RASSEGNA STAMPA
AGOSTO 2004
Italia Nostra, 7-8.2004
“Marinella, mare di cemento il commissario Montalbano non potrebbe
sopravvivere lì”
Viaggio nella Sicilia della memoria con lo scrittore Andrea Camilleri:
chi vuole conoscere davvero l’isola deve lasciare la costa e entrare nei
paesi dell’interno che come tante ostriche nascondono sempre una perla.
Per questo nostro dossier abbiamo “usato” Andrea Camilleri, il più
amato, arguto e generoso scrittore italiano, prossimo a diventare ottantenne,
come deposito di memoria sulla Sicilia, la “vecchia signora”, come la chiama
lui. Un viaggio fitto di ricordi e di rimpianti per ciò che si è
perso ma senza per questo essere espressione “della lagnosità di
un vecchio”.
Camilleri, com’era la Sicilia quando lei era un bambino?
Stiamo parlando di 75 anni fa; la prima cosa che viene in mente è
che 75 anni significano moltissimo per un uomo- tutta una vita- ma
non dovrebbero significare poi così tanto per una città,
per un paesaggio. Invece, tirate le somme, mi rendo conto che vogliono
dire moltissimo: in questi 75 anni alla Sicilia sono successe cose paragonabili
allo storpiare un bambino, fargli cose terribili, condizionarne e mutarne
l’esistenza. Lo dico a partire da una esperienza del tutto personale.
Perché? Lei quando ha cominciato a percepire i mutamenti
più inquietanti?
Ho ambientato tutti i miei romanzi in questo luogo ideale che è
Vigata, paese dalla geometria variabile che rappresenta in realtà
tutta la Sicilia. Un paesaggio dunque tutto di memoria, come può
capitare a uno come me che è venuto a Roma nel 1949; anche se in
Sicilia ci sono sempre tornato e continuo a farlo spessissimo, di alcune
trasformazioni mi rendo conto e di altre no. Perciò l’impatto veramente
brutto l’ho avuto quando si è trattato di fare i sopraluoghi per
girare i Montalbano televisivi. Il commissario abitava in una villetta
isolata a Marinella. La produzione mi chiedeva di indicare dei luoghi per
le riprese. Ho cominciato a guardare i luoghi con altri occhi e mi sono
reso conto che le immagini che avevo dentro di me non combaciavano con
quello che vedevo. Marinella è un mare di cemento. Montalbano non
sarebbe mai andato ad abitare là.
E la campagna?
Anche quella è tutt’altra cosa ormai. Nella mia zona, Porto
Empedocle, ci sono delle strade che partono all’improvviso e arrivano così,
senza senso, a ripa di mare. Non sto scherzando. Finiscono sulla spiaggia,
o in campagna, in nessun luogo. Opere evidentemente realizzate solo per
favorire costruttori, brutte storie di brutti appalti, immagino, perché
nessuno ha bisogno di quelle strade. Ho nel cuore la mia campagna, che
è stata tagliata a metà da una strada dove passano in doppia
fila i tir dell’Italcementi. Una rovina. Così mi è venuta
una sorta di schizofrenia. Continuo a scrivere i miei libri ambientandoli
in un luogo che non esiste più, tanto che per girare Montalbano
i produttori della Rai hanno scelto certe zone della provincia di Ragusa
dove ancora sopravvivono paesaggi che ricordo.
L’agricoltura è ancora forte in Sicilia?
Non credo. Non mi sembra possibile. Il paesaggio agricolo è
cambiato. Se la si guarda dall’alto dell’aereo - in Sicilia ci si può
andare anche senza bisogno del ponte di Berlusconi - ci si accorge che
la terra è fatta a chiazze, si vede un pezzo coltivato e poi niente,
il nulla. L’economia agricola non c’è più, ci sono piccoli
orti, piccoli fondi. La mia famiglia, i miei nonni, campavano sui tredici
ettari di campagna coltivata a mandorle, a grano, a fave… Ora più
nulla, gli alberi muoiono perché sono abbandonati, la terra non
produce più niente, è attraversata da spaventosi elettrodotti.
Per questo mi è tanto caro un regalo che mi ha fatto l’anno scorso
Italo Insolera. Era stato chiamato negli anni ‘50 dopo un’alluvione che
aveva stravolto il mio paese – già cominciavano i disboscamenti
sulla collina che sovrasta il paese e così la prima acquata s’è
portata tutto a mare- il sindaco aveva chiesto a Insolera di fare
un piano urbanistico ragionato e Insolera scattò allora moltissime
di fotografie. Me ne ha regalate un centinaio: le guardo e dico, ecco,
quello è il mio paese.
Quali sono le cose che le mancano di più?
Sono tante. Mi è capitato, sulla strada per Monreale, di dire
a mia moglie che veniva in Sicilia la prima volta: chiudi gli occhi e ora,
ecco, aprili e guarda verso destra sotto di te. Lì, ricordavo, c’era
un mare di aranceti. Lei, povera milanese, mi diceva: e allora? Che devo
guardare? Ormai c’erano solo villette, case…La piana degli agrumeti, la
Conca d’oro, non c’era più.
Secondo lei allora la Sicilia quasi non merita più il Grand
Tour?
No, per carità, non dico questo. Malgrado tutto il danno che
possono fare, non possono rovinare definitivamente la vecchia signora.
Dove consiglia di andare ai viaggiatori in Sicilia?
Se proprio è necessario, chi va nell’isola può cominciare
con il solito bagno di folla a Taormina. Ma poi scordatevi la costa e cominciate
a entrare dentro, nel paese meno conosciuto che ancora riesce a salvarsi.
Certo, ha subito aggressioni anche lì ma non sono così
forti. C’è un paese che si chiama Mussomeli, per esempio, a pochi
chilometri da Caltanisetta. La prima volta che ci andai vidi una sorta
di roccia con una forma strana. Guardando meglio – ci vedevo pochino allora-
mi resi conto che era un castello Chiaramontano innestato perfettamente
dentro la rupe; è conservato meravigliosamente. Poi c’è Enna,
che è stupenda con la sua Rocca di Cerere, Caltabellotta e tanti
paesi che sono come ostriche, dentro hanno tutti la perla.
Come si deve viaggiare in Sicilia?
Lawrence Durrell fece un tour siciliano con le pintaiote, cioè
spostandosi da un paese all’altro con le corriere locali; si faceva spiegare
il paesaggio dalla gente che gli sedeva accanto. E’ un modo vero di conoscere
le cose. Oggi già il fatto di arrivare in un posto in aereo fa si
che il viaggio inizi all’arrivo, non alla partenza e questo certo rende
le cose molto diverse.
Lei come viaggia?
Sono uomo di parte a riguardo. Quando viaggio in aereo sono infinitamente
triste. Viaggerei in portantina, a passo uomo, tutti i mezzi moderni li
accetto a fatica. Mi piacerebbe spostarmi da un continente all’altro in
nave, una cosa che ormai non si fa più. Bisogna avere molto tempo
a disposizione, mentre adesso si viaggia a mordi e fuggi, quattro giorni
e vedi tutto. Cioè niente. Il tempo che ci voleva una volta per
arrivare in America in nave era anche una camera di compensazione, dove
anticipavi gli eventi immaginando come sarebbe state le cose all’arrivo.
Cosa cerca in un viaggio?
Non sono un viaggiatore volontario. Ora non mi muovo quasi più
ma prima viaggiavo soprattutto per lavoro. Non mi piace fare il turista,
credo che non si capisca nulla di un paese. E si provano delle delusioni
perché si parte con un’idea preconcetta. Viaggiare per lavoro invece
significa conoscere le persone che vivono in quel posto, come sono, come
reagiscono e interagiscono. In una città che non conosco comincio
a visitare qualche museo dopo la prima settimana, mai subito. Prima mi
perdo, letteralmente, per le strade. Non cerco l’arte, vado sempre cercando
l’uomo, mi piace osservare come cammina la gente, come lavora, cosa pensa…
Questo era un aspetto importante del Grand Tour, la ricerca dello
spirito di un popolo.
Si, e anche questo si perde. Cioè, si guadagna e si perde insieme,
perché in fondo questo nuovo modo di viaggiare produce una prospettiva
che semplicemente non so valutare.
Gli scrittori nel Settecento andavano in Sicilia cercando i propri
riferimenti letterari, mitologici: erano pregiudizi?
Si, in parte si. Cercavano i templi greci, la classicità; basta
pensare al viaggio di Goethe, l’occhio al quale poi tutti si uniformavano,
tanto è vero che Leonardo Sciascia, nella sua infinita conoscenza
dei viaggiatori in Sicilia, prediligeva quei due o tre che erano venuti
con occhio diverso dalla omologazione dello sguardo di Goethe, lo sguardo
“classico”. Oggi a pensarci accade la stessa cosa: si fanno le visite guidate
ai luoghi di Totò Riina, i santuari della mafia, i turisti cercano
le lupare e l’uomo con la coppola.
Quali sono i colori e gli odori di un viaggio in Sicilia? Sono cambiati?
Certo che sono cambiati. La conservazione degli odori era data dal
fatto che da Napoli in giù c’era una foresta infestata di briganti,
bellissima da attraversare per l’avventura che costituiva; percepivamo
gli odori in un certo modo. O i colori. Dieci anni fa mi è capitato
di fare uno spettacolo all’aperto ad Agrigento, a Santa Croce, in cima
alla zona franata, in completa rovina. Lo spettacolo era tratto da un racconto
di Pirandello, Il vitalizio. Il contadino del racconto a un certo punto
cita un modo di dire del luogo: “Su si viri Pantelleria veni a diri ca
l’acqua è ppi via”, se si vede Pantelleria vuol dire che sta per
piovere. Mi venne un dubbio spaventoso su Pirandello perché ero
lì, nel luogo in cui il contadino diceva questa cosa, e Pantelleria
non era assolutamente possibile vederla. Forse Lampedusa, ma Pantelleria
no di certo. Un tizio mi dice: domandiamolo al professore Cumella che ha
95 anni. “Si si – fa lui- fino al 1950 Pantelleria si viriva”-. Le giornate
erano così terse, i colori così nitidi, non invischiati
e sporcati dall’industrializzazione, che da Agrigento si vedeva l’isola
di Pantelleria.
E i sapori? Non sono un aspetto fondamentale della Sicilia?
Certo, ma se mi dice la parola “sapore” io ancora stupidamente mi commuovo
per un ricordo. Nella nostra campagna c’era un pezzo di terra, la Maisa,dove
non veniva su niente. Un giorno tornò dalla tunisia un contadino
empedoclino che era stato in quel paese e aveva trasformato intere zone
non coltivate in aree fertili e produttive. Avevo sei, sette anni.
Mio zio se lo portò alla Maisa: “Chi ci putemo seminare cca?”- gli
chiese. Lui fece un gesto che non mi sarei mai aspettato. Pigliò
un pizzico di terra scavandola in profondità con un dito e l’assaggiò,
proprio come fa un degustatore di vini. “Cca fave ci potite mettere”- disse.
Conosceva la terra dal sapore, cioè conosceva il sapore di quella
particolare composizione chimica. Questa sapienza straordinaria, che mi
commuove, si perde. Non è detto che lasciare le cose come stanno
sia un bene, che non bisogna cambiare niente. Ma la terra va coltivata.
Altri saperi che si perdono sono quelli artigiani.
L’estate scorsa mentre ero a Porto Empedocle mi è capitato di
ricevere una telefonata di un signore che non conoscevo. Ha detto: mio
padre, che ha 84 anni, sta fabbricando l’ultimo carretto della sua vita.
Vuole venire a vedere? Ho chiamato le figlie e mia moglie e ci siamo precipitati
a vedere l’ultimo artigiano nella provincia che intagliava il legno per
fare questo elaboratissimo carretto. Mi preoccupavo che non ci fosse una
documentazione visiva di quel lavoro, invece per fortuna il figlio aveva
filmato tutto, fase per fase. Dentro un magazzino c’erano tre carretti
già fatti, meravigliosi. L’anziano artigiano mi ha detto che non
li vendeva, erano quelli del suo cuore, che gli erano venuti meglio e li
teneva per i figli. Il più grande fa l’impiegato di banca, certo
è meno divertente che fare carretti, ma questa era la volontà
del padre, per questo aveva lavorato tanto, per farlo studiare. Del resto
a chi li vendono questi carretti? Una volta si usavano, soprattutto per
trasportare lo zolfo, ma ora neanche lo zolfo si produce più in
Sicilia.
E’ un mondo che scompare.
Proprio così. Per questo certe cose sono tanto importanti. Non
so quanti conoscono Antonino Uccello, un poeta siciliano cultore delle
tradizioni del lavoro. Ha realizzato una specie di casa- museo, dalle parti
di Ragusa che ora credo sia chiusa. Aveva comprato una fattoria riempiendola
di tutti gli strumenti agricoli dal 600 ai giorni nostri, tutti fatti da
artigiani. Era straordinario perché da un oggetto alla successiva
evoluzione non riuscivi a capire perché era cambiato e cosa c’era
dietro, quanto sapere, quanta cultura contadina. C’è un libro che
mi hanno regalato che è una sorta di inventario degli ultimi artigiani
italiani scritto da un signore che ha girato il paese e se li è
andati a cercare uno a uno: è un allarme, questo, su quello
che potremmo perdere definitivamente. Non dico queste cose per esprimere
la lagnosità di un vecchio, dico semplicemente che proprio perché
siamo nell’Europa, le nostre tradizioni, la nostra cultura, bisognerebbe
rinvigorirle e metterle sul mercato. Dargli una bella spolverata e farle
tornare a vivere, non farle intristire nei musei. Dico sempre: sono contentissimo
di indossare un abito fatto da un sarto europeo, però sono convinto
che mi cade meglio se le mutande e la canottiera sono fatte da un sarto
italiano. Gli indumenti intimi devono appartenermi completamente, è
una questione di identità.
Nanni Riccobono
Note a margine.it,
4.8.2004
Gli esordi di Montalbano nell’ultimo libro di Andrea Camilleri
Andrea Camilleri, La prima indagine di Montalbano
Ogni volta che esce un nuovo libro di Andrea Camilleri le aspettative
sono sempre piuttosto alte, aspettative che l’autore cerca sempre di non
deludere.
L’ultimo libro di Andrea Camilleri ha ancora una volta come protagonista
il commissario Montalbano, di cui ci viene raccontata una parte di passato.
La forma scelta dall’autore per quest’opera è quella del racconto:
il libro è infatti composto da tre racconti lunghi che ci raccontano
tre avventure del nostro commissario.
L’indagine centrale, che da il titolo al libro, è la prima a
cui lavora Montalbano, per questo contiene elementi nuovi, e sconosciuti
al lettore, della vita del protagonista. Come e quando Montalbano è
arrivato a Vigata? Com’era da giovane? Chi era allora la sua fidanzata?
Tutte domande che trovano una risposta. Il lettore si trova un po’ smarrito
davanti ad un ambiente che non conosce e popolato da personaggi a lui non
famigliari, ma poi viene condotto verso la scoperta di quello che è
il mondo di Montalbano. Particolarmente bella, a mio parere, è la
nascita del rapporto di stima e simpatia, che sfocerà poi in amicizia,
di Montalbano con Fazio.
Un tratto comune alle tre storie è che in nessuna Montalbano
si trova ad indagare su fatti di sangue, ma su vicende che riescono comunque
a tenere viva l’attenzione del lettore.
In particolare il primo racconto è incentrato su un tema purtroppo
molto attuale di questi tempi: il fanatismo.
Senza però scendere nello specifico degli argomenti trattati,
una caratteristica del libro è che, sicuramente, rispetto ai romanzi
, i racconti risultano meno incisivi.
Come nei precedenti Un mese con Montalbano, Gli arancini
di Montalbano e La paura di Montalbano, la forma narrativa del
racconto non permette all’autore di esprimersi al meglio. Per questioni
di brevità, l’impressione è quella di una struttura meno
approfondita e intrigante, ma leggermente più sbrigativa.
La prima indagine di Montalbano resta comunque un’opera molto
godibile e piacevole, che consiglio a chi ancora non conosce Camilleri
per avvicinarvisi, e ai suoi affezionati lettori per approfondirne completarne
la conoscenza.
Chiara Bertazzoni
La Sicilia, 5.8.2004
Camilleri. Guardando la Cap Anamur e ricordando il recente episodio,
lo scrittore si lascia andare ad una precisa valutazione
«La legge “Bossi-Fini” offende la dignità dell'uomo»
Il «segnale» è il telefono «staccato»
ma questo «distacco» va interpretato proprio come una sorta
di «avviso acustico» per quanti sono ancora abituati a cercarlo
al «fisso», tra la casa romana, quella in Toscana o nella sua
abitazione empedoclina.
E' quasi come se lo scrittore Andrea Camilleri, con quel suo telefono
dal suono perennemente occupato, volesse avvertire tutti i suoi amici che
lui è finalmente tornato ed è presente anche fisicamente
nella sua Vigata e non solo attraverso i suoi libri.
Nei giorni scorsi, infatti, si è svolto il «rito»
tanto amato e raccontato dallo scrittore, della partenza serale dalla stazione
Termini, rigorosamente con il vagone letto, per «scendere»
in Sicilia («da quando sui treni è proibito fumare - dice
divertito - mi sento una sorta di «clandestino» con la sigaretta
in bocca, ma la trasgressione è sempre stato il mio punto forte!»)
proprio alla maniera dei «grand tour» di fine secolo. Un viaggio
interminabile, inconcepibile in pieno Ventunesimo secolo, ma affrontato
con tanta serena rassegnazione pensando al risultato finale: l'agognato
rientro a casa.
Poi, dopo venti ore, l'arrivo alla «marina», accompagnato
dal clamore della gente del posto e l'incessante «processione»
dei parenti e degli amici, per portargli i saluti. Un rituale che si ripete
puntualmente ogniqualvolta Camilleri mette piede nella sua Vigata, una
tradizione consolidata che in lui crea comunque sempre la stessa emozione,
tradita solo dalla presenza della solita sigaretta fra le labbra.
E così, ad un anno esatto di distanza dall'ultima volta, Camilleri
ha riaperto «l'ufficio», come lo chiama lui: il bar pasticceria
sul corso che, ormai da anni, è stato ribattezzato, proprio in suo
onore, «Caffè Vigata». Ed anche questo fa parte del
rituale siciliano che lega indissolubilmente il padre del commissario Montalbano
alla sua terra d'origine, anche se alla base c'è un problema obiettivo:
infatti è troppo piccola e scomoda quella casa a due piani, stretta
tra il vicolo e il retro del palazzo municipale, per un autore come lui,
costretto giornalmente a ricevere moltissime persone, senza contare il
devastante impatto che quel via vai di gente ha sulla vita dei suoi più
stretti familiari.
Molto meglio «l'ufficio pubblico» aperto ogni giorno dalle
12 in poi, al bar del Corso, dove tra una birra e una chiacchierata con
qualche lettore, il Commissario Montalbano mantiene, in maniera personalissima,
ma piuttosto efficace, le proprie pubbliche relazioni.
Racconta Andrea Camilleri: «L'altro giorno al Caffè è
arrivata la telefonata di un «paesano» che ha aperto un ristorante
ad Amburgo, in Germania, e mi ha chiamato per un invito a pranzo da quelle
parti. Come se per me fosse una cosa normale pranzare ad Amburgo e magari
cenare a Vigata! Poi hanno chiamato dalla televisione tedesca per venire
a registrare l'ultima indagine di Montalbano e un'infinità di altre
persone».
Il «Commissario» non appena messo piede in paese, non ha
resistito alla tentazione di ispezionare subito il porto e di dare un'occhiata
a quel cargo sotto sequestro, attraccato da tempo al molo, al centro di
tante polemiche e che ha riversato alla «marina» l'ennesimo
carico di disperati. Immagini che lo scrittore ha visto in televisione
e che si è voluto ora sincerare di presenza.
«Il Commissario Salvo Montalbano - spiega Camilleri - nel modo
più assoluto ha sempre evitato di occuparsi di questi fatti. Lui
ha questa enorme fortuna perché nel «Giro di boa» che
è l'ultima sua indagine in libreria, ha espresso, anche forse con
troppa chiarezza, la sua opinione in proposito. Quindi non potrebbe che
trovarsi in una posizione estremamente critica nei riguardi di quello che
è successo».
-Scusi Andrea, ma critica nei confronti di chi?
«Critica nei confronti di quelli che sono i provvedimenti che
vengono presi dall'alto. Se c'è stato un momento, in questi ultimi
tempi, nel quale mi è dispiaciuto leggere è stato quando
sul «Corriere della Sera» a firma di Gianni Riotta, è
stato sottolineato come Porto Empedocle, un tempo ricordata e conosciuta
come luogo ideale delle avventure del Commissario Montalbano, oggi si trovi
ad essere l'emblema di una sorta di chiusura totale a certi fatti; bene,
questo, se permettete, mi dispiace enormemente. Devo affrettarmi a dire
che Porto Empedocle, com'è noto a tutti, non ha alcuna responsabilità
in tutto quanto è accaduto; la responsabilità non è
delle forze dell'ordine, o della Capitaneria di Porto, che non ha fatto
altro che obbedire a quelle che sono delle direttive ufficiali. Il vero
problema sono le direttive! E' la legge Bossi-Fini che va cambiata perché
è una legge a mio avviso che va contro l'uomo».
Dunque, cambiando argomento, Andrea Camilleri ha proprio deciso, fin
quando rimarrà a Vigata, di non fare nulla: nessun impegno pubblico,
nessuna presentazione e neppure una riga da scrivere che non siano le firme
e le dediche sui libri del «Commissario» che in questo particolare
periodo vengono paurosamente e minacciosamente accatastati sul ripiano
a vetri del bar, in attesa dell'autografo giornaliero.
Per confermare la propria voglia pura e gioiosa di oziare, Camilleri
ha fatto sapere di non aver portato dalla capitale neppure il computer
e la stampante. L'altro giorno però, l'amico Fofò Gaglio,
che era andato a trovarlo, ha confessato di averlo sorpreso mentre era
intento a battere i tasti di quella vecchia macchina da scrivere «Olivetti
45» che da una vita si trova, sempre a portata di mano, sul tavolino
del «salotto buono» di casa! Un «vizio imperdonabile»,
quello della scrittura, che Camilleri solo a stento riesce a contenere.
-E allora come riempie tutte queste giornate empedocline lo scrittore
più amato dagli italiani?
«La mattina mi sveglio presto, - risponde Camilleri - faccio
una lunga «tampassiata» per casa e poi mi preparo il caffè.
Poi tra le undici e mezza e le dodici «apro l'ufficio» per
la firma dei libri e per ricevere le persone fino all'ora di pranzo. Dopo
una bella pennichella, faccio lunghe giocate a carte, a scopa con i miei
due nipotini, uno di dieci e uno di sei anni. Infine qualche lettura».
Si ferma un attimo, come volesse ricucire le fila di un discorso da
bar, semplice, ma impegnativo perché fatto nella sua Vigata, poi
riprende, tenendo sempre stretta fra le dita l'immancabile sigaretta.
«Stò leggendo per la terza volta, me lo sono anche portato
appresso, uno dei libri più affascinanti che ho letto in questi
ultimi anni che è «I detective selvaggi» di uno scrittore
messicano scomparso lo scorso anno. L'avete mai letto? Poi la sera la passeggiata
sul Corso, fin verso il mare per respirare «l'odore del porto»
o verso la montagna, per osservare i colori della «marina»
al tramonto, dall'alto. Diciamo che il passeggio sul corso è un'appendice
di quella che è stata la mia vita in questo paese, di quella che
è stata la mia giovinezza. Quando con i miei amici Beppe Fiorentino
e Ciccio Burgio stavamo a passeggiare fino alle ore piccole, ci prefiggevamo
lo scopo di accompagnare a casa l'ultimo dei pescatori che rientrava in
famiglia, dal porto. Poi potevamo andare a dormire anche noi, felici e
contenti. Certe volte, invece, anziché andare a dormire, ci lasciavamo
catturare dal profumo del pane fresco che usciva dalla bottega del fornaio
e questo faceva si che ci guadagnassimo la nottata!».
Altre volte, nelle sue passeggiate, lo scrittore tenta d'imboccare
la strada che porta in collina. Lassù, sulle alture che sovrastano
il paese, c'è ancora, infatti, la casa dei nonni; la casa di campagna,
oggi quasi in rovina, dove Andrea Camilleri è cresciuto correndo
lungo quella che era la «trazzera» (oggi via dello Sport) per
arrivare alla cima della collina e riuscire meglio ad ammirare il panorama
del paese e del mare sottostante.
«Quella casa, da vicino, non voglio vederla - sbotta Andrea Camilleri
. - Perché è come assistere all'agonia di una persona alla
quale si vuole troppo bene. Se voi guardaste in questo momento nel mio
portafogli non trovereste fotografie dei miei familiari (e neppure quella
di San Calogero). Trovereste solo una piccola fotografia di questa casa
di campagna. Perché questa casa rurale è la metafora, l'emblema,
tutto quello che si vuole, della mia esistenza fino ad un certo punto della
mia vita. Quindi questa casa è così carica, è così
densa di ricordi, di emozioni, di sensazioni, che vederla abbandonata,
vederla deperire di giorno in giorno, per me è un vero dolore fisico.
Era la casa dove noi andavamo nella cosiddetta lunga estate che si iniziava
a fine maggio e proseguiva per tutto ottobre. E durante la guerra, quando
gli aerei bombardavano Agrigento e Porto Empedocle, era il nostro rifugio
più sicuro; il luogo dove andavamo a nasconderci».
Passeggiate a parte, quest'anno le vacanze dello scrittore saranno
più lunghe del solito perché Camilleri ha promesso di volersi
fermare a Vigata fin dopo il Ferragosto, contravvenendo a quella regola
che da anni sembrava imposta e che voleva tutta la famiglia riunita il
15 di agosto nella sua casa di Santa Fiora all'ombra del monte Amiata.
«Quest'anno, un po' perché, poco per volta, tutta la mia
famiglia si stà raccogliendo in Sicilia e un po' perché non
ho più alcuna voglia di affrontare un nuovo viaggio, il Ferragosto
quasi certamente lo faremo a Vigata. E voglio oziare; voglio non fare nulla
e non prendermi alcun tipo di impegno. Se ci riuscirò, questo per
me sarà il regalo di mezza estate che maggiormente desideravo di
ricevere!».
La Sicilia, 5.8.2004
Caffè Castiglione
Quante storie attorno a un gelato
Produceva una bontà apprezzata a tutti i livelli, se ne innamorarono
Pirandello, Sciascia e perfino Mussolini
Quel gelato era davvero speciale e aveva un gusto che ancora oggi lo
scrittore Andrea Camilleri e molti altri della sua generazione, non sono
più riusciti a ritrovare in nessun altro prodotto artigianale. Quello
era il gelato che da giovane «il papà del Commissario Montalbano»
andava a gustare ai tavolini del Caffè Castiglione, in via Roma,
il celebre locale sul corso principale di Porto Empedocle, frequentato
nel secolo scorso da intellettuali e artisti del calibro di Luigi Pirandello.
Un gelato che perfino gli amici di Leonardo Sciascia facevano a gara per
farlo arrivare direttamente nelle campagne di contrada Noce, negli assolati
pomeriggi estivi degli anni Sessanta, per una gradita e fresca sorpresa
al maestro di Racalmuto.
«Il gelato della Pasticceria Castiglione era un qualcosa di sublime
- racconta oggi Andrea Camilleri - un prodotto artigianale sul quale sono
state ricamate tante leggende e qualche verità ed io appartengo
alla schiera di quei fortunati che hanno potuto godere in passato di queste
delizie del palato, soprattutto durante gli afosi pomeriggi estivi, a coronamento
di qualche scommessa vinta con gli amici».
«Quel Caffè - Pasticceria - racconta ancora Andrea - era
un vero momento culturale; un luogo di grandi incontri, dove spesso si
riuniva anche la nostra compagnia dei filodrammatici per studiare le parti
da mettere in scena. Oltretutto il locale, sul retro, aveva un'enorme sala
da biliardo dove ho trascorso moltissimo tempo della mia gioventù.
Il Caffè Castiglione era il gran luogo d'incontro del paese. Poi
aveva quei gelati favolosi e quindi arrivava gente un po' da tutta la provincia,
ma anche dalla Sicilia per assaggiare queste specialità. Addirittura
nel 1924, quando venne in Sicilia Benito Mussolini, subito dopo il delitto
di Giacomo Matteotti, e si fermò da queste parti, in visita ad Agrigento,
gli fecero assaggiare il famoso gelato empedoclino alle mandorle. Per la
cronaca, a Mussolini, giunto particolarmente accaldato al Comune, per cercare
di dargli un po' di sollievo, gli offrirono una coppa di gelato di Castiglione.
E il Duce se ne innamorò al punto che in seguito pare abbia fatto
più volte telefonare alla Capitaneria di Porto affinchè gli
si preparasse quel famoso gelato che poi, segretamente, lui avrebbe mandato
a ritirare mediante un idrovolante in grado di ammarava nel mare empedoclino
per prendere in consegna il prezioso carico e trasferirlo prima a Ostia
e poi a Roma, direttamente alla sua residenza di palazzo Venezia».
«A questo proposito - continua lo scrittore - devo anche raccontare
una storia molta bella. Come sapete la prima autostrada che venne costruita
in Italia fu la Ostia - Roma e mio zio, che era antifascista, mi disse
che quell'autostrada venne fatta costruire da Mussolini proprio perché
altrimenti i gelati di Castiglione gli arrivavano tutti sciolti da Porto
Empedocle…!»
-Ma sarà vera questa storia o è l'ennesima trovata del
commissario Montalbano?
«Tutto documentato - risponde lo scrittore, ma senza troppa convinzione.
- Poi vi devo raccontare un altro aneddoto della mia gioventù che
riguarda il Caffè Castiglione. Per la verità non vorrei svelare
troppe cose perché questo è un aneddoto «illegale».
Ricordo che ero molto giovane e a quell'epoca era esplosa in Italia la
mania dei «Tre moschettieri» che era una trasmissione radiofonica
di Nizza e Morbelli collegata alla prima grande raccolta di figurine. Ora,
noi facevamo quella raccolta, ma c'erano delle figurine che si trovavano
facilmente mentre altre erano davvero una rarità. E una notte io,
con il figlio del proprietario del Caffè Castiglione, (locale dove
si vendevano proprio quelle figurine) riuscimmo a farci chiudere dentro
a conclusione della giornata e riuscimmo in qualche modo, con un lavoro
che durò ore e ore, a individuare in trasparenza, il numero che
designava ogni figurina in modo da impadronirci di quelle bustine contenenti
quelle che ci mancavano. E quell'operazione notturna venne rinfrescata
da un imprecisato numero di gelati mangiati a sbafo!».
Altri tempi, quando la vita, politica e culturale, ma anche quella
dei pettegolezzi, si svolgeva intorno al tavolini del bar. Poi, negli anni
Settanta, il locale chiuse e con lui finì un'epoca.
«Gelati così - conclude tristemente Camilleri - non ricordo
di averne più mangiati da nessun'altra parte!».
Lorenzo Rosso
Il Venerdì,
6.8.2004
Rettifiche. Lo scrittore smentisce le dicerie
Omicidio Montalbano, Camilleri ha un alibi
Illazioni. Per non dire calunnie. Andrea Camilleri mette a tacere le
voci secondo le quali avrebbe pensato di concludere la saga del commissario
Montalbano facendo morire il suo eroe. Sbarcando in terra sicula, nella
natìa Porto Empedocle, il giallista ha spazzato via ogni possibile
dubbio: “Salvo Montalbano morirà con me” ha detto. A questo punto
non c’è più solo l’attaccamento al personaggio. C’è
anche la scaramanzia.
s.f.
Il Venerdì,
6.8.2004
La Biblioteca di Repubblica. Le strade del giallo
I dubbi di Camilleri e del suo commissario
Da giovedì 12 agosto in edicola il volume numero 13 dei gialli
di “Repubblica”: “Il giro di boa”, che mostra un Montalbano in crisi, deluso
dallo Stato e dalla polizia
Massimo Carlotto, uno dei migliori autori di noir in Italia, non ha
dubbi: “Andrea Camilleri è il maestro assoluto del giallo nel nostro
paese, si deve a lui se gli italiani hanno scoperto il genere”. Il commissario
Montalbano tuttavia non piace solo a casa nostra e, anzi, il suo linguaggio
tanto caratterizzato, invece di essere un ostacolo è uno dei punti
forti della sua popolarità internazionale. “Ho conosciuto alcuni
traduttori di Camilleri”, dice Massimo Parlotto, “e l’entusiasmo per l’originalità
delle sue invenzioni linguistiche li ha portati a cercare nei loro paesi
esempi simili. La parlata di Montalbano è un’idea geniale: una delle
caratteristiche del giallo italiano è di raccontare i luoghi, Camilleri
ha fatto molto di più ed è riuscito a farli amare al lettore”.
Anche di Salvo Montalbano, della sua integrità, del suo umorismo
un po’ sarcastico, ci si innamora. Ci si affeziona alle sue fisse culinarie
come ai paesaggi di una Sicilia così lontana dagli stereotipi. Distante
dall’iconografia classica e, piuttosto, spaccato sociale che ben rappresenta
l’Italia contemporanea e le sue trasformazioni. In questo senso “Il giro
di boa” è esemplare, perché racconta di un Montalbano disilluso
e in crisi, dopo i fatti del G8 di Genova del luglio 2001 e le violenze
della polizia contro i manifestanti. Mentre si chiede se si sente di difendere
“quello” Stato si imbatte in un cadavere da tempo alla deriva. È
uno scherzo del destino, c’è sotto una brutta storia di immigrazione
clandestina, una delle emergenze di “quello” Stato da cui Montalbano si
sente tradito. Il suo istinto di poliziotto ha il sopravvento sui dubbi,
il commissario si butta nell’indagine nell’unico modo che conosce, con
tutto sé stesso, e la sua voglia di capire.
c.n.
l'Unità, 7.8.2004
Oltre il Noir, il Black
In Italia ormai il termine noir è inflazionato. In pratica, ha preso il posto del “giallo” di mondadoriana memoria, e
viene usato in riferimento a qualsiasi tipo di narrativa poliziesca o che abbia al centro un crimine. Così, per dirne una, si persiste
nel definire noir i romanzi di Andrea Camilleri che, se avessero bisogno di un’etichettatura, dovrebbero essere considerati
polizieschi, sia pure anomali.
[...]
Valerio Evangelisti
Corriere della sera,
8.8.2004
«Quella scommessa con Sciascia sui due libri segreti di Bufalino»
Elvira Sellerio: Camilleri? Confondeva i film con i delitti veri
«Non tutte le vittime della mafia sono state davvero tali in
vita»
Palermo - «Qui in Sicilia le avranno parlato dei silenzi di Sciascia.
Per me, Sciascia non era così. Me lo ricordo anzi grande conversatore.
E anche quando taceva, i suoi silenzi non erano mai imbarazzanti. In Sicilia
non tutto quello che appare è».
Era stato Leonardo Sciascia a definire la casa editrice di Elvira Giorgianni
Sellerio e di suo marito Enzo «una farmacia di paese, un posto in
cui ci si parla». «Ho conosciuto Sciascia alla fine degli anni
Cinquanta - racconta lei -. Stavo leggendo Il dottor Zivago. Gliene
parlai infervorata, gli chiesi un parere. Mi rispose che lui non leggeva
mai i libri di cui scrivevano i giornali; che prima si lascia posare il
turbine, poi si può dare un giudizio».
In un Paese e in una terra dove essere donne è difficile quanto
fondare e dirigere un’impresa, la vita di Elvira Sellerio, donna e imprenditore,
appare una storia esemplare. Un’orafa che forgia gioielli di carta. Un’incantatrice
che trasforma un erudito di campagna in uno scrittore da premio Campiello,
che cava best-seller da professori di provincia, che vede il giallista
dietro l’autore tv. E forse c’è stato davvero un tempo in cui Elvira
Sellerio si è riconosciuta in questo ruolo. Ora non più,
confida. Da quattro anni non dà interviste. «Invecchiare pesa.
Significa non sapere come andrà a finire. Dove andrà Berlusconi.
Se tornerà Leoluca Orlando». Dice cose ingiustificate, ad
esempio quando spiega di rimpiangere la bellezza, come se non fosse una
delle donne più affascinanti d’Italia, la pelle bruna, la voce lenta,
la sigaretta accesa, i capelli più bianchi che grigi, la collana
di lapislazzuli, «pietre scelte per via del nome».
La bellezza è stata importante nella sua vita. «Quando
lo incontrai, Enzo aveva quarant’anni ed era l’uomo più bello di
Palermo. Io portavo un vestito con una grande rosa di stoffa sulla schiena,
e lui ne sorrise». Anche ora che non sono più marito e moglie,
e guidano due case editrici confinanti ma separate, Enzo ed Elvira ( “Esse”
si chiamava all’inizio la loro creatura) si marcano stretto. Si sorridono.
Il loro figlio maschio, Antonio, bocconiano, ha già un ruolo in
azienda; Olivia, la primogenita, oltre ai libri si interessa di musica
jazz e sta per fare un disco. Belli erano i palazzi in cui viveva suo padre,
prefetto a Ragusa e ad Agrigento, e dove lei, orfana di madre e prima di
sei fratelli, faceva da padrona di casa e prendeva in consegna le suppellettili,
compreso il servizio di piatti con lo stemma sabaudo: «E se qualcosa
si rompeva, al successore bisognava consegnare i cocci».
Nata il 28 maggio del 1936, a 16 anni esce dal liceo, e mentre studia
giurisprudenza comincia a lavorare: impiegata all’Ente per la riforma agraria
in Sicilia. «Ero nell’ufficio annullamento delibere. Si cancellavano
gli atti che avevano assegnato ai contadini terre che loro non avevano
potuto o voluto coltivare. Villaggi mai abitati, terreni destinati a non
dare frutto. Era un’angoscia terribile, quel lavoro che cancellava i segni
di un possibile riscatto». È un’angoscia parente di quella
di oggi, quando restituisce i manoscritti che non pubblicherà. «Ma
i pacchi che arrivano li apro tutti io. E li guardo tutti. Li smazzo, li
smisto. Raccolgo pareri. Poi li leggo. Quindi li faccio rileggere. Tutti
ricevono una risposta. La forma è importante, la forma è
sostanza». All’Ente per la riforma agraria si occupava anche di recupero
crediti. «I grandi latifondisti non pagarono neanche il 10 per cento
di quel che dovevano».
La casa editrice comincia nel 1969, con i 12 milioni della liquidazione.
E con l’aiuto di Sciascia, che da quando si trasferisce a Palermo passa
in casa editrice quasi ogni giorno; se non lo fa, si comunica attraverso
biglietti affidati a un autista, perché il maestro di Racalmuto
(«maestro di scuola elementare, diceva lui») non risponde al
telefono. «Ci siamo dati del lei sin quasi alla fine». Un giorno
l’autista consegnò un pamphlet da centomila copie, su quell’affare
Moro che divise Sciascia dal Pci, da Berlinguer e da Guttuso. «Un
altro giorno mostro a Leonardo, a Vincenzo Consolo e a Enzo Siciliano un
libro di fotografie, antiche crude immagini che un padrone aveva scattato
ai suoi sottoposti, raccolte da un signore di sessant’anni, Gesualdo Bufalino.
Dico: scommettiamo che questo signore ha un libro nel cassetto? I miei
illustri ospiti non ci credono. Telefono a Bufalino, con loro attaccati
alla cornetta. I libri nel cassetto sono due. Uno, spiega lui, è
destinato all’oblio. L’altro era Diceria dell’untore».
La casa di Elvira Sellerio è di fronte alla casa editrice. Custodisce
tra l’altro una grande collezione di dipinti su vetro, «raccolta
da Enzo quando costavano pochissimo». Dev’essere andata così
anche con Antonio Tabucchi e Andrea Camilleri. «Tabucchi me lo segnalò
Paolo Mauri. Camilleri era un vecchio amico. Un tipo speciale: magari arrivava
trafelato a raccontare che in un bar di Porto Empedocle aveva assistito
a quello che gli era parso un film di quarta categoria, con la salsa di
pomodoro al posto del sangue, e aveva appena visto una strage di mafia».
La bellezza che accompagna Elvira Sellerio lascia traccia nei suoi libri,
nelle illustrazioni, nella grafica, nei titoli, nella carta. «È
un lavoro che richiede umiltà e molto orgoglio. Pubblicare un libro
inutile è una cosa tristissima. Scegliere se stampare o meno un’opera
letteraria è una grave responsabilità».
Per questo la Sellerio parla con rispetto degli uomini che l’hanno
aiutata, Nino Buttitta, Salvatore Nigro, Nino Sorgi, «un amico meraviglioso
e un grande avvocato. Vorrei stampare le sue carte di un processo celebre,
quello ai frati di Mazzarino. Quando Tabucchi scrisse di un medico che
gli aveva ammazzato il padre, e quello lo denunciò, l’avvocato Sorgi
lo fece assolvere. Poi l’ha riscritto in un libro per un altro editore,
e quello fece un’altra denuncia. Tabucchi rivoleva Sorgi, ma non fu possibile.
La causa finì diversamente».
La bellezza le ha tenuto compagnia anche in luoghi dov’è considerata
remota. «Il consiglio d’amministrazione della Rai fu un’esperienza
bellissima. Era la Rai dei professori: Dematté, Feliciano Benvenuti,
Gregory, Paolo Murialdi storico del giornalismo italiano. L’unica non professore
ero io». La tv le è apparsa una magia moderna, una fiaba tecnologica,
qualcosa per cui valeva la pena vincere la sua paura di volare, la sua
allergia al viaggio. «Tanto i siciliani dalla Sicilia non se ne vanno
mai veramente». E siccome una vera signora non dice mai vere bugie,
«è inutile lamentarsi del fatto che la Rai dipende dalla politica.
È sempre stato così. E la famigerata lottizzazione è
stata anche un modo di garantire un minimo di pluralismo. Certo, c’è
politica e politica. Quando sono stata in Rai al governo c’era Ciampi,
e Raitre era ancora quella di Guglielmi. Poi arrivò Berlusconi.
Quando Giuliano Ferrara, che pure è un mio amico, ci attaccò,
fui la prima a dire: andiamocene a casa, la nostra stagione è finita».
Berlusconi non le piace ma si capisce che non le è così
antipatico. «Da imprenditore ha grandi qualità. Mi chiedo
solo come faccia a prendersi così sul serio, e come facciano quelli
che lo circondano. I paragoni con Napoleone, la villa sarda trasformata
nella casa di Goldfinger… Sono cose che alla lunga si pagano». Si
capisce pure che il mondo di Elvira Sellerio ha un’impronta di sinistra,
una sinistra particolare, che coltiva il dialogo, le garanzie, la memoria.
Memoria
si intitola una collana, e un libro, l’autodifesa di Sofri. «Adriano
era un mito per i ragazzi che lavoravano in casa editrice. Io però
non lo conoscevo». Sofri l’ha corteggiata come si fa con una signora
par suo, «la prima volta mi portò una pianta che ho tuttora,
a Mondello, e fiorisce due volte l’anno; la seconda, un mazzo di fiori
talmente grande che non avevo un vaso dove metterlo». Una sinistra
che coltiva la denuncia, che inventa con Vittorio Nisticò (anch’egli
nel catalogo Sellerio) un quotidiano - L’Ora - dove si formano generazioni
di giornalisti, ma che coltiva talora pure il silenzio. «Non amo
parlare di mafia. La mafia vista da lontano appare diversa da quella che
è. Non dimentico che Sciascia, il primo grande scrittore a scrivere
di mafia, a rompere l’omertà della letteratura, è morto sotto
il peso di critiche per cose che non aveva mai detto, come quella dei professionisti
dell’antimafia». Professionisti che magari esistono davvero, «perché
non tutte le vittime sono state davvero tali in vita», il ricatto
non è sempre da una parte sola, e in Sicilia non tutto quello che
appare è. Sarebbe già tanto vedere come andrà a finire.
Aldo Cazzullo
Il Messaggero,
8.8.2004
Approdo alla lettura
Alle ore 21, Salotto letterario: Paolo Perelli legge "La prima indagine
di Montalbano" di Andrea Camilleri, edito da Mondadori.
Pontile di Ostia, piazza dei Ravennati, tel 06.68808897.
Radio 24,
10.8.2004
Urban
Le
città del giallo
Milano, Bologna, Napoli e Firenze. Sono le città in cui si svolgono
le indagini dell'ispettore Ferraro, dell'ispettore Coliandro, del commissario
Bordelli e di Elide la giovane impiegata dei Beni Culturali nata dalla
penna di Antonella Cilento. Come si muovono questi personaggi nelle strade
e nei quartieri delle loro città? Ne parliamo con gli autori: Gianni
Biondillo, Carlo Lucarelli, Marco Vichi e Antonella Cilento. Interverrà
inoltre il Presidente del Camilleri Fans Club.
La Sicilia, 10.8.2004
Cerimonia a Serradifalco
Oggi la cittadinanza emerita conferita a Camilleri e Speziale
Serradifalco s'è preparata come meglio non poteva per conferire
quest'oggi la cittadinanza emerita allo scrittore Andrea Camilleri e al
biologo Pietro Speziale. Si tratta di altrettanti riconoscimenti nei confronti
di personalità che, ognuna nel proprio campo, hanno contribuito
a portare in alto il nome del paese. E se Andrea Camilleri, citando Serradifalco
in alcuni suoi romanzi, ha permesso di far apprezzare il paese al suo grande
pubblico di lettori, invece Pietro Speziale, attraverso la sua infaticabile
attività di biologo presso l'Università di Pavia, ha contribuito
a farlo conoscere anche in ambito scientifico.
Particolarmente ricco ed articolato il cerimoniale di quest'oggi, per
un evento che si aprirà nel pomeriggio (17,30) con l'inaugurazione
della mostra di pittura dell'artista nisseno Oscar Carnicelli presso la
sala «Don Luigi Sturzo». La mostra, interamente dedicata alla
Sicilia e ai nudi, è stata curata dallo studioso di arte Gino Cannici.
Alle 19 verranno premiati Andrea Camilleri e Pietro Speziale. La cerimonia
verrà introdotta dal vice sindaco Giovanni Costa che poi leggerà
un brano tratto dal romanzo di Andrea Camilleri nel quale lo scrittore
parla di Serradifalco. La prolusione sarà invece opera del critico
e studioso palermitano Aldo Gerbino. I poeti dell'«Associazione Culturale
Guastaferro» leggeranno le opere di alcuni poeti siciliani. In particolare,
Lino Amico leggerà Jacopo da Lentini, Ugo Entità il nobel
Salvatore Quasimodo, Anna Marchese Ignazio Buttitta e Antonella La Monica
Federico II e Mario Farinella. Concluderà la serata il sindaco Bernardo
Alaimo con la consegna della cittadinanza emerita.
C. L.
La Padania, 10.8.2004
Consigli (e sconsigli) per letture d’estate
Un libro come miglior compagno di viaggio ma anche per viaggiare pur
restando a casa. Per chi parte o per chi resta non c'è che l’imbarazzo
della scelta fra le tante proposte editoriali dell’estate, dai titoli più
leggeri ai più impegnati senza dimenticare i classici che da tempo
ci si riprometteva di leggere.
[…]
Sotto l’ombrellone o nel relax della montagna sarà presente
anche il parzialmente deludente “La prima indagine di Montalbano” (Mondadori)
di Camilleri.
[…]
La Sicilia, 11.8.2004
Bagno di folla per lo scrittore empedoclino ieri pomeriggio a Serradifalco
Camilleri ritrova la cantina in cui si rifugiò 60 anni fa
Serradifalco. Un evento di grande spessore culturale, ma anche un ritorno
gradito in quel paese che, più di mezzo secolo fa, lo accolse nell'allora
insolita veste di sfollato. Ieri pomeriggio Andrea Camilleri, assieme a
Pietro Speziale, ha ricevuto la cittadinanza emerita di quella Serradifalco
che egli ha descritto nei suoi romanzi attraverso nomi, cognomi, vie e
volti di un paese nel cuore della Sicilia che non poteva non rimanere nel
cuore di un siciliano doc come lui. Prima di ricevere l'ambito riconoscimento,
tuttavia, il «padre» del commissario Montalbano, assieme al
sindaco, l'on. Bernardo Alaimo, e al vice sindaco Giovanni Costa, ha voluto
tornare nei luoghi della sua memoria, in quella villa tra contrada Altarello
e contrada Cusatino nella quale trovò rifugio dai bombardamenti
mezzo secolo fa. Come nei suoi romanzi, un suggestivo gioco di rapidi flash
back ha caratterizzato l'incontro tra lo scrittore e i luoghi in cui ha
vissuto da sfollato. Ad accogliere la piccola delegazione è stato
il padrone di casa, l'on. Michele Ricotta.
Nel volto di Andrea Camilleri s'è subito disegnato un tratto
d'emozione: «Incredibile, è quasi tutto come cinquant'anni
fa», ha commentato con un filo di voce lo scrittore empedoclino che,
subito dopo, ha avuto l'incontro forse più bello ed inatteso con
il suo passato, quello con la signorina Filomena, che era la governante
di casa Piazza e, ai tempi, viveva anche lei in quella villa nei cui sotterranei
il giovanissimo scrittore trovò rifugio dai bombardamenti. Di Camilleri
l'anziana donna ricorda ancora: «Scriveva sempre e mi diceva che
un giorno sarebbe diventato un grande scrittore».
Il dolce paesaggio collinare della Serradifalco di allora hanno potuto
rivivere assieme all'emozione di ritrovare in cantina l'angolo nel quale
dormiva con i familiari. Poi lo scrittore s'è concesso al bagno
di folla che lo ha atteso nella nuova sede del palazzo comunale. L'inaugurazione
della mostra di Oscar Carnicelli, ma anche la lettura di brani di autori
siciliani da parte dei poeti dell'«Associazione Culturale Guastaferro»
(Antonella La Monica, Ugo Entità, Lino Amico e Anna Marchese), assieme
alla prolusione di Aldo Gerbino, hanno caratterizzato un pomeriggio speciale:
«Serradifalco ha dimostrato di essere Città di cultura in
grado di trovare in questi eventi la sua dimensione più autentica»,
ha sottolineato il sindaco Bernardo Alaimo, che ha consegnato la cittadinanza
emerita ad Andrea Camilleri ("regista, sceneggiatore, scrittore di alto
spessore culturale, ha posto la Sicilia al centro della sua attività
letteraria; un grande siciliano che s'è imposto nel panorama letterario
italiano") e al biologo Pietro Speziale ("biologo che attraverso la sua
attività di ricerca scientifica ha dato un notevole contributo al
progresso scientifico portando alto il nome di Serradifalco").
Carmelo Locurto
La Sicilia, 11.8.2004
«Le decorazioni sono ancora eleganti»
Andrea Camilleri intende recuperare il cineteatro Empedocle chiuso
da anni
Porto Empedocle. A momenti era necessario l'intervento del commissario
Montalbano. Chissà cosa avrà pensato Andrea Camilleri quando
alcuni giorni fa non è riuscito a entrare nella parte bassa del
cineteatro «Empedocle» chiuso al pubblico da oltre vent'anni.
Su iniziativa del comune, lo scrittore vigatese è stato sollecitato
a intestarsi una sorta di operazione di salvataggio dell'imponente struttura
teatrale, utilizzata dai lavoratori socialmente utili quale deposito di
scope, un furgone e quant'altro. E proprio qualcuno di questi «ferri
del mestiere» ha ostruito l'accesso all'impianto, costringendo Camilleri
e l'assessore alla Cultura, Emilio Borsellino a entrarvi dal piano superiore.
Non c'è stato dunque bisogno del commissario Montalbano per
stabilire a cosa fosse dovuto il divieto di accesso all'anziano ma pimpante
scrittore in vacanza nella sua Vigata. Una volta messo piede all'interno
dell'«Empedocle», Camilleri ha avuto un moto di meraviglia
per come la struttura ha resistito ad anni di incuria e indifferenza.
Dall'alto ha ammirato l'ampiezza del palcoscenico e l'eleganza delle
decorazioni, ma non ha avuto la possibilità di scendere in platea
per toccare con mano i seggiolini e tutte le altre infrastrutture.
Camilleri si è ripromesso di interessarsi per innescare l'opera
di recupero del cineteatro. La posta che pare possa essere almeno percorribile
è quella che porta al coinvolgimento della Regione Sicilia verso
un finanziamento.
Una volta racimolati i soldi necessari a riportare a nuova vita la
struttura, l'«Empedocle» riaperto potrebbe essere inserito
in un circuito teatrale che comprende tra gli altri il «gioiello»
di Racalmuto, quel «Regina Margherita» del quale Andrea Camilleri
è direttore artistico da alcuni anni. Al momento tutto ciò
rappresenta un progetto ancora lontano dal potersi considerare fattibile,
ma che almeno consente di guardare al futuro con un certo ottimismo. Pare
dunque aprirsi qualche spiraglio sul controverso destino del simbolo della
cultura empedoclina targata anni sessanta e che potrebbe rinascere grazie
all'impegno del fenomeno letterario del momento. Nella speranza che non
rimanga fuori un'altra volta per colpa di una scopa beffarda posta dietro
una delle porte d'ingresso.
F.D.M.
La Repubblica, 11.8.2004
Montalbano commissario e gentiluomo
"Il giro di boa" di Andrea Camilleri
Domani insieme al giornale il romanzo con il popolare personaggio siciliano
Una quindicina di anni fa ho comprato una casa in Sicilia, sul mare,
senza sapere che sarei diventato quasi vicino del commissario Montalbano,
il siciliano più popolare dal tempo di Turiddu, com´era sempre
chiamato nell´isola il bandito Giuliano. Questa popolarità
lo ha fatto diventare un personaggio simile al Maigret di Simenon o a Miss
Marple di Agatha Christie, che oramai vive di vita propria: unico caso
del genere nelle lettere italiane, al di là del bene e del male
che si possono dire di lui. Si ha veramente l´impressione di poterlo
incontrare per strada o in trattoria e quando passo dalla parte di Marinella,
vicino Licata [Sic!, NdCFC] cioè Porto Empedocle, la spiaggia
dove abita ormai ricoperta di casamenti da vent´anni, cerco uno spazio
che non trovo verso la spiaggia dove potrebbe passeggiare. Una volta ho
chiesto ad Andrea Camilleri come potesse conciliare la lunghezza e la durata
di queste passeggiate con il proverbio siciliano che dice: «Fottere
in piedi e camminare na rina porta l´uomo alla rovina». Lui
ridendo mi rispose che tra i continentali ero l´unico a conoscere
questo proverbio.
Ogni tanto qualche critico ancora attardato nei giudizi letterari rimprovera
a Camilleri la ripetitività di gesti e azioni del personaggio. Ma
lo scrittore non solo da tempo non è più in grado di fare
qualsiasi modifica, ma deve stare attento a costruire i suoi romanzi montalbaneschi
- come anche Il giro di boa diffuso domani con Repubblica - proprio attraverso
la ripetitività e la immediata riconoscibilità, altrimenti
gli affezionati lettori, come dice, diventati veri proprietari del personaggio
e custodi della sua integrità farebbero un chiasso d´inferno.
Credo che Andrea, nel montare pezzo per pezzo le storie di Saro [Sic!,
NdCFC] Montalbano avesse inizialmente un´unica preoccupazione:
quella di non farne un pupo siciliano ma qualcosa di letterariamente valido,
mettendo a contrasto elementi diversi e facendolo correre su binari che
a un certo punto deragliavano, come si conviene nelle storie di qualità.
Poi le rotaie venivano aggiustate, Saro [Sic!, NdCFC] riprendeva
la corsa con una sua propria umanità accresciuta e via raccontando.
Invece, a un certo punto la marea delle vendite dei suoi libri si è
alzata così tanto da provocare un´ondata gigantesca che ha
spazzato ogni buono o cattivo proposito.
Come spesso succede, Camilleri aveva cominciato a pensare a una serie
di romanzi legati a un solo protagonista, mentre stava scrivendo un altro
libro, Il birraio di Preston, una delle sue opere più riuscite.
All´inizio erano soltanto delle immagini vaghe che ronzavano intorno
alla sua testa senza precisarsi. Naturalmente conosceva a memoria il grandissimo
“Quer pasticciaccio brutto” di Gadda e aveva visto anche il film di Germi,
dove l´ispettore Ingravallo veniva interpretato magnificamente dallo
stesso regista. Quando è venuto il momento di definire con esattezza,
non è caduto nella trappola della fisiognomica: tutte le descrizioni
del commissario, ve ne sarete accorti, attengono molto più al carattere
che non ai lineamenti. Temperamento brusco, lettore di Gesualdo Bufalino,
ha una fidanzata «moderna» a Genova che ogni tanto lo viene
a trovare, con l´aria sempre sorpresa da quello che vede. Ma nello
stesso tempo la sua più grande amica è una bonona svedese,
mito italianissimo degli anni ‘50, sublimata in un celeberrimo film da
Fellini, con la quale va a letto a fare non si sa bene cosa. Ha pochissimi
amici tra i quali un giornalista di una televisione locale orientata a
sinistra e si suppone che lui stesso abbia una salda anima democratica
che nasconda per eccesso di pudore. Ho sempre avuto l´impressione
comunque che i modelli di Montalbano non siamo mai stati reali o letterari
ma cinematografici. Per esempio quei gentiluomini dei film hollywoodiani
dotati di sensibilità sotto la dura scorza del mestiere.
Stefano Malatesta
La Sicilia, 12.8.2004
E dopo 60 anni Camilleri ritrovò l'amica Filomena
Commovente incontro a Serradifalco per il «papà»
del commissario Montalbano
Serradifalco. Una nuova scommessa dell'amministrazione Alaimo sul fronte
culturale, ma anche un evento in grado di creare un binomio rilevante tra
scienza e arte. All'indomani della cerimonia con la quale il Comune di
Serradifalco ha conferito la cittadinanza emerita allo scrittore Andrea
Camilleri e al biologo Pietro Speziale, in paese non si respira solo l'aria
tipica del giorno dopo il grande evento, ma si comincia ad intravedere
netta la consapevolezza che Serradifalco sta imboccando la strada giusta
sul fronte della promozione culturale.
[…]
Emblematico, poi, il fatto che, da un lato, nel suo intervento conclusivo,
il sindaco Bernardo Alaimo, rivolgendosi ad Andrea Camilleri gli abbia
chiesto per il futuro un impegno come cittadino emerito di Serradifalco,
con una sua maggiore presenza e collaborazione e, dall'altro, come il padre
del commissario Montalbano abbia dato la sua piena disponibilità.
«Serradifalco è un pezzo del mio cuore; oggi mi avete regalato
emozioni veramente incredibili; non pensavo di poter ritrovare pezzi tanto
importanti della mia memoria in questi luoghi, grazie», ha sottolineato
un Andrea Camilleri che, nel corso del suo pomeriggio serradifalchese,
ha avuto modo di fare quattro chiacchiere con un pezzo, ai più sconosciuto,
del suo passato.
L'incontro con la signorina Filomena nella villa di campagna che lo
ha ospitato più di 60 anni fa è stato suggestivo nella sua
semplicità: l'ancora arzilla ex governante di casa Piazza ha accolto
il noto scrittore empedoclino con la stessa umile disponibilità
di allora. Un paio di foto sbiadite che teneva gelosamente tra le mani
hanno permesso ad Andrea Camilleri di riconoscere alcuni protagonisti dell'epoca,
facendogli rivivere sensazioni tanto lontane nel tempo quanto vicine nella
sua mente e nel suo cuore.
L'on. Michele Ricotta, da padrone di casa che si rispetti, ha avuto
l'onore di guidare Andrea Camilleri lungo questo singolare percorso a ritroso
nel tempo: ogni angolo di quella villa nascondeva un prezioso ricordo,
attimi di vita vissuta, momenti irripetibili: la cantina, le dolci colline
serradifalchesi, e poi ancora la piana della Gazzana sotto la quale si
stende il Vallone con le sagome di Montedoro, Sutera e Mussomeli in lontananza,
tutto era come allora. Un sussulto ha colto l'autore passando dinanzi a
quello che ormai rimane dell'ex casa del fascio. Più tardi Andrea
Cammilleri ha confessato che lui, giovane sfollato di guerra, passando
dinanzi a quel palazzo semidistrutto dai tedeschi, intravide alcuni libri
che portò con sè.
La via Crispi, ma anche i ricordi della Serradifalco di allora si sono
materializzati in una serata nella quale il fascino dell'evento s'è
integrato con le suggestioni della memoria. La lettura di alcuni brani
dei romanzi nei quali Camilleri parla di Serradifalco da parte del vice
sindaco Giovanni Costa, ma anche la mostra del maestro Oscar Carnicelli
inaugurata dal procuratore Caterina Chinnici, hanno rappresentato il completamento
della serata.
[…]
Carmelo Locurto
Adnkronos, 12.8.2004
Cultura
Grandi autori commentano Palio di Siena in un libro
Firenze - E' stato presentato oggi a Palazzo Squarcialupi di Siena ''Visioni
di Palio'', libro e video editi dalla Protagon, che raccolgono le impressioni
sulla citta' e sul Palio di diciassette tra i piu' autorevoli scrittori
italiani. Andrea Camilleri, Enzo Siciliano, Enrico Ghezzi, Carlo Lucarelli,
Barbara Alberti, Simona Vinci, Melania Mazzucco, Giosue' Calaciura, Erri
De Luca, Marcello Fois, Chiara Gamberale, Alessandro Golinelli, Marco Lodoli,
Aurelio Picca, Tiziano Scarpa, Predrag Matvejevic e Senio Sensi, hanno
scritto e commentato in video le immagini girate dalla troupe di Anton
Giulio Onofri che del video ha firmato la regia. Cinquantacinque minuti
di emozioni per raccontare in diciassette monologhi gli aspetti meno noti,
forse piu' privati e per questo anche piu' suggestivi di una festa che
non si esaurisce nei canonici quattro giorni del Palio ma dura tutto l'anno.
La Sicilia, 15.8.2004
Io e la Sicilia
Italiano sono. O quasi
Camilleri. “Non mi va la voga sicilianista. In fondo cos’è la
mia Vigàta? Una astrazione. Nemmeno nella Chicago del proibizionismo
ci poteva essere una tale quantità di morti ammazzati come a Vigàta.
Che è una metafora dei nostri luoghi, ma anche dell’Italia e della
vita di oggi. Le cui radici riconducono agli anni successivi all’unità
d’Italia, la stagione dei miei romanzi storici”
Camilleri, la sua esperienza di “siciliano di mare aperto”la distanzia
da Sciascia che non vedeva che la Sicilia. Lei invece ha cercato di superare
questo giogo presagendo un orizzonte sempre più vasto. A volte sembra
che le dia addirittura fastidio essere chiamato siciliano. Ha sempre detto
infatti di essere un italiano nato in Sicilia.
Esattamente. Questa è la prima risposta. In secondo luogo agisce
in me una forza che mi spinge a uscire spesso e volentieri da una certa
retorica che riguarda la problematica dei siciliani.
Parla di sicilianismo?
Sì. E non mi va. In fondo cosè la mia Vigàta?
Un’astrazione. Nemmeno nella Chicago del proibizionismo ci poteva essere
una tale quantità di morti ammazzati come a Vigàta. Che è
una metafora dei nostri luoghi, ma anche dell’Italia e della vita di oggi.
Dovrebbe dunque sentirsi più confrère di Vittorini,
che scrisse della Sicilia ma avrebbe potuto riferirsi alla Persia o al
Venezuela.
Sicuramente è così. Ricordo che da direttore artistico
di un’Estate catanese misi in cartellone lsue “Città del mondo”
che però non potei fare per motivi logistici di messa in scena optando
per “Don Giovanni in Sicilia”.
Tra “Il Gattopardo”, “Le città del mondo” e “I vecchi e i
giovani” quale libro pensa che rappresenti meglio la Sicilia?
“I vecchi e i giovani”. È il romanzo che ha avuto per me un
passaggio importante. L’ho realizzato in sei puntate alla radio e l’ho
rifatto di pianta rendendomi conto del significato estremo che riveste
per i siciliani. “I vecchi e i giovani” ha la capacità di rappresentare
la Sicilia con una sorta di ferocia della memoria. Invece “Le città
del mondo” rimandano una memoria utopistica e “Il Gattopardo” una visione
metastorica.
Lei in qualche modo ha dovuto rispondere a interrogativi circa il
suo impegno civile. È un problema che sentiva anche Bufalino che
scrisse “Tommaso e il fotografo cieco” per dire qualcosa anche sulla mafia.
Ci sono tre suoi libri, “La concessione del telefono”, “La scomparsa di
Patò” e “Il birrario di Preston” che lei ha definito romanzi civili.
In che senso civili?
Le spiego. Venuto fuori “Il re di Girgenti”, che è un romanzo
storico, io posso definire attraverso ciò che non è “Il re
di Girgenti” ciò che sono i libri che ha citato, cioè il
portato di un certo impegno civile, anche se questo impegno non è
espresso nei modi di un Sartre – e me ne guarderei bene. Però sono
delle storie da dove si possono ricavare (pensi per esempio a “La mossa
del cavallo”) considerazioni sulla struttura politica e sociale del nostro
Paese. Veda, quando parlo di romanzi storici e civili parlo dell’epoca
nostra. Parlo di quelle che sono le radici delle attuali condizioni. Sono
romanzi ambientati tutti dopo l’unità d’Italia, al principio cioè
di tutti gli errori che ci portiamo appresso oggi.
Lei torna sempre a quella stagione e dice che tutti i mali nascono
da lì. Ma ha affermato in un libro che la Sicilia deve molto all’unità
d’Italia.
Entrando a far parte dell’Italia, la Sicilia si promuove da regione
di scambio a dignità di regione di una nazione, che è tanto.
Il prezzo che però paga materialmente è altissimo. È
assai più alto di quello dei lomardi per esempio. Nel momento in
cui si va alla scelta tra annessione e federazione il novanta per cento
dei siciliani dice annessione. È questa la grande aspirazione, un’aspirazione
che ci nobilita.
Eppure, secondo una consolidata acquisizione storica, ma anche letteraria,
la Sicilia non è in debito ma in credito nei confronti dell’Italia.
Economicamente sì. Mentre moralmente dobbiamo molrto all’Italia:
l’Italia deve molto a noi dal punto di vista economico. Questa è
la contraddizione che si crea al momento dell’unità. Noi non possiamo
ringraziare l’Italia solo a motivo di come socialmente ed economicamente
si sono poi messe le cose.
Ma anche la letteratura secondo lei ci ha guadagnato.
Lo dico per paradosso. Verga, Capuana, De Roberto perché nascono
dopo l’unità? Perché è in quel momento che si sentono
siciliani e pongono dunque la questione meridionale.
Lei frequenta dunque quella stagione per reiterare la questione
meridionale?
Più che altro perché trovo fatti sconosciuti che mi illuminano
su certe situazioni arrivate fino a noi.
Insomma se, come diceva Sciascia, contano i primi dieci anni di
vita di una persona, anche per un Paese contano i primi passi.
Esattamente. Ti rompi una gamba o ti ammali a dieci anni e ne risenti
per tutta la vita. Così è per una nazione. La questione meridionale
si pone non con i Borboni ma con l’unità d’Italia.
Pirandello diceva che i siciliani sono nati tristi e che nutrono
un sentimento tragico della vita. È la stessa visione di Unamuno,
il quale è con Pirandello un padre nobile di Sciascia. Lei invece
sembra alimentare un sentimento ironico della vita. Un motivo che la distingue
da entrambi.
Da Pirandello assai più che da Sciascia. Le situazioni di ironia
in Pirandello sono mascherate molto di più. Pensi a Bobbio, il notaio
afflitto da mal di denti: impazzisce dal dolore ed è un miscredente
incallito, ma quando passa davanti a un’icona con la Madonnina gli viene
di recitare un’Ave Maria e il dolore gli passa gettandolo in una crisi
spaventosa. Poi il dolore gli torna, prega ma stavolta non guarisce, sicché
va dal dentista per farsi levare tutti i denti dicendo che non gli importa
più se il miracolo c’è stato o no. Come vede, l’ironia è
sotterranea, appena suggerita. Pirandello lascia al lettore di tirare le
conseguenze. Sciascia no: Sciascia affonda con forza il suo bisturi.
Mentre la sua ironia di che pasta è?
È esplicita. Spesso e volentieri degenera nel grottesco e in
certi momenti anche nella farsa. Voglio dire, è più un materiale
grezzo di uso comune.
Si può dire martogliana?
Sì, ma senza la grevità del buon Martoglio. Però
c’è questa sua vena in me. Ricordo per esempio l’ironia presente
in una commedia che ho messo in scena, “’U contra”. È l’ironia insita
della forza stessa del dialetto, nell’uso delle parole da cui Pirandello
era ben lontano e tutt’altro che orgoglioso di praticare.
Pirandello diceva che le parole dialettali coincidono con quelle
italiane solo per il concetto, mentre si reggono da sole per esprimere
il sentimento. Anche Sciascia era convinto che i saggi non possono essere
scritti in dialetto. C’è un suo libro, “Biografia del figlio cambiato”,
che ubbidisce a questa regola: la parte saggistica è in italiano
mentre quella narrativa in dialetto.
Infatti parte in dialetto e finisce in italiano. Ma è un’anomalia,
non essendo un’interpretazione critica di Pirandello. In realtà
a me interessava il rapporto col padre, che è ciò di cui
parlo.
Aveva ragione Pirandello a dire che il dialetto è più
ristretto rispetto alla lingua?
Dice che aveva meno possibilità di comunicazione perché
incomprensibile fuori dalla regione in cui si parla.
Lei lo ha dunque sconfessato.
Non io. Prima di me ci ha pensato Musco.
Ma in teatro. È diverso: sulla scena la mimica sostituisce
la parola e la rende comprensibile.
Fino a un certo punto. Pensi a Eudardo: c’è la mimica, ma c’è
anche la parola. “Ha da passà ‘a nuttata”. Chi non lo capisce?
Pirandello sosteneva che la parlata agrigentina è la più
vicina a quella italiana. È d’accordo anche lei?
Certo. Per esempio: “figghiu” non esiste, in agrigentino di dice “figliu”.
Certi suoni e sviluppi di suoni (per usare il titolo della tesi di Pirandello)
sono italiani.
Lei usa la parlata agrigentina. È dunque più comprensibile
per questo?
Può darsi, ma sono certo che se avessi scritto in catanese non
sarebbe cambiato niente.
Se quello di Pirandello era, come ha detto lei, un “dialetto ecumenico”,
il suo può essere definito “dialetto borghese” secondo una specificazione
di Pirandello?
Fino a un certo punto ho adoperato un dialetto borghese, è vero.
Ma nel “Re di Girgenti” mi sono servito di un dialetto misto, borghese
e contadino. Mi dicevano “Ma guardassi che ‘cataminare’ non lo diciamo”.
“Sì – rispondevo – ma là sopra lo dicono”.
Gianni Bonina
Adnkronos, 16.8.2004
Lo ha affermato all'ADNKRONOS lo scrittore siciliano Andrea Camilleri
Immigrati: Camilleri, preservare la memoria per capire i problemi
attuali
Lo scrittore e' intervenuto nel dibattito sull'istituzione in Sicilia,
e in particolar modo a Lampedusa, di un museo dell'immigrazione come gia'
fatto a Ellis Island a New York
''Io sono favorevole a tutto quello che puo' riguardare la memoria.
Anche se non parlerei di museo, la parola da' l'idea di morte. Occorre
trovare il modo di rendere tutto cio' dinamico. La memoria della nostra
emigrazione e' importante perche' aiuterebbe a capire le problematiche
degli immigrati''. Lo ha affermato all'ADNKRONOS lo scrittore siciliano
Andrea Camilleri, 'padre' del commissario Montalbano, intervenendo nel
dibattito sull'istituzione in Sicilia, e in particolar modo a Lampedusa,
di un museo dell'immigrazione come gia' fatto a Ellis Island a New York.
La proposta di un museo-fondazione che raccolga la memoria degli immigrati
ma anche dell'emigrazione italiana era stata lanciata dal deputato regionale
dell'Udc, Giusy Savarino. Proposta bocciata dallo scrittore Vincenzo Consolo.
''La mia idea e' questa'', taglia corto Camilleri commentando la polemica
divampata fra Consolo e alcuni esponenti politici siciliani.
La Repubblica
(ed. di Palermo), 17.8.2004
La polemica
Il museo della memoria divide gli intellettuali
L’unico no è quello di Vincenzo Consolo. Ma la proposta lanciata
dal deputato regionale dell’Udc Giusy Savarino di istituire un museo della
memoria a Lampedusa per raccogliere un pezzo di storia rappresentato dall’esodo
di migliaia di immigrati, sull’esempio di quanto fatto a Ellis Island,
ottiene diversi consensi. A cominciare da quello dello scrittore Andrea
Camilleri, che si dice “favorevole a tutto quello che può riguardare
la memoria. Anche se non parlerei di museo, la parola dà l’idea
di morte”. Non ci sta invece lo scrittore Vincenzo Consolo: “Altro che
museo dell’immigrazione. Un museo delle barbarie. Le barbarie di persone
che hanno dimenticato il loro passato e che adesso si ingozzano di quel
pesce che si nutre dei tanti cadaveri di cui è pieno il Mediterraneo”.
[…]
Comune di Siena, 17.8.2004
Un film documentario e un libro sugli aspetti meno conosciuti della
festa senese
Andrea Camilleri: “Il Palio è un ritratto dell’Italia”
“Per il Palio di Siena ho questa sorta di affetto, di attaccamento.
Ci ho assistito casualmente la prima volta e ne sono rimasto contagiato
per tutta la vita”. Andrea Camilleri apre così con una “dichiarazione
preliminare” il proprio intervento nel video e nel volume “Visioni di Palio”
di Sergio Di Pasquale Luci, Anton Giulio Onofri (che ne firma anche la
regia), Siretta Onofri e Senio Sensi, edito dalla Protagon e già
disponibile in libreria. Dice nel video lo scrittore siciliano: “in quel
giorno, in quella corsa ho visto, come in altre occasioni non capita, l'Italia.
Un ritratto dell'Italia e dell'italiano estremamente concentrato, che culmina
in quei minuti strepitosi della corsa, nella Bellezza”. Camilleri è
uno dei 17 scrittori che hanno partecipato a “Visioni di Palio”, un video
della durata di 55 minuti composto di 17 clip su Siena e il suo Palio,
accompagnato da un volume che raccoglie tutti i testi e le immagini del
video. Diciassette visioni di Palio, e altrettanti modi per raccontare
Siena, le contrade, i simboli, i riti, i colori della Festa. Con gli occhi
di chi Senese non è.
[…]
Corriere della sera Magazine,
19.8.2004
Camilleri tradisce Montalbano e passa ai Carabinieri
Dopo sedici anni trascorsi a scrivere le avventure del commissario di
polizia Salvo Montalbano, Andrea Camilleri è passato dall'altra
parte.
Affascinato dall'apertura dell'Arma alle donne, ma soprattutto lusingato
dalla chiamata della sede centrale dei Carabinieri, il grande giallista
italiano ha deciso di scrivere la storia di un maresciallo della Benemerita.
Dal 9 novembre, quando verrà presentato il nuovo calendario
dei Carabinieri, i poliziotti, che lamentano di essere meno pagati dei
colleghi dell'esercito, avranno un motivo in più per invidiarli.
La prossima edizione del calendario, infatti, sarà illustrata dall'artista
romano Sergio Ceccotti che ha dipinto 12 quadri ad olio sulla base di un
racconto scritto appositamente da Camilleri per l'Arma.
Ma come è avvenuto il "cambio di divisa" di Camilleri? Spiega
l'autore: "Qualche mese fa ho ricevuto l'invito a scrivere una storia articolata
in 12 capitoletti sui Carabinieri, in modo che ognuno di questi ne illustrasse
un mese. Considerando che il calendario dei Carabinieri è un'istituzione,
non ci ho pensato due volte e ho iniziato a scrivere di un maresciallo.
La storia è piaciuta molto e loro si sono subito messi al lavoro
per il calendario". Vista la rivalità tra i due corpi, non sente
di aver tradito il commissario? "Ma no, è solo una parentesi. Una
piccola infedeltà che rafforza l'unione tra me e Montalbano".
Antonio Calitri
La Sicilia, 19.8.2004
La mafia secondo Andrea Camilleri
«Nessuna nuova sotto il nostro sole»
Ha trascorso anche l'ultimo giorno di questo breve periodo di ferie
seduto nel solito bar di Vigata con una pila di libri accanto, pronti per
essere autografati. Attorno decine di ammiratori che erano venuti espressamente
per incontrarlo. Così la presenza del cronista con un preciso compito,
quello di farlo parlare del rapporto mafia-politica, non lo ha entusiasmato,
ma non si è sottratto all'incontro. Poche risposte, ma tutte ricche
di grandi significati con quella prosa tipica del padre del commisarrio
Montalbano, in grado di raccontare con poche pennellate una complicatissima
indagine di polizia. Camilleri è rimasto sorpreso dalla curiosità
che ha scatenato il libro «Alta mafia» negli agrigentini, soprattutto
quando afferma che si tratta di vicende che sono sempre esistite e sempre
esisteranno, indipendentemente da chi è al governo e chi si trova
all'opposizione.
«C'è sempre stato il legame tra mafia e politica. A chi
se ne accorge adesso faccio i complimenti, di cuore. Meglio tardi che mai».
Al penultimo giorno di vacanza nella sua Vigata, Andrea Camilleri di
malavoglia interviene sul ruolo che «cosa nostra» continua
a rivestire nel tessuto amministrativo a vario livello. Un intervento a
metà tra il realista e l'ironico.
Lo spunto è dato dall'effetto «Alta Mafia», ovvero
dal libro realizzato da Legambiente sulle magagne vere o presunte emerse
nel contesto dell'omonima operazione di polizia. Un'operazione che lo scorso
marzo tolse il velo sulla connivenza d'acciaio che esisterebbe tra colletti
bianchi e ambienti mafiosi assai influenti.
Il volume è andato a ruba, evidenziando le cronica voglia degli
agrigentini di conoscere i retroscena e i pettegolezzi, le indiscrezioni
e quanto non è di pubblico dominio. Come quando si entusiasmano
alla lettura di lettere anonime su personaggi conosciuti.
Andrea Camilleri, che di libri se ne intende essendo il fenomeno letterario
dell'ultimo decennio, «Alta mafia» non lo ha ancora letto.
«Non posso commentare qualcosa che non conosco, nè durante
i mesi scorsi ho appreso particolari spunti sull'operazione di cui tanto
ancora si parla».
Il commento però, ricco come sempre di contenuti e pathos, giunge
sul rapporto mafia - politica che per il papà del commissario Montalbano
è sempre forte e radicato nel territorio da tempo immemore.
«Rapporto? C'è sempre stato, lo stiamo scoprendo adesso?
E' sempre esistito sia in forma più o meno coperta che più
o meno scoperta. Una volta con un partito una volta con un altro la mafia
ci prova sempre».
Una «piovra» che allunga i propri tentacoli in maniera
trasversale senza crearsi tanti scrupoli tra centro, destra, sinistra e
«cespugli» vari.
Il Camilleri pensiero però non finisce qui: «L'errore
che si fa in questi casi è quello di credere che un intero partito,
qualunque esso sia, risulti mafioso solo perché alcuni suoi elementi
sono collusi. Tutto ciò però c'è sempre stato. Non
procedere oltre questa costatazione significa non voler procedere».
Un concetto chiaro espresso mentre era seduto ieri mattina a un tavolo
del bar Vigata, circondato da decine di fans che chiedevano autografi.
Accanto, Camilleri aveva l'assessore alla Cultura di Porto Empedocle, Emilio
Borsellino, un fotografo e il fido Stefano Albanese, titolare del bar che
funge da segreteria speciale dello scrittore. Un Camilleri che sembrava
indisposto al sol pensiero di lasciare il proprio paese per reimmergersi
nel lavoro.
E il parlare di mafia in un momento comunque sereno della propria giornata
lo ha reso anche un pizzico nervoso, senza distoglierlo però dall'analizzare
con
lucidità la salda e perdurante unione tra Stato e controstato. Un'unione
che fa vendere tanti libri a chi la racconta, citando nomi e cognomi, fatti
e misfatti.
Francesco Di Mare
La Sicilia, 19.8.2004
Manifestazione «Gocce di Sicilia»
Cultura e musica. C'è di tutto oggi a Scoglitti. Nell'ambito
della rassegna denominata «MusiKamarina», a cura dell'amministrazione
comunale, con il patrocinio della Provincia Regionale di Ragusa, del Ministero
per i Beni Culturali, dell'assessorato regionale ai Beni culturali ed Ambientali,
e con la collaborazione della Soprintendenza ai beni culturali di Ragusa,
e dell'associazione «Gli amici della musica R. Lucchesi», si
terrà questa sera, alle ore 21,30, presso lo splendido scenario
del museo di Camarina, la manifestazione dal titolo:«Gocce di Sicilia»,
letture da Sciascia a Camilleri. Pianoforte e musiche originali di Giacomo
Schembari, chitarra e canti popolari di Giovanni Alderisi, voci narranti
Paolo Schininà e Giada Ruggeri.
g.r.
CulturalWeb, 20.8.2004
Ultimi giorni di rappresentazioni al FontanonEstate
Anche una serata di solidarieta' per l'Africa
[…]
Il 29 per la rassegna ''Pax-ione - madre d'Africa'', un progetto di
Maria Luisa Bigai, ci sara' una serata in favore del ''Progetto Susy Costanzo
- LILA'' (Lega Italiana Lotta Aids) con canzoni, filastrocche, aneddoti,
musiche, letture, riflessioni. Protagonisti di questo evento artisti di
fama, come lo scrittore Andrea Camilleri, la psicologa Gianna Schelotto,
il musicista Mario Venuti, l'attrice Amanda Sandrelli, gli attori Blas
Roca Rey, Massimo Wertmuller. Il ricavato della serata andra' in favore
delle donne in gravidanza dell'Ospedale Missionario ''Luisa Guidotti'',
di Mutoko, Zimbabwe.
La Repubblica
(ed. di Palermo), 20.8.2004
Andrea Camilleri ha dedicato a questo luogo una intera pagina del suo
ultimo romanzo. Il momento migliore per ammirarlo resta il tramonto
Il miraggio a strapiombo della Scala dei Turchi
Lungo la strada statale che collega Realmonte a Porto Empedocle uno
spettacolo di luci e colori unico al mondo
Cinquant´anni fa, quel ragazzo che si arrampicava per gli alti
gradini bianchi della Scala dei Turchi fino alla cima erbosa della scogliera
poteva essere Andrea Camilleri. Lo stesso che poi, preso d´improvviso
ardimento e forse ubriaco di tanta bellezza, saltando da una balata all´altra
poteva precipitarsi giù fino all´acqua correndo il rischio
non troppo remoto di spezzarsi l´osso del collo lungo il tragitto.
Per il bambino futuro romanziere e saggista di Porto Empedocle, vissuto
per anni a pochi chilometri da qui, si capisce bene che questo spettacolo
fosse di una bellezza tale da stordire. Tra i numerosi riferimenti ai luoghi
della sua giovinezza, Camilleri non lesina spazio alla Scala dei Turchi,
della quale regala addirittura una completa descrizione nel suo "La prima
indagine di Montalbano".
«Il profilo della parte più alta della collina di marna
candida s´incideva contro l´azzurro del cielo terso, senza
una nuvola, ed era incoronato da siepi di un verde intenso. Nella parte
più bassa, la punta formata dagli ultimi gradoni che sprofondavano
nel blu chiaro del mare, pigliata in pieno dal sole, si tingeva, sbrilluccicando,
di sfumature che tiravano al rosa carrico. Invece la zona più arretrata
del costone poggiava tutta sul giallo della rina. Montalbano si sentì
sturduto dall´eccesso dei colori, vere e proprie grida, tanto che
dovette per un attimo inserrare l´occhi e tapparsi le orecchie con
le mano. C´era ancora un centinaio di metri per arrivare alla base
della collina, ma preferì ammirarla a distanza: si scantava di venirsi
a trovare nella reale irrealtà di un quadro, di una pittura, d´addivintare
lui stesso una macchia - certamente stonata - di colore. S´assittò
sulla sabbia asciutta, affatato».
E come non rimanere storditi, incantati da uno dei luoghi di mare più
affascinanti dell´isola? La Scala dei Turchi, qualche centinaio di
metri sotto la statale che collega Porto Empedocle a Realmonte, è
proprio un miraggio. Sbrilluccica davvero, così bianca, gareggiando
per riflessi e luccichii con il mare turchese e limpidissimo che la lambisce
delicato. Verrebbe da fermarsi lassù e guardarla fino al tramonto,
ignari del passare del tempo e paghi della sola visione, se posteggiare
lungo la statale in quei punti non fosse impossibile. Per ammirare in santa
pace la scogliera, della quale secondo la leggenda i Turchi si servivano
proprio come scala per raggiungere la terraferma in occasione delle loro
incursioni, esistono comunque diverse possibilità. Mentre alcuni
sentieri scendono direttamente e un po´ avventurosamente lungo il
fianco della collina fino in spiaggia (uno è indicato da un curioso
cancello, chiuso da un lucchetto e ritto contro il cielo, ma non collegato
ad alcuna cancellata o recinzione), altre discese asfaltate si incontrano
in corrispondenza dei pochi lidi.
Il più vicino alla scala è il Majata, ma anche scegliendo
uno degli altri, tutti dai prezzi contenuti anche se forniti solo delle
dotazioni essenziali, la passeggiata lungo la riva del mare fino alla Scala
è comunque agevole e abbastanza breve. La distanza suggerita da
Camilleri è senz´altro la migliore per osservare la scogliera
nella sua interezza, ma avvicinarsi di più è invece indispensabile
per verificare sulla propria pelle le portentose capacità di rifrazione
della luce solare della Scala (che favorisce abbronzature intense e terribili
scottature) e anche per curiosare tra le centinaia di graffiti incisi nella
roccia, testimonianza di amori felici o interrotti e di varie altre amenità.
A pochi chilometri dalla Scala dei Turchi, per gli affezionati lettori
(o telespettatori) del commissario Montalbano vale la pena visitare Porto
Empedocle, che alcuni anni fa ha ottenuto da Andrea Camilleri il permesso
di affiancare al suo nome cartografico quello di "Vigata" (dal nome del
paese nel quale sono ambientate le vicende del suo personaggio). In paese
i più attenti riconosceranno alcuni dei luoghi più cari allo
scrittore. Tra gli altri, il bar dei fratelli Albanese (oggi ribattezzato
Bar Vigata), meta quotidiana dell´autore in occasione dei suoi soggiorni
empedoclini e simpatico mausoleo della sua produzione (tradotta ormai in
molte lingue, come si può verificare nella bacheca dentro il bar,
dove sono esposte anche edizioni giapponesi, tedesche e portoghesi delle
sue opere). Lì persino le arancine con la carne sono gli "arancini
di Montalbano", mentre purtroppo la trattoria San Calogero famosa per le
abbuffatine del commissario ha chiuso i battenti un paio d´anni fa.
Per chi fosse interessato anche al lato investigativo della visita, rimane
da appurare quale sia la trattoria sulla quale Montalbano, sia pure con
una certa iniziale riluttanza, ha ripiegato dopo l´evento.
Per raggiungere la Scala dei Turchi seguire le indicazioni per Porto
Empedocle dalla Palermo-Agrigento, e da lì proseguire lungo la strada
costiera in direzione di Realmonte. La Scala si raggiunge a piedi da numerosi
sentieri aperti lungo la collina o dalla spiaggia.
Alessandra Viola
La Repubblica
(ed. di Palermo), 20.8.2004
L´anniversario
Il romanzo che raccontò il sogno proibito di Pirandello
Sellerio pubblica un saggio di Nino Borsellino che celebra l´anniversario
del libro
Le vicissitudini familiari fecero sognare a Pirandello una seconda
vita
“Il fu Mattia Pascal” compie cento anni giusti giusti, ma non mostra
alcun segno di invecchiamento. Questo personaggio, scaturito in parte dalla
fantasia di Pirandello e in parte da una costola della sua stessa vita,
ha ormai acquisito il diritto all´immortalità e, contrariamente
a Faust, senza dover cedere l´anima al diavolo. La Sellerio celebra
la ricorrenza pubblicando il libro “Il dio di Pirandello”, di Nino Borsellino
(176 pagine, 14 euro) in cui il saggio più corposo è dedicato
al romanzo più emblematico dell´autore di "Uno, nessuno e
centomila".
[…]
La scoperta della dimensione tragicomica provoca una svolta della produzione
artistica di Pirandello. Dopo anni di pesantezze e tragedie letterarie,
ci insegna a vedere il risvolto comico anche nelle situazioni più
drammatiche. Recita un proverbio siciliano, che lui certamente deve conoscere,
"Nun c´è risu senza chiantu nun c´è morti senza
risu": le due facce della stessa sporca e bella vita. Prima Vitaliano Brancati
e poi Andrea Camilleri riprenderanno la vena umoristica pirandelliana.
Il suo concittadino, nonché lontano parente, creatore di Montalbano,
gli deve molto anche sul piano dell´invenzione linguistica. Non dimentichiamo,
infatti, che fu proprio l´autore di "Liolà" a immettere robuste
iniezioni dialettali nelle sue opere, soprattutto nelle commedie.
[…]
Tano Gullo
La Sicilia, 21.8.2004
«Non voglio più vederla: l'ho amata tanto. Ospitò
Pirandello e Nicolò Gallo, ora potrebbero abbatterla per un mostro
di cemento»
La notizia, in un certo senso, l'ha rattristato non poco. E' stata messa
in vendita, da parte degli eredi Camilleri, l'antica casa di famiglia dello
scrittore empedoclino, risalente al secolo scorso e situata in posizione
dominante, sulle alture del paese.
Agli amici che l'aspettavano al «Caffè Vigata» per
gli ultimi saluti prima della sua partenza per Roma dopo questa lunga «estate
marinise», Andrea Camilleri ha confidato di aver appreso con una
certa desolazione, di quella irrevocabile decisione.
«E così, finalmente, assisteremo ad una bella colata di
cemento - sentenzia ironico come sempre il padre del commissario Montalbano
- e vedremo sorgere l'ennesimo ignobile palazzo, magari di cinque piani!
Purtroppo questa è la realtà quotidiana. Dalle nostre parti
hanno abbattuto ville del Settecento e dell'Ottocento per fare spazio ai
palazzi; non vedo perché, dopo averla acquistata, non debbano fare
altrettanto anche con la mia casa!».
Sembra davvero «disturbato» da questa notizia, lo scrittore,
che preferirebbe evitare di parlarne.
La casa in questione è un grande edificio, con porticato e terrazza
panoramica sovrastante, fatto costruire dai bisnonni dello scrittore attorno
alla fine del '700, posto al centro di un terreno agricolo, un tempo di
oltre 50 ettari; terreno che venne venduto nel corso degli anni. Oggi quella
costruzione, alla quale si accede attraverso un cancello arrugginito in
ferro battuto, è attorniata da una decina di ettari di terreno gerbido
e, nonostante le case sorte intorno, riesce ancora a «dominare»
il paese e il mare.
Lassù soffia, forte, il vento della «marina» e nelle
sere autunnali il sole rosso fuoco, prima di scomparire, riesce sempre
ad «incendiare» con i colori del tramonto, la casa e la collina.
Ormai da decenni, quella è una casa disabitata; «spogliata»
di ogni cosa, mobili d'epoca compresi, in seguito a diverse incursioni
notturne dei ladri. In quelle grandi stanze vuote, aleggia ancora, per
Camilleri, un passato duro a morire.
«Noi ci trasferivamo in quella casa ogni estate, all'inizio di
maggio - racconta lo scrittore - per tornarcene in paese solo ad ottobre
inoltrato, quando ricominciava la scuola. Quella casa fu frequentata da
Luigi Pirandello, dal marchese di Rudinì, da Nicolò Gallo
e da molti altri importanti personaggi dell'epoca che venivano a trovare
mio nonno. Era una casa di campagna arredata con un certo gusto e con mobili
di valore. Poco per volta però, i ladri si sono portati via tutto.
Arrivavano di notte, organizzati, a volte perfino a bordo di camion. Caricavano
il più possibile, poi, veloci scomparivano. Là dentro, adesso
non c'è più nulla perché è stato portato via
tutto. L'ultima volta che sono andato lassù è stato una decina
d'anni fa. Ed è stata una sensazione così spiacevole che
ho deciso di non metterci più piede».
«La proprietà di quella casa - continua Camilleri - va
suddivisa tra una serie di eredi che in così tanti anni non sono
mai riusciti a mettersi d'accordo e, come sempre succede, sono nate delle
controversie protrattesi per lungo tempo e delle quali adesso non ho più
alcuna intenzione di interessarmi. In quella casa, da ragazzo nascevano
poesie. Quello è il luogo della nascita della mia fantasia. In quelle
lunghe estati mi facevano compagnia i ragazzi delle case vicine: era l'epoca
in cui si viveva con poco e noi ci divertivamo giocando a rincorrerci per
i prati oppure scendevamo la «trazzera» fino al cimitero, dove
andavamo a giocare tra i vialetti alberati del camposanto».
Di quella casa, che richiama epoche ormai lontane, Andrea Camilleri
ha scritto anche diversi racconti. Sono soprattutto racconti rievocativi
dei tempi della guerra e di quando quella grande casa di campagna, lontana
dal centro abitato di Porto Empedocle, serviva come sicuro rifugio per
evitare i bombardamenti aerei che si abbattevano furiosi sull'area portuale
dov'erano ammassati i mezzi navali e militari.
«Questa casa non desidero vederla mai più - dice Camilleri
- perché per me è come assistere all'agonia di una persona
alla quale si vuole troppo bene, ma non si può fare più nulla
per evitargli la fine. Questa casa rurale è la metafora, l'emblema
e tutto quello che si vuole, della mia esistenza fino ad un certo punto
della mia vita. Quindi questo luogo è così carico, è
così denso di ricordi, di emozioni, di sensazioni che vederla abbandonata,
vederla deperire così, di giorno in giorno, per me è un vero
dolore fisico. Adesso sento che è stata messa in vendita. Bene.
Me ne torno a Roma con la speranza che non venga abbattuta per costruirci
un palazzo di cinque piani; se così fosse, per me sarebbe veramente
la fine di un qualcosa di particolarmente importante che ha rappresentato
tanto, se non tutto, della mia vita!».
Lorenzo Rosso
La Sicilia, 21.8.2004
Delegazione DS di Mussomeli lo ha incontrato
Videointervista a Camilleri in esclusiva alla Festa dell'Unità
Mussomeli. Un'intervista video in esclusiva concessa dallo scrittore
del momento, l'istrionesco Andrea Camilleri da Vigàta-Porto Empedocle,
classe 1925 e papà del celeberrimo commissario Salvo Montalbano,
tradotto perfino in Lituania e in Giappone, a riprova di un successo mondiale
senza precedenti per uno scrittore che ha fatto del dialetto siciliano
scritto, una lingua sapida e pregna di umori e sapori tipici della nostra
isola.
A mettere a segno lo scoop sono stati alcuni mussomelesi capeggiati
dal dott. Tonino Calà, insegnante e poeta, nonché organizzatore
responsabile della seconda edizione della Festa dell'Unità del Vallone
che si terrà a Mussomeli dal 2 al 5 settembre. Calà, che
insieme ad altri diessini in delegazione aveva incontrato lo scrittore
agrigentino a Serradifalco, dove di recente è stato insignito della
cittadinanza onoraria, si è quindi recato, dopo un nuovo contatto,
nella casa di Porto Empedocle dove Camilleri è stato preso… per
la gola. La signora Cettina Genco ha infatti fatto cucinare delle deliziose
ed invitanti mbriulate che Camilleri sconosceva. Lo scrittore si è
quindi affrettato a prendere appunti sulla composizione della tipica pietanza
del Vallone, assicurando che in futuro la mbriulata comparirà sulla
mensa di Montalbano che, in quanto a predilezione per le genuine pietanze,
non ha nulla da invidiare a più illustri predecessori.
In delegazione a Vigàta si sono recati: Lino Maida, Tonino Calà,
Cettina Genco, Salvatore Ferro, Giuseppe Territo e Michele Morreale. Con
loro anche il fotografo Felice Stagnitto mentre le riprese video sono state
effettuate da Lino Maida.
L'intervista sarà trasmessa durante i quattro giorni della manifestazione
su megaschermo.
Roberto Mistretta
ttL,
21.8.2004
Camilleri si scopre, Maraini e De Carlo si nascondono
Tra anticipazioni e qualche top secret di troppo: Faletti va in America,
Baricco inscena l'Iliade, Arbasino fra i libertini, Bevilacqua con la mamma,
Veltroni con i figli
Ove finiva Il giro di boa, con Montalbano ferito e accompagnato
all'ospedale di Montechiaro, comincia La pazienza del ragno. «Terminata
la degenza il commissario torna a casa, depresso, nonostante le cure della
paziente Livia. Ma quando riceve la telefonata di Catarella che lo informa
della scomparsa di una ragazza...»: un Camilleri imminente (fine
settembre) è sempre una bella notizia e la Sellerio non lesina il
racconto per sommi capi della nuova storia. Ottimo esempio, poco seguito
dalla nostra industria editoriale (a differenza degli stranieri che quasi
sempre offrono ampi «trailer» sui titoli in uscita) su alcuni
dei suoi italiani d'oro, trincerati dietro un segreto-effetto sorpresa,
vedi Eco, (squisitamente commerciale).
[...]
Mirella Appiotti
l'Unità, 23.8.2004
Mi ricordo l'altro Camilleri
Il bello di questo mestiere sta nel fatto che – potenzialmente – puoi
incontrare chiunque. Ma questo mestiere non ti obbliga a intervistare
qualcuno in particolare. E questa è una garanzia (per chi scrive,
e per chi legge).
Parlerò di Andrea Camilleri. Il tema proposto infatti è
intrigante: scrivete di qualcuno - raccontandolo, descrivendolo - che avete
avuto modo di conoscere solo attraverso il vostro mestiere di giornalista.
Qualcuno - questo è sottinteso - che non avreste mai avuto l'occasione
di incontrare se aveste fatto tutt'altro lavoro.
Per entrare in argomento, forse, potremmo azzardare che un giornalista
può sostenere di cominciare a conoscere veramente qualcuno solo
dopo averlo intervistato, dopo averne catturato, anche se in mezzo pomeriggio,
anche se di fronte al tavolino traballante di un bar, nella affollata sala
d'aspetto di una stazione, nella quiete del salotto buono di casa sua,
l'attenzione, il filo del discorso, la trama dei ricordi, la logica dei
suoi pensieri su un determinato argomento. Incontrandolo a tu per tu, oltre
lo spettro deformante dell'ufficialità, meglio ancora se alle prese
con la quotidianità, alla quale non sfugge neanche chi è
destinato a entrare nella memoria dei posteri (e non tutti gli intervistati
avranno questo privilegio).
Un giornalista conosce tantissima gente, ma solitamente la conosce
di vista, di fama, o di nome. La conosce di sfuggita. Di molte personalità,
o personaggi, o protagonisti di una vicenda specifica, può avere
sentito parlare infinite volte, letto quanto hanno detto o scritto, ma
solo la scintilla dell'incontro diretto provoca quell'inevitabile salto
di conoscenza destinato a arricchire intervistato, intervistatore e lettore.
Sempre che l’intervista sia una buona intervista, che l'intervista abbia
un suo significato andando incontro alla curiosità del pubblico
e che, di conseguenza, si avvicini alla quota di sbarramento rappresentata
da quella manzoniana venticinquina di lettori. Insomma: un conto è
il gossip, altro conto un'intervista.
Al di sotto del «genere» intervista si collocano la raccolta
delle dichiarazioni e le frequentazioni telefoniche con la “personalità”,
ma non si può parlare di autentica conoscenza, pur essendo, quelle
appena elencate, altrettante forme di giornalismo.
Veniamo al punto. Quando mi è stato chiesto da questo giornale
di parlare di un mio incontro che non mi sarebbe stato possibile se nella
vita non avessi scelto di fare il giornalista, ho risposto senza esitazione
che avrei parlato di Andrea Camilleri. Per la semplice ragione che incontrare
e intervistare lo scrittore di Vigàta è stata un'unica esperienza,
che si è consumata tutta nell'arco di tre ore di un pomeriggio del
luglio del 2001: il testo integrale venne pubblicato dall’Unità
il 19, in occasione dell'anniversario della strage di Via d'Amelio, uccisione
di Paolo Borsellino insieme con uomini e donne della scorta (e proprio
quell'anniversario rappresentò lo spunto per incontrarci). Intervista,
quella, senza preamboli, senza anticamere, senza la trattativa su data
e orario dell'incontro che spesso condizionano fastidiosamente incontri
come questi. In perfetta e, per tanti aspetti, inspiegabile sintonia. Poi,
che da quel primo incontro ne sia venuto un altro, con conseguente nuova
intervista per questo giornale (14 novembre 2003), e, prima, un libro vero
e proprio (La linea della palma, Rizzoli editore) è altra
storia.
Ho accennato al motivo per cui oggi la mia scelta sia caduta su Andrea
Camilleri. Resta da capire perchè, a suo tempo, fui spinto dalla
curiosità professionale di andarlo a trovare. Rispondere a questa
domanda, per me, è assai facile.
Andrea Camilleri è lo scrittore più popolare in Italia,
subito dopo il Papa. Già questo aspetto, da solo, valeva bene una
lunga chiacchierata. Ma mi rendevo anche conto che proprio lo scrittore
laico più popolare d'Italia, quello che aveva inventato il poliziotto
Montalbano, era anche lo scrittore italiano più oscurato, più
taciuto, più tenuto lontano da occhi e orecchie indiscreti, proprio
da quei circoli intellettuali e da quegli ambienti editoriali che se lo
contendevano. E se lo contendono ancora adesso.
Dalla testa, antica e moderna assieme, di Andrea Camilleri, era scaturito
Montalbano, poliziotto dal volto buono, in quel di Porto Empedocle. E questo
gli veniva riconosciuto, andava bene, benissimo. Tutto burro che colava.
Questo faceva moltiplicare a dismisura le tirature, alimentare il mito
e lievitare l'evento (le vendite). Poteva bastare. Insomma: punto e basta.
Idee politiche? Idee politiche di Camilleri? Chissà.
Eppure non ci voleva molto a capire, da dichiarazioni che trapelavano
qua e là, su questo o quel quotidiano o quel settimanale, che Camilleri
era scrittore letteralmente incompatibile con l'Italia berlusconiana, con
la sua arroganza, con la sua povertà (assenza?) di valori, con il
suo cinismo, con la sua spregiudicatezza demolitoria di tutto quanto gli
italiani avevano costruito in oltre mezzo secolo di storia. Diciamo Italia
berlusconiana. Ma dovremmo scindere, dicendo: Silvio Berlusconi, e un Italia
che, per qualche anno, venne letteralmente plagiata dall’eterno golpista
del “vorrei ma non posso”.
A mio giudizio, ci sono due ragioni a spiegazione – non, ovviamente,
a giustificazione – di questo oscuramento sapiente e impalpabile. La prima
è che l’ascesa di Camilleri, come scrittore italiano popolare, è
andata curiosamente a collocarsi proprio nel momento in cui Berlusconi
stava costruendo le fondamenta del suo teatrino funambolico. Crescevano
a dismisura i fondali di regime (dopo la rovinosa caduta del 1994), e Camilleri
era messo lì, nel mezzo, quasi a fare ombra, comunque da intralcio
potenziale per gli ingegneri della Casa delle Libertà tutti impegnati
a tirare su l’italietta degli Schifani e dei Miccichè, dei Cicchitto
e dei Bondi e degli Scajola, dei Nania, dei Gasparri e dei La Russa, dei
Giovanardi e dei Calderoli e dei Maroni.
Camilleri, allora, un po’ come il Mario di Thomas Mann – nel Mario
e il mago – che poteva spezzare l’incantesimo del mago Cipolla, svelare
alla folla i trucchi dell’incallito prestigiatore, denudarlo concettualmente,
metterlo alla berlina, ridurlo al silenzio. La seconda: mettevano paura
le radici antiche e profonde di una vecchia Sicilia, quelle che, venendo
da molto lontano, non trovavano posto nella ventiquattrore di un commediante
venuto a recitare il suo “numero” usa e getta.
Ecco perché lo scrittore siciliano doveva restare, agli
occhi del grandissimo pubblico, solo l’autore del personaggio Montalbano.
Tanto è vero che, prima di quella intervista all’Unità,
è impresa davvero difficile trovare sui quotidiani un testo
che riassuma per intero le posizioni politiche di Camilleri in quella fase.
E’ proprio vero che “ci vuole orecchio”, per dirla con la canzone di
Enzo Jannacci; si capiva lontano un miglio che un siciliano come lui sarebbe
stato in condizione – se solo qualcuno glielo avesse chiesto – di riempire
pagine e pagine sull’argomento mafia e lotta alla mafia. Per carità.
Peggio che andar di notte. Quel governo si stava accingendo, per bocca
di un suo ministro, a battere tutti i record più negativi di centocinquanta
anni di storia italiana con l’affermazione che con la mafia sarebbe stato
conveniente convivere. Quindi anche “questo” Camilleri – Montalbano accetterebbe
mai di convivere con la mafia? – andava troncato, zittito, disperso, qua
e là, fra qualche quotidiano, qualche settimanale.
A proposito di cose di mafia, resta insuperata, nella nostra intervista,
la descrizione che diede di Bernardo Provenzano, il latitantissimo gran
capo dei capi di Cosa Nostra: “Come lo immagino? E’ questo che mi affascina:
avere un potere, un grosso potere, e vivere dentro una grotta… però
ha l’idea del potere. E’ plurimiliardario. Provenzano è la quintessenza
del modo di dire siciliano: u cummannari è megghiu ca futtiri.
Il distillato, il condensato assoluto: tu lo metti a brodo e dai da mangiare
a mezza Sicilia, con il brodo di questo suo cumannari è megghiu
ca futtiri. Lo immagino come una capra. Che non rumina solo mentalmente.
Si terrà leggero, o forse mangerà il capretto infornato con
le patate… suo malgrado è diventato un simbolo.”
Ma non è finita. C’è un Camilleri pacifista, contrario
alla guerra, sensibile alle ragioni del mondo arabo, indignato con l’esibizione
muscolare contrabbandato come lotta al terrorismo internazionale. Montalbano
ordinerebbe mai un bombardamento a tappeto, indifferente alla natura dell’obbiettivo
da colpire?
C’è ancora un altro Camilleri, contrario alla blindatura dei
confini europei di fronte alla marea montante dell’immigrazione di popoli
che vengono da altri mondi perché hanno fame, cercano lavoro, sfuggono
a regimi dittatoriali, carestie, epidemie mortali. Neanche questo Camilleri,
ovviamente, poteva essere considerato «politicamente corretto».
Ce lo vedete Montalbano che sulla banchina di Porto Empedocle vestendosi
di autorità e impugnando un megafono, vieta l'attracco a una nave
di disperati?
Infine, questo scrittore, che oltre a essere il più popolare,
è anche tra i più scomodi, in gioventù ebbe persino
simpatie comuniste.
Giunto a questo punto, credo di essere riuscito a rendere almeno l'idea
del perchè, in quel luglio 200l, cercai Camilleri per quell'intervista.
Rileggendola, mi accorgo che contiene, sia pure entro i limiti imposti
dai ritmi di un quotidiano, la sintesi dei tanti aspetti del «Camilleri-
pensiero» (sociale e politico, s'intende, non avendo, quell'intervista,
alcuna pretesa letteraria). Mi accorgo anche -e il discorso non vale solo
per questa intervista ma per tutti gli incontri che fra noi ci sarebbero
stati in seguito - che il punto di vista dello scrittore di Porto Empedocle
regge all'usura del trascorrere degli anni.
Cerco di spiegarmi meglio. Ascoltando Camilleri, soprattutto sulle
questioni di natura internazionale, sull'argomento di guerra e pace, sull'America
di Bush, sul terrorismo, qualche volta mi assaliva il dubbio che le sue
affermazioni fossero indiscutibilmente suggestive, ma leggermente apodittiche,
insomma non altrettanto in grado di «indovinare» con precisione
gli sviluppi futuri delle situazioni.
Commettevo - ora me ne rendo conto - un errore marchiano. Rileggete,
per esempio, ciò che profetizzò sull'Iraq e confrontatelo
con le «cartoline» da Baghdad che ogni sera ci propongono i
nostri telegiornali. Più che di «bombe intelligenti»,
destinate a esportare la democrazia, dovremmo parlare di «previsioni
intelligenti», destinate a indovinare che il peggio doveva ancora
accadere (e il peggio sta ancora accadendo oggi, se è per questo).
Voglio adesso riproporvi solo qualche riga di quella intervista di
tre anni fa. È la risposta di Camilleri a questa mia domanda sull'Italia
berlusconiana: «C'è speranza, o ha ragione Indro Montanelli?».
Camilleri: «Ha ragione Montanelli. Per me è un amaro calice,
e lo devo bere sino alla feccia. Se questa esperienza del governo Berlusconi
non viene patita, e non dico vissuta, gli italiani non se ne renderanno
conto. È stata data fiducia al fascismo sin quando non ci fu la
guerra. Non succederà una guerra e non lo auguro a nessuno. Però
si sapeva che le promesse non sarebbero stati in grado di mantenerle. Ora
hanno trovato questo comodo alibi dei sessantaduemila miliardi di buco,
un buco che siccome non c'era dovevano inventarlo. A ca nisciuno è
fesso, dicono a Napoli: lo sapevamo. Mi chiedevo che cosa avrebbero
inventato per non mantenere le promesse. Adesso lo so. E se lo sono inventati
bene, con una cifra che è come un blob. Ma se fosse vera, non puoi
dire: nel 2002 sarà tutto a posto. Dovresti dire: vi imporrò
lacrime e sangue. E se non lo fai, vuol dire che non è vero niente.
Non c'è cosa più terribile della disillusione degli italiani:
prende forme spaventose». Si era appena agli inizi della nuova avventura
del mago Cipolla.
Tremonti non c'è più. Il buco dei sessantaduemila miliardi
non c'è mai stato. Hanno continuato a ripetere che avrebbero mantenuto
le promesse. Le promesse non sono state mantenute. La disillusione degli
italiani ha iniziato a prendere «forme spaventose» (quattro
milioni di elettori che alle ultime elezioni gli hanno voltato le spalle,
non devono essere apparsi al mago Cipolla una «forma spaventosa della
disillusione degli italiani»?). La verità ha cominciato a
farsi strada. Non era vero niente, appunto. E gli italiani lo hanno capito,
appunto. Direte che tutto era prevedibile. Non è proprio così.
Esattamente tre anni fa, mentre l'Unità pubblicava quell'intervista,
l'Altra Italia era letteralmente annichilita di fronte alle dimensioni
del trionfo del centrodestra. E si preparava a una lunga e sofferta «elaborazione
del lutto». Il vecchio scrittore di Porto Empedocle, invece, aguzzava
la vista. L'avere attraversato il ventennio fascista - in questo come Montanelli,
con la sua profezia del calice amaro - deve avergli fatto acquisire i benefici
anticorpi che tornano utilissimi ogni qual volta un'Italia, immemore e
zuzzurellona, spinge sulla ribalta il suo commediante di turno per godersi
il «numero» che farà.
Per concludere. Ma ditemi voi se trovate normale che uno come lui non
sia invitato mai in televisione per essere intervistato in prima serata?
Ditemi voi se trovate normale che in un paese in cui si improvvisano opinionisti
i personaggi più strampalati, di Camilleri si debba poter dire solo
che «è lo scrittore che ha inventato Montalbano»?
Credetemi sulla parola. L'ho conosciuto. In lui, c'è molto di
più. Per questo fanno di tutto per oscurarlo (e spesso ci riescono).
Saverio Lodato (saverio.lodato@virgilio.it)
Vigàta vini,
23.8.2004
Premio Vigata 2004
In occasione della seconda rassegna nazionale del teatro, Premio Vigata,
svoltasi a Porto Empedocle dal 23 al 29 agosto 2004, sono stati presentati
al pubblico i vini Vigàta, sponsor - tra gli altri - della prestigiosa
rassegna. Al termine della conferenza stampa di presentazione del cartellone,
avvenuta il giorno 23, è stato offerto in degustazione il Vigàta
RossoSalvo, che ha riscosso grandi apprezzamenti. Nella foto il prof. Andrea
Camilleri (Presidente della Giuria della rassegna) con la dott.ssa Maria
Grazia Scordato e una bottiglia di Vigàta RossoSalvo.
Stilos, 24.8.2004
Gioco all'azzardo ecco il mio futuro
Il nuovo romanzo di Montalbano, la ricerca sperimentalista, l’ascendenza
di Sciascia e Pirandello, la prova narrativa del “Re di Girgenti” uguale
a un “giro di boa”: lo scrittore siciliano parla del suo lavoro e delle
sue tecniche narrative
Andrea Camilleri, in vacanza nella Vigata di Montalbano, che è
la sua Porto Empedocle, circondato da figlie e nipoti, ha rischiato di
guastarsi le ferie per colpa del gatto del genero che è scappato
perdendosi tra i tetti e i cortili di Roma. Per sua fortuna non è
andato in Sicilia per scrivere, ma per riposarsi. E può chiedere
ogni cinque minuti se il genero ha telefonato con una buona notizia: “Deve
sapere che per lui prima viene il gatto e poi mia figlia. Una tragedia”.
Intanto trova lena per parlare a Stilos del suo ultimo Montalbano che esce
a settembre da Sellerio.
"Il giro di boa" ha un finale aperto: Montalbano finisce in ospedale
e non conosciamo né la diagnosi né la prognosi. Già
allora lei pensò forse a un sequel che ora sarebbe La pazienza del
ragno?
No. E’ andata così: per me "Il giro di boa" finiva lì;
poi bisognava vedere come se la risolveva Montalbano. La ferita comunque
non era grave. Semmai è più grave la crisi che sta attraversando.
Vennero quelli della Mondadori: “Ce lo dai un altro libro di racconti di
Montalbano?”. Io l’anno scorso, da febbraio in poi, stetti male e scrivevo
poco. A luglio, quando venni qui a Porto Empedocle, mi portai il computer
(ciò che quest’anno non ho fatto) e presi l’impegno con la Mondadori
più che altro per vedere se ero capace di mettermi all’opera. I
racconti che do alla Mondadori diventano sempre più lunghi perché
in sette o dieci cartelle non ce la faccio a starci e mi ci trovo a disagio.
Quindi mi dissi che in linea di massima dovevo preparare tre racconti lunghi.
Uno l’avevo scritto tempo addietro ma era tutto da rivedere, quello della
cabala e del pesce: lo feci e attaccai col secondo, “La prima indagine
di Montalbano”, e lo portai a termine. Restava il terzo e cominciai a scrivere
“La pazienza del ragno”, ma mi resi presto conto che non ci stava nemmeno
nella lunghezza delle cento pagine. La cosa era seria. Lasciando perdere
il terzo racconto per la Mondadori, cominciai a scrivere quest’altro che
diventava sempre più romanzo. Ora, siccome per i tre racconti mondadoriani
mi ero proposto di escludere ogni fatto di sangue, "La pazienza del ragno"
sarà priva di morti e feriti. Però mi venne come dire quasi
naturale riattaccarlo ai momenti immediatamente successivi al ricovero
di Montalbano. E infatti tutto il primo capitolo è un seguito de
"Il giro di boa": una lunga notte che Montalbano passa in ospedale pensando
a quello che gli sta succedendo. Ma stavolta la sua posizione è
marginale: lui è in convalescenza e Livia viene a trovarlo, ma è
pregato di prestare il suo appoggio a un collega impegnato in un’indagine
su un rapimento. Si trova perciò dentro e fuori l’indagine, ma quando
l’inchiesta ufficiale si conclude, lui svolge un’indagine personale.
Entra in azione o fa lavoro di deduzione da fermo?
Entra in azione. Trova la conferma di una sua supposizione, saluta
e ripiglia la sua convalescenza lasciando le cose come sono state messe
dall’indagine ufficiale.
Diciamo allora che è il più irregolare dei romanzi
di Montalbano.
Totalmente irregolare. Ma anche qui troviamo il Montalbano contrario
a intervenire in una situazione illegale.
Sta per caso cadendo in depressione?
Non è depresso. E’ invece una persona che comincia a chiedersi
troppo spesso il perché del continuo contrasto tra la sua coscienza
e la legge. E questo pensiero a un certo punto lo logora.
Ne "Il giorno della civetta" compare alla fine una Livia parmense
che dice di amare la Sicilia ma di non esserci mai stata. La sua Livia
ligure invece non ama la Sicilia ma viene spesso. Uno strano caso di omonimia
che integra anche un rovesciamento della stessa figura femminile.
Probabilmente è stato un transfert inconscio. Sa che
me ne sono accorto dopo? Rileggendomi "Il giorno della civetta" mi sono
detto: “Mannaggia, potevo cambiarle il nome!”. Devo dire però che
la Livia di Sciascia non mi aveva colpito particolarmente forse perché
è scorciata e finale. Mi colpì di più quanto dice
in tre frasi la moglie dell’eccellenza, nuda e bellissima, quando zompa
fuori dal letto scocciata dalla telefonata notturna che riceve il marito.
In realtà, ancorché non si dica altro, lei è
il meno sciasciano di tutti.
Non ho niente della lucidità razionale di Leonardo. Semmai sono
più cardarelliano che sciasciano, un cinico che ha fede in quel
che fa, distante rispetto a Sciascia, del quale comunque condivido il 90
per cento delle posizioni morali e civili: rimango sempre ammirato da questa
sua lingua affilata come un bisturi.
Però ha detto che quando comincia a scrivere un libro non
può fare a meno di leggere prima qualche pagina di Sciascia.
Sì, ho bisogno di una carica. Difficile che io vada a caricarmi
con autori che magari leggo più di Sciascia. Mi carico più
su una tensione dialettica che non consolatoria. Come in un buon matrimonio,
gli sposi devono essere diversi per amarsi davvero.
A "La pazienza del ragno" dovrebbe fare seguito, secondo il suo
rituale, un romanzo storico. Che, per quanto se ne sa, cade all’inizio
del Novecento con un impegno di tipo sperimentale?
Preferirei non parlarne perché può darsi che l’idea abortisca
e rimanga sulla carta.
Ma la sperimentazione resta un suo banco di prova irrinunciabile.
Assolutamente sì. Che cosa ho fatto quando ho scritto "La concessione
del telefono"? Non ho che evitato il romanzo tradizionale scrivendo qualcosa
che attiene più che altro al teatro, senza passaggi temporali e
senza descrizioni. Quando ho scritto "La scomparsa di Patò" come
autore mi sono completamente chiamato fuori dalla narrazione, per quanto
ciò sia possibile. Come dire, sto cercando di portare ancora più
a fondo un tipo di ricerca strutturale all’interno del romanzo.
E’ da tempo in realtà che lo fa, diciamo da sempre. Ma a
me pare che non sia per niente soddisfatto dei risultati ottenuti e che
stia provando a rompere il romanzo al suo interno.
Non credo al romanzo tradizionale, pur piacendomi. Del resto anche
un romanzo tradizionale qual è "Il re di Girgenti" trovo che abbia
una struttura squilibratissima.
Già. Mentre i gialli di Montalbano seguono un andamento paratattico
con uno svolgimento più cronologico e ordinato, tranne forse "Il
cane di terracotta".
La scommessa era questa: avendo scritto solo romanzi storici, sono
capace di scrivere un giallo? Ma attenzione. È vero che c’è
un momento nel quale fai impazzire la maionese, ma è anche vero
che dopo la puoi rendere immangiabile. Quindi se scrivo Montalbano non
puoi permetterti di fare sperimentazione.
"Il re di Girgenti" romanzo tradizionale, ha detto? Beh, lo volle
indietro dopo averlo dato a Sellerio per riscriverne metà. Anche
lì giocò con la maionese eccome.
Le racconto tutta la storia. A settembre esce il secondo Meridiano
e Silvano Nigro ha voluto i documenti non pubblicati del Re di Girgenti
da mettere in appendice. Dico di che si tratta. Quando scrivevo il romanzo
mi trovavo davanti a un problema: “Come faccio a raccontare i fatti di
Zosimo da quando ha 16 anni fino a 38 anni? Sono fatti privati ma anche
avvenimenti internazionali”. Bisognava fare un libro di 1800 pagine, perlopiù
noiosissime. Mi venne allora in testa di occupare questa parte centrale
scrivendo tutta una serie di documenti finti, cambiando stile: dalla lettera
privata alla nota ufficiale del documento. Mi trovai perciò con
circa cinquanta documenti, che erano una meraviglia perché mi risparmiavano
spazio e mi evitavano la caduta nella noia. Una volta scritto il romanzo,
che mi portavo dietro da anni, fui ben felice di darlo alla mia lettrice
primaria che è mia moglie, la quale mi disse: “Il racconto mi piace,
però quelle pagine di documenti sono una mazzata in testa al lettore
perché interrompono bruscamente il filo narrativo e dopo non lo
riprendi”. Mi arrabbiai perché non convenivo. Mandai il libro a
Elvira Sellerio: “Bellissimo, però…” Anche lei trovava pesanti i
documenti centrali. Lo feci leggere a mia figlia Elisabetta: “Papà,
ci sono quelle cinquanta pagine centrali che…” Va bè, mi sono detto,
non è cosa. E lì il romanzo si fermò perché
non sapevo trovare una soluzione. Finché la trovai. “Ma perché
– mi dissi – mettere tutti i documenti? Metto quello che mi interessa.”.
E così ho fatto. Quando Nigro ha saputo che c’erano questi documenti
espulsi me li ha chiesti per il Meridiano. “Non ce l’ho”. Gli dissi. Io
non lascio tracce, butto via tutto quando un libro è finito. Il
Fondo manoscritti di Pavia non avrà mai niente di mio. “Ma Elvira
deve averli” dissi a Nigro. Elvira Sellerio li aveva ma aveva strappato
le pagine per cui mancavano frasi e parole che Nigro si è messo
a ricostruire e che ora escono in appendice.
Bene. Si ha la prova che "Il re di Girgenti" è anch’esso
di tipo sperimentale.
Le dico una cosa. Nel "Re di Girgenti" il buon Zosimo copia le regole
dell’abate Meli sul buon governo, sicchè la mia sperimentazione
non sarà mai come quella del Gruppo 63, anche perché non
ho l’età, ma è una ricerca sulla struttura. Io ho rubato
a tutti. E dico che è un mestiere di ladri il nostro. Non può
essere diversamente. Perché a me viene da ridere a scrivere "Il
re di Girgenti" perché uno si trova di fronte alle tragedie greche
e vede che tutto è stato scritto. A questo punto su che lavori?
Sugli scampoli, sulle mollichine.
Senza evocare Saint-Beuve né gli strutturalisti, secondo
lei un suo romanzo può essere letto senza conoscerla? Un suo testo
richiede o no che sia nota la biografia dell’autore per essere compreso
a fondo?
Il testo non ha niente a che fare con l’autore, mi deve credere.
Ma nei suoi libri lei è presentissimo.
Certo, ma "Il processo" non riguarda la vita di Kafka. Io adopero materiali,
che rivolto e riciclo.
Diciamo che più esattamente sperimenta. In realtà,
a stare ai risultati utili, lei è andato ben oltre il Gruppo 63.
Piano, piano. Io ai lettori ci tengo e non faccio niente che non capiscano.
Il massimo mio azzardo – e sapevo che avrebbe avuto reazioni negative –
è stato "La presa di Macallè", ma riguardava i contenuti
e non il linguaggio.
Questa vocazione all’azzardo non le viene forse da Pirandello che
innovò il teatro con la trilogia? E quella trilogia fu una proposta
di teatro-verità o un gioco di astrazione? Alla stessa maniera,
la sua ricerca tende al romanzo verità o ne prefigura la rottura?
Allora. Nel momento in cui irrompono i sei personaggi che nella didiascalia
entrano in scena da un luogo terzo che non è né quello degli
attori né quello del pubblico, abbiamo una finzione di irruzione
della verità. La ricerca della massima verità è inevitabilmente
la ricerca della massima astrazione, a mio avviso. Ma non scriverei mai
una cosa che non avesse un relativo consenso. È il caso dell’autore
teatrale: vuole che il pubblico capisca quello che sta dicendo, che dissenta
o approvi non importa perché conta per lui stabilire la comunicazione.
Per lo scrittore è la stessa cosa.
Ma dopo 110 regie teatrali, un migliaio di regie radiofoniche e
un centinaio di regie televisive, lei ha maturato una capacità di
rivolgersi a un pubblico dal target diversissimo. Come fa a cambiare così
facilmente abito?
Non so spiegarmelo, forse la lunga militanza teatrale mi ha dato la
misura della destinazione di ciò che faccio. Quindi ne consegue
che se faccio una cosa televisiva so che sarebbe un errore di comunicazione
mettermi a fare sperimentalismi troppo azzardati. Tanto è vero che
quando mi trovo tra le mani una sceneggiatura di Montalbano, io intervengo
nel dialogo. Primo, per evitare che uno degli attori non siciliani parli
scorrettamente il siciliano, secondo, per rendere appunto più comprensibile
quanto viene detto. Il senso della destinazione di ciò che scrivi
ne comporta anche un adeguamento.
L’oralità, ha detto, è per lei fondamentale. Oralità
è soprattutto estemporaneità ma anche studio, copione, ciò
che nel romanzo è stesura. Lei, che è autore di cento stesure,
in che senso ritiene fondamentale l’oralità?
E’ una questione di tecnica. Io scrivo una pagina e naturalmente poi
la revisiono. C’è dunque un primo grado della scrittura: cambio
una frase, la esprimo meglio, e vado avanti così per diverso tempo.
Quando penso di avere raggiunto quello che volevo dire scatta in me un
secondo piano che è la lettura ad alta voce del testo. Leggendo,
prendo un certo ritmo, do un certo colore, tanto che potrei raccontarla
quella pagina come se l’avessi inventata in quel momento. L’inceppamento
nel racconto orale è pregiudizievole sicchè riscrivo tutto.
Le è capitato di scrivere un testo currenti calamo?
Mai. C’è sotto sempre una forte applicazione. Il mio ideale
di scrittura è da trapezista. Al circo lei vede eseguire un triplo
salto mortale da parte di un acrobata che sorride e che non dà alcun
segno di fatica mentre è chiaro che è stata grande la fatica
cui si è sobbarcato per realizzare quel numero. La sua è
una leggerezza sudata. Com’è la mia. Mai fare capire al lettore
che un libro trasuda di fatica.
Gianni Bonina
La Sicilia, 24.8.2004
«Sono peggiorati i servizi alberghieri»
«Il livello dei servizi offerti alla clientela nell'ambito della
ricezione alberghiera, nel giro degli ultimi anni si è abbassato
in maniera notevole, tanto da rischiare, ora, di pregiudicare il futuro
sviluppo turistico dell'intero bacino». Parola di Paola Calvetti,
responsabile della Comunicazione del "Touring Club Italiano" abituata da
sempre a monitorare la situazione e mandata in avanscoperta dal Touring
ad Agrigento per studiare la possibilità di un grande lancio promozionale
del turismo invernale in Sicilia, a fine 2004.
[…]
E se per servizi turistici Agrigento "piange", Porto Empedocle pare
essere ormai giunto "al capolinea". Basti pensare che quando la nave per
le isole Pelagie non parte, per i turisti non vi è possibilità
alcuna di pernottare in quanto esiste un solo albergo e per giunta lontanissimo
dal porto.
«Ho visto un degrado impressionante - racconta lo scrittore Andrea
Camilleri - e purtroppo tutte le volte che torno in paese trovo che la
situazione peggiora inesorabilmente».
E dire che proprio Porto Empedocle con la denominazione "Vigata" tenta,
attraverso l'immagine del popolare commissario Montalbano, una rinascita
turistica legata alla promozione del suo territorio.
«Quello che vi posso raccontare - continua Camilleri - è
che l'altro giorno, avendo la necessità di acquistare una copia
qualsiasi di un mio libro, da omaggiare ad un ospite, ho scoperto che in
tutta Porto Empedocle - Vigata non vi è un solo punto di vendita
dei miei libri. Solo alla fine, su segnalazione di un amico - ho trovato
qualcosa tra il banco dei salumi e il reparto elettrodomestici del nuovo
centro commerciale. Per una città che vuole chiamarsi Vigata mi
pare davvero il colmo dei colmi!».
Lorenzo Rosso
Antimafia 2000,
24.8.2004
Venticinque anni di mafia
Saverio Lodato, Rizzoli BUR, €11.00
L'unica ricostruzione giornalistica esistente degli ultimi venticinque
anni di Cosa Nostra.
Un’opera che propone, con fedeltà documentale e lucidità
d’analisi, i tanti insuccessi registrati dallo Stato sul fronte antimafia.
(Giovanni Falcone)
Il libro uscì per la prima volta nel 1990 con il titolo “Dieci
anni di mafia” e venne definito strumento indispensabile per capire le
ragioni dei tanti fallimenti dello Stato nella lotta contro la mafia. Da
allora viene ininterrottamente ristampato perché purtroppo – è
lo stesso Lodato a dirlo – le ragioni di quei fallimenti non sono mai state
definitivamente rimosse.
L’autore ha conosciuto: Dalla Chiesa, Falcone, Cassarà, Caponnetto,
Borsellino, Caselli; ma anche mafiosi pentiti, Buscetta e Brusca, mafiosi
non pentiti, del calibro di Riina. Ha seguito i processi ad Andreotti.
Negli anni il volume si è arricchito di un’ampia cronologia
dei fatti e di una raccolta di interviste e reportage che consentono di
seguire il filo degli avvenimenti. In quest’edizione entrano per la prima
volta: interviste a Enzo Biagi, Andrea Camilleri, Gian Carlo Caselli, e
reportage su Bernardo Provenzano, l’attuale primula rossa di Cosa Nostra.
Ma anche un nuovo e ampio capitolo sugli ultimi quattro anni di storia
di lotta alla mafia.
Saverio Lodato è autore di numerosi libri di successo sulla
Sicilia e sulla mafia: “La Linea della Palma” (Rizzoli), “Dall’altare contro
la mafia” (Rizzoli), “Venti anni di mafia” (Rizzoli, dieci edizioni dal
1990), “I miei giorni a Palermo”, “Potenti”, “Vademecum per l’aspirante
detenuto”,
“Ho ucciso Giovanni Falcone”, “La mafia ha vinto”, “La mafia invisibile”.
Saverio Lodato ha sempre scritto per L’Unità.
e-mail: saverio.lodato@virgilio.it
La Sicilia, 25.8.2004
Il Festival di teatro città di Vigata
I turisti arrivano per salutare Camilleri
Lo scrittore però «dribbla» la rassegna
Porto Empedocle. Sono venuti da tutta Italia per vederlo, toccarlo,
conoscerlo. Ma per le compagnie giunte a Vigata per partecipare alla rassegna
nazionale di teatro amatoriale stringere la mano di Andrea Camilleri è
impresa assai difficile.
Il papà del commissario Montalbano infatti esce solo la mattina,
dalle 11 alle 13 per andare a sedersi al bar Vigata di Stefano Albanese
in via Roma ed è lì che i camilleriani incalliti si precipitano
in processione.
Uno per uno come se si trattasse di un simulacro da venerare si accalcano
attorno al suo tavolo, ricevendo comunque sempre un saluto cordiale e un
autografo dovunque, su libri, quaderni, pezzi di carta. Assolto a quello
che per lui pare avere tanto il sapore di un supplizio, lo scrittore si
alza e se ne torna nella sua casa dietro al Municipio.
Questa è la vita pubblica di Camilleri a Vigata e a farne le
spese è la rassegna teatrale.
A dispetto della sua faccia stampata sui manifesti che propagandano
la manifestazione, quest'anno come dodici mesi fa lo scrittore sta disertando
le rappresentazioni che ogni sera si tengono nello splendido scenario di
piazza Kennedy addobbata a mo di teatro sotto le stelle.
Poi ci si mette anche la cattiva sorte. Martedì sera, al momento
di proiettare un video messaggio del fenomeno letterario del momento, il
proiettore è andato in tilt. Quindi niente Camilleri almeno in video,
dopo la rinuncia a quello in carne e ossa. Lo scrittore al momento è
impegnato nell'ultimare il nuovo romanzo del Commissario Montalbano, «La
pazienza del ragno».
F.D.M.
La Stampa, 26.8.2004
[...]
«Vengo da una società dove si racconta benissimo. Esiste
un rispetto arcaico per chi ha qualcosa da dire. Perciò nessuno
si stupisce che io pubblichi storie Ci sono anche motivazioni […]»
[…]
Il Venerdì di
Repubblica, 27.8.2004
Gusti-Costumi. Lo scrittore ha ricordato l'illustre clientela di un
locale agrigentino
Mussolini e Sciascia lasciano gelato Camilleri
A chi le cassate? A noi. Sembra però che Benito Mussolini, nel
vasto repertorio dei dolci siciliani, preferisse il gelato alle mandorle
della Pasticceria Castiglione ad Agrigento. Scoprì quella delizia
nel 1924, durante una visita sull'isola. E se ne innamorò perdutamente.
Pare che in seguito, mandasse emissari personali e segretissimi a ritirare
le leccornie.
Lo ricordava giorni fa Andrea Camilleri, anch'egli estimatore dello
stesso bar (ormai sparito). Ma nella clientela del fu-caffè figuravano
anche altri nomi illustrissimi: da Luigi Pirandello a Leonardo Sciascia.
E adesso che la mitica pasticceria non c'è più, da chi si
va a prendere il gelato?
L'inventore del Commissario Montalbano è un habitué del
bar Albanese di Porto Empedocle. Ne ha fatto il suo quartier generale estivo.
"Il Sommo", come lo chiamano i compaesani [Sic!, NdCFC], ci passa
intere giornate o quasi. A firmare autografi, a conversare con i suoi lettori.
Dolce, la vita, tra i dolci...
S.F.
l’Unità, 28.8.2004
Torna Montalbano, ancora più amaro
A settembre «La pazienza del ragno», nuova indagine firmata
da Andrea Camilleri
“Può un uomo, arrivato oramà alla fine della so carriera,
arribillarsi a uno stato di cose che ha contribuito a mantiniri?” Un interrogativo
non da poco assilla il commissario Salvo Montalbano nel nuovo e attesissimo
romanzo La pazienza del ragno (Sellerio, nelle librerie il 30 settembre).
Ritorna così Montalbano, il protagonista dei romanzi di Andrea
Camilleri, una serie incentrata su riflessioni storiche e di costume sociale,
sull’attualità intesa come dimensione culturale e sociale: si pensi
a La forma dell’acqua e Il giro di boa (solo per citarne
alcuni). Negli ultimi romanzi, vi è una meditazione per certi versi
più drammatica e amara. Del resto Montalbano, ne Il giro di boa,
si trova ad affrontare questioni delicate quali l’immigrazione clandestina.
Ma vi è un altro argomento che assilla Montalbano, quello della
giustizia. Che ha una sua centralità ne La pazienza del ragno.
Non tanto una elucubrazione astratta sulle regole, quanto un tormento interiore
che continua ad affliggerlo. Il suo rapporto con lo Stato, con la Polizia,
dopo i fatti del G8 di Genova. Ne Il giro di boa il commissario
aveva deciso di abbandonare la polizia, prima di concentrarsi e dedicarsi
anima e corpo alla sua indagine. Ne La pazienza del ragno la riflessione
interiore diventa quasi un bilancio della propria esistenza. Il nuovo romanzo
inizia esattamente dove finiva Il giro di boa: avevamo lasciato
Montalbano, ferito nel conflitto a fuoco che metteva fine all’indagine,
mentre veniva accompagnato all’ospedale di Montechiaro da Fazio e Gallo.
Finita la degenza, il commissario torna a casa con la prescrizione medica
di un lungo periodo di convalescenza. E’ abbattuto e depresso; la casa
di Marinella, le premure di Livia, le attenzioni gastronomiche di Adelina
lo confortano ma non lo rasserenano. Forse gli manca il commissariato,
e quando giunge la telefonata di Catarella che lo informa della scomparsa
di una ragazza, Montalbano si getta a capofitto nell’indagine e inizia
a farsi strada l’ipotesi di un rapimento…
Nel risvolto di copertina, che sciascianamente è una sorta
di saggio introduttivo, il critico letterario Silvano Salvatore Nigro scrive
“Il commissario Montalbano sente il peso degli anni. E della solitudine.
Si intenerisce, mentre cerca le parole e i gesti che lo nascondano agli
altri; le parole che facciano barriera. Ascolta la voce di dentro”. Si
pone così il dilemma: “Era solo un omo che aveva un personale criterio
di giudizio supra ciò che era giusto e ciò che era sbagliato.
E certe volte quello che lui pinsava giusto arrisultava sbagliato per la
giustizia. E viceversa. Allura, era meglio esseri d’accordo con la giustizia,
quella scritta supra i libri, o con la propria cuscienza?”
Un dubbio amletico, diremmo, conoscendo la passione di Camilleri per
il teatro. Un dubbio filosofico, di interesse vitale per Montalbano. E
Nigro commenta: “Il dilemma è da tragedia greca. Ma qui, nella malinconia
e negli addolcimenti pudichi di una maturità giunta quasi al consuntivo,
non l’eccezionalità dell’eroe, importa; ma l’integrità di
un individuo normale, che gli adempimenti dell’ufficio mette in rapporto
con la falsità “politica”, con la personale ricerca della franchezza,
e con l’accertamento (se non pubblico, almeno privato) della verità”.
Dalla narrazione alla riflessione meta-letteraria, colta con essenzialità
da Nigro: “Montalbano si confronta pure con le convenzioni romanzesche
del genere giallo. Per sottrarsi al “mestiere”: moralista senza moralismi,
vulnerato dalla ingiustizia e dalla “libertà” di rapina governativamente
legalizzata e accasata; e investigatore in servizio straordinario
nel romanzo, che metaforiche “ferite”, date o ricevute, fa pulsare nel
non detto delle emozioni e nel clamore dello scandalo”. La pazienza
del ragno è un giallo senza cadaveri. Nigro lo definisce “un
giallo anomalo. Senza “delitto” e spargimenti di sangue. A meno che delitto
cruento non venga considerato lo splendore di vite costrette a consumarsi
e a sprecarsi nell’odio. Nell’attesa di una catarsi che, accompagnata dalla
solidale e indulgente compassione di Montalbano, metta in calma le coscienze
e le riposizioni nel gioco delle parti: dopo che l’agitazione “teatrale”
della “ragnatela”, pazientemente tessuta nell’odio, ha esaurito la funzione
strategica di “menzogna” che sulla scena ha portato, irretendolo, il vero
colpevole”. Nigro non ha dubbi: “Camilleri sorprende ancora una volta.
E si rinnova. Con questo trepido romanzo dai tempi alternati e dialoganti”.
Salvo Fallica
Adnkronos, 29.8.2004
Scrittori
Camilleri 'tradisce' la polizia e scrive per i carabinieri
Sara' sagace come Francesco Ingravallo, nelle indagini sul 'Pasticciaccio
brutto di via Merulana', ma anche comprensivo come Cacciapuoti, il brigadiere
televisivo del maresciallo Rocca. E, probabilmente, con una pancia in stile
commissario Maigret. Ma soprattutto sara' ''un maresciallo di paese, all'antica,
punto di riferimento per i cittadini non solo per quel che concerne la
legge''. Eccolo, in sintesi, cosi' come lo descrive all'ADNKRONOS Andrea
Camilleri, giallista siciliano e padre del commissario Salvo Montalbano,
il 'suo' nuovo investigatore di razza, in forza a una stazione dei Carabinieri.
Un personaggio che porta lo scrittore di Porto Empedocle a tradire la Polizia
dopo una sfilza di successi inanellati dal suo commissario. Per approdare
alla Benemerita. Il racconto uscira' a novembre e si snodera' lungo i 12
mesi dell'anno sul calendario dei Carabinieri. Tradimento? ''Tradimento
- confessa Camilleri - ma breve. Montalbano tornera' e lo fara' da poliziotto.
Il suo ritorno sara' caratterizzato da un vigore ancora maggiore''. Nessuna
anticipazione sull'incipit del nuovo racconto. ''Sinceramente - risponde
lo scrittore - non me lo ricordo''. E aggiunge: ''Il racconto e' gia' stato
consegnato ed e' stato approvato dall'Arma''. Se la storia del maresciallo
avra' ripercussioni sulla fiction tv e' ancora presto per dirlo. L'unica
certezza e' che ''il maresciallo e' un uomo anziano mentre Montalbano no.
Comunque Luca Zingaretti starebbe bene con indosso una divisa da carabiniere''.
La Sicilia, 30.8.2004
Camilleri «tradisce» il commissario Montalbano
Scriverà le gesta d'un maresciallo dei carabinieri per il calendario
dell'Arma. «Solo una scappatella»
Porto Empedocle. Clamoroso a Vigata. Andrea Camilleri, padre del commissario
di polizia Salvo Montalbano racconterà le gesta di un carabiniere.
Per l'esattezza del maresciallo di un paese immerso nelle colline madonite.
E' lo stesso Camilleri a diffondere la clamorosa notizia, dando la scossa
al sonnolento panorama letterario che mai avrebbe immaginato l'avverarsi
di un simile «tradimento» perpetrato senza alcun preavviso.
E' lo stesso scrittore di Porto Empedocle a sottolineare come si tratti
di «un tradimento breve. Montalbano tornerà alla grande e
lo farà da poliziotto. Il suo rientro sarà caratterizzato
da un vigore ancora maggiore rispetto al recente passato. Come tutti i
tradimenti - spiega Camilleri - anche questo si consuma fuori paese. Il
racconto che avrà come protagonista un maresciallo investigatore
di razza, non sarà più ambientato in quel di Vigata, ma in
un paese di collina delle Madonie».
Un colpo di scena che offre un ulteriore rivoluzione per chi si era
appassionato ai vizi di Montalbano, soprattutto a quelli consumati a tavola:
«Ovviamente vivere in collina comporterà al nuovo personaggio
ripercussioni sul menù. Il maresciallo infatti non mangerà
a base di pesce».
Ma di cosa parla l'inedito e sorprendente racconto del giallista empedoclino?
Camilleri ha affidato a un dispaccio di agenzia la divulgazione del proprio
pensiero sul rivoluzionario argomento: «Sinceramente non ricordo
l'incipit dell'opera, opera comunque già consegnata e approvata
dall'Arma dei carabinieri. Il carabiniere protagonista delle storie è
un maresciallo all'antica, punto di riferimento per i cittadini non solo
per quel che concerne la legge».
Il «botto» di fine estate 2004 potrà essere attaccato
alle pareti di casa o dell'ufficio dal prossimo novembre. Le avventure
del nuovo personaggi camilleriano verranno infatti inserite nel tradizionale
calendario dell'Arma. Avventure che dunque saranno spalmate lungo l'arco
dei 12 mesi del 2005. Alla luce di ciò tanti si chiedono cosa pensi
il commissario «tradito».
Appena pochi giorni fa mentre era seduto attorno a un tavolo del bar
Vigata di via Roma, Camilleri ha sottolineato che «Montalbano non
verrà certamente ucciso da chi lo ha creato. Gode di ottima salute
e continuerà il proprio lavoro senza problemi». A chi oggi
gli chiede quali siano le differenze tra il poliziotto amante del mare
e il carabiniere di collina, lo scrittore sottolinea come «l'unica
certezza è che il maresciallo è un uomo anziano, mentre Montalbano
no. Comunque Luca Zingaretti - ovvero il commissario televisivo - starebbe
bene con la divisa della Benemerita addosso».
Camilleri ha dunque atteso le ultime ore di soggiorno nella sua Vigata
per confessare la temporanea «scappatella» dal personaggio
che tanto gli ha dato e gli darà ancora, rendendolo fenomeno letterario
di fama planetaria. Adesso non resta che valutare di che pasta sia fatta
l'ennesima interpretazione del carabiniere creato dal padre di un poliziotto.
Francesco Di Mare
http://www.robertomistretta.it,
30.8.2004
Camilleri parla de “Il canto dell'upupa”
In vacanza nella sua Vigàta, lo scrittore, in una video intervista
in esclusiva, definisce il libro molto interessante
"Conosco Roberto Mistretta, non di persona. ha scritto un libro che
ho letto, sì, Il canto dell'upupa, così si intitola.
Mi era stato anche chiesto di presentarlo a Roma, ma non l'ho fatto solo
perché me lo chiedono in mille e se accontento uno gli altri ci
rimangono male, ma il libro era piuttosto interessante. Un buon libro".
Così il maestro Andrea Camilleri ha dichiarato agli organizzatori
della Festa dell'Unità del Vallone (la Montanvalle del libro) che
si terrà a Mussomeli (la Villabosco letteraria) dal 2 al 5 settembre
prossimo.
Sugli autori di Mussomeli quindi, la letteratura e il rapporto con
il pubblico, la religione e il suo rapporto con Dio, l’impegno civile e
la politica, intorno a Montalbano, la ‘mbriulata, personaggi siciliani
sono i temi di questa videointervista. Si inizia da cose e scrittori di
Mussomeli, verso i quali lo scrittore empedoclino mostra appunto curiosità
e conoscenza. Parla, con una punta di amarezza, del suo rapporto con la
critica marxista, Pietro Citati e soprattutto Alberto Asor Rosa (quest’ultimo
non lo ha mai letto), segnato da disprezzo e dileggio nei suoi confronti,
lamentando un pregiudiziale atteggiamento negativo, inaccettabile, considerato
il successo di pubblico che lo scrittore ha avuto.
Il capitolo più interessante ha riguardato la politica e l’impegno
civile. Qui Camilleri ha dichiarato la sua antica ed ostinata fede comunista,
ricordando che in passato “Il partito era unito e non vi era frattura tra
i dirigenti e la base”. Ha criticato il mutamento generazionale e il nuovo
costume politico che vede protagonisti della scena personaggi mediocri,
catapultati dall’alto nell’agone politico. Altro aspetto, la mancata relazione
tra il partito e il sindacato, nei rispettivi ruoli e funzioni, l’incuranza
e la scarsa attenzione nei confronti degli elettori, verso i quali manca
l’ascolto dei bisogni.
Su Montalbano ha chiarito la genesi creativa che lo ha condotto alla
costruzione di un personaggio riconoscibile da tutti per umanità
e compiutezza narrativa. E parlando della nuova raccolta delle sue opere
in uscita nella prestigiosa collana I Meridiani della Mondadori, ha affermato
con sapida ironia che farà rodere di invidia il senatore Dell’Utri,
per via della sua nota militanza politica.
Dall’emozionante incontro con lo scrittore empedoclino sono emersi
lo spessore umano e la squisita gentilezza di un uomo esperto e vivace,
che ha dedicato un momento di rara sensibilità ad una lettrice ammalata
terminale di cancro che grazie ai suoi libri ha ritrovato il sorriso. Così
come la sua epicurea e goduta sicilianità si è manifestata
quando odorando una prelibata delizia la ‘mbriulata, portatagli in dono
dagli ospiti Mussomeli, gli ha fatto esclamare un famoso epiteto siculo,
caratteristico della parlata del celeberrimo Salvo Montalbano da Vigàta.
La video intervista sarà trasmessa domenica 5 settembre alle
20.30.
La Sicilia, 31.8.2004
Porto Empedocle, mille persone allo spettacolo conclusivo
E' calato il sipario sul Festival di Vigata
E' calato il sipario sulla seconda edizione della rassegna nazionale
di teatro amatoriale, «Città di Vigata». Incorniciata
da oltre mille spettatori la serata finale della manifestazione è
stata caratterizzata dalla sfilata dei premiati. Attori, registi e maestranze
hanno incassato i voti e il compiacimento della giuria tecnica guidata
da Andrea Camilleri e Fioretta Mari. Questo l'elenco dei vincitori dei
vari riconoscimenti divisi per categorie: premio speciale Vigata alla «Banda
degli onesti» di Altamura, premio al migliore attore a Cartesio Salvatore
Romano, premio alla migliore attrice a Maura Pettorusso, premio per la
migliore regia a Mirko Corradini, premio per il migliore spettacolo in
assoluto al Gruppo teatrale «Il Canovaccio» di Pisa.
Il tutto si è svolto senza la prestigiosa presenza di Andrea
Camilleri il quale ha però affidato a un filmato il proprio messaggio
di saluto per tutti gli spettatori e i partecipanti alla rassegna teatrale.
Sulla conclusione della kermesse non manca come ovvio che sia il commento
entusiasta dell'assessore comunale al Turismo, Tonino Guido. «E'
stata una settimana bellissima, con tanta gente di tutta Italia intenta
a passeggiare in via Roma. Un'occasione che ritengo sia giusto perpetuare
nel tempo».
Francesco Di Mare
L’Unione Sarda,
31.8.2004
Narrativa sarda
Tra i romanzi i più venduti in libreria sono “Siempre caro”
e “Dura madre”
[…]
Gli scrittori italiani in Spagna hanno un buon mercato. Diciamo subito
che il narratore che va per la maggiore è Andrea Camilleri (in sintonia
per molti aspetti con un mostro sacro come Manuel Vàzquez Montalbàn).
[…]
All’agenzia spagnola del Isbn si possono ordinare, se mancano in libreria,
Siempre caro (2001) e Dura Madre (2003) di Marcello Fois, la cui accoglienza
presso il pubblico iberico fu favorita da un’immagine della Sardegna in
bilico tra modernità e tradizione che per certi aspetti ricorda
le zone interne della Spagna.
[…]
Giovanni Mameli
La Repubblica (ed.
di Roma), 31.8.2004
Approdo alla lettura
Alle ore 21 per "Salotto letterario" lettura interpretata di "Un mese
con Montalbano" di Andrea Camilleri a cura di Paolo Perelli. Al Pontile
di Ostia, piazza dei Ravennati, con ingresso libero.
|