un poliziesco che è soltanto il mezzo attraverso il quale passano i sentimenti che sono spesso al centro delle storie di Maigret: relazioni familiari, mogli che tradiscono i mariti, amanti. E sorvolo sull´ossessione sessuale di Simenon, è nota. Da assatanato qual era ha costruito un personaggio invece fedele, integerrimo. Ma in lui senti la sensualità: sa riconoscere la dolcezza delle donne. Struttura drammaturgica solidissima, insomma, che è solo pretesto per appoggiarci sopra le relazioni umane. Cupe, scure. Com´è nella provincia: i grandi delitti accadono in provincia, dove la sporcizia umana ha sempre una facciata per bene».
La regia?
«Ancora da decidere».
La sua interpretazione: sa che si dirà subito che lei non somiglia per niente a Maigret-Cervi...
«Certo non ingrasserò venti chili perché non faccio Cervi, faccio il mio Maigret. Non mi preoccupo, anche se so che tutti i commissari Maigret fatti non mi somigliano, sono più corpulenti o più attempati. Sarà un uomo della mia età, tra i 40 e i 50, che ha accanto una bella donna, la signora Maigret, con la quale devi anche immaginare, diciamo, una certa intimità. Tra loro c´è un patto di reciproca protezione: lui ogni mattina esce e s´immerge nel male, nel dolore, e torna ogni sera come un marinaio in porto, da lei, angelo saggio e dolce. C´è una domanda che mi sono fatto ma non so rispondere: perché non hanno figli?».
Paolo D´Agostini
 
 

La Vanguardia, 8.5.2003
Opinion (El Runrún)

Andrea Camilleri nació en 1925 en la siciliana villa de Porto Empedocle, en la misma provincia de Agrigento que décadas antes había visto nacer al gran Luigi Pirandello, fino creador de personajes teatrales a la búsqueda de un autor. Con los años Camilleri se iría a Roma para dedicarse al llamado arte dramático, y en 1978, cumplidos los cincuenta, publicaría su primera novela. El éxito, de una rotundidad fuera de lo común, le llegó anteayer, ya septuagenario, con las novelas del inspector Sandro Montalbano. Montalbano es un apellido muy frecuente en Sicilia, pero el autor ¿portoempedoclino? Nunca ha ocultado que también lo escogió como homenaje a su admirado Vázquez Montalbán. La semana pasada el Consistorio de Porto Empedocle brindó un homenaje a su ilustre novelista: cambió oficialmente de nombre. Desde el 29 de abril del 2003 Porto Empedocle se llama “Porto Empedocle Vigata” y sus felices habitantes... ¿portoempedoclinovigatenses? Vigata es el topónimo  que Camilleri inventó para situar la casa de su ficticio Montalbano. Es decir, un topónimo como Macondo, Sinera, Vetusta o el faulkneriano condado de Yoknapatawpha que hasta ahora sólo figuraba en las cartografías literarias y en el rótulo de un restaurante parisino de especialidades sicilianas: Casa Vigata (44, Rue Léon-Frot). Curiosas son las veleidades literarias del gremio de la restauración: busquen “restaurant Macondo” en Internet y hallarán más de 500 referencias, en lugares tan dispares como Hvar (Croacia), Trebon (República Checa), Boston (EE.UU), Sayulita (México), Zancudo (Costa Rica)... y naturalmente en Cuba, con un Macondo Azul donde los rojos castristas aún deben de ponerse morados.
O sea, que cualquier espíritu sencillo podría concluir fácilmente que los sicilianos acaban de dar un bello ejemplo de respeto por la literatura y que (ay!) podríamos imitarlos por estos lares para promover la literatura catalana. En cierta medida, si los vascos toleran que en los carteles de su capital se lea Vitoria-Gasteiz y el año pasado en todos los de la nuestra se leía Barcelona-Gaudí, no sería de extrañar que en Arenys propusieran a sus futuros representantes municipales completar tan arenáceo topónimo con un espriuano Arenys-Sinera. ¡Y qué decir del mítico Escornaldiable que Pep Albanell se inventó para situar la acción de su injustamente olvidada novela “Ventada de morts”! ¿Es que ningún consistorio va a revindicar tan diabólico topónimo? Se da circunstancia de que el (ya) antiguo Porto Empedocle se denominaba así en honor a otro agrigentino ilustre que habitó la ínsula cinco siglos antes de Cristo: el filósofo Empedocles. El mismo que explicó el universo a partir de los cuatro elementos (tierra, fuego, agua y aire) mezclados por el amor y el odio, en cíclica alternancia. ¿Se removerán en la tumba dos clásicos como Empedocles o Pirandello ante el fulgurante ascenso toponímico del advenedizo Camilleri? Imaginar estas cosas entre sicilianos da un poco de miedo.
Claro que el creador de Vigata, que sabe por viejo y por siciliano, ha puesto rápidamente las cosas en su sitio: “Me siento muy honrado y halagado –ha escrito en “La Repúbblica”-, pero no creo que sea ningún homenaje a la literatura. Es una idea puramente destinada a aumentar el turismo”. Pues eso.
Màrius Serra
 
 

La Sicilia, 8.5.2003
Porto Empedocle si attrezza
«Impiegati di Vigata leggete Camilleri per accogliere i turisti»

Porto Empedocle. «Costretti» a una full immersion di Camilleri, per far conoscere ai turisti la vera Vigata. In vista dell'imminente invasione di fans dello scrittore, molti dipendenti del Comune empedoclino sono stati «precettati» dall'assessore al turismo e spettacolo Tonino Guido, affinchè leggano gran parte della produzione del «papà» del commissario Montalbano.
Una decisione dettata dalla necessità di formare quanti più conoscitori dell'arte letteraria camilleriana, in modo da da renderli inappuntabili «Cicerone» dei villeggianti che dovrebbero sbarcare in massa già dai prossimi giorni a Vigata. Sono migliaia infatti coloro i quali hanno già fatto capire attraverso prenotazioni ad alberghi dell'hinterland agrigentino di essere intenzionati a visitare i posti veri delle gesta del commisario Montalbano.
Lido Marinella, Azzurro, la torre di Carlo V, la Scala dei Turchi e tutto quanto il resto dovranno essere raccontati da gente che conosce a menadito il mondo camilleriano. Per questo motivo, già ieri mattina l'assessore Guido ha cominciato a esplorare tra il personale a disposizione dei vari uffici, per individuare coloro i quali potranno assolvere al ruolo di particolari guide turistiche, dopo però avere letto i libri di Camilleri.
E così nei prossimi giorni, sul comodino accanto al letto tanti dipendenti comunali sistemeranno i libri di Camilleri, da leggere magari prima di andare a dormire o comunque nei ritagli di tempo.
«E' necessario che i nostri collaboratori siano perfettamente a conoscenza degli ambienti in cui il nostro illustre compaesano ha fatto vivere il suo personaggio più famoso». A parlare è l'assessore comunale al Turismo Tonino Guido, il quale non esita a parlare di «una bomba scoppiata in paese», riferendosi ovviamente allo straordinario effetto pubblicitario che sta avendo la decisione di accostare il nome Vigata, alla denominazione tradizionale della cittadina marinara.
Francesco Di Mare
 
 

L'Unione Sarda, 9.5.2003
Il libro di Fois
Molto più di un giallo

[commento tratto dalla prefazione di Andrea Camilleri a "Sempre caro", NdCFC]
Andrea Camilleri
 
 

Sette, supplemento del Corriere della sera, 9.5.2003
Fratelli d'Italia
Se Porto Empedocle diventa Vigata
La scemenza avrà una sua capitale. Alla faccia degli inglesi di “Città del peto”

La toponomastica inglese è probabilmente la più simpatica del mondo perché rimanda a un empirismo sano, quello anglosassone appunto, che dice pane al pane e vino al vino. Così per esempio fu naturale chiamare Wyre Piddle, che vuol dire Pipì, la città che nel Worchestershire fu costruita accanto a una fogna che ruscellava a cielo aperto. Ovviamente quel ruscello di pipì non esiste più, ma a nessuno è venuto in mente di cambiare il nome alla città. Anzi, chi vi nasce trova in quel nome una lezione di ironia :”Dove sei nato?” “A Pipì”. La stessa cosa succede a Little Snoring (Piccola ronfata) e a Brown Willy dove nessuno ha il pisellino marrone.
Le isole sono i posti del mondo dove meglio si conserva la forma originaria delle cose, in botanica e in zoologia (oltre che in politica) e sicuramente anche nella toponomastica. Benchè a Booze (liquore) non ci siano oggi troppi ubriaconi e a Beer non si consumi più birra che altrove, i nomi esprimono e proteggono l’essenza primitiva della città, la connotazione che ha dato origine alla denotazione.
L’Inghilterra poi è un’isola speciale, più impermeabile ai cambiamenti perchè il suo territorio è stato “invaso” poche volte e dunque deve alla mancanza di dominazioni la stabilità delle denominazioni. Tutto il contrario della Sicilia, per esempio, che è anch’essa un’isola, ma popolata da gente di confine, troppe volte mescolata, trasformata, dominata e denominata. In un’isola sempre occupata e sempre colonizzata le città sono accampamenti, rocche, castelli da difendere o da assediare, come appunto Caltanissetta, Caltagirone, Castelvetrano, Calatafimi... Più in generale la toponomastica italiana, oltre che alla guerra, rimanda spesso alla mitologia, a valori astratti e alla religione, per quella sorta di provincialismo idealistico che ci fa sognare e che sempre ci allontana dalla verità delle cose.
Solo un popolo empirista e antiidealista può avere città chiamate Spital in the Street (Sputo nella strada) che si trova nel Lincolnshire o Rest and Be Thankful (Riposa e sii grato) o ancora Ugley (Brutto) o Pease Pottage (Zuppa di piselli) perchè in quella zona dell’East Sussex piove tanto e la terra fangosa ha la consistenza della Peasemarsh, Palude di piselli, una piccola città a poche miglia dalla tenuta di campagna di Paul Mc Cartney.
La toponomastica inglese meritava dunque il nuovo Penguin Dictionary of British Place Names che è appena arrivato in libreria e che rintraccia le radici di più di diecimila città e villaggi della gran bretagna. L’autore si chiama Adrian Room, un professore di geografia che ha già scritto trenta libri di toponomastica. La lista, molto sapida, comprende una città alla periferia di Plymouth dove un giorno qualcuno si arricchì facilmente e che si chiama dunque Pennycomequick (Soldo vieni presto) benchè oggi sia diventata molto povera.C’è anche Matching Tye (cravatta coordinata) e nel Sussex c’è Old Sodbury (Vecchio stronzo). In Dorset c’è Shitterton (Paese di merda) e poi Pratt’s Bottom (Culo di scemo), Fartown (Città del peto), Wetwang (Cazzo bagnato) e Penistone (Pene di pietra). L’autore aveva già scritto il Dizionario mondiale di toponomastica e si è dunque divertito a fare il giro del mondo del corpo umano. E’ andato ad Eye (Occhio) nel Suffolk poi a Tongue (Lingua) in Ayrshire, quindi a Nose (Naso) in Giappone, a Finger (Dito) in Tennessee, a Chin (Mento) in Canada, a Elbow (Gomito) ancora in Canada, ad Harry’s Armpit (Ascella di Harry) sempre in Canada per finire a Gilbert’s Bottom (Culo di Gilbert) in Montserrat.
Come si è capito c’è pure un sapido e intelligentissimo sciocchezzaio toponomastico. Ebbene, all’autore mi permetterò di segnalare la triste storia della città siciliana di Porto Empedocle che il sindaco Ferrara ha deciso di ribattezzare Vigata, nome teleletterario della città di Montalbano, il personaggio di successo inventato da Andrea Camilleri. Al sindaco per ora si oppone l’assessore regionale alla cultura Fabio Granata (il dio del mare e il filosofo Empedocle lo proteggano). Pare che il sindaco non si riconosca più nel magnifico porto (sino al 1863 la città si chiamava Molo) e neppure nel vecchio filosofo agrigentino ma si ritrovi invece nella macchietta del siciliano di successo consacrata da Camilleri, il siciliano che non riesce neppure a parlare in italiano, divertente e pittoresco stereotipo di un sottosviluppo allegro e compiaciuto. Immalinconisce quest’ansia di buttarsi via e penso a Stendhal che non sopportava la propria città, “la mia Grenoble escrementizia”, e infieriva su di essa per infierire su se stesso chiamandola con disprezzo Cularo. E meno male che questo Ferrara di Porto Empedocle legge Camilleri e non Stendhal. Pensate invece che nel Galles c’è una città fiera dell’impronunciabile nome più lungo del mondo: Llanfairpwllgwyngyllgogerychwyrndrobwllllantysiliogogogogh. In gallese antico significherebbe: “La chiesa di Santa Maria nel tronco cavo dell’albero di nocciole vicino al mulinello rapido del Llantysillo della caverna rossa”. Come si vede in una sola parola c’è una mappa geografica, un esame sociologico, e pure un manuale di storia. Insomma, in quel nome c’è tutto, in Vigata invece non c’è niente.
Francesco Merlo
 
 

Carmilla, 9.5.2003
Il regno delle due Sicilie: Battiato vs. Camilleri

Magari non interessa granché, ma io ci tengo a parlarne. Intendo della Sicilia: avendo salde radici sicule, vorrei intervenire su una sostanza immaginifica che tracima dall'isola e, a mio parere, segnala uno specifico tutto contemporaneo: il conflitto tra mito e fiction, esattamente proporzionale a quello che si sviluppa tra la deità delle Sacre Scritture e la sua scimmia. Due evenienze che non appartengono a quella che i colletti bianchi dell'accademia intellettuale considerano "cultura alta". Siccome della "cultura alta" mi frega esattamente quanto della "cultura bassa", cioè zero al quoto, è senza inibizioni che voglio considerare significative due evenienze della Sicilia nel cinema e nella tv più recenti. Ho assistito all'anteprima di PERDUToAMOR, film scritto e diretto da Franco Battiato. E, come altri nove milioni di italiani, ho assistito a qualche puntata del Commissario Montalbano. Il regno delle due Sicilie emblematizza due generi opposti di rappresentazione: una mitologica e perciò umana (quella di Battiato), l'altra finzionale e antiumana (quella del Camilleri televisivo).
Non sono un critico cinematografico e non dispongo del retroterra culturale che permette raffinate analisi tecniche. Parlo da scrittore che si trova di fronte un sogno e il suo opposto. Le cautele dovrebbero essere molteplici: per dirne soltanto una, sto lasciandomi andare a una tentazione non metodologicamente corretta, che affianca e oppone grande e piccolo schermo. Generalmente, di una simile metodologia, me ne fotto bellamente - mi permetto di fottermene anche qui.
PERDUToAMOR è un film che, immagino, irriterà i cinefili e disinteresserà gli spettatori che vanno al cinema per vedersi una pellicola che li catturi secondo standard americanoidi. A me è molto piaciuto. Non tanto perché Franco Battiato è una mia mitologia puberale e sono a tutt'oggi convinto che costituisca un perno fondamentale per comprendere la cultura popolare italiana negli anni Ottanta. Il film di Battiato mi è piaciuto perché rasserena: è la serenità vacua e azzurrina con cui Battiato regista realizza un racconto iniziatico che mi ha colpito. All'inizio, per fare soltanto un esempio, c'è una lezione di buddhismo rigoroso condotta in purissima normalità: un piccolo trattato sull'attenzione e l'autosservazione raccontato attraverso gli insegnamenti di una maestra di cucito alle sue allieve, in un cortile interno di una casa siciliana negli anni Cinquanta. Si sta narrando di una Sicilia fuori dal tempo, in realtà. Una Sicilia esuberantemente verde, carica di intrecci vegetali e onirici, obliqua, magnificiente nel nascondersi e nel mostrarsi, sacrale senza adesione al territorio. E' l'altra faccia del mito terrestre e del radicamento: non il sangue abbarbicato al suolo, bensì lo spazio di sogno purissimo, rarefatto, con cui l'uomo entra in incantamento per sperimentare l'unico dio che c'è: se stesso bambino, il sé che non giudica e non etichetta, un sé incantato e incantatorio, una realtà molto concreta e vivibile, non retorizzata, non enfatizzata in epica astratta. La Sicilia di PERDUToAMOR non è un amor perduto. Il Perduto Amor di Battiato è quella nostalgia inquieta che, nel momento in cui si esce dall'incantamento e si è preda dell'idea classificatrice (si cresce, si legge, si giudica, ci si forma, si abbandona la spontaneità), spinge a cercare altro: questo altro che si ricorda e che deve averci parecchio innamorato se lo si cerca non sapendo più cosa esso sia in realtà. Lezione più che mistica condotta attraverso il racconto di vent'anni di cultura popolare italiana: dalla secolarità meridionale all'esplosione della musica pop e poi dello sperimentalismo à la Stratos in una Milano travolgente e suggerita per scorci d'autore.
La Sicilia di Battiato è l'India: un'India shankariana vista con occhi sudamericani. Colombiani, per la precisione: è un'adolescenza che Garcìa Marquez iscriverebbe nella sua Macondo quella che Battiato illumina con una luce per nulla abbagliante, aprendo porte strane e metafisiche: in una scena che mi ha colpito si entra in un canneto verdissimo e fitto, in soggettiva, insieme a tre bambini; li vediamo intorno a una pozza d'acqua oscura, appoggiati a una staccionata improvvisata; parlano - al contrario, un backward masking bellissimo, che si avvicina alla sequenza più onirica di Papillon; la camera inquadra poi le irregolarità dell'acqua. Sembra di entrare in un labirinto surreale e reale al tempo stesso: diverticoli e svolte improvvise, scene staccate di netto e connesse soltanto da una serenità di sguardo dal di fuori. Non è una Sicilia olografica: è una Trinacria del sogno infantile, stato perpetuo che investe la veglia e la sussume in una sostanza ozonata e luminosa e ombrosa (tra l'altro, esplicitamente, la questione dei "momenti di veglia" viene affrontata a più riprese e accennata dalla voce pastosa e incrinata di Sgalambro).
Contro questa Sicilia, si schiera quella cartolinistica, inesistente, falsissima, radiosamente crepuscolare che gli italiani hanno subìto assistendo alla veterofiction di Montalbano. Una Sicilia rabberciata tra la valle del Noto e fantasmatici dintorni Vigatesi; ecco, proprio una Sicilia vigatese: si sa, Vigata non esiste anche se vorrebbero farla esistere. Una Sicilia fintamente comunitaria, spaccata in due: i terroni nobili e i terroni stronzi. Un gattopardismo che non conserva nulla della verità gattopardesca. Chiese e rovine esposte a una luce ocrata, gioielli di secolarità supposta, case sul fronte del mare che ricollocano il litorale di Cefalù alla latitudine di una Miami per borghesi parlemitani. Ville sontuosamente decadenti, campi di grano pettinati dal vento e acconciati da un sole maturo. Un macrospot della proloco. Nulla di differente rispetto all'inganno della pubblicità del riso Scotti, quando l'omonimo testimonial Gerry canta le lodi delle suo riso (che non è suo) facendo vedere un campo di grano e dicendo "Questo è il mio riso".
La fiction è finta. Ciò che è finto non sempre inganna, ma la fiction inganna sempre e comunque. La fiction si oppone alla storia: la storia è una storia di storie, che nascono da esperienze e azioni ed emozioni e sogni di un'umanità che attraversa il divenire; la fiction assomiglia a una storia, ma non nasce da alcuna umanità. La Sicilia decalcomanica di Montalbano non nasce da alcuna esperienza: è astratta, sordidamente astratta in quanto irradia la malizia spottistica dell'inganno. La storia di storie è il mito vissuto da un'umanità che nasce invecchia e muore e si perpetua nella tragedia e nella commedia di un tempo protratto; la fiction è una parodia della storia umana, tutta asservita a un vecchio sogno del Potere, che è quello di non farci sognare per tenerci tranquilli e imbambolati, tubi digerenti che pappano il pop corn della loro funebre semivita, catatonica, catodica, cazzutissima.
La Sicilia di Battiato è un'esperienza del sogno che ha attraversato lo sguardo di un'infanzia sicula e mitologica, vera, storica, una coincidenza miracolosa che capita all'artista, quando fa incrociare la storia dell'umanità con la specola di se stesso. La Sicilia di Montalbano (come, del resto, il grano meridionale dell'ultimo Salvatores) è la cattiva imitazione di quel sogno: cattiva non tanto perché è di qualità discutibile, quanto perché esprime il male, che è l'antiumanità della fiction stessa, la scimmia dell'uomo.
Giuseppe Genna
 
 

La Gazzetta del Mezzogiorno, 9.5.2003
Accordo editoriale
Laterza-Sellerio collana di letture per la scuola

Sarà la rete scolastica della Laterza a promuovere e distribuire una nuova collana di narrativa per la scuola della Sellerio. Le due più importanti case editrici del Mezzogiorno (Bari e Palermo), entrambe indipendenti e quindi estranee alle concentrazioni editoriali degli ultimi anni, stringono così un'alleanza, anticipata nei mesi scorsi dalla «Gazzetta», nel nome di un progetto innovativo di letture per la secondaria.
I testi della collana diretta da Renato Alfieri e Vincenzo Campo saranno infatti proposti nella loro veste originaria, senza alcuna aggiunta o manipolazione. Allegata al testo ci sarà una guida alla lettura di 32 pagine, in sé autonoma anche graficamente in un'elegante copertina gialla, per suggerire percorsi analitici e riflessioni di ricerca. La guida è suddivisa in cinque parti: un'intervista reale o immaginaria all'autore, una sezione operativa sugli elementi costitutivi del testo, una o più schede d'interpretazione critica, un approfondimento della cornice storico-letteraria del libro, un invito alla lettura di testi analoghi o in qualche modo affini al volume analizzato.
I primi titoli proposti sono «Il delitto di lord Arturo Savile» di Oscar Wilde (1891) e «Uomini sotto il sole» di Ghassan Kanafani (1963). I prezzi sono contenuti fra i sei e i sette euro. Seguiranno opere del passato o del presente (da Apuleio a Moravia, da Stendhal a Camilleri, da Dumas a Bontempelli), che affiancheranno i classici di sempre nelle aule scolastiche.
 
 

La Sicilia, 9.5.2003
«Così lavoriamo per formare il pubblico di domani»
Orchestra sinfonica siciliana.
Nostra intervista con il maestro Fabrizio Carminati, direttore artistico del teatro Donizetti di Bergamo

[...] Il concerto in cartellone per la stagione dell'Orchestra Sinfonica Siciliana ascoltato in questo week-end al teatro Politeama [...] ha presentato uno dei più apprezzati giovani direttori della scena musicale nazionale, Fabrizio Carminati [...].
Come direttore artistico, anche Lei si sarà posto il problema «Quale repertorio, per quale pubblico?»
«Il pubblico bergamasco anche se ha una grande predilezione per il proprio autore concittadino, Gaetano Donizetti, è molto vario. [...] Ogni anno rappresentiamo un'opera nuova, e quest'anno è toccato all'opera di Marco Betta, «Il fantasma nella cabina», su testo di Andrea Camilleri, che ha avuto un grande successo, tanto che verrà riproposta anche nel 2004 [...]».
[...]
Pippo Ardini
 
 

La Repubblica, ed. di Palermo, 10.5.2003
Birritteri lo voleva in giunta
Camilleri scrive al centrosinistra "Lavorerò con voi"
Per lo scrittore un ruolo da consulente

AGRIGENTO - Andrea Camilleri non potrà fare il vice presidente della Provincia di Agrigento, nel caso in cui il candidato del centrosinistra Luigi Birritteri dovesse vincere le prossime elezioni, ma di sicuro potrà fare il consulente per la cultura a titolo gratuito. Lo scrittore lo ha comunicato via lettera allo staff del candidato presidente dell´Ulivo e di Rifondazione comunista.
«Avrei voluto essere attivamente al suo fianco nel corso di questa campagna elettorale per le elezioni provinciali, ma purtroppo - scrive Camilleri - l´età, con acciacchi connessi, me lo ha impedito. Resto comunque a sua completa disposizione per qualsiasi cosa possa tornarle utile, perché ritengo mio dovere di cittadino tentare di arrestare una deriva politica che di giorno in giorno si manifesta sempre più pericolosa». Ad Andrea Camilleri, Birritteri aveva proposto la vice presidenza.
Intanto sono stati resi noti i nomi degli assessori designati da Birritteri: ci saranno due donne, Gea Schirò Planeta e Gabriella Curella Taibi, l´ex sindaco di Bivona Giovanni Panepinto, Giuseppe Lauricella, docente universitario figlio dell´ex presidente dell´Ars Salvatore Lauricella, il funzionario della Camera di commercio Santo Di Bella e infine l´ingegnere Calogero Sala.
Fabio Russello
 
 

L'Unione Sarda, 10.5.2003
Riviste
“Nae” al secondo numero Cento pagine di cultura

È arrivato in edicola e in libreria il secondo numero di Nae, la rivista di cultura diretta da Giuseppe Marci e pubblicata dall’editrice Cuec. Cento pagine, grafica raffinata, foto a colori (di Giorgio Dettori) di opere di Pinuccio Sciola, articoli, contributi, recensioni, interviste. In copertina Il cantico delle Pietre di Sciola. Fra l’altro, scritti di Elisa Careddu e Giuseppe Marci sull’opera di Salvatore Satta; interventi sul problema della traduzione delle opere letterarie (Yasmina Melaouah traduttrice in italiano dei romanzi di Pennac e di Serge Quadruppani che traduce in francese i romanzi di Camilleri). Ci sono anche una lunga intervista di Paolo Lusci a Sergio Frau, autore del libro-inchiesta di archeologia Le Colonne d’Ercole e un’altra, non meno interessante, di Eleonora Frongia ad Alessandro Carrera (letteratura e identità nei territori di confine). Altri interventi: Giose Rimanelli, Silvano Tagliagambe, Mauro Pala, Giorgio Rimondi, Susanna Paulis, Alessandra Carta, Filiberto Farci, Vanni Boni, Simona Pilia, Simona Serra, Tania Baumanna, Alessandra Menesini.
 
 

La Stampa - Tutto Libri, 10.5.2003
Eco insegna le regole del mestiere

Il commissario Montalbano ha i baffi? Per quanto si tratti di uno dei personaggi attualmente più famosi in Italia, non c'è una risposta univoca a questa domanda. Dipende dalle versioni. Nelle pagine di Camilleri, anche se una volta si accenna a dei "baffetti", manca un'accurata descrizione fisica del celebre poliziotto di Vigàta. Nella rappresentazione televisiva di Zingaretti c'è un'ombra di barba ma niente baffi. In una meno nota raffigurazione a cartoni animati lo stereotipo del viso scuro adorno di mustacchi è ben presente. Alla radio la questione è del tutto ininfluente. Potremmo dire: chiediamolo all'autore; che però, interrogato in proposito, s'è spesso schermito. Oppure: lasciamolo stabilire ai suoi numerosi fans. Sì, ma quali? I lettori, i telespettatori, gli amanti del fumetto, gli ascoltatori radiofonici? Insomma, la faccenda va discussa, non foss'altro perché ogni possibile risposta implica complesse decisioni preventive circa la natura di un personaggio, la sua proprietà da parte di un autore, la sua fortuna presso il pubblico, la sua gestione estetica ed editoriale. Una domanda oziosa suscita interrogativi tutt'altro che ovvi. Qualcosa del genere viene mostrato nell'ultimo libro di Umberto Eco, Dire quasi la stessa cosa (Bompiani, pp. 391, € 18), dedicato all'intricata questione della traduzione, sia essa la traduzione propriamente detta, quella fra due lingue, come anche quella fra testi appartenenti a linguaggi diversi come la letteratura, la pittura o il cinema. La pratica del tradurre, sostiene Eco, richiede un costante esercizio di pazienza e di umiltà (tant'è che spesso non viene sufficientemente valorizzata), ma anche e soprattutto una serie di impegnative decisioni circa il testo che si deve "voltare" da una versione di partenza, già data, a una nuova, tutta da costruire. Il traduttore compie cioè, in modo più o meno intuitivo, più o meno riflesso, una serie di operazioni molto delicate, che comportano una grande quantità di prese di posizione sull'eventuale rispetto da tributare all'autore, sull'ausilio da fornire al lettore, sulla cultura di riferimento dell'uno e dell'altro, sugli obiettivi comunicativi del testo, il suo stile, la sua musicalità, la sua collocazione storica e così via. La questione della traduzione si fonda, ricorda Eco, su un paradosso: se pure in linea di principio è impossibile una traduzione perfetta, dato che non esistono due lingue strutturalmente sovrapponibili, la pratica del tradurre è al tempo stesso necessaria e diffusissima. Le lingue sono fra loro incommensurabili, restando comunque perfettamente comparabili. Tanto vale allora, più che discutere che cosa sia e in che cosa consista teoricamente la traduzione, esplorare che cosa accade in effetti nel corso dell'esperienza del tradurre. Esperienza che Eco ha fatto personalmente, non solo traducendo testi complessi come gli Esercizi di stile di Queneau o Sylvie di Nerval, ma anche discutendo fittamente con i molteplici traduttori dei suoi romanzi, nonché, in qualità di redattore e responsabile di collana, rivedendo traduzioni altrui da destinare alla stampa. Ne viene fuori una ricchissima raccolta di esempi e di casi concreti, che prendono in considerazione autori e testi di epoche e culture diverse, da Joyce ad Aulo Gellio, dalla Bibbia a Eliot, da Manzoni a Poe. Più che un libro di traduttologia, ecco insomma il racconto di una serie di problemi e di quelle che Eco chiama "negoziazioni", ossia delle soluzioni volta per volta adottate, sulla base delle decisioni ritenute localmente pertinenti. Tradurre non è, allora, essere più o meno fedeli, più o meno traditori, secondo un filone di pensiero un po' moralistico. È semmai attuare continue forme di compromesso fra i vari elementi in gioco: l'autore, il lettore, il testo e, perché no? Il traduttore medesimo. Ma nel libro c'è in realtà molto di più, in quanto ognuno dei casi concreti ricordati da Eco evoca problemi filosofici e semiotici molto delicati, che vengono regolarmente esposti e discussi. Ed ecco allora passare in rassegna i principali concetti dell'attuale riflessione sul linguaggio: la natura del significato, la centralità dell'interpretazione, la relazione fra schemi cognitivi e culture di riferimento, il referenzialismo, l'intertestualità, la relazione fra codici che usano materie sensoriali diverse, gli effetti visivi della lingua verbale e così via. Scopriamo in tal modo che la pratica della "negoziazione" non è relativa soltanto all'esperienza traduttiva, ma è presente più in generale ogni qualvolta riconosciamo il significato di una parola o di un intero testo, ma anche attribuiamo un certo senso agli elementi diversi del mondo che ci circonda. Da questo punto di vista, Dire quasi la stessa cosa continua il lavoro di ricerca avviato da Eco in precedenti volumi teorici, soprattutto Lector in fabula (1979) e Kant e l'ornitorinco (1997), dove già il principio della condivisione intersoggettiva del significato e della cooperazione interpretativa erano esposti in tutta la loro centralità. Laddove in quei libri venivano esposte le basi teoriche generali della cooperazione e della negoziazione, quest'ultimo volume le discute nuovamente, e le riafferma, sulla base di un problema al tempo stesso centrale e specifico qual è, appunto, quello della traduzione. Centrale perché evoca i principali fenomeni linguistici e comunicativi. Specifico perché la traduzione viene comunque intesa da Eco sotto l'egida dell'interpretazione. Se ogni traduzione è una forma di interpretazione, non vale per questo il contrario: l'interpretazione è per Eco un fenomeno semiotico più generale. Da qui la pertinenza dei presunti baffi del celebre commissario di Vigàta: metterli o meno non è solo un problema di traduzione fra linguaggi, ma anche di lettura del personaggio e con essa di visione del mondo.
Gianfranco Marrone
 
 

Lire, 5.2003
Le roi Zosimo
Andrea Camilleri, 375 p., Fayard, 20 €

Quelle galéjade, allez-vous dire! Eh non, Michel Zosimo, paysan sicilien misérable, surduoé et voyant, devint bien roi éphémère de Girgenti, l’ancienne Agrigente, en 1718, après avoir désarmé l’armée piémontaise. C’est en découvrant sa trace dans un opuscule que le très gourmand, prolixe et inspiré Camilleri, dont dix-huit romans tantot policiers, tantot historiques sont déjà traduits en français, décida d’en faire le récit. Ce grand raconteur d’histoires siciliennes, inventeur quand il faut, chroniquer quand il sied, n’a pas son pareil pour mettre en scène et en verve ce fieffé Zosimo qui apprit à lire et à se cultiver aux cotés d’un ermite illuminé. Derrière Zosimo et son histoire, c’est toute une société, mal partagée entre des paysans et une poignée de grands propriétaires terriens, le tout sous domination espagnole, qu’Andrea Camilleri, qui connait son ile sur le bout des doigts, dépeint avec drolerie et conviction (anticléricale notamment). Né en 1925, dans le coin, il livre avec ce roman auquel il travaillait depuis des années, le meilleur de son savoir-faire ainsi qu’un vibrant hommage à la liberté et au reve.
Repères
En Italie, la langue est un millefeuille marqué par la persistance de dialectes. Camilleri, plus que d’autres, utilise cette inventivité verbale en melant étroitement, depuis son premier livre, l’italien littéraire et le dialecte sicilien auxquels il adjoint ici des expressions espagnoles et un italien d’époque, délicieusement suranné. De cette façon, chaque personnage, chaque classe sociale et chaque situation possède son vibrato. Pour rendre cette richesse linguistique, Dominique Vittoz, la traductrice du Roi Zosimo et des precédénts La saison de la chasse et Un filet de fumée, transpose l’effet de décalage entre l’italien classique et le dialecte en recourant à un décalage du meme ordre entre français moderne d’un coté et français régional de Lyon ou ancien français de l’autre. Un parti pris bien plus intéressant que celui qui aurait consisté à recourir à l’argot ou au patois. “Le lecteur français, meme s’il ne consulte pas le lexique obligeamment mis à sa disposition par la traductrice, tout comme le fait à partir d’un texte original de Camilleri un Italien qui ne connait pas le sicilien, perçoit donc le mouvement général des phrases et du récit, emporté qu’il est par le mouvement de la narration et des dialogues, dans une lecture globale que pimentent des termes ou des expressions peut-etre inhabituelles pour lui, voire oubliées, mais nullement hermétiques”, explique judicieusement Mario Fusco dans sa préface.
Catherine Argand
 
 

La Sicilia, 12.5.2003
Miccichè «scomunica» Camilleri
Montalbano «indaga» su Berlusconi?
Camilleri? La sua prosa nasconde attacchi a Berlusconi. Parola del viceministro Gianfranco Miccichè che in un intervento a Ragusa ha duramente attaccato lo scrittore, esortando gli stupiti amministratori a non usare i luoghi del commissario Montalbano, come promozione turistica.

Ragusa.  Montalbanomania? Macchè! I luoghi celebrati nello sceneggiato televisivo più «in» degli ultimi anni? Dimenticateli, non vanno utilizzati a scopo promozionale. La prosa di Camilleri? Nasconde un costante attacco contro Berlusconi. Parola di Gianfranco Miccichè, vice ministro per l'Economia, coordinatore regionale di Forza Italia che, ieri mattina, a Ragusa, durante una visita a sostegno della campagna elettorale condotta dal sindaco uscente Domenico Arezzo, ha preso di mira, senza mezzi termini, lo scrittore di Porto Empedocle, tra lo stupore generale anche di qualche compagno di partito che, sulle fortune di Montalbano, ha raggiunto, a livello locale, traguardi insperati sul piano della valorizzazione del territorio. Una visione che, evidentemente, dovrà essere capovolta dopo quanto sostenuto da Miccichè. «Montalbano subitelo - ha detto tra l'altro il vice ministro - non menatelo a vanto. Ho letto uno degli ultimi libri di Camilleri. Scrive contro Berlusconi. Ha storpiato i nomi di alcuni ministri ma il riferimento è chiaro. Si vede che è prezzolato, idealmente o realmente, dai nostri avversari politici. Per cui, non fate in modo che la provincia di Ragusa venga caratterizzata dall'esistenza di fattori promozionali rivolti ad un nostro grandissimo nemico. Camilleri è un «assassino» del centrodestra».
In sala è sceso il silenzio. Qualche imbarazzo anche perchè, proprio nell'area iblea, della «Montalbanomania», si è fatto un cavallo di battaglia. Basti pensare che l'amministrazione comunale di Modica, retta dal centrodestra, ha conferito la cittadinanza onoraria a Luca Zingaretti, l'attore che impersona il commissario. E lo stesso, se non fosse stata bruciata sul tempo, avrebbe voluto fare anche la Giunta del capoluogo, retta sempre dalla Cdl, che sulle fortune dello sceneggiato trasmesso dalla Rai ha comunque fondato buona parte della promozione turistica. «Le città della provincia di Ragusa - ha aggiunto Miccichè - caratterizziamole in un altro modo, con i prodotti ortofrutticoli ad esempio. Carote, peperoni, melenzane. Sempre meglio di Montalbano». E la fine di un idillio tra il territorio ragusano e il commissario di Camilleri? Chissà.
Giorgio Liuzzo
 
 

Gazzetta del Sud, 12.5.2003
Ragusa. Il viceministro Miccichè contro Camilleri alla convention di Forza Italia
«Basta con Montalbano»
Amministratori invitati a puntare su altri “prodotti”

RAGUSA – Prima un invito al candidato sindaco della Casa delle Libertà Domenico Arezzo di parlare solo in terza persona, coinvolgendo la coalizione; poi, il ricordo agli altri partiti del Polo che Forza Italia resta la forza maggiore; quindi, l'affondo contro Andrea Camilleri, reo di aver scritto un libro contro Berlusconi. La conseguenza è un invito esplicito ai ragusani: «Montalbano subitelo, ma non vantatelo, perché il signor Camilleri è uno che scrive contro Berlusconi». Il vice ministro dell'Economia Gianfranco Miccichè, in provincia di Ragusa per supportare i candidati a sindaco del centro destra, usa il bastone e la carota. Prima che prenda la parola alla convention di Forza Italia, sul podio si alternano il deputato nazionale Giovanni Mauro, il senatore Riccardo Minardo, il deputato regionale Innocenzo Leontini, il presidente della Provincia Franco Antoci e il candidato sindaco Domenico Arezzo. Quindi tocca a Miccichè. Il plenipotenziario di Berlusconi in Sicilia mette in evidenza i risultati portati a casa con il governo Berlusconi e lo fa rimarcando le differenze con la coalizione avversaria: «Mentre Violante, Mussi, Rutelli e D'Alema, in Sicilia, dicevano che il governo Berlusconi si è dimenticato della Sicilia, il Cipe firmava gli assegni per 14,2 miliardi di euro per il Mezzogiorno, la cifra più alta mai ricevuta dal Sud. Alla Sicilia sono arrivati 640 milioni di euro. In più, sono arrivati altri 800 milioni di euro, grazie al lavoro fatto da Enrico La Loggia per il contenzioso Stato-Regione». Restando sui temi economici, Miccichè ha rimarcato le peculiarità della provincia iblea, ricordando che questa «è la provincia numero uno in Sicilia per prodotto interno lordo. State meglio degli altri – ha rimarcato – e crescete meglio degli altri». Ciò, comunque, non significa che a Ragusa non arriverà una parte dei fondi destinati alla Sicilia, perché «è la Regione ad essere obiettivo uno e voi siete qui». Al tema del giorno, la polemica su Telekom Serbia, Miccichè dedica solo un passaggio, chiarendo subito di non voler entrare nel merito e di non saper bene cosa sia questa questione. Ma, aggiunge, «davanti a me ho questa fotografia: uno sta in galera, è assassino riconosciuto, accusa Berlusconi ed esce; un altro è fuori dalla galera, non è riconosciuto delinquente da nessuno, accusa Prodi e vi entra». Miccichè ha scoperto, arrivando a Ragusa, che, nel capoluogo ibleo, non c'è l'accordo tra la coalizione che supporta il sindaco uscente Arezzo e Nuova Sicilia. E' rimasto meravigliato e non l'ha nascosto. Nel corso della convention ha ammonito i rappresentanti della Casa delle Libertà e, indirettamente, anche Nuova Sicilia. «E' necessario che il rapporto a Ragusa cambi. Deve cambiare – ha aggiunto – più da parte loro che da parte nostra. Però, coinvolgete anche il livello regionale. Nuova Sicilia è un partito cui la CdL ha dato due collegi nazionali, per cui non può decidere di andarsene così». Il vice ministro ha assicurato il suo intervento immediato: «Chiamerò Bartolo Pellegrino, obbligandolo a un disimpegno. Non c‘è motivo perché i candidati della sua lista debbano far votare un sindaco inesistente. Pellegrino ce lo deve». Prima di lasciare il palco del teatro don Bosco, il vice ministro torna a parlare del commissario Montalbano e del suo “padre”, Andrea Camilleri, ammonendo gli amministratori iblei: «Per favore, tutto questo vanto di Camilleri vorrei evitarlo. Scrive bene, ma se una persona mi sta tentando di massacrare non mi piace più. Non posso essere contento che un posto si caratterizzi dell'esistenza di un nostro nemico».
Antonio Ingallina
 
 

Carmilla, 12.5.2003
Il regno delle due Sicilie: Battiato abbraccia Camilleri

“Il regno delle due Sicilie emblematizza due generi opposti di rappresentazione: una mitologica e perciò umana (quella di Battiato), l'altra finzionale e antiumana (quella del Camilleri televisivo).”
“Contro questa Sicilia, si schiera quella cartolinistica, inesistente, falsissima, radiosamente crepuscolare che gli italiani hanno subìto assistendo alla veterofiction di Montalbano.”
Ho stampato l’articolo di Giuseppe Genna, pubblicato il 9 maggio su Carmila on line, e sottolineato le parole che, in questo mio scritto, riporto in apertura, a mo’ di citazione. Amo tantissimo Battiato, e da anni leggo con piacere i romanzi di Camilleri (che non ha scritto solo storie imperniate su Salvo Montalbano), e devo confessare che sono parole che mi hanno fatto molto riflettere, forse mi hanno anche turbato un poco.
Per questo ho messo su un cd di Battiato e posato accanto a me, vicino alla tastiera del computer, il romanzo di Camilleri che amo di più - La concessione del telefono -, come se i due oggetti, l’uno esplicando i suoi effetti attraverso gli altoparlanti, l’altro mostrandomi civettuolo la copertina, potessero dare risposta ai miei dubbi.
Alla fine sono giunto a una conclusione alla Catalano: la musica è musica, la fiction è fiction. E i film di un musicista sono i film di un musicista. Aggiungerei anche: “La Sicilia è Sicilia”, se non temessi di dilungarmi troppo in simili, tautologiche, affermazioni.
Innanzitutto un appunto a Giuseppe Genna (ma piccolo piccolo, ché, in fin dei conti, non ha comunque sbagliato il centro che di pochi millimetri): se parla di Montalbano in TV, non parla del Montalbano letterario. Quello della fiction TV è un Montalbano decorativo, utile alla finzione televisiva; chiunque abbia letto i romanzi che lo vedono protagonista, sa che il Montalbano di carta è cinquantino e non si sa esattamente che aspetto abbia, mentre il Montalbano TV ha la faccia di uno Zingaretti che impersona perfettamente il poliziotto rude ma buono, poco propenso a rivelare i propri sentimenti, epperò profondo e legato a valori positivi e, per soprammercato, gaglioffo e amato dalle donne. Dicevo, un appunto piccolo piccolo, perché le fiction TV, in fin dei conti, rispecchiano pressoché integralmente i romanzi.
Fatto l’appunto, però, devo concordare con Genna. E’ vero: Montalbano (intendo la fiction-romanzo, non il personaggio) è falso, slegato dalla realtà locale, talvolta macchiettistico; tende a rappresentare una Sicilia iconografica, evocativa di sensazioni comuni e comprensibili a spettatori cresciuti a storie di mafia, e di poliziotti buoni che non rispettano le gerarchie burocratiche, e di episodi di bontà deamicisiani, e di piccoli episodi quotidiani che s’incasellano nel grande trascinarsi degli eventi, e tante altre cose ancora.
Trovo che sia una cosa naturale: la fiction (così come i bestseller) vive della propria capacità di essere compresa da ampi strati della società, senza necessità di un valore qualitativo eccelso.
Ma è fiction. Solo fiction.
Una fiction che forse ci fa sentire (noi siciliani, intendo) talvolta stupidotti, talvolta scaltri, oppure insistentemente ossequiosi, dediti a complotti, capaci di grandi slanci come di azioni terribili, o in mille altri modi. Comunque mai come persone normali, che vivono la vita di ogni giorno senza raffrontarsi in continuazione col resto del mondo oltre lo Stretto. 
Camilleri infarcisce i suoi romanzi di poliziotti semianalfabeti o imbecilli e di poliziotti volponi. Non esiste la via di mezzo (che poi sarebbe il poliziotto ordinario, quello che, probabilmente incontreremmo recandoci in un qualsiasi commissariato). E poi: professori in pensione legati a valori antichi, vecchi boss mafiosi che parlano come filosofi, giovani boss mafiosi irruenti e violenti, anziane e sagge signore in carrozzina che danno consigli sulle indagini, operai umili ma onesti, immagini di miseria e di unità tra poveri, collaboratrici domestiche che ringraziano il commissario di aver arrestato i loro figli straviati (non è una citazione!).
Tutto eccessivo? Tutte immagini per palati dai gusti poco raffinati? Finzione scenica di bassa lega?
Forse. Però a me piace… Piaceva, prima di leggere l’articolo di Genna.
Ma è finzione anche l’opera di Battiato, che, per inciso, fu pure lui accusato di fare musica commerciale e di bassa lega.
Non ho visto il film diretto dal musicista, ma lo intuisco attraverso le parole di Genna.
“La Sicilia di Battiato è l'India: un'India shankariana vista con occhi sudamericani. Colombiani, per la precisione: è un'adolescenza che Garcìa Marquez iscriverebbe nella sua Macondo quella che Battiato illumina con una luce per nulla abbagliante, aprendo porte strane e metafisiche:…”
Chi vive in Sicilia - chi vive la Sicilia! – non vede ciò che lo circonda con “occhi sudamericani”, non sa nemmeno cosa voglia dire “shankariano”, e ritengo che quelli che sanno cosa sia Cent’anni di solitudine, siano in numero molto minore di quelli che sanno dove trovare “Cronaca vera”.
Battiato, nella musica (come, suppongo, nel suo film) racconta spesso la sua infanzia e la sua giovinezza.
Mammanu ca passunu i jonna
Sta frevi mi ntrasi nta l’ossa
Cu ttuttu ca fora c’è a guerra
Non mori
Mi sentu stranizza d’amuri
L’amuri
E ancora
E quannu t’ancontru nta strata
Mi veni na scossa nto cori
Cu ttuttu ca fora si mori
Non mori
Stranizza d’amuri
L’amuri
Trovo bellissimi questi versi, così come questi altri, tratti dalla stessa canzone:
Nto vadduni da Scammacca
Ogni tantu i carritteri
Ci lasaunu i loru bisogni
E i muscuni c’abbulaunu supra
Jemmu a caccia di lucettuli
A litturina da Ciccumettnea
I saggi ginnici, u Nabuccu,
a scola sta finennu
Descrizioni commoventi di un’infanzia rivista sotto una luce soffusa, ambrata. Nostalgie di un poeta, capaci di evocare nostalgia in chi le ascolta.
E’ vero (cito Genna): “La Sicilia di Battiato è un'esperienza del sogno che ha attraversato lo sguardo di un'infanzia sicula e mitologica, vera, storica, una coincidenza miracolosa che capita all'artista, quando fa incrociare la storia dell'umanità con la specola di se stesso.”; ma fino a un certo punto!
La profondità del messaggio, il fatto che scaturisca dalla volontà di esprimere se stessi e non solo dalla necessità di conquistare nuove fette di mercato, la sua bellezza intrinseca, non deve indurre a pensare che sia “più vero” di quello trasmesso dai romanzi-fiction di Camilleri, che è siciliano quanto Battiato (e quanto altri cinque milioni e mezzo di persone), ma fa un mestiere diverso e, soprattutto, vuole raggiungere (per il tramite di Montalbano) fini diversi.
Prendersela, per come la vedo io, può essere forse una naturale presa di posizione di chi ama la propria terra e non desidera che venga messa in ridicolo assieme a tutti i suoi abitanti; ma è pur vero che la rappresentazione sintetica, edulcorata e romanzesca della realtà (la scimmia di cui parla Genna) non riguarda solo la Sicilia. Per anni abbiamo trangugiato film western e avventure di Bruce Lee (due esempi a caso, ché la lista sarebbe lunga), senza chiederci come potessero sentirsi gli abitanti del Far West a essere descritti come truci sterminatori di indigeni. O gli abitanti di Hong Kong a essere immaginati come una razza di esseri litigiosi e perennemente dediti a cavarsi, con le dita, gli occhi l’un l’altro.
Mal comune, mezzo gaudio; e forse è comunque positivo che la Sicilia abbia un’immagine sua, un’identità, una dignità (magari vilipesa): altre regioni d’Italia non sono altrettanto fortunate.
Il compito di chi vende divertimento è attirare il pubblico, e il pubblico, nelle sue considerazioni, non è sempre sottile come si desidererebbe.
Piacerebbe anche a me che i siciliani non fossero immediatamente identificati con i personaggi de Il Padrino (due sequel, se non ricordo male, tutti di grande successo), o de La Piovra (tantissimi sequel!), o come i ragazzi dentro (verissimi eppure iconografici anch’essi), di Mary per sempre. Mi piacerebbe perché, ogni volta che vado più su di Napoli – e per il solo fatto che cerco di comportarmi secondo l’educazione che i miei genitori mi hanno impartito - mi sento dire che non sembro siciliano, come se quella siciliana fosse una razza particolare, una genìa che adora andare in giro armata a terrorizzare e uccidere, o anche solo a intessere importanti relazioni votate a chissà quali fini illeciti.
In questo contesto, trovo che Montalbano sia il minore dei mali, probabilmente il più innocuo dei modelli negativi. In fin dei conti si tratta di un poliziotto buono che combatte i grandi incubi del giorno d’oggi: pedofilia, traffico d’organi, politici corrotti, trafficanti di droga, caronti di extracomunitari. Anche qualche mafioso, ogni tanto.
Ecco, ora che ho messo su carta i motivi del mio turbamento, e ad esso ho dato sollievo, mi sento meglio.
Continuerò ad ascoltare Battiato e andrò a vedere il suo film. E continuerò a leggere Camilleri, a guardare le fiction in TV, divertendomi a riconoscere i posti dove sono state girate le scene - tutti posti lontanissimi da Vigata-Porto Empedocle -, magari per decidere di andarci a fare una capatina.
E’ fiction. Solo fiction.
Mauro Mirci
 
 

La Vanguardia, 12.5.2003
Opinion (El Runrún)

Por un artículo de Màrius Serra ("Promoción literaria", 8/V/03) nos enteramos de que el Ayuntamiento de Porto Empedocle, en Sicilia, ha honrado al escritor Andrea Camilleri cambiando el nombre de la ciudad. Camilleri se inspiró en Porto Empedocle, donde nació, para crear la ficticia "Vigàta", en la que vive su personaje Montalbano; y ahora el Consistorio ha bautizado la ciudad Porto Empedocle Vigàta. ¿Es eso la gloria? Los buenos lectores saben que Macondo, donde transcurre "Cien años de Soledad", es (con todos los matices que se quiera) Aracataca, ciudad natal de García Márquez, igual que el barón de Charlus, en "A la búsqueda del tiempo perdido", es el conde de Montesquieu; pero pocos autores han tenido el honor de que sus personajes o escenarios crucen, en el sentido inverso, la frontera que separa la realidad de la ficción. Tan excepcional como el Porto Empedocle Vigàta es el caso del pueblo francés llamado hoy Illiers-Combray, nombre compuesto a partir del "Illiers" verdadero y el "Combray" inventado por Proust; o el de la villa manchega de El Toboso, donde se puede visitar una casa llamada "de Dulcinea"; o el de Alice Liddell, que por haber sido en su infancia amiguita de Lewis Carroll, hasta el fin de sus días fue conocida como "Alicia, la del País de las Maravillas"... ¿Qué es la gloria? De lejos, parece fácil contestar esa pregunta. La gloria sería que algún día, tras la muerte del artista, se escriban libros sobre su vida, o se dé su nombre a una calle, o se publiquen sus cartas o su casa se convierta en museo...
Pero eso que se llama aceleración de la historia está produciendo un efecto curioso: achata el mito. Antes, la biografía estaba separada de la vida por el tiempo y la distancia, que permitían estilizar, depurar, idealizar: el biografiado adquiría un aura, una pátina; parecía predestinado, hecho de otra materia que la del común de los mortales. Ahora, cuando las biografías se escriben tan pronto como el biografiado ha  muerto, si no antes, cada vez es más difícil ocultar que fue como qualquiera de nosotros. Yo traduje la biografía de una escritora que trabajaba en una revista, hacía régimen para adelgazar y cuidaba las plantas. Las cartas de muchos artistas, cuando se publican, resulta que sólo hablan de dinero y cotilleos. En uno de sus sarcásticos poemas, Philip Larkin se imagina a su futuro biógrafo contándole a un colega, junto a la máquina de coca-cola de la biblioteca, que ese tal Larkin era un reprimido, un tarado, sin mayor interés, y que está escribiendo su biografía porque no le queda más remedio si quiere un contrato fijo en el departamento... ¿El nombre de una ciudad, entonces, o de una calle?... Camilleri, con muy buen criterio, ha sido el primero en señalar que lo de Porto Empedocle Vigàta es más que nada una maniobra turística: donde parece que se le honra, en realidad se le usa. Yo paso cada día por una callejuela feísima, pobretona, compuesta por desangelados edificios de ladrillo, que se llama María Zambrano. Pobre María Zambrano: ¿para aeso trabajó toda su vida, se entregó a su obra, soportando la miseria y el exilio,?... Dice Proust que el escritor empieza a escribir po la gloria, pero termina haciéndolo por la literatura misma. Más le vale.
Laura Freixas
 
 

La Sicilia, 13.5.2003
Camilleri «si avvale della facoltà di non rispondere» alle accuse del viceministro Miccichè che lo ha definito «assassino del centrodestra e nemico di Berlusconi».
«Non ribatto a Miccichè»
Camilleri tace. E Granata difende il commissario Montalbano

Agrigento. Probabilmente non risponderebbe nemmeno se ad interrogarlo fosse il commissario Montalbano, il celebre personaggio che lui stesso ha creato. Andrea Camilleri ha insomma scelto di non replicare alle accuse che gli ha rivolto il viceministro dell'Economia Gianfranco Micciché (che domenica a Ragusa gli ha dato, tra altre cose, dell'«assassino del Centrodestra» e del «nemico di Berlusconi»). «A Gianfranco Miccichè non rispondo» ha detto seccamente Andrea Camilleri che peraltro non ha mai nascosto le sue inclinazioni politiche tanto da avere accettato la nomina di consulente per la cultura dal candidato del Centrosinistra alla presidenza della Provincia di Agrigento, Gigi Birritteri. Ieri Gianfranco Miccichè, viceministro e coordinatore regionale di Forza Italia, ha in parte corretto il tiro ma ha ribadito: «Nessuna polemica con Camilleri, ma non lo conosco e non lo voglio conoscere».
Ieri da Catania anche il leader dell'Udc Marco Follini ha preso le distanze da Micciché: «Leggo Montalbano e sono amico di Silvio Berlusconi e tra le due cose non vedo contraddizioni». Da Agrigento invece, a due passi da Vigata, l'assessore regionale ai Beni culturali Fabio Granata ha dichiarato: «Ognuno ha i suoi gusti letterari ed ognuno interpreta il rapporto tra politica e cultura come meglio crede. Io ritengo però che lo sceneggiato di Montalbano ha oggettivamente promosso un'area della Sicilia. Vorrei ricordare che a Ragusa le presenze turistiche sono aumentate del 29 per cento, mentre a Siracusa del 21 per cento. A Micciché questo dovrebbe fare piacere. E poi i turisti lì ci vanno non perché c'è solo Montalbano, ma anche perché c'è la qualità del territorio, ci sono i prodotti tipici e c'è la Val di Noto ed il suo barocco».
C'è insomma imbarazzo anche tra gli stessi uomini del Centrodestra perché sul business legato al commissario Montalbano ed ai luoghi in cui è stata girata la fiction tv si è creata una fiorente economia: l'Apt ragusana ha inserito la casa utilizzata nelle riprese tv sul commissario Montalbano in un tour turistico, sono nati bed and breakfast per accogliere i turisti in cerca degli angoli raccontati nei romanzi di Camilleri, alla Bit di Milano è stato presentato un video per illustrare «i luoghi del commissario Montalbano», mentre Modica, retta peraltro da una giunta di centrodestra, ha conferito la cittadinanza onoraria all' attore Luca Zingaretti, senza dimenticare che il presidente della Repubblica Ciampi ha nominato cavaliere l' attore e grande ufficiale Andrea Camilleri.
Fabio Russello
 
 

La Sicilia, 13.5.2003
La polemica. Il deputato vittoriese La Grua non condivide il pensiero del viceministro Miccichè
«Non ripudiamo i luoghi di Montalbano»

Una cosa è la politica, un'altra è la serie televisiva. Soprattutto se quest'ultima spinge l'arrivo dei turisti. Il giorno dopo, le esternazioni del vice ministro per l'Economia Gianfranco Micciché su Andrea Camilleri e il suo famoso «figlio di penna», il commissario Salvo Montalbano, rimbombano tra perplessità e disaccordi all'interno della stessa coalizione di centro destra. Il deputato di An Saverio La Grua non ha alcuna remora a prendere apertamente le distanze dalle parole che il leader di Forza Italia ha usato durante la visita a sostegno della campagna elettorale del sindaco uscente di Ragusa, Domenico Arezzo. «Non posso non dissociarmi - scrive l'on. La Grua in una nota - dalle valutazioni di Micciché sull'utilizzo del commissario Montalbano come mezzo di promozione del nostro territorio». Riconoscendo al vice ministro il merito del risultato elettorale di due anni fa in Sicilia e la paternità dei consistenti aiuti finanziari all'isola, il deputato vittoriese distingue il giudizio politico di Micciché sullo scrittore (ha detto il vice ministro: "Ho letto uno degli ultimi libri di Camilleri, scrive contro Berlusconi, ha storpiato i nomi di alcuni ministri ma il riferimento è chiaro. Si vede che è prezzolato, idealmente e realmente, dai nostri avversari politici. Per cui - riferito agli amministratori locali della Casa delle libertà - non fate in modo che la provincia di Ragusa venga caratterizzata dall'esistenza di fattori promozionali rivolti ad un nostro grandissimo nemico...") al marketing turistico legato alla scenografia della serie televisiva ammirata in tutta Europa. «Le valutazioni politiche - prosegue La Grua - su Andrea Camilleri posso anche condividerle, ma ciò non può e non deve impedire agli enti locali o a quelli preposti allo sviluppo turistico della nostra provincia di utilizzare l'immagine ed i luoghi di Montalbano per richiamare nel nostro territorio tanti turisti che vogliono vedere nella realtà i palazzi, le chiese, i paesaggi, le case, il mare che hanno visto in tv nei vari episodi. Sarebbe un errore se questa popolarità non venisse adeguatamente sfruttata, anche se questa è frutto della fantasia di uno scrittore del quale non si condividono le idee politiche ostili agli uomini del centro destra». Per La Grua anche stavolta il fine giustifica i mezzi. «Con buona pace di Micciché i ragusani continueranno a menar vanto degli splendidi luoghi dove è stata filmata la fiction».
Antonio Casa
 
 

La Sicilia, 13.5.2003
Elezioni. Il segretario dell'Udc a Catania: «Bossi esagera con la sua devolution. Voteremo una legge che non danneggi nessuno»
Follini: «Noi, una garanzia per il Sud»

[...]
Senta, onorevole Follini, lei che è uomo di pace, pensa, come Gianfranco Miccichè, che Andrea Camilleri e il suo commissario Montalbano tramino (anche loro) contro Berlusconi?
«Leggo Montalbano e sono amico di Silvio Berlusconi. Dico solo che tra le due cose non vedo contraddizioni».
Andrea Lodato
 
 

La Repubblica, ed. di Palermo, 13.5.2003
IL VILLAGGIO
La polemica di Miccichè contro l´autore di Montalbano
Gianfrancuzzo aiuta il turismo
Lettera di Mariannina Scuffaro, amica oramai dilettissima del direttore di questo giornale.

Direttore mio, ve lo dissi in passato e ora ve lo ripeto, Gianfrancuzzo Miccichè non lo voglio toccato, perché lui è bellu giovine e quando parla spara cantonate. Lo dissi stamattina anche dalla parrucchiera Santuzza, che ha una bottega sotto casa mia.
E fu lì, mentre stavo sotto il casco per farmi i riccioli - sì, direttore mio, riccioluta sono, anche se non di natura ma di permanente - che ci fu il cortiglio generale. Dissero che Gianfrancuzzu ha mandato la fatuah a Montalbano e a Camilleri, davanti a tutti li condannò, vestito magari della jellaba, dissero, e senza mezze misure per giunta, perché comunista e mangipicciriddi. E per questo alla bottega ci fu mormorio generale, perché nessuno conosce questo Camilleri ma tutti conoscono il commissario Montalbano.
E tutte quelle galline dicevano: «Io a Montalbano non lo voglio toccato, ché ammazzasse piuttosto questo Camilleri, chi è poi, chi lo conosce?». Dicevano. E qualcuna che si dava arie di femmina di intelletto, invece è 'na sciollera e non voglio dire chi è perché non voglio fare pettegolezzi - certe cose si dicono solo a voce e se Lei, direttore mio, vuole saperlo io glielo dico poi in privato; insomma questa sciollera di femmina disse: «Come chi è? Quello che ha scritto Montalbano è». E naturalmente alla bottega ci fu il finimondo - Cettina Sghembari si bruciò persino i capelli per avere fatto la pazza sotto al casco - perché nessuna e dico nessuna volle crederci, ché Montalbano dissero tutte è opera di natura, e che qualcuna di loro l´ha persino conosciuto, a Palermo, dove il dottor Montalbano in carne e ossa le fece un favore, quale non disse.
Poi nella confusione a me si rivolsero, che sono giramondo e cosmopolita: «Voi che ne pensate donna Mariannina?», così mi dissero.
«Che siete tutte cretine», risposi. «Primo perché non capite che Gianfrancuzzo non si deve toccare, secondo perché lui lo sa benissimo che Montalbano è un personaggio, persino Gianfrancuzzo lo è, e persino il cavaliere Berlusconi» - di se stesso, ho precisato, di se stesso; ché anzi lui si scrive e lui si recita. Che il mondo è fatto di due mondi dissi, quello che c´è e quello che si inventa. È quando i due mondi si toccano che avviene il patatrac.
E per portare esempio, diciamo per proverbio, dissi che qualche giorno addietro ero andata con mio marito - quello cretino - a Montelepre e mangiai nella trattoria "Il castello di Giuliano", e mangiai bene, anzi benissimo, sotto gli occhi del nipote del bandito, in tutte le pose e in tutte le forme presente, in fotografia gigantesca, in pittura - ora era quello il bandito assassino che le cronache dicono, o fantasia dell´immaginazione romantica del nipote? - che poi tanto romantico non doveva essere; - insomma questo chiesi: il Giuliano pittato era fantasia o realtà? O realtà diventata fantasia? O al contrario fantasia diventata reale come il dottor Montalbano della Questura di Palermo che avevano visto in carne e ossa?
«Ma allora il viceministro Miccichè chi voleva condannare?», chiesero.
«Nessuno. E che credete che il mio Gianfrancuzzu sia così stonato come voi? Quello voleva dare impulso al turismo. E poiché niente come una fatuah condannevole rende famoso un posto, una persona, chiunque» - persino del dottor Rushdie dovetti parlare a quelle cretine, che io stesso ho conosciuto con gli occhi miei a Washington, quello che aveva scritto i Versetti del Profeta al contrario e con tutte le porcherie dell´epoca. E che per questo è stato maledetto dal capo dei Mullah del suo paese (Gesuzzu quante cose so). E che da allora tutti fanno finta di volerlo ammazzare, per finta ripeto, con il vero scopo di fare vendere qualche libro alla Mondadori.
Per questo ora dico: Gianfrancuzzu, io ti approvo e ti do la mia benedizione, tu però sempre tosto sei, come da picciriddu. Ti benedico, perché il turismo quest´anno dicevano che era di malannata, invece con la tua condanna ora tutti vengono a vedere i luoghi di Montalbano, e senza che la Regione spenda una lira per fare pubblicità. E se per caso viene a fare turismo anche il dottor Montalbano di Palermo e il dottor Zingaretti da Roma vuol dire che si spartono gli autografi.
Silvana La Spina
 
 

La Repubblica, 13.5.2003
POLITICA. Il viceministro dell'Economia invita a non affidarsi al creatore di Montalbano per promuovere l'immagine di Ragusa
Micciché attacca Camilleri: "E' un assassino del Polo"
"Storpia i nomi dei ministri, ce l'ha con noi"

PALERMO - Meglio i pomodori e le zucchine che il commissario Montalbano. Per esportare l'immagine di Ragusa è meglio affidarsi ai prodotti ortofrutticoli - vanto e traino dell'economia della zona - che ad Andrea Camilleri. Parola del viceministro dell'Economia Gianfranco Miccichè, secondo il quale lo scrittore agrigentino da anni in testa alle classifiche di vendita dei libri, si trascina dietro una pecca che gli impedisce di fare da testimonial a questa zona della Sicilia dove è stato girato lo sceneggiato tv tratto dai suoi gialli: "Scrive contro Berlusconi. In uno dei suoi ultimi libri ha storpiato i nomi di alcuni ministri ma il riferimento è chiaro".
Probabilmente il riferimento è all'ultimo giallo, "Il giro di boa", nel quale il commissario Montalbano rimugina a lungo sul "presidente del consiglio che se la fissiava avanti e narrè per i carrugi di Genova", oppure si arrabbia per la legge "Cozzi-Pini" sull'immigrazione. Il vice di Tremonti, che l'estate scorsa aveva attaccato il regista Luigi Ronconi, "colpevole" di aver messo in scena a Siracusa una versione delle "rane" di Aristofane in cui comparivano le caricature di Bossi, Fini e Berlusconi, ora ha messo nel suo mirino il creatore del commissario Montalbano.
E lo ha fatto nel corso di un incontro elettorale a Ragusa. Il coordinatore siciliano di Forza Italia ha usato parole pesantissime contro lo scrittore: "Si vede che è prezzolato, idealmente o realmente, dai nostri avversari politici. Per cui non fate in modo che la provincia di Ragusa venga caratterizzata da iniziative promozionali riconducibili ad un nostro grandissimo nemico. Camilleri è un assassino del centrodestra".
Nella sala dove si svolgeva il comizio elettorale è sceso il gelo. Il fatto è che proprio in quella zona, un tempo isola rossa siciliana governata dal Pci e oggi roccaforte forzista, da qualche tempo si è innescato un feeling tra gli amministratori e lo scrittore. Il comune di Modica, retto dal centrodestra, ha conferito la cittadinanza onoraria a Luca Zingaretti (l'attore che ha impersonato il commissario Montalbano in tv) e la stessa giunta di Ragusa - guidata da un esponente di Forza Italia - ha inserito la casa utilizzata nelle riprese televisive in un tour turistico. Come se non bastasse, poi, l'assessore alla Cultura della Regione, Fabio Granata, di An, ha chiamato proprio Andrea Camilleri a fare da testimonial della Sicilia all'ultimo salone del libro di Parigi.
La sortita di Miccichè ha quindi messo in imbarazzo lo stesso centrodestra. Ieri, da Catania - dove era impegnato in un giro elettorale - il segretario dell'Udc Marco Follini ha tagliato corto: "Leggo Camilleri e sono amico di Silvio Berlusocni e tra le due cose non vedo contraddizioni".
Anche il viceministro dell'Economia è tornato sull'argomento. Solo per ripetere che "Camilleri è bravissimo, scriva quello che vuole, ma per caratterizzare Ragusa c'è di meglio".
L'eco delle parole pronunciate davanti ai forzisti ragusani, però, arriva fino alle orecchie dello scrittore siciliano che replica così: "Io sono tradotto in 22 lingue, succede che molti dei lettori abbiano voglia di vedere i luoghi dove si svolgono i miei romanzi. Questo rappresenta un piccolo incremento per il turismo in Sicilia, mi pare che per un vice ministro all'economia tutto questo dovrebbe essere importante". Poi Camilleri aggiunge: "Non è una questione di Polo o di poli. Io non faccio distinzioni, i sindaci rappresentano i paesi siciliani e i cittadini da cui sono stati eletti. Berlusconi? Non direi che tutti ce l'hanno con lui, Berlusconi va giudicato per quello che fa".
Goffredo De Marchis / Enrico Del Mercato
 
 

La Repubblica, 13.5.2003
Bonsai
Il Dott. Melanzana

Che non gli piacciano i pubblici ministeri, lo sapevamo da un pezzo. Che non ami i giudici, l´abbiamo capito. Ma ora scopriamo che il Cavaliere non gradisce neanche il commissario Montalbano. Anche se non ha mai indagato sul caso Imi-Sir, sul lodo Mondadori o sulla vendita della Sme, il più popolare (e il meno reale) dei poliziotti italiani è finito nel libro nero di Forza Italia. Apprendiamo dalla cronaca de «La Sicilia» che il viceministro Gianfranco Miccichè, proconsole berlusconiano nell´isola, ha spiegato ai compagni di partito che Andrea Camilleri «scrive contro Berlusconi» ed è «prezzolato idealmente o realmente dai nostri avversari», insomma «è un assassino del centro-destra».
Ma cosa si può fare per neutralizzare l´unico commissario di polizia che non dipenda dal Viminale? L´ordine impartito dal viceministro è quello di ignorarlo: da ora in poi non va più nominato tra i simboli della Sicilia. Per promuovere le nostre città, ha detto Micciché, «utilizziamo carote, peperoni e melanzane». Forse faranno anche una legge ad hoc, o magari una riforma costituzionale, per trasferire da Montelusa il commissario comunista. E così, al prossimo episodio, troveremo il suo successore: «Pronto, Melanzana sono".
Sebastiano Messina
 
 

l'Unità, 13.5.2003
Micciché ordina: "Camilleri è un nemico, l'assassino del centrodestra"

Altro che Montalbano: "Micciché sono: viceministro e viceré berlusconiano nelle terre di Sicilia". In preda ad un irrefrenabile delirio di onnipotenza Gianfranco Micciché sfodera la spada e mena fendenti ad Andrea Camilleri.
In visita elettorale a Ragusa, il finto professore universitario se l'è presa col papà del commissario Montalbano. "Camilleri subitelo - ha detto ai suoi - menatelo a vanto della Sicilia". Il perché è presto detto. Nell'ultimo suo libro, "Il giro di boa", Camilleri "scrive contro Berlusconi. Ha storpiato i nomi di alcuni ministri, ma il riferimento è chiaro". Certo, lo scrittore empedoclino  ha venduto milioni di copie con i suoi libri e nella sua Sicilia è semplicemente venerato, ma questo non basta, perché Micciché ("uno che ha tanto fiuto e non solo politico", secondo il suo ex nemico Ciccio Musotto) ha già pronto il suo anatema e non ci sarà bolla di componenda a sanare la diatriba. Perché "si vede che Camilleri è prezzolato, idealmente o realmente, dai nostri avversari politici. Per cui non fate in modo che la provincia di Ragusa venga promossa grazie a questo personaggio. Camilleri è un nostro grandissimo nemico, un "assassino del centrodestra". Certo, individuato il cadavere - il centrodestra - e l'assassino, ci vuole un commissario per arrestarlo. Detto fatto: c'è Montalbano. Che non sia la trama del prossimo romanzo? Nell'attesa, Micchiché ordina ai suoi di non caratterizzare più le città e i paesi del Ragusano con il famoso commissario. "Ci sono i prodotti ortofrutticoli, le carote, i peperoni, le melanzane". Più ortaggi meno libri. La folla forzista ha applaudito convinta, ed è tutto vero, non è la riedizione della gustosa gag dell'onorevole siculo-calabrese Cetto Laqualunque di Antonio Albanese, quello che alla fine di ogni comizio prometteva "cchiù pilu pi tutti". E' proprio lui, Gianfrancuccio Micciché. Che in un colpo solo si è inimicato il famosissimo scrittore siciliano, i suoi fans e anche molti sindaci di centrodestra della sua Sicilia. Quelli di Modica, proprio nel ragusano, che hanno conferito con tutti gli onori la cittadinanza onoraria a Luca Zingaretti, il Montalbano televisivo, e quelli di Porto Empedocle che hanno chiesto e ottenuto di aggiungere al nome originario della città anche quello della finzione, Vigata. Perché Montalbano tira, nelle librerie e in tv, con milioni di libri venduti e ascolti elevati, e la descrizione di angoli della Sicilia a volte sconosciuti è di per sé un traino per il turismo. Lo hanno capito i sindaci, i proprietari di alberghi e ristoranti, non lo ha capito Micciché. E questa non è una notizia.
Perché il viceministro è ormai totalmente preso dalla logica amico-nemico, impegnato com'è nel grande regolamento di conti (politico, s'intende) con il suo avversario in Sicilia: Marcello Dell'Utri. E quindi un Camilleri che parla di Genova e di G8, di governo e leggi razziste, del suo Montalbano che medita addirittura di lasciare la polizia non gli va proprio giù: è un nemico di Berlusconi. E il turismo vada a farsi benedire.
"Da tempo il viceministro Micciché manifesta evidenti sintomi di delirio, ma adesso sembra essere entrato nella fase più acuta", è il duro commento di Antonello Cracolici, segretario dei ds siciliani, "ora persino Camilleri nei suoi romanzi nasconderebbe una pericolosa trama comunista e il commissario Montalbano altro non sarebbe se non un agente al servizio del complotto anti-berlusconiano. Povera Sicilia, in che mani è finita!".
Che dire? Sull'ex venditore di Publitalia miracolosamente assurto al ruolo di viceministro, un vecchio signore parlemitano aveva le idee brutalmente chiare. Si chiama Pino Mandalari, è massone ed è accusato di essere il commercialista di Totò Riina: "Micciché è un cretino, è stato voluto da personaggi importanti ma non vale niente". Giudizi netti, ai quali l'interessato risponde scrollando le spalle. Lui tira dritto. Come fece un paio d'anni fa quando con un corteo di auto blu - c'era Totò Cuffaro e altri notabili forzisti siciliani - entrò nella via Sacra della Valle dei Templi ad Agrigento, i custodi protestarono e la vicenda finì sui giornali.
Inchiostro sprecato. Spallucce anche per la storia della coca al ministero: "Martello (il presunto pusher, ndr) non lo conosco", dichiarò ai giornali, poi si scoprì che lo conosceva e come. Gesti di strafottenza anche per la faccenda della finta docenza universitaria. Sul sito del ministero fa scrivere che insegna "Politiche di sviluppo e pianificazione nelle aree deboli" all'Università di Reggio Calabria, poi si scopre che non ha neppure una laurea, il rettore smentisce sdegnato e lui niente. Neppure un leggero rossore. Ora tocca a Camilleri "assassino" del centrodestra. Che deve pagare la colpa di aver mandato una bella lettera al candidato del centrosinistra alla Provincia di Agrigento. "Sono con voi - scrive il papà di Montalbano - per tentare di arginare una deriva politica che di giorno in giorno si manifesta sempre più pericolosa".
Spallucce anche questa volta, come un paladino dell'opera dei pupi, Micciché combatte a testa bassa contro il nuovo "nemico". Bisogna dargli un consiglio: signor viceministro, si calmi! Una antica filastrocca di Porto Empedocle può esserle utile per sedare i bollenti spiriti. Recita così: "Amici miei, lu tempu vinni d'iri a cogliri scaramuzza cu Filippu Mangialuna...".
Traduzione: "Amici miei, è venuto il tempo di andare a raccogliere cicche con Filippo Mangialuna...". Ci vada e tra una scaramuzza e l'altra, sfogli Camilleri.
Enrico Fierro
 
 

Gazzetta del Sud, 13.5.2003
Ragusa Miccichè scomunica Camilleri ma il Centrodestra non ci sta
“Montalbano” diventa un caso
Follini prende le distanze mentre lo scrittore non commenta

RAGUSA – Ma il commissario Montalbano è di destra o di sinistra? Ci vorrebbe un nuovo episodio della fortunata serie televisiva per venire a capo dell'interrogativo, che tanto pleonastico non dev'essere, visto che sul “padre” di Montalbano si è scatenata la bufera. A provocarla il coordinatore regionale di Forza Italia, Gianfranco Miccichè, il quale, parlando ad una convention azzurra nel capoluogo ibleo, ha tirato in ballo il commissario Montalbano e Andrea Camilleri. Perché tanto astio? Perché lo scrittore siciliano «è un assassino del centro destra». Miccichè non ha pesato le parole ed è andato giù come un caterpillar. Le ragioni di questa presa di posizione sono tutte concentrate in un libro, «Il cavaliere», nel quale Miccichè legge un duro attacco a Berlusconi. «In questo libro – ha affermato davanti ad un uditorio attonito – non avete idea di cosa ha detto di Berlusconi. Camilleri ha storpiato i nomi dei ministri del governo Berlusconi, dipingendoli come delinquenti». Aggiungendo subito dopo: «Scrive bene, ma se uno mi sta tentando di massacrare non mi piace più». Da qui l'invito agli amministratori della Casa delle Libertà della provincia iblea: «Subite Montalbano, ma non vantatelo. Non mi piace che un posto si caratterizzi per il nome di un nostro grandissimo nemico». Il che detto ad un territorio che dell'eroe di Camilleri ha fatto il proprio marchio identificativo (Modica ha anche dato la cittadinanza onoraria a Luca Zingaretti, mentre Ragusa gliel'ha proposta) per il rilancio turistico suona come una bocciatura della politica fin qui portata avanti. Questi concetti Miccichè li ha ribaditi anche ieri a Palermo, a margine del seminario dei giovani di Assindustria, sia pure stemperando i toni. «Camilleri è bravissimo – ha affermato nel capoluogo siciliano – scriva quello che vuole. Siccome mi dicevano che si vorrebbe caratterizzare la provincia di Ragusa solo perché lui ne scrive nei suoi libri, ho detto che, secondo me, ci sono cose migliori che possono caratterizzare la città». Se Andrea Camilleri, in modo laconico, si limita a dire: «A Gianfranco Miccichè non rispondo», all'interno della Casa delle Libertà i distinguo non mancano. Il segretario dell'Udc Marco Follini non segue il vice ministro nella polemica: «Leggo Montalbano – ha detto – e sono amico di Berlusconi. Tra le due cose non vedo contraddizioni». Le dichiarazioni di Miccichè hanno provocato, com'era ovvio, una presa di distanza nella provincia di Ragusa, dove Montalbano è un'icona e nel suo nome centinaia di turisti girano per i luoghi, le piazze e le città in cui il serial è stato girato. Il deputato di Alleanza nazionale Saverio La Grua, non accetta il diktat del coordinatore di Forza Italia: «Non può e non deve impedire agli enti locali o a quelli preposti allo sviluppo turistico della nostra provincia di utilizzare l'immagine e i luoghi di Montalbano. Sarebbe un errore se non venisse adeguatamente sfruttata la popolarità del personaggio televisivo, anche se frutto della fantasia di uno scrittore di cui non si condividono le idee politiche e gli atteggiamenti ostili agli uomini del centro destra».
Antonio Ingallina
 
 

La Sicilia, 13.5.2003
La Torre Carlo V tornerà a rivivere

Porto Empedocle. A trarre beneficio dall'inarrestabile «effetto Camilleri» sarà anche la Torre di Carlo V. L'imponente struttura, lasciata da decenni al proprio destino in balia degli agenti atmosferici e dell'incuria, nelle prossime ore verrà visitata dal capo dell'Ufficio tecnico comunale, Luigi Gaglio, e dall'assessore al Turismo, Tonino Guido, chiamati a fare il punto sullo stato di conservazione del sito. L'intendimento dell'amministrazione empedoclina è quello di aprirlo al pubblico, per renderlo una della tappe principali del tour che i turisti in arrivo a Porto Empedocle - Vigata effettueranno nelle prossime settimane sull'onda lunga della ridenominazione della cittadina marinara, per evidenti fini commerciali. 
Prima di recarsi a «Lido Marinella» o alla «Scala dei Turchi», gli appassionati dei luoghi di camilleriana memoria potranno dunque entrare nella struttura scelta dallo scrittore per farne lo sfondo in cui ambientare «La strage dimenticata», il libro storico che ha fatto conoscere nel mondo il «papà» del commissario Montalbano. Una strage davvero dimenticata, visto lo stato di pressocché totale abbandono in cui versa il colosso di pietra, posto nel cuore del porto empedoclino, nei secoli passati utilizzato prima come fortezza di avvistamento, poi come carcere dal quale i reclusi uscivano solo quando sopraggiungeva la morte. Quello che ad oggi è un rudere, verrà dunque testato dal capo dell'Utc per valutare con estrema attenzione se effettivamente sia in grado di accogliere turisti a iosa, evitando quindi il verificarsi di crolli o cedimenti strutturali.
La Torre non si apre da un paio d'anni, dal giorno in cui per lo svolgimento di alcune riprese televisive, le porte della suggestiva struttura vennero aperte per un paio d'ore. Porte che si richiusero puntualmente, senza che nessun'altro sia riuscito a rivarcarne la soglia. Adesso, gli amministratori comunali empedoclini, sfruttando la scia dell'inarrestabile effetto trainante della notorietà raggiunta da Camilleri, hanno deciso di pigiare sull'acceleratore, per aprire al pubblico anche parzialmente l'ex fortezza, i cui spazi attigui sono stati trasformati in gabinetti pubblici a cielo aperto. C'è grande attesa, dunque, per il responso che nelle prossime ore verrà dato dall'ingegnere capo e dall'assessore al Turismo. Il tutto, mentre prende sempre più forma quella che si può definire come l'estate vigatese.
Già otto dipendenti comunali, tutte donne in servizio nei chioschi di piazza «Italia», hanno dato il loro benestare a svolgere l'attività di guida turistica, dopo avere «studiato» i libri di Camilleri. Un'infarinatura indispensabile per dare risposte precise ai turisti stranieri che giungeranno a centinaia a Vigata, per ammirarne i luoghi originali e le storiche strutture, in primis la Torre di Carlo V. Intanto, nei prossimi giorni il comune piazzerà sulla banchina del porto - all'altezza del punto di sbarco del traghetto Paolo Veronese - due gazebo, nei quali verranno esposte le specialità artistiche, culinarie e culturali di Porto Empedocle.
Francesco Di Mare
 
 

La Sicilia, 13.5.2003
Scuola di teatro, quanti forfeit

Racalmuto. Si erano iscritti in 125 alla scuola di teatro del «Regina Margherita» di Racalmuto, ma nel giro di pochi giorni cento hanno dato forfeit, si sono ritirati senza attendere la selezione che il vicedirettore artistico, Giuseppe De Pasquale, intendeva fare. E' infatti, impossibile potere seguire contemporaneamente più di cento giovani, la selezione si rende necessaria per sfornare attori che possano subito «spiccare il volo». Un po' quello che intende fare Francesco Bellomo al teatro «Pirandello» di Agrigento.
Che i corsi sono difficili lo si sapeva già in partenza. Molti giovani però, hanno voluto tentare l'avventura anche perché il «Regina Margherita» intende realmente costituire una compagnia teatrale e sotto la direzione artistica di Andrea Camilleri è destinata a fare grandi cose. Il sindaco, Restivo, è molto felice di come stanno andando le cose: «La prima stagione teatrale che è andata agli archivi - dice - ha dimostrato che c'è un certo interesse attorno al teatro. I giovani, in particolare quelli che amano il teatro, hanno preso subito la palla al balzo iscrivendosi al corso per attori, ma come in tutte le grandi scuole teatrali, non tutti sono destinati a fare carriera. La selezione era naturale, ma la stragrande maggioranza ha capito ancora prima di cominciare che era meglio mettersi da parte».
Il corso consta di un anno di lezioni e poi naturalmente gli attori dovranno fare gli esami per dimostrare tutto il loro talento. Non è per nulla facile questa scuola, ecco perché è importante creare un gruppo di poche unità, al massimo 30, per poterli seguire direttamente e nel migliore dei modi. Per moltissimi giovani però rimane sempre una buona occasione la presenza del teatro visto che Camilleri intende portare avanti altri corsi che prevedono la formazione dei tecnici del suono e delle luci, le sarte, il personale che dovrà essere impiegato dietro le quinte.
Insomma, con la struttura teatrale, inaugurata da appena tre mesi, diversi potrebbero trovare un posto di lavoro. Del resto ogni occasione è buona per creare occupazione sopratutto in una città dove il tasso di disoccupati è abbastanza alto e dove tanti giovani hanno preferito emigrare.
Gaetano Ravanà
 
 

Liberazione, 13.5.2003
"La breve estate dei colchici" Serge Quadruppani

"La breve estate dei colchici"
Serge Quadruppani, Il Giallo Mondadori n°2822 (pp. 218, euro 3,55)
Al di là di una brutta vicenda personale che lo ha visto in gioventù vicino alla "Vieille taupe", la libreria dell'estrema sinistra parigina che ha finito negli anni Ottanta per legarsi al circuito del revisionismo storico e a personaggi come Robert Faurisson, Serge Quaddruppani resta senza alcun dubbio una figura di grande interesse nell'ambito dell'ultima generazione di scrittori noir d'oltralpe. Traduttore di Camilleri e Evangelisti, autore di saggi legati alle vicende politiche dei movimenti dell'ultragauche e alla repressione scatenata contro di loro anche in Francia, Quadruppani ha saputo creare solidi intrecci dove la vita sociale e politica del paese, i codici narrativi del giallo e una notevole capacità di leggere la vita della strada, si incontrano a perfezione. Nelle sue storie ritorna a più riprese l'eco degli anni Settanta, legata a una certa fascinazione, ben spiegabile, per l'atmosfera insieme ribelle e malavitosa della Parigi proletaria di un tempo: un mondo sospeso tra sogni di rivolta, ma anche di "svolta" personale, e una realtà spesso dura e violenta, fatta di emarginazione e povertà. Dopo "L'assassina di Belleville", il Giallo Mondadori ci propone questo "La breve estate dei colchici" la cui vicenda muove, ancora una volta, a partire dagli anni Settanta. E' da una rapina finita male che riemerge vent'anni dopo una storia rimossa, un personaggio che sembra uscire da un buco nero che si credeva cancellato per sempre e che finirà invece per sconvolgere la vita dei protagonisti. E tutti quelli che pensavano di essersi rifatti una vita capiranno che quel drammatico passato è tornato inesorabilmente a bussare alla loro porta.
Guido Caldiron
 
 

La Repubblica, ed. di Palermo, 14.5.2003
Vignetta di Gianni Allegra
 
 

La Repubblica, ed. di Palermo, 14.5.2003
Non si arresta la polemica dopo le accuse del viceministro, che viene criticato anche nel centrodestra
Gli scrittori bocciano Miccichè
Dai dodici finalisti del Premio Strega un coro pro Camilleri

Il coro di critiche a Gianfranco Micciché si leva da Palermo il giorno dopo l´attacco sferrato dal viceministro a Camilleri, «colpevole» di non rappresentare a dovere la Sicilia per aver inserito nel suo "Giro di boa" alcuni riferimenti critici al governo Berlusconi. Allo Spasimo c´erano i dodici scrittori finalisti del Premio Strega, per la prima serata della storica competizione letteraria. Hanno tutti condannato le parole di Micciché, pur trovandosi a casa del Polo. Critiche al viceministro anche da esponenti del centrodestra.

I dodici candidati al premio Strega ieri a Palermo si schierano con l´artista attaccato dal viceministro di Forza Italia
La rivolta degli scrittori
"Miccichè, giù le mani da Camilleri e dalla cultura"
Pioggia di reazioni da Roma, solo Leontini difende il suo leader "Aggressione ingiusta"
La condanna unanime allo Spasimo nel corso della prima serata della manifestazione

Nessuno tocchi Camilleri. E la politica stia lontana dalla letteratura. Il coro di condanna per Gianfranco Miccichè si leva da Palermo il giorno dopo l´attacco sferrato dal viceministro al padre del commissario Montalbano, «colpevole» di non rappresentare a dovere la Sicilia per aver inserito nel suo "Giro di boa" alcuni riferimenti critici al governo Berlusconi. Ieri, allo Spasimo, c´erano i dodici scrittori candidati al Premio Strega, per la prima serata della storica competizione letteraria. Che hanno condannato in coro Miccichè, pur essendo a casa del Polo (l´amministrazione di Diego Cammarata, che ha parlato del premio come di «grande privilegio per la città», patrocina l´intera manifestazione). E mentre Innocenzo Leontini, capogruppo di Forza Italia all´Ars, parla di «aggressione pazzesca per una frase che dava più risalto ai valori reali» della Sicilia, «piuttosto che a quelli virtuali di un romanzo», le reazioni arrivano fino a Roma, dove alcuni rappresentanti del Polo non hanno esitato a stroncare l´attacco a Camilleri.
«Assassino del centrodestra», «Prezzolato, idealmente o realmente», le parole di Miccichè dirette a Camilleri, pesanti come macigni, stemperate solo in serata da una frase più morbida («È bravissimo e scriva quello che vuole, ma purché caratterizzi Ragusa»). Il deputato Udc Pippo Gianni, segretario della commissione di vigilanza Rai, osserva senza mezzi termini che Miccichè è forse vittima «degli effetti disastrosi dello stress e del caldo». «Miccichè combatte la cultura, non solo la sinistra», dice il presidente della Provincia di Siracusa, Bruno Marziano. L´ex sindaco di Racalmuto, Salvatore Petrotto, si dichiara «complice e reo confesso di un assassino del centrodestra» per avere nominato lo scrittore direttore del teatro Regina Margherita della città agrigentina.
A Roma la polemica si fa ancora più aspra. «La destra estremista odia chiunque osi scrivere e fare satira senza chiedere il permesso al capo proprietario e ai suoi federali di paese», dice Giuseppe Giulietti, dell´associazione Articolo 21. «Il commissario Montalbano continua a mettere a rischio il sistema democratico con le sue indagini», ironizza il responsabile per i beni culturali della Margherita, Andrea Colasio. «Di fronte al delirio di onnipotenza del sovrano, i sudditi si inginocchiano», aggiunge Gabriella Pistone, deputata dei Comunisti italiani. E secondo il diessino Vincenzo Vita, solo «l´oscurantismo di questo governo può permettersi di attaccare personalità come Dario Fo e Camilleri». «Miccichè dice cose tanto deliranti da recare sicuro danno al Polo» dice Rino Piscitello, dell´esecutivo della Margherita. E il suo compagno di partito Egidio Ortisi si chiede: «Dopo Berlusconi compositore, Miccichè critico letterario?». Per il senatore Ds Costantino Garraffa si tratta di «un autogol che i lettori di Camilleri e i siciliani sapranno cogliere».
«Ma finiamola, finiamola - taglia corto la patronne dello Strega, Anna Maria Rimoaldi - uno scrittore può dire quello che vuole, è l´essere più libero del mondo». E come lei la pensa tutto il suo allegro «gregge letterario». Incredula Margaret Mazzantini, vincitrice dell´ultima edizione: «È impensabile limitare la libertà di uno scrittore. E in particolare se si parla di Camilleri, che è gran persona perbene e piena di garbo anche nell´ironia». «Si rimarca la differenza di statura», dice Leonardo Pica Ciamarra. Valerio Varesi si sofferma sul «complesso di assedio del centrodestra», mentre per Errico Buonanno «bisogna smetterla di considerare nemico chi ha idee politiche». Per Chiara Palazzolo «è l´ennesima volta che il potere aggredisce la cultura». E «chi è Miccichè per fare una simile critica», se lo chiede Giuseppe Antonelli. Per Sandra Petrignani «Camilleri continuerà a essere letto, a destra e a sinistra». E «se la politica tenta di orientare la letteratura, si capisce benissimo di cosa stiamo parlando», dice Melania Mazzucco.
Il palermitano Roberto Alajmo vorrebbe fare «come Totò, con uno spettatore che lo fischiava. "Ce l´ho con quello accanto a lei, che non la butta giù", gli disse. Me la prendo con chi li ha votati». E per il gioco della sorte, qualche ora dopo, proprio il sindaco Cammarata citerà Alajmo come esempio della «straordinaria vitalità culturale e intellettuale della nostra città».
Alberto Bonanno
 
 

La Sicilia, 14.5.2003
Sicilia, scrittori «amici» e «nemici»
Zucchine o Camilleri

Si racconta che quando Leonardo Sciascia cominciava a pubblicare i primi libri, il politico democristiano Franco Restivo, allora presidente della Regione Sicilia, in seguito ministro, appreso che lo scrittore era maestro in una scuola elementare, diede disposizioni perché fosse comandato presso l’assessorato regionale alla cultura. A fare che? Chiese Sciascia. A scrivere libri, rispose Restivo. Così un notabile lungimirante mostrava di intuire il valore che l’opera dello scrittore avrebbe rappresentato sia per la cultura sia per l’immagine del mondo siciliano, che generazioni di lettori hanno imparato a conoscere e amare proprio attraverso libri come Il giorno della civetta o Il consiglio d’Egitto, nonostante denuncino il potere mafioso o la corruzione politica. Ma la lezione di Restivo non ha fatto scuola, se Gianfranco Miccichè, deputato siciliano di Forza Italia, responsabile politico del partito nell’isola e viceministro dell’economia, nel corso della campagna per le amministrative, ha invitato gli elettori ragusani ad affidare la promozione della zona ai prodotti ortofrutticoli e non a iniziative culturali che valorizzino i libri di Andrea Camilleri o che facciano del padre del commissario Montalbano un testimonial della Sicilia. Perché Camilleri, nelle parole di Miccichè - secondo quanto riferiscono le cronache - «è prezzolato, idealmente o realmente, dai nostri avversari politici». Scrive «contro Berlusconi». Per cui è «grandissimo nemico». È come se l’onorevole avesse detto, apertis verbis: il criterio che si applica alla produzione culturale e ai suoi protagonisti è quello, storico, degli «amici» e dei «nemici», degli «amici degli amici» e così via, non quello dei meriti, del prestigio, neppure del mercato (considerato che Camilleri domina da tempo le classifiche delle vendite di narrativa in Italia). Oppure il giro è più largo e più sofisticato: non è semplicemente che si criticano uomini politici (Miccicchè si sarebbe lamentato che in uno dei suoi ultimi libri Camilleri avrebbe fatto la caricatura di alcuni ministri berlusconiani), è che si lavano in pubblico i panni sporchi, si parla male di Garibaldi, per dirla con un vecchio motto. E questo, per Miccicchè, non farebbe bene alla Sicilia. Ma allora chi si salva? Via il Vittorini di Conversazione in Sicilia, via il Brancati di Paolo il caldo, neanche nominare Sciascia e Bufalino, e, risalendo per li rami, addio anche a Tomasi di Lampedusa, con quel Principe così gattopardesco e quell’abate così mellifluo, e ovviamente a Verga, con quei pescatori così poco beautiful, sempre in mezzo al mare in tempesta, che non è bello per il turismo. Cancellato il più celebre di tutti, il Pirandello della Giara, con quel padrone così padrone, che non fa bene al buon nome dell’imprenditoria. Chissà se l’onorevole Miccicchè, con la sua intemerata, si sarà accorto di aver azzerato la letteratura siciliana. «Lasciamolo babbiare», direbbe Montalbano.
Alberto Papuzzi
 
 

Gazzetta del Sud, 14.5.2003
Ragusa Pioggia di strali per le esternazioni di Micciché contro Camilleri
Sud-est compatto su “Montalbano”
Leontini: un'aggressione. Piscitello: grazie al vice ministro

RAGUSA – Insorgono gli amministratori locali. Insorge il popolo della sinistra. E' una sollevazione contro il vice ministro dell'Economia Gianfranco Miccichè. Quelle esternazioni su Andrea Camilleri e il commissario Montalbano non sono andate giù a tutto il sud-est della Sicilia. Tutto è concesso, ma non le critiche all'eroe di Camilleri, a quel commissario Montalbano che sta portando frotte di turisti nei luoghi in cui la fiction è stata girata. La polemica si è allargata a tal punto che Miccichè ha sentito il bisogno d'intervenire ancora una volta sulla questione. Ma non l'ha fatto direttamente. Si è affidato al presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia all'Ars Innocenzo Leontini, che è anche coordinatore azzurro nella provincia di Ragusa. Leontini ritiene «pazzesca l'aggressione che sta subendo il vice ministro Miccichè per una semplice frase pronunciata a Ragusa, che dava più risalto ai nostri valori reali e ai nostri prodotti, piuttosto che a quelli virtuali di uno o più romanzi polizieschi». Per Leontini, «il sistema adottato, ci dà la piena e ferma convinzione che i metodi della denigrazione della sinistra rimangono gli stessi dei momenti più bui della loro storia». A parziale sostegno di Miccichè arriva il sindaco di Santa Croce Camerina, il comune nel cui territorio è ubicata la casa di Montalbano. Per Lucio Schembari (Forza Italia), «Montalbano non va utilizzato per attaccare il governo Berlusconi o qualsiasi altra forza politica». Schembari invita a distinguere il Montalbano del romanzo da quello della riduzione televisiva e ritiene più giusto «puntare su altro: ortofrutta di qualità e risorse paesaggistiche e monumentali». Al vice ministro Miccichè, il presidente della Provincia di Siracusa Bruno Marziano ricorda che lo scorso anno sollevò il caso Ronconi, considerato blasfemo nei confronti di Berlusconi. Adesso, tocca a Camilleri. Marziano ritiene che questo confermi «che Miccichè è un uomo che combatte la cultura, non solo la sinistra. E combatte, soprattutto, le opportunità che la cultura propone alla Sicilia come veicolo della sua promozione», aggiungendo che «non tutti gli amministratori siciliani si faranno intimidire da Miccichè». Ancora da Siracusa, e dall'on. Nino Consiglio, segretario dei Ds, arrivano le altre critiche. Per Consiglio c'è un dato certo: «la calura di maggio non contribuisce a tenere in equilibrio gli umori dell'on. Miccichè». Mentre Rino Piscitello (La Margherita) invita il centro sinistra a non attaccare Miccichè: «Nessuno lo attacchi. E' nostro prezioso alleato. Quando un avversario arriva a dire cose che gli mettono contro tutti i siciliani, fa un danno di tale rilievo al Polo, che attaccarlo è assolutamente inopportuno». Per il senatore Ds di Ragusa, Gianni Battaglia, infine, le dichiarazioni di Miccichè su Montalbano sono da considerare solo «ridicole». L'esponente della Quercia ritiene ben più gravi altri passaggi dell'intervento del vice ministro dell'economia alla convention di Forza Italia di domenica scorsa. E su queste ha depositato due interrogazioni: al ministro delle Finanze Giulio Tremonti e al ministro dell'Interno Beppe Pisanu.
Antonio Ingallina
 
 

Il Gazzettino, 14.5.2003
Piccola tempesta turistico-letteraria: ...

Piccola tempesta turistico-letteraria: la provincia di Ragusa suppone di poter sfruttare Andrea Camilleri e il suo famosissimo commissario Montalbano per darsi un po' di lustro, ma il sottosegretario Micciché (Fi) è assolutamente contrario. Per caratterizzare Ragusa, assicura Micciché, «c'è di meglio che Camilleri». Anzi, in un incontro elettorale, gli scappa detto che lo scrittore, con quel suo commissario, è «un grandissimo nemico del Polo e un assassino del centrodestra». Camilleri risponde con pacatezza: «Sono tradotto in 22 lingue, succede che molti dei lettori abbiano voglia di vedere i luoghi dove si svolgono i miei romanzi. Questo rappresenta un piccolo incremento per il turismo in Sicilia, mi pare che per un vice ministro all'Economia tutto questo dovrebbe essere importante». Di fatto - anche se a Micciché forse non è piaciuto che, nell'ultimo romanzo, Montalbano si interroghi se restare ancora in una Polizia colpevole degli incidenti al G8 di Genova - a Ragusa il turismo è aumentato del 29 per cento, l'Apt ragusana ha inserito la casa utilizzata nelle riprese del film tv in un tour turistico, alla Borsa internazionale del turismo Ragusa ha presentato un video per illustrare «i luoghi del commissario Montalbano». Da Micciché prende subito le distanze Follini (Udc), mentre le opposizioni reagiscono con durezza: solo «l'oscurantismo culturale di questo governo» può permettersi di attaccare personalità della cultura come Dario Fo (che si è cercato di tener fuori dal cartellone teatrale a Genova) e Andrea Camilleri, sostiene Vita (Ds) aggiungendo che «l'attacco in sè è insignificante e non meriterebbe risposta, ma è un sintomo: in altre stagioni tragiche della storia italiana, la degenerazione autoritaria vera e propria cominciò con episodi simili». Gabriella Pistone, responsabile Spettacolo del Pdci, sottolinea che «evidentemente Micciché ha un pessimo rapporto con la cultura: l'anno scorso bersagliò il regista Ronconi, quest'anno se la prende con Camilleri, che è come dire che il lupo perde il pelo ma non il vizio». Dalla Margherita, Colasio sceglie l'ironia: «Berlusconi ha ragione: il regime esiste e trama contro di lui, ne è prova il fatto che il commissario Montalbano continui a mettere a rischio il sistema democratico con le indagini create dalla fantasia di Camilleri. Montalbano è sfuggito al controllo e deve essere epurato e, con lui, lo scrittore che lo ha inventato: se tutto ciò non fosse vero, sarebbe un ottimo canovaccio teatrale».
M.Ant
 
 

Il Resto del Carlino, 14.5.2003
Follini: «La vera follia è la ragionevolezza...»

[...]
Ma sempre dal fronte centrista sono venute poche, ma chiare parole sul viceministro dell'Economia Miccichè, che ha accusato lo scrittore Camilleri di essere, per i suoi scritti, «un assassino del centrodestra». Commento dell'Udc Gianni: «Qualcuno è sotto gli effetti disastrosi dello stress e del caldo».
 
 

Articolo 21 Liberi di, 15.5.2003
Micciché, Forza Italia: “Camilleri? Un nemico del Polo”
Lo scrittore: “Montalbano risponderebbe: lasciatelo abbaiare”
Intervista a Andrea Camilleri

In un recente incontro elettorale a Ragusa, Gianfranco Micciché, coordinatore siciliano di Forza Italia, delfino di Silvio Berlusconi nonché vice-ministro all’Economia, ha definito il “padre” del commissario Montalbano, lo scrittore Andrea Camilleri “un grandissimo nemico del Polo e un assassino del Centrodestra”. Miccichè nell’occasione ha anche esortato gli amministratori iblei a “caratterizzare la città con cose migliore di quelle proposte da Camilleri”.
Allo scrittore siciliano, Articolo21 ha rivolto tre domande.
Allora Camilleri, come si sente nei panni dell’accusato?
“Io sono uno scrittore. Meglio. Sono uno scrittore siciliano che scrive di uomini e cose di Sicilia. Sono tradotto in 22 lingue, i miei romanzi sono pubblicati in tutto il mondo. Succede che molti dei miei lettori abbiano voglia di vedere i luoghi dove si svolgono le mie storie. Questo, secondo me, rappresenta un piccolo incremento per il turismo in Sicilia. Mi pare che per un vice-ministro all’Economia tutto questo dovrebbe essere importante”.
Il commissario Montalbano cosa risponderebbe a Micciché?
“Mi viene istintivo dire: lasciatelo abbaiare. Non sono il primo intellettuale ad essere finito nella lista nera del vice-ministro. Ricordo che l’anno scorso, gli strali si abbatterono sul regista teatrale Luca Ronconi accusato di fare propaganda anti-governativa. Oggi è toccata a me, domani chissà…”.
Vede forse dei pericoli in Italia nella libera circolazione delle idee?
“Ormai è una realtà. Gli spazi espressivi di libertà si riducono di giorno in giorno. Giornalisti, operatori dell’informazione, registi, artisti sono tutti tacciati di tramare alla spalle del Gran Signore. Per fortuna che in questo Paese, la società civile non si piega. Bisogna resistere, resistere, resistere…”.
 
 

La Repubblica, ed. di Palermo, 15.5.2003
Il caso
Quei favori di Miccichè
Dopo gli scrittori, insorti per difendere Andrea Camilleri, anche i sindaci bocciano Gianfranco Miccichè. In rivolta gli amministratori locali del centrosinistra, ai quali Miccichè vorrebbe sbarrare le porte del suo ufficio, garantendo invece ai sindaci del Polo una corsia preferenziale. Miccichè lo ha affermato domenica, a Ragusa, e lo ha ribadito ai microfoni del giornale radio. «Di una cosa simile non può essere convinto neppure lo stesso Miccichè», afferma il segretario dell´Anci. I Ds presentano interrogazioni all´Ars e al Senato.

Il viceministro
Dopo le polemiche provocate dalle dichiarazioni su Camilleri nuova bufera sul leader di Forza Italia
I favoritismi di Miccichè fanno arrabbiare i sindaci
La reazione dell´Anci "È contraddittorio con la sua carica nel governo nazionale"
"Il mio ufficio sarà sempre aperto ma solo per gli amministratori del centrodestra"

Dopo gli scrittori sono i sindaci che bocciano Gianfranco Miccichè. La seconda stroncatura in 48 ore al viceministro dell´Economia arriva dagli amministratori locali del centrosinistra, saltati su dopo avere appreso quanto dichiarato domenica scorsa da Miccichè in un incontro elettorale, a Ragusa. «Il mio ufficio - ha detto Miccichè, ripetendolo ai microfoni del giornale radio Rai andato in onda di ieri mattina - sarà sempre aperto agli amministratori locali del centrodestra, mentre per gli altri sarà interdetto. Perché i sindaci della Casa delle libertà dovranno essere i primi cittadini di coloro che li hanno votati e sostenuti, e non di tutti. Ai comuni governati dal centrosinistra andrà solo l´ordinario, i finanziamenti straordinari saranno destinati solo agli enti locali retti dal centrodestra». Come dire, i sindaci di comuni siciliani come Caltanissetta, Acireale, Bronte, Caltagirone, Gela, Giarre, Marsala, Sciacca e Paternò, per citare alcuni dei centri più grossi amministrati dal centrosinistra, al ministero non avranno vita facile. Una boutade - dopo quella diretta ad Andrea Camilleri e sonoramente criticata dagli scrittori del Premio Strega e da alcuni rappresentanti del Polo stesso (ai quali si aggiunge l´associazione dei Siciliani del Piemonte) - che neppure l´Anci si sente di prendere sul serio. Ma che ha scatenato una nuova bufera politica.
[...]
Alberto Bonanno
 
 

La Sicilia, 15.5.2003
Caso Montalbano
«La Sicilia? Non solo mafia e coppole»
Non solo «coppole e mafia»: la Sicilia di Camilleri è sole, mare, campagne, muri a secco e splendidi, quanto spesso sconosciuti, paesaggi barocchi. Questi i motivi che hanno spinto un gruppo di cittadini sciclitani a costituire un comitato spontaneo per raccogliere firme per esprimere solidarietà allo scrittore e ringraziare il commissario Montalbano, interpretato dall'attore Luca Zingaretti, testimonial d'eccezione di tutti i luoghi della provincia di Ragusa che hanno ospitato la location della fortunata serie televisiva. In testa la stanza del sindaco di Scicli divenuta mèta di turisti: chiedono di vedere dal vivo l'ambiente che nella fiction è la stanza del questore.

«Montalbano? Il testimonial del barocco»

Scicli. Un comitato spontaneo di cittadini, che ha avviato una raccolta di firme da inviare ad Andrea Camilleri e al suo commissario, Salvo Montalbano. E' quello costituitosi a Scicli dopo le dichiarazioni del vice ministro Gianfranco Miccichè, il quale, domenica scorsa, in un suo intervento a Ragusa ha definito Camilleri uno «scrittore prezzolato», invitando gli amministratori della provincia di Ragusa che hanno ospitato le location della fortunata serie televisiva a non usare i luoghi di Montalbano per la promozione turistica delle loro città.
Parole dure quelle del viceministro, che a Scicli hanno provocato la nascita spontanea di un comitato di cittadini che ha avviato una raccolta di firme per esprimere solidarietà allo scrittore di Porto Empedocle e al suo personaggio di maggior successo. «Grazie a Montalbano la nostra città e la nostra provincia sono finalmente ben conosciute ed apprezzate in tutta Italia: per il barocco, i muri a secco, i carrubi, le masserie, il mare, la luce, la pulizia, il Pisciotto - scrivono i promotori dell'iniziativa -. Finalmente si è visto che la Sicilia non è solo "mafia e coppole". I turisti arrivano quindi per vedere i luoghi di Montalbano». Già, perché da quando la fiction va in onda la stanza del sindaco al primo piano del municipio, nel serial televisivo la stanza del questore, è diventata meta di tanti turisti e visitatori che chiedono di visitare l'austera stanza del primo cittadino. In tal senso una cosa i promotori del comitato spontaneo rimproverano al sindaco Falla: di non aver mantenuto, al pianterreno del Municipio, la scenografia del commissariato dove Luca Zingaretti gira gli interni della fiction. Ed infatti i gruppi culturali della città si sono fatti promotori di una iniziativa, che mira a ricreare la location del commissariato dove oggi si trova l'ufficio protocollo del Comune, per consentire ai turisti in visita nei luoghi di Montalbano di assaporare un'ulteriore ambientazione delle atmosfere di Camilleri, trasposte in pellicola dal regista Alberto Sironi, dopo quella della stanza del primo cittadino.
L'obiettivo del comitato è quello di raggiungere al più presto quota diecimila firme, da inviare a Camilleri per esprimere la solidarietà della città e la gratitudine per le pagine che ha regalato alla nostra letteratura e per la promozione che esse hanno rappresentato per il territorio sciclitano e per l'intera provincia di Ragusa.
Giuseppe Savà
 
 

La Sicilia, 15.5.2003
Quella straordinaria «squadra»

Sono trascorsi sessant'anni. Proprio sessant'anni fa, in questo periodo, nel maggio del 1943, avvenne ad Agrigento qualcosa che segnò profondamente la vita della città. Per via della guerra vennero sospese definitivamente, dalle autorità, le lezioni scolastiche e per la prima volta nella storia della città, gli studenti delle "superiori" non sostennero gli esami di maturità e i docenti furono costretti a giudicare gli allievi esclusivamente per scrutinio sulla base del profitto conseguito durante l'anno. Erano gli anni bui della guerra; anni che, ancora oggi, molti agrigentini ricordano perfettamente.
"La notizia venne comunicata agli studenti il 10 maggio del '43 - racconta oggi Domenico Rubino, che all'epoca frequentava il liceo Empedocle - perché ormai lo sbarco degli Alleati era imminente e, tra allarmi aerei, contraerea e bombardamenti, non poteva più essere garantita la continuità delle lezioni e la sicurezza degli studenti che si trovavano negli edifici scolastici".
Poche settimane dopo, il 10 luglio del 1943, gli americani sbarcarono in Sicilia, tra Licata e Gela, con tutte le vicende che poi ne derivarono e per lungo tempo la città stentò a riprendere la vita e le attività quotidiane. Di quel particolare periodo della vita di Agrigento ama spesso parlare anche lo scrittore Andrea Camilleri che fece parte, con Gaspare Giudice, Enzo Lauretta, Dante Bernini, Ugo La Rosa e Luigi Giglia, di quella straordinaria "squadra" di studenti liceali dell' "Empedocle" destinati nel futuro a diventare personaggi di primo piano nel mondo della letteratura, dell'arte e della politica.
Racconta Andrea Camilleri: "Durante gli anni del liceo andai ad abitare ad Agrigento, ospite di una mia zia, perché Porto Empedocle veniva spesso bombardato. In quel periodo, ogni mattina per andare a frequentare le lezioni, scendevo le ripide scalette che portavano allo spiazzo San Calogero. Ed è stato proprio da quelle scale che vidi più volte la città bruciare sotto le bombe. Ricordo che con i compagni di scuola poi, parlavamo di politica e del futuro che allora sembrava nero. Poi, l'incrudelire della guerra e lo sbarco alleato, ci divisero ma fu solo per poco tempo. Ci ritrovammo tutti, negli anni del dopoguerra. Tutto il periodo contrassegnato dalla guerra segnò profondamente la mia esistenza".
Anche un altro scrittore agrigentino, Enzo Lauretta, compagno di liceo di Camilleri, di quel particolare periodo storico, ha scritto un romanzo, considerato dai critici come uno dei migliori, intitolato "I giorni della vacanza". Si tratta della "storia" di Enrico e Brunella, due studenti agrigentini appena usciti dal liceo che si trovano d'improvviso a fronteggiare una situazione difficile dove si insinuano gli avvenimenti che scuotono Agrigento e la Sicilia, durante quelle roventi giornate.
Lorenzo Rosso
 
 

Corriere della sera, 15.5.2003
Fiera del libro

[...]
Insomma, la Fiera che si apre oggi sarà senz’altro una fiera politicizzata. E non potrebbe non esserlo, visto che la politica (d’opposizione) si è infiltrata pure nella casa editrice del Cavalier Berlusconi, la Mondadori, che pubblica le esternazioni anti-Bush del regista Michael Moore e perfino i romanzi di Andrea Camilleri, che il sottosegretario Miccichè ha l’altro giorno definito «grandissimo nemico».
Ranieri Polese
 
 

La Sicilia, 16.5.2003
Montalbano, così la fantasia diventò realtà

Dalla fantasia alla realtà il passo, forse, non è mai stato così breve. Il commissario Salvo Montalbano e i suoi luoghi sembrano essere usciti dallo schermo televisivo e avere invaso il quotidiano con una prepotenza tale da diventare addirittura argomento di dibattito politico. Parlare di dibattito è però veramente restrittivo. La miccia l'accende il viceministro Gianfranco Micciché che nella foga di un comizio elettorale si lascia andare a considerazioni poco apprezzate sulla fede politica di Montalbano e del suo autore, lo scrittore Andrea Camilleri.
E' l'irresistibile lancio di un assist che i fan di Montalbano non possono lasciarsi sfuggire. Così nascono i comitati di solidarietà. Sono quelli costituiti dalla gente che magari non ha letto il libro ma di sicuro non ha perso una sola puntata delle fiction. A questi si aggiungono quelli che apprezzano l'opera di Camilleri quale scrittore che ha finalmente mostrato l'altra faccia della Sicilia.
Tuoni e fulmini si abbattono su Micciché. «E' pazzesca l'aggressione che sta subendo il viceministro per una semplice frase che dava più risalto ai nostri valori reali e ai nostri prodotti piuttosto che a quelli virtuali di uno o più romanzi polizieschi» afferma indignato l'on. Innocenzo Leontini, delegato a replicare ufficializzando la posizione di Forza Italia. Dello stesso avviso e partito Lucio Schembari che sindaco di S. Croce, Comune sede della casa di Montalbano, difende la positività della promozione turistica ma ritiene che «Montalbano non debba essere utilizzato per attaccare il governo Berlusconi o qualsiasi altra forza politica». E ancora, perché no, la proposta, sottoscritta dal consigliere ds Paolo Roccuzzo e firmata da 7 consiglieri del centrosinistra, di convocare un Consiglio provinciale dedicato alle dichiarazioni dell'on. Micciché con tutte le considerazioni del caso.
Da Vittoria fa eco il sindaco Francesco Aiello che invita Camilleri a Scoglitti e bolla le affermazioni di Micciché come «espressione di una visione materialistica del mondo». A questo punto parla il sindaco di Ragusa Domenico Arezzo: «Nessun caso politico, solo la volontà di ribadire l'importanza che il Comune di Ragusa e, dunque l'Amministrazione, ha riservato a questa politica di promozione del territorio anche attraverso fiction e programmi televisivi che hanno veicolato le nostre bellezze architettoniche e monumentali su scala internazionale».
Franca Antoci
 
 

La Sicilia, 16.5.2003
Porto Empedocle
Torre di Carlo V, tarda il via libera al restauro

Si guarda ma non si tocca. Questo è il destino della Torre di Carlo V, che gli amministratori comunali avrebbero voluto riaprire per farvi entrare i turisti vogliosi di conoscere i luoghi raccontati da Andrea Camilleri. Dello storico e cadente sito, dunque, i villeggianti potranno ammirarne solo da lontano la precaria maestosità, in quanto l'accesso alla torre è reso impossibile per il sempre incombente rischio di crollo.
Il punto critico è all'altezza della scala che porta dal pian terreno al primo piano, in condizioni di precaria stabilità, con una parete pronta a sbriciolarsi da un momento all'altro. Per limitare al minimo ogni tipo di rischio, si potrebbe piazzare un'impalcatura in grado di contenere la parte di parete maggiormente danneggiata. Un intervento di messa in sicurezza che non può essere effettuato prima del necessario nulla osta da parte della Soprintendenza ai Beni Culturali di Agrigento. Un nulla osta difficile da ottenere, come difficile è stato incassare i fondi che l'Unione europea aveva assegnato mesi fa a vari siti siciliani in cui insistono storiche strutture in precarie condizioni di staticità e che necessitano d'interventi urgenti di restauro. Tra le testimonianze del passato che potranno essere recuperate non figura la Torre di Carlo V. Una situazione che è andata via via deteriorandosi sempre più, tanto da impedire anche la riapertura parziale di quella che un tempo fu fortezza e poi carcere.
Dunque, se nei secoli scorsi era difficile fuggire dalle imponenti mura di pietra, oggi è difficile entrare, per ammirarne la maestosità. Per questo motivo, al termine di un sopralluogo esplorativo, condotto dal vice capo dell'ufficio tecnico comunale e dall'assessore al Turismo Tonino Guido, è stato deciso di rinviare a malincuore la riapertura al pubblico della torre, programmando però un piano di valorizzazione alternativo.
Per non fare uscire il simbolo ritratto nel gonfalone della cittadina marinara dal tour turistico nei luoghi di Camilleri, l'amministrazione comunale vigatese piazzerà nelle vicinanze della fortezza alcune lampade che la illumineranno nelle ore serali come viene fatto per i Templi della Valle agrigentina.
Per la serie si guarda ma non si tocca dunque, in attesa che dalla Soprintendenza ai beni culturali giungano buone notizie su un possibile ripescaggio di qualche fondo dalle casse della Regione e dell'Unione europea, da utilizzare per ristrutturare totalmente lo storico sito il cui interno, tra l'altro, non è in pessime condizioni.
Francesco Di Mare
 
 

Il Venerdì di Repubblica, 16.5.2003
Duemilatre
Consolo vuole arrestare Montalbano
ALT. Porto Empedocle diventa Vigata, lo scrittore insorge

Dopo la polemica sul giallo come genere letterario, nuovo scontro tutto siciliano tra Vincenzo Consolo e Andrea Camilleri. Stavolta per questioni toponomastiche. Allo scrittore non piace l'idea del sindaco di Porto Empedocle di dare alla città anche il nome di Vigata, in onore di Montalbano. "Chi fa una cosa simile non merita di amministrare i cittadini. Vigata è un nome insignificante. Avvicinarlo a Empedocle è degno di una barzelletta berlusconiana".
a.s.
 
 

Il Manifesto, 16.5.2003
Gli indignati di Sesto san Giovanni
I girotondini milanesi migrano nell'hinterland. Ma gli obiettivi sono quelli di sempre
In mille contro Berlusconi a Sesto san Giovanni. Dal palco Ottavia Piccolo ha cantato «Bandiera rossa», per il «terrore» del premier

MILANO. Ecco un'altra «città ostile». Ieri anche i girotondini milanesi sono scesi in piazza per manifestare la loro indignazione davanti all'offensiva contro tutto e contro tutti di Berlusconi. Questa volta non hanno sfilato in piazza Duomo e nemmeno hanno presidiato il palazzo di giustizia della procura dei «comunisti». Hanno preferito espatriare nell'hinterland. Tutti in trasferta per un happening a Sesto San Giovanni.
[...]
«Abbiamo avuto anche il saluto del sindaco - da il via allo spettacolo Gianni Barbacetto - a Milano non sarebbe successo». Poi elenca i misfatti di Berlusconi dalla sentenza Previti ad oggi, prima di cedere la palla all'attrice Laura Curino e al comico Zuzzurro che leggono testi di Travaglio e Camilleri, a Ottavia Piccolo che canta «Bandiera Rossa» mentre suonano Ricky Gianco e il duo jazz Calvacanti-Tononi.
[...]
Giorgio Salvetti
 
 

Il Mattino, 16.5.2003
Malumore per il governo assente
«Sud» piace al Salone del Libro

TORINO. C’era una volta Sud, ci sarà di nuovo «Sud». I lettori de Il Mattino lo hanno appreso ieri, trovando col giornale il numero zero di una rivista della quale, nonostante sia passato oltre mezzo secolo dall’uscita dell’ultimo numero, non si è ancora perduto il ricordo. Sempre ieri, e sempre con una copia de Il Mattino, questo numero è stato presentato e diffuso alla Fiera del Libro di Torino, la cui sedicesima edizione si è aperta ieri mattina nei padiglioni del Lingotto.
Certo rimane attorno a questo periodico, che avrà scadenza trimestrale e costerà 3 euro, il fascino di una pubblicazione fondata da Pasquale Prunas nel 1945 e su cui scrissero Raffaele La Capria, Anna Maria Ortese, Luigi Compagnone, Gianni Scognamiglio, Mario Stefanile, Giuseppe Patroni Griffi, Franco Rosi, Antonio Ghirelli e tanti altri. Ma non si tratta, assicurano i promotori dell’iniziativa, né di un’operazione rétro né di un’operazione neo-, ma di una continuità ideale: costruire un periodico popolare e fresco, al servizio dei lettori, recuperando a Napoli il respiro di capitale letteraria grazie anche alla redazioni soprattutto di Parigi ma anche di Milano e New York, che permettono l’inserimento sia di giovani esordienti sia di voci autorevoli dell’arte e della letteratura. «Sud» si avvarrà infatti della collaborazione dell’Atelier du Roman fondato da Milan Kundera, e nel primo numero pubblicherà anche un intervento di Andrea Camilleri, che lo scrittore siciliano propose alla rivista nel 1947, e che non fu inserito perché nel frattempo la rivista aveva chiuso. Aria di festa ieri attorno alle copie del giornale, con molti dei protagonista a parlare, illustrare, progettare. 
Un’aria cui ha fatto da singolare contraltare la cerimonia ufficiale dell’inaugurazione della Fiera, disertata - ed è la prima volta nella storia della manifestazione - dalle autorità di governo. Se è comprensibile che la sera della vigilia mancassero alcune autorità locali, che non avevano saputo (o potuto) mancare l’appuntamento con la Juventus che ”doveva” vincere col Real Madrid, il fatto che nessun ministro sia intervenuto ha provocato sorpresa e anche qualche malumore. «Si vede - ha commentato a caldo il segretario generale, onorevole Rolando Picchioni - che questa è la considerazione che il governo ha dei libri e del suo mondo».
Giovanni Nardi
 
 

Gente, 22.5.2003
Camilleri fa un dono alla sua città

Questa volta la fantasia ha vinto sulla realtà. In Sicilia è successo che il nome inventato di una città riesce ad aggiungersi a quello “storico” di una città vera. Da oggi Porto Empedocle, città natale dello scrittore Andrea Camilleri, e dove lavorava la famiglia Pirandello, si chiamerà anche Vigata. Il Comune ha infatti chiesto e ottenuto il nulla osta dello scrittore per aggiungere anche Vigata al nome di Porto Empedocle.
Vigata, lo ricordiamo per quei pochi che non hanno letto i romanzi di Camilleri o seguito i film in TV che hanno reso popolare l'attore Luca Zingaretti, è la cittadina inventata dallo scrittore Andrea Camilleri, che a Porto Empedocle è nato e che qui, chiamando il luogo Vigata, ha ambientato tutti i suoi romanzi, sia quelli storici sia quelli del commissario Salvo Montalbano. Le riprese televisive, però, erano sempre state fatte nel Ragusano. Gli abitanti di Porto Empedocle l'avevano considerato come un vero e proprio “esproprio” e avevano contestato lo stesso Camilleri, il quale si era giustificato dicendo che la Porto Empedocle che viene descritta nelle sue opere era diversa da quella che era diventata nel tempo.
Ma lo “strappo” fra lo scrittore e la città è stato superato ora con la clamorosa iniziativa degli amministratori comunali, accolta con grande soddisfazione da Camilleri. L'idea è stata del sindaco Paolo Ferrara che, accompagnato dall'assessore al Turismo Antonio Guido, è andato a trovare Andrea Camilleri per chiedergli l'autorizzazione di aggiungere il nome Vigata a Porto Empedocle.
“Camilleri”, ha dichiarato il sindaco Ferrara “ha molto apprezzato la nostra iniziativa. In effetti è molto legato alla città dove è nato e non ha mai nascosto che Vigata, la città descritta nei suoi libri, è proprio Porto Empedocle. Così, Camilleri, che l'11 febbraio scorso è stato insignito dal presidente della Repubblica Ciampi dal titolo di Grand'Ufficiale, ha preso carta e penna e ha scritto la sua “autorizzazione” all'uso del nome Vigata per la nuova denominazione di Porto Empedocle.
“Oggi 22 aprile 2003”, ha scritto Andrea Camilleri”, presso la propria abitazione sita in via La Porta a Porto Empedocle, il sottoscritto prof. Andrea Camilleri, nato il 06.09.1925 a Porto Empedocle (AG), alla presenza del sindaco Paolo Gerrara e dell'assessore Antonio Guido, esprime, con la presente, il proprio consenso acché il Comune di Porto Empedocle utilizzi la parola “Vigata” accanto alla propria denominazione ufficiale “Porto Empedocle”. E ha aggiunto, dopo la firma: “Ritenendomi estremamente onorato della proposta”.
Un gran colpo davvero per la città agrigentina, dopo lo “smacco” delle riprese televisive del commissario Montalbano nel Ragusano. Uno “smacco” mai ben digerito, ma ora “vendicato” alla grande. L'abbinamento del nome Vigata a quello della città, infatti, non potrà che portare vantaggio al turismo, visto che i libri di Camilleri, dai quali sono stati tratti popolarissimi telefilm, sono famosi in tutto il mondo. Tutto è pronto per un grande rilancio: ai due alberghi già esistenti se ne aggiungerà presto un terzo ed entro poche settimane partiranno i lavori di drenaggio del porto che consentiranno alle grosse navi da crociera di poter attraccare nel centro marinaro.
Entro la prossima settimana verranno anche ubicate, nei quattro ingressi principali della città, le targhe con la scritta: “Porto Empedocle Vigata”, Comune a prevalenza economica turistica”. E contemporaneamente si sta già lavorando per una grande festa, con la presenza di Camilleri, durante la quale verrà conferita la “cittadinanza onoraria” di Porto Empedocle Vigata a Luca Zingaretti, l'attore che interpreta il commissario Montalbano.
Stelio Zaccaria
 
 

Gazzetta di Reggio, 17.5.2003
GUASTALLA
Studenti in scena

La compagnia teatrale «La Luba» dell'istituto Russell presenta lo spettacolo «La scomparsa di Patò» di Andrea Camilleri. Appuntamento al Ruggeri oggi e domani, alle 21.
 
 

Gazzetta del Sud, 18.5.2003
Andrea Camilleri protagonista a Messina della conversazione-concerto sulla «Lupa»

È una sorta di conversazione-concerto su una delle novelle più celebri di Verga, La Lupa, quella di cui sarà protagonista oggi pomeriggio (alle 18), al Teatro Savio, Andrea Camilleri: ospite della «Filarmonica Laudamo», il creatore del Commissario Montalbano, dall'alto della propria lunga esperienza di regista, sceneggiatore, didatta e uomo di teatro – oltre che di popolarissimo scrittore – racconterà al pubblico messinese come può essere reso in maniera diversa (perché diversi sono i linguaggi e gli strumenti che ciascuna forma è solita usare) e comunque efficace un testo letterario quale la novella verghiana. Una conversazione col pubblico, la sua, che sarà intervallata dalla proiezione di spezzoni dei film che trattano questo tema, dalla lettura del testo verghiano e dall'esecuzione di parti musicali a esso ispirate e in qualche modo riconducibili. «Metamorfosi di un testo: La Lupa». Dalla novella di Verga al teatro, all'opera, alla danza, al cinema: questo il titolo dell'affascinante appuntamento odierno che, ne siamo sicuri, richiamerà nel teatro di via Peculio Frumentario il pubblico delle grandi occasioni e non soltanto i musicofili. Insieme con Camilleri saranno impegnati Giampiero Cicciò (voce recitante), Caterina D'Angelo (mezzosoprano), Claudia Caristi (soprano), Francesco Denaro (tenore) e Cinzia Bombara (pianoforte); collaborazione e regia di Maria Luisa Bigai.
m.p.
 
 

Gazzetta del Sud, 18.5.2003
Non si lascia prendere dalla passione
L'arte evita di far politica

Nella vexata quaestio dei rapporti tra intellettuali e politica, un posto a parte spetta a quello tra quest'ultima e l'attività “artistica”, perché il rapporto che con la politica possono avere uno storico o un sociologo non è lo stesso di quello di un artista. Su questo problema la cultura europea ha assunto atteggiamenti molto diversi. Nel 1931, ad esempio, Benedetto Croce, in un saggio dal titolo Apoliticismo, scriveva che «la società non lascia di raccomandare e rammentare ai suoi poeti [...] di guardarsi dalle passioni della politica», perché «la verità universale, la pura umanità non si ottiene nelle opere loro se non col superare le particolari passioni e tendenze, quali sono per eminenza quelle che si raccolgono sotto il nome di politica». Se Croce sia stato, o meno, coerente con questo assunto – peraltro attenuato nel corso della stessa nota – non è qui il caso di dire. Ma molto più drastico di lui era stato Thomas Mann, che nel 1919, nelle Considerazioni di un impolitico – per la verità, forse il suo libro più discutibile – scriveva che al posto della «sottomissione al reale», erano ormai dominanti «l'attivismo, il volontarismo, il migliorismo, il politicismo, l' espressionismo, in una parola: la tirannia degli ideali». Questa, proseguiva, esige che «l'arte ha da fare propaganda per le riforme di natura sociale e politica. Se si rifiuta, la condanna è già pronunciata; in termine critico suona: estetismo; in termine polemico: parassitismo».
Queste condanne le abbiamo sentite pronunciare molte volte, e sappiamo dove e da chi. Ma questo non ha più importanza: vorrei invece ricordare che posizioni come quelle di Mann e di Croce nel secondo dopoguerra vennero radicalmente ribaltate. A parte affermazioni di grande portata come quella di Theodor W. Adorno, secondo cui «arte non significa accentuare alternative, bensì opporsi, usando esclusivamente la sua forma specifica, al corso del mondo che tiene sempre puntata la pistola contro il petto dell'uomo»; a parte queste considerazioni, dicevo, il testo ufficiale della nuova tendenza risale al 1947, anno della pubblicazione del noto saggio di Sartre, Che cos'è la letteratura? , dove si legge che «lo scrittore impone alla società una coscienza inquieta, perché è in eterno antagonismo con le forze conservatrici, che mantengono l'equilibro che lui vuole rompere». Queste parole indicano chiaramente il telos del discorso di Sartre, l'ideologia ad esso sottesa, affatto opposta a quello dei pensatori della prima metà del Novecento, che avevano compreso che la sottomissione dell'arte alla “tirannide degli ideali” – vulgo: alle ideologie – non poteva che significarne la fine: inutile, o quasi, ricordare il “realismo socialista”. Perché riaprire oggi questi vecchi discorsi? Una ragione c'è, anche se, per così dire, “piccola piccola”: le parole polemiche dirette da un uomo politico siciliano a uno scrittore anch'esso siciliano, di cui ha parlato, oltre quella locale, anche la stampa nazionale. Forse non era qui necessario scomodare tanti grandi pensatori, scatenare una tempesta per “abbattere un fuscello”: ma poiché l'episodio rientra proprio nella vexata quaestio dei rapporti tra letteratura e politica, richiamarne i momenti più alti, può non essere stato del tutto inopportuno.
Il fatto, dunque, è noto: un importante dirigente politico siciliano, Gianfranco Miccichè, ha sferrato un duro attacco allo scrittore Andrea Camilleri, accusato di “massacrare” con i suoi scritti il centro-destra, e di non meritare, quindi, elogi da parte delle città o delle province in cui i suoi romanzi o racconti sono ambientati. Ora, che Andrea Camilleri sia uno scrittore, come si diceva una volta, “impegnato” – sinonimo di “scrittore di sinistra” – potrebbe sfuggire soltanto a coloro che dei suoi romanzi o racconti sono interessati soltanto alla “trama”, cioè all'aspetto esteriore, anche se spesso assai coinvolgente. Questo però non toglie che molti dei suoi libri siano di notevole livello artistico; e questo lo rivela capace di convertire l'energia del suo sentimento politico in opera d'arte. Naturalmente non è sempre così, e i casi in cui la passione politica prende il sopravvento sull'artista, non mancano certo nella sua produzione. Ma sono convinto che egli stesso sappia che quando usa consapevolmente il suo ingegno di scrittore come una catapulta contro gli avversari politici, sta rinunciando a “fare arte”. Ma il suo antagonista avrebbe dovuto tenere presente il celebre interrogativo di Jean-Paul Sartre, «se il quadro di Guernica avesse guadagnato un solo uomo alla causa spagnola»; e ricordare che gli intellettuali di solito predicano la salvezza a chi è già salvo. Non credo che le avventure del commissario Montalbano abbiano guadagnato elettori al centro-sinistra, né credo che Andrea Camilleri le scriva con questo fine; se così fosse le leggerebbero davvero in pochi.
Girolamo Cotroneo (girolamocotroneo@hotmail.com)
 
 

Il Sole 24 Ore, supplemento "Domenica", 18.5.2003
Vespe
Camilleri svizzero, Fallaci siciliana onoraria

"Camilleri sono". Il doganiere svizzero lo squadrò incredulo: "Chi, quello del commissario Montalbano?". "Sissignura, io pirsonalmente di pirsona". "E che ci fa lei qui, scusi?". "Asilo politico sono vinuto a dimandari, cillenza". "Asilo politico?". "Sissignura. In Italia nun pozzi cchiù campari. Mi deve crìdiri, cillenza. Chilli viciministri, Gianfranco Miccichè, ha ditto che sono un grandissimo nimico del Polo, un assassino, e che non mi vuole più vidiri. Accussì ho pigghiato il trenu e sono scapocchiato in Svizzera". "Ma noi, in Svizzera, volevamo la Fallaci, mica lei. Ha scritto cose razziste contro gli islamici. La dobbiamo processare". "La Fallaci? Chilla fimmina simpri arraggiata? A Modica sta. Siciliana onoraria, la vugghiono fari". Nel frattempo, al comune di Modica, Oriana Fallaci stava conversando amabilmente con l'assessore alla cultura: "Ho visto un uomo che orinava sulla scalinata di San Giorgio. Dalla lunghezza del getto ho subito capito che era un musulmano. O bischeracci, come potete tollerare tutto questo? Ma ce l'avete uno zinzino d'orgoglio, dove avete messo gli attributi? Una manica di smidollati, ecco cosa siete". L'assessore alzò gli occhi al cielo e murmuriò: "Aridatece Montalbano!".
Troppo tardi. Proprio in quel momento Camilleri, assittato su una panchina di Lugano s'addrumava una sigaretta e principiava a ragionare sul suo conto in banca. Ormai noto come "lo Cunto di li Cunti".
 
 

La Sicilia, 18.5.2003
Gaglio e i «Racconti di mare»

Ha scritto William Saroyan che "gli uomini passano ma i libri restano, custodi delle memorie e delle emozioni".
Così sono, i libri, anche per Alfonso Gaglio, scrittore empedoclino, amico d'infanzia di Andrea Camilleri, che, in questi giorni, per festeggiare i suoi 80 anni, ha deciso di dare alle stampe il suo ultimo lavoro di narrativa, "Racconti di mare". Si tratta di dodici episodi legati al mondo del mare, dove lo scrittore "pesca" nella memoria e nei ricordi che l'hanno accompagnato nelle stagioni della sua vita, oppure "ruba" le storie ad alcuni anziani pescatori di Porto Empedocle, per trasformarle in episodi letterari quasi leggendari. Con questi racconti Alfonso Gaglio si appresta a pubblicare la sua sesta opera, dopo essersi occupato, in passato, di teatro, di saggistica e di narrativa. E' stata proprio la grande passione di Gaglio, maturata fin da ragazzo, per il teatro, a cementare l'amicizia con quel giovane esile e "strano" , già all'epoca considerato un cervellone, di Andrea Camilleri, personaggio che sarebbe poi diventato a distanza di oltre mezzo secolo, lo scrittore più conosciuto e amato d'Italia.
A vent'anni, Alfonso Gaglio fondò a Porto Empedocle una compagnia di filodrammatici , "Maschere nude", per cercare di mettere in scena, per la regia di Andrea Camilleri, i primi testi teatrali che scriveva. L'immagine di un'epoca è tutta racchiusa in una fotografia, scattata nell'estate del 1942 a Capo Rossello di Realmonte, dove viene ripresa la compagnia teatrale al gran completo, dopo una gita al mare, con Andrea Camilleri al centro a petto nudo e con gli occhiali e Alfonso Gaglio, seduto in basso, su una marna. A rivedere quella foto a distanza di sessant'anni, Alfonso Gaglio si commuove: riconosce gli amici-attori di un tempo; Filippo Ferrara, le signorine Troja, Nello Urso e poi ancora Salvatore Attardo, la signorina Massa e Angela Catalano (poi diventata sua moglie) e ricorda gli amici che non ci sono più.
La prima messa in scena, in quegli anni giovanili, fu la commedia "Il treno fantasma" liberamente ispirata all'opera di un autore americano che il giovane e promettente regista Camilleri diresse in modo superlativo.
Lorenzo Rosso
 
 

La Stampa, 19.5.2003
Mi manda il tenente Sheridan
Come è cambiato il giallo italiano in televisione

TORINO. «Diciamo la verità: se in tv tornasse il tenente Sheridan non piacerebbe più a nessuno». Alla fine Giancarlo De Cataldo, giudice di Corte d’Assise con solida vocazione da scrittore noir, dà ufficialmente l’addio ai bei tempi andati. Sono passati i giorni di Ubaldo Lay, del suo impermeabile alla Humphrey Bogart e delle sfide intellettuali che Paolo Ferrari poneva al club di giallisti con garbo e passo implacabilmente lento. Adesso investigare in tv significa piuttosto velocità implacabile, rabbia metropolitana, poche speculazioni e molta, moltissima realtà. Nel salone dei colori è il giorno del giallo: lo scenario è la tavola rotonda Rai «Il poliziesco in tv: da Sheridan alla Squadra». Accanto a De Cataldo c’è Massimo Bonetti, volto della serie tv di Raitre ambientata a Napoli, e alcuni dei fautori di questo poliziesco davvero di squadra, Giusi Buondonno, Gabriella Carosio, Anna Maria di Paolo. Già, perché sono finiti, o quasi, anche i tempi dell’investigatore - e dell’autore - onnisciente. Ieri c’era Sheridan, c’era il Maigret di Gino Cervi, amatissimo da Georges Simenon («Nessuno l’ha interpretato con altrettanta efficacia»), c’era Nero Wolfe-Tino Buazzelli che con pesante incedere ritmava il tempo della narrazione. Oggi su Raitre ci sono quelli del Commissariato Sant’Andrea, undici agenti diversi per aspetto e vocazione, ognuno dei quali possiede un brandello della verità totale di Nero Wolfe. Su Canale 5 c’è il romano Distretto di Polizia di Isabella Ferrari, Ricky Memphis e Giorgio Tirabassi, un’altra storia corale, solo con un pizzico di comedy in più. «Certo, c’è anche Montalbano - continua De Cataldo - forse è proprio lui l’erede della mitica trilogia del telegiallo italiano Sheridan-Maigret-Wolfe. Ma Camilleri è un caso a parte, un’opera ai confini tra tv e cinema per qualità, spessore narrativo, capacità di far sognare. Oltretutto firmata da uno come Camilleri che la tv la conosce come le sue tasche». E’ chiaro fin dall’ambientazione: da una parte grandi città come Roma e Napoli, dall’altra un luogo dell’immaginario per eccellenza, quella Vigata che è pura essenza di Sicilia ma non esiste né in Sicilia né altrove. Vigata è categoria dello spirito, parente della casa newyorchese da cui Wolfe non si muove mai e dove pure viene a conoscere tutto. Le strade di Roma e Napoli dove si affannano Massimo Bonetti e Giorgio Tirabassi assomigliano all’87° Distretto di Ed McBain, o, come dicono i loro autori, a quella Hill Street giorno e notte che nel 1981 ha aperto la strada a tanti telefilm americani di crudo realismo rivoluzionando il mistery tradizionale: non vincono affatto sempre i buoni e poi, i buoni, chi sono? Il giallo di ieri era un raffinato balletto intellettuale dove tutto andava a posto in un impeccabile meccanismo a orologeria, appagando le inquietudini del lettore. Oggi bisogna sporcarsi le mani con l’ambiguità del reale e accettare di vedere le proprie certezze scardinate. Ieri era lavoro da grandi artigiani dello scrivere, ora è «catena di montaggio - dice Giusi Buondonno - un prodotto industriale dove ognuno dà il suo contributo». Il motivo è innanzitutto finanziario: vengono applicate rigorosamente le economie di scala. In due settimane un episodio passa dalla carta allo schermo: per poter fare così in fretta è necessario che i protagonisti siano tanti: uno gira in interni, l’altro in esterni, il terzo impara la parte. Il realismo è fondamentale «intanto perché è quello che il pubblico chiede oggi - spiegano a Raitre - e poi per rispettare la linea della rete che passa da Un giorno in pretura per arrivare a Mi manda Raitre: una linea che crede nell’inchiesta giornalistica, nella cronaca più che nel sogno». Lo testimonia la presenza di moltissimi esponenti della Polizia di Stato dietro le quinte di un telefilm come La squadra: le storie sono spesso vere, l’autentica testimonianza di una poliziotta infiltrata non si distingue dalla «novelization» della serie tv. «La sfida - conclude De Cataldo - è fare bene nonostante gli schemi rigidi. Un po’ come quei pittori che lavoravano su commissione nel Rinascimento: dovevano dipingere un’Annunciazione in dati limiti di tempo e spazio. Alcuni si limitavano alla routine, altri creavano capolavori». Lui delle sfide non ha certo paura. Con il suo Romanzo Criminale (Einaudi) - che presto sarà un film diretto da Marco Tullio Giordana - si è immerso nelle vicende della banda della Magliana, inseguendo, nell’arco di tempo che va dalla metà degli Anni Settanta agli inizi di Tangentopoli, la storia di un gruppo di duri di borgata che s’intreccia ai rapporti con politici, uomini d’affari, funzionari dei servizi segreti, mafiosi e camorristi. A chi non ha seguito con attenzione le cronache dell’epoca potrebbe sembrare fantasia pura di un grande autore. Invece è tutto vero.
Raffaella Silipo
 
 

Gazzetta del Sud, 20.5.2003
Lo scrittore parla della conversazione-concerto realizzata a Messina
Camilleri: ecco come si “tradisce” un testo
Nelle riduzioni di cinema e teatro è necessario essere infedeli a un'opera

Incontriamo Camilleri alla fine della mattinata quando, a Messina, finita la prova generale della conversazione concerto dedicata alla «Lupa» di Verga, accoglie l'invito del presidente della «Filarmonica Laudamo», Manlio Nicosia, di prendere un aperitivo insieme. E si mostra gentile e disponibile, parlando, tra una sigaretta e l'altra, parla a ruota libera dei suoi romanzi, del commissario Montalbano, del «Birraio di Preston» (il suo volume migliore, secondo molti dei conversatori, autore compreso) e del successo piovutogli addosso («del tutto casualmente», rivela).
– Il suo rapporto con Messina sappiamo essere di vecchia data... «Di vecchissima data – ammette con sincero piacere –. Ho lavorato a lungo quando facevo teatro con Massimo Mòllica (che era presente allo spettacolo e che, alla fine, è andato ad abbracciare il suo compagno di tanti lavori, ndc). Ho fatto tantissime regie: e ricordo con vero piacere che una di queste regie, "Merli e Malvizzi" di Biagio Belfiore, inaugurò il Teatro in Fiera (da qualche anno, ormai, inopinatamente chiuso, lo informiamo, ndc). Ho tanti ricordi e tanti amici, ancora...». Riemergono, così, dallo scrigno della memoria (che, più che lucida, definiremmo elefantiaca) episodi divertenti che, come ciò che è lontano nel tempo e non può ritornare, hanno dell'incredibile. «Una volta, a tarda notte, di ritorno da Tindari, con Massimo Mòllica – racconta – ci fermammo a parlare e a progettare al Bar Irrera, a Piazza Cairoli. Parlammo fino alla mattina successiva e non ci accorgemmo di avere consumato sei granite ciascuno». E giù una risata, divertita e amara insieme.
– Parliamo di questa conversazione-concerto. «Siamo andati a considerare – spiega Camilleri – quelli che sono stati gli adattamenti dalla novella originale fatti dallo stesso Verga per il Teatro, e poi altri per il balletto, l'opera e soprattutto per il cinema: una negli anni Cinquanta di Lattuada e un'altra, qualche anno fa, di Lavia con la Guerritore».
– Gli adattamenti sono spesso manomissioni, tradimenti dell'opera originaria. Lei, che è stato dall'una (sceneggiatore) e che adesso è dall'altra parte (scrittore), come la vede? «Guardi, se uno fosse assolutamente fedele – ipotizza – ne verrebbe fuori qualcosa di non funzionante né teatralmente né cinematograficamente. Dunque, è una infedeltà necessaria, indispensabile. Il problema è – puntualizza, accalorandosi – vedere i limiti di quest'infedeltà e se rispetta lo spirito dell'opera».
– Prendiamo il caso del suo Montalbano. L'hanno fatta mai arrabbiare? «Qualche volta Francesco Bruni, che è lo sceneggiatore primo della serie televisiva (lo sono anch'io, sia chiaro), mi ha fatto arrabbiare ma, e lo dico con estrema franchezza, per motivi completamente diversi da quelli che ci si può aspettare. Mi sono trovato a dirgli: «Francesco, mica può essere così fedele a quello che ho scritto...!». In quel momento evidentemente, – riconosce – prevaleva in me non lo scrittore ma quello che sono stato, cioè il regista e lo sceneggiatore. È stato, cioè, fin troppo aderente a certe situazioni mie: ed è cosa rara fra gli sceneggiatori, che spesso si precipitano come elefanti in un negozio di vetrerie...».
– La direzione artistica del teatro «Regina Margherita» di Racalmuto. «Razionalmente avrei detto subito di no. Ma poi ho ripensato a Leonardo (Sciascia, suo amico , ndc) i cui occhi quando parlava di questo teatro acquistavano una particolare intensità. Era molto legato a questo teatro e io ho accettato esclusivamente per questo. E riesco a portare avanti questa direzione perché ho dei collaboratori straordinari: a cominciare da Giuseppe Di Pasquale, che è stato mio allievo all'Accademia e che è una di quelle persone di cui ti puoi fidare appieno. Facciamo assieme il cartellone. Insomma, non tutto ricade su di me: altrimenti, sinceramente, non ce l'avrei potuta fare».
Matteo Pappalardo
 

La novella di Verga al microscopio
La metamorfosi della «Lupa»

C'era il pubblico delle grandi occasioni, domenica al Teatro Savio, per l'attesa conversazione-concerto di Camilleri, ospite della «Filarmonica Laudamo». «Metamorfosi di un testo: La Lupa. Dalla novella di Verga al teatro, all'opera, alla danza, al cinema»: questo il titolo dell'originale e composito spettacolo (perché di questo si è trattato), ben coordinato da Maria Luisa Bigai, nel quale il celebre scrittore siciliano, partendo dal testo originario verghiano (letto – anzi, diremmo «interpretato» – con sicurezza e classe da Giampiero Cicciò), ha parlato dei principali adattamenti che ne sono stati tratti in oltre 120 anni di «vita» (la novella è stata pubblicata la prima volta nel 1880, nella raccolta «Vita dei campi»). Dopo una breve ma efficace parte introduttiva dedicata allo stile «verista» (del quale La Lupa è una delle pagine più rappresentative), Camilleri ha preso in esame l'adattamento teatrale («infarcito di spiegazioni», ha commentato causticamente), firmato dallo stesso Verga, andato in scena nel 1896 al Teatro Gerbino di Torino (con Virginia Reiter grande protagonista, nel ruolo che 70 anni più tardi sarebbe stato dell'indimenticabile Anna Magnani, diretta da Zeffirelli). Poi, La Lupa che diventa opera. Dopo il successo riscosso da «Cavalleria rusticana» di Mascagni, si pensò di farla diventare un'opera (ma né Puccini né Mascagni ne scrissero la musica): per questo, lo stesso Verga, insieme con De Roberto, ne trasse un libretto che, solo nel 1933, sarebbe stato musicato da Pierantonio Tasca (data in prima assoluta quello stesso anno al Teatro Littorio di Noto). E di quest'opera sono state eseguite – da Caterina D'Angelo (mezzosoprano), Claudia Caristi (soprano), Francesco Denaro (tenore) accompagnati al pianoforte da Cinzia Bombara – alcune delle parti più significative. Gli stessi interpreti hanno proposto con puntualità all'attento pubblico peloritano alcune parti dell'opera che ne trasse nel 1990 per l'Estate Livornese Marco Tutino, su libretto di Giuseppe Di Leva (edizione fin troppo libera, con Nun è peccato di Peppino Di Capri inusuale e sorprendente leit-motiv della passione tra Gnà Pina e Nanni Lasca). Poi, un momento assai suggestivo (un «passo a due») del balletto andato in scena a Milano (Teatro Parenti) con Luciana Savignano splendida protagonista (coreografie di Susanna Beltrami, musiche di Cesare Picco e adattamento di Aurelio Grimaldi). E, in conclusione, le parti finali delle due versioni cinematografiche, realizzate nel 1953 da Alberto Lattuada («che ha come modello più “Duello al sole” che il testo verghiano» ha concluso Camilleri, riprendendo una critica del tempo) e nel 1996 da Gabriele Lavia («dalle tinte forti e melodrammatiche» ha commentato).
Seduto su una poltrona nel salottino «ricreato» sul palco del Teatro Savio, Camilleri ha condotto da par suo la particolarissima conversazione-concerto pensata su misura per lui, mettendo in evidenza intuizioni (poche, a dire il vero), esagerazioni (arbitrarie e, a volte, gratuite) e limiti delle varie riletture della novella verghiana. E ha concluso con un simpatico episodio che lo ha visto protagonista insieme con Sciascia. «Una volta – ha raccontato – dovetti adattare per la televisione un testo di Sciascia, “Western di casa nostra”, di appena tre pagine. Ne vennero fuori tre episodi da un'ora ciascuno. Un giorno, a pranzo, chiesi a Leonardo se gli erano piaciuti. Mi rispose di sì. E mi chiese come avessi fatto a fare diventare le tre paginette tre ore di film. «Sciogliendoli» risposi. Siccome mi accorsi che non gli era chiaro, gli spiegai che il suo testo era un concentrato come il dado e che io avevo dovuto fare il brodo. Ecco – ha concluso Camilleri – bisogna sapere fare il brodo!».
m.p.
 
 

Il Messaggero, 20.5.2003
Cultura. Il programma
Testi inediti, grandi attori e “tutto quel jazz"

La scrittrice Doris Lessing apre domani alla Basilica di Massenzio al Foro Romano il Festival internazionale Letterature (ore 21, ingresso libero). Nel corso delle 11 serate, un attore italiano introdurrà gli scrittori, leggendo alcune loro pagine, mentre i migliori jazzisti nostrani, da Enrico Pieranunzi a Danilo Rea, chiuderanno le serate. Tutti i testi, per la maggior parte inediti, saranno letti in lingua e la loro traduzione in italiano scorrerà simultaneamente su un grande schermo alle spalle dell’autore.
[...]
27 maggio. Andrea Camilleri presenterà una riflessione inedita sul tema del Festival. L’attore coinvolto, ovviamente, non poteva essere che l’interprete televisivo del commissario Montalbano, Luca Zingaretti; il jazzista Enrico Rava e il pianista Stefano Bollati suoneranno durante l’intervento dell’autore siciliano.
[...]
Claudia Rocco
 
 

Radio 3, 20.5.2003
Atlantis

[...]
Ora parliamo di Sicilia, di un Commissario, di libri e di una città immaginaria.
Immaginaria e di cui, nei libri di Camilleri, non vengono date indicazioni e allora, noi sapevamo perché eravamo informati che Vigata era Porto Empedocle; ma perché ne parliamo?
Allora, avete letto negli scorsi giorni che il Sindaco di Vigata ha chiesto ad Andrea Camilleri, inventore della Vigata letteraria, se poteva aggiungere al nome di Porto Empedocle anche quello di Vigata e Camilleri immediatamente ha detto sì.
A ruota, perché in Italia non mancano mai, le polemiche di Vincenzo Consoli che dice no, è volgare, non si deve fare eccetera, eccetera eccetera.
Ma che importa, se andate... se andrete a Porto Empedocle siamo convinti che per quanto vi fingiate distratti un'occhiatina a vedere se quell'angolo dove e' stata girata quella scena, quella piazza, quella via, quella discesa verso il mare sono proprio quelle che avete visto in televisione e adesso vedete nella realtà.
Questo per dire che cosa? Per dire che comunque questo battesimo indiretto, perché non si chiama Porto Empedocle - Camilleri ma Porto Empedocle - Vigata, è cosa tutt'altro che nuova perché in Italia alcuni posti che hanno avuto "figli" celebri hanno deciso di aggiungere al loro nome il nome di questo celebre figlio: per esempio Castagneto Carducci
in Toscana e poi ad esempio anche Caprese, patria del Buonarroti, che si chiama Caprese Michelangelo.
Fra l'altro, se vogliamo, Castagneto ha un po' rubato la cosa perché i "cipressi che a Bolgheri alti e schietti" sono un pochino... un pochino più in la e purtroppo anche malati.
E poi se pensiamo, per esempio, al condottiero Barce da Montone uno dice "montone il quadrupede" no,  Montone è un borgo in effetti, molto bello, sempre in Toscana.
Poi Alfieri... l'Alfieri è stato consegnato alla memoria di un piccolo paese del Piemonte e, anche a Pascoli in Emilia, Puccini di nuovo in Toscana.
Queste sono le realtà minime ma ci vogliamo dimenticare una su tutte?
L'America che prese il nome da Amerigo Vespucci con gran dispetto, dall'alto dei cieli, di Cristoforo Colombo.
Bene... alla fine Consolo ci perdoni, noi siamo contentissimi di varcare i confini di Porto Empedocle - Vigata e, magari, i turisti balneari e gastronomici di trovare... vorremmo trovare i cartelli che indicano "Spiaggia Montalbano", "Ristorante Montalbano" e poi l'indirizzo di quella signora che al Commissario fa sempre trovare il frigorifero pieno di delizie.
[trascrizione a cura di Andrea]
 
 

La Repubblica, ed. di Palermo, 20.5.2003
L'antisiciliano
Chiediamo a Musotto la verità su Miccichè

[...]
Musotto sembrava parlare, una volta tanto, come "persona informata dei fatti". Fatti che, ora, sarebbe il caso di spiegare ai cittadini in quest'ultimo scampolo di campagna elettorale. Per evitare che qualcuno, dentro o fuori dalla Sicilia, possa eventualmente pensare male o farsi strane idee. Insomma, per salvaguardare quel "buon nome della Sicilia" che il povero Miccichè, nel suo piccolo, vorrebbe tutelare a colpi di carote, peperoni e melanzane contro i cosacchi rossi invasori tipo Camilleri e Montalbano.
[...]
Marco Travaglio
 
 

La Repubblica, ed. di Palermo, 20.5.2003
L´INIZIATIVA
Filiale a Milano per l´agenzia Im*media un successo iniziato col cd di Montalbano

Im*media apre a Milano. A dispetto della tendenza generale nel rapporto fra Nord e Sud, l´agenzia di comunicazione digitale palermitana ha istituito a Milano un punto di rappresentanza, in via Mugello 7, mantenendo la produzione interamente in Sicilia. «Un´iniziativa presa per ovviare alle discriminazioni di cui le aziende siciliane si ritrovano vittime per vari motivi: geografici, culturali, sociali», spiega Marco Giammona, fondatore della società insieme a Pillo Esposito Lavina. A ben guardare Im*media non sembra aver subito discriminazioni: l´80 per cento dei clienti è costituito da compagnie non siciliane (Rizzoli Pubblicità, Poste Italiane, Orangee, Activa per fare alcuni esempi), e diverse commesse arrivano anche dall´estero: la casa di moda newyorkese Tocca, la Repubblica di San Marino, la Thöndo di Atlanta. La società, nata nel 1995, offre comunicazione e marketing multimediale: siti Internet, servizi avanzati per il web, video promozionali e Cd-rom. Oggi conta una ventina di dipendenti: «tutti regolarmente assunti e retribuiti» ricorda ancora Giammona.
I primi subappalti sono stati per Nazzareno Gabrielli e Alitalia. Ma l´esplosione di notorietà per l´azienda si è avuta l´anno scorso con il lancio dei cartoni animati interattivi del commissario Montalbano creati per la Sellerio e oggi al terzo episodio con "La voce del violino". Ultimo orgoglio dell´azienda in ordine di tempo è il video realizzato per Emergency "Guerra alla guerra" che ha partecipato all´ultimo festival di Berlino.
 
 

Le soir, 21.5.2003
Andrea Camilleri réinvente un moment où le rêve fut roi
«Le roi Zosimo», roman passionnant au langage savoureux, est sans doute son meilleur livre
« Le roi Zosimo », Andrea Camilleri, Fayard, 384 pp., 20 euros

Quel plaisir! Quel régal! Quelle verve! Quelle imagination! On ne sait pas où commencer pour parler de ce livre jubilatoire qu'est « Le roi Zosimo » d'Andrea Camilleri.
En quelques années, ce dernier a conquis le public italien (tous ses livres sont d'énormes succès de vente dans son pays) mais aussi international avec deux types de livre bien différents. D'une part, des enquêtes policières menées par le très original commissaire Montalbano. D'autre part, des romans historiques souvent teintés d'énigmes vaguement policières. Mais, dans un cas comme dans l'autre, ce que Camilleri met d'abord en évidence, c'est sa Sicile natale, ses habitants, ses us et coutumes, ses grands mystères et ses petits secrets, sa violence parfois extrême et sa merveilleuse humanité.
Tout cela, on le retrouve dans «Le roi Zosimo» qui est sans doute l'ouvrage le plus ambitieux de Camilleri à ce jour. Tout part, assure l'auteur, d'un fait historique, retrouvé par lui lors de recherches sur son île bien-aimée et plus particulièrement sur sa ville natale d'Agrigente. Au début du XVIIIe siècle, la révolte gronda parmi la population de la région tiraillée entre la noblesse locale, les occupants espagnols, le pouvoir religieux et de nombreuses autres misères dont la peste ne fut pas la moindre. C'est dans cette époque troublée qu'un certain Zosimo allait devenir un éphémère roi d'Agrigente, suivi par toute la population locale. C'est l'histoire de ce Zosimo que nous livre Andrea Camilleri et, à travers elle, une partie de l'histoire de sa ville.
Soyons franc, les premières pages laissent perplexe. Depuis toujours, Andrea Camilleri utilise dans ses livres un mélange d'italien et de dialecte sicilien. Mais jamais, semble-t-il, il n'a été aussi loin dans l'utilisation de ce dernier, y ajoutant des expressions espagnoles en raison de la présence de ceux-ci dans la Sicile de l'époque. Pour rendre la saveur de cette langue, la traductrice Dominique Vittoz a fait appel au parler franco-provençal de la région rhodanienne comme elle l'avait déjà fait pour «La saison de la chasse» et «Un filet de fumée».
Il n'est donc pas anormal d'avoir quelques difficultés à entrer dans un ouvrage au parler si déroutant. Mais, très vite, on se laisse entraîner dans le tourbillon des aventures narrées par Camilleri. Tout commence par un meurtre raté. Oh! pas un meurtre bien méchant. Juste un petit coup de pouce au destin qui a placé un prince en fâcheuse posture après une chute de cheval en montagne. Il suffirait d'un rien pour que le prince bascule définitivement dans le vide. Et Gisué pourrait alors s'emparer de toutes les richesses portées par le malheureux : Gisué en était comme une carpe qui perd l'eau. C'était pas un homme, de chair et de sang, mais une mine, un filon qui mettrait à couvert sa famille, et ses enfants encore à faire, pour le restant de ses jours! Vingt dieux, c'était un sacré coup de ragache! Le v'la qu'allait d'venir riche!
Seulement voilà, au moment où Gisué va commettre son forfait, une troupe lancée à la recherche du prince surgit et le sort de sa fâcheuse position.
Heureusement, le prince, qui croit que Gisué a voulu le sauver, le fait mander en son château… pour lui administrer une solide correction. Car, qui l'eut cru, le prince n'était pas dans ce ravin par hasard. Il voulait en finir avec la vie… avant de voir surgir cette bonne vieille trouille qui le fit appeler à l'aide. Mais cette fois, c'est sûr, il a pris sa décision. Il veut mourir et demande à Gisué de l'occire, tout simplement. Nous ne vous en dirons pas plus sur cette première partie de l'histoire qui n'est qu'un petit (mais déjà délicieux) apéritif aux aventures de Zosimo, fils de Gisué et véritable héros de l'ouvrage.
Paysan et fin lettré (il dévore tous les livres qui lui tombent sous la main dès sa plus tendre enfance), doté de pouvoirs de divination dont il n'abuse jamais, ami d'un ermite exorciste, Zosimo va connaître un destin peu banal qui, bien sûr, ne pourra que finir sur l'échafaud.
En ces temps en effet - mais les choses ont-elles vraiment changé? -, un paysan devenu roi n'avait guère d'illusion à se faire. Il en profiterait quelques jours, au mieux quelques semaines, avant que les puissants ne reprennent le pouvoir. Et cela, Zosimo le sait dès le départ comme le montre Camilleri en nous narrant toute sa vie, émaillée de mille épisodes fantastiques, drôles, chaleureux, émouvants.
Ce n'est que dans la dernière partie de l'ouvrage que Zosimo deviendra roi, pour quelques pages seulement, avant d'être arrêté, condamné et pendu. Mais que de bonheur il nous aura donné avant cette triste fin qui, même elle, parvient par la grâce d'un simple cerf-volant à nous émouvoir et à nous faire rêver.
Avant cela, nous aurons suivi l'enfance de Zosimo, la constitution de sa petite bande d'amis, ses démêlés avec l'aristocratie locale, ses rencontres avec l'évêque, son voyage à Palerme, son dépucelage peu banal, ses fiançailles et sa vie heureuse avec Ciccina jusqu'à la mort de celle-ci, la mort terrible, après torture, du père Uhu et bien d'autres épisodes hauts en couleur et riches en émotion rappelant les univers de Garcia Marquez, d'Amado et autres conteurs de génie.
L'émotion de l'enfance retrouvée flotte dans toutes ces pages, la générosité, le sens du combat commun, le don de soi font souffler un vent frais d'utopie dans une époque où chacun ne combat plus que pour lui-même.
«Le roi Zosimo» est un grand livre parce qu'il nous donne du plaisir, du bonheur, du courage, des raisons d'espérer et parce que, comme le dit Zosimo lui-même à propos de ce qu'il apporte au peuple qui le suit: J'leur offre un rêve!
Jean-Marie Wynants
 
 

Gazzetta del Sud, 21.5.2003
Verso le Amministrative La Margherita replica a Forza Italia: «I nostri sondaggi danno in vantaggio Saitta»
Il clima s'arroventa
Mancano ancora 20 presidenti di sezione

[...]
In cinquanta hanno firmato un appello a sostegno delle candidature di Antonio Saitta e di Federico Martino, al quale ha aderito anche lo scrittore siciliano Andrea Camilleri.
[...]
Lucio D'Amico
 
 

Giornale di Sicilia, 22.5.2003
Altri due gialli da "Il commissario di bordo" diventano opere liriche. Debutto in teatro a Siena
Camilleri torna sulla scena del delitto

Roma. Due racconti "gialli" di Andrea Camilleri, tratti da "Il commissario di bordo", diventano opera lirica. Si tratta de "Il mistero del finto cantante" e "Che fine ha fatto la piccola Irene?", un dittico che su musica di Marco Betta debutta, in "prima" assoluta, alla «Settimana Chigiana» di Siena, il 14 luglio al teatro dei Rozzi. Prosegue così il percorso dello scrittore siciliano che si prefigge una trilogia musicale "da camera" dal suo "Inchieste del commissario Collura". Un progetto a lunga gittata inaugurato il dicembre scorso al teatro Donizetti di Bergamo con "Il fantasma nella cabina", accolto con notevole interesse dal pubblico e dalla critica e che poi fu replicato in tutta Italia, Sicilia compresa al teatro Vittorio Emanuele di Messina.
Si tratta di quattro riduzioni degli otto racconti del "Commissario di bordo", un ciclo che porta l'autore più letto d'Italia sui palcoscenici lirici, un passo che si lega con il passato teatrale dello scrittore di Porto Empedocle che è stato, com e si sa, regista teatrale e radiofonico, oltre che insegnante, per tanti anni, all'Accademia nazionale d'arte drammatica "Silvio D'Amico".
Le due opere della seconda parte del progetto, drammaturgicamente elaborate da Rocco Mortelliti, (peraltro anche regista dell'allestimento) saranno eseguite dal gruppo strumentale dell'Accademia chigiana diretto da Federico Longo, interpreti Ugo Dighero, Denia Mazzola, Patrizia Orciani, Paola Ghigo, Luca Canonici, Leonardo De Lisi e Fabio Previati. Scene e costumi sono di Italo Grassi.
I due racconti hanno per protagonista il commissario di bordo Cecè Collura, la signora Agata Masseroni, un finto cantante e una misteriosa signora che ha perduto la figlia. Personaggi che si cimentano in una serie di bizzarre avventure fra verità e finzione.
Ha detto Marco Betta nella conferenza stampa di presentazione della «Settimana Chigiana»: "Si disegnano con la musica le emozioni, una sorta di grande sinfonia da camera con variazioni. Partendo dalla grande tradizione lirica si arriva ad un tipo di spettacolo particolare. I cantanti sono anche attori, alle prese con arie, duetti, concertati ma anche recitazione sulla musica. Le idee musicali dipendono dai vari personaggi e percorrono le due opere con una luce sonora che si fonde con la malinconia e l'ironia sottile del testo".
 
 

La Nazione, 22.5.2003
"Nei miei vent'anni e più di ..."

ROMA — "Nei miei vent'anni e più di teatro ho già interpretato personaggi che tendevano ad avvicinarsi a Dio. Ma mai come questa volta mi ci sento vicino". O ancora: "Per questa conferenza stampa ho indossato, come il personaggio che interpreterò nel Mistero del finto cantante, scarpe con soletta di sette centimetri, per abituarmi al ruolo". Le dichiarazioni di Ugo Dighero sono state il momento più sapido della presentazione della 72ª Estate Musicale Chigiana e della 60ª Settimana senese, svoltasi ieri nella sede centrale del Monte dei Paschi a Roma.
A proseguire a distanza la polemica sviluppatasi in questi giorni fra alcuni protagonisti della Casa delle Libertà e lo scrittore Camilleri, è questa volta l'interprete dell'opera composta da Marco Betta, commissionatagli dall'Accademia chigiana e in prima assoluta il 14 e 15 luglio prossimi al Teatro dei Rozzi di Siena. "Il mistero del finto cantante" e "Che fine ha fatto la piccola Irene" fanno parte delle otto storie del commissario di bordo da cui Betta e il librettista e regista Rocco Mortelliti (che di Andrea Camilleri è anche cognato) hanno deciso di trarre altrettante opere da camera, nel rispetto della tradizione musicale italiana del genere", spiega con garbo il maestro Aldo Bennici, direttore artistico dell'Accademia musicale chigiana: "il fatto che il finto cantante a bordo della nave da crociera sia in realtà un vecchio leader politico che cerca ancora il consenso del pubblico ricorda, è innegabile, la storia del nostro Presidente del Consiglio che, al contrario, è stato prima cantante sulle navi e poi premier".
Che sia un modo per innescarne altre o per sopire le ultime polemiche avremo modo di vederlo.
[...]
David Toschi
 
 

La Stampa, 22.5.2003
Una satira sul premier
Camilleri fa cantare il Cavaliere

Andrea Camilleri porta in scena, nella stagione musicale dell’Accademia Chigiana, una satira del premier Silvio Berlusconi. Lo fa attraverso un'opera da camera, tratta dalla serie Il commissario di bordo (pubblicata sulle pagine del nostro giornale). La «Settimana Chigiana» prevede fra le prime esecuzioni assolute due atti unici su libretto Rocco Mortelliti e musiche di Marco Betta: Il mistero del finto cantante e Che fine ha fatto la piccola Irene? tratti dai racconti di Andrea Camilleri. Il primo dei due atti unici «vuole essere - ha raccontato Mortelliti, regista e drammaturgo, genero dello scrittore - un omaggio al presidente del consiglio, anche lui amante delle crociere». È la storia di un ex politico, che rivive sogni di gioventù esibendosi, sotto le mentite spoglie di un cantante, su una lussuosa nave. Il debutto dell'opera, in prima assoluta, è in programma per il 14 luglio al Teatro dei Rozzi di Siena, con il Gruppo strumentale dell'Accademia Chigiana sotto la direzione di Federico Longo. Intanto Camilleri, che si è concesso «un anno sabbatico», ha parlato delle accuse rivoltegli dal viceministro Gianfranco Micciché, per le allusioni a personaggi di Forza Italia nell’ultimo episodio di Montalbano dal titolo Il giro di boa. In un comizio Micciché ha indicato Camilleri come un «nemico». Lo scrittore commenta: «Miccichè è libero di dire quello che vuole. Bisogna vedere però chi lo segue». Quindi a proposito dell’atto unico che andrà in scena il 14 luglio a Siena: «Il mio racconto ha la debita distanza ironica dalla politica e i dichiarati riferimenti a Silvio Berlusconi colgono di questo personaggio la vena nostalgica. È uno che si chiede continuamente se quello che succede è realtà vera o virtuale. Come me del resto».
 
 

La Repubblica, ed. di Firenze, 22.5.2003
Presentata l´estate senese con Mehta, Gelmetti, Pollini, Volodos e tanti altri 
La Chigiana mette in musica Camilleri

Estate musicale chigiana numero settantadue - dal 5 luglio al 27 agosto.
[...]
Dall´antico al nuovo: la prima assoluta del «Mistero del finto cantante» e «Che fine ha fatto la piccola Irene?», due atti unici con le musica di Marco Betta ricavati dal «Commissario di bordo» di Andrea Camilleri - commissione chigiana; ai Rozzi il 14 e 15; regia Rocco Mortelliti, autore del libretto. L´allestimento senese fa parte di un progetto a lunga gittata (inaugurato nel dicembre scorso a Bergamo con «Il fantasma nella cabina») che prevede ben quattro riduzioni operistiche degli otto racconti del ciclo di Camilleri.
[...]
g.m.
 
 

La Repubblica, 22.5.2003
La polemica
Camilleri: Micciché dica quel che vuole

«Micciché, dice che sono un avversario politico perché ho scritto un racconto ironico riferito a Berlusconi? È libero di dire quello che vuole». Andrea Camilleri replica alle accuse del viceministro dell'Economia, Gianfranco Micciché, riguardo al racconto "Il mistero del finto cantante". «I dichiarati riferimenti a Berlusconi colgono la sua vena nostalgica», spiega Camilleri. Protagonista del racconto è un uomo potente che ha nostalgia del suo passato di cantante sulle navi da crociera. Di qui il travestimento ed il ritorno su una nave.Dal racconto è stata tratta un'opera che debutterà a luglio a Siena per l'Accademia Chigiana.
 
 

Selvaggia Lucarelli, 22.5.2003
Camilleri recensito dal Grifoni

Come vi ha spiegato Gene Gnocchi, ultimamente le mie giornate sono fitte di impegni , per cui mi trovo costretta ad avvalermi della saltuaria collaborazione di alcuni ghostwriters.
Già da tempo meditavo di elevare il livello culturale del mio blog e, a tal fine, ho deciso di affidare una rubrica di recensioni letterarie al celebre e valente critico letterario Everardo Grifoni.
Il Grifoni ha accettato a patto di occuparsi esclusivamente della copiosa produzione letteraria di Andrea Camilleri e, visto che lui riceve i suoi nuovi libri in anteprima, da oggi e solo su questo blog, potrete leggere succose anticipazioni sui libri in imminente uscita dello scrittore tanto amato.

Il ladro di sofficini
Edizione Sellerio, Euro 45

Trama
La Findus, dopo aver parlato con un subagente della Toro Assicurazioni di Catania amico di Miccichè, si convince ad aprire uno stabilimento ad otto chilometri da Ragusa.
Purtroppo, appena avviato lo stabilimento, una serie di strani decessi tra le maestranze, sconvolge la zona.
Micheluzzo Scardocchia detto “O’ Rombo”, addetto alla panatura dei bastoncini, viene trovato bollito dentro l’enorme pentolone di zinco dove viene preparata a 200° centigradi la zuppa di pesce della “Quattro salti in padella” , quella economica con poco pesce e molti aromi.
Poche ore dopo il corpo di Sebastianuccio Picciau detto “Micetto”, responsabile del settore mondatura piselli surgelati, viene rinvenuto nudo con un solo calzino della Nike al piede sinistro sotto la montagna di zucche utilizzate per la preparazione dei tortelli di zucca della Giovanni Rana che da tempo subappalta alla Findus alcuni lavoretti.
Accanto ai corpi, come firma degli omicidi, una spigola al cartoccio calda fumante.
Il commissario Montalbano comincia le indagini e scopre una cosa inquietante: le due spigole al cartoccio vengono dal mercato del pesce di Conegliano Veneto poichè serrano ancora tra le pinne un volantino che invita a votare per Gentilini sindaco di Treviso.
Così Montalbano sale al Nord, dove in un susseguirsi di colpi di scena come l’auto piena di mosche o quello del bar con l’insegna all’interno del locale o quello del capotreno che perde la paletta, farà luce su questo intricato mistero.
Troverete “Il ladro di sofficini” presto in libreria al prezzo di 45 euro, prezzo insolitamente alto, ma giustificato dal fatto che Camilleri ha investito quasi tutto in bot il cui rendimento non lo lascia affatto tranquillo.
Buona lettura dal vostro
Everardo Grifoni

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Commenti
Zagor - Se ognuno ha i nemici che si merita, è pure che vero che ognuno c'ha le caricature che si merita... L'ultimo di Montalbano, Il Giro di Boa, divorato come al solito a pochi giorni dall'uscita, è un romanzo ignobile, offensivo di tutto quanto di meravigliosamente divertente Camilleri ha scritto fino ad oggi. Se il personaggio ha esaurito gli argomenti, meglio lasciarlo morire, come fece Conan Doyle con Sherlock Holmes, piuttosto che usarlo per fare propaganda elettorale e raccattare qualche spicciolo. Sennò ci si ritrova con parodie come questa. Selvà, senti a me, lascia stare la letteratura. Torna in te. Già ci manchi... :: scritto il 22/05/03
PEDRO - Mah... Selvaggia ti prego: torna tu a farci ridere! :: scritto il 22/05/03
Saltwater - Si, qui prenotazioni... come si chiama? Signor Grifoni? Dove va? Località sconosciuta ad 8 km da Ragusa... Uhm! Andata e ritorno? Ok, sola andata... si, le facciamo lo sconto x aver trovato la paletta del capotreno... ah, non l'ha trovata, ci ha sbattuto contro... come dice? E' stato assunto x sostituire il Picciau buonanima nella mondatura di piselli surgelati... Ah, ma lei è il critico letterario: ma bene, finalmente a lavorareeeeeeee :: scritto il 22/05/03
Gilgamesh - Un solo appunto.. Picciau è un cognome sardo, non siciliano.. Si sarebbe dovuto chiamare Bustianeddu, non Sebastianuccio. Poi, che ci faceva a 8 km. da Ragusa? Per giunta nella Sicilia "Babba", cioè quella a bassa densità mafiosa? A Riesi o a Patti, lo doveva ambientare, vicino Caltanissetta.. là si, che sanno come fare.
Gimmi - a me sto fatto delle mosche in macchina intriga parecchio! crea tensione narrativa!..e poi? c'è la coda al casello? lo sciacquone rotto all'autogrill e fuori c'è la coda e tutti sapranno chi è stato!! brividi!! :: scritto il 22/05/03
andrea - complimenti, ma... lo stile del ghostwriter mi ricorda qualcuno... non è che il "Grifoni" fa Eugenio (detto Gene) di nome? eheheheh :: scritto il 22/05/03
Lorenzo - Affiderei la parte investigativa a capitan Findus più che al commissario Montalbano ) :: scritto il 22/05/03
Alain - Libro interessante. Con la particolarità che deve essere letto entro tre giorni. :: scritto il 22/05/03
giorgia - Lo comprero' sicuramente, sono una sua fan!!! Ho appena finito di leggere "GIRO DI BOA". E' l'inchiesta piu' dura del commissario Montalbano che indaga sull'improvvisa e misteriosa morte di una certa bionda chiamata TINA, ospite fissa della trasmissione UOMINI E DONNE condotta dalla telegatta Maria De Filippi. Unico indizio: un boa in piume di struzzo finte, color rosa, ritrovato nei camerini degli studi televisivi ... :) Giorgia :: scritto il 22/05/03
eR - Il ritorno in termini di rendimento di un investimento di 45 euro spesi in un buon libro non è quantificabile. 
Se però tra i libri surgelati acquistabili si dovesse incappare nel pesce palla il confronto con i Bot ritornerebbe ad avere un senso preciso. Ed a favore dei Bot, senza dubbio.
Ora mi chiedo: può un critico misurare l'adeguatezza di questo tipo di investimenti? Per lui stesso, certamente si, ma per nessun'altro.
Esiste un rischio che noi lettori non possiamo "delegare", ma del quale ci dobbiamo fare individualmente, emotivamente ed esclusivamente carico. :: scritto il 22/05/03
Orange - Uhm... poco tempo fa, Camilleri è venuto in università da noi per ricevere la laurea ad honorem. Non sembrava una persona tanto avventata da affidarsi ai BOT. E' proprio vero che le persone non vanno mai giudicate dalle prime apparenze!!! :: scritto il 22/05/03
 
 

La Sicilia, 23.5.2003
Racalmuto punta sul teatro

Due nuove produzioni per il Teatro "Regina Margherita" di Racalmuto. Dopo la "Controversia liparitiana" di Leonardo Sciascia, allestita e messa in scena a tempo di record dal laboratorio teatrale racalmutese, adesso sono in preparazione altri due spettacoli. Il primo è proprio di Andrea Camilleri che è il direttore artistico del "Regina Margherita". Si tratta di: "La favola del figlio cambiato", dedicata a Luigi Pirandello. La seconda produzione invece prenderà corpo subito dopo la stagione estiva. Verrà prodotta un'opera di Pirandello dal titolo: "La vita che ti diedi", con Ida Carrara, vedova del grande attore e regista Turi Ferro.
La produzione della "Favola del figlio cambiato" potrà contare su attori professionisti e non solo siciliani, alcuni dei quali debuttanti, che verranno fuori dal corso di recitazione che partirà a giugno e si protrarrà anche per tutto il mese di luglio.
Tutte queste iniziative sono state rese note dopo che l'altro ieri nell'abitazione capitolina di Andrea Camilleri si è svolta la riunione del Consiglio d'amministrazione della Fondazione del Teatro di Racalmuto. Nel corso dei lavori è stata programmata anche la stagione estiva che si svolgerà al giardino del castello Chiaramontano che nel frattempo è interessato da alcuni lavori di sistemazione. Si comincia il 14 giugno con Vincenzo La Scola, uno dei tenori più amati in Italia tanto che si è esibito per il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, nell'ultimo concerto di Capodanno. Poi una serie di serate dedicate alle parrocchie di Regalpetra. Prevista l'esibizione del musicista Pino Ingrosso che fa parte dello staff di Nicola Piovani. Infine, spazio ai "salotti siciliani" con scrittori, poeti, letterati della Sicilia compresa una serata con Andrea Camilleri che discuterà con il pubblico delle sue opere.
Si è anche discusso della prossima stagione del teatro "Regina Margherita" con grosse novità. Infatti, sarà dato molto spazio al ciclo più classico con commedie di Pirandello e Moliere, ma sono previste anche serate di musica anche lirica e di operetta. Camilleri ha già contattato tutti gli artisti che si alterneranno nella stagione 2003-2004.
Gaetano Ravanà
 
 

La Repubblica, 23.5.2003
De Luca tallona Camilleri, mentre entra Tamaro

Camilleri, si sa, quando appare in classifica, conquista subito la vetta e la mantiene. Così sta succedendo anche questa volta, con i top ten rilevati nella settimana dal 12 al 18 maggio, con Il giro di Boa. Lo incalza comunque il nuovo libro di Erri De Luca, Il contrario di uno
[...]
 
 

L'espresso, 23.5.2003
Poesia criminale
Ma chi ha detto che chi scrive polizieschi è un romanziere di serie B?
Dagli Stati Uniti alla Norvegia arriva una nuova generazione di autori.
Dove la suspense si sposa a un´ottima letteratura

C´era una volta il giallista dalla doppia vita. Quello che scriveva i gialli con la mano sinistra e concentrava la sua creatività nei romanzi ´veri´. A volte adottava persino uno pseudonimo per non confondere il lettore. Altre volte, come Georges Simenon, pur mantenendo lo stesso nome finiva con il crearsi due anime, una sola delle quali verrà immortalata nella Pléiade. Una linea che ha fatto scuola, con buona pace della fedeltà del lettore: non tutti i patiti del commissario Montalbano sono riusciti a seguire Andrea Camilleri anche in sperimentazioni come ´La concessione del telefono´.
Oggi però, tra le centinaia di gialli che invadono le librerie, si riconosce una tendenza nuova: una manciata di libri che si distaccano dalla routine del giallo e arrivano alla statura di romanzi veri.
[...]
Angiola Codacci-Pisanelli
 
 

Diario, anno VII, n.20, 23.5.2003
Commissari da non perdere
Montalbano e Bordelli, due poliziotti in gamba

Il giro di boa
di Andrea Camilleri
Sellerio, pp.269, 10 euro

Una brutta faccenda
di Marco Vichi
Guanda, pp.245, 13,50 euro

Più che i lettori, a Salvo Montalbano devono essere grati i poliziotti, con buona pace del viceministro Gianfranco Miccichè. Tradizionalmente, infatti, la categoria non ha mai goduto in Italia di un buon trattamento, anche nella narrativa specializzata, polizieschi e noir. Questioni di riflessi dalla vita quotidiana dove le forze dell'ordine non si sono mai sforzate troppo per godere di stima incondizionata. Gli addetti ai lavori hanno sempre riconosciuto la difficoltà di avere un Simenon italiano in primo luogo per la mancanza di un Maigret. Poi i rapporti con la società civile sono cambiati. E Andrea Camilleri, storia dopo storia, ha lavorato intorno alla figura di uno sbirro simpatico, umano e con sentimenti democratici. Capace di indignarsi, come capita all'inizio del Giro di boa, per i fatti di luglio 2001 a Genova. Indignarsi è poco, il poliziotto di Vigàta vuole andarsene e ogni giorno chiede appuntamento al questore per dare le dimissioni. A fermarlo ogni volta è un'inchiesta sull'immigrazione clandestina che lo mette faccia a faccia con uno degli aspetti peggiori del nostro tempo e lo fa ragionare con lucidità sulla legge Bossi-Fini. Insomma, la trama prende il lettore che già inizia a pregustare la versione televisiva con Luca Zingaretti, sperando di poterla vedere al più presto.
Così come al più presto sullo schermo non ci starebbe male il commissario Bordelli, il quale, dopo aver esordito lo scorso anno, torna ora con una nuova indagine in "Una brutta faccenda". Tormentato, ombroso il poliziotto fiorentino si muove nell'Italia del miracolo economico, raccontandone il lato in ombra. Un personaggio di sapore pratoliniano, come lo ha salutato all'esordio Giovanni Pacchiano, che scivola nella vita come un'ombra lungo i muri. E tra le ombre del passato finisce per ritrovare il bandolo della Shoah. Cinico, burbero, ma di sentimenti democratici come Montalbano, Bordelli è disegnato dal suo autore Marco Vichi con un ampio uso di toni chiaroscuri, duro ma dal cuore tenero, inattuale nel suo come in altri tempi, poliziotto anomalo che preferisce frequentare i delinquenti e che ha partecipato alla Resistenza. Tanti elementi difficili da far rientrare dietro una faccia, operazione che riesce bene all'autore. Alla fine, dopo aver scantonato più di un pericolo in compagnia dei pensieri di Bordelli, forse i lineamenti precisi non si riescono a indicare, ma un'idea di lui ce la si è fatta. E si vorrebbe tornare al più presto in sua compagnia.
Pietro Cheli
 
 

La Stampa, 24.5.2003
Uno dei grandi interrogativi che assillano l'uomo, tra filosofia e narrativa, teologia e scienza: Camilleri indaga.
Cercare di definirlo: "Vogliamo babbiare?" direbbe il commissario.
E` un concetto mutevole, persino i nostri cognomi hanno a che fare con ciò che siamo e siamo stati.
Il tempo da Aristotele a Montalbano
Scorre solo per noi, dice Sant'Agostino. Finirà quando finiranno i giorni, avverte Savater. Per me ha a che fare con i verbi: passato, presente, futuro. E se penso agli scrittori, a Melville, Kafka, Joyce, vedo che anche per loro è creato dalla parola.
Il testo che qui in larga parte pubblichiamo sarà letto da Andrea Camilleri a Roma, il prossimo martedì 27, nell’ambito della rassegna Letterature, quest’anno alla seconda edizione. Il reading di Camilleri sarà preceduto da un intervento di Luca Zingaretti, interprete sul piccolo schermo del personaggio di Montalbano.

Il Tempo con la «t» maiuscola è faccenda complicata assai, tale da sbatterci la testa e rompersela. Ed è un incidente che desidero assolutamente evitarmi. Perché, tanto per fare un esempio, la prima domanda che viene spontanea è: il Tempo c'è stato sempre o è venuto fuori a un certo punto? Pigliamo per buona la risposta di sant'Agostino: il Tempo non c'era, non esisteva prima che Dio creasse il mondo, comincia ad esserci contemporaneamente all'esistenza dell'universo. Così facciamo felici i creazionisti e non se ne parla più. Ad ogni modo, ci sarebbe dunque una specie d'inizio del Tempo, tanto è vero che un fisico come Werner Heisenberg può scrivere che «rispetto al tempo sembra esserci qualche cosa di simile a un principio. Molte osservazioni ci parlano d'un inizio dell'universo quattro miliardi di anni orsono… prima di questo periodo il concetto di tempo dovrebbe subire mutamenti sostanziali». Per amor del cielo, fermiamoci qua e non cadiamo in domande-trappola tipo: allora che faceva Dio prima di creare il mondo? Ci meriteremmo la risposta: Dio stava preparando l'inferno per quelli che fanno domande così cretine. Ma possono esserci domande assai meno stupide, tipo: quando finirà il tempo? Se accettiamo l'ipotesi sveviana di un mondo privo d'uomini e di malattie che continua a rotolare come una palla liscia di bigliardo nell'universo, dove è andato a finire il Tempo? Sant'Agostino tagliava corto affermando che il tempo scorre solo per noi e forse aveva ragione. Il Tempo finirà, come scrive Savater, quando «verrà il giorno che metterà fine ai giorni, l'ora finale, l'istante oltre il quale termineranno le vicissitudini, l'incerta sequela dei fatti, e non accadrà più nulla, mai». Elementare, Watson. Allora da quale lato affronto la questione passato-futuro con un minimo di cognizione di causa? Dal lato filosofico? Ma ci vorrebbe una cultura della quale sono assolutamente sprovvisto. Dal lato fisico-matematico? Vogliamo babbiare? - direbbe il mio Montalbano. Del Tempo riesco sì e no a parlare col metodo che mi è stato insegnato alle scuole elementari, vale a dire l'uso dei tempi verbali. E dovrete contentarvi. Ad ogni modo, presento subito la mia carta di credito, firmata Aristotele, quando afferma, nella Poetica, che il verbo reca in sé, oltre che il senso, soprattutto l'idea di tempo. E infatti il verbo, fin dall'antichità, è stato considerato la parola per eccellenza. Tutto ciò premesso, la constatazione subitanea che mi viene da fare è che sicuramente si stava meglio prima! «Prima quando?» - penso che vi state domandando un pochino imparpagliati. Rispondo subito. Quando, ad esempio, Immanuel Kant poteva scrivere con assoluta convinzione che «è legge necessaria della nostra sensibilità e quindi condizione formale di tutte le percezioni che il Tempo precedente determini necessariamente il seguente». Oppure quando, per saltare all'indietro dalla metafisica alla fisica, Laplace, nella sua Teoria analitica delle probabilità, del 1814, scriveva che «lo stato presente dell'universo è da considerarsi come l'effetto del suo stato anteriore e come la causa del suo stato futuro». E quindi i tempi del verbo, in questo determinismo meccanicistico, si stagliavano nel nostro quotidiano discorso, e perciò nella nostra vita, come i fari che segnalano ai naviganti l'attracco in porti sicuri, in ancoraggi certi. Del resto non c'è stato un grande storico francese che sosteneva come la storia del suo paese fosse stata resa possibile dall'organizzazione definitiva della lingua e di conseguenza dalla netta definizione e distinzione di passato, presente, futuro? Ripassiamoceli, questi tempi verbali, in uso nella lingua italiana, cominciando da quelli che si riferiscono a ciò che è già successo: imperfetto (io ero); passato prossimo (sono stato); passato remoto (io fui); trapassato prossimo (ero stato); trapassato remoto (fui stato). A ciò che succederà, vengono designati il futuro (io sarò) e il futuro anteriore (sarò stato). Risulta evidentissima la sperequazione: cinque modi per dire del passato e due soltanto per accennare al futuro. Dev'essere perché «di doman non v'è certezza», come sosteneva il poeta. E a questo proposito devo dire, di passata, che noi siciliani, nel nostro dialetto, manchiamo completamente tanto del trapassato remoto quanto del futuro anteriore che viene sostituito dal futuro semplice il quale, a sua volta, è usato, avvertono i grammatici, così scarsissimamente che si può sostenere che non venga mai usato. Ha un senso questa assenza del futuro? E perché alla lingua ebraica, lo apprendo da de Saussure, la definizione dei tempi verbali è del tutto estranea, sino a non riconoscere la distinzione tra il passato, il presente e il futuro? Ma insomma, malgrado tutto, Melville poteva iniziare il suo Moby Dick scrivendo: «chiamatemi lsmaele». Frase che sottaceva, dava per scontato il seguito: «perché io sono realmente Ismaele». Il nome coincideva in modo perfetto con l'essere, Ismaele sapeva benissimo chi era e aveva la certezza di esserlo. Lo sapeva perché i tempi verbali che avevano scandito la sua esistenza passata, io ero, io sono stato, io ero stato, o comunque si dica nella lingua inglese, lo portavano inequivocabilmente, necessariamente, a quel presente indicativo: io sono Ismaele. Una sferica, inattaccabile, coscienza di sé. Il romanzo di Melville è del 1851. Ma questo stato di certezze è destinato a durare assai poco, le cose cominciano subito dopo a guastarsi, a farsi meno semplici, il rigido principio della causa-effetto inizia a emettere sinistri scricchiolii. Lo stesso concetto di Tempo, dopo innumerevoli assalti tendenti a una limitazione di quello che potremmo impropriamente chiamare il suo spazio operativo in campo filosofico, finisce coll'essere totalmente negato da McTaggart nel 1908, per il quale il Tempo è una formula assolutamente irreale. E in più, a metterci il carrico da undici, sempre come direbbe Montalbano, suppergiù in quegli stessi anni arriva la vera e propria rivoluzione della fisica quantistica che culminerà nel principio d'indeterminazione, escludendo ogni rapporto di causalità e introducendo il principio della probabilità. Diciamola meglio con un paradosso: non è assolutamente certo, è solamente probabile che da un dato trapassato remoto consegua necessariamente il suo presente indicativo. Sicché, cinquantatré anni appresso Moby Dick, e precisamente tra le ore otto del mattino e le due di notte del 16 giugno 1904, a Leopold Bloom verrà assai difficile dire «io sono Leopold Bloom» con la stessa naturale consapevolezza d'Ismaele. Perché? La solidità dei tempi verbali non è più quella di una volta? Cominciano a incrinarsi, a sfarinarsi? E perché Stephen Dedalus, l'amico di Leopold, sostiene che la storia, cioè il passato, è un autentico incubo dal quale cerca di destarsi? Ulisse di Joyce, del quale stiamo parlando, viene dato alle stampe nel 1922. Passano appena due anni e Joseph K., il protagonista senza cognome del Processo di Kafka, viene arrestato senza motivazioni, improvvisamente, e sottoposto a un severo e misterioso procedimento penale con l'accusa indecifrabile di aver commesso una colpa altrettanto indecifrabile. Dopo aver tentato l'impossibile e disperata azione di rintracciare in un passato sconosciuto o forse inesistente le ragioni dell'imputazione presente, Joseph non può che rassegnarsi alla condanna. Che è la pena di morte, cioè l'abolizione del suo tempo futuro. La condanna verrà eseguita il giorno che Joseph K. compirà trentuno anni. Del protagonista, ripeto, non conosciamo il cognome, ne sappiamo solamente l'iniziale, la lettera K che è la stessa del cognome dell'autore. Ma questa coincidenza qui non ci riguarda, o almeno ci riguarda perché quella semplice iniziale non ci permette di conoscere il cognome intero. Ha importanza questa omissione, questa amputazione, chiamatela come volete? Credo proprio di sì. Aristotele aveva scritto che il nome in sé non reca nessuna idea di tempo. Sarà stato verissimo nell'antichità, ma in epoche più recenti è invalso l'uso di dare al nome un plusvalore di memoria, cioè di tempo. A molti neonati viene imposto il nome di una persona cara scomparsa, più frequentemente si dà ai nipoti il nome dei nonni. Che è un senso di continuità nel tempo, cioè nella Storia.
[...]
Se non sempre però il nome porta in sé un'idea di tempo, per dirla con Aristotele, il cognome, che è sorto in epoche assai più recenti, un'idea di tempo ce l'ha e come! Il cognome è il nome della famiglia d'appartenenza, in sé quindi reca la storia, il passato di quella famiglia. Joseph K., per tornare al Processo di Kafka, invece non ha cognome e quindi non ha alcuna possibilità di coniugarsi al di fuori dell'imperfetto, non è in grado di pervenire più né al passato prossimo né al trapassato. Il nome e il cognome rappresentano l'identità storica dell'individuo, tant'è vero che i carnefici degli stermini di massa si sono sempre preoccupati per prima cosa di far perdere questa identità alle loro vittime riducendo la loro identificazione a un numero marchiato sulla carne.
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Andrea Camilleri
 
 

La Stampa - Tuttolibri, 24.5.2003
Fronti basse, orecchie a foglia di cavolfiore, teste piene di bitorzoli...
Quell’Italia
Esce da Sellerio «Gli indesiderabili» (pp. 250, 9 euro, a cura di Beppe Benvenuto), un’inchiesta di Gian Carlo Fusco per il «Secolo XIX». Gli indesiderabili sono i mafiosi rimpatriati dagli Usa nel 1952. Pubblichiamo in anteprima alcuni passi della postfazione di Andrea Camilleri. E’ in arrivo sugli schermi il film «Gli indesiderabili», per la regia di Pasquale Scimeca.

Le strade di Roma di cortei ne hanno visti migliaia, ma un corteo come quello del marzo 1955, composto da un centinaio di persone appena, sicuramente ancora non l’avevano visto, né l’avrebbero visto in seguito. I componenti erano tutti ultrasessantenni, e costituivano una fauna umana che avrebbe fatto la felicità di un disegnatore come George Groz o di uno studioso come Lombroso: fronti basse, orecchie a foglia di cavolfiore, testa piene di bitorzoli, mani enormi e pelose.
Una fauna della quale è possibile farsi un’idea osservando certe comparse del film Il padrino che, almeno da questo punto di vista, è attendibile. Marciando, non agitavano bandiere e non cantavano inni o canzoni. Una canzone rappresentativa della loro condizione avrebbe potuto essere quella che s’intitolava Spaghetti, pollo e insalatina e che paragonava una splendida e dispendiosa vita giovanile a Detroit alle ristrettezze e ai disagi dalla vecchiaia in patria. Ma Fred Bongusto non l’aveva ancora scritta. Perciò i manifestanti, guidati da un tale che si chiamava Frank Frigenti, si limitavano a distribuire in silenzio ai passanti foglietti ciclostilati, scritti in un italiano improbabile, nei quali erano esposte le loro richieste indirizzate alla «calorosa e generosa anima dell’Eccellentissimo Onorevole Mario Scelba, figlio prediletto di Cristo, onore e vanto della nobilissima terra di Trinacria» e all’ambasciatrice americana Claire Booth Luce, «angelo biondo che porta nel cognome suo stesso il simbolo di quel raggio di speranza che i derelitti aspettano con fiducia di figli pronti a ripagare col sangue il beneficio ricevuto». Ma chi erano questi «derelitti»?
Erano tutti ex gangster di origine italiana, perlopiù uomini-pistola, soldati semplici delle organizzazioni mafiose, bassa manovalanza, come si direbbe oggi. Nella loro vita non avevano fatto altro e altro non avrebbero saputo fare. Nel 1945 il governo degli Stati Uniti, assieme alle derrate alimentari del piano Marshall, aveva deciso di liberarsene rispedendoli in Italia con la qualifica di «indesiderabili». Ne arrivarono, con navi diverse, quasi seicento.
[...]
Un caso esemplare è quello del famoso Lucky Luciano del quale si disse che nel giugno del 1943, un mese prima dello sbarco, fosse clandestinamente arrivato in Sicilia per preparare il terreno alle forze alleate. Di questa missione non esistono prove, all’epoca Luciano era ufficialmente nel carcere di Dannemora, condannato a trent’anni di reclusione. Ma a lui, nel 1942, si era rivolto il Naval Intelligence: «si trattava - scrive Fusco - di mettere al servizio della nazione in guerra la perfetta, capillare organizzazione portuale dell’onorata società». Luciano, potentissimo anche tra le sbarre, accettò. L’operazione d’appoggio della mafia riuscì perfettamente, in soli due mesi i casi di sabotaggio e di passività antibellica si ridussero del settanta per cento. In «raccanuscenza» a Luciano vennero abbuonati i vent’anni di carcere che aveva ancora da scontare e a metà del febbraio 1946 venne imbarcato per l’Italia. Visse tra donne, cavalli e alberghi di lusso a Napoli, nel cui aeroporto morì nel 1962 colpito da collasso cardiaco.
In definitiva però a GianCarlo Fusco - giornalista sì, ma soprattutto grande narratore - non interessano quei due o tre che, come Luciano, poterono usufruire di un trattamento particolare. La sorridente pietà di Fusco, non saprei come altrimenti definirla, lo porta a scegliere tra le tigri con meno denti e più spelacchiate. Come Frank Frigenti, appunto, che vive estorcendo qualche migliaio di lire a giornalisti creduloni o rassegnati (quest’ultimo è il caso di Fusco) con la promessa della cessione di una valigia piena di carte esplosive e documenti compromettenti o come Lu (Napoleone) Grisafi, rimpatriato nel 1952, che viene salvato dall’indigenza totale da un maresciallo dei carabinieri che gli procura un posto di guardiano in una masseria. Ma il maresciallo non riuscirà a salvarlo dalla morte: Lu Grisafi verrà ucciso nel 1955, ultimo anello di una catena di vendette iniziate trent’anni prima. A questi «indesiderabili» Fusco dedica i migliori capitoli del suo libro, essi hanno i toni e i modi di un racconto tanto magistrale da trasformare in personaggi, che paiono inventati con estro inesauribile, persone realmente esistite.
Andrea Camilleri
 
 

La Sicilia, 24.5.2003
Ecco i «Gioielli discreti» di Giuseppe Di Pasquale

Il vicedirettore del Teatro "Regina Margherita" di Racalmuto, Giuseppe Dipasquale, con la casa editrice "Arnaldo Editori" [sic!, NdCFC] lancerà la prossima settimana la nuova collana Teatro dal titolo: "Gioielli discreti". Le uscite avranno cadenza mensile; nella collana verranno pubblicati copioni teatrali editi ed inediti. Il primo volume, presentato alla Fiera del Libero [sic!, NdCFC] di Torino, è "Il birraio di Preston", sceneggiato da Andrea Camilleri e dallo stesso Dipasquale. Si tratta di una storia ambientata sempre a Vigata nel 1800. I successivi titoli previsti nella collana sono le altre due sceneggiature scritte a quattro mani da Camilleri e Dipasquale, cioè "Troppu trafficu ppi nenti" (rivisitazione in siciliano dello scespiriano "Molto rumore per nulla) e "La cattura" (da una novella di Luigi Pirandello). L'editore ha anche annunciato per il prossimo mese di ottobre l'uscita della collana Novecento.
 
 

La Gazzetta del Mezzogiorno, 24.5.2003
Sarà premiato anche De Cataldo col suo «Romanzo criminale»
Il giudice-scrittore
«No alla separazione delle carriere»

Magistrato Giancarlo De Cataldo, che senso ha per lei ricevere un premio dalla sua terra?
«È stata una sorpresa lieta, ringrazio l'organizzazione del Magna Grecia. Farò un blitz amichevole nella mia Taranto».
Col suo "Romanzo criminale" ha dato una scossa all'editoria italiana, collezionando migliaia di copie e ammaliando la critica.
«Secondo molti il mio romanzo storico ha scompigliato i generi letterari. Tra i fan del mio libro c'è Camilleri. Lui mi ha inorgoglito, definendo la tecnica del mio testo come una scrittura di frontiera».
Un magistrato che si tuffa nella scrittura, ispirandosi ad una nota lobby criminosa come la "Banda della magliana": è stato coraggioso...
«Potrei essere considerato un giudice "impavido" se vivessi nell'etichetta. Invece sono solamente una persona attratta da vari interessi. Tra questi c'è la scrittura».
Lei ha ridisegnato un pezzo di storia italiana, dai veleni degli anni '70, imboccando la via del sequestro Moro, approdando a Tangentepoli. Libro a parte, crede che la magistratura abbia fatto luce su quei fatti?
«Alfredo Rocca, un grande giurista, diceva che i processi possono afferrare solo una verità umanamente possibile... ».
Attualmente si dibatte sulla separazione delle carriere in magistratura: lei conviene con la proposta berlusconiana?
«Un magistrato non deve occuparsi di politica, ma quando lo Stato approda sul terreno giuridico, credo che gli addetti ai lavori possano e debbano offrire il loro pensiero. Il mio? In Italia, da 50 anni, si è costruita una certa maniera di fare i processi. S'è consolidata una certa tradizione. La separazione delle carriere, credo possa essere valida in quei paesi (come l'Inghilterra) dove il processo avviene secondo il rispetto delle parti. Ma non in Italia, dove la fase inquisitoria si trasforma in un autentico match di calcio... ».
E se il Parlamento dovesse deliberare la separazione dei giudici?
«Noi magistrati accetteremo le regole, continuando a lavorare».
Secondo lei Tangentopoli ha stravolto la magistratura?
«Tangentopoli è figlia della caduta del muro di Berlino. Da qui molti imprenditori hanno avuto il coraggio di denunciare l'illecito. È un fenomeno che, come il fascismo, ha un influito su un certo modo d'intendere la giustizia».
Torniamo alla scrittura, sta già pensando ad un prossimo romanzo?
«Ci sto pensando, ma non le dico nulla. Sono superstizioso, come molti meridionali».
A proposito, lei opera presso la Corte d'Assise di Roma. Lì, cosa ha importato dalla sua Taranto?
«Taranto rispecchia il sud Italia, che per me è il luogo geografico dell'anima. Nulla a che fare con la "questione meridionale", ma parlo di passione, che noi del sud trasmettiamo nel lavoro e nel sociale».
Alessandro Salvatore
 
 

La Stampa, 25.5.2003
Oggi alla Feltrinelli di via del Babuino Camilleri presenta il romanzo noir di un magistrato

Sarà presentato oggi alle 11 alla libreria Feltrinelli di via del Babuino il romanzo di Nicola Quatrano «La verità è un cane». Insieme all’autore parteciperanno lo scrittore Andrea Camilleri che ha curato la prefazione del libro, e Livio Pepino, presidente di Magistratura democratica. Nicola Quatrano ha cinquant’anni ed è un magistrato che vive a Napoli. Già protagonista da pubblico ministero della stagione di «mani pulite», è oggi un giudice che non nasconde il proprio impegno civile dalla parte di chi «non tiene voce».
«La verità è un cane», ovvero la verità più facile, quella che costa meno. Che poi sia tale perchè qualcuno, sapientemente, l’ha tessuta in funzione dei propri disegni, è questione che non può turbare la serenità di Francesco Cardarelli, un pubblico ministero giovane e scrupoloso, ma incapace di distinguere la complessità della vita dalla coerenza burocratica delle sue carte. Un noir classico, l'esordio letterario di Nicola Quatrano, di quelli che utilizzano l'invenzione romanzesca per descrivere la realtà. E' un mondo, quello delle inchieste e dei processi, che l'autore conosce molto bene. Lo testimonia l’intera sua vita professionale.
v. r.
 
 

ANSA, 25.5.2003
Camilleri presenta libro magistrato Nicola Quatrano, di cui ha scritto anche la prefazione

Andrea Camilleri ha presentato "La verità è un cane", il romanzo del magistrato Nicola Quatrano che si rifà ad una battuta del "Re Lear" di Shakespeare. Protagonista della storia è un pm napoletano che non brilla per intelligenza o arguzia nella conduzione delle indagini. Lo scrittore siciliano ha sottolineato che "più che un giallo, si tratta di un'orribile farsa durante la quale colpevoli e innocenti, accusati e accusatori coopereranno tutti perchè trionfi la menzogna in nome della verità".
 
 

La Stampa, 25.5.2003
Ora tutti leggono in pubblico e c’è chi lo fa anche per 62 ore

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È previsto un autentico bagno di folla martedì per Andrea Camilleri a Massenzio. Lo scrittore siciliano leggerà un brano inedito scritto appositamente per il Festival e sarà introdotto dal Luca Zingaretti.
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Valentina Pigmei
 
 

La Repubblica, ed. di Palermo, 25.5.2003
Mondadori pubblica il nuovo giallo dello scrittore siciliano. Protagonista è ancora il suo sostituto procuratore
Elementare, Agrò, e` un caso di malasanità
Cacopardo indaga nell'Italia d'oggi
"La mano del Pomarancio" incrocia due inchieste, una su un cadavere scomparso e un'altra su un dipinto

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Ma va detto che i polizieschi di Cacopardo, per le loro intrinseche qualità, ci riportano, più che a Camilleri o a Piazzese, ai capolavori del giallo americano, con Chandler e Hammett in testa: il ritmo sostenuto, la scrittura scarnificata ed essenziale, l'assenza del colore locale fanno dello scrittore siciliano un giallista anomalo che ha respirato tanta aria d'oltralpe.
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Salvatore Ferlita
 
 

L´Indice, 5.2003
L´ultimo, eccellente Camilleri
Purtroppo è tutto vero

Siamo in tempi in cui non è possibile (ma quando mai lo è davvero?) scindere interamente il giudizio letterario da quello politico, nel senso che se una poesia o un romanzo si collocano sul terreno della contemporaneità, oggi non è lecito che ne ignorino, specie in Italia, il particolare, inquietante assetto politico e morale. Se non ci si rifugia in universi paralleli (cosa di cui nessuno, per altro, si vorrà scandalizzare), il confronto con quello reale e pubblico, nazionale e internazionale, è in un certo senso inevitabile, e il modo con cui un autore lo guarda non è indifferente (anche se non è il solo) ai fini dell´impressione che abbiamo della sua opera. Onore dunque ad Andrea Camilleri, grande e allegro vecchio della nostra recente narrativa, che non rifiuta l´affondo nella contemporaneità, non la nasconde (correndo anche qualche rischio di involontaria o ingiustificata comicità, come quando la famigerata Bossi-Fini diventa, con storpiatura paperinesca, la Cozzi-Pini), prende posizione, manifesta tutto il suo fastidio e le sue paure. L´inizio e l´intero sfondo di questo nuovo episodio della serie di Montalbano sono infatti centrati sugli eventi politici più torbidi e ripugnanti del berlusconismo, a partire dai retroscena polizieschi del G8 e della rivolta napoletana dei poliziotti -che scandalizzano così tanto il commissario da indurlo a pensare seriamente a dimettersi-, per arrivare al razzismo strisciante davanti agli immigrati e alla corruzione di nuovo dilagante e autorizzata (l´abusivismo condonato). Gettati sulla pagina, senza tanti filtri, eventi e comportamenti dell´Italia di oggi mostrano subito il loro lato sinistro, con incredibile funzionalità narrativa, al punto da poter essere scambiati per invenzioni di un autore che voglia, come è solito, isolare il proprio eroe da quelle stesse istituzioni per cui lavora. Invece è, purtroppo, tutto vero. Su questo zoccolo di verità storica rappresentata e contestata, si sviluppa l´ennesima storia di Montalbano, alle prese con trafficanti di immigrati e in particolare di bambini. Il commissario è capace come sempre di annodare i fili di vicende diverse in un unico dossier di malvagità e violenza, contro cui, in polemica ancor più forte con la polizia cui appartiene, combatte più che mai da solo. Nello svolgimento, Camilleri adopera tutti gli ingredienti più collaudati dei suoi romanzi del commissariato di Vigata: ci sono gli stessi uomini e le stesso donne, le loro battute, i loro pasticci con la lingua (memorabili questa volta più che mai quelli di Catarella e di Adelina, la "cammarera"), i loro gesti ben noti (le stizze di Livia o l´ombrosità di Mimì Augello o il gusto burocratico per i dati anagrafici di Fazio), i loro tic (tipo "in famiglia tutto bene?" chiesto ogni volta allo scapolo Montalbano dal segretario del questore, il candido Lattes, detto Lattes e miele). Sicchè lo sfondo cupo e la trama appassionante sono alleggeriti e interrotti piacevolmente da una miriade di battute, che strappano non di rado un´aperta risata. Nella narrativa di Camilleri ci sono, come si sa, due versanti: quello di Montalbano, situato nella Sicilia di oggi, in cui ci si avvicina sempre di più, parallelamente all´invecchiamento non pacifico del commissario, all´Italia contemporanea, e quello di vicende e personaggi vari, collocati nella vecchia Sicilia, in genere tra Unità d´Italia e fascismo, ma anche più indietro nel tempo, come la storia del Re di Girgenti, ambientata nel Settecento. I capolavori di Camilleri (La concessione del telefono o Il birraio di Preston) appartengono tutti a questo secondo filone, ferme restando la godibilità e l´intelligenza della serie di Montalbano. Più mossi e meno prevedibili, i romanzi non seriali di Camilleri si aprono a un certo punto in quel libro splendido (so che non tutti la pensano così), in quella straordinaria scommessa stilistica che è Il re di Girgenti, il più bel romanzo della nostra letteratura quasi interamente scritto in dialetto. Il siciliano non è più solo un colore steso sempre negli stessi punti e parole, ma diventa la lingua prevalente del narratore, ed è il dialetto ad assimilare a sè la lingua e non il contrario. Sinora nei romanzi di Montalbano il dialetto occupava solo poche zone fisse dell´idioletto del commissario e dei suoi uomini, e per intero soltanto il linguaggio di pochi personaggi minori (Catarella, Adelina, i cuochi, i pescatori ecc.). Il giro di boa, invece, mette a frutto la lezione del Re, dimostrando che questo libro ha segnato davvero una svolta nella scrittura di Camilleri, che ora adopera il dialetto in tutti i piani della narrazione, solo alternandolo con un po´ di italiano e di siciliano italianizzato, giusto per non perdere il contatto con qualche lettore meno smaliziato. Il risultato è un esercizio di scrittura di assoluta bravura, in cui, come nel Re di Girgenti, si riesce a leggere un testo quasi interamente dialettale senza accorgersi che è in dialetto. Camilleri aveva già consolidato un uso non troppo vistosamente realistico del dialetto, che fin dalle sue prime prove più che alla verità sociolinguistica serviva all´autenticità psicologica dei personaggi. Ora, con questo eccellente romanzo, consolida un uso non espressionistico del dialetto stesso, una lingua che, per vivere e resistere, non ha più bisogno di fare attrito con quella nazionale, ma se la introietta, restituendocela più fresca e frizzante. Nell´Italia che recupera i dialetti per un nuovo, stolto separatismo provincialistico e rurale, il dialetto di Camilleri ne propone un impiego di alto profilo, pienamente fungibile in chiave nazionale, perfino traducibile in altre lingue nazionali, prive (come l´inglese o il francese) di dialetti.
Vittorio Coletti
 
 

L´Indice, 5.2003
Siciliani parigini, siciliani romani, siciliani in treno, siciliani di Sicilia
Biglietto di solo ritorno

[...]
Gesualdo Bufalino, il meno ulisside degli scrittori siciliani, sogna nel "Dialogo tra un viaggiatore e un sedentario" di essere agli antipodi di Alibi, cioè in nessun posto, un Nullibi che equivale a un Altrove; e indica tra chi parte e resta la terza via di chi "parte soltanto se sa di tornare", percorsa dai siciliani di scoglio e non di mare aperto, secondo le categorie di Vittorio Nisticò; siciliani-ostrica, attaccati allo scoglio, nella visione verghiana. Nell'orazione funebre per Verga, 
Pirandello disse di lui che era "un siciliano triste, come tutti i siciliani, che hanno un'istintiva paura della vita oltre il breve 
ambito del covo", tant'è che Sciascia -racconta Camilleri- costretto a Parigi a letto da un'influenza, si sentiva "iettatu", gettato.
[...]
Ma ovunque l'Italia cominci, la Sicilia non finisce mai. Ogni scrittore la porta con sè e non discorre che di essa.
[...]
Camilleri vi torna a ogni occasione per farsi raccontare storie da Montalbano e rianimare regesti di storia.
[...]
Ma anche i siciliani della diaspora sono sempre a casa. Un giorno, da solo al Cairo, Andra Camilleri disse alla moglie 
che gli telefonò preoccupata per la lontananza: "Mi sento a casa".
Gianni Bonina
 
 

Carmilla, 26.5.2003
Noir mon amour
Intervista a Serge Quadruppani

Il suo illustre connazionale Jean Partick Manchette lo definì: “Il più interessante autore noir degli ultimi anni”; dichiarazione, questa, che non tardò ad avere visibili riscontri nei paesi europei dove erano stati pubblicati i suoi romanzi: Serge Quadruppani (1952) è un autore solido e raffinato di splendidi giallo/noir che a volte sorprendono e altre volte accarezzano la sensibilità dei lettori con l’insolita, originale, malinconia che vela le pagine più riuscite delle sue storie, come: L’Assassina di Belleville o La Breve Estate dei Colchici; quest’ultimo pubblicato in Italia poco tempo fa da Mondadori nella collana dei Gialli (n. 2822) per la traduzione di Maruzza Loria.
Profondamente innamorato dell’Italia, Serge Quadruppani è anche il traduttore di Andrea Camilleri e Valerio Evangelisti: due dei migliori scrittori nostrani che, data l’originalità linguistica del primo e la vivissima cultura storica dell’altro, impegnano non poco le giornate e la professionalità del francese. E’ stato proprio Andrea Camilleri, durante innumerevoli interviste rilasciate, a parlare dell’innata bravura di Quadruppani, affermando, ogni qual volta gli si chiedesse quale traduzione preferisce dei suoi vendutissimi romanzi, che le edizioni francesi sono le migliori in assoluto.
L’estate scorsa, in luglio, una lieta sorpresa attese in edicola gli abituali lettori de “Il Giallo” mondadoriano: l’antologia 14 Colpi al Cuore (n. 2789, poi in Oscar varia n. 1833) che raccoglieva splendidi racconti a firma dei nostri migliori giallisti (Camilleri, Lucarelli, Fois, Filastò, Carlotto, Dazieri, Piazzese ecc…) pubblicata in Italia dopo che Quadruppani, che aveva curato l’edizione in Francia a scopo divulgativo col titolo di Portes d’Italie, aveva raccolto ancora una volta una larga serie di consensi.
L’autore si è concesso a questa lunga chiacchierata promettendosi di svelarci, con il regalo di una mai tradotta nota personale, come riesce a far parlare il francese ad un “garruso” come il commissario Salvo Montalbano.
Chianese: Parlami un po’ di te, dei tuoi studi, della tua passione per il giallo e di questa Italia che è un po’ la tua seconda patria, visto il lavoro che fai per i nostri scrittori.
Quadruppani: Nel 1970, dopo essere stato espulso dal liceo per agitazione rivoluzionaria, avevo diciott’anni, ero partito per fare il concorso per l’Ecole Normale Superieure, la “Grande Ecole” francese che forma le élites della nazione, ma ho incontrato i grandi testi della tradizione rivoluzionaria antistalinista e anche certe pratiche (moti, droghe, passioni amorose e sesso) che mi hanno dato la sensazione che “la vita è altrove”, come dice Rimbaud, e non ho fatto niente di confessabile fino a trent’anni. In seguito ho cominciato a lavorare, lavorare, lavorare e non mi sono più fermato. Ho scritto saggi, inchieste e quando ho cominciato a scrivere romanzi, prima ho cominciato con lo scrivere romanzi storici, poi dei noir: in ogni modo, mi sembrava naturale debuttare nel romanzo di genere, per mantenere una distanza con le pretese “artistiche” della letteratura generalista. Ma ho scritto anche un romanzo, Les Alpes de la lune, che ha anche queste pretese, e sono in procinto di scriverne un altro. Nel frattempo ho incontrato una siciliana che vive a Roma e attraverso di lei, l’Italia, la Sicilia e la lingua italiana. Quello che mi colpisce è che l’Italia, così vicina al paese dove sono nato, per me resta ancora profondamente esotica. Amo vivere tra i due paesi, una buon metodo per evitare una delle cose che odio di più al mondo: il patriottismo e lo sciovinismo.
Chianese: Quali sono stati i libri che più hanno influenzato il tuo modo di scrivere?
Quadruppani: Sicuramente La società dello spettacolo di Guy Debord e tutti i libri di Jean-Patrick Manchette, ma anche Flaubert, Rimbaud… e migliaia d’altri, sarebbe impossibile elencarli tutti.
Chianese: ...E il cinema?
Quadruppani: Mi sento influenzato dalla scrittura cinematografica in generale, come tanti autori contemporanei, ma non da un cineasta in particolare.
Chianese: In Francia sei il traduttore di Andrea Camilleri: un lavoraccio! Dato che il nostro amabile scrittore siciliano fa parlare i suoi personaggi, scrive, in una lingua poco affine al francese... come riesci a tradurlo? Come riesci a far quadrare tutto con la tua lingua madre?
Quadruppani: Mi pongono questa domanda duemila volte all’anno… L’opera letteraria di Andrea Camilleri conosce nel suo paese un tale successo che sarebbe difficile trovare un equivalente in questa metà di secolo in Italia. Buona parte di questo risultato è dovuta al linguaggio particolare che egli utilizza. Non è facile dunque rendere la peculiarità. E’ necessario innanzitutto far percepire i tre livelli sui quali essa gioca, perché ciascuno di essi pone dei problemi specifici.
Il primo livello è quello dell’italiano “ufficiale”, che non presenta particolare difficoltà per l’interprete: il più delle volte lo si traduce in un francese locale, come l’italiano dell’autore, in un registro familiare. Il terzo livello è quello di un dialetto puro: in questi passaggi, sempre dialogati, il dialetto è abbastanza simile all’italiano, tanto da renderne inutile la traduzione, infatti Camilleri, a volte, ne fornisce una. A questo livello io ho semplicemente tradotto il dialetto in francese permettendomi di segnalare nel testo che il dialogo avviene in siciliano (riproducendone talvolta, per rendere il colore locale, le frasi in dialetto affianco al francese).
La difficoltà principale si presenta per il livello intermedio, quello dell’italiano sicilianizzato, che poi, è allo stesso tempo quello del narratore e della maggior parte dei personaggi. Esso è farcito di termini che non sono puro dialetto, ma piuttosto dei regionalismi (per citare due esempi molto frequenti, taliare per guardare: regarder; e spiare per chiedere: demander). Di queste parole Camilleri non dà la traduzione, perché egli le ha messe in una maniera tale che se ne afferra il senso grazie al contesto (è così, spesso, grazie alla sonorità vicina di una parola conosciuta). Ecco perché gli italiani di buona volontà (la stragrande maggioranza, ma si trovano ancora quelli che affermano di non capire affatto la lingua “camilleriana”) non hanno bisogno di glossario, gustano la stranezza della lingua e comunque la capiscono.
Sostituire questa lingua con una delle “parlate” della Francia non mi è sembrata la soluzione migliore: sia perché queste lingue, cadute in disuso, sono incomprensibili alla maggior parte dei lettori (e potrebbe sembrare bizzarro sostituire una lingua ben viva ed ancorata nelle parlate della Sicilia di oggi, con una lingua morta), sia perché sono dei modi di dire lontanissimi dalle lingue latine (un Camilleri argotico avrebbe ancora qualcosa di siciliano?). Si è dovuto dunque rinunciare a cercare, per ogni termine, degli equivalenti. Il “camilleriano” non è la trascrizione pura e semplice di un idioma da parte di un linguista, ma la creazione personale di uno scrittore a partire dalla parlata della regione di Agrigento. E comunque se ogni vera traduzione comporta una parte di creazione letteraria, il traduttore deve anche evitare di disputare il suo ruolo con l’autore: era fuori questione inventare una lingua artificiale.
Per rendere il livello dell’italiano sicilianizzato, in certi punti ho posto come dei limiti ricordando a quale dei livelli ci si trova, termini del francese del mezzogiorno. Anzitutto perché il francese occitanizzato si è molto diffuso, attraverso vari canali culturali, tanto che, fino a Calais, si capisce cos’è un “picciriddu” . Inoltre questi regionalismi apportano al francese un profumo di sud. D’altra parte io ho scelto il partito della ch’timi: che è la lingua regionale dell’estremo nord della Francia (intorno a Lille), quando si è trattato di rendere percettibili alcune particolarità della costruzione delle frasi (in versione soggetto/verbo: “sono Montalbano” : “Montalbano sono”) o curioso impiego del passato remoto (che fu? "che cosa fu?" per "che cosa succede?") da dove passa l’enfasi siciliana, o meglio ancora l’uso intemperante della preposizione “à” con dei verbi diretti ed il ricorso frequentissimo a forme pronominali ("si faceva un sogno" per "faceva un sogno"), ecc…
Ho cercato così di trasporre certe deformazioni che il maestro di Porto Empedocle impone all’italiano classico, per far capire la pronuncia della sua terra: "pinsare" invece di "pensare", in italiano classico, è stato tradotto con il francese "pinser", "arricordarsi" invece di "ricordarsi" è stato tradotto con "s’arappeller", "vrazzi" per "bracci", invece che con il classico "les bras", è stato tradotto in "vras", ecc…
Una scelta certamente discutibile, ma che mi sembrava comunque la meno peggiore delle soluzioni, perché permette di seguire l’evoluzione dello stile del nostro autore. In effetti, l’abbondanza delle trasposizioni di deformazioni orali non è la stessa nei primi romanzi del commissario Montalbano che negli ultimi (sembra che, conquistato e ormai abituato il suo pubblico, Camilleri abbia minore esitazione a far capire la singolarità della sua musica), e la loro presenza più o meno importante in tale o tale altro non è sprovvisto di significati, volontari o meno. L’insieme di questi tipi di traduzione sfocia in una lingua abbastanza lontana da quella che di solito si chiama “buon francese”, la mia traduzione può apparire poco fluida e spesso si allontana deliberatamente dalla correzione grammaticale. Da alcuni decenni il lavoro dei traduttori è orientato al tentativo di rendere meglio la lingua dei loro autori sottraendosi alla dittatura della “fluidità” e del “grammaticalmente corretto”, che avevano imposto a delle generazioni di lettori francesi un idea troppo vaga dello stile reale di tanti autori. Un tale movimento riunisce così il lavoro degli autori francofoni che si impegnano a liberare la loro espressione dal peso di una lingua su cui si è troppo legiferato. All’interno di questo quadro, per il mio livello artigianale, l’essenziale sarebbe tentare di restituire al lettore francese la maggior parte di quello che avverte anche il lettore italiano, non siciliano, quando legge Camilleri. Quel sentimento di strana familiarità che la sua lingua procura, eco di ciò che si prova incontrando, su un'isola, un'antichissima e modernissima civiltà.
Chianese: Ma secondo te quale è la ricetta (oggi come oggi) per un giallo/noir a dir poco perfetto?
Quadruppani: Suppongo che la tua domanda sia uno scherzo. L’idea che possa esistere una ricetta non ti è certamente venuta ... Ti darò una risposta originalissima: per scrivere un giallo/noir di qualità, bisogna avere del talento.
Chianese: Tu hai curato un’antologia per Mondadori, 14 colpi al cuore, ma circolano indiscrezioni che sostengono che sei rimasto scontento dell’edizione italiana di questo libro. Cos’hai da dire?
Quadruppani: Non so cosa siano queste indiscrezioni. Mi è molto rincresciuto che Sandrone Dazieri abbia deciso di eliminare alcuni autori presenti nella versione francese (Maccentelli, Curtoni) e che abbia domandato a Michele Serio di scrivere un altro racconto, col pretesto che i lettori italiani rischiavano di restare scioccati dal suo Cagnetta, storia un po’ spinta, certo, (le relazioni amorose e sessuali di una coppia d’italiani ipernormali con la loro cagna), ma esilarante. Però queste scelte appartengono a Sandrone Dazieri, in quanto curatore per Mondadori, e non ho giudicato giusto rinunciare all’antologia per intero, per non penalizzare gli altri autori.
Chianese: Gli autori di quel libro sono tutti degli scrittori italiani. Facciamo un gioco: mi puoi abbozzare accanto ad ognuno (in base al suo modo di scrivere o alla fatica che ti hanno fatto fare per tradurre) un aggettivo?
Quadruppani: Ok! ma non sono stato io a tradurre i racconti per l’edizione italiana:
Andrea Camilleri: Indispensabile
Gianfranco Manfredi: brillante
Laura Grimaldi: solida
Nino Filastò: barocco
Massimo Carlotto: fortemente documentato
Santo Piazzese: elegante
Danilo Arona: inquietante
Marcello Fois: eccellente
Enzo Fileno Carabba: spaventoso
Eraldo Baldini: angosciante
Michele Serio: perverso
Giacomo Cacciatore: saporoso
Cesare Battisti: virulento
Carlo Lucarelli: efficace
Chianese: In definitiva a te piace il giallo e il noir ma, da straniero super partes, puoi dirmi sinceramente se c’è uno scrittore o un tipo di letteratura in Italia che a tuo parere davvero non va?
Quadruppani: In Italia come in Francia, la stragrande maggioranza della letteratura, quella che si vende di più in ogni caso, non m’interessa.
Chianese: Letterariamente pensi che l’Italia possa dare ancora dei grandi scrittori di genere oppure questa ottima produzione, questi ottimi nuovi autori sono destinati a spegnersi?
Quadruppani: Non vedo perchè dei grandi autori di genere non dovrebbero rivelarsi nei prossimi anni.
Chianese: Noi abbiamo avuto Scerbanenco, Gadda, Fruttero & Lucentini e tanti, tantissimi altri maestri. Ma, secondo te, perchè da noi manca una vera e propria scuola, un vero e proprio genere affermato e rispettato?
Quadruppani: C’è un concetto accademico della cultura che pesa qui ancor più che in Francia. Questa concezione tende, come dappertutto, a essere rimpiazzata dalla dittatura dei mondi mediatici, che non è il massimo. Ma è così
importante che esista un genere affermato e rispettato? Rispettato da chi?
Dagli stronzi, ce ne freghiamo. E dai lettori, è già fatto, no?
Chianese: Pensi che la nostra letteratura di genere sia stata contaminata dal nostro modo di fare cinema o di rivolgerci verso prodotti stranieri (siamo o non siamo degli esterofili?)
Quadruppani: Gli autori più interessanti sono quelli nei quali le influenze non sono invadenti. Meno male che “vostra” letteratura non è stata contaminata da “vostro” cinema contemporaneo: questa battuta viene da qualcuno che ha adorato il cinema italiano dagli anni dai Cinquanta ai Settanta. Ma questo possessivo, “nostro”, non ti dà fastidio? Spero che non consideri come “tuo” il cinema di Tornatore, come non è mia la letteratura di Houëllbecq.
Chianese: Una curiosità: perchè Scerbanenco in Francia veniva trattato come un autore di destra?
Quadruppani: Pare che in certi testi si trovano dei brani discutibili, ma non ne so niente e comunque, la correttezza politica in letteratura è una delle più triste smanie, particolarmente insopportabile nel genere noir.
Chianese: Puoi farci qualche anticipazione su chi tradurrai o che scriverai nella prossima stagione? I lettori forti di cuore si aspettano un altra antologia!
Quadruppani: Traduco Camilleri, P.G. Di Cara, Dazieri, Gallarzo. Rimpiango molto di non tradurre più Valerio Evangelisti. Sto finendo un romanzo con forte carica autobiografica. E appena uscita in Francia La nuit de la dinde, un giallo. Ho proposto una antologia d’autori francesi a Sandrone Dazieri e aspetto una risposta.
Chianese: Ma nel panorama francese del noir da chi ti aspetti veramente qualcosa di speciale? Quanta amarezza è rimasta per la morte di un grande come J. C. Izzo?
Quadruppani: Mi aspetto, e spero, che la moda “polar” in Francia passi, che siano pubblicati meno libri cattivi. L’autore di cui rimpiango la sparizione, letterariamente parlando, è J. Patrick Manchette (era un amico). Umanamente mi piaceva molto, Izzo. Ma non lo considero un grande: la sua trilogia marsigliese, per me, è simpatica ma molto consolatoria: bisogna vedere come i marsigliesi adorano questo specchio che lui tende loro. Il ruolo della buona letteratura è soprattutto di non essere consolatorio.
Chianese: Cosa pensi del web e delle nuove tecnologie?
Quadruppani: Niente di molto originale: c’è un uso cretino, e un uso intelligente. Questo mezzo apre dei nuovi spazi alla sensibilità, ma non rimpiazzerà quelli vecchi, e sicuramente non i libri.
As Chianese
 
 

Bresciaoggi, 26.5.2003
Il suo intervento di domani [dopodomani, NdCFC] al Festival Letterature a Roma
Camilleri: l’attualità è un batter di ciglia

Un lungo, colto intervento sul tempo, ricco di citazioni di autori umanisti ma anche di scienziati, da Sant’Agostino ad Aristotele, da Laplace a Kant, da Savater a Joyce. Con una chiosa legata all’attualità che fa riferimento a Hegel. È l’intervento scritto da Andrea Camilleri in occasione della sua partecipazione al Festival Letterature organizzato a Massenzio dal Comune di Roma. Lo scrittore siciliano, che parlerà domani sera, non nasconde una certa inquietudine a stare sul palco davanti a (previste) duemila persone: «Comincia ad essere una sorta di comizio, cui non sono abituato. Speriamo che vada bene».
È spaventato? «Quello che leggerò non è un fatto narrativo ma una sorta di fatto saggistico, speriamo che la gente lo prenda bene».
Forse ha esagerato nella complessità dell’argomento? «Credo sia un intervento molto complesso ma ho fiducia nell’intelligenza del pubblico».
Parlerà del tempo ma non avrà... tempo per parlare dell’attualità, perché? «Trattando un tema in fondo così ampio, gigantesco come è il passato, come è il futuro, l’attualità non è altro che un battito di ciglia».
Non poteva fare almeno un accenno? «Ma lo faccio. In ultimo un minimo cenno c’è: quando parlo di Hegel e del fardello della storia è evidente il richiamo alle accuse mosse dagli Stati Uniti al nostro continente di essere un’Europa vecchia. Mi sembra un riferimento abbastanza esplicito».
Invece non lascia spazio alla cronaca? «No, nessun indugio alla cronaca».
Ieri intanto Camilleri ha presentato a Roma «La verità è un cane», romanzo del magistrato Nicola Quatrano: rifacendosi ad una battuta del ’Re Lear’ di Shakespeare, ha osservato che la verità giudiziaria non potrà che essere diversa da quella storica. E così infatti accade nella vicenda del libro, che ha per protagonista un pm napoletano che non brilla per intelligenza o arguzia nella conduzione delle indagini.
Lo scrittore siciliano ha sottolineato che, «più che un giallo, si tratta di un’orribile farsa durante la quale colpevoli e innocenti, accusati e accusatori coopereranno, tutti perché trionfi la menzogna in nome della verità».
Quatrano, che è stato presentato anche dall’ex segretario di Magistratura Democratica Livio Pepino e dalla giornalista Rosanna Santoro, ha precisato che il suo scopo era quello di «scrivere di persone in cui il bene e il male non fossero così discriminanti. C’è solo una discriminante, la legge, ma anche in questo caso la legge chi la fa? Il più forte».
 
 

La Sicilia, 26.5.2003
I fondali bassi non fermano una maxi nave
Dagli Usa per visitare Vigata

PORTO EMPEDOCLE - «Invasione» di turisti a Vigata. Ieri sono arrivati dal mare, a bordo della maxi nave da crociera «Silver Cloud» e, da terra, a bordo di tre autobus. I primi a mettere piede nella cittadina marinara sono stati 139 attempati americani, sbarcati dalla lussuosa imbarcazione proveniente da Civitavecchia intorno alle 9. Tutti a spasso prima nella Valle dei Templi, per poi fare un capatina veloce nei luoghi cari ad Andrea Camilleri.
La fama del «papà» del commissario Montalbano ha infatti varcato l'oceano Atlantico, creando grande curiosità intorno al paese natale del fenomeno letterario del momento. Mentre gli americani visitavano a gruppetti le bellezze agrigentine ed empedocline, irrompevano in paese tre autobus carichi di villeggianti campani, provenienti da Sorrento. In tutto duecento persone che hanno affollato qualche bar della cittadina marinara, prima di proseguire il tour nelle più belle città della Sicilia. Tra le mete visitate dai villeggianti di Sorrento la spiaggia di Marinella e la Scala dei Turchi. Una giornata dunque positiva sul fronte dello sviluppo turistico a Porto Empedocle - Vigata.
La domenica di festa si era per giunta iniziata con un brivido, corso sulla schiena di chi gestisce l'accesso in porto delle navi. Rispetto a quanto accaduto in molte altre occasioni, il comandante della «Silver Cloud» ha deciso di osare, puntando diritto verso la banchina dello scalo empedoclino, senza crearsi tanti problemi sul basso pescaggio del fondale.
Dosando al millimetro ogni movimento della mastodontica imbarcazione, sulla quale lavorano 200 persone di equipaggio, il comandante è infatti riuscito a «parcheggiare» quello che da lontano sembrava un palazzo galleggiante. L'imponente mole della nave da crociera, di proprietà di un armatore delle Bahamas ha attratto l'attenzione di molti empedoclini recatisi quasi in pellegrinaggio a vedere da vicino il «mostro» bianco.
La «Silver Cloud» ha mollato gli ormeggi nel tardo pomeriggio di ieri, portando con se gli americani che avevano invaso Vigata e Agrigento, dopo avere aperto il cuore alla speranza, soprattutto del sindaco empedoclino Paolo Ferrara. «Anche senza dragaggio del porto le grosse navi con tanti villeggianti a bordo possono entrare, avendo un comandante con un pizzico di coraggio e tanta bravura. Una constatazione che ci rende ancor più ottimisti, pensando all'imminente adeguamento dei fondali».
Francesco Di Mare
 
 

Il Nuovo, 26.5.2003
Rai, stagione di tagli in vista
In bilico i due gioielli: Il commissario Montalbano e Un medico in famiglia non saranno pronti per la prossima stagione televisiva. Rai Fiction: arriveranno

ROMA - Ebbene sì. La Rai ha deciso. Niente Commissario Montalbano e Un medico in famiglia fino al 2005. Se tutto va bene si punterà su titoli importanti e popolari, tra cui la quarta serie del Maresciallo Rocca, ma la perdita delle due serie, nei corridoi di viale Mazzini, è considerata cosa di non poco conto. La Rai, secondo quanto trapelato dagli ambienti dei produttori, non si decide a firmare i contratti, gli attori prendono altri impegni e nell'incertezza generale e tutto procede a rilento con la conseguenza di far slittare le riprese.
Del resto, visto i tempi magri, la Rai tutta, fiction compresa, deve fare i conti con una riduzione dei budget, con costi inferiori del 15% e così anche Il commissario Montalbano che piace a tutti, persino al presidente della Repubblica, è fermo.
"Da una settimana si è riaperta la trattativa - dice non senza riserbo il produttore Carlo Degli Esposti della Palomar - con il direttore generale della Rai. Sto fermo sulle mie posizioni da un anno: Montalbano è indubbiamente un fenomeno unico, anche l'iter contrattuale è unico". Degli Esposti spiega di aver programmato per il 2004 o 2005, due film (o quattro, si vedrà) sul personaggio scritto da Camilleri, "ma più tempo passa, più penso che con si potrà fare prima del 2005 proprio perché la situazione non si è ancora sbloccata. Sono fiducioso comunque, alla fine trionferà il bene, come nei film di Montalbano".
In attesa che la matassa si dipani (Camilleri secondo alcuni sarebbe stato bloccato per motivi politici), Degli Esposti sta ultimando un film documentario su Andrea Camilleri, realizzato con Rai Fiction. Quanto al Medico, che domenica sera ha chiuso trionfalmente con il 40%, bisognerà aspettare: "Le riprese non sono ipotizzabili prima dell'inizio del 2004 e se anche si riesce ad andare in onda in autunno, di fatto si salterà una stagione", afferma Carlo Bixio della Publispei.
Per ora con la Rai ci sono due miniserie in cantiere, tra cui due puntate ancora con Banfi, Raccontami una storia sul tema delle adozioni. "Gli attori vogliono fare anche altre cose e se i contratti non sono avviati è giusto che prendano altri impegni. E' un momento un po' delicato - conclude Bixio - anche se il nuovo direttore di Rai Fiction Agostino Saccà mi sembra pieno di buone intenzioni".
LA PRECISAZIONE
Secondo la Direzione Fiction Un medico in famiglia, che prima aveva cadenza biennale, potrebbe diventare annuale: se non arriverà per la primavera del 2004 arriverà all'autunno. Gli accordi col produttore Carlo Bixio sono in via di accelerazione, spiegano ala Direzione. Quanto a Montalbano, spiegano a Rai Fiction, c'é già un accordo con la Palomar di Carlo degli Esposti per allargare la produzione anche ai romanzi storici, Un modo, si sottolinea, per tenere comunque alta l'attenzione su Camilleri e sulla Vigata storica, prima dell'arrivo delle nuove serie sul commissario interpretato da Luca Zingaretti.
 
 

Il Messaggero, 27.5.2003
I segreti dell’irresistibile ascesa del commissario Montalbano
«Mi converto a Camilleri» 

E’ una forma di snobismo assai diffusa quella esibita nei confronti di Andrea Camilleri da critici, scrittori e altri addetti ai lavori dell’editoria che, per dirla con un po’ di malignità, sono irritati dalle alte tirature dei suoi libri. Si tratti di banale invidia (ma l’invidia, secondo Elsa Morante, è ancora una virtù molto umana: deriva dal riconoscere agli altri qualcosa di più di quel che noi abbiamo o siamo) o di convinzioni profonde, si ha comunque il sospetto che quei tali non siano suoi lettori, oppure che non apprezzino in alcun modo una letteratura che non dimostri i suoi quarti di nobiltà letteraria. Non è il caso di polemizzare oltre misura, mentre è invece il caso di chiedersi se, dietro il fenomeno Camilleri, ci sia uno scrittore vero oppure no. La risposta, se ci si spinge un po’ avanti, è certamente positiva. Le ragioni del successo di un autore le si scopre sempre a posteriori, e spesso scrittori che fanno di tutto per averlo (o il “sistema editoriale" che hanno alle spalle e che li sostiene) non lo ottengono affatto. Un grande editore mi disse una volta che avrebbe potuto, grazie alla pubblicità e a recensioni più o meno controllate, riuscire a vendere di un libro fino a trentamila copie ma non oltre; oltre, era il pubblico a decidere; i veri, i grandi best-seller in qualche strano modo è il pubblico a decretarli. Se un libro piace a tanti, qualche ragione c’è, anche se è legittimo non condividerla e anzi in molti casi disgustarsene.
Per fortuna questo non è il caso dei best-seller di Camilleri, per molti aspetti, diciamo così, “innocui", e per molti altri invece accettabili e anzi amabili. Personalmente, rimprovero allo scrittore agrigentino solo un certo abuso del dialetto - crescente negli ultimi libri, e forte in particolare nell’ultimissimo, Il giro di boa (Sellerio). Quello che era un ricorso spiritoso e caratterizzante, un “sale" aggiunto alla vivacità della narrazione per definire un ambiente, anche se soltanto la sua superficie, sta diventando un po’ invadente. Forse in questo c’è l’ambizione di Camilleri a porsi nella schiera non vasta dei “gaddiani minori", che sanno baroccamente giocare con la lingua anche a partire da una letteratura “disimpegnata" o sbrigativa sul fronte della ricerca espressiva - e penso in particolare a un “gaddiano minore" del Nord, a Gianni Brera - ma c’è, ancora di più, una tradizione locale, se possiamo chiamare “locale" per un girgentino una tradizione specificamente catanese, quella del teatro di Angelo Musco, Martoglio e Capuana, di quello soprattutto che più addomesticava il dialetto e lo rendeva palatabile per il “continentale" bisognoso di colori locali meridionali.
Il rapporto delle commedie di Musco con la realtà del suo tempo è molto mediato, come lo è quello dei polizieschi di Camilleri; e il rapporto di Camilleri con il dialetto e con la lingua è divertito e strumentale, non risponde a un bisogno espressivo reale. Ma, per l’appunto, di divertimento si tratta, con la differenza che Camilleri non è Greene né Simenon, e la sua scelta non è quella di dividersi in due - un versante più serio e uno più commerciale o divertente/divertito - ma di essere partito da un’idea di letteratura più elevata, se pur accettando una scuola nella sudditanza al magistero di Sciascia, con il racconto-ricostruzione di episodi storici significativi ancorché secondari, e di essere rapidamente approdato al mero divertimento e cioè ai romanzi di Montalbano.
Sono assenti da Camilleri sia la volgarità che la presunzione, però nei polizieschi vagamente verosimili e nella sua Vigata vagamente verosimile, che ne è lo sfondo naturale e sociale, saltano agli occhi la generosità delle ambientazioni e la sommarietà delle psicologie oltre alla pretestuosità della lingua. E però... Però questi romanzi stanno in piedi benissimo, e giustificano appieno l’interesse del “lettore comune" nei loro confronti, distinguendoli nettamente da quelli di altri esponenti italiani di un genere di grande voga. In breve, il genere si divide qui e altrove nei due filoni che possiamo chiamare del “giallo" un po’ astratto, solo vagamente indicativo di realtà precise, e del “noir" che, quando non è altrettanto astratto, ha ambizioni di durezza e di crudezza maggiormente rappresentative degli orrori della nostra epoca. Ma quanti sono gli autori importanti di “noir" in Italia (andrebbero citati più dei titoli che degli autori: per esempio Arrivederci amore addio di Carlotto, che con i romanzi della serie dell’Alligatore è l’unico vero rivale, sul fronte veneto, del nostro scrittore siciliano, o Io non ho paura di Ammaniti, giustamente celebrato), mentre abbondano i “giallisti". 
La differenza tra i tanti autori del genere Camilleri (e Carlotto) sta nella durata. Di solito gli altri partono o sono partiti bene e si sono poi arenati nella copia delle loro prime opere e non hanno saputo crescere, per limiti individuali, per scarsità d’esperienza o di tensione interna - che entrambe invece non mancano a Carlotto, ma non mancano neanche a Camilleri. Però Carlotto è “partito da sé" mentre la molla più forte di Camilleri sembra essere... l’anzianità. Sì, proprio l’anzianità in senso di anni e di accumulo di conoscenze, e non tanto quelle di prima mano quanto quelle di origine professionale. Camilleri ha accumulato il suo sapere tecnico - la vera riserva cui sembra attingere, più che alle storie di Vigata, Sicilia - a partire da una lunghissima esperienza di “gestore", o regista, o programmista di serie radiofoniche e televisive: teatro, romanzi sceneggiati, e affini. Si è così costruito una cultura vastissima che gli permette di navigare molto accortamente tra strutture, trame, sottotrame, caratteri, scansioni, digressioni, agnizioni, zeppe e ficelles. Possiede un sapere specifico che nessun altro sembra avere grande quanto lui, che è la sua “riserva" e che fa la sua fortuna. Camilleri è arrivato molto tardi al successo, e non ci dà affatto fastidio che egli se lo goda, salvo che nel riciclaggio di coserelle non narrative (i manualetti di teatro per esempio, superflui anche se non dannosi). Non butta via niente, insomma, delle sue fatiche professionali quasi anonime di ieri, e questo non è un bene.
Camilleri la sa letteralmente lunga, ed è questo che attira i suoi lettori. Ci vende, aggiornato, un genere d’intrattenimento che ha fatto e rifatto le sue prove, ma che egli sa presentare sotto altri aspetti, e ridargli vigore come fosse nuovo. Montalbano e Camilleri hanno finito per entrare decisamente nel loro e nostro tempo, per appartenerci. Camilleri sa essere un probo professionista dell’intrattenimento letterario, il più noto e prolifico di tutti (perché deve riguadagnare il tempo perduto, e non per mera grafomania), e sa rendersi simpatico, fin al punto di volerne tentare una “illustrazione e difesa" di fronte ai suoi denigratori. Oltre a tutti i motivi suddetti, c’è anche il fatto, per dirla volgarmente, che Camilleri come Montalbano “non se la tira", mentre ahi come se la tirano! tanti scrittorelli innamorati di sé. I primi in classifica tra gli autori di best-seller in questo scorcio di stagione sono, con Camilleri, De Luca e la Tamaro, e a me, senza infierire su nessuno, piace di più Camilleri.
Goffredo Fofi
 
 

Il Messaggero, 27.5.2003
FESTIVAL LETTERATURE
Lo scrittore promette: «A Massenzio vi darò un’altra immagine di me»

«I TEMPI verbali». E’ questo il punto di partenza della riflessione che Andrea Camilleri leggerà questa sera (ore 21) al Festival internazionale Letterature nella Basilica di Massenzio. Un Andrea Camilleri che, ieri durante una conferenza stampa alla Casa delle Letterature, si è presentato in forma smagliante e con il suo miglior biglietto da visita: l’ironia. «Voglio vedere — ha subito apostrofato la sala gremita — che non avessi accettato di partecipare! C’è un limite al masochismo! Ti invitano, primo scrittore italiano, e che fai, rifiuti? A me potrebbe capitare solo se fossi al manicomio». 
E, dopo i ringraziamenti, proseguendo il suo gioco degno di una mente da regista, ha spiegato la genesi dell’intera serata: «Mi hanno dato da svolgere un tema, "Passato, futuro", e io a scuola sono sempre stato molto bravo a scriverli. Il problema è che l’argomento può essere affrontato da un punto di vista filosofico, scientifico, storico... Ma io, mi sono chiesto, cosa so? I tempi verbali: io sono, sono stato, fui, sarò». Camilleri non parlerà dunque del valore del passato e del futuro nella sua scrittura (che pure ne ha tanto), ma di come «nel corso del Novecento sia stato sempre più difficile usare il presente indicativo: io sono». Un vero excursus letterario, con esempi e citazioni: «Abbiamo ormai personaggi senza cognome, senza nemmeno il più presente passato prossimo. Come Joseph K., fino ad arrivare all’abolizione del tempo con Antonio Pizzuto nella Signorina Rosina. Una mancanza di passato e futuro. Un passato che è la storia con la S maiuscola».
«Un discorso impegnativo — riflette ad alta voce Camilleri — che ha fiducia nell’intelligenza del pubblico, ma che lascerà di certo un po’ disorientati perché presenta un’altra immagine di me».
Una serata ad alto livello, non solo per la letteratura, ma anche per il jazz. Mai stanco di professare il suo amore per questo genere musicale, Camilleri ha accettato subito, «pieno di curiosità», il confronto: quattro interludi, con Enrico Rava alla tromba e Stefano Bollani al piano, che non saranno un semplice contrappunto alle sue parole, ma un percorso parallelo sullo stesso tema, l’abolizione del tempo nell’evolversi del jazz.
Grande professione di stima per Luca Zingaretti, che aprirà la serata leggendo non Montalbano, ma un brano da La concessione del telefono: «L’ho conosciuto giovanissimo, allievo-attore dell’Accademia dove insegno. Mi è sempre piaciuto tanto e l’ho tenuto sott’occhio. Quando il regista Sironi l’ha scelto per il Montalbano televisivo, ho avuto un sussulto: non aveva nulla a che vedere con il mio Montalbano. Oggi, quando scrivo, devo dire: vattene Luca!».
Claudia Rocco
 
 

Radio Capital, 27.5.2003
Intervista ad Andrea Camilleri
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GIORNALISTA: …in estate c’è il Festival della letteratura dove vengono invitati degli scrittori, in genere stranieri ma in questo caso no, e mentre leggono i propri testi e mentre sullo sfondo c’è la splendida basilica in stile romanico col cielo blu di Roma, con la luna -insomma, fa sempre un certo effetto, ecco- contemporaneamente si svolge anche un concerto di jazz. E questa sera c’è un personaggio di culto, cioè l’attore Luca Zingaretti che interpreterà un testo inedito di un altro personaggio di culto, Andrea Camilleri… ma intanto sentiamo direttamente da Camilleri qual è il testo di stasera.
ANDREA CAMILLERI: Sono alcune variazioni sul tema dato che è il passato/futuro, sulla evoluzione che il tempo presente, voce del verbo essere “io sono”, subisce in rapporto alla mancanza di passato o alla impossibilità di futuro nella letteratura.
GIORNALISTA: Questa è la sua prima volta in pubblico: è emozionato?
ANDREA CAMILLERI: No, emozionato no, ma non ho mai avuto un pubblico così vasto e quindi è un’esperienza da fare… non so come va a finire, ma comunque è divertente farlo.
GIORNALISTA: Camilleri, come spiega il suo incredibile successo malgrado il linguaggio sperimentale dei suoi romanzi, molto siciliano?
ANDREA CAMILLERI: Se fossi in grado di spiegarlo non farei lo scrittore, metterei su una casa editrice applicando un tipo di formula di successo. Quando io ho scritto il primo romanzo, per dieci anni nessun editore me l’ha voluto pubblicare… non è che io mi sono suicidato o mi sono disperato, continuavo a fare il regista: era un modo di comunicare anche quello. E quindi in qualche modo parava questa perdita.
GIORNALISTA: E’ importante per lei la memoria?
ANDREA CAMILLERI: Ma sa che cosa c’è? C’è che il presente tende a distruggere quasi sempre la memoria… la memoria conserva il passato, lo conserva, perché la casa nella quale lei è vissuta può essere stata distrutta, abbattuta dalle bombe, dalla ruspa, da quello che vuole lei, ma lei, in qualsiasi momento, è capace non solo di ricostruirsela com’era nella sua memoria, ma di riportare nella sua memoria l’odore di una stanza, i suoni che sentiva in un’altra.
GIORNALISTA: Per concludere, io direi che non si può parlare di Camilleri senza citare la Sicilia di Montalbano: ma com’è quella Sicilia?
ANDREA CAMILLERI: In fondo la vera ambientazione di Montalbano è la mia di quarant’anni fa, ormai irripetibile e introvabile.
GIORNALISTA: Questa era la bella voce profonda di Andrea Camilleri che potrete trovare questa sera con Luca Zingaretti  alla Basilica di Massenzio per una serata speciale che vi abbiamo presentato in anteprima qui su Radio Capital.
[trascrizione a cura di Paola]
 
 

La Stampa, inserto "Vivere Roma", 27.5.2003
Stasera Andrea Camilleri fra passato e futuro
L'autore siciliano si esibirà con Enrico Rava alla tromba
In scena anche il pianista Stefano Bollani come tradizione
Il suo lavoro partirà da un pensiero sui tempi verbali

Andrea Camilleri è il primo autore italiano a calcare il palcoscenico della Basilica di Massenzio, sede del Festival 
Letterature che si chiuderà il 20 giugno con l'arrivo di Paul Auster. Lo scrittore siciliano ha scelto di leggere per il suo 
pubblico un testo scritto appositamente per la manifestazione, prendendo spunto dal tema che fa da filo conduttore ai reading "Passato Futuro" e sarà introdotto da Luca Zingaretti, l'attore che indossa i panni del suo Commissario Montalbano nella fiction televisiva firmata dal regista Alberto Sironi.
"Zingaretti stasera non sarà Montalbano - spiega Camilleri - sarà semplicemente se stesso e leggerà un brano tratto da "La concessione del telefono". Sono felice che mi introduca lui. Lo conosco da quando era ragazzo e frequentava l'Accademia d'Arte Drammatica Silvio D'Amico. Era un mio allievo attore e mi piaceva assai assai. Ho seguito la sua attività anche negli anni successivi, l'ho sempre stimato ma, quando mi fu comunicato che sarebbe stato lui a interpretare il mio Commisario Montalbano, ebbi un sussulto. Non avevo voce in capitolo sulla decisione dell'attore, né volevo prendermela, ma la prima cosa che pensai è che Luca non aveva nulla a che vedere con il mio personaggio, pur essendo un bravo attore. Quando scrivo le storie di Montalbano oggi sono costretto a dirgli "vai via!".
A differenza di Doris Lessing che ha aperto "Letterature" separando il suo reading dal concerto di jazz, Camilleri è 
entusiasta dall'idea di interagire con il trombettista Enrico Rava e il pianista Stefano Bollani, che saranno con lui in scena come vuole la tradizione del Festival. "Ho chiesto ai jazzisti di dire in musica esattamente quello che io dico a parole almeno in quattro punti della mia lettura, in modo da far evolvere insieme note e letteratura" spiega Camilleri precisando: "Parlerò di passato e futuro, ma con variazioni sul tema".
Il suo testo partirà da un ragionamento sui tempi verbali, per esempio si soffermerà sulla difficoltà per uno scrittore di usare il presente indicativo in fase di scrittura, fino ad arrivare all'importanza della storia e del pesante fardello che a volte può rappresentare e alla descrizione del suo orizzonte sempre "storico-futuro". "Appartengo a una razza che non coniuga mai il tempo futuro - dice - A Palermo nessuno dirà mai "domani andrò", ma "domani vado". Il mio massimo futuro, infatti, arriva fino alle 24 o alle 48 ore. A stasera dunque!".
f.b.
 
 

Il Secolo XIX, 27.5.2003
Il papà di Montalbano indaga sul Novecento citando Hegel e il jazz
A Letterature di scena Andrea Camilleri

Leggerà un testo inedito sul rapporto tra passato e futuro Andrea Camilleri questa sera al festival internazionale di Roma Letterature. L'autore della serie romanzi di Montalbano, l'ultimo è Il giro di boa, appena uscito da Sellerio, è il primo scrittore italiano che interviene sul palco di Massenzio.
“Sono sempre stato bravo a svolgere i temi, fin dalle elementari. Il segreto è conoscere i propri limiti, parlare di quello che si conosce. E io cosa so? Conosco i tempi verbali: fui, ero, sono. Parlo di come mai in questo Novecento sia stato sempre più difficile dire “io sono”. Sono aumentati i personaggi senza nome, senza un passato prossimo, tipo Josef K., addirittura si abolisce il tempo. E' un discorso impegnativo, lo so, ma ho deciso di affidarmi all'intelligenza del pubblico, che mi scoprirà sotto una veste diversa dal narratore di storie”.
Camilleri non vuole anticipare nulla: “Già scrivo e riscrivo, se poi lo racconto prima, pensate che noia rileggere davanti al pubblico”, però rivela qualcosa delle conclusioni: “Hegel, un filosofo noioso ma fondamentale, diceva che la storia è un fardello pesante. Mi è venuto in mente qualche mese fa, quando un giovane paese accusò l'Europa di essere troppo vecchia. Noi non abbiamo il passo veloce perché abbiamo un fardello millenario da portare. Un fardello che quando si cammina sulla sabbia del tempo lascia segni forti, come non succede a chi è troppo leggero”.
Insieme alla lettura di Camilleri ci saranno le improvvisazioni del jazzisti Enrico Rava e Stefano Bollani. “Sarà una bella jam session. Avrei voluto intervenire anch'io, con il mio sax tenore, ma sono stato vivamente sconsigliato dai miei familiari. Una delle rare volte che mi hanno detto qualcosa di utile”. L'intervento di Camilleri sarà preceduto dal Montalbano televisivo, Luca Zingaretti, che leggerà brani tratti da La concessione del telefono, un romanzo senza il commissario: “Conosco Luca da quando era un allievo all'Accademia, dove io insegnavo regia. Era bravo, molto bravo. Ma quando Sironi mi disse che lui era il prescelto, mi prese un colpo. Perché non c'entrava proprio niente con il Montalbano che io avevo immaginato. Ma lui è un bravo attore, riesce a dartela a bere bene. E ora quando scrivo le storie del commissario fatico a togliermelo di torno”.
Andrea Camilleri scrive a modo suo del passato, confessa: “Ho una buona capacità falsificatoria del passato. E' come quella battuta di Woody Allen: “sai far bene l'amore” e lui risponde: “mi esercito molto da solo”. Anch'io mi esercito molto da solo, mi rigiro il passato tra me e me”. E nello scrivere la lingua è teatro e il teatro è la lingua: “Il siciliano è un dialetto teatrale, adatto a fare commedia nella vita quotidiana. Si presta a ogni mistificazione”.
Perché pensa e scrive in siciliano non gli interessa il futuro: “I siciliani non hanno il futuro: non si dice mai “andrò”. Il massimo di futuro che posso pensare non va oltre le 48 ore. Come quando ero giovane comunista” e qui Camilleri si diverte – “Lo posso dire? Ma tanto non aspiro a incarichi di governo” – e prosegue “ci davamo gli appuntamenti la mattina presto. Perché non si sa mai cosa può succedere”.
Bia Sarasini
 
 

Il Cittadino, 27.5.2003
Oggi a Roma duetto inedito fra Enrico Rava e Camilleri

Roma. Uno scritto inedito di Andrea Camilleri per il Festival Letterature di Roma. Oggi nella Basilica di Massenzio lo scrittore siciliano leggerà una sua riflessione che porta il titolo dell'edizione di quest'anno del festival romano Passato, futuro.
Un "reading" a tempo di jazz con la tromba di Enrico Rava e la partecipazione di Luca Zingaretti, l'attore che ha dato un volto alla creatura più conosciuta di Camilleri: il commissario Montalbano. «Quando mi è stata proposta la mia partecipazione al festival, ho cominciato a riflettere sul rapporto primario tra passato e futuro partendo dai tempi dei verbi per giungere a spiegare come l'uso di questi ultimi si sia trasformato nella letteratura fino alla sua scomparsa». Ha spiegato Camilleri.
Nell'inedito dello scrittore di Porto Empedocle citazioni che vanno dagli scritti del filosofo Hegel al contemporaneo Antonio Pizzuto. «È uno scritto dove, tra riflessioni e citazioni - torna a spiegare lo scrittore - mi soffermo sul peso la storia millenaria dell'Europa ha sulla nostra cultura».
(Adnkronos)
 
 

La Sicilia, 27.5.2003
PORTO EMPEDOCLE. Sono già pronte le quattro tabelle stradali con l'aggiunta del nome
Vigata è già una realtà

Sono già pronte le 4 tabelle stradali sulle quali campeggerà la scritta Porto Empedocle - Vigata.
Entro questa settimana infatti, la ditta Futura di Agrigento piazzerà negli ingressi della cittadina marinara la nuova cartellonistica, che suggella il legame inscindibile tra Andrea Camilleri e il paese che l'ha visto nascere e crescere. Da un lato campeggerà lo stemma empedoclino, dall'altro il marchio dell'Unione Europea, entrambi a far corona alle scritte «benvenuti», «Porto Empedocle (Vigata)» e «comune a prevalente economia turistica». Larghe 135 centimetri e altre 90, sono state realizzate in alluminio classe 2 cioè - spiega Luigi Gangarossa della ditta Futura - «ad alta resistenza alle intemperie e in grado di potere essere viste anche in condizioni meteoroligiche avverse, perfino quando c'è nebbia». Nebbia che raramente cala nella centro empedoclino, al contrario di quanto sta accadendo e accadrà ancora di più nei prossimi giorni. L'amministrazione comunale si è accordata con un tour operator agrigentino, grazie al quale arriveranno a Porto Empedocle, i turisti impegnati in escursioni nei siti d'interesse culturale. Tra una visita a lido "Marinella" e una alla Torre di Carlo V, i turisti potranno gustare anche gli arancini di Montalbano.
Francesco Di Mare
 
 

La Sicilia, 27.5.2003
Attivato dal comune
Accordo con tour operator per «le strade di Camilleri»

Il vulcanico assessore comunale al Turismo, Tonino Guido, ha infatti concluso un accordo con un noto tour operator agrigentino, col quale far prendere corpo il progetto denominato «Sulle orme di Montalbano».
Un accordo i cui obiettivi evidenti sono quelli dell'inserimento di Porto Empedocle nel circuito internazionale del turismo culturale, valorizzando i siti originari del personaggio creato da Camilleri e valorizzato dalla fiction televisiva della Rai. L'intento è quello di fare arrivare almeno 100 turisti al giorno.
Al fan di Montalbano verranno fatte vedere le bellezze di Vigata: la Scala dei Turchi, la Torre di Carlo V, il lido «Marinella», il lido «Azzurro». Tutti spaccati di territorio in grado di suscitare emozioni per la vista, affiancate però da altrettanta soddisfazione per il palato del turista. Coloro i quali giungeranno a Vigata a bordo di pullman da almeno 100 posti, potranno infatti gustare le specialità tanto care al commissario Montalbano. Le arancine, le olive, i cannoli con la ricotta.
Camilleri ma non solo Camilleri però. In ossequio all'altro simbolo della cultura agrigentina, a Porto Empedocle verranno dedicati ampi spazi per la visita dei luoghi e la conoscenza delle opere di Luigi Pirandello. Nel corso delle escursioni effettuate dai villeggianti infatti, gli operatori turistici convenzionati col comune, leggeranno brani delle opere realizzate dai due scrittori, famosi in epoce diverse, e in grado di smuovere un fiorente giro di denaro.
 
 

La Stampa, 27.5.2003
Un «grande ritorno» il successo dell’UDC 
«Sorpasso» in Sicilia. Gli ex democristiani davanti a Forza Italia
Ai primi risultati festeggiamenti in casa Cuffaro. Il presidente della Regione: «E’ andata bene per tutta la coalizione. Nel capoluogo due anni fa io presi il 60%, oggi lo prende Ciccio. Siamo in pareggio»

[...]
In Sicilia il centrodestra è ampiamente maggioritario; i suoi avversari non sono più come un tempo concepiti come alternativi al sistema; e a Palermo è più facile vedere un motociclista con il casco che un manifesto con la quercia o la margherita. E' una sinistra ancora agitata dal fantasma di Orlando e dei processi politici, ancora divisa tra postcomunisti vicini all'ex sindaco (che li svuotò sino a schiacciarli sotto il 10%) e postcomunisti critici, tra i Folena e i Macaluso.
Elvira Sellerio coscienza critica della sinistra simpatizza per i secondi, il suo autore di punta per i primi: «E' giusto fare i processi - dice Andrea Camilleri - anche quando finiscono con le assoluzioni». Entrambi, editrice e scrittore, concordano che la sinistra siciliana «ha perso le motivazioni storiche».
[...] 
 
 

La Repubblica, ed. di Roma, 28.5.2003
Massenzio
Con Camilleri debutta l´Italia

La lettura lenta e pacata, la cadenza che riecheggia il ritmo delle sue pagine scritte: Andrea Camilleri, primo scrittore italiano a salire sul palco di Massenzio per il Festival internazionale delle Letterature, ha conquistato la platea con il suo testo quasi filosofico, complesso, pieno di citazioni ma comunque appassionante, applaudito con sincero affetto da una gran folla di spettatori. È stato il clou della serata di ieri, dopo la lettura di Luca Zingaretti e subito prima dell´allegria jazz con la tromba di Rava e il pianoforte di Stefano Bollani. Ai piedi della prospettiva di colonne del Tempio di Venere e Roma, oltre duemila persone erano in attesa già da molto presto ieri sera per assicurarsi un biglietto al botteghino: così, sul fare del tramonto il piazzale di fronte al palco era già interamente occupato da gente di ogni età, con i libri aperti sulle ginocchia per ingannare il tempo nell´attesa, con un filo d´apprensione per il cielo carico di nuvole.
Tanti i fan di Camilleri, lo scrittore più amato dagli italiani, almeno stando alle classifiche di vendita delle librerie, ma tantissimi anche quelli (quelle, soprattutto) arrivati a Massenzio per vedere dal vivo il popolare interprete del personaggio più celebre creato dalla fantasia dell´autore di Porto Empedocle, in queste settimane di nuovo in testa con "Il giro di boa", ultimo episodio della popolare serie del commissario Montalbano.
La serata è cominciata intorno alle nove, con Luca Zingaretti che ha letto un brano da "La concessione del telefono", stavolta naturalmente senza la traduzione sul maxischermo alle spalle degli autori a cui è ormai abituato il pubblico della Massenzio letteraria che nei primi due appuntamenti ha visto sul palco Doris Lessing seguita dal tandem di americani, Jonathan Lethem e Jeffrey Eugenides, ultimo premio Pulitzer.
Quello di ieri è stato dunque l´esordio della letteratura italiana al Festival, un desiderio espresso anche dal pubblico alla conclusione della passata edizione. E un esperimento riuscito, commentano gli organizzatori del Comune dall´assessore Borgna alla curatrice Maria Ida Gaeta, oltre che un appuntamento veramente straordinario, considerato che per ragioni di salute, le uscite serali di Camilleri sono sempre più rare e difficili, vederlo leggere in pubblico una vera rarità.
Con la serata di ieri il Festival è entrato nel vivo. Venerdì sera è di scena una coppia di giallisti che Camilleri stesso ha raccomandato e ha raccontato di conoscere per affinità di genere: si tratta di Alan Warner e soprattutto del russo Boris Akunin, in testa a tutte le classifiche del suo paese. Più avanti, la Letteratura italiana farà ritorno a Massenzio in questa stessa edizione: il 13 giugno legge un brano inedito la scrittrice Dacia Maraini, accompagnata dall´attore Ascanio Celestini e con la musica di Stefano Battaglia e Michele Rabbia.
Francesca Giuliani
 
 

RomaOne, 28.5.2003
Il commissario Montalbano "ruba" plausi e lodi
Il quarto appuntamento del Festival delle Letterature, presso la basilica di Massenzio, ha ospitato lo scrittore Andrea Camilleri. Con lui sul palco, anche Luca Zingaretti, interprete del personaggio televisivo di Vigàta

C'erano tutti, o quasi, i nipoti pestiferi chiamati a gran voce da Andrea Camilleri: più di duemila persone sono accorse ad ascoltare il popolarissimo scrittore della saga del commissario Montalbano, in occasione del quarto incontro del Festival delle Letterature, arrivato alla sua seconda edizione.
Composti o indisciplinati, gli appassionati delle avventure cartacee e televisive del fortunato commissario erano tutti lì in attesa di respirare quell'aria di Vigàta che non si è fatta attendere.
La bella basilica di Massenzio ha fatto da palco a quest'incantevole serata, una valle dei templi in miniatura intagliata nella scenografia artificiale dei riflettori e in quella naturalmente bella del Colosseo e della via dei Fori Imperiali. Come dire, un pezzo di Sicilia dentro Roma.
Molto romana invece - quasi da stadio - la ressa all'entrata, dovuta alla grande disorganizzazione nella distribuzione degli inviti gratuiti; numerose lamentele si sono sollevate dalle due file che hanno preceduto l'ingresso alla manifestazione. Poco importa, quando si spengono le luci l'insofferenza di chi è ancora in piedi e di chi è costretto a sedersi in terra, fa spazio alla poesia.
L'introduzione è stata del sindaco di Roma, Walter Veltroni, che non ha mancato di ricordare con una punta di commozione la scomparsa di Luciano Berio, presidente dell'Accademia di Santa Cecilia. Poi ha annunciato l'ingresso del commissario Montalbano in carne ed ossa - è proprio il caso di dirlo -, l'attore Luca Zingaretti, accolto con sincero calore dal pubblico. Sono bastati pochi versi in dialetto interpretati dal Montalbano televisivo per entusiasmare i presenti: il suo breve passaggio sul palco per la lettura di alcune pagine de "La Concessione Del Telefono", ha rubato, senza commettere reato, applausi e sorrisi.
Alla fine della sua bella esibizione il commissario è tornato di carta, mentre un ammiccante Camilleri, che fino a quel momento aveva sorriso alla platea solo da una fotografia, si è materializzato velocemente sul palco per il momento centrale della serata. Il brano inedito scelto per l'occasione è stato un lungo percorso sul rapporto passato-futuro: la riflessione dello scrittore, giocata sulle differenze dei tempi verbali, è stata un viaggio attraverso la filosofia e la letteratura, da Sant'Agostino a Kafka, da Melville a Kant.
La grazia di Camilleri è stata quella del saper alleggerire le sue stesse parole spezzandole di tanto in tanto con una battuta, una scivolata volutamente dialettale, un ritorno allo spettatore-lettore condotto sempre con umiltà anche attraverso quel suo gesticolare leggero in aria della mano destra, che ha ricordato a molti la carezza di un nonno.
A distendere e a spezzare il ritmo della lettura ci ha pensato anche il genio del duo jazz Bollani-Rava attraverso una tromba e un pianoforte magistralmente suonati. I due interpreti hanno cercato e trovato il risultato del connubio musica-scrittura in un jazz che si è snodato senza tempo come le parole lette e secondo una formula inedita: per la prima volta da quando esiste il festival è stata infatti ideata una struttura parallela, che ha alternato i brani letti alle interpretazioni musicali.
L'idea è piaciuta molto al pubblico e non ci sarebbe niente di strano a credere che anche questa trovata porti la firma di Camilleri. Una sorpresa nel finale della serata: la presentazione di due capitoli del nuovo romanzo [in effetti un racconto, NdCFC] dedicato a Montalbano, intitolato "I 7 Lunedì", non ancora pubblicato e già attesissimo. Come dire che Camilleri di firme a fondo pagina sembra ne voglia mettere ancora molte altre.
La.Ca.
 
 

La Repubblica, 28.5.2003
Niente "Montalbano" né "Medico in famiglia" nei palinsesti: causa ritardi e indecisioni di Viale Mazzini. Ma c´è D´Eusanio in prima serata
Una stagione senza gioielli
Delle due serie di maggior successo se ne riparlerà, se va bene, fra un paio d´anni

ROMA - Una stagione Rai senza Medico in famiglia e Commissario Montalbano, ma con Alda D´Eusanio promossa su RaiUno in prima serata, l´arrivo di Paolo Bonolis e il ritorno di un vecchio format come Scommettiamo che?. Viale Mazzini si perde per strada due campioni di ascolto e nel nuovo palinsesto rimescola le carte. Il Consiglio di amministrazione della Rai ha approvato all´unanimità il progetto del bilancio 2002 che sarà sottoposto all´assemblea degli azionisti. Il bilancio si chiude con un utile di circa 5 milioni di euro che sarà destinato a riserva, cioè da utilizzare per gli investimenti futuri. Il Consiglio ha inoltre approvato, sempre all´unanimità, il piano industriale relativo al triennio 2003-2005. Il Cda ha poi esaminato i piani di produzione e trasmissione del 2003, insieme al palinsesto del prossimo autunno-inverno.
Tra ritorni e assenze vistose, le proposte sono state approvate all´unanimità ma il presidente della Rai, Lucia Annunziata, ha voluto mettere a verbale le sue perplessità sui reality show. Un genere da tenere sotto controllo, per cui il presidente chiede maggiore attenzione, anche dopo gli incidenti di percorso di Alda D´Eusanio su RaiDue (multata a febbraio con 26 mila euro per violazione del codice tv-minori). Ma proprio la D´Eusanio, trionfa la contraddizione, è stata promossa in prima serata su RaiUno: condurrà un nuovo reality show in onda il mercoledì.
La Rai paga mesi di caos organizzativo, della mancanza di un direttore della fiction durata troppo a lungo: i produttori di fiction si sono lamentati per un anno, hanno organizzato assemblee e minacciato scioperi. Di fatto il settore si è fermato: montagne di progetti si sono arenati, per la mancanza di una firma decisiva. Il commissario Montalbano e Un medico in famiglia non saranno pronti per la prossima stagione. Se ne parlerà, se tutto va bene, per il 2005. E se anche si punta su titoli importanti e popolari, tra cui la quarta serie del Maresciallo Rocca con Gigi Proietti, la perdita non è di poco conto. La fiction - è noto - ha tempi piuttosto lunghi tra scrittura, riprese, edizione, e il pubblico, si sa, vorrebbe vedere subito le nuove serie. D´altro canto la Rai tutta, fiction compresa, deve fare i conti con una riduzione dei budget, con costi inferiori del 15%.
Il caso Montalbano è emblematico: da due anni il produttore Carlo Degli Esposti, dopo gli ascolti trionfali, aspetta una risposta dalla Rai. Anche per conoscere le sorti del Medico, che domenica ha chiuso con il 40% di share, bisognerà aspettare: «Le riprese non sono ipotizzabili prima dell´inizio del 2004 e se anche si riesce ad andare in onda in autunno, di fatto si salterà una stagione», spiega Carlo Bixio della Publispei. Per ora con la Rai ci sono due miniserie in cantiere, tra cui due puntate ancora con Banfi, Raccontami una storia sul tema delle adozioni. Gli attori vogliono fare anche altre cose e se i contratti non sono avviati è giusto che prendano altri impegni. E´ un momento delicato anche se il nuovo direttore di Rai Fiction Agostino Saccà mi sembra pieno di buone intenzioni».
E la direzione di Rai fiction si affretta a comunicare che la Rai non perderà i suoi gioielli. «Si sta già scrivendo la nuova sceneggiatura di Un medico in famiglia e c´è un accordo per trasporre in fiction i romanzi storici di Camilleri prima delle nuove avventure di Montalbano. Per questa serie c´era un accordo già chiuso, anche se non ancora formalizzato in consiglio; il direttore generale Cattaneo sarebbe favorevole alla formalizzazione della chiusura del contratto». Meglio tardi che mai.
Silvia Fumarola
 

IL CASO
Degli Esposti: trattative in corso
Montalbano stop questione di soldi e anche di politica
Un fenomeno. Questo film è unico ma bisogna mantenere alto il livello di qualità 

ROMA - Chissà come l´avrebbe risolto il commissario Montalbano, il caso di una fiction di successo (calcolo approssimativo: 200 milioni di spettatori per 26 repliche), messa in soffitta. Montalbano piace a tutti, anche al presidente della Repubblica Ciampi (l´11 febbraio Luca Zingaretti è stato nominato Cavaliere al merito della Repubblica e Andrea Camilleri Grande ufficiale), fa ascolti record, ma è fermo. «Da una settimana si è riaperta la trattativa col direttore generale della Rai Cattaneo» sospira il produttore Carlo Degli Esposti «tengo il punto: Montalbano è indubbiamente un fenomeno unico, anche l´iter contrattuale è unico. Ho programmato per il 2005 due film, e sono fiducioso. La contesa è sui costi, bisogna mantenere il livello della qualità alto». Problemi di budget a parte, Camilleri è stato travolto dalle polemiche politiche: a Ragusa, Gianfranco Miccichè (Forza Italia) ha accusato lo scrittore di «essere un grandissimo nemico del Polo e un assassino del centro-destra». Pensare che i compagni di partito di Miccichè avevano inserito come pubblicità turistica i luoghi di Montalbano e l´immagine del commissario. E alle elezioni a Ragusa ha vinto l´Ulivo. «Ma non penso - dice Degli Esposti - che Montalbano venga bloccato per motivi politici, sarebbe troppo». A Scicli, in segno di solidarietà, hanno raccolto 14mila firme da inviare a Camilleri per ringraziarlo e tutto il paese ha chiesto al sindaco di mantenere al pianterreno del municipio la sede del "commissariato di Montalbano".
s.f.
 
 

Dalla Mailing List del Camilleri Fans Club, 29.5.2003
Camilleri alla Basilica di Massenzio, c'ero anche io

Cari tutte e tutti,
ebbene si, martedì sera c'ero anche io con consorte a seguito.
Appena usciti dalla metropolitana, abbiamo visto una fila "quasi inglese" così lunga che mia moglie si è letteralmente "scantata", perchè a guardare meglio le file erano due: una per prendere i biglietti d'ingresso, la seconda per entrare.
La consorte, donna di altri tempi, aveva suggerito di andare a mangiare una pizza poichè....... non era cosa!
Ebbene si, per amore del sommo martedì sera mi sono comportato in modo non consono alla mia veneranda età, e altresì ai miei principi, anche se ovviamente a livello molto  "low profile". Ma per amore del Sommo si fa questo e altro!!
Risparmiandovi i dettagli, siamo riusciti a prendere due biglietti e entrare nelle prime centinaia di persone. Buoni posti, buon ascolto, serata gradevole.
Ecco qua un pur minimo di cronaca.
Sale sul palco Walter Veltroni e in primisi ha voluto ricordare la dipartita di Luciano Berio, sottolineando con garbo la sua sensibilità artistica, la sua continua ricerca nel mondo della musica, la sua attitudine a sostenere opere di rilievo per la musica quali i tre scarabei dell'Auditorium di Renzo Piano a Roma, la sua indomabile volontà nel perseguire le sue cose sia a livello musicale che a livello culturale.
Introduce con simpatia e cordialità gli ospiti a seguire: Luca Zingaretti e il Sommo.
Luca Zingaretti ha letto diverse pagine dal libro "La concessione del telefono".
Letture gradevole, anche se qualche volta (in maniera volontaria?) con una ottava in più!!
Comunque la scelta delle pagine è stata molto oculata e partendo con le prime tre lettere del buon Pippo Genuardi al prefetto Vittorio Marascianno in un crescendo costante ma rivolto verso l'apoteosi.
Dopo la lettura della corrispondenza, ha continuato la sua lettura con la molto faceta confessione di Taninè al parrino, per finire alle attitudini sessuali dei coniugi Genuardi, con riferimenti squisitamente politici ai socialisti del tempo.
Ovazione alla bravura di Luca.
Lasciando il palco Luca ha incontrato il Sommo e dopo una abbraccio il Palcoscenico ha preso un'altra prospettiva poichè oltre al sommo sono saliti sul palco Enrico Rava e Stefano Bollani.
Il Sommo con delicatezza, e dopo aver confessato il suo antico amore per il jazz, si è detto orgoglioso di avere alla sua veneranda età di settantaotto anni  al suo fianco e per tutta la serata, due jazzisti del carico da undici, per dirla alla Montalbano.
Dopo l'applauso, il Sommo ha iniziato a snocciolare un suo testo sul tempo, sotto diverse angolazioni e sfaccettature:  scientifica, filosofica, letterale e grammaticale per sottolineare in maniera inequivocabile i vari rapporti grammaticali come periodo cui si riferisce l'azione espressa dal verbo.
E partendo dal concetto di tempo come interessa la filosofia per le due stringenti ragioni: come dinamica reale, ossia del divenire e come problema della possibilità della durata e del suo concetto scientifico.
Pertanto se la problematica classica intorno al tempo concerne lo stesso come ordine del divenire reale, quella Agostiniana verte essenzialmente sul sentimento della durata e, nel definire autocoscienza della dinamica interiore, il santo si sofferma su tre momenti della durata reale: futuro, presente e passato.
Del futuro l'animo ha l'aspettazione, del presente intuizione, del passato memoria.
Ma poichè il passato non è più e il futuro non è ancora, solo il presente è reale nella continuità dinamica del tempo.
E in tal senso il santo concepisce la presenza dell'anima a se stessa: come fondamento dell'esperienza; analogamente l'eterna presenza di Dio è fondamento irreversibile del tempo reale.
Ovviamente non poteva venire meno la garbata ironia del Sommo nei confronti del lessico verbale dei siciliani che anche per un'azione futura preferiscono dire io vado, invece di io andrò.
E' solo Scaramanzia? :))))))
Risparmio, anche se di un interesse notevole, le citazioni: da Einstein a Kafka, da Joyce a Melville, da Cartesio a Leibniz.
Comunque anche se l'argomento non era prevedibile per l'autore di Montalbano, ci siamo visti un Sommo più filosofico del solito, molto attento alle digressioni scientifiche, curato nei dettagli per una facile comprensione del suo testo.
Come sempre la sua voce bassa d'accanito fumatore ha ammaliato gli spettatori e con il suol garbo espositivo ha riportato in termini semplici e comprensibili al collettivo concetti dello scibile: dalla filosofia alla matematica, dalla scienza
alla grammatica.
L'argomento è stato suddiviso in quattro letture, e tra una lettura e l'altra  Stefano Bollani ci ha incantato con il suo piano più spumeggiante del solito, mentre Enrico Rava tramutava il suo soffio attraverso la tromba, in un susseguirsi di note e di suoni a volte allegri a volte dolenti, ma sempre sofisticati come il suo solito.
Senz'altro avere associato due colonne del jazz italico alla dissertazione sul  tempo del ns. Sommo si è creata una commistione letteral-musicale di una qualità del sapore di unicum.
Anzi dimenticavo per finire di deliziarci, come ciliegina finale, il Sommo ci ha letto i primi due capitoli di un libro in cantiere dal titolo "Sette Lunedi".
Tra ammazzatine di grossi cefali e grossi polli, uccisi da un maniaco con una revolverata in testa e un pizzino di carta in bocca, si preannuncia un altro libro a alto gradimento.
Questo è tutto. Mi auguro che la presente nota a priosieguo della prima alla Biblioteca Alessandrina risulti di interesse del collettivo della ML.
Sono "rimasto alla finestra" della ML  per parecchio, ma per il Sommo mi sembrava doveroso rubare un ritaglio del mio tempo per farvi partecipi di una serata deliziosa sotto tutti i punti di vista.
Cordialmente vostro
Franco Bava (Francuzzu)
 
 

La Repubblica, ed. di Palermo, 29.5.2003
Debutta a Siena la nuova opera dello scrittore di Porto Empedocle con le musiche di Marco Betta e la regia di Rocco Mortellitti
C´è un miliardario che canta sulle navi
L´ironia di Camilleri: ogni riferimento a Berlusconi non è casuale
Un altro dittico di piccoli gialli tratto da "Le inchieste del commissario Collura"
Il protagonista è Ugo Dighero che ha interpretato padre Puglisi in "Brancaccio"

Nascono dalla penna di Camilleri, e poi via via diventano opere liriche.
O meglio singspiel, come precisa il compositore Marco Betta, con la recitazione che si alterna al canto, e un taglio squisitamente cinematografico. E´ pronto per il debutto un altro dittico di piccoli gialli di Andrea Camilleri, tratto da "Le inchieste del commissario Collura" pubblicate da la Libreria dell´Orso di Pistoia. Si tratta de "Il mistero del finto cantante" e "Che fine ha fatto la piccola Irene?", rispettivamente la seconda e la terza giornata che Cecè Collura trascorre sulla nave da crociera come commissario di bordo. Il dittico, prodotto dall´Accademia Chigiana di Siena, debutterà a Siena al teatro dei Rozzi il 14 e il 15 luglio, con le musiche di Marco Betta e la regia di Rocco Mortelliti, di nuovo alle prese con la scrittura del giallista di Porto Empedocle. L´orchestra è quella dei solisti della Chigiana, diretta da Federico Longo, le scene sono di Italo Grassi.
Nel primo atto l´impresa è sicuramente portare in scena un personaggio in cui Camilleri neppure troppo velatamente, lascia riconoscere un tipo che somiglia tanto al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Ne "Il mistero del finto cantante", infatti, Collura si trova a indagare su un personaggio sospetto, un tale Joe Bolton, che si è imbarcato sulla nave come cantante. Ma in lui tutto risulterà fasullo, dall´aspetto fisico alle generalità; alla fine dietro il mistero si cela un miliardario, camuffato con baffi finti, che cerca di rievocare il periodo in cui da giovane, cantava sulle navi da crociera.
«Certo, anche nello spettacolo si ammiccherà a Berlusconi - spiega il regista Rocco Mortelliti - d´altra parte, nel testo, Camilleri dice che il finto cantante è stato anche "presidente del...". Lo considero un omaggio scanzonato al premier, un modo giocoso di raccontare una straordinaria carriera di chansonnier di una certa età che torna a intonare canzoni anni Sessanta. Il nostro personaggio, che sarà interpretato da Ugo Dighero, recita anche barzellette, oltre che cantare. Insomma, lasceremo intendere ma senza prendere in giro nessuno. In fin dei conti, il "presidente" potrebbe essere anche quello di una squadra di calcio, o di una grande azienda. Certo, non tutti, da giovani hanno cantato sulle navi...».
Nel secondo episodio, invece, si cambia atmosfera, con la storia tragica di una madre, Laura Spoto, che ostinatamente continua a credere viva la sua bambina scomparsa da anni, con una patetica pantomima che sarà pietosamente celata da Collura. «E´ il segno della follia che s´insinua nel nostro quotidiano - continua Mortelliti - ma anche della chiusura della società e delle sue nevrosi, una riflessione sulla solitudine, che è un po´ la malattia del nostro secolo».
Le musiche, ancora una volta, sono di Betta, che ha già firmato la favola "Magarìa" nel 2000 e due anni fa "Il fantasma della cabina". «Lo spettacolo è segnato da un primo atto intriso di un´ironica malinconia - racconta il compositore palermitano - con un tango che non si manifesta subito, ma poi segna il leit motiv del thriller del "Finto cantante". Mentre per la seconda parte, ad apertura e chiusura di "Che fine ha fatto la piccola Irene?" ci sarà una ninna nanna struggente, per sottolineare una beffa assurda che serve a coprire un grande dolore».
Accanto a Dighero (recente interprete di padre Pino Puglisi in "Brancaccio" di Gianfranco Albano), c´è un ottimo cast, con il tenore Luca Canonici nei panni del commissario Collura, Leonardo Delisi in quelli del suo assistente Scipio Premuda, Patrizia Orciani sarà Agata Masseroni, e Denia Mazzola Laura Spoto, mentre Fabio Previati è il comandante della nave.
Laura Nobile
 
 

Il Resto del Carlino, 30.5.2003
Ascoltando Camilleri

Un colloquio con Andrea Camilleri curato da Lorenzo Pavolini, andrà in onda per il ciclo «Letterature. Scrittori dal mondo a Massenzio», ispirato alla seconda edizione dell'omonimo Festival Internazionale di Roma, oggi alle 14.30 su Radio3. Lo scrittore parlerà della sua partecipazione al Festival romano e del tema «Passato e Futuro», riflessione sul rapporto tra memoria individuale e collettiva, al quale il Festival è dedicato.
 
 

La Sicilia, 30.5.2003
Falla scrive al presidente Rai
«Non toccateci Montalbano»

Duecento milioni di telespettatori, in ventisei repliche. Sono i numeri che ha totalizzato "Il commissario Montalbano" in questi anni, commissario che la Rai vuole mandare in pensione. Sull'argomento interviene il sindaco di Scicli, Bartolomeo Falla, con una lettera al direttore generale della televisione pubblica, Cattaneo. In questi giorni sono in corso delle trattative tra il produttore della fortunata serie televisiva, Carlo Degli Esposti e la direzione generale della Rai, per trovare un accordo che consenta alla produzione di ripartire a girare la nuova serie ispirata ai libri di Andrea Camilleri. Alla base dei dissidi tra la produzione e la Rai questioni di soldi ma anche polemiche politiche. E' di due settimane fa l'attacco che Gianfranco Miccichè ha sferrato a Ragusa contro Camilleri, accusato di essere "uno scrittore prezzolato dalla sinistra" e a Scicli è partita una raccolta di firme di solidarietà all'indirizzo dello scrittore di Porto Empedocle, che sta ampiamente superando le previsioni. Il comitato spontaneo pensava di fermarsi a quota diecimila, ma le adesioni sono state al di sopra delle aspettative ed anche estimatori Camilleri di altri comuni chiedono di poter firmare. Il sindaco Falla si è sentito a questo punto in dovere di scrivere al direttore generale della Rai, Cattaneo, e per conoscenza al presidente Lucia Annunziata.
«Da cinque anni a questa parte gli sciclitani (e gli italiani con noi) ci siamo identificati nel commissario Salvo Montalbano - scrive Bartolomeo Falla -. Ci piacciono la sua umanità, professionalità, libertà, onestà. Ci piacerebbe nuotare, mangiare del pesce, passeggiare con lui sulla spiaggia. E ci piace come ci ha rappresentato in televisione: grazie a lui la nostra città e la nostra provincia sono finalmente ben conosciute ed apprezzate in tutta Italia: per il barocco, i muri a secco, i carrubi, le masserie, il mare, la luce, la pulizia, la civiltà; e per il Pisciotto, San Bartolomeo, Donnalucata, il nostro Municipio. Finalmente si è visto che la Sicilia non è solo "mafia e coppole". I turisti arrivano quindi per vedere "i luoghi di Montalbano" e di Camilleri. Dobbiamo pertanto ringraziare Camilleri e Montalbano. Per questo vi chiediamo di programmare una nuova serie della fiction televisiva, certi che il commissario Montalbano incarna gli ideali degli italiani onesti, come riconosciuto dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, in occasione del conferimento, lo scorso 11 febbraio, dell'onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica a Luca Zingaretti e di Grande Ufficiale ad Andrea Camilleri». Chiaramente sarà la Rai a decidere se Salvo Montalbano dovrà andare in pensione.
G. S.
 
 

Corriere della sera, cronaca di Roma, 30.5.2003
Accademia d'Arte Drammatica
In ricordo di Ruggero Jacobbi incontro e letture sceniche

Al Teatro Studio «Eleonora Duse» dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica si svolgerà oggi pomeriggio un incontro dedicato a Ruggero Jacobbi, artista e intellettuale geniale e anticonformista, poeta, regista, critico e traduttore, direttore dal ’74 all’’80 dell’Accademia Silvio d’Amico. Testimonianze e ricordi di Andrea Camilleri, Luciana Stegagno Picchio, Anna Dolfi, Tiziana Bergamaschi, Maricla Boggio, Ennio Coltorti, Fabrizio Gifuni, Giuseppe Pambieri, Caterina Sylos Labini, Marina Tagliaferri, Laura Jacobbi. Un gruppo di attori leggerà passi dalle opere di Jacobbi e qualche stralcio delle sue traduzioni teatrali, che usciranno in volume in autunno.
TEATRO ELEONORA DUSE, per l’Accademia «Silvio d’Amico», via Vittoria 6, dalle ore 18, tel. 06.36000151
 
 

Corriere della sera, cronaca di Roma, 30.5.2003
Storie di librai
«Il Seme» di Prati e i suoi germogli
Libreria «Il Seme», via Monte Zebio 3, tel. 06.3728377, e-mail: libreriailseme@tiscali.it

È come quando se ne va un amico, o quando un maestro ci lascia e dobbiamo sperimentare se abbiamo davvero imparato a camminare da soli. È esattamente in questi momenti che i semi, lanciati nelle nostre vite dagli amici veri o dai veri maestri, mostrano quel che sono riusciti a diventare, un germoglio, una pianta, un albero. C’è un bell’albero, florido e rigoglioso, dalle parti di piazza Mazzini. «Il seme» l’ha piantato all’inizio degli anni Ottanta, Lucia Re, aprendo una libreria che ne porta tuttora il nome e lo stile. Lucia era una funzionaria del ministero dello Spettacolo («Una noia mortale») con in più quella dose massiccia di passione e cocciutaggine che servono a superare tutti gli ostacoli del buon senso. Altrimenti nessuna persona sensata si occuperebbe di libri. «Non commerciante» come la maggior parte dei suoi colleghi, Lucia Re ha pensato che un buon libraio deve avere il coraggio di scegliere: e ha scelto. Ha voluto sugli scaffali della sua libreria la saggistica del Mulino, di Feltrinelli, di Bollati Boringhieri. Per la narrativa si è difesa dalla vorace invadenza delle case editrici, offrendo ai lettori un percorso: per esempio ha sempre avuto uno scaffale dedicato alle scrittrici. Ha voluto che il settore dedicato all’arte fosse anche un momento di riflessione e incontro con le provocazioni della pubblicità e le inquietudini della comunicazione: e l’avrebbe fatto anche se la Rai non fosse stata così vicina. «Il Seme» è un motore di curiosità, proprio come Lucia Re: nel piano inferiore dedicato ai bambini e alla letteratura per l’infanzia e nel soppalco dove «abitano» oggetti etnici che parlano altri linguaggi di altre culture. Dell’avventura cominciata 24 anni fa a Lucia Re è rimasto intatto l’entusiasmo: «altrimenti - come dice lei - uno si mette a fare qualcos’altro». Come quando riesce a portare in libreria Andrea Camilleri e taglia corto: «Ma abita proprio qua dietro, è un nostro cliente». Con semplicità: proprio come i «semi» che ci regalano gli amici e i maestri che se ne vanno.
Paolo Fallai
 
 

Il Messaggero, 30.5.2003
Akunin: «La mia Russia a un bivio»

Dal ventre panciuto della matrioska delle lettere russe è spuntato un vero fenomeno editoriale, uno scrittore che si fa chiamare Boris Akunin ma che all'anagrafe è registrato con l'impronunciabile nome di Grigorij Tchkhartichvili. Classe 1956, georgiano trapiantato a Mosca, Akunin si sarebbe pure accontentato di svolgere la sua doppia professione, quella di consulente editoriale e di docente di lingua e letteratura del Sol Levante. Ma quando ha capito che nel mercato librario dell'ex Urss mancava un Camilleri russo, che c'era spazio per un «progetto letterario che unisse la narrativa d'élite con quella di massa», si è sottoposto a una nuova corvée. Si è rimboccato le maniche, ha impugnato la penna e s'è messo a costruire romanzi gialli pieni di verve e dalle trame estremamente cerebrali: tutti libri ambientati nella Russia dell'Ottocento e forniti fino ad oggi di un protagonista fisso, l'eccentrico investigatore dello zar Fandorin, che a seconda dei casi può trasformarmi anche in spia o in semplice impiccione.
[...]
Francesco Fantasia
 
 

l'Unità, 31.5.2003
Un giorno, in campagna, andavo a spasso con un mio nipotino...
Testo pubblicato dal quotidiano e nel libro, ad esso allegato, "Il soldato con la pistola ad acqua" (La pace salvata dai bambini. Pensieri, parole, poesie disegni di bambini e adolescenti sulla guerra)

Un giorno, in campagna, andavo a spasso con un mio nipotino di cinque anni armato di uno di quei fucili spaziali che si vedono nei brutti cartoni animati giapponesi. A un tratto venne assalito dalla frenesia, si mise a correre e a sparare girando su se stesso e urlando frasi senza senso.
“Che c'è?” - domandai
“Non lo vedi che questo posto è pieno di draghi?” - rispose, sempre più impegnato nel combattimento. Decisi di partecipare al gioco.
“Ho paura! Ho paura! Salvami” – gridai nascondendomi dietro un albero.
Smise di colpo e mi raggiunse preoccupato.
“Davvero hai paura?”
“Sì”.
“Ma non devi! Questi draghi non esistono, me l'invento io per giocarci”.
“Te l'inventi perché ti piace fargli la guerra?”
Ci pensò un momento.
“Non mi piace fare la guerra, ma se non gliela faccio vincono loro”.
Questa frase, sia detto fra parentesi, mi tornò a mente quando sentii anni dopo George W. Bush esporre la dottrina della guerra preventiva.
Ma allora mi fece capire che i bambini, quando giocano alla guerra, recitano le loro parti con quella recitazione straniata che voleva Brecht: i bambini raccontano di essere guerrieri, ma sanno benissimo di non esserlo.
Però oscuramente intuiscono che la guerra fatta dai grandi, da coloro nei quali ripongono tutt'intera la loro fiducia, è un'altra cosa. Montaigne ha scritto che la guerra, il distruggerci e lo scannarci tra di noi, è la testimonianza della nostra debolezza e della nostra imperfezione.
Ecco, io credo che i bambini, quando noi ci facciamo la guerra, hanno paura certo delle bombe e dei morti, ma hanno
soprattutto paura perché vedono con la nitidezza del loro sguardo quello che i nostri occhi appannati non vogliono vedere: la nostra miserabile imperfezione.
Ne ho avuto prova. Durante i giorni della guerra in Irak, due anziani signori stavano a guardare il telegiornale seduti in poltrona. Alle loro spalle, quattro bambini giocano rumorosamente alla guerra. A un tratto, sullo schermo, cominciarono ad apparire immagini di ospedali di Baghdad, con corpicini devastati, offesi, dilaniati. I due signori avvertirono che lentamente alle loro spalle si era fatto silenzio. Si voltarono. I quattro bambini avevano smesso di giocare alla guerra, guardavano il televisore assorti, seri, preoccupati. Stavano tra loro stretti stretti, senza avvicinarsi, senza stringersi ai grandi come avrebbero fatto se invece di quelle immagini vere fosse stato trasmesso un film pauroso. Mettevano distanza tra i due adulti e loro. Poi qualcuno disse: “Non fate vedere queste cose ai bambini!”.
E lo schermo fu oscurato. Ma queste cose non le vogliamo far vedere ai bambini perché temiamo che ne rimangano scossi o perché non vogliamo farci vedere da loro come in realtà noi grandi siamo e di quali orrende atrocità siamo capaci?
Andrea Camilleri
 
 

 


 
Last modified Saturday, July, 16, 2011