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RASSEGNA STAMPA

OTTOBRE 2003

 
Il Messaggero, 1.10.2003
Il Teatro di Camilleri

Andrea Camilleri da palcoscenico. Oggi alle 12.15, al Salone del Consiglio nazionale del ministero dei Beni culturali (via del Collegio Romano 29) lo scrittore presenterà il volume Teatro (Lombardi editore), che comprende i testi di tre trasposizioni teatrali - Il birraio di Preston , Troppu trafficu ppi nenti (in cui si immagina che Shakespeare sia in realtà il sicilianissimo Michele Agnolo Florio di Scrollalanza, termine quest’ultimo che in inglese diventa “shake the spear”) e La cattura (rappresentato nel 2001, ultima interpretazione del grande Turi Ferro), scritto in tandem con il regista Giuseppe Dipasquale.
 
 

T9, 1.10.2003
Andrea Camilleri, il grande scrittore racconta il suo libro Teatro



Emanuele Carioti
 
 

TGR Sicilia, 1.10.2003
Servizio sulla presentazione a Roma del volume "Teatro"

Un paio di domande di "ordinaria amministrazione" ad Andrea Camilleri, carrellata sui presenti (tra gli altri Giuseppe Dipasquale, Gaetano Savatteri, l'Assessore reginale siciliano ai BBCC Fabio Granata e Enzo Bianco) e descrizione dei contenuti del libro.
 
 

Il Cittadino, 1.10.2003
Lutto
Del Buono, un lettore integrale

[...]
L'atto "critico" (e letterario) di Oreste Del Buono è necessariamente da considerarsi espanso in tutti i campi "alti e bassi della letteratura". Non c'era pratica editoriale che egli non conoscesse e avesse "scoperto" fino in fondo. In tempi difficili aveva comiciato a "leggere" fumetti (quanti hanno esordito sulle pagine del suo «Linus», su tutti "Paz" e Mattotti), romanzi di genere (il giallo, la fantascienza), e a rivalutare scrittori "in disuso" come Achille Campanile (per favore andarsi a rivedere la curatela dell'opera omnia dell'umorista, di recente ripubblicata da Bompiani in due volumi economici) o Giorgio Scerbanenco, scrittore milanese d'una forza narrativa che Camilleri, nonostante il successo, può sognarsela soltanto.
[...]
Fabio Francione
 
 

Gazzetta di Parma, 2.10.2003
Camilleri: Shakespeare e Pirandello in siciliano

ROMA - Cos'hanno in comune Andrea Camilleri, William Shakespeare e Luigi Pirandello? Una vera o presunta sicilianità e il fatto di essere i tre autori che il padre di Montalbano, insieme a Giuseppe Dipasquale, ha scelto di portare in scena rielaborandone i testi in chiave siciliana. Arriva oggi in libreria il testo edito da Lombardi che li raccoglie. 
«Questo libro è la punta dell'iceberg del lavoro di tante persone che dimostrano come la Sicilia si muova - ha detto Camilleri durante la conferenza stampa di presentazione del libro al Ministero per i Beni culturali - I libri di teatro come quelli di poesia in Italia non si vendono, spero però che l'editore riesca a pareggiare le spese e spero che anche la Sicilia riesca almeno a pareggiare il conto fra quello che ha dato e quello che ha ricevuto».
La raccolta contiene Il birrario di Preston, successo editoriale come romanzo e portato in scena a Catania nel '99; Troppu trafficu ppi nenti, riscrittura in siciliano di Troppo rumore per nulla; e La cattura, teatralizzazione della novella di Pirandello portata in scena dall'attore siciliano Turi Ferro scomparso due anni fa.
Ricordando proprio il grande attore siciliano Enzo Bianco ha lanciato un appello affinchè il Teatro Stabile di Catania venga ribattezzato Turi Ferro come già viene chiamato familiarmente dai catanesi.
La casa editrice siracusana Lombardi inaugura con questo titolo una nuova collana dedicata al teatro. 
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 2.10.2003
L´antisiciliano
Se la mafia finisce nello spot di un´auto

[...]
Potrebbe protestare Gianfranco Miccichè, quello che intratteneva rapporti telefonici con uno dei prestanome della famiglia Riina e rapporti di altro tipo con il pusher ministeriale Alessandro Martello, salvo poi denunciare i gravi danni all´immagine della Sicilia provocati dai romanzi di Camilleri (per la presenza, si suppone, di un commissario di polizia).
[...]
Marco Travaglio
 
 

La Repubblica, 3.10.2003
Melissa conquista la vetta, entra Camilleri

Dopo l´apparizione televisiva di Melissa P, il suo Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire fa un balzo in avanti e conquista la vetta. In crescita, ora al secondo posto dei top ten, anche Achille piè veloce di Stefano Benni.
La terza posizione è una new entry: Andrea Camilleri con La presa di Macallè. Ambientato in Sicilia durante la guerra in Abissinia il romanzo narra la parabola di Michilino: il "picciriddo" dall´infanzia violata si trasformerà in un pluriomicida, soldato della milizia del Duce e di Cristo.
[...]
 
 

Che tempo che fa, 4.10.2003
Intervista ad Andrea Camilleri
Cliccare qui per ascoltare la registrazione

Ilary Blasi [dopo aver letto un brano da “Un mese conMontalbano”, NdCFC]: Presentiamo l’ospite di questa sera che è Andrea Camilleri, scrittore di grande successo e papà del Commissario Montalbano.
Fabio Fazio: Chissà se è ancora lì o se se n’è andato. Camilleri, buona sera!
Andrea Camilleri: Buona sera.
F.F. Grazie molte per avere accettato di giocare con noi.
A.C. Grazie a  voi.
F.F. Intanto diciamo subito che -glielo dico così, per mio piacere, perché aspetto il suo autografo-  è appena uscito il suo ultimo romanzo “La presa di Macallè”, che ho qui non per caso ma per piaggeria, perché, non so, mi sembra un modo necessario, obbligatorio, per ringraziare le persone come lei che ci regalano delle storie così belle… non c’è niente di più bello che ricevere in regalo delle storie, secondo me, e quindi la ringrazio di cuore e la pregherei, però, di mandarmi il suo autografo sulla raccolta che raccoglierà il suo Teatro e che sta per uscire tra poco.
A.C. No, è già uscito, è qui.
F.F. Ah, ce l’ha lei… smaccatamente… scusi tanto, non l’avevo visto. Si vede che lei ha fatto tanta RAI, tanta televisione… è bravissimo!
A.C. [Ride di gusto, NdCFC]
F.F. Senta, ma quel Pupo ce l’ha lì per l’occasione o da sempre? Il Pupo siciliano…
A.C. No, il pupo ce l’ho da un sacco di tempo, mi è stato regalato: ed è una Pupa, eh?
F.F. Eh, già ha le treccine.
A.C. Sì… non solo.
F.F. …
A.C. Guardi la curvatura dell’armatura e si renderà conto.
F.F. Ah, è vero… come si chiama in italiano, il… il se… Camilleri, mi aiuti, che lei fa lo scrittore…
A.C. Che cosa? La curva!
F.F. La curva… le curve…
A.C. Le curve.
F.F. Le curve, perfetto. Le piace il vento?
A.C. No.
F.F. Fine dell’intervista. Arrivederci. No… mi ha completamente fregato! Però… però Montalbano è molto irritato dal vento. Nei suoi romanzi la meteorologia diventa meteoropatia, quasi, per il suo protagonista. Lei è meteoropatico?
A.C. Io sì. Non ai livelli di Montalbano, ecco, però ne risento abbastanza.
F.F. Ne risente anche lei…
A.C. D’altra parte Montalbano è un personaggio letterario e tutta la letteratura è cosa di vento.
F.F. E’ intrisa di vento…
A.C. No, “è cosa di vento”…
F.F. Cosa vuol dire cosa di vento?
A.C. Mah, i contadini delle mie parti, per esempio, dicono che le parole sono cosa di vento… la letteratura è fatta di parole…
F.F. Anche se sono scritte…
A.C. Anche se sono scritte.
F.F. Senta, nell’ultimo Montalbano, “Il giro di boa”, il commissario era un po’ arrabbiato, come dire, era un po’… adesso non mi viene la parola comunque, diciamo, era un po’ polemico, con il nostro tempo, con il nostro paese, anche col nostro governo, col potere… si è addolcito oppure… nel prossimo lo troveremo più sereno, a proposito di termini meteorologici, oppure no?
A.C. Mah, io non credo che abbia delle ragioni di serenità.
F.F. Certo… Io le ricordo che sono appeso a un filo, io… però lei dica tutto.
A.C. E credo che abbia delle ragioni di maggiore irritazione.
F.F. Quindi non vediamo l’ora di leggerlo.
A.C. E quindi… non vede l’ora, forse, lui, di andarsene in pensione dalla polizia.
F.F. Dipende da quanti anni ha maturato.
A.C. Ecco. E questo è un problema, la ringrazio Fazio di avermelo ricordato.
F.F. Prego.
A.C. Perché sicuramente, a parte quello che sono, diciamo, i miei anni un po’ avanzati, dovrò mandarlo in pensione prima del 2008 sicuramente.
F.F. Altrimenti almeno sino al 2013 le tocca scrivere giorno e notte.
A.C. Anche se perderà il 50 %… Magari va anticipato.
F.F. Vedremo. Lei ha lavorato tantissimo per la RAI, per la televisione, è stato il produttore di Maigret, quindi conosce bene il mezzo che ci sta ospitando. Lei che cosa guarda in tv adesso, Camilleri?
A.C. Mah… in genere guardo, e mi rodo lo stomaco, il fegato e tutto quello che c’è da rodere, i dibattiti politici.
F.F. Quindi pochi…
A.C. Sì, pochissimi.
F.F. Quindi, in realtà sta bene.
A.C. Sì… è questo che mi salva, in realtà dovrei essere grato… Poi guardo qualche film, che però il luogo è improprio, perché il vero luogo del film è la sala cinematografica.
F.F. Senta, nel noir, nei romanzi noir, piove sempre, è umido… Lei è il primo, con Montalbano, che immagina dei gialli assolati.
A,C, Mah… questa è una tradizione ottocentesca…
F.F. Mi scusi, sono io… sono vecchissimo.
A.C. Questa della pioggia… D’altra parte l’immortale Snoopy scrive il romanzo “Era una notte buia e tempestosa”. Invece ora il Noir è diventato mediterraneo, quindi deve convivere col sole, colle belle giornate.
F.F. È così: Il derby tra Maigret e Sheridan chi lo vince secondo lei? Questa è una curiosità personale…
A.C. Be’, lo vince Maigret…
F.F. Bravo! Scusi, anch’io sono molto di parte…
A.C. …anche perché l’impermeabile di Sheridan non faceva prevedere buon tempo…invece Maigret è anche solare.
F.F. Assolutamente d’accordo. Camilleri, se ha voglia di rimanere con noi, ci interesserebbe molto la sua opinione circa l’esperimento che stiamo per fare ma gliela chiederei più tardi.
A.C. No, no, no… io rimango, volentieri.
F.F. Ah, ecco.. il no, no, no, mi aveva preoccupato…grazie molte, a tra poco…
[…]
F.F. Andiamo a Mosca da Sergio Canciani, corrispondente della RAI. Sergio, intanto che temperatura c’è questa sera a Mosca?
S.C. 12 gradi con pioggia e un po’ di vento. Ma a proposito di come affrontare al meglio il vento, io che sono un esperto, come dicevi tu, la posizione migliore per affrontare la Bora e il vento forte eccetera, è quella di mettersi dentro una trattoria, semplicemente, a sorbire un bicchiere di buon vino o bere del caffè e leggere un libro di Camilleri.
F.F. Mi sembra un’idea geniale.
[…]
F.F. Vedo Camilleri interessato all’esperimento. Lei, Camilleri, ha una sua teoria per opporsi al vento? Dovendo camminare, naturalmente.
A.C. Mah, io sono incerto tra stendermi a letto, per oppormi al vento, oppure la teoria di Canciani che mi pare molto interessante.
[…]
F.F. Vorrei metaforicamente abbracciare Andrea Camilleri, con grande affetto. Grazie molte.
A.C. Grazie a lei. Grazie e un abbraccio…
Trascrizione a cura di Paola
 
 

l'Unità, 4.10.2003
Il fascismo secondo il piccolo Camilleri

L'ultima fatica letteraria di Andrea Camilleri, è La presa di Macallè, un romanzo storico ambientato nel periodo fascista. Una narrazione incentrata sull'indagine della dimensione della violenza, vista attraverso l'ottica di un bambino. Un bambino che diventa assassino, o meglio, che viene trasformato in assassino.
Un libro “diverso”: assolutamente sui generis nella produzione di Andrea Camilleri. Non c'è il commissario Salvo Montalbano, né l'atmosfera tipica dei brillanti romanzi storici di Camilleri, che si riallacciano alla grande tradizione realistico-verghiana della letteratura siciliana, dunque italiana ed europea, rielaborata in chiave ironica.
E' una storia diversa, che ha stupito, turbato, lo stesso Camilleri. Una idea che gli è venuta fuori, ed è diventata una storia.
Il romanzo è ambientato nella Sicilia del 1935, durante la guerra in Abissinia. Racconta l'infanzia violata di un bimbo, che nel contesto storico fascista, viene trasformato in un assassino. Allora il “papà” di Montalbano aveva solo dieci anni. E così Camilleri per la prima volta in un romanzo storico attinge a ricordi della sua vita, e non a documenti storici come in libri raffinati quali La stagione della caccia, Un filo di fumo, Il re di Girgenti e Il birraio di Preston.
Questo non vuol dire che si tratti di un testo autobiografico, tutt'altro! L'unico fatto vero, è che a quei tempi, come tutti, anche Camilleri era un giovane balilla. E lo era, ovviamente per costrizione e non per libera scelta. In quel contesto, dove vigeva a tutti i livelli la propaganda fascista, il piccolo Camilleri scrisse una lettera al Duce, chiedendo di partire volontario per la guerra in Abissinia.
Camilleri, scrittore maturo, che ha successo in tutto il mondo, tradotto in ventidue lingue, una delle icone intellettuali della sinistra italiana, scrittore “impegnato” al punto da suscitare le ire dei seguaci di Berlusconi, ha indagato in sé stesso, per scoprire il perché di quella lettera. O più correttamente, per capire quale meccanismo fosse scattato in quel bambino che viveva a Porto Empedocle, nell'agrigentino. Il romanzo diventa, di conseguenza, una analisi del periodo fascista, delle subdole mistificazioni della propaganda, che operava a tutti i livelli, dalla scuola ai media, dalle parate militari ai comizi, che anche sotto questo aspetto farà discutere.
Ma qual è invece la trama del romanzo, come si sviluppa? E' la storia di un bambino che viene violentato psicologicamente, fisicamente, sessualmente. Una storia dura, dai toni aspri, violenti. Scritta in uno stile che colpirà i lettori “classici” di Camilleri, li turberà, quasi come un colpo allo stomaco. Così come lascerà di stucco, i critici che spesso e a sproposito hanno parlato di atteggiamento consolatorio nella scrittura dell'inventore di Montalbano. Questa non vuol dire che Camilleri abbia mutato pelle.
Più semplicemente, vuol dire che nella sua narrativa vi è una pluralità di stili, una ecletticità fuori del comune. Non a caso lo scrittore di Porto Empedocle sta già lavorando al prossimo romanzo sul commissario Montalbano.
La scrittura de La presa di Macallè presenta caratteristiche peculiari. Non è raffinata ed ironica come ne La stagione della caccia, non è esplosiva e spumeggiante come ne Il birraio di Preston, non è intrisa di digressioni storiche e filosofiche come nel capolavoro Il re di Girgenti.
Nel raccontare la storia la storia di un bimbo che ha subito un lavaggio di cervello dalla propaganda fascista, che è stato
convinto che è giusto uccidere il nemico – eliminare i comunisti – l'autore ha utilizzato l'ottica del protagonista del romanzo.
Che ovviamente essendo un bimbo di sei anni, non fa riflessioni metafisiche o psicologiche tipiche di un adulto, ma coglie le cose in maniera diretta, ingenua. Ha insomma un impatto con la realtà che non è mediato, ma puramente istintivo. Mancano le sfumature, il linguaggio è quasi in presa diretta, tipico della tecnica cinematografica.
Salvo Fallica
 
 

4.10.2003
Presso il Castello Pasquini di Castiglioncello, nell'ambito di un seminario di "Comunicazione e Cibo" incontro con il Dott. Gianfranco Marrone dell'Università di Palermo dal titolo "Mangiare in silenzio: il caso Montalbano".
 
 

Il Messaggero, 4.10.2003
I libri più venduti
Camilleri in vetta con la guerra in Abissinia

Arriva il campione di incassi e subito sale in vetta alla classifica della settimana. Parliamo ovviamente di Andrea Camilleri con ”La presa di Macallè” (Sellerio 10.00 Ç): “Nell’anno di grazia 1935, quello della guerra d’Abissinia, Michilino è un “picciliddro”. Figlio della Lupa, fascista perfetto, arruolato nella milizia di Cristo grazie a prima comunione e cresima, il bambino si cerca a tentoni tra un padre che si “ringalluzza con la creata di casa” e una madre che si dà alla “penetrante conversazione” con un prete. Il professore Gorgerino, pedofilo e capo dell’opera nazionale balilla, lo introduce alla ginnastica degli spartani brutalizzandolo per festeggiare di volta in volta la presa di Macallè, di Tacazzé, Axum. Ed è proprio durante i festeggiamenti per la presa di Macallè che il bambino dall’infanzia manomessa decide di farsi vendicatore, trasformandosi in un pluriomicida soldato della milizia del Duce e di Cristo”.
[...]
A cura di Domenico Di Cesare
Classifica redatta in collaborazione con la libreria Gulliver (www.rietilibri.it)
 
 

Giornale di Sicilia, 5.10.2003
Teatro, mio primo amore
In tre testi di Camilleri in scena i colori della Sicilia

Roma. «Molto rumore per nulla?». No, «Troppu trafficu ppi nenti». Sarebbe stato questo, forse, il titolo dell'opera dì William Shakespeare, se il grande drammaturgo fosse nato in Sicilia. Una suggestione ventilata qualche anno fa da uno studioso messinese, che ora viene ripresa da Andrea Camilleri e dal regista-autore Giuseppe Dipasquale per creare una finzione letteral-teatrale.
La libera traduzione in dialetto messinese del testo shakespeariano, infatti, fa parte, insieme con la novella pirandelliana «La cattura» e «Il birraio di Preston», romanzo firmato dallo stesso Camilleri, di una trilogia fresca di stampa ed intitolata «Teatro». Il volume, pubblicato per la casa editrice siciliana Lombardi, mette in fila trasposizioni teatrali dei tre originali, frutto di rielaborazioni e adattamenti concepiti a quattro mani.
L'opera è stata presentata dagli autori nel salone del Consiglio nazionale del ministero dei Beni culturali, alla presenza del sottosegretario Nicola Bono (siciliano anche lui) e dell'assessore regionale Fabio Granata.
I tre testi rivisitati, già messi in scena a Catania (l'anno prossimo «il birraio di Preston» sarà anche al Teatro Regina Margherita di Racalmuto), sono per il papà del commissario Montalbano, «la testimonianza di una fortuna teatrale».
E segnano, al tempo stesso, il ritorno di Camilleri al teatro, «luogo laico e propizio per gli incontri fra la gente», dove lui esordì come regista nel '42. Da allora, ha portato in scena moltissimi testi di Pirandello, ma anche Beckett e Ionesco. Da qui il suo plauso all'iniziativa di recuperare tanti «piccoli ma significativi teatri sparsi per l'isola», annunciata dall'assessore Granata, da Licata a Noto, da Siracusa a Racalmuto, fino a Modica e al Garibaldi di Palerrno.
Quanto a «Teatro», un «fil rouge» lega le tre opere. È, come la tratteggia Dipasquale, «la comune idea della Sicilia e la presenza di un'umanità piena di colori, umori e sapori». E poi, tutti e tre i lavori sono stati scritti per essere rappresentati sul palcoscenico. Letteratura che si fa teatro e teatro che diventa letteratura.
Vicky Sorci
 
 

La Sicilia, 5.10.2003
Nuova collana dell'editore Lombardi
«Gioielli discreti» e subito Camilleri

Cosa hanno in comune Andrea Camilleri, William Sheakespeare e Luigi Pirandello? Una verosimile sicilianità e l'incontestabile assiduità nell'immaginario letterario di Camilleri. Il padre del commissario Montalbano, insieme a Giuseppe Di Pasquale, ha scelto di portarne in scena alcuni testi, rielaborati in chiave siciliana, nella trilogy pubblicata dall'editore Arnaldo Lombardi. «Questo libro è la punta dell'iceberg del lavoro di tante persone che dimostrano come quest'isola si muova. - ha affermato Camilleri -. I libri di teatro, come quelli di poesia, in Italia, non si vendono, spero però che l'editore riesca a rimediarci le spese».
La raccolta contiene «Il birraio di Preston», «Troppu trafficu ppi nenti», riscrittura in vernacolo del capolavoro shekaspeariano; «La cattura», teatralizzazione della novella di Pirandello. Durante la presentazione romana, al Ministero dei Beni Culturali, il sottosegretario Bono ha indicato nel lavoro di Camilleri «una guida per una migliore interpretazione degli spettacoli». Presente anche l'assessore Fabio Granata che ha espresso il proprio compiacimento per l'operazione editoriale che inizia con un grande maestro, ringraziando inoltre l'editore Lombardi, in grado, ancora una volta, di legare il nome di Siracusa al noto scrittore di Porto Empedocle. La casa editrice siracusana Lombardi inaugura con Camilleri la collana «Gioielli discreti», diretta dallo stesso Di Pasquale, dedicata al teatro.
V. T.
 
 

Il Mattino, 5.10.2003
Da mercoledi
A Bagnoli il festival del racconto

Il racconto come luogo di scambio e di incontro, oasi che risponde all'umano «bisogno insopprimibile di storie» dimensione che intesse legami, stimola la fantasia. Si basa su queste premesse la prima edizione di un Festival del racconto, curato da Esperimento 20 in collaborazione con il Teatro dell'anima, che prenderà il via allo Science Centre di Bagnoli mercoledì alle ore 16, con una «narrazione» di Lele Luzzati e Tonino Conte.
Denso il programma degli eventi, rivolto a bambini e adulti coinvolti a Città della Scienza, fino a sabato 11 ottobre, in una girandola di laboratori creativi mattutini (per le scuole è d'obbligo la prenotazione, tel. 081/7611540; il sabato l'accesso è libero, per tutti l'iniziativa è gratuita), in stage di formazione per operatori nel pomeriggio e in letture, ascolti e drammatizzazioni per piccoli e grandi fino a tarda sera. «L'intento è quello di creare una sorta di crocevia dove artisti, narratori, insegnanti, educatori e bambini possano sperimentare nuove modalità di coinvolgimento e di narrazione, quasi un viaggio nella terra dell'incanto che passa attraverso la scoperta delle molteplici e cangianti forme che il racconto può assumere, della ricchezza e della forza comunicativa legata alle parole, ai gesti, alla voce, nel profondo nesso che si viene a creare tra il narratore e il suo pubblico», spiega Giovanna Mayer, fondatrice con Benedetto Di Meglio di Esperimento 20, realtà che da anni opera in collaborazione con il Comune di Napoli per sperimentare nuove offerte formative per i più giovani (come Musinbà, progetto di un percorso museale interattivo e itinerante per i bambini della città).
Ad animare il Festival, nomi eterogenei, tra i quali: Andrea Camilleri, Peppe Barra, Nando Dalla Chiesa, Alain Valade, Giusi Buondonno, Adele Santoro e Amilcare Acerbi, non a caso fondatore e anima del rodariano parco della Fantasia di Omegna, paese natale di Gianni Rodariche con la linfa vitale delle sue storie ha nutrito (e nutre) molte generazioni di ragazzi. E di educatori.
Donatella Trotta
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 5.10.2003
L´attore parla dei suoi progetti palermitani
Zingaretti: "Falcone non è stato raccontato"

Oggi padre Puglisi, domani, forse, Falcone. La strada di Luca Zingaretti porta a Palermo, dove a metà mese interpreterà il parroco di Brancaccio nel film di Roberto Faenza "L´uomo che sparava dritto". «Con me ci saranno anche Corrado Fortuna (il protagonista di "May name is Tanino, ndr) e Alessia Goria. Faenza è uno dei registi con cui più desideravo lavorare e la cosa sta per avverarsi, su un progetto poi così interessante». E Montalbano, il commissario siciliano di Camilleri che l´ha reso celebre? «Tutto fermo per ora», risponde l´attore.
Il futuro potrebbe essere un film su Giovanni Falcone, grazie al progetto del produttore Carlo Degli Esposti, l´inventore del Montalbano televisivo. Per Zingaretti quello di Falcone «è un personaggio straordinario, mai ancora raccontato per bene. Per quello che è stata e per quello che ha significato la sua morte». Per questo motivo, per il momento, interpretare Giovanni Falcone «è un progetto: stiamo aspettando una prima traccia di sceneggiatura».
 
 

La Nuova Sardegna, 6.10.2003
Alle vere radici di ogni fanatismo
E intanto riscrive Shakespeare e Pirandello
Francesco De Filippo
 
 

Gazzetta del Sud, 7.10.2003
Andrea Camilleri: «La presa di Macallè»
Michilino diventa un terrorista e uccide il male: il comunista

È un libro alle radici di ogni fanatismo, che analizza in un bambino il depositarsi delle prime nozioni, il modo in cui queste per una serie di circostanze diventano germi, fino a quando il loro confronto con la realtà si addensa in esperienza. A questo punto è già imboccata una strana sbilenca, che distorce e conduce alle forme insane dell'integralismo, del fanatismo di qualunque natura. «La presa di Macallè», il libro meno politico di Andrea Camilleri, come egli stesso ha precisato, è la descrizione dettagliata di questo processo psicologico, nel suo divenire psicanalitico. Il protagonista del libro, il piccolo Michilino, per sensibilità personale, per abnegazione e per le influenze familiari ed extrafamiliari in cui cresce, è «in nuce» l'individuo campione per diventare un miope esaltato. Già capace di qualunque orrore pur restando intimamente candido, in una fissità che convoglia tutta la sua attenzione a un panteismo che si è fabbricato con scarse indicazioni, nessuno spirito critico o termine di confronto e soprattutto molti, inspiegati, divieti. Si smette a un certo punto di condividere il suo estremismo crescente e le strade tra il protagonista e il lettore inevitabilmente divergono. È al punto di biforcazione che si materializza l'inedita trovata narrativa di Camilleri: il lettore, come una mente imprigionata in un corpo che rifiuta, vorrebbe liberarsi del ragazzino non riconoscendosi più nel suo modo di pensare e di agire. Ma non può farlo se non chiudendo il libro e rifiutando il gioco, rinunciandovi. «Macallè», come Amba Aradam, come Adigrat e tante altre, è una delle caduche conquiste africane della parentesi colonizzatrice fascista. È in quegli anni che Michilo, priapico figlio della camerata Gigiù, consuma la propria infanzia e pubertà a Vigata, tra la madre che riceve sacramenti troppo poco mistici dal prete, un professore pedofilo che cela e giustifica la propria passione dietro i costumi spartani, vedove e cugine ai suoi occhi pericolosamente assetate di sesso che rischiano di trascinare anche lui nel gorgo materialistico e annichilente. In anni di etica virilità, di fulgide gesta, di impavidi eroismi, Michilino, seviziato, solitario, sballonzolato, si aggrappa istericamente a un'unica certezza che sfocia in un atteggiamento oggi definito terroristico. E ammazza il Male assoluto: il comunista.
Pina Taberini
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 7.10.2003
Quella galleria tra i due volti del centro storico

[...]
Inaugurata il 2 ottobre del 1935, questa Galleria apologetica [Galleria delle Vittorie, NdCFC] era un timido e tardo tentativo di imitare in sedicesimo quella particolare forma di agorà coperta, tipica della borghesia illuminata ottocentesca, di cui gli esempi più noti sono forse quelli di Milano e Napoli. A istoriarla trionfalisticamente era stato chiamato il pittore Alfonso Amorelli, che si era diligentemente profuso in un ultraretorico peana al regime fascista con una serie di affreschi che esaltavano le imprese coloniali e i gloriosi fasti dell´erigendo Impero (di cui l´ultima fatica di Camilleri - il romanzo storico La presa di Macallè - ha riesumato le immaginifiche e mendaci mitologie attraverso lo sguardo di un fanciullino della gran proletaria risvegliata).
[...]
Marcello Benfante
 
 

Il Messaggero, 7.10.2003
Camilleri ospite sotto il Gran Sasso

Esordio d’eccezione, domani alle 17.30 presso la sala conferenze ”E. Fermi” dei Laboratori dell’Infn sotto il Massiccio, dell’iniziativa ”Incontri di scienza e letteratura ai Laboratori del Gran Sasso”. Ospite del primo appuntamento sarà lo scrittore Andrea Camilleri, che dopo una breve visita ai Laboratori incontrerà il pubblico. Siciliano d’origine ma romano d’adozione, Camilleri vanta nel suo curriculum attività di regista, autore teatrale e televisivo. Sin dal 1949 lavora come regista e sceneggiatore legando il suo nome ad alcune fra le più note produzioni poliziesche italiane quali il tenente Sheridan ed il commissario Maigret, nonché ad opere teatrali di spiccata eco pirandelliana.
È però la sua attività di scrittore, che nel corso degli anni ha preso il posto di quella di regista/sceneggiatore, che lo porta alla ribalta con romanzi ambientati in Sicilia. Già nel 1992, con la pubblicazione di ”La stagione della caccia”, Camilleri conquista il favore del pubblico, con un successo testimoniato dalla media di 60 mila copie a libro vendute. Nel 1999 comincia la serie dedicata al commissario Montalbano, il cui personaggio è stato recentemente ripreso in una serie televisiva di grosso impatto e successo. L’iniziativa è aperta al pubblico previa prenotazione al numero 0862 437523 negli orari 8.30- 12.30 e 13.30- 17.
 
 

L'Eco di Bergamo, 8.10.2003
Duce, arruolami. Firmato Camilleri
Fra ricordi e autobiografia, la vita di un ragazzo al tempo del fascismo

Avrebbe potuto essere un romanzo sull'educazione sentimentale di un bambino fin troppo sveglio e dotato, ma nelle mani di Andrea Camilleri La presa di Macallè (Sellerio) è diventata una vicenda grottesca, ironica, quasi paradossale. Protagonista è il piccolo Michilino - un Gian Burrasca di appena sei anni - che attraversa velocemente tutte le fasi dell'adolescenza, passando da un insegnante pedofilo col pallino degli Spartani (i «fascisti dell'antica Grecia») a una cugina sedicenne ma già esperta di «cose vastase» (sporche), da una vedova vogliosa a una madre concupita dall'insegnante di catechismo di Michilino.
Siamo a metà degli anni Trenta, il fascismo gode di un consenso quasi generale e si appresta a conquistare un impero, laggiù nell'Africa Orientale, dove regnava «un serbaggio che di nome faciva Alè Selassè». Le varie tappe dell'avanzata delle truppe italiane vengono segnate con bandierine tricolori su una grande carta dell'Abissinia che il padre di Michilino, segretario del Fascio locale, ha comprato per l'occasione. «I posti bissini avivano nomi strammi - ricorda il ragazzo: - Tacazzè, Afigrat, Amba Alagi, Amba Aradam, Axum. I nomi, po', dei generali bissini, che si sentivano dire alla radio, erano ancora più strammi: ras Sejum, ras Destà, ras Mangascià». Fra tanti nomi bizzarri, quello destinato a rimanere impresso nella memoria di Michilino è Macallè, teatro di una furiosa battaglia e di una vittoria che viene celebrata a Vigata - l'immaginario paese siciliano già noto per i romanzi polizieschi che hanno per protagonista il commissario Montalbano e nel quale è ora ambientato anche questo tuffo nel passato - con una gran festa ginnico-militare alla quale prendono parte tutti i giovani, dai figli della lupa ai balilla, agli avanguardisti.
È durante questa festa che Michilino concepisce il piano di uccidere Alfio, il figlio di un sarto comunista che ha avuto il coraggio di definire sia la battaglia di Macallè sia la cerimonia di Vigata «una vigliaccata». Cresciuto in un ambiente intriso di fanatismo religioso e ideologico, per Michilino è più che normale uccidere un comunista, un modo di fare un doppio favore: a Gesù e a Mussolini. Ed ecco che il romanzo, sull'onda di questa folle decisione, abbandona i toni grotteschi per adottare un registro drammatico, e in un certo senso autobiografico, perché l'adolescenza di Michilino rispecchia, tolte naturalmente le esagerazioni, quella di Camilleri.
«Non nascondo di essere stato fascista - dice lo scrittore, che è nato a Porto Empedocle nel 1925 e dunque al tempo delle vicende raccontate nel romanzo era un bambino, ma di quel periodo conserva ricordi precisi. - Avevo appena dieci anni quando, forse esaltato dalla lettura dei giornaletti dell'epoca, Il Balilla , L'avventuroso, L'audace, intrisi di patriottismo fascista, scrissi, di nascosto da tutti, una bella lettera a Mussolini, a Roma. Erano poche parole: "Sono il balilla Andrea Camilleri. Gradirei arruolarmi volontario per combattere in Africa Orientale. Firmato Andrea Camilleri". Sulla busta scrissi solo "Roma", ma la lettera arrivò ugualmente a destinazione. Dopo qualche settimana, il fratello minore di Luigi Pirandello, il professor Innocenzo, che era a capo dell'Opera nazionale Balilla, mi guarda e mi fa: "Ma tu hai scritto a Mussolini?". "Sì", gli dissi. E lui: "Mussolini ti ha risposto". Mi fece vedere la lettera. Ricordo bene l'intestazione e la M della firma. Meno nitido è il ricordo del suo contenuto, che in ogni modo diceva che il Duce aveva molto apprezzato i sentimenti patriottici del balilla Andrea Camilleri, che però era ancora troppo giovane per combattere. Non gli sarebbe mancata occasione, in futuro, per dimostrare il suo valore».
Finì qui la parentesi di Camilleri fascista, cresciuto in una famiglia fascista?
«Per la verità non ho ricevuto dai miei genitori una vera formazione politica, ma non ho alcuna remora nel dire che ero fascista. Fascisti erano il mio nonno e mio zio, e mio padre era stato addirittura squadrista e segretario politico del partito. Io ero nato in pieno fascio: cos'altro potevo essere se non fascista? Il fascismo siciliano, d'altra parte, aveva delle caratteristiche particolari: aveva una strana inclinazione di sinistra, un'ispirazione vagamente libertaria. E al liceo c'erano molti professori di sinistra. Ricordo che partecipai anche ai Littoriali della cultura, manifestazione nella quale si è formata tutta la cultura italiana. Molti di coloro che erano usciti dai Littoriali finirono poi in galera, come Mario Alicata o Pietro Ingrao, altri "in villeggiatura", ossia al confino in qualche paesino sperduto».
A quell'epoca il giovane Camilleri sognava già il teatro?
«Sì, al terzo liceo ero "pre-littore" per il teatro, e mi portarono a Firenze per un convegno della gioventù fascista di tutto il mondo. Eravamo al Teatro Comunale e quando si aprì il sipario, sul palcoscenico c'era solo una gigantesca bandiera nazista. Non so cosa mi sia preso in quel momento, balzai in piedi e in un silenzio di tomba gridai: "Via quella bandiera, siamo in Italia!". Chiusero subito il sipario, mentre i giovani albanesi, polacchi e tutti coloro che provenivano da Paesi occupati dai nazisti applaudivano. Quando il sipario si alzò di nuovo, accanto alla bandiera tedesca c'era anche quella italiana. Al di là di questo episodio, in quell'occasione curai anche la regia di una commedia. Mi meritai il secondo premio : fui sconfitto da un triestino che aveva pochi anni più di me e che si chiamava Giorgio Strehler».
Torniamo alla Presa di Macallè. Questo libro può essere considerato un piccolo affresco degli anni Trenta, visti da un punto di osservazione defilato rispetto alla retorica nazionale?
«Tengo a precisare che è un romanzo paradossale, non un romanzo politico, anche se vi si parla di fascismo e di uso politico della religione. Bisogna leggerlo in chiave metaforica. Se avessi scelto un protagonista adulto, tutto sarebbe apparso più plausibile e l'effetto sarebbe stato realistico, e dunque non avrebbe funzionato altrettanto bene. A me interessava capire, e quindi raccontare, come si crea un fanatico».
Carlo Scaringi
 
 

9.10.2003
Il Sommo ai Laboratori del Gran Sasso
Ieri pomeriggio Andrea Camilleri è stato ospite del Laboratorio Nazionale del Gran Sasso. Dopo aver visitato i Laboratori all'interno della montagna ha intrattenuto il suo pubblico nella sala auditorium di Assergi, appena fuori dal traforo.
Il Direttore dei Laboratori ha presentato lo scrittore, evidenziando come quello fosse il primo dei programmati incontri di scienza e letteratura. Tutto ciò per "aprire il Laboratorio ad un pubblico interessato alla cultura in generale".
L'incontro è avvenuto "senza rete", con lo scrittore che per oltre novanta minuti ha risposto alle domande dei suoi lettori e fans. Il clima un tantino freddo della sala è stato reso molto accogliente ed amichevole dalla simpatia, l'ironia e l'interesse suscitato dalle risposte di Camilleri. Quello che segue, raccolto a mò di intervista, è il sintetico racconto della serata.

D: (per rompere il ghiaccio) Le è piaciuta la trasposizione televisiva di Montalbano?
C: Ai Laboratori si trasforma perchè si ottenga un certo risultato. La stessa cosa avviene per i film tratti dalla letteratura. La lettura è un vizio solitario, la trasformazione va incontro a rischi di perdita, a rischi di banalizzare. Il Gattopardo di Luchino Visconti rappresenta un'eccezione. A James McCain (Il postino suona sempre due volte) dissero: "Hai visto come hanno ridotto il tuo libro?..." e lui lo prese dallo scaffale e lo fece vedere intatto al suo interlocutore... Si possono limitare i danni, partecipare alla sceneggiatura, salvare il personaggio. Sono contento? SI! E poi Zingaretti è un ottimo attore, pur senza baffi e capelli neri.
D: Da un piemontese, non trova la sua sicilianità addirittura faziosa? [domanda sintetizzata,ndr]
C: Riceviamo dal Nord perchè abbiamo già dato. Giancarlo Caselli è il primo risarcimento datoci dal Piemonte. Io sono un uomo europeo e sono felice dell'Europa. E' un sogno sapere che non sarà possibile una guerra con Germania e Francia. E' bello avere un vestito europeo conservando gli indumenti intimi della Toscana, della Sicilia, del Piemonte.
D: (il Dir) Le devo chiedere un'impressione sui Laboratori.
C: Sono un uomo assolutamente incapace di capire, quando si va alla lavagna e si fa 2+2. Con lo sbarco degli americani in Sicilia ho evitato gli esami. Siamo stati promossi in 300... Sono un uomo di estrema sinistra [brividi dietro la schiena del Dir, ndr]. Per i Laboratori ho un sentimento di orgoglio, forte [fiuu, sospiro di sollievo del direttore e reazioni in sala, ndr]... Poi, può succedere di tutto là dentro. Da buon regista, direi che non ha l'aria di quelle mostruose cose di 007.
D: Le porto il saluto di qualche centinaio di donne e uomini del Camilleri Fans Club [boato in sala, ndr] ed ho una curiosità: a Porto Empedocle, a poche centinaia di metri da quel luogo magico che è la Scala dei Turchi, sul mare, c'è in costruzione uno scheletro orribile: verrà condonato?
C: Ormai è da tanto che è lì, chi lo ha voluto è diventato ormai anch'esso uno scheletro...
D: Cosa pensa della letteratura italiana contemporanea?
C: Molti critici del Corriere, di Repubblica, intonano periodicamente uno straziante lamento sul fatto che il romanzo è morto. In realtà questo è un vecchio vizio degli italiani. La letteratura italiana oggi sta benissimo. Ci sono 4-5 grandi scrittori, qualcuno mio avversario.
Vincenzo Consolo mi insulta ogni giorno e io lo ricambio dicendo che è il migliore. Mi piace Antonio Tabucchi e poi i giovani, Roberto Alaimo, Marcello Fois, Lucarelli. Baricco? Non mi piace! [rumori di sorpresa in sala, ndr]. E' una buona scrittrice anche la Tamaro, linciata ignominiosamente dalla critica. E' difficile poi scrivere un buon libro.
D: E' stato ospite di Fazio. Secondo lei, il modo di Fazio è vincente per divulgare certi concetti scientifici al grande pubblico? E cosa pensa della tv?
C: Quelle di Fazio sono utili trasmissioni... La tv? Lei mi chiedeva un pensiero? Su che cooosa? [sarcastico, ndr] Ho fatto Studio Uno e tante altre cose. Da quando la Rai persegue logiche di mercato, è la fine. Perchè dobbiamo pagare il canone? E non parlo di politica ma di livello culturale della televisione.
La radio? Malgrado qualsiasi riforma, continua ad essere una buona cosa, con buoni programmi. Ha resistito alla tv, si è risollevata... e risultò vincente. Con il black-out ho preso la mia vecchia radio a pile, a sentire il papa che ordinava i nuovi cardinali, anche se il mio nome non c'era [risate in sala, ndr]. Per le emergenze future occorreranno candele e radio a pile.
D: Cosa prevale in Camilleri scrittore, vanità, mestiere, passione?
C: E' difficile, come si fa a quantificare? In alcuni grandi scrittori, come Celine, c'è una specie di magma che fuoriesce e diventa scrittura.
Io sono un geometra comunale, organizzo i miei romanzi come un architetto disegna le sue case. Ho bisogno di questa struttura mentale.
Se non mi viene la struttura non c'è romanzo.
D: Ancora sulla tv. Secondo lei, è quella che piace alla maggioranza o è stato ucciso il gusto del grande pubblico? [non c'era marzullo in giro, giuro, ndr].
C: La seconda cosa che ha detto. Così come sono ottimista per la letteratura, sono pessimista per la televisione. Un esempio? Murdoch.
Prima c'erano 5 canali Raisat che rappresentavano spesso la nostra memoria storica. Ora Raisat Art, Album sono sparite! Solo canali di cinema e sport. Un dato di fatto: è sparita anche Al Jazeera! [ilarità in sala, ndr] Si va al peggio, e al peggio non c'è mai fine.
D: Cosa pensa della globalizzazione?
C: Sintetizzando, do un giudizio positivo per quella scientifica, negativo per quella economica.
D: Qual'è stato il suo libro più difficile da scrivere?
C: Il re di Girgenti, per il linguaggio, che non era più piccolo borghese come nei precedenti romanzi cosiddetti storici ma contadino. Ma non creda che scrivere porta fatica [simpaticamente, ndr]. La vera fatica non è quella.
D: Quando inizia a scrivere un libro, conosce già la fine?
C: No, ho solo un'idea della fine. A meno che non parta dalla fine e allora non ho un'idea chiara dell'inizio... [risate, ndr].
D: Da insuccesso a successo. Quale spiegazione?
C: Non c'è. Per dieci anni nessun editore pubblicava l'unico romanzo e se dieci editori mi dicevano "non è cosa" [risate, ndr] ero democraticamente in minoranza. Nel 1997 è cambiato tutto. A giugno avevo venduto 15.000 copie ed ero uno scrittore, perchè Busi aveva detto in tv che lo si era se si vendeva 3.000 copie [sorrisi in sala, ndr]. A dicembre ero a 197.000 copie. Cos'è successo? Cos'è successo a Voi!!?? [boato, ndr].
In quel periodo avevo girato 80 librerie per presentare i miei libri. A Firenze vedo entrare molti giovani e già pregustavo una bella contestazione. Invece niente, erano venuti a far firmare i libri. Lì ho capito...
D: (il Dir dei Lab) Per finire, mi deve togliere una curiosità: sono più buoni i cannoli di Palermo o quelli di Catania?
C: Francesco Merlo scriveva per il Corriere e mi insultava ogni mese. Ora scrive per Repubblica e penso che continuerà ad insultarmi. Ho scoperto poi il motivo: era per le mie idee sulla qualità degli arancini fatti a Palermo o a Catania [risate, ndr]. Comunque, la risposta è: Palermo!
Gaetano Marà
 
 

Il Messaggero, 9.10.2003
L’innocenza violata nell’Italietta di ieri

No, Montalbano non c'è: stavolta il commissario di Vigata si concede un turno di riposo. E Andrea Camilleri ne approfitta per cambiare cavallo e tornare al romanzo storico, che continua a sfornare in alternanza ai libri di detection pura. Non ci sono le indagini di Montalbano, ma La presa di Macallè è un racconto senza cedimenti né pause, una sarabanda vorticosa danzata sull'orlo del precipizio che segna una doppia svolta nel percorso narrativo dello scrittore di Porto Empedocle. Camilleri abbandona la Sicilia ottocentesca e post-unitaria che fa da sfondo agli altri suoi romanzi storici dalla Concessione del telefono alla Mossa del cavallo per raccontare l'Italietta fascista, cialtronesca e smargiassa delle conquiste coloniali. Ma soprattutto queste pagine ci consegnano una parabola grottesca e dolente su un'infanzia tradita: una storia intenzionalmente cruda, fuori dai limiti, che nella sua enormità disvela la banale normalità della violenza. Protagonista è un bambino di dieci anni, Michelino, la cui innocenza viene violentata dal professore di ginnastica e corrotta dalla propaganda fascista. Nell'anno di grazia 1935, in piena guerra di Abissinia, è impossibile per un ragazzino resistere alla potenza della macchina retorica mussoliniana. E' invece altamente possibile che su una psiche indifesa, manomessa e seviziata da adulti senza scrupoli, si impiantino pulsioni omicide. Pulsioni in grado di corrompere l'innocenza fino al punto di non ritorno.
 
 

Il Messaggero, 9.10.2003
Le novità? Camilleri, Amos Oz e la Braghetti

Capita a ogni suo libro. Così è capitato anche a La presa di Macallé, l’ultimo romanzo di Andrea Camilleri che, in libreria da una settimana, è già saldamente piazzato in classifica, al secondo posto dopo le memorie erotiche di Melissa P. Tra le novità si segnalano il romanzo di Amoz Oz, una storia d’Israele degli ultimi cinquanta anni vista attraverso la biografia dello scrittore e la testimonianza della Br Laura Braghetti, ripubblicata sotto la spinta del film di Bellocchio.
 
 

Musica, suppl. de La Repubblica, 9.10.2003
Potiomkin. Il coraggio di dirlo
La Catania tutta sesso di Melissa P.? Roy Paci e Mario Venuti, siciliani doc, non ne possono più. "Anzi, perchè non cancelliamo la parola trasgressione?"

[...]
Mario Venuti: "E tutto senza un briciolo d'ironia".
Roy Paci: "No, nel libro: zero. Viva Camilleri, allora".
[...]
 
 

La Sicilia, 11.10.2003
Salvo Montalbano torna in tv

Il commissario Salvo Montalbano, inventato dalla penna dello scrittore empedoclino Andrea Camilleri ed interpretato in televisione da Luca Zingaretti, tornerà sugli schermi. Infatti, la televisione di Stato e la casa di produzione Palomar realizzeranno altri due nuovi episodi dei telefilm del commissario più amato dagli italiani.
In particolare il primo episodio riguarderà «Il giro di boa» e l'altro episodio è tratto dai racconti pubblicati da Camilleri con la Mondadori.
Ma per quanto riguarda Camilleri, le novità televisive non si esauriscono con Montalbano. Infatti, la Rai produrrà anche due film tratti dai romanzi storici a cominciare da «Il re di Girgenti» e la «Concessione del telefono». In quest'ultimo romanzo Camilleri presenta una faccia della Sicilia del 1800 che ancora oggi, in alcuni centri, continua ad essere presente. Racconta le vicissitudini di un piccolo borghese che vuole soltanto dotarsi del telefono e che è costretto a tantissime raccomandazioni per ottenere la meta. La Rai però potrebbe anche produrre però anche un altro romanzo storico «Il birraio di Preston», tutte opere ambientate a Vigata. La stessa Rai ha inoltre acquistato il 50% dei film tratti dai romanzi storici e a giorni dovrebbero iniziare le riprese. I nuovi episodi del Commissario Montalbano saranno prodotti nel 2004, per arrivare in tv nel 2005. Nel più ampio progetto di trasposizione televisiva dei romanzi storici di Camilleri il produttore Carlo Degli Esposti vuole coinvolgere diversi registi. I romanzi prescelti, ognuno dei quali potrebbe essere diviso in due puntate, sono «Il re di Girgenti», «Il Birraio di Preston», «La concessione del telefono» e «La scomparsa di Patò».
Per quest'ultimo film è già al lavoro il regista Mortelliti, che ha comunque in mente un film per il cinema.
Gaetano Ravanà
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 11.10.2003
Il dibattito. Lezione di cinema ed etica: in platea studenti e tante mamme
Zingaretti e Faenza "interrogati" a Lettere
Da domani inizieranno a Brancaccio le riprese del film su don Pino Puglisi

Chi l´avrebbe detto. Adesso si scopre che il commissario Salvo Montalbano, nella sua popolarissima versione televisiva che ha il volto dell´attore Luca Zingaretti, deve buona parte del suo successo a nonna Concetta da Caltanissetta. Proprio lei, l´anziana vivacissima ed espressiva madre di un professore dei tempi dell´Università, che tutti gli studenti chiamavano nonna, è riemersa nella memoria dell´attore al momento di trovare una chiave d´accesso al siciliano parlato dal protagonista dei romanzi di Andrea Camilleri. Zingaretti lo racconta agli studenti che affollano l´aula magna della facoltà di Lettere di Palermo: «Quando con i colleghi andavamo a trovare questo professore di Psicologia di origini nissene vi trovavamo pure la madre, una signora ottantenne sempre nervosa, sempre pronta a sgridarci con un linguaggio anche molto colorito e conoscendola noi non perdevamo occasione per provocarla. E´ stata lei la mia prima grande maestra di lingua siciliana».
L´attore, insieme al regista Roberto Faenza con il quale si appresta a iniziare le riprese de «L´uomo che sparava dritto», film dedicato a don Pino Puglisi, ha incontrato gli studenti ma anche molte mamme, elegantissime per l´occasione, per parlare di cinema ed etica. L´auditorio ha sottoposto i due personaggi a un fuoco di fila di domande: come nasce un film? Che differenza c´è tra cinema e televisione? E ancora, l´aumento della criminalità soprattutto giovanile è connesso alla violenza contenuta in film e programmi televisivi? Girare un film comporta regole deontologiche?
Forte della sua esperienza di docente di Scienze della comunicazione all´Università di Pisa, Faenza è sembrato più a suo agio alle prese con le interrogazioni: «La violenza al mondo è sempre esistita, i mass media si limitano a diffonderla - spiega il regista - Ho però qualche dubbio sull´operazione compiuta da molti cineasti americani, Scorsese per esempio o Coppola, e oggi in Italia da Bellocchio con il suo ultimo film, di parlare per bocca dei cattivi. Così si finisce col fare l´elogio della mafia e i personaggi negativi diventano eroi».
Non sorprende allora la scelta di Faenza di dare voce a un uomo buono, il parroco di Brancaccio, assunto come simbolo positivo da trasmettere, attraverso il mezzo cinematografico, alle giovani generazioni. «Non so dire perché scelgo di raccontare una storia - aggiunge - è un po´ come quando ci si innamora, non c´è una motivazione precisa. Si parte in genere da un´idea e poi la si difende da tutto, specie dalle logiche dell´audience». A fine incontro, il regista è il primo a lasciare l´aula magna di Lettere, mentre Luca Zingaretti non può sottrarsi al rito delle foto e degli autografi. Infine, accontentati tutti i fan, corre via anche lui, da lunedì sul set di Bagheria sarà don Pino Puglisi.
Marco Nuzzo
 
 

Avvenire, 11.10.2003
Maigret va all'asta per salvare Sherlock

La più antica libreria per giallisti doc, «La Sherlockiana» di Milano, rischia la chiusura. Per tentare di salvarla un'ottantina di scrittori (da Camilleri a Faletti, da Fois a Lucarelli, per citarne alcuni), lettori e agenti letterari danno appuntamento domenica 19 a una singolare asta. Al miglior offerente saranno battuti dai proprietari - famosi e no - vari libri, tra cui un Simenon edizione originale del '33 e tre Gialli Mondadori del '36 e del '39. E speriamo che il giallo non diventi rosso.
 
 

Libertà, 12.10.2003
In libreria “La presa di Macallè”
Camilleri e la storia di un'infanzia violata
Romanzo tragico e grottesco

Torna in libreria Andrea Camilleri, con “La presa di Macallè” (Sellerio), un romanzo tragico e grottesco nello stesso tempo, che farà sicuramente discutere. La lingua usata da Camilleri in questo libro è, ancora una volta, quel dialetto siciliano da lui inventato e, a quanto pare, compreso in tutta Italia. L'ambiente in cui si svolge la storia è, ancora una volta, Vigàta, il paesino siciliano geograficamente inesistente che rappresenta, dietro il nome di fantasia inventato da Camilleri, il paese reale di Porto Empedocle. Ma il protagonista, questa volta, non è il commissario Montalbano: “La presa di Macallè” è la storia di un bambino, Michilino Sterlini, che nel 1935, ai tempi della guerra in Abissinia, da piccolo “figlio della lupa”, soldato del Duce e di Cristo, come voleva la propaganda di regime dell'epoca, si trasforma, in tutta innocenza, in un pluriomicida. E' una storia tragica, violenta, è la storia di un'infanzia negata, o per meglio dire, di un'infanzia violata, manomessa. I tempi sono quelli in cui la radio trasmette i discorsi di Mussolini e canta le parole di “giovinezza giovinezza”, ma quella vissuta da Michilino non è certo una primavera di bellezza. Il padre, il camerata Giugiù, segretario politico del Fascio di Vigàta, a tavola, tra una portata e l'altra, gli impartisce le regole di una sana educazione fascista, come quella che stabilisce che “C'è omo e omo, Michilì. Un comunista non è un omo, ma un armalo e pirciò se s'ammazza non si fa piccato”. La madre, Ernestì, è tutta presa da “penetranti conversazioni” con il parroco. Il professore Gorgerino, pedofilo e capo dell'Opera Nazionale Balilla, a cui il bambino è affidato per lezioni private, in quanto giudicato dal maestro “troppo avanti” per stare al passo con gli altri alunni delle elementari, lo introduce alla ginnastica degli spartani brutalizzandolo per festeggiare di volta in volta la presa di Adua, di Axum e di Macallè. La cugina Marietta, che nella presa di Macallè ha perso il fidanzato, lo conduce alla consumazione dei piaceri del sesso. E così Michilino, precocemente e prodigiosamente pubere, tra un turbinio di “cose vastase” che corrompono la sua innocenza e di cui si ritrova insieme testimone e oggetto pur rimanendone fino all'ultimo inconsapevole, cerca a tentoni di seguire la “buona strada”, per essere un bravo soldato del Duce e di Cristo, e finisce col diventare un assassino, trasformandosi in castigatore di tutti i peccati e i peccatori da cui sente circondato e in vendicatore-suicida. «“La presa di Macallè” - scrive Salvatore Silvano Nigro nel risvolto di copertina del libro - è un romanzo paradossale che intenzionalmente trasmoda nel troppo, ed eccede ogni misura, a partire dalla promozione a protagonista di un “angilu minchiutu” di sei anni. Una parabola grottesca, che va fabulando la tragicità e la normalità abnorme della violenza». Di quella violenza psicologica, fisica e sessuale, che ancora oggi, in tutte le parti del mondo, troppo spesso colpisce e tradisce l'infanzia.
Cate.Cara.
 
 

Corriere della sera (cronaca di Roma), 14.10.2003
Incontri 
Autori e registi alla Sapienza

L’Università La Sapienza ha organizzato incontri con autori e registi. Ieri Andrea Camilleri è stato intervistato da Nino Borsellino, Beatrice Alfonzetti, Francesco de Sanctis, Giulio Ferroni, Vincenzo Gori e Walter Pedullà.
UNIVERSITÀ LA SAPIENZA. Info 06.809671
 
 

Liberazione, 14.10.2003
Roma. Raccontare l'Italia di oggi: cinema e letteratura allo specchio. Alle 17 alla Casa delle Letterature, in piazza dell'Orologio 3, presentazione del libro "Patrie impure. Italia, autoritratto a più voci" di Benedetta Centovalli; assieme all'autrice intervengono Giulio Ferroni, Giovanna Melandri, Paolo Virzì e Andrea Camilleri.
 
 

La Repubblica, 15.10.2003
"La presa di Macallè" ultimo romanzo dello scrittore
Il Camilleri sbagliato
Un libro caricato di troppe opzioni, tutte forti , che contrastano tra loro e creano disagi

La presa di Macallè, il nuovo libro di Andrea Camilleri (Sellerio, pagg. 274, euro 10) non parla dell´Africa o delle guerre coloniali italiane. Parla, al solito della Sicilia. Gli scrittori emiliani non ambientano sempre le loro storie nella Piazza Maggiore di Bologna, e uno scrittore marchigiano ogni tanto, prova a fare deambulare i suoi personaggi anche al di là di Ancona. Quelli siciliani stanno sempre a rimestare la sabbia di Vigata (Porto Empedocle) o facendosi largo tra i pescatori di Sciacca. E questo avviene non perché si scrive bene solo di cose che si conoscono bene, ma per una sorta di coazione, forse perché l´isola non corrisponde pienamente a tutta la magnitudine dell´amore che i siciliani dicono di portarle e li tradisce. Di fatto una buttana, parola chiave nel linguaggio siciliano.
Camilleri, come noto, non ha mai fatto eccezione, raccontando la Sicilia in due modi, un po´ come faceva Sciascia: quello della ricostruzione storica, andando alla ricerca di fatti e fattacci del passato, in un processo di smontaggio e rimontaggio in modo che assumano il loro vero e nascosto significato, servendosi di un´ironia tagliente, l´attrezzo ideale per una simile operazione. La stagione della caccia, Il birraio di Preston, La concessione del telefono, sono sempre stati i suoi lavori più riusciti, che hanno innalzato l´autore fino al rango di scrittore siciliano più interessante, dopo la morte di Sciascia. Il secondo filone, come sanno tutti, è quello del Commissario Montalbano, un personaggio che ormai può andare in giro autonomamente e dire quello che gli pare, essendo provvisto di vita propria.
Macallè dovrebbe appartenere al filone storico. Ma fin dall´inizio appare come un testo così anomalo rispetto alla produzione abituale di Camilleri, da annullare qualsiasi paragone o incasellamento. Per dirla in breve, mi sembra che Andrea si sia imbarcato in un genere difficilissimo, quello del romanzo di scrittura, in cui le vicissitudini di un ragazzino di sei anni, forse pensato dall´autore come un simbolo dell´infanzia sensibile e immacolata, tradita dalla infamia degli adulti, ma che invece appare al lettore come uno gnomo sornione e vizioso, in possesso di una sessualità e di attributi assolutamente fuori del comune, vengono raccontate in una prosa tecnicamente mezza siciliana mezza inventata, che si trasforma in una sorta di delirio verbale, in stretta colleganza con le disavventure erotiche in cui il pupo sembra cadere senza alcun rimpianto. La contemporanea presenza di una forte componente grottesca, dovuta al fatto che la storia si volge durante il regime fascista, in particolare nel periodo della conquista dell´Etiopia, con tutti gli annessi e connessi che conosciamo, carica il libro di troppe opzioni, tutte forti, che contrastano tra loro, dando come un respiro affannoso alla vicenda, disagio che si trasferisce al lettore. Il risultato, come avrebbe detto Moravia, è una pignoccata: troppo roba, tutta speziata, profumata, zuccherata, messa insieme in uno spazio ristretto.
Leggendo certi passaggi del libro, ad esempio quello in cui l´insopportabile pomicione di un ragazzino avvicina e poi fornica con la cugina più grande di lui, ho avuto l´impressione di un tradimento letterario. Chi ha scritto queste pagine che sembrano brani di modelli di scrittura da flusso di coscienza erotico-pornografico-gargantuesco, è proprio Camilleri, lo sceneggiatore principe, con un magnifico curriculum di romanzi elaborati in lingua ragionevolmente innovativa, senza perdere di vista la misura e il buon senso letterario e puntando sulla qualità intrinseca delle storie. Ben sapendo che molti hanno tentato di raggiungere il capolavoro attraverso lo stravolgimento della scrittura, fino alla sua negazione come linguaggio comprensibile. Ma a pochi o a nessuno il tentativo è riuscito, a cominciare da Horcynus Orca, mito e leggenda della letteratura siciliana, che andrebbe meglio definito come un glorioso fallimento.
Mi è capitato, qualche volta di assistere in Sicilia, alla lettura di alcuni brani, particolarmente felici, del romanzone di D´Arrigo. E mi sono accorto che esiste ancora, in Sicilia come altrove, un´ammirazione acritica di questi romanzi sperimentali, una volta considerati come la sola, vera gloria della letteratura moderna. Come se, per innalzarsi ai rami superiori della narrativa, fosse necessario dimostrare di essere capaci di una sperimentazione verbale, tanto più apprezzata, quanto più fuori di controllo. È stata una vera sorpresa vedere Camilleri prestarsi a un´impresa letteraria che sarà stata divertente da scrivere, soprattutto nelle parti in cui si lascia libera la fantasia di ritornare a un´infanzia sognata e come immersa in un erotismo casalingo e onnicomprensivo. Ma risulta molto meno divertente da leggere. Una delusione mitigata dall´assoluta convinzione che Camilleri, per questa sua divagazione, ha sprecato un centesimo o un millesimo del tempo che un altro autore avrebbe dedicato al romanzo. E che è di nuovo pronto a scrivere altri libri di qualità, come ha sempre fatto, senza castigare chi lo segue da anni.
Stefano Malatesta
 
 

La Sicilia, 15.10.2003
Le due Vigàta di Montalbano
Gli arancini di Adelina? «Ragusani»

Gli arancini della «cammarera Adelina, che riescono a fare dimenticare al commissario Montalbano l'umore più «nìvuro», perfino in una mattina di pioggia in cui non ha ancora preso il caffè, li trovi a Ragusa ma non a Porto Empedocle. Andrea Camilleri è consapevole di questa banale ma anche profonda verità. Ragusa e i ragusani si sentono gli unici montalbaniani di diritto e a distanza di mesi, dacchè è scoppiato il caso della doppia Vigata, cioè da quando il sindaco di Porto Empedocle ha voluto posizionare la segnaletica di «Vigata» nella sua città che è il luogo letterario di ispirazione dello scrittore del «Commissario Montalbano», il «montalbanesimo» è invece cresciuto negli iblei. Nessuno, oggi, metterebbe più in discussione che provincia iblea è la terra di Montalbano, lo scenario che affascina i turisti che vedono questi luoghi nel serial tv e poi li cercano venendo appositamente in Sicilia, per ritrovare i virtuali spazi incantati. Camilleri lo sa e lo ha spiegato anche a «Ulisse» la pubblicazione mensile dell'Alitalia, uscita nel mese di settembre. «Con l'insperato successo dei miei libri - racconta Camilleri - il nome di Vigata ora è conosciuto in Italia e in buona parte del mondo. Ma c'è stata, se così si può chiamare, una complicazione, vale a dire una sorta di sdoppiamento di Vigata. Quando si trattò di girare i telefilm che avevano per protagonista il commissario Montalbano, il produttore, il regista, lo scenografo, ritennero che la splendida zona di Ragusae dintorni fosse più adatta come ambientazione. E non avevano tutti i torti. Il paesaggio empedoclino era di memoria e nel corso degli anni aveva subito molte e sostanziali modifiche».
Camilleri ammette che Ragusa è stata premiata cinematograficamente per quella unicità e genuinità che non ha perso nel corso della storia. «Così è accaduto che il successo dei telefilm ha fatto conoscere una parte della Sicilia che invece è assente nei miei romanzi. E ora esistono con pieno diritto due Vigata: quella letteraria, che continua ad avere come struttura portante la memoria della mia Porto Empedocle, e quella della fiction televisiva, altrettanto valida e plausibile nella sua realtà odierna». Lo scrittore con il suo assunto riconosce meriti e diritti alle due Vigate. Ma è indubbio che il "montalbanesimo" concreto, la scelta di commercianti che producono mobili in stile montalbano, di pasticceri che creano dolci che potrebbero piacere a Montalbano, di gastronomi che si inerpicano sui condimenti di arancine che sarebbero graditi al commissario, tutto questo potrà continuare a crescere e a consolidarsi nella provincia di Ragusa. E' però a Porto Empedocle, terra natìa di Camilleri, che va la memoria delle pagine scritte.
Rossella Schembri
 
 

Il Tempo, 16.10.2003
Opera, un anno fra grandi capolavori
Nei titoli «Fidelio» di Beethoven, «Il Flauto magico» di Mozart e «Tancredi» di Rossini
Con la rara «Marie Victoire» di Respighi si apre il 23 gennaio la stagione di Teatro lirico romano

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Dal 17 al 21 novembre al Nazionale «Il mistero del finto cantante» e «Che fine ha fatto la piccola Irene?» di Marco Betta da Andrea Camilleri, direttore Federico Longo.
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L'Arena, 16.10.2003
Sesso precoce in testa alla hit-parade narrativa

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E anche Camilleri, al posto d’onore, senza Montalbano e la solita allegria, magari un po’amara, parla di sesso, naturalmente in ben altra chiave storica e letteraria. Ed è la storia del picciriddo Michilino, un’infanzia adescata, profanata e sodomizzata, che per fanatismo si trasformerà in persecutore ed assassino.
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Alessandra Milanese
 
 

La Sicilia, 16.10.2003
Petrusa. Studi universitari da novembre per i detenuti
Corsi di laurea in carcere

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Ma al carcere agrigentino si festeggia anche per il raggiungimento di un altro grande obiettivo. Il libro di poesie scritto dai detenuti con la prefazione dello scrittore empedoclino Andrea Camilleri, sta riscuotendo un notevole successo. In una settimana sono stati incassati più di mille euro che verranno donati all'Unicef nel corso di un incontro che si terrà nei prossimi giorni proprio a Petrusa.
Gaetano Ravanà
 
 

Giornale di Brescia, 18.10.2003
Delude anche i fans più incalliti il nuovo romanzo dello scrittore siciliano: troppe storie e sollecitazioni che si avviluppano
Stavolta ad Andrea Camilleri non riesce «La presa di Macallè»
È in cima alle classifiche, ma non convince il nuovo romanzo di Andrea Camilleri

No, così non va. Anche i camilleriani della prima ora, quelli (quorum ego) che lo hanno difeso sempre, sono sconcertati dell’ultima opera dello scrittore di Porto Empedocle. Certo, «La presa di Macallè» è volato subito in testa alle classifiche di vendita, ma si è trattato di un atto di fiducia della folta schiera di lettori. Una fiducia che lascia in bocca il retrogusto del tradimento. Per carità, Camilleri è un narratore di capacità incantatrici: anche stavolta riesce a portare il suo lettore fino all’ultima pagina con grande abilità. Nulla da ridire anche sull’uso della lingua: anzi, c’è un ulteriore passo avanti nel modellare vocaboli e frasi nello stile che lo ha reso inconfondibile. Quest’ultimo libro, poi, fa parte del filone d’ambientazione storica siciliana, la vena più genuina e interessante di Camilleri. E non mancano gli intrecci suggestivi dell’esperienza teatrale... Ma per il resto è meglio lasciar perdere. La vicenda è quella di un bambino di sei anni che nell’Italia della guerra in Abissinia vuole diventare soldato del Duce (per far contento papà, che è segretario del Fascio) e soldato di Cristo (come vuole mamma, tanto attaccata ai... calzoni del prete). Lui, Michilino, prende ogni indicazione alla lettera, con una disponibilità totale d’animo. Sarà la sua innocenza a trascinarlo nella tragedia finale: mamma se la fa con il prete, il suo primo maestro è il capo dei Balilla che è pedofilo, il papà prima se la fa con la serva, poi viene abbandonato e infine finisce a letto con la nipote sedicenne, quella stessa cugina che ha fatto scoprire a Michilino il torbido vortice dei sensi... L’obiettivo è evidente: per decenni, istituzioni che nascondevano dietro dichiarazioni apodittiche le loro miserie, hanno tradito e calpestato l’originaria innocenza dell’uomo. E l’esagerazione serve giusto a dimostrare, fino in fondo, questa tesi. Camilleri parla di ricordi d’infanzia. E il ricordo, si sa, è una fantasiosa iperbole... Ma troppe sollecitazioni, alla fine, fanno di questo libro un garbuglio mal sviluppato. E ci dispiace.
Claudio Baroni
 
 

La Repubblica delle donne, 18.10.2003
Cecè o l'opera del fantasma
Lirica. Debutto eccellente a Roma. Andrea Camilleri racconta come ha ispirato il libretto di una novità di Marco Betta: in scena Collura, vice di Montalbano

"La musica che mi ha seguito tutta la vita è il jazz. L'opera la ascolto a occhi chiusi, non la vedo. Non la conosco molto, o meglio la conosco quel poco che mi serve per i libri. I miei idoli? Schoenberg, Berg col suo Woyzeck, Scelsi, ma sono autori farraginosi, che ancora non riesco a decriptare".
Per Andrea Camilleri, siciliano di Porto Empedocle, attore e regista, autore teatrale e televisivo (sue le più note produzioni poliziesche italiane, dal Tenente Sheridan al Maigret tratto da Simenon), saggista e docente, poeta (appena ventenne vinse il Premio St Vincent) e scrittore, è arrivato il momento dell'esordio nella lirica.
Giallo in musica, "Il fantasma nella cabina", dopo un'anteprima al Donizetti di Bergamo, debutterà a Roma in dicembre. L'autore del Commissario Montalbano ha ispirato, coi suoi 8 brevi gialli estivi pubblicati sulla Stampa, la nuova opera del compositore palermitano Marco Betta, al lavoro sul libretto di Rocco Mortelliti (anche regista). Le scene sono di Italo Grassi, di prim'ordine il cast, da Vincenzo la Scola a Katia Ricciarelli, da Luciana Serra a Fabio Previati. In più, la voce registrata di Camilleri apre e chiude la rappresentazione, leggendo la novella che dà il titolo all'opera.
In scena non troviamo Montalbano, bensì il suo collaboratore Cecè Collura, che, in crociera per riprendersi da una brutta ferita, incappa in una serie di intrighi da dipanare. Non aspettatevi, però, una storia con morti e feriti. Solo una serie di colpi di scena, con ritmo, velocità e un finale a effetto.
"Amo quest'opera", dice Camilleri, "perché non c'è nessuna volontà di commento o illustrazione. E' il riscatto della richiesta di autonomia da parte della musica. Il fatto che un mio racconto serva da pretesto per altri generi avviene in tv, dove la fedeltà sarebbe un errore. Poi sono già stato "fumettato", sono entrato nei giochi interattivi..." Ma la lirica le piace? "Ho sognato con Miles Davis e Charlie Parker, mentre ho avuto scarse frequentazioni con l'opera. Sento più vicina a me la musica del '900" Un autore? "Scelsi. I suoi suoni sono enigmatici, sfuggenti, come il rapporto con chi sai che non ti apparterrà mai completamente".
Quale opera avrebbe voluto comporre? "Sicuramente Don Govanni. Mozart aveva il dono della leggerezza. La sua musica è poesia e forza espressiva, movimento e satira intima, profonda sull'uomo. E' di tutti." Sciascia diceva che la satira è anche un modo per prendere le distanze dal mondo. "Il sorriso fa da schermo che allontana e deforma una realtà a volte insopportabile". Il suo ultimo libro, Il giro di boa (edito da Sellerio) ha suscitato polemiche. Il commissario Montalbano si muove nei territori della repressione poliziesca e dell'atteggiamento ostile verso gli immigrati... "Nel libro c'è tutto il mio disagio, il senso di estraneità per quel che succede, in questo momento, nel mio paese e fuori. Nel Birraio di Preston il prefetto domandava al protagonista:"Cosa cercate?". Vorrei poter rispondere come lui: "Una musica, cillenza, che mi facesse provare la stessa felicità, ca mi facissi vìdiri com'è fatto u cielu."
Laura Valente
 
 

Il Giorno, 18.10.2003
Al 118 risponde il giallista

Milano — La Libreria Sherlockiana di Tecla Dozio in via Peschiera, un punto di riferimento unico in Italia per i giallisti e gli appassionati del genere, rischia la chiusura. «L'affitto è troppo alto per la zona Sempione: circa 1100 E al mese da pagare al demanio perché i 43 metri quadri dell'esercizio commerciale sono di proprietà del Comune di Milano», ci spiega la Dozio. «Ero a casa di Giorgio Faletti lo scorso 21 gennaio, quando ho saputo dello sfratto per morosità. Ora lo sfratto è bloccato. Stiamo cercando delle soluzioni con l'assessore al demanio Pagliarini. L'assessore alla cultura Carrubba non si è fatto ancora sentire...».
A cercare di salvare la Sherlockiana ci pensano 80 giallisti. Ci provano con un'asta (domani, dalle 15, Teatro della Cooperativa di via Hermada 8; info 02. 6420761). Interverranno le celebrità del giallo nostrano, da Lucarelli a Camilleri, da Marcello Fois a Loriano Macchiavelli, da Gianfranco Manfredi a Sandrone Dazieri.
«Sarà uno spettacolo di vitalità, non una veglia funebre! Un inno alla nuova primavera della Libreria del Giallo», ci dice Andrea G. Pinketts, che vi parteciperà come uno «showman mancato, un incrocio tra Einstein e Dean Martin: mi produrrò in monologhi e canzoni». E che cosa donerà in asta l'autore di «Nonostante Clizia» (Mondadori)? «La mia biro Dupont, con cui ho scritto il mio primo libro, "Lazzaro vieni fuori". Sono tanto legato a quella penna quanto alla Libreria del Giallo: la offro volentieri per salvarla». «Ci sono vere rarità per i collezionisti da Tecla, che dà spazio dal romanzo gotico ai racconti della scapigliatura: a tutto il mondo sempre più vasto che ruota attorno al Mistero». Per Pinketts la Sherlockiana è stata «fondamentale: nel 1985, quando ero un esordiente, ero presente alla sua inaugurazione, nella prima sede di piazza San Nazaro. In quell'occasione c'era il gotha del giallo di allora, da Oreste Del Buono a Renato Olivieri, fondamentali per la mia formazione. Non voglio assistere alla sua chiusura. Sarebbe come affermare la morte contro la vita. Per me la Sherlockiana è stata un colpo di fulmine. Continuo a frequentarla il sabato, quando c'è l'aperitivo con l'autore. C'è davvero passato l'intero mondo del giallo internazionale...».
Giorgio Faletti non interverrà personalmente perché in questo periodo si trova a New York in cerca di ispirazione per il suo prossimo bestseller ambientato tra la Grande Mela e casa nostra. «Ma sarò con lo spirito alla Sherlockiana. Donerò la copia zero autografata del mio «Io uccido» (Baldini & Castoldi) e il telegatto che ho vinto per "Drive In". Il mio legame con la Sherlockiana è come quello che Hemingway aveva con la Bodeguita del Medio. Se dovesse sparire è come se sparisse il gatto e la volpe, e la fata turchina».
Mariella Radaelli
 
 

Corriere della sera, 19.10.2003
E’ morto Vázquez Montalbán, scrittore impegnato e padre dell’investigatore gastronomo
Il dolore di Carvalho, detective dei piaceri
E’ morto ieri lo scrittore spagnolo Manuel Vázquez Montalbán, creatore dell’«investigatore gastronomo» Pepe Carvalho. Questo testo è la prefazione a una raccolta di scritti gastronomici che uscirà da Feltrinelli.

Solitamente, i piaceri vengono trasformati in materiale letterario per stigmatizzarli, e questo accade non soltanto alla lussuria, che ha condotto all'inferno delle scritture buona parte dei personaggi migliori, ma anche al cibo, utilizzato dai grandi scrittori solo come paesaggio, al massimo come dato naturalistico. Il rapporto cibo-letteratura nelle opere letterarie senza aggettivi viene portato alle estreme conseguenze nel cosiddetto romanzo poliziesco, in cui spesso i personaggi mangiano poco e male, anche quando si tratta di antieroi straordinari, come Marlowe, vittima degli hamburger. Esiste qualche eccezione, come Maigret che cerca la cucina di stagione nei bistrot di Parigi o si rifugia negli eccellenti manicaretti della Signora Maigret. Anche due americani, Van Dyne e Rex Stout, si vantano di saper mangiare e, nella letteratura europea, l’ultima stella sfolgorante, l’italiano Camilleri, propone eccellenti menu della cucina siciliana per il suo commissario Montalbano. In qualche occasione, Montalbano accenna con disprezzo ai menu di Carvalho, ritenendoli un po’ troppo robusti. Tuttavia, lo stesso cognome del commissario è un omaggio che l’amico Camilleri ha voluto fare al mio romanzo Il pianista che tanto aveva gradito.
La sordidezza del romanzo poliziesco più o meno convenzionale non esclude di puntare sui piaceri. Se James Bond dimostrava un’ottima conoscenza dello champagne, non capivo perché mai Carvalho dovesse rinunciare a spiegarsi la vita mediante le sue passioni gastronomiche, come cuoco e come consumatore. E’ stato merito di Carvalho rivendicare obiettivi di giustizia sociale insieme a quelli di giustizia individuale, capitolo di cui fanno parte i piaceri. «Si vive soltanto una volta» dice una delle canzoni preferite di Carvalho, un bolero che prosegue: «Bisogna imparare ad amare e a vivere». I romanzi di Carvalho non sono soltanto proposte di divertimento, ma anche di riflessione critica e di conoscenza. E perché non di conoscenza della gastronomia? In questo Carvalho Gastronomico è raccolto non solo quello che Carvalho dice sulla cucina, ma anche quello che pensa. Questa opera lunga e divertente si basa sulla cucina spagnola; e si passa dalla voce Patata dolce a José Mari Arzak , da Letteratura e cibo fino alla preparazione di centinaia di piatti, tra i più particolari della cucina di Spagna.
Pur essendo filtrata dallo sguardo di Carvalho, l’opera è una scommessa sulla felicità e un ampio ricettario di come si possa bere e cucinare. Opera quindi di piacere e apprendistato.
Manuel Vázquez Montalbán
 
 

Il Mattino, 19.10.2003
Morto a 64 anni lo scrittore spagnolo che ha inventato Pepe Carvalho
Montalban, il signore del giallo
Addio Pepe Carvalho

Manuel Vàzquez Montalbàn si è sentito male all’aeroporto di Bangkok. Non ce l’ha fatta. Aveva solo sessantaquattro anni, ma soffriva di cuore da tempo. Ho avuto la notizia ieri mattina mentro ero in taxi e come immagino sia successo a tutti i suoi amici, colleghi e lettori ci sono rimasto malissimo. Credo che di testimonianze e di ricordi in questi giorni ce ne saranno tanti, se così non fosse ci sarebbe da preoccuparsi, ma vorrei aggiungere anche i miei. Esiste un termine in uso a Bologna con un significato leggermente diverso da quello che può avere a Napoli, a Roma o nel resto d'Italia, e quel termine è tranquillo.
Da noi il termine tranquillo ha un valore innanzitutto umano. Significa una bella persona, uno che non si dà arie, che mantiene una cortese, tranquilla umiltà anche di fronte alla dimostrazione quotidiana del proprio intimo valore. La prima volta che ho visto Manuel Vàzquez Montalbàn è stato alla Semana Negra di Gijon, un festival letterario che si tiene ogni anno nelle Asturie. Poi l'ho rivisto a Mantova, al Festival della Letteratura, in coppia con Andrea Camilleri, in un teatro che strabordava di persone. L'ho sempre trovato così, tranquillo, uno che quando ti parlava non ti faceva percepire nessuna differenza tra scrittore e lettore, come se fossimo lì tutti e comunque per la stessa cosa: l'amore per la scrittura e la lettura. Così era Manuel Vàzquez Montalbàn, uno di quegli scrittori in grado di fare almeno tre di quelle cose che tutti i grandi scrittori dovrebbero saper fare.
La prima è creare un universo narrativo nel quale lo scrittore, i suoi personaggi e soprattutto i suoi lettori possano muoversi con rassicurante familiarità, con imprevista sorpresa. Lo aveva fatto in maniera più evidente con la serie dei romanzi gialli di Pepe Carvalho, il suo bellissimo investigatore gastronomo. Chi ha avuto la fortuna di trovarselo tra le mani già nell'82 nella edizione di Un delitto per Pepe Carvalho di Editori Riuniti o più facilmente nell'84 in Assassinio al Comitato Centrale di Sellerio, poteva immaginarlo fin da subito che quello strano tipo tormentato e ironico, cinico ma appassionato, curioso come un vero investigatore da giallo sa esserlo, non lo avrebbe abbandonato più, tornando con gli stessi gesti, ma sempre un po' diversi. Con le pagine dei libri più strani da strappare per accendere il fuoco del camino, i piatti elaboratissimi da preparare anche alle due di notte, i posti più imprevedibili e meno pittoreschi di una Barcellona vivissima che da sfondo diventa immediatamente personaggio. Libri così si leggono perché ti piacciono e vuoi vedere come va a finire, ma anche perché conosci i personaggi che, attraverso quell'universo narrativo, sono diventati degli amici.
Manuel Vàzquez Montalbàn faceva questo, ma non solo. Come i grandi scrittori, non suonava sempre la stessa musica. Definirlo un giallista sarebbe riduttivo, perché non scriveva solo romanzi gialli. C'è Galindez, che riscotruisce la complessa e controversa storia di un nazionalista basco scomparso nel '56, c'è Io, Franco, la monumentale biografia del "generalissimo", c'è il piccolissimo Riflessioni di Robinson davanti a centoventi baccalà, ci sono le tantissime poesie e gli articoli sui giornali.
Faceva tutto questo e lo faceva, ed ecco la terza qualità di un grande scrittore, riflettendo il suo tempo e cercando di incidere su esso. Faceva letteratura, raccontava storie e proprio per questo faceva "politica". Per esempio, non si possono leggere i "gialli" di Pepe Carvalho senza fermarsi a pensare sui temi che ci si trovano dentro, nascosti tra le righe e serviti all'improvviso come uno dei suoi piatti notturni: la crisi delle ideologie e soprattutto quella del comunismo, le contraddizioni del capitalismo, i servizi segreti, la coscienza sporca del franchismo e del post franchismo, le guerre, l'imperialismo, la globalizzazzione. Temi espressi senza pregiudizi ideologici, con ironia e spirito di contraddizione, da un uomo che la militanza l'aveva vissuta con tre anni di carcere durante il regime franchista.
Quando un grande scrittore muore all'improvviso, per i lettori è un lutto insanabile. Gli scrittori restano nei libri, il loro universo non muore con loro. Sembra che fosse già pronto un altro libro di Pepe Carvalho e quindi ancora una volta almeno lo possiamo rivedere. Con la morte di uno scrittore il suo universo narrativo però si ferma. Perciò siamo tristi come suoi lettori. Penso che ogni lettore potrebbe dirgli quello che uno dei suoi personaggi ha detto a Pepe Carvalho, dopo essere stato svegliato alle due di notte per mangiare un grandioso piatto di tagliolini al salmone: «Ti ringrazio, Pepe. Hai regalato una notte alla mia vita. Avrei potuto passarla stupidamente dormendo e inveve ho mangiato un piatto meraviglioso».
Carlo Lucarelli 
 

Il ricordo di Camilleri
«Ispirò il mio commissario»

«Ho battezzato il commissario Salvo Montalbano in onore di Manuel Vàzquez Montalbàn, il mio caro amico di cui oggi piango la scomparsa». È commosso Andrea Camilleri, nel parlare dello scrittore catalano. «Non ne ammiravo solo il raffinato stile narrativo, l'invenzione del detective-gourmet Pepe Carvalho, ma anche e soprattutto il profilo intellettuale, antifascista e comunista». Tra i due autori era nata da tempo un’amicizia fatta di omaggi reciproci, articoli, prefazioni, conversazioni, E del progetto di un libro a quattro mani, da intitolare, magari, «Montalbano & Montalbàn».
 
 

Il Resto del Carlino, 19.10.2003
Il nome del mio Montalbano? Un omaggio a Manuel Vázquez

Magari c'è stato anche qualcuno che, sprovveduto in materia di "gialli", si è chiesto quale strana parentela esistesse tra Salvo Montalbano, commissario a Vigata, Sicilia sud occidentale, un debole per la cucina mediterranea, e Manuel Vázquez Montalbán, padre di Pepe Carvalho, poliziotto spagnolo alla ricerca dei mari del sud e, già che c'è, dei più seducenti manicaretti sulle ramblas di Barcellona. Visto che ne ebbi l'occasione, lo chiesi anch' io ad Andrea Camilleri, che rispose: «No, Montalbano non ha alcuna parentela con Pepe Carvalho e neanche con Montalbán. Hanno in comune la passione per la cucina, è vero, ma il mio poliziotto è probabilmente più vicino alla solarità di certi personaggi marsigliesi del povero Jean Claude Izzo. Il nome, invece sì, è un omaggio a Montalbán, perché proprio leggendo un suo libro capii come dovevo strutturare un romanzo giallo». Resta il fatto incontestabile che sia Pepe Carvalho, detective stranulato che si infila in storie criminali disegnate con fantasia catalana, sia Salvo Montalbano con la sua "squadra" dissestata, sono uomini del Sud, lontanissimi dai nebbiosi Maigret, tutti Quai des Orfevres, Calvados e mogli fedeli con la minestra calda al ritorno a casa; o dai "neri" Marlowe che trascinano la loro vita agra tra bicchieri di rye su e giù per il Sunset Boulevard; o dai quasi cimiteriali esperti di criminologia e di medicina legale come l'insopportabile Kay Scarpetta di Patricia Cornwell o il tetraplegico mastermind Lincoln Rhyme di Jeffrey Deaver. Carvalho e Montalbano sono detective solari. E tra i loro autori era nata una affiatata amicizia, tanto che era in cantiere il progetto di un libro a quattro mani, magari intitolato «Montalbano a Montalbán».
Mario Spezi
 
 

Liberazione, 19.10.2003
Per un infarto improvviso è morto ieri lo scrittore spagnolo Manuel Vazquez Montalbán
Hasta luego Manolo!

«Neanche il tempo di scendere dal taxi e perdere l'atmosfera dell'aria condizionata che le nari e i polmoni di Carvalho furono investiti da una zaffata di aria calda e unta, profumata dalle fritture in olio di cocco e dagli aromi del prezzemolo asiatico, del cipollotto e dello zenzero. Carvalho non aveva abbastanza occhi né abbastanza vita per comprendere nella sua totalità tutto quello che gli offriva il Mercato della Domenica». Per una strana corrispondenza tra letteratura e vita, proprio nella Bangkok celebrata in una delle avventure del suo personaggio immaginario Pepe Carvalho - Gli uccelli di Bangkok - è morto lo scrittore spagnolo Manuel Vazquez Montalbán. A soli 64 anni un infarto lo ha stroncato venerdì pomeriggio all'aeroporto della città thailandese, di provenienza dall'Australia - aveva svolto a Sidney un ciclo di conferenze letterarie. Il malore lo ha colto mentre aspettava il volo che lo avrebbe riportato a Madrid.
Non solo inattesa, la morte dello scrittore è anche l'irruzione di un'inevitabile fatalità in una letteratura centrata invece sulla vita, sui colori dell'esistenza, la sensualità, l'erotismo, la passione politica. In quel genere noir a tinte catalane che Montalbán aveva attraversato in lungo e largo nelle vesti del detective Pepe Carvalho nato dalla sua fantasia, la morte era sì presente ma come pretesto, riassorbita negli intrecci dell'ironia. A dispetto di omicidi e assassini i suoi gialli fanno da cornice a stravaganze gastronomiche, a desideri voluttuari, allo spargimento di profumi cibari, ad afrori di corpi generosi. Da qui un linguaggio aderente al mondo come un dispositivo di propaggini sensoriali, all'opera, per esempio, nel ritratto di una via affollata di Bangkok, «pezzetti di maiale ricoperti di miele scuro, spaghetti di riso sottili come cibo per angeli vergini, orchidee alimentate da cortecce di cocco, giacche sintetiche imbottite per inverni mentali, tenute da campagna per guerriglieri urbani, machete, portachiavi, uova in salamoia simili a coglioni di mulatto, una vasca da bagno di cemento dipinta di verde, agitatori sociali con megafono che incitano le masse mentre la polizia sembra non sentire a una distanza tollerante e prudente».
Per quanto il nome di Manuel Vazquez Montalbán fosse associato a quello di Pepe Carvalho, la sua produzione letteraria e teorica è in realtà molto più ampia. Nato a Barcellona nel luglio del 1939 da una famiglia operaia comunista, in vita ha attraversato i ruoli del romanziere, del poeta, del critico gastronomico, nonché del militante politico nella Spagna franchista. Trascorre l'infanzia in un quartiere popolare della città catalana: il Barrio Chino, il quartiere cinese a ovest delle Ramblas, un coagulo di edifici fatiscenti, abitati da povera gente. Le rovine prodotte dai bombardamenti della guerra civile sono ancora visibili in un ambiente che Montalbán descriverà successivamente ne Il pianista.
Riceve i primi riconoscimenti letterari, proprio a ridosso della condanna a tre anni di carcere per la sua militanza clandestina nel Partito socialista unificato di Catalogna nel 1962, ad opera di un consiglio di guerra. Sempre in quegli anni, lo scrittore collabora con una rivista del dissenso antifranchista, «Triunfo». Al grande pubblico diviene noto con le periodiche apparizioni dei suoi articoli sul quotidiano "El Pais", ma la sua esplosione avverrà dopo la morte di Franco, nel clima di generale esaltazione della vita culturale spagnola. La consacrazione letteraria giunge nel 1979 con la pubblicazione del romanzo I mari del sud, che gli vale il Premio Planeta e il Premio Internazionale di Letteratura Poliziesca in Francia. La lunga serie dei gialli animati dal personaggio di Carvalho sono anche un ritratto della Spagna post-franchista.
Proprio questo nesso tra memoria, letteratura e politica Montalbán rimarcò ancora pochi mesi fa, quando partecipò a Roma a un incontro letterario insieme a Saramago e Camilleri - l'autore italiano che al nome dello scrittore ha dedicato a sua volta il proprio personaggio, il noto commissario Montalbano. In quel convegno si soffermò, appunto, sul potere delle dittature politiche - o del mercato - di appropriarsi della memoria collettiva. L'esempio più lampante era offerto proprio dai dispositivi falsificanti del franchismo che dopo la guerra civile si impadronì della memoria dei vinti. Alla letteratura - meglio ancora nei suoi generi più popolari, a cominciare dal giallo - Montalbán affidò il compito scavare e recuperare il rimosso. Con questa vocazione politica si era accinto al suo ultimo romanzo Millennio - già redatto nella sua versione definitiva: un viaggio intorno al mondo del suo detective alle prese con la guerra in Iraq, la globalizzazione economica e i conflitti del Medio Oriente.
Tonino Bucci
 

L'ultimo erede della sinistra spagnola

«Stavamo aspettando che tornasse dall'Australia a giorni, doveva consegnare "Millennium", annunciato come l'ultimo Carvalho, mille pagine. A Francoforte la sua agente mi aveva raccontato che era molto entusiasta del viaggio che stava facendo dall'altra parte del mondo». E' quanto detto da Carlo Feltrinelli, principale editore delle opere dello scrittore spagnolo in Italia, alla notizia della morte. «A tutti noi mancherà molto come compagno di viaggio, come stimolante e arguto interlocutore sulla politica, sull'Italia, sulla Spagna, su Cuba e tante altre cose ancora che ci intrigavano». A Carlo si aggiunge il ricordo di Inge Feltrinelli, «era prima di tutto un amico. Era Manolo, per tutti, soprattutto per i cuochi e i camerieri dei ristoranti, che lo adoravano. Ed è in un ristorante che l'ho incontrato la prima volta, Casa Leopoldo, a Barcellona, nel Barrio Chino, quando neanche i taxi volevano entrare in quel quartiere, perché era pericoloso». «Era timido - continua - ma allo stesso tempo sempre disponibile a parlare con tutti, generoso di sé, autoironico, con un fortissimo senso dell'umorismo, molto catalano». «Amava molto l'Italia, e in particolare la cucina. Quella per la gastronomia era la sua passione principale, insieme al calcio. Quando ci incontravamo a Barcellona, Manuel mi portava sempre nei ristoranti più tipici e poveri, quelli in cui lui, un pò istrionicamente, entrava in cucina per dirigere la preparazione dei piatti». Dai giudizi di Inge emerge un profilo di «Manuel come uno degli ultimi intellettuali spagnoli della sinistra classica».
«Se ne va un bravissimo autore brillante, capace di un contemporaneo sguardo ironico e drammatico sulla realtà», ha detto, invece, la scrittrice Dacia Maraini. «Non è un caso che il nostro più grande autore di gialli, Andrea Camilleri, abbia chiamato il suo popolare commissario, Salvo Montalbano, proprio in onore dello scrittore spagnolo Vazquez Montalban». Lo ricorda anche Vincenzo Consolo, che conosceva Montalban dal 1989, quando lo incontrò in occasione della consegna del premio Racalmare: «Perdo un caro amico e la sua scomparsa provoca in me immenso dolore. E più in generale perdiamo uno scrittore straordinario, seppure prolifico. E' stato acuto, intelligente di grande qualità». Rimarca, poi, come Montalban «abbia rinnovato la cifra narrativa di Simenon con il suo personaggio di Pepe Carvalho, che è diventato un modello per molta narrativa, anche per il nostro Andrea Camilleri».
 
 

La Repubblica, 19.10.2003
Il cuore generoso di Pepe Carvalho

E poi dicono che la vita non s´aggroviglia con la letteratura. Manolo e Pepe sono morti a Bangkok. Avevamo imparato, qui da noi, ad amarli tutti e due, leggendo Gli uccelli di Bangkok, che nel 1990, pubblicato da Feltrinelli, inaugurava la serie di Carvalho, l´investigatore privato. Veramente ce n´erano stati altri due, prima: Un delitto per Pepe Carvalho, Editori Riuniti, nel 1982 e Assassinio al Comitato centrale, Sellerio, 1984. È ingiusto dire che passarono inosservati. José Carvalho Touron, origini galiziane, laureato, comunista, ex agente della Cia, gastronomo, cuoco, filosofo, innamorato di una puttana, bruciatore di libri, era un personaggio troppo diverso per non innamorarsene. E quasi del tutto simile al suo autore, Manuel Vázquez Montalbán. La differenza più vistosa è che Pepe è calcisticamente agnostico, mentre Manolo era gran tifoso blaugrana, i colori del Barcellona (vista non solo come squadra, ma come manifesto dell´antifranchismo, in opposizione al Real).
Se è vero che Flaubert disse «Madame Bovary, c´est moi», Vázquez Montalbán non aveva bisogno di dire altrettanto su Pepe Carvalho: era fin troppo chiaro. A volte uno inseguiva l´altro: Carvalho abitava a Vallvidrera ben prima del suo creatore-alter ego. Erano nati l´uno e l´altro (l´uno è l´altro) nel Barrio chino, la zona povera di Barcellona, e malfamata. Piccoli e grandi delinquenti, puttane, spacciatori, ma anche famiglie operaie uscite a pezzi dalla Guerra civile. Bisogna andarci, anche adesso che è meta turistica, ma occhio alle borsette, annusarla, respirarla questa zona. In suo libro VM cita una frase di Marx: «Si conosce un paese solo quando si è mangiato il suo pane e bevuto il suo vino». Frase talmente condivisibile che, innamorato cotto, durante le Olimpiadi del 1992, a Barcellona, mi ero imposto un giro nei ristoranti di Pepe Carvalho. Senza chiedere direttamente a VM: era già tutto scritto nei romanzi. Per lo spuntino di mezzogiorno, naturalmente, mi rifornivo alla Boqueria, il mercato coperto: jamon serrano, quello vero, de bellota, una scodella di trippe, un po´ di tapas, in alternativa formaggi stagionati. E poi c´era un chiosco indimenticabile di frutti di bosco: lamponi, more, mirtilli, ribes, che aiutavano e benedicevano l´ultimo bicchiere di Rioja. Per la sera, che poi significava almeno cominciare a mezzanotte, c´erano i locali, più trattorie che ristoranti, più frequentati da indigeni variegati che da turisti. Pepe era nato all´11 di calle Botella: una predestinazione?
VM ha scritto libri di ricette, ma anche di poesie. Biografie (una, famosa, di Franco) e saggi. Ha fatto il giornalista, continuava a farlo. Poteva raccontare dei gol di Kubala o del subcomandante Marcos, dei rossi della Rivera del Duero o di Pasolini. I conti si fanno sempre, regolarmente, quando uno muore, ma non ce n´era tanta in giro, di gente così.
Il commissario Montalbano, carattere ribelle ma inserito nella legge, buona forchetta, è nato in omaggio a Pepe, e si chiama così in onore di Manolo. Pepe non è l´unico investigatore goloso. Lo era, a livelli meno consapevoli e sbandierati, Maigret. Lo era Nero Wolfe, ma con tanto di cuoco nella famosa casa di arenaria da cui quasi mai usciva. Il miglior piatto del mondo, per i due morti all´aeroporto di Bangkok tra un atterraggio e un decollo, era il riso con baccalà che cucinava la nonna. Tutti e due erano stati in galera e sapevano che la miglior salsa del mondo è la fame (questo lo scrisse Cervantes). Pepe non è nemmeno l´unico investigatore innamorato di una puttana. Lo era Duca Lamberti, personaggio di Scerbanenco, lo sono stati (è un classico) molti eroi dell´hard boiled school. Si sa che Pepe ha avuto una moglie, Muriel, militante comunista che parlava di politica anche a letto, e una figlia, di cui VM non fornisce il nome. Si sa che a un certo punto lui propone a Charo (Rosario García Lopez all´anagrafe, nella trasposizione filmica purtroppo interpretata da Valeria Marini, ma non si può avere tutto dalla vita) di vivere insieme, ma lei rifiuta e va a fare la centralinista in un albergo di Andorra (geniale).
Non c´è quasi mai lieto fine, nelle storie di VM. Anzi spesso il finale lascia l´amaro in bocca. Nemmeno, come si usa dire, il colpevole viene sempre assicurato alla giustizia. A VM importava più raccontare storie abitate da persone vere che infiocchettarle col lieto fine. Il Barrio chino, a Barcellona, vale i carrugi di Genova o i vicoli di Napoli. Chi ci arriva con una macchina fotografica vede il colore locale, chi ci è nato vede la vita e le sue sfumature, le sue mille storie. VM e PC leggono molto, ma non è sui libri che trovano la dignità, la miseria, la disperazione, il cinismo, l´arte di arrangiarsi. Pepe è un investigatore di strada, cammina volentieri (come Maigret), delega pochissimo, giusto la lista della spesa a Biscuter, conosciuto in galera, il suo Sancho Panza, quello che non ama i discorsi complicati.
Pepe ha una sua morale e non la piega, non la affitta, non si fa comprare. È ostinatamente di sinistra non tanto per quello che fa ma per quello che non fa. Non ha simpatia per i potenti, gli arricchiti, la crème. Non è né si sente la crocerossina dei derelitti, degli ultimi, ma sa da che parte stare. Non dà importanza ai soldi, né alle cose. Si ripromette di bruciare un libro al giorno (fa un´eccezione per quelli di Conrad) perché ne ha letti tanti ma non gli hanno insegnato a vivere. A chi gli chiede se è marxista, risponde di sì, «sezione gastronomica». È romantico quasi controvoglia. Scrive più di mille lettere a Charo ma non ne imbuca una. Ha più ex amici che amici, più ex compagni che compagni, più lampi erotici che amori. Il figlio di Evaristo Vázquez (operaio, anche lui detenuto per sovversione) e Rosa Montalbán ha fatto invecchiare Pepe, forse aveva il problema di come e quando farlo morire. La vita ha deciso per tutti.
«Mi piace salutarti negli aeroporti», avevano detto a Pepe. Enric Fuster, suo vicino di casa, appassionato di piatti complicati a base di anatre e foie gras, era preoccupato per i tanti infarti che avevano falciato i suoi amici. Sono fiammiferi che s´accendono, come la coincidenza del morire a Bangkok. Nel nostro egoismo di lettori ben nutriti, ieri è morto Pepe Carvalho per la proprietà transitiva. Perché è morto VM. Ci mancherà la sua curiosità onnivora, la sua figura discreta (che ricordava vagamente un Poirot meno belga), l´impasto narrativo in cui faceva convivere Ostrovskij e Paul Anka (un retrogusto di Soriano). «Cinema e canzoni si sono alimentati di letteratura. È tempo che la letteratura si alimenti di cinema e canzoni. I programmatori del divorzio tra cultura d´élite e cultura di massa moriranno sotto il peso della massificazione della cultura», aveva scritto VM. È morto ancora giovane, sgambettato da un cuore che ho immaginato grande e generoso. Così è morto Pepe Montalban.
Gianni Mura
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 19.10.2003
La passione sicilina di Montalbán

È morto ieri Manuel Vázquez Montalbán. Lo avevo incontrato a Barcellona nel 1992 per il cinquecentenario della scoperta dell´America. «Niente scoperta», mi disse, «ma conquista coloniale». Era un Montalbán molto arrabbiato, che non condivideva in nulla le dispendiose celebrazioni che il governo di Gonzales aveva inscenato, un Montalbán molto tranchant su certi eventi della storia che includevano la Spagna. Negli ultimi anni, negli ultimi mesi - l´ultima volta che lo incontrai fu a Roma in aprile - si era come ammorbidito. Aveva acquistato una sorta di fatalismo appena sornione e non rassegnato. Sarà interessante per i lettori di questo giornale, un dettaglio, anzi più che un dettaglio, che rifluisce carsicamente da quel primo incontro ad altri successivi nel tempo. Quello del '92 si allungò da casa sua sino al mio albergo, il giorno dopo, perché nella piazza sottostante, in pieno Barrio Gotico, si poteva assistere a un rito.
Quel ballare in cerchio tenendosi per mano a gruppi di sette o dieci, tra gente che generalmente non si conosce. Allora, nel 1992, Montalbán era un uomo incline alla pinguedine, aveva poco più di 53 anni ma mi sembrò più vecchio di me. Sciascia era morto da tre anni. Si erano visti quell´unica volta nella sua casa di Palermo, un mese prima che Sciascia morisse. Era così malato che Montalbán, venuto a dimostragli la sua gratitudine (non soltanto per il premio Racalmare che gli aveva fatto assegnare, ma per averlo accreditato autorevolmente presso i lettori italiani) era stato sul punto di rinunciare. Furono la signora Myriam Sumbulovich, più che traduttrice un tramite prezioso con l´Italia, e Ferdinando Scianna che li fotografò, a fargli superare quella preoccupata esitazione.
«Era un uomo parco, i suoi ultimi libri straordinari erano piccoli libri di poco più di cento pagine. Ed era parco anche nel cibo, io so. Però lo apprezzava. So anche questo». E aprì un cortese capitolo sulla cucina siciliana, come gli si era manifestata in quella prima visita, una specie di agnizione. Ma in quel frangente risultò più incuriosito che informato; si illuminò quando accennai a una gelatina al mandarino inventata da Giovanna Piccolo, la sorella di Lucio nella villa di Capo d´Orlando dove il poeta e i suoi fratelli passavano la vita intrattenendo scarsi rapporti con il mondo. Ma non seppi esplicarne dosi e cotture. Undici anni addietro Vázquez Montalbán aveva già notoriamente farcito la sua letteratura di quell´idea pressoché erotica del cibo, ma ancora non gli si era spalmata addosso la didascalica etichetta di scrittore-gourmet. In uno degli incontri successivi aveva perso almeno dieci chili, il capo potente e calvo emergeva dalle spalle su un corpo piccolo. E, sconcertante novità nella sua fisionomia, si era anche tagliato i baffi. «Mi sono dovuto mettere a dieta» sembrava si scusasse per una specie di tradimento.
E allora fatalmente si sviluppò un altro filo conversativo; passando per Calvino che si definiva un uomo grasso in un corpo magro («Ahimè, a me accade il contrario» mi interruppe malinconicamente) tornò su quel tema eccellente della cucina siciliana. Ma ora con una erudizione che certamente gli si era arricchita dalle frequentazioni con amici siciliani, amicizie come è noto infervorate da motivi diversi; Camilleri, Scianna... In ogni caso credo ne sapesse tanto attraverso un procedimento osmotico-letterario. Il desco gramo dei Malavoglia e l´abbondanza di casa Salina nel Gattopardo, i banchetti dell´aristocrazia e del clero palermitani. «Ho letto il libro dopo aver visto il film». Scherzò, ma non tanto, sull´origine di molte ricette della gastronomia dell´isola elaborate nel chiuso dei conventi. «Mi sono fatto una specie di giudizio socio-alimentare, secondo uno schema di verticalità, ma all´incontrario; nel senso del basso verso l´alto, ascendente. La cucina più succulenta e fantasiosa, più ricca di suggestioni papillari è fondata su questa gradualità che può sorprendere. Non dalle tavole riccamente imbandite degli aristocratici di una volta alle mense dei poveri in impossibili imitazioni e surrogazioni con materie prime scadenti. Ho studiato il fenomeno proprio guardando anche alla storia siciliana non dissimile da quella del mio paese. La Catalogna rispetto alla Spagna ha implicazioni e circonvoluzioni non dissimili dalle vostre. La povertà dei ceti contadini e proletari siciliani ha prodotto anche la vostra eccellente cucina. Nessun cuoco al servizio dei ricchi si sarebbe sognato di cucinare il più infimo tra i pesci, le sardine, (sic) con l´altro semplice ingrediente, il finocchio selvatico dei campi per servire quella squisitezza, quel sogno tutto mediterraneo del pasticcio (sic) della pasta-con-le-sarde palermitana. Devono esservi condizioni di popolare indigenza endemica quali le avete patite voi perché si producano grandi scrittori come ne avete avuti in Sicilia; ma anche una grande civiltà gastronomica come la vostra.» Incontrai ancora Vázquez Montalbán questa primavera a Roma a un convegno, con Camilleri e Saramago. Era di nuovo grasso e si era fatto ricrescere i baffi.
Vanni Ronsisvalle
 
 

La Gazzetta di Mantova, 19.10.2003
L'incontro con Camilleri a Mantova

Scrittore, commentatore politico e gastronomo, Montalban è stato tradotto in 26 Paesi e ha spesso ricambiato l'affetto del pubblico italiano.
Tra i suoi estimatori, anche Andrea Camilleri che ha battezzato il suo celebre commissario "Montalbano", mutuando alcuni tratti della personalità del detective Pepe Carvalho, antieroe ed alter ego dello scrittore catalano. I due s'incontrarono per la prima volta a Mantova nel 1998, durante la seconda edizione di Festivaletteratura. "Era amabilissimo e generoso - ricorda Luca Nicolini, presidente del comitato organizzatore - proprio come si può immaginare di una persona con la sua passione e che viene dalla Spagna.
Il '98 è stato l'anno in cui ha piovuto di più durante i giorni di Festivaletteratura, così abbiamo dovuto spostare molti incontri in luoghi coperti. Ho accompagnato Montalban e durante il tragitto abbiamo parlato di Camilleri, ci cui non aveva mai letto nulla. Tra loro l'affiatamento è stato spontaneo, com'è naturale tra due persone innamorate della propria terra".
Commosso anche il ricordo di Gilberto Venturini, governatore di Slow Food, che durante il Festival del '98 ospitò Montalban a cena all'Ochina Bianca, di cui all'eopca era gestore: "Era un personaggio molto dolce, un grande amico della nostra associazione, goloso perché curioso. Nel '98 andai io a prenderlo ad Arezzo. Il programma del festival prevedeva la cena in un altro ristorante, ma avendomi dato la parola che sarebbe venuto da me, quella sera Montalban mangiò due volte. Gli feci assaggiare i bigoli con le sardella e alcune mostarde".
Igor Cipollina
 
 

Bresciaoggi, 19.10.2003
Il ricordo bresciano
Quell’incontro con Camilleri
Due amici-colleghi tra politica e gastronomia

Con Manuel Vazquez Montalban avevamo appuntamento al'Hotel Vittoria. Lo avevo invitato, per conto del Comune di Brescia, a inaugurare, insieme a Andrea Camilleri, i «Pomeriggi in San Barnaba» nel giugno del 2000.
I due scrittori si erano incontrati alcuni mesi prima a Mantova, complice Massimo D'Alema. In quell'occasione era nata tra di loro l'idea di scrivere un libro a quattro mani. Si erano poi rivisti a Barcellona, in Via Alberes, a casa di Manolo. L'incontro di Brescia sarebbe servito ad aggiungere altre pagine al futuro libro.
Vazquez Montalban e Camilleri erano amici già prima di conoscersi. In qualche modo si parlavano attraverso i loro libri. Le affinità tra i due erano note. Camilleri aveva chiamato Montalbano il suo commissario. Vazquez Montalban ama la buona cucina almeno quanto lo scrittore siciliano. Entrambi hanno trasferito questa identica e sospetta passione sui loro eroi, i quali sfogano nel cibo le rispettive nevrosi: Salvo Montalbano divora le triglie fritte della «cammarera» Adelina; Pepe Carvalho crea in solitudine ricette raffinate e impossibili. «Non credo - disse al San Barnaba Camilleri - che i due andrebbero nella stessa trattoria. Se dovessero condurre insieme un'indagine in cucina, finirebbero per litigare».
Lungo il percorso dall'Hotel Vittoria all'auditorium San Barnaba, in corso Magenta, formammo un piccolo corteo: il sindaco Paolo Corsini in testa ad illustrare i colori e la vivacità di corso Zanardelli, forse per tacitare in Manolo la nostalgia delle Ramblas; io li seguivo tenendo sottobraccio Camilleri (in Sicilia si usa così); dietro c'erano la traduttrice e il collega Claudio Baroni che avrebbe intervistato, insieme a me, i due scrittori; chiudeva il corteo una troupe di Raitre venuta apposta per seguire l'incontro.
Il San Barnaba era pieno come un uovo. Camilleri e Vazquez Montalban si scambiarono opinioni sui loro eroi, sul mestiere di scrivere, sulla politica, sulla sinistra: con Camilleri, più stravagante, che dichiarava di essere ancora marxista («Il fatto di avere seppellito i morti - diceva - non vuol dire che il mondo è morto»); e Vazquez Montalban, più problematico, che si chiedeva che fine avesse fatto la sinistra e chi sarebbe stato il nuovo soggetto storico del cambiamento: «Fino a trent'anni fa - diceva - era il proletariato industriale, ma oggi chi è? Certamente esiste, sono tutti i perdenti in un senso plurale».
La sera a cena, Manolo impose a Camilleri il «jamon serrano»; lo scrittore siciliano, non potendo rispondere a colpi di pasta con le sarde, si limitò a decantare la squisitezza dei brescianissimi casoncelli al bagoss.
Manuel Vazquez Montalban era un formidabile inventore di storie e di atmosfere, attraversate da una dolorosa vena di indignazione per ogni forma di ingiustizia. Era mite e ironico. A suo modo spiritoso, anche se non esagerava in sorrisi. Scettico e malinconico, come il suo detective Pepe Carvalho, il quale è solito bruciare i libri per accendere il camino. «Lo fa perché, forse, la cultura non lo ha aiutato a vivere» disse Vazquez Montalban quel pomeriggio al San Barnaba. 
La mattina dopo lo andai a trovare in albergo per salutarlo. Volle essere portato in giro a fare acquisti gastronomici. Lo portai in una famosa salumeria del centro. A Manolo luccicavano gli occhi come un bambino curioso e goloso. Chiedeva tutto e toccava tutto. Comprò formaggi e salumi, infiniti tubetti di crema al tartufo e costosissime bottigliette di aceto balsamico. Il conto si aggirò intorno al milione e mezzo di vecchie lire. Anche così Manolo dimenticava l'antica povertà.
Antonio Sabatucci
 
 

Giornale di Brescia, 19.10.2003
Pepe e Salvo, insieme, ma soltanto per una cena bresciana

Brescia - Manuel Montalbàn s’incanta davanti al portone dell’Osteria Porteri: sente profumo di prosciutto. Andrea Camilleri è sornione più del solito. Siamo nel bel mezzo di Borgo Trento, si va a cena con due miti, dopo l’incontro in San Barnaba. Quella sera del 20 giugno 2000 resta incorniciata nella memoria. L’impresa di mettere allo stesso tavolo il padre di Pepe Carvalho e l’inventore di Salvo Montalbano non è stata facile: Ninni Sabatucci li ha corteggiati per un anno intero. Alla fine tutto va liscio: affollata la sala, nonostante il caldo infernale, distesa la conversazione. Il detective privato delle Ramblas e il commissario di Vigàta si concedono reciproci attestati di stima. Grandi affabulatori. Camilleri con la voce roca dalle mille sigarette, Montalbàn con il suo italiano impastato di catalano. Diversi e uguali: il disincanto di ideali giovanili consumati, il distacco di fronte ad un successo di portata mondiale. Mascherano con scetticismi radicati una passione per la vita che si incarna nelle loro creature letterarie. Pepe e Salvo sono il loro specchio. Prima dell’incontro bresciano, si erano misurati a distanza. C’era stato un weekend di Camilleri a Barcellona, si programma un viaggio di Montalbàn dalle parti di Porto Empedocle. Si vedrà... E ci sono gli editori che sognano un libro scritto a quattro mani. Di questo si parla a cena, a Borgo Trento. Hado Lyria, la traduttrice italiana di Montalbàn cerca di stringere i tempi. Ma i due autori sono distratti: Camilleri tace e accende l’ennesima sigaretta, «Manolo» insegue discorsi gastronomici, incantato dalla «cave» bresciana. Intesse paragoni, allunga citazioni. L’Italia per lui è una Terra promessa. La sta navigando sulla sua vecchia Jagaur verde-bottiglia. Viene da un tour in Toscana. Ha fatto rifornimento di lardo di Colonnata. Non è la letteratura l’argomento che lo stuzzica, quella sera. Lascia persino cadere qualche battuta sul «Barça». A tavola non c’è spazio neppure per la passionaccia calcistica. La moglie (ha dedicato il pomeriggio a Santa Giulia) lo guarda rassegnata: solo una volta gli ricorda che il cuore non sopporterà a lungo questo ritmo... Il libro a quattro mani? Si scambiano una mezza promessa: si manderanno lettere via fax, Hado penserà a ricucirle. Poi si vedrà... Ma già si capiva che quel libro sarebbe rimasto un sogno per gli appassionati di Pepe e Salvo.
Claudio Baroni 
 
 

La Sicilia, 19.10.2003
Morto il commissario Carvalho

La morte improvvisa dello scrittore catalano Manuel Vazquez Montalban ha destato profonda commozione naturalmente nello scrittore empedoclina Andrea Camilleri. Il padre del famoso personaggio del detective Pepe Carvalho era appena arrivato all'aeroporto di Bangkok quando è stato colto da malore. «Con Montalban - disse Camilleri qualche tempo fa - è avvenuto un fatto che è stato abbastanza straordinario per me. Stavo scrivendo il "Birraio di Preston", e non riuscivo a trovare una struttura al romanzo. Questo libro, scritto in un ordine cronologico, risultava di una noia mortale. Leggendo "Il pianista" di Montalban, dove si fa un certo uso del tempo narrativo, mi si è aperto nella mente come avrei potuto strutturare il "Birraio di Preston": questo è il primo grosso debito che ho sempre avuto nei suoi riguardi. Giuro che non ci sarei riuscito da solo senza quell'"aiutino", sapete come quelli che si danno durante quei detestabili quiz delle interrogazioni a scuola. Perché, mi sono chiesto, devo scrivere un romanzo dalla a alla z? Io inizio da un episodio, e poi attorno ci costruisco il romanzo. E l'unico genere possibile in questo senso è il romanzo giallo. E così ho scritto il primo giallo dando al commissario, per un debito di riconoscenza, il nome di Montalbano, che, tra l'altro, è uno dei cognomi più diffusi in Sicilia». In Beppe Carvalho e Montalbano c'è un gusto comune per la cucina, anche se difficilmente andrebbero nella stessa trattoria.
«Una volta dissi - ha proseguito - che Montalban doveva essere trascinato davanti al tribunale dell'Aia accusato di genocidio perché, se voi provate a mangiare quello che mangia Beppe Carvalho, è una cosa terribile. E allora che cosa c'è nei due personaggi di affinità? C'è una disincantata ricerca della verità». Vázquez Montalbán e Andrea Camilleri hanno fatto un libro insieme. Una lunga conversazione sul modello del dialogo Porzio-Sciascia.
«Il mondo di Camilleri - aveva detto nelle settimane scorso Montalbán - è diverso dal mio. Con lui condivido l'ironia e una certa cultura gastronomica. Quella del mio Pepe Carvalho è più primitiva rispetto a quella di Montalbano».
Gaetano Ravanà
 
 

L'Arena, 19.10.2003
L’improvvisa scomparsa a Bangkok di Manuel Vàzquez Montalbàn
Ora Pepe Carvalho è solo
Ma il detective non è l’unico vanto dello scrittore

[...]
Una produzione assai prolifica, fatta di poesie, saggi di sociologia, politica, attualità e letteratura che gli ha fatto meritare numerosi riconoscimenti, tra i quali c’è anche quel premio «Racalmare» assegnatogli nel 1989 da una giuria presieduta da Leonardo Sciascia.
Un gemellaggio, quello tra Vàzquez Montalbàn e la Sicilia, che ha partorito figli importanti. Non è un mistero, infatti, che quando Andrea Camilleri dovette battezzare il commissario che sarebbe presto diventato un caso editoriale, scelse di chiamarlo Montalbano proprio in onore dello scrittore spagnolo. «Stavo scrivendo Il birraio di Preston - racconta l’autore siciliano - e non riuscivo a trovare una struttura al romanzo. Questo libro, scritto in un ordine cronologico, risultava di una noia mortale. Leggendo Il pianista di Montalbàn, dove si fa un certo uso del tempo narrativo, ho avuto un’illuminazione. Perché, mi sono chiesto, devo scrivere un romanzo dalla A alla Z? Io inizio da un episodio, e poi attorno ci costruisco il romanzo. E l'unico genere possibile in questo senso è il romanzo giallo. E così ho scritto il primo giallo dando al commissario, per un debito di riconoscenza, il nome di Montalbano. Che, tra l'altro, è uno dei cognomi più diffusi in Sicilia, ed ho preso due piccioni con una fava. In Beppe (lo chiama proprio così, ndr ) Carvalho e Montalbano c'è un gusto comune per la cucina, però non credo che andrebbero nella stessa trattoria. Credo che, se dovessero fare assieme un'inchiesta, in cucina il loro rapporto finirebbe per rompersi. Una volta dissi che Montalbàn doveva essere trascinato davanti al tribunale dell'Aia accusato di genocidio perché, se voi provate a mangiare quello che mangia Beppe Carvalho, è una cosa terribile».
[...]
Bruno Fabris
 
 

l'Unità, 20.10.2003
Ormai comandano i signori dell'illegalità

“Sa qual'è la disgrazia di essere morti? E' che non si ha il diritto di replica. E De Gasperi purtroppo non può rispondere. Noto, comunque, un certo progresso in Berlusconi, che da “unto del signore”, una sorta di Messia, ora si proclama un uomo normale, un uomo politico. Quest' atteggiamento è una sorta di rientro nella normalità. Forse per chi studia questi passaggi mentali, la cosa può avere un certo interesse. Mi auguro solo, e lo auspico per lui, che non prenda la parola in una commemorazione di Napoleone”. Andrea Camilleri, con la sua ironia critica, commenta così “la pretesa di Berlusconi di essere l'erede de De Gasperi”, e dopo un lungo periodo di silenzio torna ad intervenire sui temi della politica. Camilleri spiega: “L'Italia di oggi mi appare incredibile, mi sembra una realtà romanzata, come quella che appariva nell'ultima pagina della Domenica del Corriere. Vi sono cose che suscitano incredulità. Ed anche ilarità. Ha visto, anche due delle tre figlie di Alcide De Gasperi, hanno preso le distanze da Berlusconi”.
Nell'Italia di oggi, il giallo prevale nella scrittura, a volte anche nella realtà. Montalbano come si comporterebbe con il caso Telekom Serbia?
“E' una cosa talmente povera, misera, priva di interesse di indagine, che Montalbano non ci metterebbe mano”. Con la sua sottile ironia aggiunge: “le indagini le lascerebbe a Catarella, la persona più indicata”.
Ma Catarella è un personaggio comico nei romanzi incentrati su Montalbano?
"Perché, questa vicenda le sembra una cosa tragica? E' tragico invece l'uso che si fa di una commissione parlamentare. Nella storia della Repubblica le commissioni parlamentari non sono state usate come una clava contro l'opposizione."
Antonio Padellaro ha scritto che ci si potrebbe affidare alla penna di Le Carrè.
"Ho letto l'interessante editoriale di Padellaro. E dico con simpatia al condirettore de L'Unità che Le Carrè è troppo raffinato..."
La questione del voto agli immigrati è d'attualità nel dibattito politico. Sull'immigrazione, Lei ha scritto un bel libro “Il giro di boa”...
"Un romanzo nel quale emerge con chiarezza che la Bossi-Fini, ribattezzata la “Cozzi Pini”, è una legge assolutamente sbagliata. Ed i risultati si vedono quotidianamente. Che ci siano degli aggiustamenti, mi sembra una cosa positiva, ma non la ritengo rivoluzionaria. Sembra sconvolgente, perché la proposta viene da destra, ma io la ritengo una proposta del tutto naturale che garantisce dei diritti legittimi di persone che lavorano e vivono in Italia. Credo possa dirsi che da una lotta di potere interna al Polo esca fuori qualcosa di difendibile. Se vi sarà convergenza fra An, l'Udc ed il centro-sinistra su un disegno di legge sul voto agli immigrati, sarà un fatto positivo. Si tratterà di una legge liberale, democratica."
Una proposta che ha fatto saltare i nervi ai leghisti e mette in difficoltà il Polo? Secondo alcuni analisti politici, colpisce od almeno scalfisce l'asse Bossi-Tremonti- Berlusconi.
"In questo teatro dell'assurdo che è la politica italiana, è paradossale che un governo sia condizionato da un partito che non raggiunge il 4%. ma vi sono ragioni politiche. L'asse finora ha retto perché nella sostanza delle cose, la Lega è il miglior alleato di Berlusconi. La Lega è il miglior alleato di Berlusconi. La Lega è la meno recalcitrante a votare le leggi di Berlusconi. In molte votazioni An e Udc, hanno mostrato i loro maldipancia, il loro disappunto. Non hanno nascosto la loro diffidenza. Vede, su di un punto voglio fare massima chiarezza. E lo dico con serenità ed equilibrio. Sono assolutamente convinto del fatto, che non vi sia nulla da eccepire se una coalizione di centro-destra va al potere. L'anomalia è Berlusconi, con il suo enorme conflitto di interessi. L'anomalia non è Fini, non è il filosofo Buttiglione, o gli altri leader centristi. Anche se questo fa arrabbiare molti, lo ripeto con grande serenità: l'anomalia è Silvio Berlusconi, con il suo conflitto di interesse. So già l'accusa che mi faranno: di essere un comunista. Allora ricordo che su tali questioni insiste Paolo Mieli sul Corriere della Sera. E Mieli è un liberale, non un comunista. Su questi argomenti insiste Giovanni Sartori, un altro liberale autentico. E allora il problema è il conflitto di interessi, bisogna avere il coraggio di dirlo. E' una questione di libertà critica."
Dunque ha deciso di farsi di nuovo etichettare fra gli apocalittici?
"Non vedo lo scandalo di dire una verità nota a tutti. Nel 1994 sentii dire da Berlusconi che avrebbe risolto il conflitto di interesse. Sono passati 9 anni, il conflitto non è risolto. Berlusconi non avrebbe dovuto essere candidato alle elezioni, perché era detentore di concessioni statali. Certe cose bisogna pure ricordarle."
Ma Lei ha sempre sostenuto la tesi, che la maggioranza degli italiani ha votato Berlusconi e dunque sulla scia di Montanelli, ha parlato “della teoria del vaccino”. In buona sostanza, lasciatelo governare e gli italiani si ricrederanno.
"Sono un democratico. Ed ovviamente ho sempre insistito sulla celebre tesi di Montanelli, che certo non era un uomo di sinistra, ma un conservatore. Non giudico per partito preso, ma valutando i fatti. Adesso modificherei però la frase: questo calice va bevuto sino alla feccia. Perché, dapprima penavo: uno beve il vino per scoprire la feccia, qui non vi è stato bisogno di berlo fino in fondo questo calice, si è subito scoperta la feccia. Vede, nell'Italia di oggi passa un messaggio di lassismo, di menefreghismo, di non rispetto delle regole. Pensi alle leggi sui capitali esportati illegalmente all'estero, e poi fatti rientrare come se nulla fosse. Si può costruire su una spiaggia demaniale, poi si pagano un po' di soldi e si rientra nella legalità. Questo continuo spostamento dei confini tra legalità e illegalità produce un disagio altissimo, che non è solo morale. Diventa un fatto di costume sociale. E' quel che io chiamo la morale del motorino, che imperversa in Italia. Con il motorino si può evitare la fila, destreggiarsi tra le auto e poi passare con il rosso. Tanto con il motorino si ha facilità di manovra, si può andare contromano, si fa lo slalom. Insomma, si fa quel che si vuole, fregandosene delle regole. Che anzi, diventano un elemento di fastidio, di disturbo."
In Italia si discute molto dei toni della polemica politica. Si dice sempre, non bisogna alzare i toni. Cosa ne pensa?
"Credo che il livello dello scontro sia alto per via di Berlusconi. E non mi vengano a dire, poi che è un ossessione della sinistra o degli intellettuali. Perché se viene una critica da sinistra, molti buoni giornalisti ti dicono: questo non si dice, i toni sono troppo alti. Se le critiche vengono dall'altra parte, si tratta di normale dibattito politico, di espressioni colorite. Essendo una persona equilibrata e critica, non mi faccio abbindolare. La mia è solo la constatazione di uno stato di fatto. Proprio per smontare le tesi dei detrattori le dirò una cosa importante. E nessuno mi potrà accusare di essere un nostalgico politico. Con Gianfranco Fini potrei dialogare, usare lo stesso linguaggio, pur da posizioni diametralmente opposte. Perché quello di Fini è un linguaggio che ha un substrato cultural-politico, seppur diverso dal mio. Con Berlusconi invece non puoi ragionare in termini politici, perché ha un linguaggio aziendale. A volte irresponsabile. Pronto a menar fendenti a destra e a manca. A definire chi non pensa come lui un comunista, a delegittimare gli avversari. E' lui che ha iniziato questo gioco della denigrazione. Anche se molti fingono di non ricordarlo."
Come giudica sul piano tattico, della comunicazione, l'alleanza fra Berlusconi e Bossi?
"E' una tattica pensata, studiata. Vi è il tentativo di Berlusconi di demandare la parolaccia a Bossi, l'irruento, che dice lo cose come stanno. Berlusconi è quello che si propone come un mediatore, però finisce per essere un giocatore in campo. Berlusconi, disse in buona sostanza che in quel posto c'erano i comunisti, quindi il male. Si rende conto? Come mi debbo sentire io, uomo di sinistra, libero, che non ho mai fatto del male a nessuno e che ho sempre rispettato le regole? Quando critico Berlusconi, molti si sentono a disagio, altri sorridono con sufficienza. Due pesi, due misure. La smetta Berlusconi di dire agli americani che lui ha fatto scomparire i comunisti, mentre il Pci subiva un duro travaglio, spingendo sulla strada della democrazia occidentale, tracciata da Enrico Berlinguer, che aveva fatto lo strappo di Mosca. Lui va a dire che ha salvato l'Italia dai comunisti, quando nel '94 non esistevano più, e non certo per Berlusconi, ma per un complesso processo di trasformazione storica, internazionale. Berlusconi è un Don Chisciotte che riesce a convincere gli altri che non sta combattendo contro i mulini a vento. Ha un po' troppe ossessioni: il comunismo, la magistratura... Ristabilire alcune verità, ed avere un maggior equilibrio nell'analisi delle vicende, farebbe bene a tutti."
In Italia si è abbassata la soglia di attenzione nella lotta alla mafia?
"Certo. Del resto quando si indebolisce chi è in prima linea, come può essere altrimenti. Quando si dice che i giudici sono antropologicamente matti, diversi. Berlusconi dice una cosa vera. Perché bisogna essere matti come Falcone, Borsellino, Livatino, Chinnici e tanti altri eroi civili, per sacrificare la propria vita in nome della legalità. In questo i giudici sono diversi, per combattere la mafia hanno il coraggio di rischiare la vita. Spero che mi facciano giudice ad honorem, per condividere ed onorare questa diversità dei giudici. Uscendo dal paradosso, quando si afferma che i giudici sono matti, si fa un favore alla mafia, li si delegittima. Ha visto di recente una trasmissione su Rai Tre, Primo Piano, dove un boss della mafia diceva che i giudici erano l'ultimo anello della catena dell'umanità. Poi ho pensato alle dichiarazioni di Berlusconi sui giudici, antropologicamente diversi. Mi chiedo, con grande serenità d'animo, senza pregiudizi: se un presidente del consiglio dice che i giudici sono antropologicamente diversi, dei disturbati mentali, li aiuta? Penso che si tratti di frasi irresponsabili, che suscitano giustamente indignazione dell'opinione pubblica. Si delegittima, si denigra chi lotta per la legalità. D'altra parte adesso c'è la tesi dei mandanti linguistici, dunque figuriamoci."
A proposito di “mandanti linguistici”, vi è stata una dura polemica tra Giuliano Ferrara da una parte e “L'Unità”, Tabucchi e “Le Monde” dall'altra...
"Assurdo arrivare all'accusa di mandante linguistico di un assassinio in una polemica giornalistica, è una tesi da tribunale fascista, o da tribunale sovietico ai tempi di Stalin. Non è discutibile, non c'è da parlarne... Però voglio esprimere la mia totale solidarietà a Furio Colombo e Antonio Tabucchi."
Le pensioni sono un altro tema centrale del dibattito attuale. I sindacati hanno deciso lo sciopero generale.
"Le pensioni riguardano il quadro generale di politica di questo governo. Fanno parte del disegno del governo Berlusconi, che è quello di non aumentare le tasse, per poter dire di aver mantenuto le promesse. Il problema però è che i soldi non ci sono, e debbono far quadrare i conti, il bilancio dello Stato. Ed allora venderanno tutto il vendibile per far cassa... Una politica folle. Ma toccare le pensioni, è un fatto di grande impatto sociale. E credo che sull'opinione pubblica abbia lo stesso effetto dell'aumento delle tasse. Manca un progetto organico e razionale."
Alle ultime elezioni il Polo è andato male, il centro-sinistra è cresciuto...
"Nonostante il conflitto di interesse ed il monopolio delle tv, da parte di Berlusconi. Si potrebbe dire che la tv è una cosa, le tasche dei cittadini sono un'altra. Spero che gli italiani si stiano ricredendo su Berlusconi, insomma spero che il vaccino stia funzionando. I segnali ci sono e sono evidenti. Il centro-sinistra ha vinto di recente da Udine a Ragusa. I berlusconiani minimizzano, dicono che si è trattato solo di amministrative. Da democratico dico: vedremo con le elezioni europee ed i prossimi appuntamenti elettorali."
Il suo ultimo libro “La presa di Macallè” è ambientato nell'epoca fascista, ed è anche una denunzia critica delle manipolazioni della propaganda fascista. Cosa pensa delle dichiarazioni di Berlusconi allo “Spectator” su Mussolini?
"Non so, francamente uno rimane disarmato. Non so cosa rispondere. Viene voglia di dire: si prepari meglio e torni ad ottobre. Come si può negare l'evidenza storica? Penso a Matteotti, a Gobetti, morti per le botte dei fascisti. Penso a quelli che hanno subito il confino... Mi creda, sono senza parole. Se non si rispettano i morti..."
Salvo Fallica
 
 

Il Giorno, 23.10.2003
L'ansia, malattia del nostro tempo: i racconti di Albertini, Krizia, Costacurta

Milano — Qual è il rapporto tra creazione letteraria e disturbi, anche lievi, della psiche? La relazione è significativa: ce lo dimostrano le vite di grandi scrittori, che contrastarono con la scrittura le loro ansie, le loro depressioni e le loro insonnie. Kafka dedicò pagine intere del suo diario alla scrupolosa osservazione della sua incapacità di dormire. Da Lord Byron, a Pushkin e Kipling, la lista degli autori afflitti da ansia creativa è davvero interminabile. Solo in casi estremi, come quelli drammatici della poetessa Sylvia Plath o di Cesare Pavese, l'autodistruzione ebbe la meglio sulla loro creatività. Sedici Vip del mondo della cultura, della politica, dello spettacolo e dell'economia (il sindaco di Milano, Gabriele Albertini, Andrea Camilleri, Alessandro Bergonzoni, Alessandro Haber, Krizia, Billy Costacurta, Giorgio Rumi, Margherita Hack, Maria Pia Fanfani, Vittorio Merloni, Monsignor Gianfranco Ravasi, Paolo Limiti, Romano Battaglia, Corrado Passera, Giuseppe Prisco, Leonardo Mondadori) hanno elaborato una serie di racconti che parlano di questo argomento, ossia delle cosiddette «distonie neurovegetative» che colpiscono più o meno tutti nel corso della vita. Questa raccolta di «Racconti sull'ansia» (Passoni editore) - curata da Maria Alessandra Molza, arrivata alla seconda edizione e presentata stasera, alle 18.30, alla Terrazza Martini di piazza Diaz 7) è aperta dall'intervento del sindaco Gabriele Albertini, autore di una storia che racconta l'incontro del «Signor G.» con se stesso, dopo aver superato la trappola creativa dell'ansia. Il volume è dedicato a Leonardo Mondadori e a Giuseppe Prisco, di recente scomparsi, ed è disponibile presso la libreria Mondadori di corso Vittorio Emanuele. Il ricavato delle vendite sarà interamente devoluto all'ANT (Associazione Nazionale Tumori). Alla presentazione di stasera intervengono Gabriele Albertini, Billy Costacurta, Paolo Limiti, Corrado Passera.
M.R.
 
 

Il Messaggero, 23.10.2003
La storia
«Montalbano sono». Anzi, il suo sosia
Gioie e dolori per Manlio Tiselli, 29 anni, futuro avvocato “copia” dell’attore Luca Zingaretti

Storia del nostro tempo che ha stravolto la serenità di un giovane romano, che senza volerlo è diventato “famoso”. E’ balzato alla ribalta e vive sotto la “minaccia” dell’obiettivo indiscreto dei paparazzi e la paura di bisticciare con Valentina, la ragazza.
Manlio Tiselli, 29 anni e futuro avvocato, aveva una vita normale. Adesso ha sempre il timore di qualcuno che lo pedini per una foto ghiotta e il pensiero di trovarsi in situazioni che possono far male alla fidanzata.
Tranquillo, una persona alla mano, un amicone senza “grilli per la testa”. Poi, improvvisamente e impetuoso è arrivato il successo di un altro, Luca Zingaretti, protagonista in televisione de “Il commissario Montalbano”, personaggio nato dalla fantasia dello scrittore Andrea Camilleri.
Luca e Manlio sono due gocce d’acqua. Qualcuno potrebbe aggiungere che sono separati dalla nascita.
Entrambi hanno frequentato la stessa zona, nei pressi dell’Eur per via dell’amore che nutrono per lo sport.
Una passione immensa che li lega come la straordinaria somiglianza. Ma non si sono mai incontrati, non si conoscono.
Zingaretti, fa parte della nazionale di calcio degli attori. In passato ha giocato nella squadra del San Paolo-Ostiense e con il Rimini, nel campionato italiano semiprofessionisti. L’altro invece è un pallanuotista, bomber e allenatore della squadra capitolina “le Magnolie”.
La notorietà fa piacere, ma ha diversi inconvenienti che limitano la libertà, la privacy.
Si passa dalla gioia a un’infinità di scocciature. Fastidi che seccano maggiormente quando sono di riflesso, arrivano da chi è come un gemello o addirittura sembra la nostra immagine nello specchio.
Al bar il sosia ordina un caffè e lascia dieci centesimi, il cameriere lo guarda stolto, come se volesse dirgli: «Tirchio». Certo, da una celebrità come Montalbano, sarebbe gradita una mancia più consistente...
Per strada lo salutano con simpatia. «Buongiorno commissario» e le ragazze lo guardano con attenzione. «Hai visto? E’ lui! E’ proprio lui. Oddio che fico», mormorano, mentre con gli occhi lo squadrano dalla testa ai piedi, spogliandolo con lo sguardo.
Niente da fare. Manlio è legatissimo a Valentina, ma la gelosia è sempre in agguato e per colpa di qualche ammiratrice piovuta dal cielo e ogni tanto sulla quiete del loro amore arriva il temporale.
Ad accentuare l’equivoco c’è la complicità di un bolide rosso da divo, che è di proprietà del papà di Tiselli. Una fiammante “MG” spider, che Manlio usa per gli spostamenti in città. Il particolare modello della macchina contribuisce a creare più confusione.
Le fan lo rincorrono per chiedergli l’autografo. I fotografi invece lo inseguono nella speranza di uno scoop e lui non ce la fa più. Ha perso la pace.
Flavio Martino
 
 

WUZ, 24.10.2003
Andrea Camilleri
La presa di Macallè

"Dopo mangiato, tutti dettero come cosa cògnita il fatto che Michelino si andava a corcare con Marietta nello stesso letto. Mentre la cuscina lo spogliava, Michilino la taliava."

Ormai da settimane quest'ultimo romanzo di Camilleri svetta ai primi posti della classifica. Ogni opera del nostro grande siciliano attira innumerevoli lettori che lo apprezzano come autore di polizieschi, di romanzi storici e, come in questo caso, di romanzi di argomento sociopolitico. Si può infatti parlare di un testo che, nell'esasperazione della descrizione dell'infanzia di Michelino, il protagonista, traccia un quadro simbolico di una cultura dominata dal fanatismo, dalla contaminazione arbitraria tra sacro e profano e dall'esasperata presenza del sesso in un contesto bigotto e perbenista. Il padre, un fascista che in paese ha un riconosciuto potere, appare fin dalle prime pagine il principale responsabile di una mentalità che in famiglia (ma questa famiglia è specchio dell'intero paese, preti inclusi) domina: i comunisti non sono uomini, sono bestie, ucciderli quindi non è peccato; l'amore ancillare può essere accettato nell'uomo (che deve dar sempre prova di virilità anche con la moglie tradita) che si fa perdonare con qualche dono e qualche attenzione in più; l'adulterio invece per la donna è da punire con le botte e l'esilio; la violenza sessuale su di un bambino deve essere risolta con una vendetta privata e mai denunciata pubblicamente; le armi sono emanazione della virilità e del coraggio e quindi possono essere date in mano a chi si prepara a diventare un buon fascista. La mitologia che circonda il regime, le parate, le mascherate, l'orgoglio imperiale e il disprezzo per i popoli vinti così come una concezione distorta di peccato e di fede riempiono la testa di questo bambino di sei anni di cui tutti gli adulti abusano e che viene violato nel profondo della sua stessa coscienza così da renderlo un pluriassassino. La crudezza delle descrizioni, sia che riguardino i numerosi rapporti sessuali presenti nel romanzo o i delitti compiuti con tanta inconsapevolezza da Michelino, non è nell'abituale stile di Camilleri e può spiazzare il lettore che conosce la delicatezza narrativa di questo autore, ma una cosa è certa: la finalità non è attrarre il lettore con scene audaci quanto mostrare la violenza e l'ipocrisia di un momento della nostra storia recente che ha segnato con forza anche il costume e la cultura dell'intero Paese per più generazioni e denunciare l'opera distruttiva compiuta sulla psicologia di un bambino, un tradimento che vede alleati due fondamentali simboli della morale: la chiesa e la famiglia.
Grazia Casagrande
 
 

Il Giorno, 26.10.2003
Corsi di cucina a Cesate. Ultime iscrizioni all'Uovo Sodo

Cesate — Aperte ancora per poco le iscrizioni al corso di cucina “Uovo sodo” organizzato dall'ufficio cultura del comune di Cesate. Otto gli incontri in programma, divisi in due moduli da quattro dal titolo “Dalla stufa al fornello” e “La cucina globale”. Un percorso che spazia tra passato e futuro, attraverso le tradizioni, la letteratura, la multietnicità, che si presenta come una officiana culturale. La prima serie di incontri inizierà il 7 novembre. Tra gli appuntamenti più significativi di questa prima trance si segnala l'incontro dal titolo “Il giallo in cucina” nel quale saranno realizzate le ricette dei personaggi di Montalban, Simenon, Izzo e Camilleri. Nel secondo modulo sarà prediletto l'aspetto più meticcio della cucina, quello che nasce dalla contaminazione tra diverse culture culinarie. Piatti preparati durante i vari incontri saranno consumati con i partecipanti. Il corso si terrà presso la cucina della media di via Venezia. Info: ufficio cultura 02 9940148.
 
 

Il Centro Diego Fabbri organizza a Forlì, dal 29 al 31 ottobre 2003 (Auditorium Cassa dei Risparmi, via Flavio Biondo 16) il convegno Diego Fabbri e il teatro delle idee. Uno sguardo sul Novecento e una domanda per il futuro. Nel corso della prima giornata è previsto un contributo filmato di Andrea Camilleri dal titolo "Scrivere, sceneggiare. Testimonianza per Fabbri".
 
 

La Stampa, 29.10.2003
Andrea Camilleri ricorda Diego Fabbri, il suo primo maestro di «giallo»
Al drammaturgo Forlì dedica quattro giorni di studio
Andrea Camilleri
 
 

Il Resto del Carlino, 29.10.2003
Forlì
Una 'tre giorni' dedicata a Diego Fabbri

Per tre giorni, da oggi al 31 ottobre all'Auditorium della Cassa dei Risparmi di Forlì si parlerà di Diego Fabbri e il teatro delle idee. Uno sguardo sul Novecento e una domanda per il futuro. Oggi (ore 15.30) si alterneranno: Giovanni Antonucci, Gianfranco Bettetini, Fabio Battistini e un intervento-testimonianza (in video) di Andrea Camilleri che, ripercorrendo le tappe della sua amicizia e della collaborazione in teatro e tv col drammaturgo forlivese, dice di lui: «Era un uomo di una libertà mentale assoluta. Era umanamente straordinario, di una grandissima generosità». Domani interverranno: alle ore 9.30 Fabrizio Frasnedi, Luciano Bottoni, Gastone Mosci, Fabio Pierangeli, Giovanni Tassani; alle ore 15.30 Emilio Pozzi, Annamaria Cascetta, Andrea Bisicchia, Giovanni Marchi a cui seguirà la presentazione del sito internet del Centro Diego Fabbri (www.centrodiegofabbri.it). Concluderanno il convegno, il 31 ottobre (ore 15.30): Marco De Marinis, Sisto Dalla Palma, Paolo Puppa. A loro si aggiungeranno: una testimonianza di Rossella Falk; la presentazione della nuova associazione Centro Diego Fabbri; il premio di drammaturgia Diego Fabbri presentato da Nanni Fabbri, figlio del drammaturgo. Il convegno, organizzato dal Centro Diego Fabbri, dal polo scientifico didattico di Forlì con la collaborazione del teatro Diego Fabbri, della Provincia, della Regione e della Fondazione della Cassa dei Risparmi di Forlì si pone come obiettivi non solo di approfondire l'opera teatrale del drammaturgo, ma anche di analizzare le condizioni relative al teatro oggi e al rischio che cada nella dimenticanza una serie di autori e di opere che invece dovrebbero essere riproposti ricercandone l'identità.
Rosanna Ricci
 
 

Il Messaggero, 30.10.2003
Risponde Renato Minore

Innanzitutto un complimento, caro lettore. Il suo standard di lettura (in pratica un libro a settimana) è davvero un'eccezione in un paese in cui ancora oggi, per sessanta persone su cento, il libro è un oggetto sconosciuto che non entra neppure una volta l’anno in casa, Il suo consiglio di lettura, che nasce dall’esperienza, è pertanto prezioso, cercherò “La Chiromante”, questo romanzo di cui si dice meraviglie, che a suo avviso non è ne canonico, né banale, e che purtroppo non conosco (l’ho richiesto in più librerie senza esito). Lei è pessimista, tutto la delude. Ma vede: annusare un buon libro è un po' come andare a cercare tartufi. Ci vuole fiuto, esperienza, fortuna, In realtà sui giovani si punta molto, credo che oggi non ci sia uno scrittore giovane di qualche talento che non sia alla fine riuscito ad andare in libreria. La nostra editoria è malata di giovanilismo, un fenomeno che non ha riscontro in altri paesi. Non sarei così catastrofico come lei. In Italia escono tre romanzi al giorno. Ci vuole anche qui fiuto e pazienza per cercare ciò che non ci delude. Mi permette una controsegnalazione? Legga (se non l’ha ancora fatto) Austerlitz (Adelphi) di Sebald, uno straordinario romanzo di passione e conoscenza. Legga Non ho paura (Einaudi) di Ammaniti (Salvatores ne ha ricavato un buon film candidato all’Oscar). Legga l’ultimo Camilleri, La presa di Makallé (Sellerio). Tre modi diversi di scrivere romanzi; ma in tutte e tre i casi c’è quel piacere del testo senza cui non c’è romanzo, ma (come lei dice) solo “storie che vendono”. Insomma la ricerca è laboriosa, ma la pesca può dare ancora un esito cospicuo, come nel mio caso che sottopongono alla sua vigile esperienza.
 
 

Corriere della sera, 30.10.2003
L’intervista
«Poche copie, così il marketing ha aumentato l’aspettativa»

«Fenomeni editoriali così non si erano mai visti - dice Ilaria Milana, una delle proprietarie della libreria Mondadori di via Piave - Qualcosa di simile è avvenuto solo con Camilleri. Ma la richiesta dei libri dell'autore siciliano non è paragonabile alla fama del giovane mago [Harry Potter, NdCFC]».
[...]
Si. Te.
 
 

Il Giorno, 31.10.2003
Legnano
Il 4 Novembre il Giallo italiano inizia il suo tour fra biblioteca e bar

Cesate — Inizierà martedì 4 novembre il ciclo di incontri sul "Giallo italiano" organizzato dall'ufficio Cultura del comune di Cesate.
Lo scrittore Bruno Pischedda sarà il mattatore di queste serate un po' itineranti, che si svolgeranno tra la biblioteca e i bar del centro.
In Italia il giallo è un genere che ha dimostrato di poter sopravvivere ai tempi e alle mode, riuscendo ad arrivare direttamente al cuore di migliaia di lettori.
I recenti successi in libreria di autori come Camilleri, Lucarelli, Ferrandino e Scerbarnenco ne sono la prova evidente.
Si partirà, come sulle orme di un killer, martedì 4, con un incontro, presso la biblioteca di via Donizetti, con la giallista Laura Grimaldi.
Il 18, sempre presso la biblioteca, toccherà alla serata dal titolo: “Nascita e sviluppo del giallo italiano nel Novecento”.
Il 4 dicembre, presso il bar Lady Eis in p.zza IV Novembre, saranno analizzati “Sciascia e il territorio mafioso”.
Bruno Pischedda guiderà i presenti nella lettura critica de “Il giorno della civetta". Il 16, presso il bar Pasticceria Ma.Ma. di via C. Romanò, toccherà al giallo alla milanese, titolo della serata nel corso della quale verranno letti brani tratti da “Venere privata”: “Scerbarnenco e il delitto alla milanese”.
Si proseguirà il 13 gennaio, presso il bar Dalì di via Tagliamento, con l'analisi dei testi di Fruttero e Lucentini ambientati a “Torino, la fabbrica del crimine”.
Il 27 gennaio, presso il bar Rosanno via C. Romanò, sarà la volta del più filologico dei giallisti: "Umberto Eco e le indagini di frate Guglielmo"; verranno ovviamente letti brani tratti da “Il nome della rosa”.
Chiusura, il 3 febbraio, presso il bar Tropeiro di via Italia, con la serata dedicata a Camilleri e a "Montalbano, il commissario no global". Tutte le serate inizieranno alle 21.
Per informazioni: ufficio cultura tel 029940148, e-mail biblioteca@comune.cesate.mi.it.
Christian Boniardi
 
 

L'indice, 10.2003

La duplice natura della scrittura di Camilleri tra storia e invenzione
Voglia di sgorbio

C’è un libro nella bipolare produzione di Camilleri, divisa tra romanzi storici e gialli di Montalbano, che sta in esergo. È Il corso delle cose, uscito nel 1978 ma scritto almeno dieci anni prima. Il titolo riprende una citazione di Merleau-Ponty, l'autore di Senso e non senso, dove l'uomo contemporaneo è messo di fronte alla insensatezza del corso delle cose, non più visibile e lineare ma diventato sinuoso e imprevedibile. Questa visione servirà a Camilleri per spiegare, in una lezione tenuta nel 1996 a Pisa, l'atteggiamento ultimo di Pirandello appena reduce dai Giganti della montagna che è stato incapace di completare: Pirandello scopre l'insorgenza di una realtà nuova, privata di certezze, e Camilleri, leggendo I giganti, si ricorderà di Merleau-Ponty e dello scacco cui il caduco eroe del nostro tempo soggiace.

Il primo libro di Camilleri è dunque il segnale di una concezione che si preciserà meglio quando prenderà un'inerzia produttiva assumendo i contorni di una dualità parallela, sempre giocata in maniera ondivaga, risultato di una concezione binaria della realtà, svolta su due piani distinti e intersecati. Bisogna intendersi bene sulla sostanza di questa esperienza, riportando innanzitutto Camilleri all'età infantile.
La scoperta che egli fa della deviazione dei corso delle cose rimonta infatti all'età dei miti dell'adolescenza ed evoca nonna Elvira, la prima a mostrargli il mondo dentro un prisma, le cose disposte in una doppia natura, la stessa nella quale Debenedetti distinguerà l'occhio sinistro delle visioni e l'occhio destro della vista e Cecchi indicherà il duplice aspetto dei "pesci rossi". È un bambino quando nonna Elvira lo porta in campagna per fargli conoscere il mirmecoleone, un invertebrato che vive sotto la sabbia e che, non visto, cattura in superficie le formiche. Il piccolo Andrea, Nené, scopre che la realtà è doppia e che dietro - o sotto - quella apparente ne agisce un'altra, mascherata e preminente. Non è un caso se mezzo secolo dopo ritroverà lo stesso termine in Borges. E non è per caso che dichiarerà ripensando al mirmecoleone: "All'età di sei sette anni si formano in me due terreni paralleli: uno è quello della fantasia, dell'invenzione pura. L'altro quello della lettura diciamo realistica, o quasi. Due piani che non avrei mai abbandonato".
Si tratta di due piani che si tingono a vicenda. Novel e récit sono i capi di una fune tirata sempre dal lato dell'invenzione. Se si esclude l'incipitario Corso delle cose, i libri che Camillleri compone dal 1980 al 1994 (quando esce il primo titolo della serie Montalbano), nell'arco cioè di quasi quindici anni, sono tutti di genere storico, suggeriti da smagate ricerche svolte nelle 1410 pagine dimenticate dell'inchiesta parlamentare in Sicilia del 1875 e poi in quella di Franchetti e Sonnino. Camilleri ha materiale per fare dei saggi storici e si inoltra in questa via, ma strada facendo finisce per trovarsi nelle mani ogni volta un romanzo. In una intervista dirà che ama leggere i documenti storici ma leggendoli non può non vederci presenze che gli fanno puntualmente crescere "la voglia di sgorbio". Ci sembra di rivedere Sciascia fermo allo stesso bivio e poi avviarsi lungo la terza via della sintesi tra saggio e romanzo, la stessa che Camilleri rifarà sia pure prendendo sentieri discosti.
Quando riceverà la laurea honoris causa alla Iulm Camilleri terrà presenti i "due terreni paralleli" sui quali sono fioriti i suoi frutti più maturi e parlerà di Minucu, il massaro che da bambino gli raccontava storie come quella dell'uomo con due teste ognuna delle quali parla una lingua diversa: l'uomo si trasforma in un mostro quando le due lingue si sovrappongono e torna normale quando diventano una sola.
La duplicità della lingua, nessuna prevalente sull'altra, l'ambivalenza di romanzo e saggio, cui corrisponde un'equivalenza di generi, l'alternanza tra ricerca e invenzione, sono tutti elementi che covano una vocazione, i romanzi storici distinguendosi da quelli di Montalbano per un diverso ruolo che gioca la folla: manca nei secondi per esibirsi invece nella quasi totalità dei primi. Romanzi decisamente corali e polifonici sono Un filo di fumo, La strage dimenticata, Il bírraio di Preston, La concessione del telefono, La scomparsa di Patò, Il re di Girgenti: segno che quando Camilleri trae una storia dalla Storia la sua macchina di localizzazione si ferma a una certa altezza sulle teste dei personaggi, che appaiono maschere e dunque sensibili a uno sguardo ironico e comico, riducibili a uno stesso livello zero della parlata dei personaggi e dell'autore, intonato che abbia una voce popolare votata al riso. Il rovesciamento della morale costituita cui si assiste nei romanzi storici di Camilleri, con l'uso della satira rivolta alle autorità e ai potenti, non è lo stesso che sortisce il sentimento del contrario di matrice pirandelliana, ma coglie un dippiù di socratico, al fondo di una coscienza etica che comporta anche un giudizio di valore sociale e civile. È Bachtin l'ideologo di Camilleri. Che quando prende consapevolezza di uno stato di schizofrenia letteraria che lo porta a guardare i suoi personaggi a volo d'uccello mentre si immagina di parlare loro negli occhi facendo propria la loro lingua, cre un doppio di sé: diventa un autore in cerca di personaggi e per questa via trova Salvo Montalbano.
È un caso di serendipity: il commissario non nasce già formato come Minerva dal cranio di Giove, ma cade - quale lo vediamo nella Forma dell'acqua - incomposto e larvale nell'officina di Camilleri quando egli è impegnato a smaltire la folla e fare spazio a un suo personaggio di conio, plasmato con la cura e l'incertezza di un mastro Geppetto che volendo un balocco di legno ottiene invece un burattino animato. Montalbano nasce da un'energia alternativa, dal senso del doppio, della digressione e della moltiplicazione, che nutre Camilleri. Lo ha detto nella Bolla di componenda: "È un mio difetto questo di considerare la scrittura allo stesso modo del parlare. Da solo, e col foglio bianco davanti, non ce la faccio, ho bisogno d'immaginarmi attorno quei quattro o cinque amici che mi restano stare a sentirmi, e seguirmi, mentre lascio il filo del discorso principale, ne agguanto un altro capo, lo tengo canticchia, me lo perdo, torno all’argomento".
Davanti alla folla di figurine che le ricerche storiche gli restituiscono, Camilleri ha bisogno di una figura con cui divagare. Montalbano è li e si offre per correggere il suo "difetto" giustificandolo: è la digressione che Camilleri si concede rispetto al discorso principale; è un carattere, cioè un personaggio. E come tale veste il calco di tutti gli altri personaggi della serie, che Camilleri non ha bisogno di descrivere fisicamente: posti sulla scena non si presentano ma parlano, sicché solo ascoltandoli e osservandoli il lettore-spettatore li conosce. Camilleri è stato chiaro rivelando che per riconoscere i suoi personaggi ha bisogno di vederli camminare.
Quando appare per la prima volta, nella Forma dell'acqua, Montalbano rimane con un piede in aria perché non sa ancora camminare. Non è formato. Solo nel Cane di terracotta la figura diventa un carattere e Montalbano mette entrambi i piedi a terra camminando. Camilleri può finalmente parlargli adempiendo la propria devozione all'oralità. Per poi tornare alla scrittura, al "discorso principale", all’"argomento", cioè ai romanzi storici, alle sue figurine in macchietta.
E la dualità che crea, tra scrittura e oralità, folla e individualità, ricerca e sgorbio, rimanda ragioni da una all'altra sfera. Che sono parte però di uno stesso quadrante. Camilleri non può fare a meno di uno dei suoi due mondi ed è per questo che fonda Vigàta: per riunire tutti, figure e figurine, in uno stesso luogo mentale. Il suo.
Gianni Bonina
 

Domande a Camilleri

Si può pensare che Montalbano sia nato da una costola dei romanzi storici? Camilleri, impegnato a riscrivere a suo modo la storia, e quindi alle prese con personaggi che non sono personaggi veri ma elementi di un coro, sente a un certo punto di dovere inventare un personaggio con una vita propria e non insufflata. È così?

La questione è più complessa. Io non ho avuto amici romanzieri che mi aiutassero e consigliassero. E non ne ho tuttora. L'unico fu Dante Troisi, che però era un saggista. Devo dire che la mia tecnica scrittoria mi preoccupava. Mi chiedevo: perché comincio un romanzo non sapendo la collocazione che avrà ciò che scrivo? Eppure sono un uomo ordinato. Mi faceva rabbia vedere che partivo da un punto attorno al quale costruire il romanzo e non sapere poi se quelle cose che andavo scrivendo sarebbero state il punto centrale o sarebbero state eliminate, come pure è successo più volte. Sono capace, mi dicevo, di scrivere un romanzo che abbia un inizio e arrivi a una fine? Avevo finito di leggere il saggio di Sciascia sul romanzo poliziesco e così tutti i romanzi credevo che dovessero cominciare con un'alba, cioè un inizio canonico. È così che è venuto fuori La forma dell'acqua:come atto di autodisciplina e esercizio di confronto con me stesso. Volevo verificare se ero capace di creare un personaggio vero, identificato.
A stare bene attenti, in realtà Montalbano nella Forma dell'acqua ha un ruolo esornativo. Lei ha bisogno di un commissario e trova lui. È nel Cane di terracotta che Montalbano diventa personaggio.
È vero. Nel primo libro svolge solo una funzione. Invece mi interessava promuoverlo a personaggio. Non solo ha avuto successo ma ha fatto da traino agli altri libri storici, come giustamente aveva visto Elvira Sellerio. Che mi disse: 'Guarda che Montalbano si tira appresso gli altri'. Allora mi sono detto: "Se questo è un grimaldello perché non usarlo?".
Diciamoci la verità: i romanzi di Montalbano non valgono quelli storici.
Già, ma salverei proprio Il cane di terracotta, che si avvicina al gioco della memoria che è un tema di mio interesse particolare.
Lei non ama Montalbano, l'ha detto sempre.
Gli sono grato, ma amarlo proprio no. Non sono come Simenon.
Infatti Simenon non ha mai cambiato Maigret, rimasto per decenni immutabile proprio per restare in vita. Lei invece ha creato Montalbano morituro. Invecchia e prima o poi è inevitabile che muoia.
In realtà è sopravvissuto imponendosi, perché sarebbe scomparso da anni, già dal tempo del Cane di terracotta.
G.B.
 
 

La Stampa, 10.2003
Scrittori
Camilleri: «Ero giovane e focoso, fui cacciato dall'Accademia»
Ha appena scritto "Teatro" con Giuseppe Dipasquale
"Silvio D'Amico mi espulse, il motivo fu una ragazza. Fui scoperto con lei nel convento che ci ospitava"
Francesca Bellino
 
 

 


 
Last modified Wednesday, March, 23, 2016