Andrea Camilleri da palcoscenico. Oggi alle 12.15, al Salone del Consiglio
nazionale del ministero dei Beni culturali (via del Collegio Romano 29)
lo scrittore presenterà il volume Teatro (Lombardi editore), che
comprende i testi di tre trasposizioni teatrali - Il birraio di Preston
, Troppu trafficu ppi nenti (in cui si immagina che Shakespeare sia in
realtà il sicilianissimo Michele Agnolo Florio di Scrollalanza,
termine quest’ultimo che in inglese diventa “shake the spear”) e La cattura
(rappresentato nel 2001, ultima interpretazione del grande Turi Ferro),
scritto in tandem con il regista Giuseppe Dipasquale.
T9, 1.10.2003
Andrea Camilleri, il grande scrittore racconta il suo libro Teatro
Emanuele Carioti
TGR Sicilia,
1.10.2003
Servizio sulla presentazione a Roma del volume "Teatro"
Un paio di domande di "ordinaria amministrazione" ad Andrea Camilleri,
carrellata sui presenti (tra gli altri Giuseppe Dipasquale, Gaetano Savatteri,
l'Assessore reginale siciliano ai BBCC Fabio Granata e Enzo Bianco) e descrizione
dei contenuti del libro.
Il Cittadino, 1.10.2003
Lutto
Del Buono, un lettore integrale
[...]
L'atto "critico" (e letterario) di Oreste Del Buono è necessariamente
da considerarsi espanso in tutti i campi "alti e bassi della letteratura".
Non c'era pratica editoriale che egli non conoscesse e avesse "scoperto"
fino in fondo. In tempi difficili aveva comiciato a "leggere" fumetti (quanti
hanno esordito sulle pagine del suo «Linus», su tutti "Paz"
e Mattotti), romanzi di genere (il giallo, la fantascienza), e a rivalutare
scrittori "in disuso" come Achille Campanile (per favore andarsi a rivedere
la curatela dell'opera omnia dell'umorista, di recente ripubblicata da
Bompiani in due volumi economici) o Giorgio Scerbanenco, scrittore milanese
d'una forza narrativa che Camilleri, nonostante il successo, può
sognarsela soltanto.
[...]
Fabio Francione
Gazzetta di Parma,
2.10.2003
Camilleri: Shakespeare e Pirandello in siciliano
ROMA - Cos'hanno in comune Andrea Camilleri, William Shakespeare e Luigi
Pirandello? Una vera o presunta sicilianità e il fatto di essere
i tre autori che il padre di Montalbano, insieme a Giuseppe Dipasquale,
ha scelto di portare in scena rielaborandone i testi in chiave siciliana.
Arriva oggi in libreria il testo edito da Lombardi che li raccoglie.
«Questo libro è la punta dell'iceberg del lavoro di tante
persone che dimostrano come la Sicilia si muova - ha detto Camilleri durante
la conferenza stampa di presentazione del libro al Ministero per i Beni
culturali - I libri di teatro come quelli di poesia in Italia non si vendono,
spero però che l'editore riesca a pareggiare le spese e spero che
anche la Sicilia riesca almeno a pareggiare il conto fra quello che ha
dato e quello che ha ricevuto».
La raccolta contiene Il birrario di Preston, successo editoriale come
romanzo e portato in scena a Catania nel '99; Troppu trafficu ppi nenti,
riscrittura in siciliano di Troppo rumore per nulla; e La cattura, teatralizzazione
della novella di Pirandello portata in scena dall'attore siciliano Turi
Ferro scomparso due anni fa.
Ricordando proprio il grande attore siciliano Enzo Bianco ha lanciato
un appello affinchè il Teatro Stabile di Catania venga ribattezzato
Turi Ferro come già viene chiamato familiarmente dai catanesi.
La casa editrice siracusana Lombardi inaugura con questo titolo una
nuova collana dedicata al teatro.
[...]
Potrebbe protestare Gianfranco Miccichè, quello che intratteneva
rapporti telefonici con uno dei prestanome della famiglia Riina e rapporti
di altro tipo con il pusher ministeriale Alessandro Martello, salvo poi
denunciare i gravi danni all´immagine della Sicilia provocati dai
romanzi di Camilleri (per la presenza, si suppone, di un commissario di
polizia).
[...]
Marco Travaglio
La Repubblica,
3.10.2003
Melissa conquista la vetta, entra Camilleri
Dopo l´apparizione televisiva di Melissa P, il suo Cento colpi
di spazzola prima di andare a dormire fa un balzo in avanti e conquista
la vetta. In crescita, ora al secondo posto dei top ten, anche Achille
piè veloce di Stefano Benni.
La terza posizione è una new entry: Andrea Camilleri con La
presa di Macallè. Ambientato in Sicilia durante la guerra in Abissinia
il romanzo narra la parabola di Michilino: il "picciriddo" dall´infanzia
violata si trasformerà in un pluriomicida, soldato della milizia
del Duce e di Cristo.
[...]
Ilary Blasi [dopo aver letto un brano da “Un mese conMontalbano”,
NdCFC]: Presentiamo l’ospite di questa sera che è Andrea Camilleri,
scrittore di grande successo e papà del Commissario Montalbano.
Fabio Fazio: Chissà se è ancora lì o se se n’è
andato. Camilleri, buona sera!
Andrea Camilleri: Buona sera.
F.F. Grazie molte per avere accettato di giocare con noi.
A.C. Grazie a voi.
F.F. Intanto diciamo subito che -glielo dico così, per mio piacere,
perché aspetto il suo autografo- è appena uscito il
suo ultimo romanzo “La presa di Macallè”, che ho qui non per caso
ma per piaggeria, perché, non so, mi sembra un modo necessario,
obbligatorio, per ringraziare le persone come lei che ci regalano delle
storie così belle… non c’è niente di più bello che
ricevere in regalo delle storie, secondo me, e quindi la ringrazio di cuore
e la pregherei, però, di mandarmi il suo autografo sulla raccolta
che raccoglierà il suo Teatro e che sta per uscire tra poco.
A.C. No, è già uscito, è qui.
F.F. Ah, ce l’ha lei… smaccatamente… scusi tanto, non l’avevo visto.
Si vede che lei ha fatto tanta RAI, tanta televisione… è bravissimo!
A.C. [Ride di gusto, NdCFC]
F.F. Senta, ma quel Pupo ce l’ha lì per l’occasione o da sempre?
Il Pupo siciliano…
A.C. No, il pupo ce l’ho da un sacco di tempo, mi è stato regalato:
ed è una Pupa, eh?
F.F. Eh, già ha le treccine.
A.C. Sì… non solo.
F.F. …
A.C. Guardi la curvatura dell’armatura e si renderà conto.
F.F. Ah, è vero… come si chiama in italiano, il… il se… Camilleri,
mi aiuti, che lei fa lo scrittore…
A.C. Che cosa? La curva!
F.F. La curva… le curve…
A.C. Le curve.
F.F. Le curve, perfetto. Le piace il vento?
A.C. No.
F.F. Fine dell’intervista. Arrivederci. No… mi ha completamente fregato!
Però… però Montalbano è molto irritato dal vento.
Nei suoi romanzi la meteorologia diventa meteoropatia, quasi, per il suo
protagonista. Lei è meteoropatico?
A.C. Io sì. Non ai livelli di Montalbano, ecco, però
ne risento abbastanza.
F.F. Ne risente anche lei…
A.C. D’altra parte Montalbano è un personaggio letterario e
tutta la letteratura è cosa di vento.
F.F. E’ intrisa di vento…
A.C. No, “è cosa di vento”…
F.F. Cosa vuol dire cosa di vento?
A.C. Mah, i contadini delle mie parti, per esempio, dicono che le parole
sono cosa di vento… la letteratura è fatta di parole…
F.F. Anche se sono scritte…
A.C. Anche se sono scritte.
F.F. Senta, nell’ultimo Montalbano, “Il giro di boa”, il commissario
era un po’ arrabbiato, come dire, era un po’… adesso non mi viene la parola
comunque, diciamo, era un po’ polemico, con il nostro tempo, con il nostro
paese, anche col nostro governo, col potere… si è addolcito oppure…
nel prossimo lo troveremo più sereno, a proposito di termini meteorologici,
oppure no?
A.C. Mah, io non credo che abbia delle ragioni di serenità.
F.F. Certo… Io le ricordo che sono appeso a un filo, io… però
lei dica tutto.
A.C. E credo che abbia delle ragioni di maggiore irritazione.
F.F. Quindi non vediamo l’ora di leggerlo.
A.C. E quindi… non vede l’ora, forse, lui, di andarsene in pensione
dalla polizia.
F.F. Dipende da quanti anni ha maturato.
A.C. Ecco. E questo è un problema, la ringrazio Fazio di avermelo
ricordato.
F.F. Prego.
A.C. Perché sicuramente, a parte quello che sono, diciamo, i
miei anni un po’ avanzati, dovrò mandarlo in pensione prima del
2008 sicuramente.
F.F. Altrimenti almeno sino al 2013 le tocca scrivere giorno e notte.
A.C. Anche se perderà il 50 %… Magari va anticipato.
F.F. Vedremo. Lei ha lavorato tantissimo per la RAI, per la televisione,
è stato il produttore di Maigret, quindi conosce bene il mezzo che
ci sta ospitando. Lei che cosa guarda in tv adesso, Camilleri?
A.C. Mah… in genere guardo, e mi rodo lo stomaco, il fegato e tutto
quello che c’è da rodere, i dibattiti politici.
F.F. Quindi pochi…
A.C. Sì, pochissimi.
F.F. Quindi, in realtà sta bene.
A.C. Sì… è questo che mi salva, in realtà dovrei
essere grato… Poi guardo qualche film, che però il luogo è
improprio, perché il vero luogo del film è la sala cinematografica.
F.F. Senta, nel noir, nei romanzi noir, piove sempre, è umido…
Lei è il primo, con Montalbano, che immagina dei gialli assolati.
A,C, Mah… questa è una tradizione ottocentesca…
F.F. Mi scusi, sono io… sono vecchissimo.
A.C. Questa della pioggia… D’altra parte l’immortale Snoopy scrive
il romanzo “Era una notte buia e tempestosa”. Invece ora il Noir è
diventato mediterraneo, quindi deve convivere col sole, colle belle giornate.
F.F. È così: Il derby tra Maigret e Sheridan chi lo vince
secondo lei? Questa è una curiosità personale…
A.C. Be’, lo vince Maigret…
F.F. Bravo! Scusi, anch’io sono molto di parte…
A.C. …anche perché l’impermeabile di Sheridan non faceva prevedere
buon tempo…invece Maigret è anche solare.
F.F. Assolutamente d’accordo. Camilleri, se ha voglia di rimanere con
noi, ci interesserebbe molto la sua opinione circa l’esperimento che stiamo
per fare ma gliela chiederei più tardi.
A.C. No, no, no… io rimango, volentieri.
F.F. Ah, ecco.. il no, no, no, mi aveva preoccupato…grazie molte, a
tra poco…
[…]
F.F. Andiamo a Mosca da Sergio Canciani, corrispondente della RAI.
Sergio, intanto che temperatura c’è questa sera a Mosca?
S.C. 12 gradi con pioggia e un po’ di vento. Ma a proposito di come
affrontare al meglio il vento, io che sono un esperto, come dicevi tu,
la posizione migliore per affrontare la Bora e il vento forte eccetera,
è quella di mettersi dentro una trattoria, semplicemente, a sorbire
un bicchiere di buon vino o bere del caffè e leggere un libro di
Camilleri.
F.F. Mi sembra un’idea geniale.
[…]
F.F. Vedo Camilleri interessato all’esperimento. Lei, Camilleri, ha
una sua teoria per opporsi al vento? Dovendo camminare, naturalmente.
A.C. Mah, io sono incerto tra stendermi a letto, per oppormi al vento,
oppure la teoria di Canciani che mi pare molto interessante.
[…]
F.F. Vorrei metaforicamente abbracciare Andrea Camilleri, con grande
affetto. Grazie molte.
A.C. Grazie a lei. Grazie e un abbraccio…
Trascrizione a cura di Paola
l'Unità, 4.10.2003
Il fascismo secondo il piccolo Camilleri
L'ultima fatica letteraria di Andrea Camilleri, è La presa
di Macallè, un romanzo storico ambientato nel periodo fascista.
Una narrazione incentrata sull'indagine della dimensione della violenza,
vista attraverso l'ottica di un bambino. Un bambino che diventa assassino,
o meglio, che viene trasformato in assassino.
Un libro “diverso”: assolutamente sui generis nella produzione di Andrea
Camilleri. Non c'è il commissario Salvo Montalbano, né l'atmosfera
tipica dei brillanti romanzi storici di Camilleri, che si riallacciano
alla grande tradizione realistico-verghiana della letteratura siciliana,
dunque italiana ed europea, rielaborata in chiave ironica.
E' una storia diversa, che ha stupito, turbato, lo stesso Camilleri.
Una idea che gli è venuta fuori, ed è diventata una storia.
Il romanzo è ambientato nella Sicilia del 1935, durante la guerra
in Abissinia. Racconta l'infanzia violata di un bimbo, che nel contesto
storico fascista, viene trasformato in un assassino. Allora il “papà”
di Montalbano aveva solo dieci anni. E così Camilleri per la prima
volta in un romanzo storico attinge a ricordi della sua vita, e non a documenti
storici come in libri raffinati quali La stagione della caccia,
Un
filo di fumo, Il re di Girgenti e Il birraio di Preston.
Questo non vuol dire che si tratti di un testo autobiografico, tutt'altro!
L'unico fatto vero, è che a quei tempi, come tutti, anche Camilleri
era un giovane balilla. E lo era, ovviamente per costrizione e non per
libera scelta. In quel contesto, dove vigeva a tutti i livelli la propaganda
fascista, il piccolo Camilleri scrisse una lettera al Duce, chiedendo di
partire volontario per la guerra in Abissinia.
Camilleri, scrittore maturo, che ha successo in tutto il mondo, tradotto
in ventidue lingue, una delle icone intellettuali della sinistra italiana,
scrittore “impegnato” al punto da suscitare le ire dei seguaci di Berlusconi,
ha indagato in sé stesso, per scoprire il perché di quella
lettera. O più correttamente, per capire quale meccanismo fosse
scattato in quel bambino che viveva a Porto Empedocle, nell'agrigentino.
Il romanzo diventa, di conseguenza, una analisi del periodo fascista, delle
subdole mistificazioni della propaganda, che operava a tutti i livelli,
dalla scuola ai media, dalle parate militari ai comizi, che anche sotto
questo aspetto farà discutere.
Ma qual è invece la trama del romanzo, come si sviluppa? E'
la storia di un bambino che viene violentato psicologicamente, fisicamente,
sessualmente. Una storia dura, dai toni aspri, violenti. Scritta in uno
stile che colpirà i lettori “classici” di Camilleri, li turberà,
quasi come un colpo allo stomaco. Così come lascerà di stucco,
i critici che spesso e a sproposito hanno parlato di atteggiamento consolatorio
nella scrittura dell'inventore di Montalbano. Questa non vuol dire che
Camilleri abbia mutato pelle.
Più semplicemente, vuol dire che nella sua narrativa vi è
una pluralità di stili, una ecletticità fuori del comune.
Non a caso lo scrittore di Porto Empedocle sta già lavorando al
prossimo romanzo sul commissario Montalbano.
La scrittura de La presa di Macallè presenta caratteristiche
peculiari. Non è raffinata ed ironica come ne La stagione della
caccia, non è esplosiva e spumeggiante come ne Il birraio
di Preston, non è intrisa di digressioni storiche e filosofiche
come nel capolavoro Il re di Girgenti.
Nel raccontare la storia la storia di un bimbo che ha subito un lavaggio
di cervello dalla propaganda fascista, che è stato
convinto che è giusto uccidere il nemico – eliminare i comunisti
– l'autore ha utilizzato l'ottica del protagonista del romanzo.
Che ovviamente essendo un bimbo di sei anni, non fa riflessioni metafisiche
o psicologiche tipiche di un adulto, ma coglie le cose in maniera diretta,
ingenua. Ha insomma un impatto con la realtà che non è mediato,
ma puramente istintivo. Mancano le sfumature, il linguaggio è quasi
in presa diretta, tipico della tecnica cinematografica.
Salvo Fallica
4.10.2003
Presso il Castello Pasquini di Castiglioncello, nell'ambito di un seminario
di "Comunicazione e Cibo" incontro con il Dott. Gianfranco Marrone dell'Università
di Palermo dal titolo "Mangiare in silenzio: il caso Montalbano".
Il Messaggero,
4.10.2003
I libri più venduti
Camilleri in vetta con la guerra in Abissinia
Arriva il campione di incassi e subito sale in vetta alla classifica
della settimana. Parliamo ovviamente di Andrea Camilleri con ”La presa
di Macallè” (Sellerio 10.00 Ç): “Nell’anno di grazia 1935,
quello della guerra d’Abissinia, Michilino è un “picciliddro”. Figlio
della Lupa, fascista perfetto, arruolato nella milizia di Cristo grazie
a prima comunione e cresima, il bambino si cerca a tentoni tra un padre
che si “ringalluzza con la creata di casa” e una madre che si dà
alla “penetrante conversazione” con un prete. Il professore Gorgerino,
pedofilo e capo dell’opera nazionale balilla, lo introduce alla ginnastica
degli spartani brutalizzandolo per festeggiare di volta in volta la presa
di Macallè, di Tacazzé, Axum. Ed è proprio durante
i festeggiamenti per la presa di Macallè che il bambino dall’infanzia
manomessa decide di farsi vendicatore, trasformandosi in un pluriomicida
soldato della milizia del Duce e di Cristo”.
[...]
A cura di Domenico Di Cesare Classifica redatta in collaborazione con la libreria Gulliver (www.rietilibri.it)
Giornale di Sicilia, 5.10.2003
Teatro, mio primo amore In tre testi di Camilleri in scena i colori della Sicilia
Roma. «Molto rumore per nulla?». No, «Troppu trafficu
ppi nenti». Sarebbe stato questo, forse, il titolo dell'opera dì
William Shakespeare, se il grande drammaturgo fosse nato in Sicilia. Una
suggestione ventilata qualche anno fa da uno studioso messinese, che ora
viene ripresa da Andrea Camilleri e dal regista-autore Giuseppe Dipasquale
per creare una finzione letteral-teatrale.
La libera traduzione in dialetto messinese del testo shakespeariano,
infatti, fa parte, insieme con la novella pirandelliana «La cattura»
e «Il birraio di Preston», romanzo firmato dallo stesso Camilleri,
di una trilogia fresca di stampa ed intitolata «Teatro». Il
volume, pubblicato per la casa editrice siciliana Lombardi, mette in fila
trasposizioni teatrali dei tre originali, frutto di rielaborazioni e adattamenti
concepiti a quattro mani.
L'opera è stata presentata dagli autori nel salone del Consiglio
nazionale del ministero dei Beni culturali, alla presenza del sottosegretario
Nicola Bono (siciliano anche lui) e dell'assessore regionale Fabio Granata.
I tre testi rivisitati, già messi in scena a Catania (l'anno
prossimo «il birraio di Preston» sarà anche al Teatro
Regina Margherita di Racalmuto), sono per il papà del commissario
Montalbano, «la testimonianza di una fortuna teatrale».
E segnano, al tempo stesso, il ritorno di Camilleri al teatro, «luogo
laico e propizio per gli incontri fra la gente», dove lui esordì
come regista nel '42. Da allora, ha portato in scena moltissimi testi di
Pirandello, ma anche Beckett e Ionesco. Da qui il suo plauso all'iniziativa
di recuperare tanti «piccoli ma significativi teatri sparsi per l'isola»,
annunciata dall'assessore Granata, da Licata a Noto, da Siracusa a Racalmuto,
fino a Modica e al Garibaldi di Palerrno.
Quanto a «Teatro», un «fil rouge» lega le tre
opere. È, come la tratteggia Dipasquale, «la comune idea della
Sicilia e la presenza di un'umanità piena di colori, umori e sapori».
E poi, tutti e tre i lavori sono stati scritti per essere rappresentati
sul palcoscenico. Letteratura che si fa teatro e teatro che diventa letteratura.
Vicky Sorci
La Sicilia, 5.10.2003
Nuova collana dell'editore Lombardi
«Gioielli discreti» e subito Camilleri
Cosa hanno in comune Andrea Camilleri, William Sheakespeare e Luigi
Pirandello? Una verosimile sicilianità e l'incontestabile assiduità
nell'immaginario letterario di Camilleri. Il padre del commissario Montalbano,
insieme a Giuseppe Di Pasquale, ha scelto di portarne in scena alcuni testi,
rielaborati in chiave siciliana, nella trilogy pubblicata dall'editore
Arnaldo Lombardi. «Questo libro è la punta dell'iceberg del
lavoro di tante persone che dimostrano come quest'isola si muova. - ha
affermato Camilleri -. I libri di teatro, come quelli di poesia, in Italia,
non si vendono, spero però che l'editore riesca a rimediarci le
spese».
La raccolta contiene «Il birraio di Preston», «Troppu
trafficu ppi nenti», riscrittura in vernacolo del capolavoro shekaspeariano;
«La cattura», teatralizzazione della novella di Pirandello.
Durante la presentazione romana, al Ministero dei Beni Culturali, il sottosegretario
Bono ha indicato nel lavoro di Camilleri «una guida per una migliore
interpretazione degli spettacoli». Presente anche l'assessore Fabio
Granata che ha espresso il proprio compiacimento per l'operazione editoriale
che inizia con un grande maestro, ringraziando inoltre l'editore Lombardi,
in grado, ancora una volta, di legare il nome di Siracusa al noto scrittore
di Porto Empedocle. La casa editrice siracusana Lombardi inaugura con Camilleri
la collana «Gioielli discreti», diretta dallo stesso Di Pasquale,
dedicata al teatro.
V. T.
Il Mattino,
5.10.2003
Da mercoledi
A Bagnoli il festival del racconto
Il racconto come luogo di scambio e di incontro, oasi che risponde all'umano
«bisogno insopprimibile di storie» dimensione che intesse legami,
stimola la fantasia. Si basa su queste premesse la prima edizione di un
Festival del racconto, curato da Esperimento 20 in collaborazione con il
Teatro dell'anima, che prenderà il via allo Science Centre di Bagnoli
mercoledì alle ore 16, con una «narrazione» di Lele
Luzzati e Tonino Conte.
Denso il programma degli eventi, rivolto a bambini e adulti coinvolti
a Città della Scienza, fino a sabato 11 ottobre, in una girandola
di laboratori creativi mattutini (per le scuole è d'obbligo la prenotazione,
tel. 081/7611540; il sabato l'accesso è libero, per tutti l'iniziativa
è gratuita), in stage di formazione per operatori nel pomeriggio
e in letture, ascolti e drammatizzazioni per piccoli e grandi fino a tarda
sera. «L'intento è quello di creare una sorta di crocevia
dove artisti, narratori, insegnanti, educatori e bambini possano sperimentare
nuove modalità di coinvolgimento e di narrazione, quasi un viaggio
nella terra dell'incanto che passa attraverso la scoperta delle molteplici
e cangianti forme che il racconto può assumere, della ricchezza
e della forza comunicativa legata alle parole, ai gesti, alla voce, nel
profondo nesso che si viene a creare tra il narratore e il suo pubblico»,
spiega Giovanna Mayer, fondatrice con Benedetto Di Meglio di Esperimento
20, realtà che da anni opera in collaborazione con il Comune di
Napoli per sperimentare nuove offerte formative per i più giovani
(come Musinbà, progetto di un percorso museale interattivo e itinerante
per i bambini della città).
Ad animare il Festival, nomi eterogenei, tra i quali: Andrea Camilleri,
Peppe Barra, Nando Dalla Chiesa, Alain Valade, Giusi Buondonno, Adele Santoro
e Amilcare Acerbi, non a caso fondatore e anima del rodariano parco della
Fantasia di Omegna, paese natale di Gianni Rodariche con la linfa vitale
delle sue storie ha nutrito (e nutre) molte generazioni di ragazzi. E di
educatori.
Donatella Trotta
La Repubblica
(ed. di Palermo), 5.10.2003
L´attore parla dei suoi progetti palermitani
Zingaretti: "Falcone non è stato raccontato"
Oggi padre Puglisi, domani, forse, Falcone. La strada di Luca Zingaretti
porta a Palermo, dove a metà mese interpreterà il parroco
di Brancaccio nel film di Roberto Faenza "L´uomo che sparava dritto".
«Con me ci saranno anche Corrado Fortuna (il protagonista di "May
name is Tanino, ndr) e Alessia Goria. Faenza è uno dei registi con
cui più desideravo lavorare e la cosa sta per avverarsi, su un progetto
poi così interessante». E Montalbano, il commissario siciliano
di Camilleri che l´ha reso celebre? «Tutto fermo per ora»,
risponde l´attore.
Il futuro potrebbe essere un film su Giovanni Falcone, grazie al progetto
del produttore Carlo Degli Esposti, l´inventore del Montalbano televisivo.
Per Zingaretti quello di Falcone «è un personaggio straordinario,
mai ancora raccontato per bene. Per quello che è stata e per quello
che ha significato la sua morte». Per questo motivo, per il momento,
interpretare Giovanni Falcone «è un progetto: stiamo aspettando
una prima traccia di sceneggiatura».
La
Nuova Sardegna, 6.10.2003
Alle vere radici di ogni fanatismo E intanto riscrive Shakespeare e Pirandello
Francesco De Filippo
Gazzetta del Sud,
7.10.2003
Andrea Camilleri: «La presa di Macallè»
Michilino diventa un terrorista e uccide il male: il comunista
È un libro alle radici di ogni fanatismo, che analizza in un
bambino il depositarsi delle prime nozioni, il modo in cui queste per una
serie di circostanze diventano germi, fino a quando il loro confronto con
la realtà si addensa in esperienza. A questo punto è già
imboccata una strana sbilenca, che distorce e conduce alle forme insane
dell'integralismo, del fanatismo di qualunque natura. «La presa di
Macallè», il libro meno politico di Andrea Camilleri, come
egli stesso ha precisato, è la descrizione dettagliata di questo
processo psicologico, nel suo divenire psicanalitico. Il protagonista del
libro, il piccolo Michilino, per sensibilità personale, per abnegazione
e per le influenze familiari ed extrafamiliari in cui cresce, è
«in nuce» l'individuo campione per diventare un miope esaltato.
Già capace di qualunque orrore pur restando intimamente candido,
in una fissità che convoglia tutta la sua attenzione a un panteismo
che si è fabbricato con scarse indicazioni, nessuno spirito critico
o termine di confronto e soprattutto molti, inspiegati, divieti. Si smette
a un certo punto di condividere il suo estremismo crescente e le strade
tra il protagonista e il lettore inevitabilmente divergono. È al
punto di biforcazione che si materializza l'inedita trovata narrativa di
Camilleri: il lettore, come una mente imprigionata in un corpo che rifiuta,
vorrebbe liberarsi del ragazzino non riconoscendosi più nel suo
modo di pensare e di agire. Ma non può farlo se non chiudendo il
libro e rifiutando il gioco, rinunciandovi. «Macallè»,
come Amba Aradam, come Adigrat e tante altre, è una delle caduche
conquiste africane della parentesi colonizzatrice fascista. È in
quegli anni che Michilo, priapico figlio della camerata Gigiù, consuma
la propria infanzia e pubertà a Vigata, tra la madre che riceve
sacramenti troppo poco mistici dal prete, un professore pedofilo che cela
e giustifica la propria passione dietro i costumi spartani, vedove e cugine
ai suoi occhi pericolosamente assetate di sesso che rischiano di trascinare
anche lui nel gorgo materialistico e annichilente. In anni di etica virilità,
di fulgide gesta, di impavidi eroismi, Michilino, seviziato, solitario,
sballonzolato, si aggrappa istericamente a un'unica certezza che sfocia
in un atteggiamento oggi definito terroristico. E ammazza il Male assoluto:
il comunista.
Pina Taberini
[...]
Inaugurata il 2 ottobre del 1935, questa Galleria apologetica [Galleria
delle Vittorie, NdCFC] era un timido e tardo tentativo di imitare in sedicesimo
quella particolare forma di agorà coperta, tipica della borghesia
illuminata ottocentesca, di cui gli esempi più noti sono forse quelli
di Milano e Napoli. A istoriarla trionfalisticamente era stato chiamato
il pittore Alfonso Amorelli, che si era diligentemente profuso in un ultraretorico
peana al regime fascista con una serie di affreschi che esaltavano le imprese
coloniali e i gloriosi fasti dell´erigendo Impero (di cui l´ultima
fatica di Camilleri - il romanzo storico La presa di Macallè - ha
riesumato le immaginifiche e mendaci mitologie attraverso lo sguardo di
un fanciullino della gran proletaria risvegliata).
[...]
Marcello Benfante
Il Messaggero,
7.10.2003
Camilleri ospite sotto il Gran Sasso
Esordio d’eccezione, domani alle 17.30 presso la sala conferenze ”E.
Fermi” dei Laboratori dell’Infn sotto il Massiccio, dell’iniziativa ”Incontri
di scienza e letteratura ai Laboratori del Gran Sasso”. Ospite del primo
appuntamento sarà lo scrittore Andrea Camilleri, che dopo una breve
visita ai Laboratori incontrerà il pubblico. Siciliano d’origine
ma romano d’adozione, Camilleri vanta nel suo curriculum attività
di regista, autore teatrale e televisivo. Sin dal 1949 lavora come regista
e sceneggiatore legando il suo nome ad alcune fra le più note produzioni
poliziesche italiane quali il tenente Sheridan ed il commissario Maigret,
nonché ad opere teatrali di spiccata eco pirandelliana.
È però la sua attività di scrittore, che nel corso
degli anni ha preso il posto di quella di regista/sceneggiatore, che lo
porta alla ribalta con romanzi ambientati in Sicilia. Già nel 1992,
con la pubblicazione di ”La stagione della caccia”, Camilleri conquista
il favore del pubblico, con un successo testimoniato dalla media di 60
mila copie a libro vendute. Nel 1999 comincia la serie dedicata al commissario
Montalbano, il cui personaggio è stato recentemente ripreso in una
serie televisiva di grosso impatto e successo. L’iniziativa è aperta
al pubblico previa prenotazione al numero 0862 437523 negli orari 8.30-
12.30 e 13.30- 17.
L'Eco di Bergamo,
8.10.2003
Duce, arruolami. Firmato Camilleri Fra ricordi e autobiografia, la vita di un ragazzo al tempo del fascismo
Avrebbe potuto essere un romanzo sull'educazione sentimentale di un
bambino fin troppo sveglio e dotato, ma nelle mani di Andrea Camilleri
La presa di Macallè (Sellerio) è diventata una vicenda grottesca,
ironica, quasi paradossale. Protagonista è il piccolo Michilino
- un Gian Burrasca di appena sei anni - che attraversa velocemente tutte
le fasi dell'adolescenza, passando da un insegnante pedofilo col pallino
degli Spartani (i «fascisti dell'antica Grecia») a una cugina
sedicenne ma già esperta di «cose vastase» (sporche),
da una vedova vogliosa a una madre concupita dall'insegnante di catechismo
di Michilino.
Siamo a metà degli anni Trenta, il fascismo gode di un consenso
quasi generale e si appresta a conquistare un impero, laggiù nell'Africa
Orientale, dove regnava «un serbaggio che di nome faciva Alè
Selassè». Le varie tappe dell'avanzata delle truppe italiane
vengono segnate con bandierine tricolori su una grande carta dell'Abissinia
che il padre di Michilino, segretario del Fascio locale, ha comprato per
l'occasione. «I posti bissini avivano nomi strammi - ricorda il ragazzo:
- Tacazzè, Afigrat, Amba Alagi, Amba Aradam, Axum. I nomi, po',
dei generali bissini, che si sentivano dire alla radio, erano ancora più
strammi: ras Sejum, ras Destà, ras Mangascià». Fra
tanti nomi bizzarri, quello destinato a rimanere impresso nella memoria
di Michilino è Macallè, teatro di una furiosa battaglia e
di una vittoria che viene celebrata a Vigata - l'immaginario paese siciliano
già noto per i romanzi polizieschi che hanno per protagonista il
commissario Montalbano e nel quale è ora ambientato anche questo
tuffo nel passato - con una gran festa ginnico-militare alla quale prendono
parte tutti i giovani, dai figli della lupa ai balilla, agli avanguardisti.
È durante questa festa che Michilino concepisce il piano di
uccidere Alfio, il figlio di un sarto comunista che ha avuto il coraggio
di definire sia la battaglia di Macallè sia la cerimonia di Vigata
«una vigliaccata». Cresciuto in un ambiente intriso di fanatismo
religioso e ideologico, per Michilino è più che normale uccidere
un comunista, un modo di fare un doppio favore: a Gesù e a Mussolini.
Ed ecco che il romanzo, sull'onda di questa folle decisione, abbandona
i toni grotteschi per adottare un registro drammatico, e in un certo senso
autobiografico, perché l'adolescenza di Michilino rispecchia, tolte
naturalmente le esagerazioni, quella di Camilleri.
«Non nascondo di essere stato fascista - dice lo scrittore, che
è nato a Porto Empedocle nel 1925 e dunque al tempo delle vicende
raccontate nel romanzo era un bambino, ma di quel periodo conserva ricordi
precisi. - Avevo appena dieci anni quando, forse esaltato dalla lettura
dei giornaletti dell'epoca, Il Balilla , L'avventuroso, L'audace, intrisi
di patriottismo fascista, scrissi, di nascosto da tutti, una bella lettera
a Mussolini, a Roma. Erano poche parole: "Sono il balilla Andrea Camilleri.
Gradirei arruolarmi volontario per combattere in Africa Orientale. Firmato
Andrea Camilleri". Sulla busta scrissi solo "Roma", ma la lettera arrivò
ugualmente a destinazione. Dopo qualche settimana, il fratello minore di
Luigi Pirandello, il professor Innocenzo, che era a capo dell'Opera nazionale
Balilla, mi guarda e mi fa: "Ma tu hai scritto a Mussolini?". "Sì",
gli dissi. E lui: "Mussolini ti ha risposto". Mi fece vedere la lettera.
Ricordo bene l'intestazione e la M della firma. Meno nitido è il
ricordo del suo contenuto, che in ogni modo diceva che il Duce aveva molto
apprezzato i sentimenti patriottici del balilla Andrea Camilleri, che però
era ancora troppo giovane per combattere. Non gli sarebbe mancata occasione,
in futuro, per dimostrare il suo valore».
Finì qui la parentesi di Camilleri fascista, cresciuto in una
famiglia fascista?
«Per la verità non ho ricevuto dai miei genitori una vera
formazione politica, ma non ho alcuna remora nel dire che ero fascista.
Fascisti erano il mio nonno e mio zio, e mio padre era stato addirittura
squadrista e segretario politico del partito. Io ero nato in pieno fascio:
cos'altro potevo essere se non fascista? Il fascismo siciliano, d'altra
parte, aveva delle caratteristiche particolari: aveva una strana inclinazione
di sinistra, un'ispirazione vagamente libertaria. E al liceo c'erano molti
professori di sinistra. Ricordo che partecipai anche ai Littoriali della
cultura, manifestazione nella quale si è formata tutta la cultura
italiana. Molti di coloro che erano usciti dai Littoriali finirono poi
in galera, come Mario Alicata o Pietro Ingrao, altri "in villeggiatura",
ossia al confino in qualche paesino sperduto».
A quell'epoca il giovane Camilleri sognava già il teatro?
«Sì, al terzo liceo ero "pre-littore" per il teatro, e
mi portarono a Firenze per un convegno della gioventù fascista di
tutto il mondo. Eravamo al Teatro Comunale e quando si aprì il sipario,
sul palcoscenico c'era solo una gigantesca bandiera nazista. Non so cosa
mi sia preso in quel momento, balzai in piedi e in un silenzio di tomba
gridai: "Via quella bandiera, siamo in Italia!". Chiusero subito il sipario,
mentre i giovani albanesi, polacchi e tutti coloro che provenivano da Paesi
occupati dai nazisti applaudivano. Quando il sipario si alzò di
nuovo, accanto alla bandiera tedesca c'era anche quella italiana. Al di
là di questo episodio, in quell'occasione curai anche la regia di
una commedia. Mi meritai il secondo premio : fui sconfitto da un triestino
che aveva pochi anni più di me e che si chiamava Giorgio Strehler».
Torniamo alla Presa di Macallè. Questo libro può essere
considerato un piccolo affresco degli anni Trenta, visti da un punto di
osservazione defilato rispetto alla retorica nazionale?
«Tengo a precisare che è un romanzo paradossale, non un
romanzo politico, anche se vi si parla di fascismo e di uso politico della
religione. Bisogna leggerlo in chiave metaforica. Se avessi scelto un protagonista
adulto, tutto sarebbe apparso più plausibile e l'effetto sarebbe
stato realistico, e dunque non avrebbe funzionato altrettanto bene. A me
interessava capire, e quindi raccontare, come si crea un fanatico».
Carlo Scaringi
9.10.2003
Il Sommo ai Laboratori del Gran Sasso Ieri pomeriggio Andrea Camilleri è stato ospite del Laboratorio
Nazionale del Gran Sasso. Dopo aver visitato i Laboratori all'interno della
montagna ha intrattenuto il suo pubblico nella sala auditorium di Assergi,
appena fuori dal traforo.
Il Direttore dei Laboratori ha presentato lo scrittore, evidenziando
come quello fosse il primo dei programmati incontri di scienza e letteratura.
Tutto ciò per "aprire il Laboratorio ad un pubblico interessato
alla cultura in generale".
L'incontro è avvenuto "senza rete", con lo scrittore che per
oltre novanta minuti ha risposto alle domande dei suoi lettori e fans.
Il clima un tantino freddo della sala è stato reso molto accogliente
ed amichevole dalla simpatia, l'ironia e l'interesse suscitato dalle risposte
di Camilleri. Quello che segue, raccolto a mò di intervista, è
il sintetico racconto della serata.
D: (per rompere il ghiaccio) Le è piaciuta la trasposizione televisiva
di Montalbano?
C: Ai Laboratori si trasforma perchè si ottenga un certo risultato.
La stessa cosa avviene per i film tratti dalla letteratura. La lettura
è un vizio solitario, la trasformazione va incontro a rischi di
perdita, a rischi di banalizzare. Il Gattopardo di Luchino Visconti rappresenta
un'eccezione. A James McCain (Il postino suona sempre due volte) dissero:
"Hai visto come hanno ridotto il tuo libro?..." e lui lo prese dallo scaffale
e lo fece vedere intatto al suo interlocutore... Si possono limitare i
danni, partecipare alla sceneggiatura, salvare il personaggio. Sono contento?
SI! E poi Zingaretti è un ottimo attore, pur senza baffi e capelli
neri.
D: Da un piemontese, non trova la sua sicilianità addirittura
faziosa? [domanda sintetizzata,ndr]
C: Riceviamo dal Nord perchè abbiamo già dato. Giancarlo
Caselli è il primo risarcimento datoci dal Piemonte. Io sono un
uomo europeo e sono felice dell'Europa. E' un sogno sapere che non sarà
possibile una guerra con Germania e Francia. E' bello avere un vestito
europeo conservando gli indumenti intimi della Toscana, della Sicilia,
del Piemonte.
D: (il Dir) Le devo chiedere un'impressione sui Laboratori.
C: Sono un uomo assolutamente incapace di capire, quando si va alla
lavagna e si fa 2+2. Con lo sbarco degli americani in Sicilia ho evitato
gli esami. Siamo stati promossi in 300... Sono un uomo di estrema sinistra
[brividi dietro la schiena del Dir, ndr]. Per i Laboratori ho un
sentimento di orgoglio, forte [fiuu, sospiro di sollievo del direttore
e reazioni in sala, ndr]... Poi, può succedere di tutto là
dentro. Da buon regista, direi che non ha l'aria di quelle mostruose cose
di 007.
D: Le porto il saluto di qualche centinaio di donne e uomini del Camilleri
Fans Club [boato in sala, ndr] ed ho una curiosità: a Porto
Empedocle, a poche centinaia di metri da quel luogo magico che è
la Scala dei Turchi, sul mare, c'è in costruzione uno scheletro
orribile: verrà condonato?
C: Ormai è da tanto che è lì, chi lo ha voluto
è diventato ormai anch'esso uno scheletro...
D: Cosa pensa della letteratura italiana contemporanea?
C: Molti critici del Corriere, di Repubblica, intonano periodicamente
uno straziante lamento sul fatto che il romanzo è morto. In realtà
questo è un vecchio vizio degli italiani. La letteratura italiana
oggi sta benissimo. Ci sono 4-5 grandi scrittori, qualcuno mio avversario.
Vincenzo Consolo mi insulta ogni giorno e io lo ricambio dicendo che
è il migliore. Mi piace Antonio Tabucchi e poi i giovani, Roberto
Alaimo, Marcello Fois, Lucarelli. Baricco? Non mi piace! [rumori di
sorpresa in sala, ndr]. E' una buona scrittrice anche la Tamaro, linciata
ignominiosamente dalla critica. E' difficile poi scrivere un buon libro.
D: E' stato ospite di Fazio. Secondo lei, il modo di Fazio è
vincente per divulgare certi concetti scientifici al grande pubblico? E
cosa pensa della tv?
C: Quelle di Fazio sono utili trasmissioni... La tv? Lei mi chiedeva
un pensiero? Su che cooosa? [sarcastico, ndr] Ho fatto Studio Uno
e tante altre cose. Da quando la Rai persegue logiche di mercato, è
la fine. Perchè dobbiamo pagare il canone? E non parlo di politica
ma di livello culturale della televisione.
La radio? Malgrado qualsiasi riforma, continua ad essere una buona
cosa, con buoni programmi. Ha resistito alla tv, si è risollevata...
e risultò vincente. Con il black-out ho preso la mia vecchia radio
a pile, a sentire il papa che ordinava i nuovi cardinali, anche se il mio
nome non c'era [risate in sala, ndr]. Per le emergenze future occorreranno
candele e radio a pile.
D: Cosa prevale in Camilleri scrittore, vanità, mestiere, passione?
C: E' difficile, come si fa a quantificare? In alcuni grandi scrittori,
come Celine, c'è una specie di magma che fuoriesce e diventa scrittura.
Io sono un geometra comunale, organizzo i miei romanzi come un architetto
disegna le sue case. Ho bisogno di questa struttura mentale.
Se non mi viene la struttura non c'è romanzo.
D: Ancora sulla tv. Secondo lei, è quella che piace alla maggioranza
o è stato ucciso il gusto del grande pubblico? [non c'era marzullo
in giro, giuro, ndr].
C: La seconda cosa che ha detto. Così come sono ottimista per
la letteratura, sono pessimista per la televisione. Un esempio? Murdoch.
Prima c'erano 5 canali Raisat che rappresentavano spesso la nostra
memoria storica. Ora Raisat Art, Album sono sparite! Solo canali di cinema
e sport. Un dato di fatto: è sparita anche Al Jazeera! [ilarità
in sala, ndr] Si va al peggio, e al peggio non c'è mai fine.
D: Cosa pensa della globalizzazione?
C: Sintetizzando, do un giudizio positivo per quella scientifica, negativo
per quella economica.
D: Qual'è stato il suo libro più difficile da scrivere?
C: Il re di Girgenti, per il linguaggio, che non era più piccolo
borghese come nei precedenti romanzi cosiddetti storici ma contadino. Ma
non creda che scrivere porta fatica [simpaticamente, ndr]. La vera
fatica non è quella.
D: Quando inizia a scrivere un libro, conosce già la fine?
C: No, ho solo un'idea della fine. A meno che non parta dalla fine
e allora non ho un'idea chiara dell'inizio... [risate, ndr].
D: Da insuccesso a successo. Quale spiegazione?
C: Non c'è. Per dieci anni nessun editore pubblicava l'unico
romanzo e se dieci editori mi dicevano "non è cosa" [risate,
ndr] ero democraticamente in minoranza. Nel 1997 è cambiato
tutto. A giugno avevo venduto 15.000 copie ed ero uno scrittore, perchè
Busi aveva detto in tv che lo si era se si vendeva 3.000 copie [sorrisi
in sala, ndr]. A dicembre ero a 197.000 copie. Cos'è successo?
Cos'è successo a Voi!!?? [boato, ndr].
In quel periodo avevo girato 80 librerie per presentare i miei libri.
A Firenze vedo entrare molti giovani e già pregustavo una bella
contestazione. Invece niente, erano venuti a far firmare i libri. Lì
ho capito...
D: (il Dir dei Lab) Per finire, mi deve togliere una curiosità:
sono più buoni i cannoli di Palermo o quelli di Catania?
C: Francesco Merlo scriveva per il Corriere e mi insultava ogni mese.
Ora scrive per Repubblica e penso che continuerà ad insultarmi.
Ho scoperto poi il motivo: era per le mie idee sulla qualità degli
arancini fatti a Palermo o a Catania [risate, ndr]. Comunque, la
risposta è: Palermo!
Gaetano Marà
Il Messaggero,
9.10.2003
L’innocenza violata nell’Italietta di ieri
No, Montalbano non c'è: stavolta il commissario di Vigata si
concede un turno di riposo. E Andrea Camilleri ne approfitta per cambiare
cavallo e tornare al romanzo storico, che continua a sfornare in alternanza
ai libri di detection pura. Non ci sono le indagini di Montalbano, ma La
presa di Macallè è un racconto senza cedimenti né
pause, una sarabanda vorticosa danzata sull'orlo del precipizio che segna
una doppia svolta nel percorso narrativo dello scrittore di Porto Empedocle.
Camilleri abbandona la Sicilia ottocentesca e post-unitaria che fa da sfondo
agli altri suoi romanzi storici dalla Concessione del telefono alla Mossa
del cavallo per raccontare l'Italietta fascista, cialtronesca e smargiassa
delle conquiste coloniali. Ma soprattutto queste pagine ci consegnano una
parabola grottesca e dolente su un'infanzia tradita: una storia intenzionalmente
cruda, fuori dai limiti, che nella sua enormità disvela la banale
normalità della violenza. Protagonista è un bambino di dieci
anni, Michelino, la cui innocenza viene violentata dal professore di ginnastica
e corrotta dalla propaganda fascista. Nell'anno di grazia 1935, in piena
guerra di Abissinia, è impossibile per un ragazzino resistere alla
potenza della macchina retorica mussoliniana. E' invece altamente possibile
che su una psiche indifesa, manomessa e seviziata da adulti senza scrupoli,
si impiantino pulsioni omicide. Pulsioni in grado di corrompere l'innocenza
fino al punto di non ritorno.
Il Messaggero,
9.10.2003
Le novità? Camilleri, Amos Oz e la Braghetti
Capita a ogni suo libro. Così è capitato anche a La presa
di Macallé, l’ultimo romanzo di Andrea Camilleri che, in libreria
da una settimana, è già saldamente piazzato in classifica,
al secondo posto dopo le memorie erotiche di Melissa P. Tra le novità
si segnalano il romanzo di Amoz Oz, una storia d’Israele degli ultimi cinquanta
anni vista attraverso la biografia dello scrittore e la testimonianza della
Br Laura Braghetti, ripubblicata sotto la spinta del film di Bellocchio.
Musica, suppl. de La
Repubblica, 9.10.2003
Potiomkin. Il coraggio di dirlo
La Catania tutta sesso di Melissa P.? Roy Paci e Mario Venuti, siciliani
doc, non ne possono più. "Anzi, perchè non cancelliamo la
parola trasgressione?"
[...]
Mario Venuti: "E tutto senza un briciolo d'ironia".
Roy Paci: "No, nel libro: zero. Viva Camilleri, allora".
[...]
La Sicilia, 11.10.2003
Salvo Montalbano torna in tv
Il commissario Salvo Montalbano, inventato dalla penna dello scrittore
empedoclino Andrea Camilleri ed interpretato in televisione da Luca Zingaretti,
tornerà sugli schermi. Infatti, la televisione di Stato e la casa
di produzione Palomar realizzeranno altri due nuovi episodi dei telefilm
del commissario più amato dagli italiani.
In particolare il primo episodio riguarderà «Il giro di
boa» e l'altro episodio è tratto dai racconti pubblicati da
Camilleri con la Mondadori.
Ma per quanto riguarda Camilleri, le novità televisive non si
esauriscono con Montalbano. Infatti, la Rai produrrà anche due film
tratti dai romanzi storici a cominciare da «Il re di Girgenti»
e la «Concessione del telefono». In quest'ultimo romanzo Camilleri
presenta una faccia della Sicilia del 1800 che ancora oggi, in alcuni centri,
continua ad essere presente. Racconta le vicissitudini di un piccolo borghese
che vuole soltanto dotarsi del telefono e che è costretto a tantissime
raccomandazioni per ottenere la meta. La Rai però potrebbe anche
produrre però anche un altro romanzo storico «Il birraio di
Preston», tutte opere ambientate a Vigata. La stessa Rai ha inoltre
acquistato il 50% dei film tratti dai romanzi storici e a giorni dovrebbero
iniziare le riprese. I nuovi episodi del Commissario Montalbano saranno
prodotti nel 2004, per arrivare in tv nel 2005. Nel più ampio progetto
di trasposizione televisiva dei romanzi storici di Camilleri il produttore
Carlo Degli Esposti vuole coinvolgere diversi registi. I romanzi prescelti,
ognuno dei quali potrebbe essere diviso in due puntate, sono «Il
re di Girgenti», «Il Birraio di Preston», «La concessione
del telefono» e «La scomparsa di Patò».
Per quest'ultimo film è già al lavoro il regista Mortelliti,
che ha comunque in mente un film per il cinema.
Gaetano Ravanà
La Repubblica
(ed. di Palermo), 11.10.2003
Il dibattito. Lezione di cinema ed etica: in platea studenti e tante
mamme
Zingaretti e Faenza "interrogati" a Lettere Da domani inizieranno a Brancaccio le riprese del film su don Pino
Puglisi
Chi l´avrebbe detto. Adesso si scopre che il commissario Salvo
Montalbano, nella sua popolarissima versione televisiva che ha il volto
dell´attore Luca Zingaretti, deve buona parte del suo successo a
nonna Concetta da Caltanissetta. Proprio lei, l´anziana vivacissima
ed espressiva madre di un professore dei tempi dell´Università,
che tutti gli studenti chiamavano nonna, è riemersa nella memoria
dell´attore al momento di trovare una chiave d´accesso al siciliano
parlato dal protagonista dei romanzi di Andrea Camilleri. Zingaretti lo
racconta agli studenti che affollano l´aula magna della facoltà
di Lettere di Palermo: «Quando con i colleghi andavamo a trovare
questo professore di Psicologia di origini nissene vi trovavamo pure la
madre, una signora ottantenne sempre nervosa, sempre pronta a sgridarci
con un linguaggio anche molto colorito e conoscendola noi non perdevamo
occasione per provocarla. E´ stata lei la mia prima grande maestra
di lingua siciliana».
L´attore, insieme al regista Roberto Faenza con il quale si appresta
a iniziare le riprese de «L´uomo che sparava dritto»,
film dedicato a don Pino Puglisi, ha incontrato gli studenti ma anche molte
mamme, elegantissime per l´occasione, per parlare di cinema ed etica.
L´auditorio ha sottoposto i due personaggi a un fuoco di fila di
domande: come nasce un film? Che differenza c´è tra cinema
e televisione? E ancora, l´aumento della criminalità soprattutto
giovanile è connesso alla violenza contenuta in film e programmi
televisivi? Girare un film comporta regole deontologiche?
Forte della sua esperienza di docente di Scienze della comunicazione
all´Università di Pisa, Faenza è sembrato più
a suo agio alle prese con le interrogazioni: «La violenza al mondo
è sempre esistita, i mass media si limitano a diffonderla - spiega
il regista - Ho però qualche dubbio sull´operazione compiuta
da molti cineasti americani, Scorsese per esempio o Coppola, e oggi in
Italia da Bellocchio con il suo ultimo film, di parlare per bocca dei cattivi.
Così si finisce col fare l´elogio della mafia e i personaggi
negativi diventano eroi».
Non sorprende allora la scelta di Faenza di dare voce a un uomo buono,
il parroco di Brancaccio, assunto come simbolo positivo da trasmettere,
attraverso il mezzo cinematografico, alle giovani generazioni. «Non
so dire perché scelgo di raccontare una storia - aggiunge - è
un po´ come quando ci si innamora, non c´è una motivazione
precisa. Si parte in genere da un´idea e poi la si difende da tutto,
specie dalle logiche dell´audience». A fine incontro, il regista
è il primo a lasciare l´aula magna di Lettere, mentre Luca
Zingaretti non può sottrarsi al rito delle foto e degli autografi.
Infine, accontentati tutti i fan, corre via anche lui, da lunedì
sul set di Bagheria sarà don Pino Puglisi.
Marco Nuzzo
Avvenire, 11.10.2003
Maigret va all'asta per salvare Sherlock
La più antica libreria per giallisti doc, «La Sherlockiana»
di Milano, rischia la chiusura. Per tentare di salvarla un'ottantina di
scrittori (da Camilleri a Faletti, da Fois a Lucarelli, per citarne alcuni),
lettori e agenti letterari danno appuntamento domenica 19 a una singolare
asta. Al miglior offerente saranno battuti dai proprietari - famosi e no
- vari libri, tra cui un Simenon edizione originale del '33 e tre Gialli
Mondadori del '36 e del '39. E speriamo che il giallo non diventi rosso.
Libertà,
12.10.2003
In libreria “La presa di Macallè”
Camilleri e la storia di un'infanzia violata Romanzo tragico e grottesco
Torna in libreria Andrea Camilleri, con “La presa di Macallè”
(Sellerio), un romanzo tragico e grottesco nello stesso tempo, che farà
sicuramente discutere. La lingua usata da Camilleri in questo libro è,
ancora una volta, quel dialetto siciliano da lui inventato e, a quanto
pare, compreso in tutta Italia. L'ambiente in cui si svolge la storia è,
ancora una volta, Vigàta, il paesino siciliano geograficamente inesistente
che rappresenta, dietro il nome di fantasia inventato da Camilleri, il
paese reale di Porto Empedocle. Ma il protagonista, questa volta, non è
il commissario Montalbano: “La presa di Macallè” è la storia
di un bambino, Michilino Sterlini, che nel 1935, ai tempi della guerra
in Abissinia, da piccolo “figlio della lupa”, soldato del Duce e di Cristo,
come voleva la propaganda di regime dell'epoca, si trasforma, in tutta
innocenza, in un pluriomicida. E' una storia tragica, violenta, è
la storia di un'infanzia negata, o per meglio dire, di un'infanzia violata,
manomessa. I tempi sono quelli in cui la radio trasmette i discorsi di
Mussolini e canta le parole di “giovinezza giovinezza”, ma quella vissuta
da Michilino non è certo una primavera di bellezza. Il padre, il
camerata Giugiù, segretario politico del Fascio di Vigàta,
a tavola, tra una portata e l'altra, gli impartisce le regole di una sana
educazione fascista, come quella che stabilisce che “C'è omo e omo,
Michilì. Un comunista non è un omo, ma un armalo e pirciò
se s'ammazza non si fa piccato”. La madre, Ernestì, è tutta
presa da “penetranti conversazioni” con il parroco. Il professore Gorgerino,
pedofilo e capo dell'Opera Nazionale Balilla, a cui il bambino è
affidato per lezioni private, in quanto giudicato dal maestro “troppo avanti”
per stare al passo con gli altri alunni delle elementari, lo introduce
alla ginnastica degli spartani brutalizzandolo per festeggiare di volta
in volta la presa di Adua, di Axum e di Macallè. La cugina Marietta,
che nella presa di Macallè ha perso il fidanzato, lo conduce alla
consumazione dei piaceri del sesso. E così Michilino, precocemente
e prodigiosamente pubere, tra un turbinio di “cose vastase” che corrompono
la sua innocenza e di cui si ritrova insieme testimone e oggetto pur rimanendone
fino all'ultimo inconsapevole, cerca a tentoni di seguire la “buona strada”,
per essere un bravo soldato del Duce e di Cristo, e finisce col diventare
un assassino, trasformandosi in castigatore di tutti i peccati e i peccatori
da cui sente circondato e in vendicatore-suicida. «“La presa di Macallè”
- scrive Salvatore Silvano Nigro nel risvolto di copertina del libro -
è un romanzo paradossale che intenzionalmente trasmoda nel troppo,
ed eccede ogni misura, a partire dalla promozione a protagonista di un
“angilu minchiutu” di sei anni. Una parabola grottesca, che va fabulando
la tragicità e la normalità abnorme della violenza».
Di quella violenza psicologica, fisica e sessuale, che ancora oggi, in
tutte le parti del mondo, troppo spesso colpisce e tradisce l'infanzia.
Cate.Cara.
L’Università La Sapienza ha organizzato incontri con autori e
registi. Ieri Andrea Camilleri è stato intervistato da Nino Borsellino,
Beatrice Alfonzetti, Francesco de Sanctis, Giulio Ferroni, Vincenzo Gori
e Walter Pedullà.
UNIVERSITÀ LA SAPIENZA. Info 06.809671
Liberazione, 14.10.2003
Roma. Raccontare l'Italia di oggi: cinema e letteratura allo specchio.
Alle 17 alla Casa delle Letterature, in piazza dell'Orologio 3, presentazione
del libro "Patrie impure. Italia, autoritratto a più voci" di Benedetta
Centovalli; assieme all'autrice intervengono Giulio Ferroni, Giovanna Melandri,
Paolo Virzì e Andrea Camilleri.
La Repubblica,
15.10.2003
"La presa di Macallè" ultimo romanzo dello scrittore
Il Camilleri sbagliato Un libro caricato di troppe opzioni, tutte forti , che contrastano
tra loro e creano disagi
La presa di Macallè, il nuovo libro di Andrea Camilleri (Sellerio,
pagg. 274, euro 10) non parla dell´Africa o delle guerre coloniali
italiane. Parla, al solito della Sicilia. Gli scrittori emiliani non ambientano
sempre le loro storie nella Piazza Maggiore di Bologna, e uno scrittore
marchigiano ogni tanto, prova a fare deambulare i suoi personaggi anche
al di là di Ancona. Quelli siciliani stanno sempre a rimestare la
sabbia di Vigata (Porto Empedocle) o facendosi largo tra i pescatori di
Sciacca. E questo avviene non perché si scrive bene solo di cose
che si conoscono bene, ma per una sorta di coazione, forse perché
l´isola non corrisponde pienamente a tutta la magnitudine dell´amore
che i siciliani dicono di portarle e li tradisce. Di fatto una buttana,
parola chiave nel linguaggio siciliano.
Camilleri, come noto, non ha mai fatto eccezione, raccontando la Sicilia
in due modi, un po´ come faceva Sciascia: quello della ricostruzione
storica, andando alla ricerca di fatti e fattacci del passato, in un processo
di smontaggio e rimontaggio in modo che assumano il loro vero e nascosto
significato, servendosi di un´ironia tagliente, l´attrezzo
ideale per una simile operazione. La stagione della caccia, Il birraio
di Preston, La concessione del telefono, sono sempre stati i suoi lavori
più riusciti, che hanno innalzato l´autore fino al rango di
scrittore siciliano più interessante, dopo la morte di Sciascia.
Il secondo filone, come sanno tutti, è quello del Commissario Montalbano,
un personaggio che ormai può andare in giro autonomamente e dire
quello che gli pare, essendo provvisto di vita propria.
Macallè dovrebbe appartenere al filone storico. Ma fin dall´inizio
appare come un testo così anomalo rispetto alla produzione abituale
di Camilleri, da annullare qualsiasi paragone o incasellamento. Per dirla
in breve, mi sembra che Andrea si sia imbarcato in un genere difficilissimo,
quello del romanzo di scrittura, in cui le vicissitudini di un ragazzino
di sei anni, forse pensato dall´autore come un simbolo dell´infanzia
sensibile e immacolata, tradita dalla infamia degli adulti, ma che invece
appare al lettore come uno gnomo sornione e vizioso, in possesso di una
sessualità e di attributi assolutamente fuori del comune, vengono
raccontate in una prosa tecnicamente mezza siciliana mezza inventata, che
si trasforma in una sorta di delirio verbale, in stretta colleganza con
le disavventure erotiche in cui il pupo sembra cadere senza alcun rimpianto.
La contemporanea presenza di una forte componente grottesca, dovuta al
fatto che la storia si volge durante il regime fascista, in particolare
nel periodo della conquista dell´Etiopia, con tutti gli annessi e
connessi che conosciamo, carica il libro di troppe opzioni, tutte forti,
che contrastano tra loro, dando come un respiro affannoso alla vicenda,
disagio che si trasferisce al lettore. Il risultato, come avrebbe detto
Moravia, è una pignoccata: troppo roba, tutta speziata, profumata,
zuccherata, messa insieme in uno spazio ristretto.
Leggendo certi passaggi del libro, ad esempio quello in cui l´insopportabile
pomicione di un ragazzino avvicina e poi fornica con la cugina più
grande di lui, ho avuto l´impressione di un tradimento letterario.
Chi ha scritto queste pagine che sembrano brani di modelli di scrittura
da flusso di coscienza erotico-pornografico-gargantuesco, è proprio
Camilleri, lo sceneggiatore principe, con un magnifico curriculum di romanzi
elaborati in lingua ragionevolmente innovativa, senza perdere di vista
la misura e il buon senso letterario e puntando sulla qualità intrinseca
delle storie. Ben sapendo che molti hanno tentato di raggiungere il capolavoro
attraverso lo stravolgimento della scrittura, fino alla sua negazione come
linguaggio comprensibile. Ma a pochi o a nessuno il tentativo è
riuscito, a cominciare da Horcynus Orca, mito e leggenda della letteratura
siciliana, che andrebbe meglio definito come un glorioso fallimento.
Mi è capitato, qualche volta di assistere in Sicilia, alla lettura
di alcuni brani, particolarmente felici, del romanzone di D´Arrigo.
E mi sono accorto che esiste ancora, in Sicilia come altrove, un´ammirazione
acritica di questi romanzi sperimentali, una volta considerati come la
sola, vera gloria della letteratura moderna. Come se, per innalzarsi ai
rami superiori della narrativa, fosse necessario dimostrare di essere capaci
di una sperimentazione verbale, tanto più apprezzata, quanto più
fuori di controllo. È stata una vera sorpresa vedere Camilleri prestarsi
a un´impresa letteraria che sarà stata divertente da scrivere,
soprattutto nelle parti in cui si lascia libera la fantasia di ritornare
a un´infanzia sognata e come immersa in un erotismo casalingo e onnicomprensivo.
Ma risulta molto meno divertente da leggere. Una delusione mitigata dall´assoluta
convinzione che Camilleri, per questa sua divagazione, ha sprecato un centesimo
o un millesimo del tempo che un altro autore avrebbe dedicato al romanzo.
E che è di nuovo pronto a scrivere altri libri di qualità,
come ha sempre fatto, senza castigare chi lo segue da anni.
Stefano Malatesta
La Sicilia, 15.10.2003
Le due Vigàta di Montalbano
Gli arancini di Adelina? «Ragusani»
Gli arancini della «cammarera Adelina, che riescono a fare dimenticare
al commissario Montalbano l'umore più «nìvuro»,
perfino in una mattina di pioggia in cui non ha ancora preso il caffè,
li trovi a Ragusa ma non a Porto Empedocle. Andrea Camilleri è consapevole
di questa banale ma anche profonda verità. Ragusa e i ragusani si
sentono gli unici montalbaniani di diritto e a distanza di mesi, dacchè
è scoppiato il caso della doppia Vigata, cioè da quando il
sindaco di Porto Empedocle ha voluto posizionare la segnaletica di «Vigata»
nella sua città che è il luogo letterario di ispirazione
dello scrittore del «Commissario Montalbano», il «montalbanesimo»
è invece cresciuto negli iblei. Nessuno, oggi, metterebbe più
in discussione che provincia iblea è la terra di Montalbano, lo
scenario che affascina i turisti che vedono questi luoghi nel serial tv
e poi li cercano venendo appositamente in Sicilia, per ritrovare i virtuali
spazi incantati. Camilleri lo sa e lo ha spiegato anche a «Ulisse»
la pubblicazione mensile dell'Alitalia, uscita nel mese di settembre. «Con
l'insperato successo dei miei libri - racconta Camilleri - il nome di Vigata
ora è conosciuto in Italia e in buona parte del mondo. Ma c'è
stata, se così si può chiamare, una complicazione, vale a
dire una sorta di sdoppiamento di Vigata. Quando si trattò di girare
i telefilm che avevano per protagonista il commissario Montalbano, il produttore,
il regista, lo scenografo, ritennero che la splendida zona di Ragusae dintorni
fosse più adatta come ambientazione. E non avevano tutti i torti.
Il paesaggio empedoclino era di memoria e nel corso degli anni aveva subito
molte e sostanziali modifiche».
Camilleri ammette che Ragusa è stata premiata cinematograficamente
per quella unicità e genuinità che non ha perso nel corso
della storia. «Così è accaduto che il successo dei
telefilm ha fatto conoscere una parte della Sicilia che invece è
assente nei miei romanzi. E ora esistono con pieno diritto due Vigata:
quella letteraria, che continua ad avere come struttura portante la memoria
della mia Porto Empedocle, e quella della fiction televisiva, altrettanto
valida e plausibile nella sua realtà odierna». Lo scrittore
con il suo assunto riconosce meriti e diritti alle due Vigate. Ma è
indubbio che il "montalbanesimo" concreto, la scelta di commercianti che
producono mobili in stile montalbano, di pasticceri che creano dolci che
potrebbero piacere a Montalbano, di gastronomi che si inerpicano sui condimenti
di arancine che sarebbero graditi al commissario, tutto questo potrà
continuare a crescere e a consolidarsi nella provincia di Ragusa. E' però
a Porto Empedocle, terra natìa di Camilleri, che va la memoria delle
pagine scritte.
Rossella Schembri
Il Tempo, 16.10.2003
Opera, un anno fra grandi capolavori Nei titoli «Fidelio» di Beethoven, «Il Flauto magico»
di Mozart e «Tancredi» di Rossini
Con la rara «Marie Victoire» di Respighi si apre il 23
gennaio la stagione di Teatro lirico romano
[...]
Dal 17 al 21 novembre al Nazionale «Il mistero del finto cantante»
e «Che fine ha fatto la piccola Irene?» di Marco Betta da Andrea
Camilleri, direttore Federico Longo.
[...]
L'Arena, 16.10.2003
Sesso precoce in testa alla hit-parade narrativa
[...]
E anche Camilleri, al posto d’onore, senza Montalbano e la solita allegria,
magari un po’amara, parla di sesso, naturalmente in ben altra chiave storica
e letteraria. Ed è la storia del picciriddo Michilino, un’infanzia
adescata, profanata e sodomizzata, che per fanatismo si trasformerà
in persecutore ed assassino.
[...]
Alessandra Milanese
La Sicilia, 16.10.2003
Petrusa. Studi universitari da novembre per i detenuti
Corsi di laurea in carcere
[...]
Ma al carcere agrigentino si festeggia anche per il raggiungimento
di un altro grande obiettivo. Il libro di poesie scritto dai detenuti con
la prefazione dello scrittore empedoclino Andrea Camilleri, sta riscuotendo
un notevole successo. In una settimana sono stati incassati più
di mille euro che verranno donati all'Unicef nel corso di un incontro che
si terrà nei prossimi giorni proprio a Petrusa.
Gaetano Ravanà
Giornale di Brescia,
18.10.2003
Delude anche i fans più incalliti il nuovo romanzo dello scrittore
siciliano: troppe storie e sollecitazioni che si avviluppano
Stavolta ad Andrea Camilleri non riesce «La presa di Macallè» È in cima alle classifiche, ma non convince il nuovo romanzo
di Andrea Camilleri
No, così non va. Anche i camilleriani della prima ora, quelli
(quorum ego) che lo hanno difeso sempre, sono sconcertati dell’ultima opera
dello scrittore di Porto Empedocle. Certo, «La presa di Macallè»
è volato subito in testa alle classifiche di vendita, ma si è
trattato di un atto di fiducia della folta schiera di lettori. Una fiducia
che lascia in bocca il retrogusto del tradimento. Per carità, Camilleri
è un narratore di capacità incantatrici: anche stavolta riesce
a portare il suo lettore fino all’ultima pagina con grande abilità.
Nulla da ridire anche sull’uso della lingua: anzi, c’è un ulteriore
passo avanti nel modellare vocaboli e frasi nello stile che lo ha reso
inconfondibile. Quest’ultimo libro, poi, fa parte del filone d’ambientazione
storica siciliana, la vena più genuina e interessante di Camilleri.
E non mancano gli intrecci suggestivi dell’esperienza teatrale... Ma per
il resto è meglio lasciar perdere. La vicenda è quella di
un bambino di sei anni che nell’Italia della guerra in Abissinia vuole
diventare soldato del Duce (per far contento papà, che è
segretario del Fascio) e soldato di Cristo (come vuole mamma, tanto attaccata
ai... calzoni del prete). Lui, Michilino, prende ogni indicazione alla
lettera, con una disponibilità totale d’animo. Sarà la sua
innocenza a trascinarlo nella tragedia finale: mamma se la fa con il prete,
il suo primo maestro è il capo dei Balilla che è pedofilo,
il papà prima se la fa con la serva, poi viene abbandonato e infine
finisce a letto con la nipote sedicenne, quella stessa cugina che ha fatto
scoprire a Michilino il torbido vortice dei sensi... L’obiettivo è
evidente: per decenni, istituzioni che nascondevano dietro dichiarazioni
apodittiche le loro miserie, hanno tradito e calpestato l’originaria innocenza
dell’uomo. E l’esagerazione serve giusto a dimostrare, fino in fondo, questa
tesi. Camilleri parla di ricordi d’infanzia. E il ricordo, si sa, è
una fantasiosa iperbole... Ma troppe sollecitazioni, alla fine, fanno di
questo libro un garbuglio mal sviluppato. E ci dispiace.
Claudio Baroni
La Repubblica delle
donne, 18.10.2003
Cecè o l'opera del fantasma Lirica. Debutto eccellente a Roma. Andrea Camilleri racconta come ha
ispirato il libretto di una novità di Marco Betta: in scena Collura,
vice di Montalbano
"La musica che mi ha seguito tutta la vita è il jazz. L'opera
la ascolto a occhi chiusi, non la vedo. Non la conosco molto, o meglio
la conosco quel poco che mi serve per i libri. I miei idoli? Schoenberg,
Berg col suo Woyzeck, Scelsi, ma sono autori farraginosi, che ancora non
riesco
a decriptare".
Per Andrea Camilleri, siciliano di Porto Empedocle, attore e regista,
autore teatrale e televisivo (sue le più note produzioni poliziesche
italiane, dal Tenente Sheridan al Maigret tratto da Simenon), saggista
e docente, poeta (appena ventenne vinse il Premio St Vincent) e scrittore,
è arrivato il momento dell'esordio nella lirica.
Giallo in musica, "Il fantasma nella cabina", dopo un'anteprima al
Donizetti di Bergamo, debutterà a Roma in dicembre. L'autore del
Commissario Montalbano ha ispirato, coi suoi 8 brevi gialli estivi pubblicati
sulla Stampa, la nuova opera del compositore palermitano Marco Betta, al
lavoro sul libretto di Rocco Mortelliti (anche regista). Le scene sono
di Italo Grassi, di prim'ordine il cast, da Vincenzo la Scola a Katia Ricciarelli,
da Luciana Serra a Fabio Previati. In più, la voce registrata di
Camilleri apre e chiude la rappresentazione, leggendo la novella che dà
il titolo all'opera.
In scena non troviamo Montalbano, bensì il suo collaboratore
Cecè Collura, che, in crociera per riprendersi da una brutta ferita,
incappa in una serie di intrighi da dipanare. Non aspettatevi, però,
una storia con morti e feriti. Solo una serie di colpi di scena, con ritmo,
velocità e un finale a effetto.
"Amo quest'opera", dice Camilleri, "perché non c'è nessuna
volontà di commento o illustrazione. E' il riscatto della richiesta
di autonomia da parte della musica. Il fatto che un mio racconto serva
da pretesto per altri generi avviene in tv, dove la fedeltà sarebbe
un errore. Poi sono già stato "fumettato", sono entrato nei giochi
interattivi..." Ma la lirica le piace? "Ho sognato con Miles Davis e Charlie
Parker, mentre ho avuto scarse frequentazioni con l'opera. Sento più
vicina a me la musica del '900" Un autore? "Scelsi. I suoi suoni sono enigmatici,
sfuggenti, come il rapporto con chi sai che non ti apparterrà mai
completamente".
Quale opera avrebbe voluto comporre? "Sicuramente Don Govanni. Mozart
aveva il dono della leggerezza. La sua musica è poesia e forza espressiva,
movimento e satira intima, profonda sull'uomo. E' di tutti." Sciascia diceva
che la satira è anche un modo per prendere le distanze dal mondo.
"Il sorriso fa da schermo che allontana e deforma una realtà a volte
insopportabile". Il suo ultimo libro, Il giro di boa (edito da Sellerio)
ha suscitato polemiche. Il commissario Montalbano si muove nei territori
della repressione poliziesca e dell'atteggiamento ostile verso gli immigrati...
"Nel libro c'è tutto il mio disagio, il senso di estraneità
per quel che succede, in questo momento, nel mio paese e fuori. Nel Birraio
di Preston il prefetto domandava al protagonista:"Cosa cercate?". Vorrei
poter rispondere come lui: "Una musica, cillenza, che mi facesse provare
la stessa felicità, ca mi facissi vìdiri com'è fatto
u cielu."
Laura Valente
Il Giorno,
18.10.2003
Al 118 risponde il giallista
Milano — La Libreria Sherlockiana di Tecla Dozio in via Peschiera, un
punto di riferimento unico in Italia per i giallisti e gli appassionati
del genere, rischia la chiusura. «L'affitto è troppo alto
per la zona Sempione: circa 1100 E al mese da pagare al demanio perché
i 43 metri quadri dell'esercizio commerciale sono di proprietà del
Comune di Milano», ci spiega la Dozio. «Ero a casa di Giorgio
Faletti lo scorso 21 gennaio, quando ho saputo dello sfratto per morosità.
Ora lo sfratto è bloccato. Stiamo cercando delle soluzioni con l'assessore
al demanio Pagliarini. L'assessore alla cultura Carrubba non si è
fatto ancora sentire...».
A cercare di salvare la Sherlockiana ci pensano 80 giallisti. Ci provano
con un'asta (domani, dalle 15, Teatro della Cooperativa di via Hermada
8; info 02. 6420761). Interverranno le celebrità del giallo nostrano,
da Lucarelli a Camilleri, da Marcello Fois a Loriano Macchiavelli, da Gianfranco
Manfredi a Sandrone Dazieri.
«Sarà uno spettacolo di vitalità, non una veglia
funebre! Un inno alla nuova primavera della Libreria del Giallo»,
ci dice Andrea G. Pinketts, che vi parteciperà come uno «showman
mancato, un incrocio tra Einstein e Dean Martin: mi produrrò in
monologhi e canzoni». E che cosa donerà in asta l'autore di
«Nonostante Clizia» (Mondadori)? «La mia biro Dupont,
con cui ho scritto il mio primo libro, "Lazzaro vieni fuori". Sono tanto
legato a quella penna quanto alla Libreria del Giallo: la offro volentieri
per salvarla». «Ci sono vere rarità per i collezionisti
da Tecla, che dà spazio dal romanzo gotico ai racconti della scapigliatura:
a tutto il mondo sempre più vasto che ruota attorno al Mistero».
Per Pinketts la Sherlockiana è stata «fondamentale: nel 1985,
quando ero un esordiente, ero presente alla sua inaugurazione, nella prima
sede di piazza San Nazaro. In quell'occasione c'era il gotha del giallo
di allora, da Oreste Del Buono a Renato Olivieri, fondamentali per la mia
formazione. Non voglio assistere alla sua chiusura. Sarebbe come affermare
la morte contro la vita. Per me la Sherlockiana è stata un colpo
di fulmine. Continuo a frequentarla il sabato, quando c'è l'aperitivo
con l'autore. C'è davvero passato l'intero mondo del giallo internazionale...».
Giorgio Faletti non interverrà personalmente perché in
questo periodo si trova a New York in cerca di ispirazione per il suo prossimo
bestseller ambientato tra la Grande Mela e casa nostra. «Ma sarò
con lo spirito alla Sherlockiana. Donerò la copia zero autografata
del mio «Io uccido» (Baldini & Castoldi) e il telegatto
che ho vinto per "Drive In". Il mio legame con la Sherlockiana è
come quello che Hemingway aveva con la Bodeguita del Medio. Se dovesse
sparire è come se sparisse il gatto e la volpe, e la fata turchina».
Mariella Radaelli
Corriere della sera,
19.10.2003
E’ morto Vázquez Montalbán, scrittore impegnato e padre
dell’investigatore gastronomo
Il dolore di Carvalho, detective dei piaceri E’ morto ieri lo scrittore spagnolo Manuel Vázquez Montalbán,
creatore dell’«investigatore gastronomo» Pepe Carvalho. Questo
testo è la prefazione a una raccolta di scritti gastronomici che
uscirà da Feltrinelli.
Solitamente, i piaceri vengono trasformati in materiale letterario per
stigmatizzarli, e questo accade non soltanto alla lussuria, che ha condotto
all'inferno delle scritture buona parte dei personaggi migliori, ma anche
al cibo, utilizzato dai grandi scrittori solo come paesaggio, al massimo
come dato naturalistico. Il rapporto cibo-letteratura nelle opere letterarie
senza aggettivi viene portato alle estreme conseguenze nel cosiddetto romanzo
poliziesco, in cui spesso i personaggi mangiano poco e male, anche quando
si tratta di antieroi straordinari, come Marlowe, vittima degli hamburger.
Esiste qualche eccezione, come Maigret che cerca la cucina di stagione
nei bistrot di Parigi o si rifugia negli eccellenti manicaretti della Signora
Maigret. Anche due americani, Van Dyne e Rex Stout, si vantano di saper
mangiare e, nella letteratura europea, l’ultima stella sfolgorante, l’italiano
Camilleri, propone eccellenti menu della cucina siciliana per il suo commissario
Montalbano. In qualche occasione, Montalbano accenna con disprezzo ai menu
di Carvalho, ritenendoli un po’ troppo robusti. Tuttavia, lo stesso cognome
del commissario è un omaggio che l’amico Camilleri ha voluto fare
al mio romanzo Il pianista che tanto aveva gradito.
La sordidezza del romanzo poliziesco più o meno convenzionale
non esclude di puntare sui piaceri. Se James Bond dimostrava un’ottima
conoscenza dello champagne, non capivo perché mai Carvalho dovesse
rinunciare a spiegarsi la vita mediante le sue passioni gastronomiche,
come cuoco e come consumatore. E’ stato merito di Carvalho rivendicare
obiettivi di giustizia sociale insieme a quelli di giustizia individuale,
capitolo di cui fanno parte i piaceri. «Si vive soltanto una volta»
dice una delle canzoni preferite di Carvalho, un bolero che prosegue: «Bisogna
imparare ad amare e a vivere». I romanzi di Carvalho non sono soltanto
proposte di divertimento, ma anche di riflessione critica e di conoscenza.
E perché non di conoscenza della gastronomia? In questo Carvalho
Gastronomico è raccolto non solo quello che Carvalho dice sulla
cucina, ma anche quello che pensa. Questa opera lunga e divertente si basa
sulla cucina spagnola; e si passa dalla voce Patata dolce a José
Mari Arzak , da Letteratura e cibo fino alla preparazione di centinaia
di piatti, tra i più particolari della cucina di Spagna.
Pur essendo filtrata dallo sguardo di Carvalho, l’opera è una
scommessa sulla felicità e un ampio ricettario di come si possa
bere e cucinare. Opera quindi di piacere e apprendistato.
Manuel Vázquez Montalbán
Il Mattino,
19.10.2003
Morto a 64 anni lo scrittore spagnolo che ha inventato Pepe Carvalho
Montalban, il signore del giallo Addio Pepe Carvalho
Manuel Vàzquez Montalbàn si è sentito male all’aeroporto
di Bangkok. Non ce l’ha fatta. Aveva solo sessantaquattro anni, ma soffriva
di cuore da tempo. Ho avuto la notizia ieri mattina mentro ero in taxi
e come immagino sia successo a tutti i suoi amici, colleghi e lettori ci
sono rimasto malissimo. Credo che di testimonianze e di ricordi in questi
giorni ce ne saranno tanti, se così non fosse ci sarebbe da preoccuparsi,
ma vorrei aggiungere anche i miei. Esiste un termine in uso a Bologna con
un significato leggermente diverso da quello che può avere a Napoli,
a Roma o nel resto d'Italia, e quel termine è tranquillo.
Da noi il termine tranquillo ha un valore innanzitutto umano. Significa
una bella persona, uno che non si dà arie, che mantiene una cortese,
tranquilla umiltà anche di fronte alla dimostrazione quotidiana
del proprio intimo valore. La prima volta che ho visto Manuel Vàzquez
Montalbàn è stato alla Semana Negra di Gijon, un festival
letterario che si tiene ogni anno nelle Asturie. Poi l'ho rivisto a Mantova,
al Festival della Letteratura, in coppia con Andrea Camilleri, in un teatro
che strabordava di persone. L'ho sempre trovato così, tranquillo,
uno che quando ti parlava non ti faceva percepire nessuna differenza tra
scrittore e lettore, come se fossimo lì tutti e comunque per la
stessa cosa: l'amore per la scrittura e la lettura. Così era Manuel
Vàzquez Montalbàn, uno di quegli scrittori in grado di fare
almeno tre di quelle cose che tutti i grandi scrittori dovrebbero saper
fare.
La prima è creare un universo narrativo nel quale lo scrittore,
i suoi personaggi e soprattutto i suoi lettori possano muoversi con rassicurante
familiarità, con imprevista sorpresa. Lo aveva fatto in maniera
più evidente con la serie dei romanzi gialli di Pepe Carvalho, il
suo bellissimo investigatore gastronomo. Chi ha avuto la fortuna di trovarselo
tra le mani già nell'82 nella edizione di Un delitto per Pepe Carvalho
di Editori Riuniti o più facilmente nell'84 in Assassinio al Comitato
Centrale di Sellerio, poteva immaginarlo fin da subito che quello strano
tipo tormentato e ironico, cinico ma appassionato, curioso come un vero
investigatore da giallo sa esserlo, non lo avrebbe abbandonato più,
tornando con gli stessi gesti, ma sempre un po' diversi. Con le pagine
dei libri più strani da strappare per accendere il fuoco del camino,
i piatti elaboratissimi da preparare anche alle due di notte, i posti più
imprevedibili e meno pittoreschi di una Barcellona vivissima che da sfondo
diventa immediatamente personaggio. Libri così si leggono perché
ti piacciono e vuoi vedere come va a finire, ma anche perché conosci
i personaggi che, attraverso quell'universo narrativo, sono diventati degli
amici.
Manuel Vàzquez Montalbàn faceva questo, ma non solo.
Come i grandi scrittori, non suonava sempre la stessa musica. Definirlo
un giallista sarebbe riduttivo, perché non scriveva solo romanzi
gialli. C'è Galindez, che riscotruisce la complessa e controversa
storia di un nazionalista basco scomparso nel '56, c'è Io, Franco,
la monumentale biografia del "generalissimo", c'è il piccolissimo
Riflessioni di Robinson davanti a centoventi baccalà, ci sono le
tantissime poesie e gli articoli sui giornali.
Faceva tutto questo e lo faceva, ed ecco la terza qualità di
un grande scrittore, riflettendo il suo tempo e cercando di incidere su
esso. Faceva letteratura, raccontava storie e proprio per questo faceva
"politica". Per esempio, non si possono leggere i "gialli" di Pepe Carvalho
senza fermarsi a pensare sui temi che ci si trovano dentro, nascosti tra
le righe e serviti all'improvviso come uno dei suoi piatti notturni: la
crisi delle ideologie e soprattutto quella del comunismo, le contraddizioni
del capitalismo, i servizi segreti, la coscienza sporca del franchismo
e del post franchismo, le guerre, l'imperialismo, la globalizzazzione.
Temi espressi senza pregiudizi ideologici, con ironia e spirito di contraddizione,
da un uomo che la militanza l'aveva vissuta con tre anni di carcere durante
il regime franchista.
Quando un grande scrittore muore all'improvviso, per i lettori è
un lutto insanabile. Gli scrittori restano nei libri, il loro universo
non muore con loro. Sembra che fosse già pronto un altro libro di
Pepe Carvalho e quindi ancora una volta almeno lo possiamo rivedere. Con
la morte di uno scrittore il suo universo narrativo però si ferma.
Perciò siamo tristi come suoi lettori. Penso che ogni lettore potrebbe
dirgli quello che uno dei suoi personaggi ha detto a Pepe Carvalho, dopo
essere stato svegliato alle due di notte per mangiare un grandioso piatto
di tagliolini al salmone: «Ti ringrazio, Pepe. Hai regalato una notte
alla mia vita. Avrei potuto passarla stupidamente dormendo e inveve ho
mangiato un piatto meraviglioso».
Carlo Lucarelli
Il ricordo di Camilleri
«Ispirò il mio commissario»
«Ho battezzato il commissario Salvo Montalbano in onore di Manuel
Vàzquez Montalbàn, il mio caro amico di cui oggi piango la
scomparsa». È commosso Andrea Camilleri, nel parlare dello
scrittore catalano. «Non ne ammiravo solo il raffinato stile narrativo,
l'invenzione del detective-gourmet Pepe Carvalho, ma anche e soprattutto
il profilo intellettuale, antifascista e comunista». Tra i due autori
era nata da tempo un’amicizia fatta di omaggi reciproci, articoli, prefazioni,
conversazioni, E del progetto di un libro a quattro mani, da intitolare,
magari, «Montalbano & Montalbàn».
Il Resto
del Carlino, 19.10.2003
Il nome del mio Montalbano? Un omaggio a Manuel Vázquez
Magari c'è stato anche qualcuno che, sprovveduto in materia di
"gialli", si è chiesto quale strana parentela esistesse tra Salvo
Montalbano, commissario a Vigata, Sicilia sud occidentale, un debole per
la cucina mediterranea, e Manuel Vázquez Montalbán, padre
di Pepe Carvalho, poliziotto spagnolo alla ricerca dei mari del sud e,
già che c'è, dei più seducenti manicaretti sulle ramblas
di Barcellona. Visto che ne ebbi l'occasione, lo chiesi anch' io ad Andrea
Camilleri, che rispose: «No, Montalbano non ha alcuna parentela con
Pepe Carvalho e neanche con Montalbán. Hanno in comune la passione
per la cucina, è vero, ma il mio poliziotto è probabilmente
più vicino alla solarità di certi personaggi marsigliesi
del povero Jean Claude Izzo. Il nome, invece sì, è un omaggio
a Montalbán, perché proprio leggendo un suo libro capii come
dovevo strutturare un romanzo giallo». Resta il fatto incontestabile
che sia Pepe Carvalho, detective stranulato che si infila in storie criminali
disegnate con fantasia catalana, sia Salvo Montalbano con la sua "squadra"
dissestata, sono uomini del Sud, lontanissimi dai nebbiosi Maigret, tutti
Quai des Orfevres, Calvados e mogli fedeli con la minestra calda al ritorno
a casa; o dai "neri" Marlowe che trascinano la loro vita agra tra bicchieri
di rye su e giù per il Sunset Boulevard; o dai quasi cimiteriali
esperti di criminologia e di medicina legale come l'insopportabile Kay
Scarpetta di Patricia Cornwell o il tetraplegico mastermind Lincoln Rhyme
di Jeffrey Deaver. Carvalho e Montalbano sono detective solari. E tra i
loro autori era nata una affiatata amicizia, tanto che era in cantiere
il progetto di un libro a quattro mani, magari intitolato «Montalbano
a Montalbán».
Mario Spezi
Liberazione, 19.10.2003
Per un infarto improvviso è morto ieri lo scrittore spagnolo
Manuel Vazquez Montalbán
Hasta luego Manolo!
«Neanche il tempo di scendere dal taxi e perdere l'atmosfera dell'aria
condizionata che le nari e i polmoni di Carvalho furono investiti da una
zaffata di aria calda e unta, profumata dalle fritture in olio di cocco
e dagli aromi del prezzemolo asiatico, del cipollotto e dello zenzero.
Carvalho non aveva abbastanza occhi né abbastanza vita per comprendere
nella sua totalità tutto quello che gli offriva il Mercato della
Domenica». Per una strana corrispondenza tra letteratura e vita,
proprio nella Bangkok celebrata in una delle avventure del suo personaggio
immaginario Pepe Carvalho - Gli uccelli di Bangkok - è morto lo
scrittore spagnolo Manuel Vazquez Montalbán. A soli 64 anni un infarto
lo ha stroncato venerdì pomeriggio all'aeroporto della città
thailandese, di provenienza dall'Australia - aveva svolto a Sidney un ciclo
di conferenze letterarie. Il malore lo ha colto mentre aspettava il volo
che lo avrebbe riportato a Madrid.
Non solo inattesa, la morte dello scrittore è anche l'irruzione
di un'inevitabile fatalità in una letteratura centrata invece sulla
vita, sui colori dell'esistenza, la sensualità, l'erotismo, la passione
politica. In quel genere noir a tinte catalane che Montalbán aveva
attraversato in lungo e largo nelle vesti del detective Pepe Carvalho nato
dalla sua fantasia, la morte era sì presente ma come pretesto, riassorbita
negli intrecci dell'ironia. A dispetto di omicidi e assassini i suoi gialli
fanno da cornice a stravaganze gastronomiche, a desideri voluttuari, allo
spargimento di profumi cibari, ad afrori di corpi generosi. Da qui un linguaggio
aderente al mondo come un dispositivo di propaggini sensoriali, all'opera,
per esempio, nel ritratto di una via affollata di Bangkok, «pezzetti
di maiale ricoperti di miele scuro, spaghetti di riso sottili come cibo
per angeli vergini, orchidee alimentate da cortecce di cocco, giacche sintetiche
imbottite per inverni mentali, tenute da campagna per guerriglieri urbani,
machete, portachiavi, uova in salamoia simili a coglioni di mulatto, una
vasca da bagno di cemento dipinta di verde, agitatori sociali con megafono
che incitano le masse mentre la polizia sembra non sentire a una distanza
tollerante e prudente».
Per quanto il nome di Manuel Vazquez Montalbán fosse associato
a quello di Pepe Carvalho, la sua produzione letteraria e teorica è
in realtà molto più ampia. Nato a Barcellona nel luglio del
1939 da una famiglia operaia comunista, in vita ha attraversato i ruoli
del romanziere, del poeta, del critico gastronomico, nonché del
militante politico nella Spagna franchista. Trascorre l'infanzia in un
quartiere popolare della città catalana: il Barrio Chino, il quartiere
cinese a ovest delle Ramblas, un coagulo di edifici fatiscenti, abitati
da povera gente. Le rovine prodotte dai bombardamenti della guerra civile
sono ancora visibili in un ambiente che Montalbán descriverà
successivamente ne Il pianista.
Riceve i primi riconoscimenti letterari, proprio a ridosso della condanna
a tre anni di carcere per la sua militanza clandestina nel Partito socialista
unificato di Catalogna nel 1962, ad opera di un consiglio di guerra. Sempre
in quegli anni, lo scrittore collabora con una rivista del dissenso antifranchista,
«Triunfo». Al grande pubblico diviene noto con le periodiche
apparizioni dei suoi articoli sul quotidiano "El Pais", ma la sua esplosione
avverrà dopo la morte di Franco, nel clima di generale esaltazione
della vita culturale spagnola. La consacrazione letteraria giunge nel 1979
con la pubblicazione del romanzo I mari del sud, che gli vale il Premio
Planeta e il Premio Internazionale di Letteratura Poliziesca in Francia.
La lunga serie dei gialli animati dal personaggio di Carvalho sono anche
un ritratto della Spagna post-franchista.
Proprio questo nesso tra memoria, letteratura e politica Montalbán
rimarcò ancora pochi mesi fa, quando partecipò a Roma a un
incontro letterario insieme a Saramago e Camilleri - l'autore italiano
che al nome dello scrittore ha dedicato a sua volta il proprio personaggio,
il noto commissario Montalbano. In quel convegno si soffermò, appunto,
sul potere delle dittature politiche - o del mercato - di appropriarsi
della memoria collettiva. L'esempio più lampante era offerto proprio
dai dispositivi falsificanti del franchismo che dopo la guerra civile si
impadronì della memoria dei vinti. Alla letteratura - meglio ancora
nei suoi generi più popolari, a cominciare dal giallo - Montalbán
affidò il compito scavare e recuperare il rimosso. Con questa vocazione
politica si era accinto al suo ultimo romanzo Millennio - già redatto
nella sua versione definitiva: un viaggio intorno al mondo del suo detective
alle prese con la guerra in Iraq, la globalizzazione economica e i conflitti
del Medio Oriente.
Tonino Bucci
L'ultimo erede della sinistra spagnola
«Stavamo aspettando che tornasse dall'Australia a giorni, doveva
consegnare "Millennium", annunciato come l'ultimo Carvalho, mille pagine.
A Francoforte la sua agente mi aveva raccontato che era molto entusiasta
del viaggio che stava facendo dall'altra parte del mondo». E' quanto
detto da Carlo Feltrinelli, principale editore delle opere dello scrittore
spagnolo in Italia, alla notizia della morte. «A tutti noi mancherà
molto come compagno di viaggio, come stimolante e arguto interlocutore
sulla politica, sull'Italia, sulla Spagna, su Cuba e tante altre cose ancora
che ci intrigavano». A Carlo si aggiunge il ricordo di Inge Feltrinelli,
«era prima di tutto un amico. Era Manolo, per tutti, soprattutto
per i cuochi e i camerieri dei ristoranti, che lo adoravano. Ed è
in un ristorante che l'ho incontrato la prima volta, Casa Leopoldo, a Barcellona,
nel Barrio Chino, quando neanche i taxi volevano entrare in quel quartiere,
perché era pericoloso». «Era timido - continua - ma
allo stesso tempo sempre disponibile a parlare con tutti, generoso di sé,
autoironico, con un fortissimo senso dell'umorismo, molto catalano».
«Amava molto l'Italia, e in particolare la cucina. Quella per la
gastronomia era la sua passione principale, insieme al calcio. Quando ci
incontravamo a Barcellona, Manuel mi portava sempre nei ristoranti più
tipici e poveri, quelli in cui lui, un pò istrionicamente, entrava
in cucina per dirigere la preparazione dei piatti». Dai giudizi di
Inge emerge un profilo di «Manuel come uno degli ultimi intellettuali
spagnoli della sinistra classica».
«Se ne va un bravissimo autore brillante, capace di un contemporaneo
sguardo ironico e drammatico sulla realtà», ha detto, invece,
la scrittrice Dacia Maraini. «Non è un caso che il nostro
più grande autore di gialli, Andrea Camilleri, abbia chiamato il
suo popolare commissario, Salvo Montalbano, proprio in onore dello scrittore
spagnolo Vazquez Montalban». Lo ricorda anche Vincenzo Consolo, che
conosceva Montalban dal 1989, quando lo incontrò in occasione della
consegna del premio Racalmare: «Perdo un caro amico e la sua scomparsa
provoca in me immenso dolore. E più in generale perdiamo uno scrittore
straordinario, seppure prolifico. E' stato acuto, intelligente di grande
qualità». Rimarca, poi, come Montalban «abbia rinnovato
la cifra narrativa di Simenon con il suo personaggio di Pepe Carvalho,
che è diventato un modello per molta narrativa, anche per il nostro
Andrea Camilleri».
La Repubblica,
19.10.2003
Il cuore generoso di Pepe Carvalho
E poi dicono che la vita non s´aggroviglia con la letteratura.
Manolo e Pepe sono morti a Bangkok. Avevamo imparato, qui da noi, ad amarli
tutti e due, leggendo Gli uccelli di Bangkok, che nel 1990, pubblicato
da Feltrinelli, inaugurava la serie di Carvalho, l´investigatore
privato. Veramente ce n´erano stati altri due, prima: Un delitto
per Pepe Carvalho, Editori Riuniti, nel 1982 e Assassinio al Comitato centrale,
Sellerio, 1984. È ingiusto dire che passarono inosservati. José
Carvalho Touron, origini galiziane, laureato, comunista, ex agente della
Cia, gastronomo, cuoco, filosofo, innamorato di una puttana, bruciatore
di libri, era un personaggio troppo diverso per non innamorarsene. E quasi
del tutto simile al suo autore, Manuel Vázquez Montalbán.
La differenza più vistosa è che Pepe è calcisticamente
agnostico, mentre Manolo era gran tifoso blaugrana, i colori del Barcellona
(vista non solo come squadra, ma come manifesto dell´antifranchismo,
in opposizione al Real).
Se è vero che Flaubert disse «Madame Bovary, c´est
moi», Vázquez Montalbán non aveva bisogno di dire altrettanto
su Pepe Carvalho: era fin troppo chiaro. A volte uno inseguiva l´altro:
Carvalho abitava a Vallvidrera ben prima del suo creatore-alter ego. Erano
nati l´uno e l´altro (l´uno è l´altro) nel
Barrio chino, la zona povera di Barcellona, e malfamata. Piccoli e grandi
delinquenti, puttane, spacciatori, ma anche famiglie operaie uscite a pezzi
dalla Guerra civile. Bisogna andarci, anche adesso che è meta turistica,
ma occhio alle borsette, annusarla, respirarla questa zona. In suo libro
VM cita una frase di Marx: «Si conosce un paese solo quando si è
mangiato il suo pane e bevuto il suo vino». Frase talmente condivisibile
che, innamorato cotto, durante le Olimpiadi del 1992, a Barcellona, mi
ero imposto un giro nei ristoranti di Pepe Carvalho. Senza chiedere direttamente
a VM: era già tutto scritto nei romanzi. Per lo spuntino di mezzogiorno,
naturalmente, mi rifornivo alla Boqueria, il mercato coperto: jamon serrano,
quello vero, de bellota, una scodella di trippe, un po´ di tapas,
in alternativa formaggi stagionati. E poi c´era un chiosco indimenticabile
di frutti di bosco: lamponi, more, mirtilli, ribes, che aiutavano e benedicevano
l´ultimo bicchiere di Rioja. Per la sera, che poi significava almeno
cominciare a mezzanotte, c´erano i locali, più trattorie che
ristoranti, più frequentati da indigeni variegati che da turisti.
Pepe era nato all´11 di calle Botella: una predestinazione?
VM ha scritto libri di ricette, ma anche di poesie. Biografie (una,
famosa, di Franco) e saggi. Ha fatto il giornalista, continuava a farlo.
Poteva raccontare dei gol di Kubala o del subcomandante Marcos, dei rossi
della Rivera del Duero o di Pasolini. I conti si fanno sempre, regolarmente,
quando uno muore, ma non ce n´era tanta in giro, di gente così.
Il commissario Montalbano, carattere ribelle ma inserito nella legge,
buona forchetta, è nato in omaggio a Pepe, e si chiama così
in onore di Manolo. Pepe non è l´unico investigatore goloso.
Lo era, a livelli meno consapevoli e sbandierati, Maigret. Lo era Nero
Wolfe, ma con tanto di cuoco nella famosa casa di arenaria da cui quasi
mai usciva. Il miglior piatto del mondo, per i due morti all´aeroporto
di Bangkok tra un atterraggio e un decollo, era il riso con baccalà
che cucinava la nonna. Tutti e due erano stati in galera e sapevano che
la miglior salsa del mondo è la fame (questo lo scrisse Cervantes).
Pepe non è nemmeno l´unico investigatore innamorato di una
puttana. Lo era Duca Lamberti, personaggio di Scerbanenco, lo sono stati
(è un classico) molti eroi dell´hard boiled school. Si sa
che Pepe ha avuto una moglie, Muriel, militante comunista che parlava di
politica anche a letto, e una figlia, di cui VM non fornisce il nome. Si
sa che a un certo punto lui propone a Charo (Rosario García Lopez
all´anagrafe, nella trasposizione filmica purtroppo interpretata
da Valeria Marini, ma non si può avere tutto dalla vita) di vivere
insieme, ma lei rifiuta e va a fare la centralinista in un albergo di Andorra
(geniale).
Non c´è quasi mai lieto fine, nelle storie di VM. Anzi
spesso il finale lascia l´amaro in bocca. Nemmeno, come si usa dire,
il colpevole viene sempre assicurato alla giustizia. A VM importava più
raccontare storie abitate da persone vere che infiocchettarle col lieto
fine. Il Barrio chino, a Barcellona, vale i carrugi di Genova o i vicoli
di Napoli. Chi ci arriva con una macchina fotografica vede il colore locale,
chi ci è nato vede la vita e le sue sfumature, le sue mille storie.
VM e PC leggono molto, ma non è sui libri che trovano la dignità,
la miseria, la disperazione, il cinismo, l´arte di arrangiarsi. Pepe
è un investigatore di strada, cammina volentieri (come Maigret),
delega pochissimo, giusto la lista della spesa a Biscuter, conosciuto in
galera, il suo Sancho Panza, quello che non ama i discorsi complicati.
Pepe ha una sua morale e non la piega, non la affitta, non si fa comprare.
È ostinatamente di sinistra non tanto per quello che fa ma per quello
che non fa. Non ha simpatia per i potenti, gli arricchiti, la crème.
Non è né si sente la crocerossina dei derelitti, degli ultimi,
ma sa da che parte stare. Non dà importanza ai soldi, né
alle cose. Si ripromette di bruciare un libro al giorno (fa un´eccezione
per quelli di Conrad) perché ne ha letti tanti ma non gli hanno
insegnato a vivere. A chi gli chiede se è marxista, risponde di
sì, «sezione gastronomica». È romantico quasi
controvoglia. Scrive più di mille lettere a Charo ma non ne imbuca
una. Ha più ex amici che amici, più ex compagni che compagni,
più lampi erotici che amori. Il figlio di Evaristo Vázquez
(operaio, anche lui detenuto per sovversione) e Rosa Montalbán ha
fatto invecchiare Pepe, forse aveva il problema di come e quando farlo
morire. La vita ha deciso per tutti.
«Mi piace salutarti negli aeroporti», avevano detto a Pepe.
Enric Fuster, suo vicino di casa, appassionato di piatti complicati a base
di anatre e foie gras, era preoccupato per i tanti infarti che avevano
falciato i suoi amici. Sono fiammiferi che s´accendono, come la coincidenza
del morire a Bangkok. Nel nostro egoismo di lettori ben nutriti, ieri è
morto Pepe Carvalho per la proprietà transitiva. Perché è
morto VM. Ci mancherà la sua curiosità onnivora, la sua figura
discreta (che ricordava vagamente un Poirot meno belga), l´impasto
narrativo in cui faceva convivere Ostrovskij e Paul Anka (un retrogusto
di Soriano). «Cinema e canzoni si sono alimentati di letteratura.
È tempo che la letteratura si alimenti di cinema e canzoni. I programmatori
del divorzio tra cultura d´élite e cultura di massa moriranno
sotto il peso della massificazione della cultura», aveva scritto
VM. È morto ancora giovane, sgambettato da un cuore che ho immaginato
grande e generoso. Così è morto Pepe Montalban.
Gianni Mura
È morto ieri Manuel Vázquez Montalbán. Lo avevo
incontrato a Barcellona nel 1992 per il cinquecentenario della scoperta
dell´America. «Niente scoperta», mi disse, «ma
conquista coloniale». Era un Montalbán molto arrabbiato, che
non condivideva in nulla le dispendiose celebrazioni che il governo di
Gonzales aveva inscenato, un Montalbán molto tranchant su certi
eventi della storia che includevano la Spagna. Negli ultimi anni, negli
ultimi mesi - l´ultima volta che lo incontrai fu a Roma in aprile
- si era come ammorbidito. Aveva acquistato una sorta di fatalismo appena
sornione e non rassegnato. Sarà interessante per i lettori di questo
giornale, un dettaglio, anzi più che un dettaglio, che rifluisce
carsicamente da quel primo incontro ad altri successivi nel tempo. Quello
del '92 si allungò da casa sua sino al mio albergo, il giorno dopo,
perché nella piazza sottostante, in pieno Barrio Gotico, si poteva
assistere a un rito.
Quel ballare in cerchio tenendosi per mano a gruppi di sette o dieci,
tra gente che generalmente non si conosce. Allora, nel 1992, Montalbán
era un uomo incline alla pinguedine, aveva poco più di 53 anni ma
mi sembrò più vecchio di me. Sciascia era morto da tre anni.
Si erano visti quell´unica volta nella sua casa di Palermo, un mese
prima che Sciascia morisse. Era così malato che Montalbán,
venuto a dimostragli la sua gratitudine (non soltanto per il premio Racalmare
che gli aveva fatto assegnare, ma per averlo accreditato autorevolmente
presso i lettori italiani) era stato sul punto di rinunciare. Furono la
signora Myriam Sumbulovich, più che traduttrice un tramite prezioso
con l´Italia, e Ferdinando Scianna che li fotografò, a fargli
superare quella preoccupata esitazione.
«Era un uomo parco, i suoi ultimi libri straordinari erano piccoli
libri di poco più di cento pagine. Ed era parco anche nel cibo,
io so. Però lo apprezzava. So anche questo». E aprì
un cortese capitolo sulla cucina siciliana, come gli si era manifestata
in quella prima visita, una specie di agnizione. Ma in quel frangente risultò
più incuriosito che informato; si illuminò quando accennai
a una gelatina al mandarino inventata da Giovanna Piccolo, la sorella di
Lucio nella villa di Capo d´Orlando dove il poeta e i suoi fratelli
passavano la vita intrattenendo scarsi rapporti con il mondo. Ma non seppi
esplicarne dosi e cotture. Undici anni addietro Vázquez Montalbán
aveva già notoriamente farcito la sua letteratura di quell´idea
pressoché erotica del cibo, ma ancora non gli si era spalmata addosso
la didascalica etichetta di scrittore-gourmet. In uno degli incontri successivi
aveva perso almeno dieci chili, il capo potente e calvo emergeva dalle
spalle su un corpo piccolo. E, sconcertante novità nella sua fisionomia,
si era anche tagliato i baffi. «Mi sono dovuto mettere a dieta»
sembrava si scusasse per una specie di tradimento.
E allora fatalmente si sviluppò un altro filo conversativo;
passando per Calvino che si definiva un uomo grasso in un corpo magro («Ahimè,
a me accade il contrario» mi interruppe malinconicamente) tornò
su quel tema eccellente della cucina siciliana. Ma ora con una erudizione
che certamente gli si era arricchita dalle frequentazioni con amici siciliani,
amicizie come è noto infervorate da motivi diversi; Camilleri, Scianna...
In ogni caso credo ne sapesse tanto attraverso un procedimento osmotico-letterario.
Il desco gramo dei Malavoglia e l´abbondanza di casa Salina nel Gattopardo,
i banchetti dell´aristocrazia e del clero palermitani. «Ho
letto il libro dopo aver visto il film». Scherzò, ma non tanto,
sull´origine di molte ricette della gastronomia dell´isola
elaborate nel chiuso dei conventi. «Mi sono fatto una specie di giudizio
socio-alimentare, secondo uno schema di verticalità, ma all´incontrario;
nel senso del basso verso l´alto, ascendente. La cucina più
succulenta e fantasiosa, più ricca di suggestioni papillari è
fondata su questa gradualità che può sorprendere. Non dalle
tavole riccamente imbandite degli aristocratici di una volta alle mense
dei poveri in impossibili imitazioni e surrogazioni con materie prime scadenti.
Ho studiato il fenomeno proprio guardando anche alla storia siciliana non
dissimile da quella del mio paese. La Catalogna rispetto alla Spagna ha
implicazioni e circonvoluzioni non dissimili dalle vostre. La povertà
dei ceti contadini e proletari siciliani ha prodotto anche la vostra eccellente
cucina. Nessun cuoco al servizio dei ricchi si sarebbe sognato di cucinare
il più infimo tra i pesci, le sardine, (sic) con l´altro semplice
ingrediente, il finocchio selvatico dei campi per servire quella squisitezza,
quel sogno tutto mediterraneo del pasticcio (sic) della pasta-con-le-sarde
palermitana. Devono esservi condizioni di popolare indigenza endemica quali
le avete patite voi perché si producano grandi scrittori come ne
avete avuti in Sicilia; ma anche una grande civiltà gastronomica
come la vostra.» Incontrai ancora Vázquez Montalbán
questa primavera a Roma a un convegno, con Camilleri e Saramago. Era di
nuovo grasso e si era fatto ricrescere i baffi.
Vanni Ronsisvalle
Scrittore, commentatore politico e gastronomo, Montalban è stato
tradotto in 26 Paesi e ha spesso ricambiato l'affetto del pubblico italiano.
Tra i suoi estimatori, anche Andrea Camilleri che ha battezzato il
suo celebre commissario "Montalbano", mutuando alcuni tratti della personalità
del detective Pepe Carvalho, antieroe ed alter ego dello scrittore catalano.
I due s'incontrarono per la prima volta a Mantova nel 1998, durante la
seconda edizione di Festivaletteratura. "Era amabilissimo e generoso -
ricorda Luca Nicolini, presidente del comitato organizzatore - proprio
come si può immaginare di una persona con la sua passione e che
viene dalla Spagna.
Il '98 è stato l'anno in cui ha piovuto di più durante
i giorni di Festivaletteratura, così abbiamo dovuto spostare molti
incontri in luoghi coperti. Ho accompagnato Montalban e durante il tragitto
abbiamo parlato di Camilleri, ci cui non aveva mai letto nulla. Tra loro
l'affiatamento è stato spontaneo, com'è naturale tra due
persone innamorate della propria terra".
Commosso anche il ricordo di Gilberto Venturini, governatore di Slow
Food, che durante il Festival del '98 ospitò Montalban a cena all'Ochina
Bianca, di cui all'eopca era gestore: "Era un personaggio molto dolce,
un grande amico della nostra associazione, goloso perché curioso.
Nel '98 andai io a prenderlo ad Arezzo. Il programma del festival prevedeva
la cena in un altro ristorante, ma avendomi dato la parola che sarebbe
venuto da me, quella sera Montalban mangiò due volte. Gli feci assaggiare
i bigoli con le sardella e alcune mostarde".
Igor Cipollina
Bresciaoggi, 19.10.2003
Il ricordo bresciano
Quell’incontro con Camilleri Due amici-colleghi tra politica e gastronomia
Con Manuel Vazquez Montalban avevamo appuntamento al'Hotel Vittoria.
Lo avevo invitato, per conto del Comune di Brescia, a inaugurare, insieme
a Andrea Camilleri, i «Pomeriggi in San Barnaba» nel giugno
del 2000.
I due scrittori si erano incontrati alcuni mesi prima a Mantova, complice
Massimo D'Alema. In quell'occasione era nata tra di loro l'idea di scrivere
un libro a quattro mani. Si erano poi rivisti a Barcellona, in Via Alberes,
a casa di Manolo. L'incontro di Brescia sarebbe servito ad aggiungere altre
pagine al futuro libro.
Vazquez Montalban e Camilleri erano amici già prima di conoscersi.
In qualche modo si parlavano attraverso i loro libri. Le affinità
tra i due erano note. Camilleri aveva chiamato Montalbano il suo commissario.
Vazquez Montalban ama la buona cucina almeno quanto lo scrittore siciliano.
Entrambi hanno trasferito questa identica e sospetta passione sui loro
eroi, i quali sfogano nel cibo le rispettive nevrosi: Salvo Montalbano
divora le triglie fritte della «cammarera» Adelina; Pepe Carvalho
crea in solitudine ricette raffinate e impossibili. «Non credo -
disse al San Barnaba Camilleri - che i due andrebbero nella stessa trattoria.
Se dovessero condurre insieme un'indagine in cucina, finirebbero per litigare».
Lungo il percorso dall'Hotel Vittoria all'auditorium San Barnaba, in
corso Magenta, formammo un piccolo corteo: il sindaco Paolo Corsini in
testa ad illustrare i colori e la vivacità di corso Zanardelli,
forse per tacitare in Manolo la nostalgia delle Ramblas; io li seguivo
tenendo sottobraccio Camilleri (in Sicilia si usa così); dietro
c'erano la traduttrice e il collega Claudio Baroni che avrebbe intervistato,
insieme a me, i due scrittori; chiudeva il corteo una troupe di Raitre
venuta apposta per seguire l'incontro.
Il San Barnaba era pieno come un uovo. Camilleri e Vazquez Montalban
si scambiarono opinioni sui loro eroi, sul mestiere di scrivere, sulla
politica, sulla sinistra: con Camilleri, più stravagante, che dichiarava
di essere ancora marxista («Il fatto di avere seppellito i morti
- diceva - non vuol dire che il mondo è morto»); e Vazquez
Montalban, più problematico, che si chiedeva che fine avesse fatto
la sinistra e chi sarebbe stato il nuovo soggetto storico del cambiamento:
«Fino a trent'anni fa - diceva - era il proletariato industriale,
ma oggi chi è? Certamente esiste, sono tutti i perdenti in un senso
plurale».
La sera a cena, Manolo impose a Camilleri il «jamon serrano»;
lo scrittore siciliano, non potendo rispondere a colpi di pasta con le
sarde, si limitò a decantare la squisitezza dei brescianissimi casoncelli
al bagoss.
Manuel Vazquez Montalban era un formidabile inventore di storie e di
atmosfere, attraversate da una dolorosa vena di indignazione per ogni forma
di ingiustizia. Era mite e ironico. A suo modo spiritoso, anche se non
esagerava in sorrisi. Scettico e malinconico, come il suo detective Pepe
Carvalho, il quale è solito bruciare i libri per accendere il camino.
«Lo fa perché, forse, la cultura non lo ha aiutato a vivere»
disse Vazquez Montalban quel pomeriggio al San Barnaba.
La mattina dopo lo andai a trovare in albergo per salutarlo. Volle
essere portato in giro a fare acquisti gastronomici. Lo portai in una famosa
salumeria del centro. A Manolo luccicavano gli occhi come un bambino curioso
e goloso. Chiedeva tutto e toccava tutto. Comprò formaggi e salumi,
infiniti tubetti di crema al tartufo e costosissime bottigliette di aceto
balsamico. Il conto si aggirò intorno al milione e mezzo di vecchie
lire. Anche così Manolo dimenticava l'antica povertà.
Antonio Sabatucci
Giornale di
Brescia, 19.10.2003
Pepe e Salvo, insieme, ma soltanto per una cena bresciana
Brescia - Manuel Montalbàn s’incanta davanti al portone dell’Osteria
Porteri: sente profumo di prosciutto. Andrea Camilleri è sornione
più del solito. Siamo nel bel mezzo di Borgo Trento, si va a cena
con due miti, dopo l’incontro in San Barnaba. Quella sera del 20 giugno
2000 resta incorniciata nella memoria. L’impresa di mettere allo stesso
tavolo il padre di Pepe Carvalho e l’inventore di Salvo Montalbano non
è stata facile: Ninni Sabatucci li ha corteggiati per un anno intero.
Alla fine tutto va liscio: affollata la sala, nonostante il caldo infernale,
distesa la conversazione. Il detective privato delle Ramblas e il commissario
di Vigàta si concedono reciproci attestati di stima. Grandi affabulatori.
Camilleri con la voce roca dalle mille sigarette, Montalbàn con
il suo italiano impastato di catalano. Diversi e uguali: il disincanto
di ideali giovanili consumati, il distacco di fronte ad un successo di
portata mondiale. Mascherano con scetticismi radicati una passione per
la vita che si incarna nelle loro creature letterarie. Pepe e Salvo sono
il loro specchio. Prima dell’incontro bresciano, si erano misurati a distanza.
C’era stato un weekend di Camilleri a Barcellona, si programma un viaggio
di Montalbàn dalle parti di Porto Empedocle. Si vedrà...
E ci sono gli editori che sognano un libro scritto a quattro mani. Di questo
si parla a cena, a Borgo Trento. Hado Lyria, la traduttrice italiana di
Montalbàn cerca di stringere i tempi. Ma i due autori sono distratti:
Camilleri tace e accende l’ennesima sigaretta, «Manolo» insegue
discorsi gastronomici, incantato dalla «cave» bresciana. Intesse
paragoni, allunga citazioni. L’Italia per lui è una Terra promessa.
La sta navigando sulla sua vecchia Jagaur verde-bottiglia. Viene da un
tour in Toscana. Ha fatto rifornimento di lardo di Colonnata. Non è
la letteratura l’argomento che lo stuzzica, quella sera. Lascia persino
cadere qualche battuta sul «Barça». A tavola non c’è
spazio neppure per la passionaccia calcistica. La moglie (ha dedicato il
pomeriggio a Santa Giulia) lo guarda rassegnata: solo una volta gli ricorda
che il cuore non sopporterà a lungo questo ritmo... Il libro a quattro
mani? Si scambiano una mezza promessa: si manderanno lettere via fax, Hado
penserà a ricucirle. Poi si vedrà... Ma già si capiva
che quel libro sarebbe rimasto un sogno per gli appassionati di Pepe e
Salvo.
Claudio Baroni
La Sicilia, 19.10.2003
Morto il commissario Carvalho
La morte improvvisa dello scrittore catalano Manuel Vazquez Montalban
ha destato profonda commozione naturalmente nello scrittore empedoclina
Andrea Camilleri. Il padre del famoso personaggio del detective Pepe Carvalho
era appena arrivato all'aeroporto di Bangkok quando è stato colto
da malore. «Con Montalban - disse Camilleri qualche tempo fa - è
avvenuto un fatto che è stato abbastanza straordinario per me. Stavo
scrivendo il "Birraio di Preston", e non riuscivo a trovare una struttura
al romanzo. Questo libro, scritto in un ordine cronologico, risultava di
una noia mortale. Leggendo "Il pianista" di Montalban, dove si fa un certo
uso del tempo narrativo, mi si è aperto nella mente come avrei potuto
strutturare il "Birraio di Preston": questo è il primo grosso debito
che ho sempre avuto nei suoi riguardi. Giuro che non ci sarei riuscito
da solo senza quell'"aiutino", sapete come quelli che si danno durante
quei detestabili quiz delle interrogazioni a scuola. Perché, mi
sono chiesto, devo scrivere un romanzo dalla a alla z? Io inizio da un
episodio, e poi attorno ci costruisco il romanzo. E l'unico genere possibile
in questo senso è il romanzo giallo. E così ho scritto il
primo giallo dando al commissario, per un debito di riconoscenza, il nome
di Montalbano, che, tra l'altro, è uno dei cognomi più diffusi
in Sicilia». In Beppe Carvalho e Montalbano c'è un gusto comune
per la cucina, anche se difficilmente andrebbero nella stessa trattoria.
«Una volta dissi - ha proseguito - che Montalban doveva essere
trascinato davanti al tribunale dell'Aia accusato di genocidio perché,
se voi provate a mangiare quello che mangia Beppe Carvalho, è una
cosa terribile. E allora che cosa c'è nei due personaggi di affinità?
C'è una disincantata ricerca della verità». Vázquez
Montalbán e Andrea Camilleri hanno fatto un libro insieme. Una lunga
conversazione sul modello del dialogo Porzio-Sciascia.
«Il mondo di Camilleri - aveva detto nelle settimane scorso Montalbán
- è diverso dal mio. Con lui condivido l'ironia e una certa cultura
gastronomica. Quella del mio Pepe Carvalho è più primitiva
rispetto a quella di Montalbano».
Gaetano Ravanà
L'Arena, 19.10.2003
L’improvvisa scomparsa a Bangkok di Manuel Vàzquez Montalbàn
Ora Pepe Carvalho è solo Ma il detective non è l’unico vanto dello scrittore
[...]
Una produzione assai prolifica, fatta di poesie, saggi di sociologia,
politica, attualità e letteratura che gli ha fatto meritare numerosi
riconoscimenti, tra i quali c’è anche quel premio «Racalmare»
assegnatogli nel 1989 da una giuria presieduta da Leonardo Sciascia.
Un gemellaggio, quello tra Vàzquez Montalbàn e la Sicilia,
che ha partorito figli importanti. Non è un mistero, infatti, che
quando Andrea Camilleri dovette battezzare il commissario che sarebbe presto
diventato un caso editoriale, scelse di chiamarlo Montalbano proprio in
onore dello scrittore spagnolo. «Stavo scrivendo Il birraio di Preston
- racconta l’autore siciliano - e non riuscivo a trovare una struttura
al romanzo. Questo libro, scritto in un ordine cronologico, risultava di
una noia mortale. Leggendo Il pianista di Montalbàn, dove si fa
un certo uso del tempo narrativo, ho avuto un’illuminazione. Perché,
mi sono chiesto, devo scrivere un romanzo dalla A alla Z? Io inizio da
un episodio, e poi attorno ci costruisco il romanzo. E l'unico genere possibile
in questo senso è il romanzo giallo. E così ho scritto il
primo giallo dando al commissario, per un debito di riconoscenza, il nome
di Montalbano. Che, tra l'altro, è uno dei cognomi più diffusi
in Sicilia, ed ho preso due piccioni con una fava. In Beppe (lo chiama
proprio così, ndr ) Carvalho e Montalbano c'è un gusto comune
per la cucina, però non credo che andrebbero nella stessa trattoria.
Credo che, se dovessero fare assieme un'inchiesta, in cucina il loro rapporto
finirebbe per rompersi. Una volta dissi che Montalbàn doveva essere
trascinato davanti al tribunale dell'Aia accusato di genocidio perché,
se voi provate a mangiare quello che mangia Beppe Carvalho, è una
cosa terribile».
[...]
Bruno Fabris
l'Unità, 20.10.2003
Ormai comandano i signori dell'illegalità
“Sa qual'è la disgrazia di
essere morti? E' che non si ha il diritto di replica. E De Gasperi purtroppo
non può rispondere. Noto, comunque, un certo progresso in Berlusconi,
che da “unto del signore”, una sorta di Messia, ora si proclama un uomo
normale, un uomo politico. Quest' atteggiamento è una sorta di rientro
nella normalità. Forse per chi studia questi passaggi mentali, la
cosa può avere un certo interesse. Mi auguro solo, e lo auspico
per lui, che non prenda la parola in una commemorazione di Napoleone”.
Andrea Camilleri, con la sua ironia critica, commenta così “la pretesa
di Berlusconi di essere l'erede de De Gasperi”, e dopo un lungo periodo
di silenzio torna ad intervenire sui temi della politica. Camilleri spiega:
“L'Italia di oggi mi appare incredibile, mi sembra una realtà romanzata,
come quella che appariva nell'ultima pagina della Domenica del Corriere.
Vi sono cose che suscitano incredulità. Ed anche ilarità.
Ha visto, anche due delle tre figlie di Alcide De Gasperi, hanno preso
le distanze da Berlusconi”.
Nell'Italia di oggi, il giallo
prevale nella scrittura, a volte anche nella realtà. Montalbano
come si comporterebbe con il caso Telekom Serbia?
“E' una cosa talmente povera, misera,
priva di interesse di indagine, che Montalbano non ci metterebbe mano”.
Con la sua sottile ironia aggiunge: “le indagini le lascerebbe a Catarella,
la persona più indicata”.
Ma Catarella è un personaggio
comico nei romanzi incentrati su Montalbano?
"Perché, questa vicenda
le sembra una cosa tragica? E' tragico invece l'uso che si fa di una commissione
parlamentare. Nella storia della Repubblica le commissioni parlamentari
non sono state usate come una clava contro l'opposizione."
Antonio Padellaro ha scritto che
ci si potrebbe affidare alla penna di Le Carrè.
"Ho letto l'interessante editoriale
di Padellaro. E dico con simpatia al condirettore de L'Unità che
Le Carrè è troppo raffinato..."
La questione del voto agli immigrati
è d'attualità nel dibattito politico. Sull'immigrazione,
Lei ha scritto un bel libro “Il giro di boa”...
"Un romanzo nel quale emerge con
chiarezza che la Bossi-Fini, ribattezzata la “Cozzi Pini”, è una
legge assolutamente sbagliata. Ed i risultati si vedono quotidianamente.
Che ci siano degli aggiustamenti, mi sembra una cosa positiva, ma non la
ritengo rivoluzionaria. Sembra sconvolgente, perché la proposta
viene da destra, ma io la ritengo una proposta del tutto naturale che garantisce
dei diritti legittimi di persone che lavorano e vivono in Italia. Credo
possa dirsi che da una lotta di potere interna al Polo esca fuori qualcosa
di difendibile. Se vi sarà convergenza fra An, l'Udc ed il centro-sinistra
su un disegno di legge sul voto agli immigrati, sarà un fatto positivo.
Si tratterà di una legge liberale, democratica."
Una proposta che ha fatto saltare
i nervi ai leghisti e mette in difficoltà il Polo? Secondo alcuni
analisti politici, colpisce od almeno scalfisce l'asse Bossi-Tremonti-
Berlusconi.
"In questo teatro dell'assurdo
che è la politica italiana, è paradossale che un governo
sia condizionato da un partito che non raggiunge il 4%. ma vi sono ragioni
politiche. L'asse finora ha retto perché nella sostanza delle cose,
la Lega è il miglior alleato di Berlusconi. La Lega è il
miglior alleato di Berlusconi. La Lega è la meno recalcitrante a
votare le leggi di Berlusconi. In molte votazioni An e Udc, hanno mostrato
i loro maldipancia, il loro disappunto. Non hanno nascosto la loro diffidenza.
Vede, su di un punto voglio fare massima chiarezza. E lo dico con serenità
ed equilibrio. Sono assolutamente convinto del fatto, che non vi sia nulla
da eccepire se una coalizione di centro-destra va al potere. L'anomalia
è Berlusconi, con il suo enorme conflitto di interessi. L'anomalia
non è Fini, non è il filosofo Buttiglione, o gli altri leader
centristi. Anche se questo fa arrabbiare molti, lo ripeto con grande serenità:
l'anomalia è Silvio Berlusconi, con il suo conflitto di interesse.
So già l'accusa che mi faranno: di essere un comunista. Allora ricordo
che su tali questioni insiste Paolo Mieli sul Corriere della Sera. E Mieli
è un liberale, non un comunista. Su questi argomenti insiste Giovanni
Sartori, un altro liberale autentico. E allora il problema è il
conflitto di interessi, bisogna avere il coraggio di dirlo. E' una questione
di libertà critica."
Dunque ha deciso di farsi di nuovo
etichettare fra gli apocalittici?
"Non vedo lo scandalo di dire una
verità nota a tutti. Nel 1994 sentii dire da Berlusconi che avrebbe
risolto il conflitto di interesse. Sono passati 9 anni, il conflitto non
è risolto. Berlusconi non avrebbe dovuto essere candidato alle elezioni,
perché era detentore di concessioni statali. Certe cose bisogna
pure ricordarle."
Ma Lei ha sempre sostenuto la tesi,
che la maggioranza degli italiani ha votato Berlusconi e dunque sulla scia
di Montanelli, ha parlato “della teoria del vaccino”. In buona sostanza,
lasciatelo governare e gli italiani si ricrederanno.
"Sono un democratico. Ed ovviamente
ho sempre insistito sulla celebre tesi di Montanelli, che certo non era
un uomo di sinistra, ma un conservatore. Non giudico per partito preso,
ma valutando i fatti. Adesso modificherei però la frase: questo
calice va bevuto sino alla feccia. Perché, dapprima penavo: uno
beve il vino per scoprire la feccia, qui non vi è stato bisogno
di berlo fino in fondo questo calice, si è subito scoperta la feccia.
Vede, nell'Italia di oggi passa un messaggio di lassismo, di menefreghismo,
di non rispetto delle regole. Pensi alle leggi sui capitali esportati illegalmente
all'estero, e poi fatti rientrare come se nulla fosse. Si può costruire
su una spiaggia demaniale, poi si pagano un po' di soldi e si rientra nella
legalità. Questo continuo spostamento dei confini tra legalità
e illegalità produce un disagio altissimo, che non è solo
morale. Diventa un fatto di costume sociale. E' quel che io chiamo la morale
del motorino, che imperversa in Italia. Con il motorino si può evitare
la fila, destreggiarsi tra le auto e poi passare con il rosso. Tanto con
il motorino si ha facilità di manovra, si può andare contromano,
si fa lo slalom. Insomma, si fa quel che si vuole, fregandosene delle regole.
Che anzi, diventano un elemento di fastidio, di disturbo."
In Italia si discute molto dei
toni della polemica politica. Si dice sempre, non bisogna alzare i toni.
Cosa ne pensa?
"Credo che il livello dello scontro
sia alto per via di Berlusconi. E non mi vengano a dire, poi che è
un ossessione della sinistra o degli intellettuali. Perché se viene
una critica da sinistra, molti buoni giornalisti ti dicono: questo non
si dice, i toni sono troppo alti. Se le critiche vengono dall'altra parte,
si tratta di normale dibattito politico, di espressioni colorite. Essendo
una persona equilibrata e critica, non mi faccio abbindolare. La mia è
solo la constatazione di uno stato di fatto. Proprio per smontare le tesi
dei detrattori le dirò una cosa importante. E nessuno mi potrà
accusare di essere un nostalgico politico. Con Gianfranco Fini potrei dialogare,
usare lo stesso linguaggio, pur da posizioni diametralmente opposte. Perché
quello di Fini è un linguaggio che ha un substrato cultural-politico,
seppur diverso dal mio. Con Berlusconi invece non puoi ragionare in termini
politici, perché ha un linguaggio aziendale. A volte irresponsabile.
Pronto a menar fendenti a destra e a manca. A definire chi non pensa come
lui un comunista, a delegittimare gli avversari. E' lui che ha iniziato
questo gioco della denigrazione. Anche se molti fingono di non ricordarlo."
Come giudica sul piano tattico,
della comunicazione, l'alleanza fra Berlusconi e Bossi?
"E' una tattica pensata, studiata.
Vi è il tentativo di Berlusconi di demandare la parolaccia a Bossi,
l'irruento, che dice lo cose come stanno. Berlusconi è quello che
si propone come un mediatore, però finisce per essere un giocatore
in campo. Berlusconi, disse in buona sostanza che in quel posto c'erano
i comunisti, quindi il male. Si rende conto? Come mi debbo sentire io,
uomo di sinistra, libero, che non ho mai fatto del male a nessuno e che
ho sempre rispettato le regole? Quando critico Berlusconi, molti si sentono
a disagio, altri sorridono con sufficienza. Due pesi, due misure. La smetta
Berlusconi di dire agli americani che lui ha fatto scomparire i comunisti,
mentre il Pci subiva un duro travaglio, spingendo sulla strada della democrazia
occidentale, tracciata da Enrico Berlinguer, che aveva fatto lo strappo
di Mosca. Lui va a dire che ha salvato l'Italia dai comunisti, quando nel
'94 non esistevano più, e non certo per Berlusconi, ma per un complesso
processo di trasformazione storica, internazionale. Berlusconi è
un Don Chisciotte che riesce a convincere gli altri che non sta combattendo
contro i mulini a vento. Ha un po' troppe ossessioni: il comunismo, la
magistratura... Ristabilire alcune verità, ed avere un maggior equilibrio
nell'analisi delle vicende, farebbe bene a tutti."
In Italia si è abbassata
la soglia di attenzione nella lotta alla mafia?
"Certo. Del resto quando si indebolisce
chi è in prima linea, come può essere altrimenti. Quando
si dice che i giudici sono antropologicamente matti, diversi. Berlusconi
dice una cosa vera. Perché bisogna essere matti come Falcone, Borsellino,
Livatino, Chinnici e tanti altri eroi civili, per sacrificare la propria
vita in nome della legalità. In questo i giudici sono diversi, per
combattere la mafia hanno il coraggio di rischiare la vita. Spero che mi
facciano giudice ad honorem, per condividere ed onorare questa diversità
dei giudici. Uscendo dal paradosso, quando si afferma che i giudici sono
matti, si fa un favore alla mafia, li si delegittima. Ha visto di recente
una trasmissione su Rai Tre, Primo Piano, dove un boss della mafia
diceva che i giudici erano l'ultimo anello della catena dell'umanità.
Poi ho pensato alle dichiarazioni di Berlusconi sui giudici, antropologicamente
diversi. Mi chiedo, con grande serenità d'animo, senza pregiudizi:
se un presidente del consiglio dice che i giudici sono antropologicamente
diversi, dei disturbati mentali, li aiuta? Penso che si tratti di frasi
irresponsabili, che suscitano giustamente indignazione dell'opinione pubblica.
Si delegittima, si denigra chi lotta per la legalità. D'altra parte
adesso c'è la tesi dei mandanti linguistici, dunque figuriamoci."
A proposito di “mandanti linguistici”,
vi è stata una dura polemica tra Giuliano Ferrara da una parte e
“L'Unità”, Tabucchi e “Le Monde” dall'altra...
"Assurdo arrivare all'accusa di
mandante linguistico di un assassinio in una polemica giornalistica, è
una tesi da tribunale fascista, o da tribunale sovietico ai tempi di Stalin.
Non è discutibile, non c'è da parlarne... Però voglio
esprimere la mia totale solidarietà a Furio Colombo e Antonio Tabucchi."
Le pensioni sono un altro tema
centrale del dibattito attuale. I sindacati hanno deciso lo sciopero generale.
"Le pensioni riguardano il quadro
generale di politica di questo governo. Fanno parte del disegno del governo
Berlusconi, che è quello di non aumentare le tasse, per poter dire
di aver mantenuto le promesse. Il problema però è che i soldi
non ci sono, e debbono far quadrare i conti, il bilancio dello Stato. Ed
allora venderanno tutto il vendibile per far cassa... Una politica folle.
Ma toccare le pensioni, è un fatto di grande impatto sociale. E
credo che sull'opinione pubblica abbia lo stesso effetto dell'aumento delle
tasse. Manca un progetto organico e razionale."
Alle ultime elezioni il Polo è
andato male, il centro-sinistra è cresciuto...
"Nonostante il conflitto di interesse
ed il monopolio delle tv, da parte di Berlusconi. Si potrebbe dire che
la tv è una cosa, le tasche dei cittadini sono un'altra. Spero che
gli italiani si stiano ricredendo su Berlusconi, insomma spero che il vaccino
stia funzionando. I segnali ci sono e sono evidenti. Il centro-sinistra
ha vinto di recente da Udine a Ragusa. I berlusconiani minimizzano, dicono
che si è trattato solo di amministrative. Da democratico dico: vedremo
con le elezioni europee ed i prossimi appuntamenti elettorali."
Il suo ultimo libro “La presa
di Macallè” è ambientato nell'epoca fascista, ed è
anche una denunzia critica delle manipolazioni della propaganda fascista.
Cosa pensa delle dichiarazioni di Berlusconi allo “Spectator” su Mussolini?
"Non so, francamente uno rimane
disarmato. Non so cosa rispondere. Viene voglia di dire: si prepari meglio
e torni ad ottobre. Come si può negare l'evidenza storica? Penso
a Matteotti, a Gobetti, morti per le botte dei fascisti. Penso a quelli
che hanno subito il confino... Mi creda, sono senza parole. Se non si rispettano
i morti..."
Salvo Fallica
Il Giorno,
23.10.2003
L'ansia, malattia del nostro tempo: i racconti di Albertini, Krizia,
Costacurta
Milano — Qual è il rapporto tra creazione letteraria e disturbi,
anche lievi, della psiche? La relazione è significativa: ce lo dimostrano
le vite di grandi scrittori, che contrastarono con la scrittura le loro
ansie, le loro depressioni e le loro insonnie. Kafka dedicò pagine
intere del suo diario alla scrupolosa osservazione della sua incapacità
di dormire. Da Lord Byron, a Pushkin e Kipling, la lista degli autori afflitti
da ansia creativa è davvero interminabile. Solo in casi estremi,
come quelli drammatici della poetessa Sylvia Plath o di Cesare Pavese,
l'autodistruzione ebbe la meglio sulla loro creatività. Sedici Vip
del mondo della cultura, della politica, dello spettacolo e dell'economia
(il sindaco di Milano, Gabriele Albertini, Andrea Camilleri, Alessandro
Bergonzoni, Alessandro Haber, Krizia, Billy Costacurta, Giorgio Rumi, Margherita
Hack, Maria Pia Fanfani, Vittorio Merloni, Monsignor Gianfranco Ravasi,
Paolo Limiti, Romano Battaglia, Corrado Passera, Giuseppe Prisco, Leonardo
Mondadori) hanno elaborato una serie di racconti che parlano di questo
argomento, ossia delle cosiddette «distonie neurovegetative»
che colpiscono più o meno tutti nel corso della vita. Questa raccolta
di «Racconti sull'ansia» (Passoni editore) - curata da Maria
Alessandra Molza, arrivata alla seconda edizione e presentata stasera,
alle 18.30, alla Terrazza Martini di piazza Diaz 7) è aperta dall'intervento
del sindaco Gabriele Albertini, autore di una storia che racconta l'incontro
del «Signor G.» con se stesso, dopo aver superato la trappola
creativa dell'ansia. Il volume è dedicato a Leonardo Mondadori e
a Giuseppe Prisco, di recente scomparsi, ed è disponibile presso
la libreria Mondadori di corso Vittorio Emanuele. Il ricavato delle vendite
sarà interamente devoluto all'ANT (Associazione Nazionale Tumori).
Alla presentazione di stasera intervengono Gabriele Albertini, Billy Costacurta,
Paolo Limiti, Corrado Passera.
M.R.
Il
Messaggero, 23.10.2003
La storia
«Montalbano sono». Anzi, il suo sosia Gioie e dolori per Manlio Tiselli, 29 anni, futuro avvocato “copia”
dell’attore Luca Zingaretti
Storia del nostro tempo che ha stravolto la serenità di un giovane
romano, che senza volerlo è diventato “famoso”. E’ balzato alla
ribalta e vive sotto la “minaccia” dell’obiettivo indiscreto dei paparazzi
e la paura di bisticciare con Valentina, la ragazza.
Manlio Tiselli, 29 anni e futuro avvocato, aveva una vita normale.
Adesso ha sempre il timore di qualcuno che lo pedini per una foto ghiotta
e il pensiero di trovarsi in situazioni che possono far male alla fidanzata.
Tranquillo, una persona alla mano, un amicone senza “grilli per la
testa”. Poi, improvvisamente e impetuoso è arrivato il successo
di un altro, Luca Zingaretti, protagonista in televisione de “Il commissario
Montalbano”, personaggio nato dalla fantasia dello scrittore Andrea Camilleri.
Luca e Manlio sono due gocce d’acqua. Qualcuno potrebbe aggiungere
che sono separati dalla nascita.
Entrambi hanno frequentato la stessa zona, nei pressi dell’Eur per
via dell’amore che nutrono per lo sport.
Una passione immensa che li lega come la straordinaria somiglianza.
Ma non si sono mai incontrati, non si conoscono.
Zingaretti, fa parte della nazionale di calcio degli attori. In passato
ha giocato nella squadra del San Paolo-Ostiense e con il Rimini, nel campionato
italiano semiprofessionisti. L’altro invece è un pallanuotista,
bomber e allenatore della squadra capitolina “le Magnolie”.
La notorietà fa piacere, ma ha diversi inconvenienti che limitano
la libertà, la privacy.
Si passa dalla gioia a un’infinità di scocciature. Fastidi che
seccano maggiormente quando sono di riflesso, arrivano da chi è
come un gemello o addirittura sembra la nostra immagine nello specchio.
Al bar il sosia ordina un caffè e lascia dieci centesimi, il
cameriere lo guarda stolto, come se volesse dirgli: «Tirchio».
Certo, da una celebrità come Montalbano, sarebbe gradita una mancia
più consistente...
Per strada lo salutano con simpatia. «Buongiorno commissario»
e le ragazze lo guardano con attenzione. «Hai visto? E’ lui! E’ proprio
lui. Oddio che fico», mormorano, mentre con gli occhi lo squadrano
dalla testa ai piedi, spogliandolo con lo sguardo.
Niente da fare. Manlio è legatissimo a Valentina, ma la gelosia
è sempre in agguato e per colpa di qualche ammiratrice piovuta dal
cielo e ogni tanto sulla quiete del loro amore arriva il temporale.
Ad accentuare l’equivoco c’è la complicità di un bolide
rosso da divo, che è di proprietà del papà di Tiselli.
Una fiammante “MG” spider, che Manlio usa per gli spostamenti in città.
Il particolare modello della macchina contribuisce a creare più
confusione.
Le fan lo rincorrono per chiedergli l’autografo. I fotografi invece
lo inseguono nella speranza di uno scoop e lui non ce la fa più.
Ha perso la pace.
Flavio Martino
WUZ, 24.10.2003
Andrea Camilleri
La presa di Macallè "Dopo mangiato, tutti dettero come cosa cògnita il fatto che Michelino si andava a corcare con Marietta nello stesso letto. Mentre la cuscina lo spogliava, Michilino la taliava."
Ormai da settimane quest'ultimo romanzo di Camilleri svetta ai primi posti della classifica. Ogni opera del nostro grande siciliano attira innumerevoli lettori che lo apprezzano come autore di polizieschi, di romanzi storici e, come in questo caso, di romanzi di argomento sociopolitico. Si può infatti parlare di un testo che, nell'esasperazione della descrizione dell'infanzia di Michelino, il protagonista, traccia un quadro simbolico di una cultura dominata dal fanatismo, dalla contaminazione arbitraria tra sacro e profano e dall'esasperata presenza del sesso in un contesto bigotto e perbenista. Il padre, un fascista che in paese ha un riconosciuto potere, appare fin dalle prime pagine il principale responsabile di una mentalità che in famiglia (ma questa famiglia è specchio dell'intero paese, preti inclusi) domina: i comunisti non sono uomini, sono bestie, ucciderli quindi non è peccato; l'amore ancillare può essere accettato nell'uomo (che deve dar sempre prova di virilità anche con la moglie tradita) che si fa perdonare con qualche dono e qualche attenzione in più; l'adulterio invece per la donna è da punire con le botte e l'esilio; la violenza sessuale su di un bambino deve essere risolta con una vendetta privata e mai denunciata pubblicamente; le armi sono emanazione della virilità e del coraggio e quindi possono essere date in mano a chi si prepara a diventare un buon fascista. La mitologia che circonda il regime, le parate, le mascherate, l'orgoglio imperiale e il disprezzo per i popoli vinti così come una concezione distorta di peccato e di fede riempiono la testa di questo bambino di sei anni di cui tutti gli adulti abusano e che viene violato nel profondo della sua stessa coscienza così da renderlo un pluriassassino. La crudezza delle descrizioni, sia che riguardino i numerosi rapporti sessuali presenti nel romanzo o i delitti compiuti con tanta inconsapevolezza da Michelino, non è nell'abituale stile di Camilleri e può spiazzare il lettore che conosce la delicatezza narrativa di questo autore, ma una cosa è certa: la finalità non è attrarre il lettore con scene audaci quanto mostrare la violenza e l'ipocrisia di un momento della nostra storia recente che ha segnato con forza anche il costume e la cultura dell'intero Paese per più generazioni e denunciare l'opera distruttiva compiuta sulla psicologia di un bambino, un tradimento che vede alleati due fondamentali simboli della morale: la chiesa e la famiglia.
Grazia Casagrande
Il Giorno,
26.10.2003
Corsi di cucina a Cesate. Ultime iscrizioni all'Uovo Sodo
Cesate — Aperte ancora per poco le iscrizioni al corso di cucina “Uovo
sodo” organizzato dall'ufficio cultura del comune di Cesate. Otto gli incontri
in programma, divisi in due moduli da quattro dal titolo “Dalla stufa al
fornello” e “La cucina globale”. Un percorso che spazia tra passato e futuro,
attraverso le tradizioni, la letteratura, la multietnicità, che
si presenta come una officiana culturale. La prima serie di incontri inizierà
il 7 novembre. Tra gli appuntamenti più significativi di questa
prima trance si segnala l'incontro dal titolo “Il giallo in cucina” nel
quale saranno realizzate le ricette dei personaggi di Montalban, Simenon,
Izzo e Camilleri. Nel secondo modulo sarà prediletto l'aspetto più
meticcio della cucina, quello che nasce dalla contaminazione tra diverse
culture culinarie. Piatti preparati durante i vari incontri saranno consumati
con i partecipanti. Il corso si terrà presso la cucina della media
di via Venezia. Info: ufficio cultura 02 9940148.
Il Centro Diego
Fabbri organizza a Forlì, dal 29 al 31 ottobre 2003 (Auditorium
Cassa dei Risparmi, via Flavio Biondo 16) il convegno Diego Fabbri e
il teatro delle idee. Uno sguardo sul Novecento e una domanda per il futuro.
Nel corso della prima giornata è previsto un contributo filmato
di Andrea Camilleri dal titolo "Scrivere, sceneggiare. Testimonianza per
Fabbri".
Per tre giorni, da oggi al 31 ottobre all'Auditorium della Cassa dei
Risparmi di Forlì si parlerà di Diego Fabbri e il teatro
delle idee. Uno sguardo sul Novecento e una domanda per il futuro.
Oggi (ore 15.30) si alterneranno: Giovanni Antonucci, Gianfranco Bettetini,
Fabio Battistini e un intervento-testimonianza (in video) di Andrea Camilleri
che, ripercorrendo le tappe della sua amicizia e della collaborazione in
teatro e tv col drammaturgo forlivese, dice di lui: «Era un uomo
di una libertà mentale assoluta. Era umanamente straordinario, di
una grandissima generosità». Domani interverranno: alle ore
9.30 Fabrizio Frasnedi, Luciano Bottoni, Gastone Mosci, Fabio Pierangeli,
Giovanni Tassani; alle ore 15.30 Emilio Pozzi, Annamaria Cascetta, Andrea
Bisicchia, Giovanni Marchi a cui seguirà la presentazione del sito
internet del Centro Diego Fabbri (www.centrodiegofabbri.it). Concluderanno
il convegno, il 31 ottobre (ore 15.30): Marco De Marinis, Sisto Dalla Palma,
Paolo Puppa. A loro si aggiungeranno: una testimonianza di Rossella Falk;
la presentazione della nuova associazione Centro Diego Fabbri; il premio
di drammaturgia Diego Fabbri presentato da Nanni Fabbri, figlio del drammaturgo.
Il convegno, organizzato dal Centro Diego Fabbri, dal polo scientifico
didattico di Forlì con la collaborazione del teatro Diego Fabbri,
della Provincia, della Regione e della Fondazione della Cassa dei Risparmi
di Forlì si pone come obiettivi non solo di approfondire l'opera
teatrale del drammaturgo, ma anche di analizzare le condizioni relative
al teatro oggi e al rischio che cada nella dimenticanza una serie di autori
e di opere che invece dovrebbero essere riproposti ricercandone l'identità.
Rosanna Ricci
Innanzitutto un complimento, caro lettore. Il suo standard di lettura
(in pratica un libro a settimana) è davvero un'eccezione in un paese
in cui ancora oggi, per sessanta persone su cento, il libro è un
oggetto sconosciuto che non entra neppure una volta l’anno in casa, Il
suo consiglio di lettura, che nasce dall’esperienza, è pertanto
prezioso, cercherò “La Chiromante”, questo romanzo di cui si dice
meraviglie, che a suo avviso non è ne canonico, né banale,
e che purtroppo non conosco (l’ho richiesto in più librerie senza
esito). Lei è pessimista, tutto la delude. Ma vede: annusare un
buon libro è un po' come andare a cercare tartufi. Ci vuole fiuto,
esperienza, fortuna, In realtà sui giovani si punta molto, credo
che oggi non ci sia uno scrittore giovane di qualche talento che non sia
alla fine riuscito ad andare in libreria. La nostra editoria è malata
di giovanilismo, un fenomeno che non ha riscontro in altri paesi. Non sarei
così catastrofico come lei. In Italia escono tre romanzi al giorno.
Ci vuole anche qui fiuto e pazienza per cercare ciò che non ci delude.
Mi permette una controsegnalazione? Legga (se non l’ha ancora fatto) Austerlitz
(Adelphi) di Sebald, uno straordinario romanzo di passione e conoscenza.
Legga Non ho paura (Einaudi) di Ammaniti (Salvatores ne ha ricavato un
buon film candidato all’Oscar). Legga l’ultimo Camilleri, La presa di Makallé
(Sellerio). Tre modi diversi di scrivere romanzi; ma in tutte e tre i casi
c’è quel piacere del testo senza cui non c’è romanzo, ma
(come lei dice) solo “storie che vendono”. Insomma la ricerca è
laboriosa, ma la pesca può dare ancora un esito cospicuo, come nel
mio caso che sottopongono alla sua vigile esperienza.
Corriere della sera,
30.10.2003
L’intervista
«Poche copie, così il marketing ha aumentato l’aspettativa»
«Fenomeni editoriali così non si erano mai visti - dice
Ilaria Milana, una delle proprietarie della libreria Mondadori di via Piave
- Qualcosa di simile è avvenuto solo con Camilleri. Ma la richiesta
dei libri dell'autore siciliano non è paragonabile alla fama del
giovane mago [Harry Potter, NdCFC]».
[...]
Si. Te.
Il Giorno,
31.10.2003
Legnano
Il 4 Novembre il Giallo italiano inizia il suo tour fra biblioteca
e bar
Cesate — Inizierà martedì 4 novembre il ciclo di incontri
sul "Giallo italiano" organizzato dall'ufficio Cultura del comune di Cesate.
Lo scrittore Bruno Pischedda sarà il mattatore di queste serate
un po' itineranti, che si svolgeranno tra la biblioteca e i bar del centro.
In Italia il giallo è un genere che ha dimostrato di poter sopravvivere
ai tempi e alle mode, riuscendo ad arrivare direttamente al cuore di migliaia
di lettori.
I recenti successi in libreria di autori come Camilleri, Lucarelli,
Ferrandino e Scerbarnenco ne sono la prova evidente.
Si partirà, come sulle orme di un killer, martedì 4,
con un incontro, presso la biblioteca di via Donizetti, con la giallista
Laura Grimaldi.
Il 18, sempre presso la biblioteca, toccherà alla serata dal
titolo: “Nascita e sviluppo del giallo italiano nel Novecento”.
Il 4 dicembre, presso il bar Lady Eis in p.zza IV Novembre, saranno
analizzati “Sciascia e il territorio mafioso”.
Bruno Pischedda guiderà i presenti nella lettura critica de
“Il giorno della civetta". Il 16, presso il bar Pasticceria Ma.Ma. di via
C. Romanò, toccherà al giallo alla milanese, titolo della
serata nel corso della quale verranno letti brani tratti da “Venere privata”:
“Scerbarnenco e il delitto alla milanese”.
Si proseguirà il 13 gennaio, presso il bar Dalì di via
Tagliamento, con l'analisi dei testi di Fruttero e Lucentini ambientati
a “Torino, la fabbrica del crimine”.
Il 27 gennaio, presso il bar Rosanno via C. Romanò, sarà
la volta del più filologico dei giallisti: "Umberto Eco e le indagini
di frate Guglielmo"; verranno ovviamente letti brani tratti da “Il nome
della rosa”.
Chiusura, il 3 febbraio, presso il bar Tropeiro di via Italia, con
la serata dedicata a Camilleri e a "Montalbano, il commissario no global".
Tutte le serate inizieranno alle 21.
Per informazioni: ufficio cultura tel 029940148, e-mail biblioteca@comune.cesate.mi.it.
Christian Boniardi
L'indice, 10.2003
La duplice natura della scrittura di Camilleri tra storia e invenzione
Voglia di sgorbio
C’è un libro nella bipolare produzione di Camilleri,
divisa tra romanzi storici e gialli di Montalbano, che sta in esergo. È
Il
corso delle cose, uscito nel 1978 ma scritto almeno dieci anni prima.
Il titolo riprende una citazione di Merleau-Ponty, l'autore di Senso
e non senso, dove l'uomo contemporaneo è messo di fronte alla
insensatezza del corso delle cose, non più visibile e lineare ma
diventato sinuoso e imprevedibile. Questa visione servirà a Camilleri
per spiegare, in una lezione tenuta nel 1996 a Pisa, l'atteggiamento ultimo
di Pirandello appena reduce dai Giganti della montagna che è
stato incapace di completare: Pirandello scopre l'insorgenza di una realtà
nuova, privata di certezze, e Camilleri, leggendo I giganti, si
ricorderà di Merleau-Ponty e dello scacco cui il caduco eroe del
nostro tempo soggiace.
Il primo libro di Camilleri è dunque il segnale
di una concezione che si preciserà meglio quando prenderà
un'inerzia produttiva assumendo i contorni di una dualità parallela,
sempre giocata in maniera ondivaga, risultato di una concezione binaria
della realtà, svolta su due piani distinti e intersecati. Bisogna
intendersi bene sulla sostanza di questa esperienza, riportando innanzitutto
Camilleri all'età infantile.
La scoperta che egli fa della deviazione dei corso
delle cose rimonta infatti all'età dei miti dell'adolescenza ed
evoca nonna Elvira, la prima a mostrargli il mondo dentro un prisma, le
cose disposte in una doppia natura, la stessa nella quale Debenedetti distinguerà
l'occhio sinistro delle visioni e l'occhio destro della vista e Cecchi
indicherà il duplice aspetto dei "pesci rossi". È un bambino
quando nonna Elvira lo porta in campagna per fargli conoscere il mirmecoleone,
un invertebrato che vive sotto la sabbia e che, non visto, cattura in superficie
le formiche. Il piccolo Andrea, Nené, scopre che la realtà
è doppia e che dietro - o sotto - quella apparente ne agisce un'altra,
mascherata e preminente. Non è un caso se mezzo secolo dopo ritroverà
lo stesso termine in Borges. E non è per caso che dichiarerà
ripensando al mirmecoleone: "All'età di sei sette anni si formano
in me due terreni paralleli: uno è quello della fantasia, dell'invenzione
pura. L'altro quello della lettura diciamo realistica, o quasi. Due piani
che non avrei mai abbandonato".
Si tratta di due piani che si tingono a vicenda.
Novel
e
récit sono i capi di una fune tirata sempre dal lato dell'invenzione.
Se si esclude l'incipitario Corso delle cose, i libri che Camillleri
compone dal 1980 al 1994 (quando esce il primo titolo della serie Montalbano),
nell'arco cioè di quasi quindici anni, sono tutti di genere storico,
suggeriti da smagate ricerche svolte nelle 1410 pagine dimenticate dell'inchiesta
parlamentare in Sicilia del 1875 e poi in quella di Franchetti e Sonnino.
Camilleri ha materiale per fare dei saggi storici e si inoltra in questa
via, ma strada facendo finisce per trovarsi nelle mani ogni volta un romanzo.
In una intervista dirà che ama leggere i documenti storici ma leggendoli
non può non vederci presenze che gli fanno puntualmente crescere
"la voglia di sgorbio". Ci sembra di rivedere Sciascia fermo allo stesso
bivio e poi avviarsi lungo la terza via della sintesi tra saggio e romanzo,
la stessa che Camilleri rifarà sia pure prendendo sentieri discosti.
Quando riceverà la laurea honoris causa
alla
Iulm Camilleri terrà presenti i "due terreni paralleli" sui quali
sono fioriti i suoi frutti più maturi e parlerà di Minucu,
il massaro che da bambino gli raccontava storie come quella dell'uomo con
due teste ognuna delle quali parla una lingua diversa: l'uomo si trasforma
in un mostro quando le due lingue si sovrappongono e torna normale quando
diventano una sola.
La duplicità della lingua, nessuna prevalente
sull'altra, l'ambivalenza di romanzo e saggio, cui corrisponde un'equivalenza
di generi, l'alternanza tra ricerca e invenzione, sono tutti elementi che
covano una vocazione, i romanzi storici distinguendosi da quelli di Montalbano
per un diverso ruolo che gioca la folla: manca nei secondi per esibirsi
invece nella quasi totalità dei primi. Romanzi decisamente corali
e polifonici sono Un filo di fumo, La strage dimenticata, Il bírraio
di Preston, La concessione del telefono, La scomparsa di Patò, Il
re di Girgenti: segno che quando Camilleri trae una storia dalla Storia
la sua macchina di localizzazione si ferma a una certa altezza sulle teste
dei personaggi, che appaiono maschere e dunque sensibili a uno sguardo
ironico e comico, riducibili a uno stesso livello zero della parlata dei
personaggi e dell'autore, intonato che abbia una voce popolare votata al
riso. Il rovesciamento della morale costituita cui si assiste nei romanzi
storici di Camilleri, con l'uso della satira rivolta alle autorità
e ai potenti, non è lo stesso che sortisce il sentimento del contrario
di matrice pirandelliana, ma coglie un dippiù di socratico, al fondo
di una coscienza etica che comporta anche un giudizio di valore sociale
e civile. È Bachtin l'ideologo di Camilleri. Che quando prende consapevolezza
di uno stato di schizofrenia letteraria che lo porta a guardare i suoi
personaggi a volo d'uccello mentre si immagina di parlare loro negli occhi
facendo propria la loro lingua, cre un doppio di sé: diventa un
autore in cerca di personaggi e per questa viatrova Salvo Montalbano.
È un caso di serendipity: il commissario
non nasce già formato come Minerva dal cranio di Giove, ma cade
- quale lo vediamo nella Forma dell'acqua - incomposto e larvale
nell'officina di Camilleri quando egli è impegnato a smaltire la
folla e fare spazio a un suo personaggio di conio, plasmato con la cura
e l'incertezza di un mastro Geppetto che volendo un balocco di legno ottiene
invece un burattino animato. Montalbano nasce da un'energia alternativa,
dal senso del doppio, della digressione e della moltiplicazione, che nutre
Camilleri. Lo ha detto nella Bolla di componenda: "È un mio
difetto questo di considerare la scrittura allo stesso modo del parlare.
Da solo, e col foglio bianco davanti, non ce la faccio, ho bisogno d'immaginarmi
attorno quei quattro o cinque amici che mi restano stare a sentirmi, e
seguirmi, mentre lascio il filo del discorso principale, ne agguanto un
altro capo, lo tengo canticchia, me lo perdo, torno all’argomento".
Davanti alla folla di figurine che le ricerche storiche
gli restituiscono, Camilleri ha bisogno di una figura con cui divagare.
Montalbano è li e si offre per correggere il suo "difetto" giustificandolo:
è la digressione che Camilleri si concede rispetto al discorso principale;
è un carattere, cioè un personaggio. E come tale veste il
calco di tutti gli altri personaggi della serie, che Camilleri non ha bisogno
di descrivere fisicamente: posti sulla scena non si presentano ma parlano,
sicché solo ascoltandoli e osservandoli il lettore-spettatore li
conosce. Camilleri è stato chiaro rivelando che per riconoscere
i suoi personaggi ha bisogno di vederli camminare.
Quando appare per la prima volta, nella Forma
dell'acqua, Montalbano rimane con un piede in aria perché non
sa ancora camminare. Non è formato. Solo nel Cane di terracotta
la
figura diventa un carattere e Montalbano mette entrambi i piedi a terra
camminando. Camilleri può finalmente parlargli adempiendo la propria
devozione all'oralità. Per poi tornare alla scrittura, al "discorso
principale", all’"argomento", cioè ai romanzi storici, alle sue
figurine in macchietta.
E la dualità che crea, tra scrittura e oralità,
folla e individualità, ricerca e sgorbio, rimanda ragioni da una
all'altra sfera. Che sono parte però di uno stesso quadrante. Camilleri
non può fare a meno di uno dei suoi due mondi ed è per questo
che fonda Vigàta: per riunire tutti, figure e figurine, in uno stesso
luogo mentale. Il suo.
Gianni Bonina
Domande a Camilleri
Si può pensare che Montalbano sia nato
da una costola dei romanzi storici? Camilleri, impegnato a riscrivere a
suo modo la storia, e quindi alle prese con personaggi che non sono personaggi
veri ma elementi di un coro, sente a un certo punto di dovere inventare
un personaggio con una vita propria e non insufflata. È così?
La questione è più complessa. Io non
ho avuto amici romanzieri che mi aiutassero e consigliassero. E non ne
ho tuttora. L'unico fu Dante Troisi, che però era un saggista. Devo
dire che la mia tecnica scrittoria mi preoccupava. Mi chiedevo: perché
comincio un romanzo non sapendo la collocazione che avrà ciò
che scrivo? Eppure sono un uomo ordinato. Mi faceva rabbia vedere che partivo
da un punto attorno al quale costruire il romanzo e non sapere poi se quelle
cose che andavo scrivendo sarebbero state il punto centrale o sarebbero
state eliminate, come pure è successo più volte. Sono capace,
mi dicevo, di scrivere un romanzo che abbia un inizio e arrivi a una fine?
Avevo finito di leggere il saggio di Sciascia sul romanzo poliziesco e
così tutti i romanzi credevo che dovessero cominciare con un'alba,
cioè un inizio canonico. È così che è venuto
fuori La forma dell'acqua:come atto di autodisciplina e esercizio
di confronto con me stesso. Volevo verificare se ero capace di creare un
personaggio vero, identificato.
A stare bene attenti, in realtà Montalbano
nella Forma dell'acqua ha un ruolo esornativo. Lei ha bisogno di
un commissario e trova lui. È nel Cane di terracotta che
Montalbano diventa personaggio.
È vero. Nel primo libro svolge solo una funzione.
Invece mi interessava promuoverlo a personaggio. Non solo ha avuto successo
ma ha fatto da traino agli altri libri storici, come giustamente aveva
visto Elvira Sellerio. Che mi disse: 'Guarda che Montalbano si tira appresso
gli altri'. Allora mi sono detto: "Se questo è un grimaldello perché
non usarlo?".
Diciamoci la verità: i romanzi di Montalbano
non valgono quelli storici.
Già, ma salverei proprio Il cane di terracotta,
che
si avvicina al gioco della memoria che è un tema di mio interesse
particolare.
Lei non ama Montalbano, l'ha detto sempre.
Gli sono grato, ma amarlo proprio no. Non sono come
Simenon.
Infatti Simenon non ha mai cambiato Maigret,
rimasto per decenni immutabile proprio per restare in vita. Lei invece
ha creato Montalbano morituro. Invecchia e prima o poi è inevitabile
che muoia.
In realtà è sopravvissuto imponendosi,
perché sarebbe scomparso da anni, già dal tempo del Cane
di terracotta.