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RASSEGNA STAMPA

MARZO 2004

 
Bella ciao, 1.3.2004
Modena - dal 5 al 19 marzo Incontri con scrittori italiani
Narrazioni in movimento
Realtà sociali e movimenti nella letteratura italiana
Venerdì 5 – 12 - 19 marzo ore 18 a La Tenda (viale Molza angolo Monte Kosika)

Persino il famoso commissario Montalbano è stato violentemente turbato dai fatti di Genova 2001, al punto di meditare le dimissioni dalla Polizia di Stato. Lo hanno scandalizzato il comportamento di tanti suoi colleghi e l’assurda e inutile violenza usata nei confronti di manifestanti per lo più pacifici (A. Camilleri, Il giro di boa, Sellerio editore). E come Camilleri hanno reagito tanti altri scrittori. Alcuni di questi non saranno con noi in questa occasione (tra loro Camilleri e Loriano Macchiavelli), altri sono nostri ospiti in questa breve rassegna. Li abbiamo invitati per chiedere loro come e perché i giorni del G8 sono entrati così prepotentemente nella memoria collettiva, nell’immaginario e dunque anche nelle espressioni artistiche del nostro paese. Ma più in generale vogliamo discutere con loro del rapporto tra letteratura più o meno di genere, problematiche sociali, movimenti. Il “noir” in particolare ha sempre avuto una impronta “sociale”. Ma il successo enorme che hanno avuto in Francia il Jean Claude Izzo della trilogia di Marsiglia e in Italia il “noir mediterraneo” di Massimo Carlotto ci fa pensare che, visto anche il passato di impegno politico e sociale quando non di vera e propria militanza di diversi autori, il noir sia diventato tout court un modo per raccontare la complessità sociale attuale. E forse per farlo in modo certo più creativo ma anche più libero.
[...]
 
 

Carta, 4/10.3.2004
Carta d’identità
Montalbano al giro di boa
Nella sua ultima storia, il commissario Montalbano è tentato dalle dimissioni. Si vergogna per quel che i suoi colleghi hanno fatto a Genova. E qualcuno ha fatto notare ad Andrea Camilleri: “lei non ha il diritto di mettere in bocca a Montalbano le sue idee politiche!”. A noi piace pensare che il poliziotto Montalbano la pensi come il suo inventore che abbiamo intervistato.
Il video dell'intervista è disponibile sul sito di Arcoiris Tv

E’ sempre un piacere far visita ad Andrea Camilleri. Apre la porta come avesse sospeso, appena per un momento, la “tambasìa” mattutina, quel tempo inventato e tutto suo in cui si muove in casa senza far nulla di particolare: uno sguardo alla copertina di un libro, una cornice da raddrizzare, una sigaretta, due sigarette…
Poi, quando con paziente eleganza e dolce ironia riesce a districarsi tra i cavi (abbiamo filmato questa intervista per www.arcoiris.tv), si accomoda in poltrona per disporsi alla conversazione, lo sguardo appena “squeto” (inquieto), come a difendersi da una cattiva notizia o una domanda impertinente.
Negli Stati Uniti è cominciata la campagna elettorale, la guerra in Iraq è tutt’altro che finita, ogni giorno muoiono soldati e soprattutto civili. Lei come la vede?
E come dovrei vederla? Noi abbiamo avuto i morti di Nassiriya. L’ho scritto prima e l’ho scritto dopo: non dovevamo andare in Iraq e dobbiamo andarcene il prima possibile, tutta l’Italia ha reso ai ragazzi uccisi l’omaggio che meritavano. Detto questo, mi pongo una domanda: come mai non vedo un funerale di un soldato americano? E dire che sono tanti. Mi è stata data una spiegazione che fa accapponare la pelle. Mi hanno detto: “ma sai, non è che quelli sono americani-americani. Nel 90 per cento dei casi si tratta di persone che aspirano a diventare americane”. Questo fatto mi ha spiegato tante cose. Dentro l’ignobiltà suprema della guerra ci può essere una ignobiltà ancora peggiore, un razzismo dentro la guerra. Accade anche quando leggo che sono stati uccisi “tre soldati americani e alcuni civili iracheni”. Alcuni? Sì, magari poi li contiamo, poi vediamo, adesso non ha importanza.
Non sappiamo quanti morti hanno fatto le bombe statunitensi in Iraq, contiamo solo quelli che hanno la pelle nera ma si battono per una bandiera di pelle bianca. Questa, inoltre, è una guerra di Pinocchio, e andare a morire per Pinocchio è veramente pazzesco. Prendiamo la vicenda delle armi di Saddam, trovo geniale che Colin Powell arrivi a dire che non ce le aveva ma aveva “l’intenzione di averle”. In questo modo si dà a tutti la liceità di ammazzare tutti.
Una frase di questo tipo significa ben altro che la guerra preventiva, significa che posso fare la guerra ai genitori perché è probabile che il figlio o il nipote, poi, un giorno, mi spari addosso. Siamo all’idea hitleriana dell’ammazzare sei milioni di persone perché avrebbero potuto danneggiare la razza. Dov’è la differenza? La guerra preventiva vuol dire ammazzare prima. E poi, guarda caso, queste guerre avvengono sempre in territori molto lontani da dove vivono i loro promotori. Rappresentano mercati non indifferenti. I cattivi, Germania e Francia, vengono esclusi dalla ricostruzione, cioè dagli affari che si fanno sulle macerie. No, non è solo petrolio ma è l’industria delle armi che “esporta la democrazia”.
Anche in Italia si denunciano da tempo dei veri attentati alla libertà d’informazione. C’è una minaccia reale per la democrazia?
Ci sono quelli che dicono che non esiste un regime perché il regime ha certe forme che questo momento italiano non ha. Altri dicono di sì. Al mio paese si dice: “Votala cummu vo’, sempre cocuzza è”, mettila come vuoi, resta sempre una zucchina, e sempre quel sapore ha. Il problema è che ci sono diversi modi di “cucinare” la democrazia.
Questo è un modo abbastanza esplicito di colpirne il cuore, che è proprio la libertà d’informazione. Non sto parlando delle diatribe con la satira ma dell’informazione pura, semplice, elementare. C’è la manipolazione, c’è molto controllo sui giornali, e poi c’è un controllo quasi totale sulla televisione. Sì, è un vero pericolo. Anche perché poi succede una cosa ancor più grave: in molti di quelli che dovrebbero informare correttamente – per paura, per convenienza, perché “tengo famiglia”, e per altre ragioni – scatta una sorta di autocensura che finisce con l’essere un fiancheggiamento all’attacco alla democrazia.
Eppure ci sono state delle occasioni importanti, per esempio a Genova, in cui si è vista la possibilità di un’informazione diversa. Centinaia di ragazzi hanno fotografato o ripreso le scene di violenza, una sorta d’informazione autoprodotta. E poi ci sono i mezzi di comunicazione “del movimento”, lo scambio in internet ormai raggiunge un numero di persone consistente. Tutto questo può costituire un’alternativa, una speranza?
Il fatto che tanti ragazzi in quella occasione avessero le loro piccole telecamere portatili e abbiano documentato quello che stava succedendo a Genova è stato fondamentale. Tanto è vero che quando le mie nipoti vanno a qualche manifestazione io dico loro: “Portatevi la telecamera”. Ma il G8 ha avuto una grandissima risonanza che ha permesso anche la diffusione di alcune di quelle immagini, se una cosa di pari gravità fosse avvenuta in un’altra occasione, quelle immagini non avrebbero circolato. E’ come se io pubblicassi un libro di poesia stampandolo in una mia tipografia e poi me lo tenessi a casa.
Il problema non è solo quello della possibilità di ripresa autonoma di una certa situazione ma anche quello della sua diffusione. E qui casca l’asino. Se la distribuzione, anche per un libro o un giornale, non è capillare, se non si raggiunge più gente possibile, allora diventa inutile. Rimane come un “caro diario”. Il discorso vale anche per internet, non tutti ce l’hanno. Penso ai miei paesi del sud, lì è solo un’esigua minoranza che accede a internet. Certo, è un modo futuro di documentazione del quale ancora non possiamo conoscere gli sviluppi. Internet consente di mandare le immagini in tutto il mondo, non solo sulle reti Rai o Mediaset, quindi è un fenomeno importantissimo, ma credo che oggi il fatto importante sia ancora la limitazione alla libertà “tradizionale” dell’informazione.
Nella copertina di un recente numero di Carta abbiamo messo una cartina dell’Europa dove sono indicati tutti i cosiddetti campi di permanenza temporanea per i migranti. Sono molti, forse riescono a rendere l’idea di come accogliamo le persone che arrivano da lontano…
E’ un’immagine molto impressionante. C’è un’intera Europa dietro il filo spinato. Ho sentito uno degli esponenti di "Medici sena frontiere" che sono andati a visitare questi centri in tutta Italia. Tre sono stati dichiarati in stato di impossibilità di sopravvivenza. Uno era a Torino, l’altro a Trapani, il terzo non ricordo. Questi centri, in realtà, temporanei non sono. Le loro attrezzature vanno in malora in breve tempo perché non sono neanche state pensate per durare. Cominciano a diventare sempre più atrocemente simili a dei lager, ne richiamano sinistramente la memoria.
E’ tragico doverlo dire, trovo pazzesca questa forma di irrazionale difesa. E’ come se sotto al diluvio universale, quello leggendario, noi avessimo tirato un telo che ripara dalla pioggia la nostra casa. Dopo di che, attorno a noi non c’è più niente, non c’è più il mondo. Non si può pensare di arrestare con i cavalli di frisia o con il filo spinato un continente che si sposta. C’è per caso un geologo in grado di dire: “Guardi, io sono in grado di fermare la deriva dei continenti, da cui vengono i terremoti”?
Qui sta avvenendo qualcosa di simile alla deriva dei continenti. In diverse nazioni c’è una guerra continua, c’è la fame, c’è l’impossibilità di un avvenire, decine di bambini muoiono di fame o di malattie infettive. La gente scappa. Scapperei anch’io, portato come il papà di Enea sulle spalle di qualche nipote. Di fronte a questo, non possiamo chiudere la porta. E allora saranno guai, amari, per tutti. Come vede, non sto parlando di sentimenti di fratellanza, parlo dal punto di vista egoistico come uno che di fronte a questo fenomeno si domanda come riuscire a stare in pace a casa sua. E non sarà certo blindando la porta.
Lei si definisce un “italiano nato in Sicilia” . Ma pensa davvero che chi è nato qui debba avere una “preferenza nazionale” sulle persone nate altrove?
Su quella priorità sono completamente sordo. Per me non si pone proprio come problema. Non lo capisco, mi sfugge. Anzi, una nazione si arricchisce sempre dell’apporto di persone che vengono da altri paesi e che forse hanno una spinta interiore maggiore. E’ vero che noi italiani siamo andati negli Stati Uniti e abbiamo portato Al Capone e altra “bella” gente, ma abbiamo portato anche persone di ben altro livello. Erano mosse dall’ambizione, nel senso giusto del termine, quello dell’affermazione di se stesse in una società che le rifiutava.
Anche la storia della Sicilia è piena di esperienze culturalmente mescolate…
Amo molto i “miei” siciliani. Una volta ho avuto uno scatto di orgoglio e ho detto che possediamo una certa dose di intelligenza, furberia, un grado superiore – e qui forse divento un po’ razzista – proprio perché siamo bastardi. Siamo come quei cani di strada, abilissimi a sopravvivere in qualsiasi emergenza, mentre un cane con un bellissimo pedigree soccombe. L’incrocio del diverso sangue che c’è stato in Sicilia, dai normanni agli arabi, dagli spagnoli ai francesi, ha prodotto una selezione stupenda. Come il lavoro o la produttività, anche il “sangue misto” è una ricchezza.
Quest’anno si festeggiano molti anniversari, proviamo a commentarne due. Uno celebrava i dieci anni dalla “discesa in campo” del Cavaliere, l’altro quelli dell’insurrezione zapatista, quando in Messico un gruppo di indigeni ha sorpreso il mondo inventando la prima grande protesta contro quella che oggi si chiama globalizzazione liberista.
Sono due anniversari che si contrastano. Quello che si è celebrato all’Eur, non vedo che importanza abbia. C’è uno pseudo-partito che ha dieci anni di vita, per me la cosa finisce lì. Che poi ci siano fenomeni di “sacralizzazione del capo”, non è una novità. Sono stato e continuo a essere di pensiero comunista. Cosa vuole, quando lo vedo comparire, circondato d’azzurro con le mani alzate, io penso di esserci già passato. Per me è un déja vu. Quando c’era Stalin il culto della personalità arrivava al punto che le persone stramazzavano al suolo solo nel vederlo passare.
Parlando degli zapatisti, lei ha detto che l’insurrezione si è verificata inaspettatamente. Dev’essere vero, allora, che da qualche parte c’è un dio che acceca quelli che vuole perdere, perché il discorso si ricollega esattamente ai milioni di persone che attraversano i deserti e i mari per cercare una possibilità di sopravvivere. Ma non ve ne accorgete? Non vedete quanti sono? Dovete vederveli comparire davanti all’improvviso come il governo messicano vide gli zapatisti? E’ gente che aveva più niente da perdere ma ritrovava, questo si è importante, un’antica dignità contadina. Sembrano parole retoriche, e invece hanno un peso materiale enorme.
Sembra un po’ paradossale, dal punto di vista della storia della nostra sinistra, ma in molte zone del mondo, con la chiusura delle fabbriche e la de-localizzazione della produzione, oggi gli indigeni e i contadini sono sempre tra le prime file di coloro che si oppongono al dominio dei mercati sulle persone. Come mai all’inizio del nuovo secolo i contadini sono tornati protagonisti?
Posso rispondere solo per quello che provo “a pelle”. In questi primi quattro anni del secolo c’è stato una sorta di crollo dei “castelli di carta”, un seguito dei crolli industriali. Forse un economista potrebbe spiegarlo con poche parole, ma si dà il caso che le industrie oggi reggano difficilmente proprio sui libri contabili, sul dare e sull’avere. Abbiamo avuto la Enron, in Italia abbiamo avuto la Parmalat e la Cirio, e chissà cosa vedremo ancora.
Ricordo che tre o quattro anni fa un grande economista, Franco Modigliani, disse che in realtà l’industria americana era truccata per il 70 per cento. Noi abbiamo sempre avuto questo miraggio dell’industrializzazione globale. La subalternità del mondo contadino è una cosa che dura da tempo, è arrivata fino a farlo quasi scomparire. E invece ora se ne sta riscoprendo la solidità, la solidità della patata che vai a zappare e che viene fuori da lì, dalla terra. In alcune società con un stato forte, i contadini sono potuti andare di pari passo con gli operai. In altre, come nella nostra, anche la sinistra ha messo l’operaio al primo posto, il contadino veniva dopo. C’era una gerarchia che forse si sta rovesciando. Questo ritorno è come quando si squarcia un velo e dietro si scopre che avevamo nascosto un tesoro. Ed un tesoro di cultura, non un tesoro astratto.
Anche lei dice spesso che ha recuperato un certo linguaggio contadino, è stato così importante?
E’ stato fondamentale. Per la capacità di immaginazione, di rappresentazione e di espressione.
Generalmente, la nostra capacità di fare qualcosa viene chiamata “potere”, una parola che però si associa anche all’idea di dominio sugli altri. Lei ha indagato a fondo sul concetto e meccanismi del potere, lo testimoniano libri come “Il re di Girgenti”, ma nella società sta cambiando l’idea del potere?
Lei cita “Il re di Girgenti”, dove c’è un fatto storico: un contadino che diventa re, ma lo diventa per elezione dei suoi contadini. Allora il re rappresentava, incarnava, il massimo del potere, oggi non è più così, c’è stato uno spostamento di ruoli. Io credo che il potere sia una sorta di “blob”, intendo proprio quello che spunta nella sigla di “Blob”, cioè quella massa che non si capisce bene cosa sia ma fuoriesce ovunque, qualcosa di assolutamente indefinibile e di definibile nello stesso tempo. Definibile, nella misura in cui il potere viene regolato dal potere che viene assegnato; indefinibile, perché uno può travalicare benissimo questi limiti di assegnazione e accumulare altri. Ci sono due tipi di potere. Un potere derivato dall’assemblaggio in una persona delle deleghe di una quantità di altre persone. Questo è un potere, se vogliamo, anche democratico. E poi c’è il potere che dalla delega passa a una sorta di scatto superiore negativo, che è l’agire senza delega. Basta un niente perché un potente diventi un tiranno, in senso classico e in senso moderno. C’era un padre della Chiesa che faceva una sottile distinzione quando rispondeva alla domanda se sia lecito uccidere un tiranno, un uomo di potere. La risposta era: quando il tiranno si è imposto a forza su un popolo, è lecito; quando non si è imposto a forza ma diventa tale per mandato del popolo, allora non è lecito. Dico questo anche per tranquillizzare Fedele Confalonieri, che teme, alla fine del mandato di Berlusconi, una nuova piazzale Loreto. Nessuno ha l’autorizzazione a uccidere qualcuno che sia stato regolarmente eletto, anche se si trasforma in un tiranno.
Veniamo a una seconda parola chiave: democrazia. Dopo l’uscita del libro in cui affronta il tema degli abusi commessi a Genova rimase colpito dall’affermazione di un poliziotto, ce la racconta?
In quel libro, “Il giro di boa”, l’ultimo di Montalbano, il commissario entra in crisi per i fatti del G8. non tanto per il comportamento della polizia, che pure lo mette molto a disagio, ma in uno scontro c’è sempre la possibilità di ricevere e di dare una manganellata in più. Se uno, da poliziotto, si vuole proprio trovare una giustificazione, la trova. Quello che più mette a disagio Montalbano accade dopo la manifestazione. Quello che lo irrita, lo indigna, lo fa pensare alle dimissioni è quel che avviene alla Diaz, a freddo. Lì è più difficile. Quel libro ha suscitato una quantità di reazioni, a favore e contro. C’è stato anche chi mi ha detto: “Lei non ha nessun diritto di mettere in bocca a Montalbano le sue idee politiche”, è un’affermazione bellissima, se fatta all’autore, perché significa che Montalbano non è più suo, incarna qualcosa di generale. Sui siti dove si potevano scambiare queste opinioni c’è stato anche chi ha detto: “Scusate, ma cosa credete di aver letto fino a questo momento, un romanzo giallo?”. E aveva ragione anche lui.
Naturalmente, era impossibile, per un personaggio concepito come Montalbano, non reagire di fronte a quei fatti. Così, c’è stata una bellissima riunione, al Piccolo Eliseo, con il sindacato di polizia. La sala era gremita, c’era anche Cofferati, che, se non ricordo male, in quel momento era già fuori dal sindacato. A un certo punto, il segretario del sindacato di polizia ha detto una frase che mi ha colpito veramente: “Non si può creare un corpo di polizia e impiegarlo in certe azioni senza dirgli che siamo un corpo democratico e che perciò deve agire in un certo modo. Perché occorre una quotidiana manutenzione della democrazia”. Mi è piaciuta moltissimo perché una frase vera. Se la si ama veramente, la democrazia, bisogna pulirla perché non arrugginisca, bisogna accudirla ogni giorno, magari portando un fiore, un pensiero, come si fa con una persona amata.
L’ultima delle parole chiave che vorrei sottoporle è una parola che non usa quasi più nessuno: rivoluzione.
Per prima cosa vorrei dire che è una parola di cui non bisogna avere paura. I tempi e i sistemi cambiano. Noi la associamo, per un fatto culturale, alla rivoluzione francese, a quella del 1917, ma anche a un’idea di morte, di sangue, di distruzione. Eppure, quando parliamo di rivoluzione copernicana, non evochiamo nulla di sanguinoso.
Rivoluzione non è una parola che deve necessariamente evocare la ghigliottina e robe simili. La rivoluzione è visibile e invisibile. Quella visibile è la gente che scende nelle piazze. Ma quante rivoluzioni, per esempio nel costume odierno, noi non le chiamiamo così anche se lo sono? Io credo che la rivoluzione debba essere permanente, continua…
Ha avuto modo di leggere o ascoltare qualcosa sul forum sociale di Mumbai? Si aspettavano 50 mila persone, ce n’erano 500 mila…
Ho visto poche immagini in televisione, ma avvengono sempre così, queste “piccole” sorprese. Ricordo un economista di destra da Maurizio Costanzo, sei giorni prima del G8. gli dissero: “Guardi che lì può essere un momento duro”. E lui rispose: “Ma che vuole che facciano, quattro ragazzotti dei centri sociali?”. E a Genova finì come finì. C’è sempre questa sorpresa, non se l’aspettano.
Marco Calabria

In un riquadro
Andrea Camilleri è nato nel 1925 a Porto Empedocle, in provincia di Agrigento. Poeta, romanziere, saggista, regista, sceneggiatore, attore e autore teatrale, buongustaio e moltissime altre cose, dal 1946 a oggi Camilleri ha scritto e lavorato moltissimo, ha inventato lingue, dialetti e paesi (Vigàta, che è, e insieme non è, Porto Empedocle), ha lavorato con Eduardo De Filippo e legato il suo nome alle più note produzioni poliziesche della televisione italiana, dal tenente Sheridan a Maigret, fino al suo celebre commissario, Salvo Montalbano. La sua biografia, sterminata, così come un utile dizionario, l’archivio storico, la biblioteca, e il “Camisutra” e mille altre notizie e curiosità sulla vita e le opere di Andrea Camilleri, si possono leggere sul sito del suo “fans club”: www.vigata.org. Molte altre informazioni utili si trovano su www.andreacamilleri.net.
 
 

Sette (supplemento del Corriere della sera), 4.3.2004
Cultura. Intervista con Andrea Camilleri
Gialli letterari: quando lo scrittore fa il detective
Il più gettonato è Dante che sta vivendo una seconda giovinezza come protagonista di thriller.
E il fenomeno riguarda anche molti colleghi del massimo poeta.
Ma chi tra gli autori italiani ha la stoffa dell'investigatore?
"Sette" lo ha chiesto a un esperto del genere che li ha messi sotto esame. Bocciando Calvino, Leopardi, Manzoni e promuovendo a pieni voti...

C’è anche il commissario Maigret dentro la "Divina Commedia". L’impazienza di Sam Spade e la pietas di Marlowe. La deduzione di Sherlock Holmes, l’intelligenza granitica di Nero Wolfe, la tenacia di Montalbano, la raffinatezza di Philo Vance e perfino la maniacalità di Poirot. A leggere bene fra i gironi, dietro il conte Ugolino e Pia de’ Tolomei c’è un arsenale di pipe, gimlet al gin e boccali della birra Dauphin. Le armi del mestiere di investigatore. “Dante ha inventato tutti i metodi e la "Commedia" li esaurisce dal primo all’ultimo. Le supposizioni, le illazioni. C’è ogni cosa lì dentro.” Parola di Andrea Camilleri. Non è peregrino allora il Dante priore-detective, senza pipa, ma con la coroncina di alloro in testa, che stana colpevoli e fa deduzioni a gettone nella Firenze del trecento raccontato nei “Delitti del mosaico” (Mondadori) da Giulio Leoni, un recidivo perché già scomodò un altro padre della patria letteraria, Gabriele D’Annunzio, nel suo precedente thriller “E trentuno con la morte”. Sempre l’Alighieri è stato ingaggiato di recente dal giallista americano Matthew Pearl in “Il circolo Dante” (Rizzoli), libro che però non è piaciuto all’inventore di Montalbano (“Mi ha inorridito”). E non bisogna dimenticare l’Aristotele poliziotto dei romanzi di Margaret Doody, che forse è il capostipite di questo sottogenere letterario.
Dentro ogni scrittore batte un cuore di detective? E’ la domanda che rivolgiamo a Camilleri nello studio di casa in via Asiago a Roma, una “sediolina da barbiere” per spostarsi dalla scrivania al tavolo del portatile. “Sto scrivendo Montalbano, sì, ma senza contratto. Magnifico.”. Cioè, con calma, quando gli pare e piace.
Allora davvero si può dire che ogni scrittore è in realtà un detective mascherato? “La tentazione è forte. A una prima occhiata verrebbe da pensare che qualsiasi autore che abbia un rapporto con la storia sia un investigatore. La restituzione filologica di un evento, la collazione e la comparazione dei testi è un atto investigativo e in fondo ogni scrittore che non parli al proprio ombelico – ma anche lì bisogna andarci piano, perfino l’ombelico può avere un senso – è un investigatore, però…”. Però? “Non tutti passerebbero gli esami da detective”. Sia chiaro, nessuna intenzione classificatoria o meritoria, “ci sono autori grandiosi che si rivelerebbero investigatori pessimi. Calvino per esempio ha un eccesso di fantasia che gli toglie ogni rigore investigativo. Svevo, per carità, sarebbe inficiato dalla psicanalisi che si sovrappone alla verità: funziona solo nei film americani. Il mondo di Tomasi di Lampedusa è un arazzo, con splendidi colori che lui racconta per filo e per segno. Beato lui. Ma la realtà gli appare già decrittata per cui non deve fare altro che descriverla: non sarà mai detective. Al contrario, altri la vedono come un guazzabuglio da interpretare. Come Sciascia”.
Leonardo Sciascia è l’ispettore capo dei narratori italiani. “Avessero istituito una polizia europea sarebbe stato eletto lui”. Sciascia aveva scritto: ”Il romanzo giallo in fondo è la migliore gabbia dentro alla quale uno scrittore possa mettersi, perché ci sono delle regole; per esempio che non puoi barare sul rapporto logico, temporale, spaziale del racconto”. Camilleri racconta che provò a scrivere il primo romanzo giallo con questa frase in testa. Sciascia aveva capito tutto. “Dico spesso che se non fosse stao un grande narratore sarebbe stato un questore a livelli eccezionali. Ha fra le mani non solo la deduzione, ma l’intuizione e soprattutto la forza della ragione”. Più che un Maigret o un Marlowe, il questore Sciascia è un anti-Sherlock Holmes, “un poliziotto un po’ all’antica che non tiene conto della scientifica. Come i medici di una volta che si fidavano della faccia del malato e delle deduzioni che potevano trarne, così Sciascia si fida della propria ragione. Specula, mette i fatti uno accanto all’altro. In virtù e con la forza della ragione contesta i dati scientifici, quelli ai quali oggi crediamo ciecamente facendo un grave errore”. Sciascia è uno in cerca di verità, non solo nei romanzi come “Il giorno della civetta”, ma nei saggi: ”Riesce a pervenire a una soluzione nella scomparsa di Majorana. Non si lascia prendere dai sentimenti né dalle situazioni oggettive: va oltre, fa un uso sistematico della ragione”.
L’ispettore Barlach all’italiana è Sebastiano Vassalli: ”Avrebbe fatto la gioia di Dürrenmatt”, con atmosfere inquietanti e una sgretolazione fotografata momento per momento. “Come tutte le investigazioni anche le sue possono essere soggette a revisioni o a contestazioni”, ma lui procede per svelamenti.
Lo scrittore che con “La chimera” e “Marco e Mattio” sventa i misfatti dovuti all’ignoranza, mette la narrativa al servizio della detection: ”Per cercare di capire il presente”, comincia così La chimera, “bisogna uscire dal rumore”. Ha la stoffa inquietante dei personaggi di Dürrenmatt forse anche, dice Camilleri, “per affinità elettive montanare”. Un potere del paesaggio che con il grandissimo Mario Rigoni Stern ha portato però a tutt’altre strade: ”Così come Levi, anche Rigoni per capire la realtà deve rappresentarla. Ci sono grandi scrittori che danno la voce al dolore del mondo, ma non hanno la stoffa dei poliziotti”.
Patente di detective negata senza pietà anche alle inchieste sull’animo umano di Giacomo Leopardi: ”Non aveva nessuna possibilità di essere un buon questore. E’ uno straordinario esploratore di sé stesso, ma se noi stiamo parlando di investigatori nel senso che viene dato dalla società, dalla letteratura, è chiaro che Leopardi è completamente out rispetto a questo tipo di indagine. Spesso le doti che fanno la grandezza di uno scrittore sono proprio quelle che gli negano ogni versatilità sul piano della detection”. Calvino? “Troppa fantasia. E’ una delle mie intenzioni ambientare una storia in una delle sue città invisibili, ma lui mi rappresenta solo la città invisibile, non quello che può accaderci”. Così come Carlo Emilio Gadda, che pure con il "Pasticciaccio brutto de via Merulana" mette in piedi un poliziesco che rivoluziona la letteratura, ma che a un attento esame delle potenzialità investigative si rivela “totalmente inaffidabile”. Gadda parte, riesce a tenere conto di una quantità incredibile di elementi, ma a un certo punto rimane colpito da un dettaglio e perde per sempre lo sguardo d’insieme. E’ talmente bravo da potersi concedere il lusso di scrivere un thriller e di interromperlo prima di arrivare alla soluzione del mistero. Anzi, è proprio questa la sua grandezza”.
Federico De Roberto ha la stoffa di Philo Vance. Detective privato di classe, non si fida di quello che vede. “Ti spiega tutto, di qualsiasi cosa riesce a trovare la ragione”. Con "I Vicerè", l’ispettore De Roberto dimostra una tesi fondante per tutta la narrativa gialla: scovare il movente. Ha capito che nello svolgimento di un’indagine c’è bisogno di pause e tempi morti, “una dinamica che fa difetto a un Alessandro Manzoni, detective paradossalmente dotato di eccessiva comprensione. Quando scrive il suo capolavoro che è "La storia della colonna infame" dimostra di che levatura investigativa avrebbe potuto essere, se liberato dalla sua preventiva visione cattolica del mondo”. Invece con "I promessi sposi" Manzoni si chiede, alla Borges, se la realtà che gli appare sia determinata da un fattore esterno e superiore alle cose del mondo o se si esaurisca in quello che vede. “E questa domanda lo frega come investigatore, annulla ogni detective che è in lui”.
Fermarsi a metà delle indagini è prerogativa dei grandi. “Pensiamo ai momenti bovini di Maigret, quando rallenta i movimenti, l’occhio fisso e ottuso. Pensiamo al poliziotto della "Promessa" di Dürrenmatt, che persegue la sua idea per anni fino all’imbecillità, fino alla senilità, solo che noi sappiamo che ha ragione, che quel blocco mentale che ha avuto era la verità e che i fatti si sono incastrati in modo tale da nasconderla”. Questi stop hanno una connotazione europea, “per noi sono pause di riflessione, per gli americani, per Sam Spade o Marlowe perdite di tempo”. Tant’è vero che questi “momenti del bue”, come li chiama Camilleri, li ritroviamo nei libri di un altro italiano, Antonio Tabucchi, un Nero Wolfe “ma ancora più intellettuale. "Sostiene Pereira" o perfino "Donna di Porto Pym" sono indagini sull’uomo e la società che lo circonda. Chi è che ha mandato un certo articolo? Le sue indagini si possono raccontare a rovescio, giocando non sul mistero, ma sull’esplicito, dove il lettore sa chi è l’assassino. Ecco, Tabucchi è un detective fuoriclasse, un poliziotto ancora da inventare”.
Roberta Chiti
 

La prossima storia di Camilleri? Sarà ambientata a Mussolinia
La cronaca di quel fatto viene ricostruita da Leonardo Sciascia in una dei saggi della raccolta “La corda pazza”, la storia di una città invisibile, come quelle di Calvino, e dalla quale Andrea Camilleri è oltremodo tentato: vorrebbe ambientarci un racconto. la vicenda: “Mussolini arriva in Sicilia nel '28 e pone la prima pietra di un paese che si sarebbe dovuto chiamare Mussolinia, nel territorio di Caltagirone. Che significa la prima pietra? Che tu in questa prima pietra metti un cilindro con dentro un cartiglio su cui è scritta la data e il nome del fondatore. Questo nel '28. Verso il '35, il '36, a Mussolini venne in mente di dire: che fine ha fatto Mussolinia? E tutti piombarono nel panico perché non sapevano nemmeno come rintracciare la pietra, ricoperta dalla erbacce. Allora il federale pensò di fare un bellissimo fotomontaggio, e lo fece e glielo mandò. A Mussolini piacque tanto che fece pubblicare la foto sul numero dei "Touring Club Italiano": Mussolinia. Mai esistita. Quelli di Caltagirone, quando videro il paese inesistente, in odio ai federali fecero pubblicare sul "Giornale di Sicilia" un altro fotomontaggio dove si vedeva Mussolinia sullo sfondo e in primo piano yacht e motonavi e la didascalia: "Siamo riusciti a portare il mare a Mussolinia". Mussolini capì l'antifona e destituì tutti. E’ una storia che trovo splendida”.
R.C.
 
 

L'Arena, 5.3.2004
Tornano in libreria grazie a Sellerio i racconti di Mario Soldati usciti nel 1967 e divenuti introvabili
Il maresciallo «filosofo»
Non arrestava mai nessuno con piacere ma con tristezza

Qualcuno potrebbe trovare azzardato vedere nel maresciallo Gigi Arnaudi, protagonista dei fortunati Racconti del maresciallo di Mario Soldati - pubblicati quasi quarant'anni fa e ormai divenuti introvabili, e ora riportati con intelligenza in libreria da Sellerio (252 pagine, 10 euro) - un lontano ispiratore del commissario Salvo Montalbano di Andrea Camilleri. Eppure sono molteplici i punti di contatto tra questi due eroi con la divisa. Per cominciare, entrambi svolgono importanti compiti investigativi, anche se l'uno per il corpo dei Carabinieri e l'altro per quello della Polizia, due istituzioni spesso in concorrenza tra loro. Tutti e due, inoltre, amano la buona cucina - anche Arnaudi, come Montalbano, è un assiduo frequentatore di osterie e trattorie di paese, ed è proprio davanti a semplici ma gustosi piatti della cucina tradizionale piemontese che Soldati incontrò, mentre si documentava per il suo celebre Viaggio nella valle del Po alla ricerca di cibi genuini , il maresciallo reale che gli ispirò questo personaggio, - e fanno abbondante uso del dialetto, rispettivamente siciliano e piemontese, il che contribuisce a radicarli nella terra in cui vivono e operano. Ma è soprattutto sul piano del lavoro che emergono le maggiori somiglianze tra i due investigatori: non sono certo due scansafatiche, anche se Montalbano ogni tanto si arrabbia e allora si isola per un po', ritirandosi a far sbollire l'ira sotto il suo amato ulivo saraceno. Quanto ad Arnaudi, concepisce il servizio addirittura come una missione, che lo impegna per l'intera giornata, spesso sottraendolo alla famiglia.
Montalbano, però, personaggio dei nostri tempi, è sanguigno, tenace, deciso, quasi un "duro", così come dura, spesso feroce, è la realtà siciliana con cui ha a che fare. Arnaudi, invece, si muove negli anni Cinquanta, in un mondo più tranquillo, e nelle sue indagini, raccontate da Soldati con la sua prosa fluente e piacevole, non scorre quasi mai il sangue, sebbene spesso non difetti la suspense. Il maresciallo non deve dare la caccia a spietati delinquenti, ma a balordi di paese, implicati in furtarelli di poco conto o in scappatelle sentimentali che si intrecciano con episodi criminosi. Comparse tratte dalla scena di una realtà di cui Soldati - morto cinque anni fa - è sempre stato un acuto e sensibile osservatore.
Quarant'anni di servizio nell'Arma dei Carabinieri hanno finito per rendere Gigi Arnaudi un po' filosofo, gli hanno insegnato molte cose sull'animo umano, e soprattutto lo hanno convinto che la maggior parte dei delitti, fatta eccezione per quelli perpetrati in preda ad attacchi d'ira o di follia, abbiano come unico movente il denaro. Nel corso della sua carriera - racconta il maresciallo all'amico Mario Soldati al solito tavolo d'osteria intorno al quale lo scrittore immagina di incontrare l'investigatore, che intanto inganna "l'attesa della polenta" spiluccando "cacciatorini di cavallo, freschi, pastosi, deliziosi" - si è imbattuto in ogni sorta di truffe e di furti, "in circonvenzioni di incapace per carpire un'eredità, in calunnie che miravano a ottenere l'interdizione magari di uno stretto congiunto, in omicidi consumati con incredibile lentezza e con ripugnante pazienza", come quello architettato da un'intraprendente austriaca che voleva impadronirsi del piccolo gruzzolo del "ssiur Dino" avvelenandolo lentamente con l'arsenico. In quel caso la vittima predestinata fu salvata in tempo e la donna arrestata dal maresciallo, che tuttavia confessa a Soldati : "Tu lo sai, Mario, io non arresto mai nessuno con piacere. Anche nei casi in cui la colpa è più evidente e meno scusabile, e anche se durante l'indagine mi sono potuto entusiasmare e perfino divertire, quando viene quel momento provo sempre una certa tristezza."
Una malinconia che torna anche nel racconto La zingarella , nel quale l'ufficiale afferma: "Se qualcuno mi conduce a sorprendere il ladro sul fatto, be', ci vado perché è mio dovere, ma non è che mi senta invitato a una festa." A impedirgli di provare in questi casi un senso di trionfo è la sua profonda capacità di comprensione dell'animo umano, per cui si è convinto che tutti possano arrivare a commettere un delitto. A Soldati che gli dice che, in fondo, tutti i delinquenti sono dei matti, Arnaudi replica: "Sono un po' matti tutti gli uomini, nessuno escluso, anche gli onesti e gli onestissimi. Ma diventano, ma sono delinquenti, appena la loro pazzia, per caso, va contro le leggi e nuoce alla società." Per questo non riesce a odiare i malfattori, che siano semplici rapinatori o efferati assassini - "quelli li combatto, faccio tutto il possibile per mandarli in galera, se lo meritano", - mentre detesta con tutte le sue forze coloro che sono "i sostenitori più accaniti dell'ingiustizia e del privilegio, coprendo il loro porco egoismo col nome di Dio, della Chiesa, dei Santi, del diritto divino che il ricco ha, secondo loro, di essere ricco e sempre più ricco": appartiene a questa schiera di squallidi individui il protagonista della Fine di Flok, il racconto più lungo della raccolta, storia di un reduce della Repubblica di Salò che tenta di riciclarsi nell'Italia postbellica.
Pubblicati in volume per la prima volta nel 1967 - dopo essere usciti singolarmente sul quotidiano Il Giorno negli anni precedenti, - I racconti del maresciallo ebbero una fortunata trasposizione televisiva nel 1968, con Turi Ferro nella parte del protagonista e Mario Soldati che interpretava se stesso. Una seconda serie di telefilm andò poi in onda nel 1984, con Arnoldo Foà nei panni del maresciallo. In quello stesso periodo Andrea Camilleri, che allora era un funzionario della RAI, seguiva la realizzazione del lungo ciclo di sceneggiati televisivi col commissario Maigret; senza sapere ancora che sarebbe diventato famosissimo grazie alle avventure di un altro commissario con qualche analogia con Arnaudi.
Sandro Caroli
 
 

Il Sole 24 Ore - Domenicale, 7.3.2004
Autodifesa
Dalla violenza difendetevi con i romanzi
Perché le donne subiscono senza reagire? Nelle pagine di James Ellroy o di Camilleri più spiegazioni che nei saggi di psicologia.

Camilleri docet: nella bella puntata del Montalbano televisivo della scorsa domenica – sconfitta negli ascolti dal lacrimoso e stucchevole Elisa di Rivombrosa – c’è una donna che spiega al Commissario come mai abbia chiesto aiuto quando il marito la picchiava, salvo poi, spaventata, rimangiarsi la richiesta “Perché non è scappata?”, “Pirchì gli vogliu beni” E ancora: ”Se Pepè lo veniva a sapere, che io avevo spiato autto per liberarmi di lui, capace che…” “… sarebbe tornato a picchiarla?”. “Nonsi, commissario. Capace che mi avrebbe lasciata”. In poche e asciutte battute, Camilleri tratteggia efficacemente la psicologia del genere di donna votata a subire maltrattamenti in silenzio e per anni.
[...]
Camilla Baresani
 
 

Avui, 8.3.2004
Andrea Camilleri: "Montalbano està molt desillusionat amb la Itàlia actual"
Arriba en català l'última novella de l'escriptor sicilià precedida d'un gran èxit de vendes al seu país
La immigració illegal, el tràfic de persones, la Itàlia de Berlusconi i el microcosmos sicilià són el rerefons de la nova novella de Camilleri, 'Virada de boia' (Edicions 62), un llibre més polític que els anteriors en què Montalbano continua "sent coherent amb si mateix".

T.G. 'Il giro di boa' surt en català. ¿Com retrobaran els lectors catalans el comissari Montalbano?
A.C. Aquesta és la novella de Montalbano que ha suscitat més reaccions dels meus lectors. Molts l'han trobada molt política i aquest fet ha provocat un debat molt interessant. El llibre té dos punts polítics fonamentals: un és la reacció de Montalbano al comportament de la policia a Gènova durant els aldarulls pel G-8 a Nàpols, que el fa entrar en crisi. El meu personatge, que sempre està pendent del que passa al món, no podia ignorar una cosa així. El segon punt és la famosa llei d'immigració que han fet Umberto Bossi i Gianfranco Fini, una llei que no soluciona res i, a més, produeix danys. Alguns lectors han reaccionant dient-me: "Tu no pots prestar el teu personatge a les teves idees polítiques". Fins i tot un lector em va dir: "Has creat un personatge que s'ha convertit en un personatge de tots i ja no et pertany". Però no tots pensen el mateix.
T.G. A diferència d'altres personatges de novella negra, com ara Maigret, el seu Montalbano evoluciona i en aquest llibre sembla més desillusionat i escèptic que altres vegades.
A.C. Jo sempre he dit que vaig néixer d'una costella de Maigret, un personatge que, certament, no evoluciona. En els llibres passa l'ocupació d'Alemanya, la França de Vichy, i el personatge segueix immòbil. Jo que adoro Maigret per la versemblança de les seves investigacions, deixa de ser versemblant en el moment en què ja no participa en la història, ni tan sols com a ciutadà del seu país.
T.G. En canvi, Montalbano participa i opina sobre la realitat d'aquesta Itàlia de Berlusconi.
A.C. És inevitable. Encara que ell no pot opinar, perquè és un personatge institucional, és un home de centreesquerra i, esclar, està molt desillusionat amb l'Itàlia actual, és normal.
T.G. La història de 'Virada de boia' transcorre amb el rerefons de la immigració clandestina, un problema que omple pàgines de diaris.
A.C. Sí, crec que és un dels problemes futurs del món i sobretot d'Europa, i afrontar-lo de manera tan poc considerada com fan els governs és un gran error. La cosa que més m'agrada de l'Europa actual és la sensació que tinc, amb 80 anys, de saber que no ens farem mai més la guerra. I ara, en canvi, la immigració es perfila com el nostre problema més gran, i és absurd que el vulguin afrontar els països de forma separada. Aquest fenomen no s'atura posant filats espinosos.
T.G. Sicília, com sempre, té un rol fonamental en aquest llibre, però com a novetat es presenta també com a porta d'Europa.
A.C. Sicília i els sicilians estan vivint aquest fenomen amb una acceptació pragmàtica, amb una no-hostilitat davant dels que arriben. Potser perquè a Sicília som com els elefants i tenim molta memòria, ens recordem del nostre passat. Els sicilians van marxar a tot arreu, des dels Estats Units fins a Alemanya, i encara avui en dia segueixen marxant.
T.G. Vostè usa la novella policíaca per qüestionar-se moltes coses de la nostra realitat i per descriure problemes socials.
A.C. Sí, de professió faig de contrabandista. La bellesa de l'evolució de la novella políciaca mediterrània és que descriu la realitat social dels llocs de què parla, en molts casos molt més profundament que qualsevol tractat de sociologia.
T.G. El mes d'octubre passat va morir Manuel Vázquez Montalbán, que havia inspirat el nom del seu personatge; ell, però, deia que no es mereixia aquest honor.
A.C. La meva gratitud per Vázquez Montalbán va néixer de la lectura d'una novella seva, El pianista, que no és de Pepe Carvalho. Jo aleshores acabava d'escriure Il birraio di Prerston, però em semblava horrible, perquè no aconseguia organitzar-ne l'estructura. No sabia què fer. En aquell moment em va arribar a les mans El pianista i vaig veure que el temps narratiu estava completament alterat i em va obrir un horitzó enorme. Com que escrivia també la meva primera novella policíaca, vaig decidir anomenar Montalbano el personatge principal per dos motius: perquè és un cognom molt difós a Sicília i per fer un homenatge a Vázquez Montalbán.
T.G. Vázquez Montalbán deia també que els seus llibres no són fàcils i necessiten un lector culte. Com s'ho explica aleshores?
A.C. Honestament, no sé com són els meus llibres, però potser el motiu de l'èxit és que amb les novelles del comissari Montalbano he intentat mantenir sempre un personatge coherent amb si mateix, canviant, esclar, l'escenari en què investiga, però no l'he deixat mai caure en una investigació tradicional. S'ha trobat amb casos que van des del tràfic d'òrgans fins a la immigració clandestina, investigacions sobre fenòmens totalment contemporanis i potser aquest és el secret.
T.G. ¿Montalbano seguirà investigant després de 'Virada de boia'?
A.C. Sí, de fet, el 2004 serà l'any de Montalbano, perquè publico dos llibres nous. Mondadori traurà el 9 d'abril La prima indagine di Montalbano, tres contes llargs sobre el comissari. I a l'octubre sortirà La pazienza del ragno, amb Sellerio, que comença just en el moment en què acaba Virada de boia. En aquest cas, les conclusions a què arribarà Montalbano faran irritar encara més els lector que s'han irritat amb Virada de boia per les implicacions polítiques. No hi ha morts ni investigacions. Tot gira al voltant del càstig d'un individu que s'ha aprofitat de tot i de tothom i ho ha exprimit fins al límit per arribar al poder.
T.G. ¿Com és que, vivint a Roma des del 1949, continua escrivint sobre Sicília?
A.C. Avui en dia és fàcil ambientar una novella a Nova York o a Moscú, perquè hi ha unes guies fantàstiques amb tota la informació sobre aquelles ciutats, però el problema és saber com pensen i com actuen els seus habitants. Jo crec que ho entenc gairebé tot dels sicilians, en el 99% dels casos m'equivoco, però amb l'1% en què l'encerto ja en tinc prou per escriure els meus llibres.
T.G. Sicília per a molts encara és sinònim de Màfia. És un binomi real?
A.C. És ben real, és tristíssim i abans que res és una forma de comportament. És com una mena de càncer que es menja un país. Jo parlo poc de la Màfia, però en els meus llibres hi és sempre, com un rumor de fons. I no vull parlar-ne gaire perquè no vull novellar una realitat tan dura. No vull donar el títol d'heroi en les meves novelles a personatges que només es mereixen trobar els seus noms escrits en els arxius de la policia.
Thaïs Gutiérrez
 
 

9.3.2004
Seminario
Lingua, storia, gioco e moralità nel mondo di Andrea Camilleri
Università di Cagliari, Facoltà di Lingue e Letterature Straniere (Ex Clinica Aresu, aula 9, Via San Giorgio).
 
 

La Sicilia, 9.3.2004
A Vigàta da ladri a guardie di merendine

Lo scrittore Andrea Camilleri ha reso familiare la figuretta amabile e patetica del ladro di merendine. Agendo indisturbato nel campo della fantasia, ha potuto permettersi il lusso di non sfiorare il problema della punizione. Se però fosse stato il proprietario di un supermercato, pur provando sentimenti compassionevoli, avrebbe avuto l'esigenza di difendere la sua proprietà. A rendere ancora più stridente il contrasto tra realtà e fantasia, capita proprio a Porto Empedocle, la Vigàta dei romanzi camilleriani, che due fratellini, di nove e dieci anni, siano stati sorpresi a rubare merendine. Il titolare ha convocato i genitori per farsi risarcire. Essendo entrambi disoccupati, non c'era nulla da cavare. Che fare? Esclusa la denuncia, spinto da un impulso caritatevole e a suo modo educativo, il derubato si è inventato una sorta di contrappasso dantesco, trasformando per tre giorni i ladri in guardie delle merendine. Si guarda ma non si tocca e si impedisce ad altri di rubare. In apparenza un gesto esemplare, in realtà l'esercizio di una perversione del cuore che appaga sadicamente un oscuro desiderio di vendetta. Nei bambini all'umiliazione si aggiunge la tortura di stare per tre giorni, con l'acquolina in bocca, in un piccolo paradiso dei consumi senza poterne approfittare. La pena morale, infine, non scioglie il dilemma se si possa educare un ladro di merendine a reprimere i morsi della fame.
Francesco Di Mare
 
 

La Repubblica, 10.3.2004
Carlo Lucarelli parla del suo nuovo libro
Vi racconto l'Italia dei misteri
Da Ustica a Bologna al mostro di Firenze e alla morte di due poliziotti

[...]
Tempo fa, in un'intervista, Andrea Camilleri ha citato Gramsci e un suo scritto sul romanzo poliziesco, dove ne spiegava il successo con "la precarietà avventurosa della vita reale, che spinge al desiderio di essere consolati, o illusi, da un'avventura finta, predeterminata e con una soluzione".
“E' ancora così, anche per i lettori di oggi. Ma non concordo su quel predeterminata: pagina dopo pagina, si scopre quasi sempre che quello che avevi in testa non c'è. A meno che non si parli del giallo classico”.
[...]
Loredana Lipperini
 
 

12.3.2004
La prima indagine di Montalbano

Sarà in libreria il prossimo 6 aprile "La prima indagine di Montalbano" (Mondadori), la nuova raccolta di racconti di Andrea Camilleri.
 
 

L'Unione Sarda, 14.3.2004
Lo studio
Il professore ricostruisce i cambiamenti del personaggio tra letteratura e tv

Di mestiere fa il commissario di polizia. E benchè viva in una piccola cittadina della provincia siciliana, l’immaginaria Vigata, non conosce mai un momento di tregua, preso com’è dalle inchieste sui casi più controversi e difficili. Ma è un investigatore straordinario: riesce a trovare sempre la chiave del giallo muovendosi con abilità impareggiabile nel gioco pirandelliano dell’essere e dell’apparire. Nelle pagine di Andrea Camilleri la figura di Montalbano assume così il profilo di un personaggio burbero ma simpatico, tenero ma tenace, intelligente ma pacato. E soprattutto rinnova continuamente il mito di un uomo dotato di un alto senso di giustizia, disposto a valicare a fin di bene perfino i limiti dell’ordine costituito.
Dopo il successo che da anni ormai accompagna ogni sortita del commissario era inevitabile che l’eroe di Vigata uscisse dalle pagine della letteratura per invadere gli schermi della tv e internet, irrompere nel mondo dei fumetti, percorrere i sentieri dell’informazione e della critica letteraria, diventare oggetto di studio e di analisi. In questa libera uscita nell’universo mediatico Montalbano mantiene una sua identità che trascende tutti gli adattamenti. Il quadro che ne scaturisce viene ricostruito e analizzato da Gianfranco Marrone, docente di semiotica nell’Università di Palermo, in Montalbano. Affermazioni e trasformazioni di un eroe mediatico (Rai-Eri, 326 pagine, 17 euro).
Nel suo viaggio intertestuale, Marrone ricostruisce i cambiamenti del personaggio, a partire da quelli che hanno rifatto il Montalbano televisivo. Nel trasferimento dal libro allo schermo è stata prima di tutto compiuta quella che Marrone chiama una «operazione di estetizzazione» nei confronti della narrativa di Camilleri. E così Montalbano assume le sembianze dell’attore Luca Zingaretti e diventa più bello e aitante, perde ogni connotazione goffa e impacciata, si fa addirittura un uomo d’azione. Non ha capelli e neppure i baffi che Camilleri di tanto in tanto mette sul volto del suo personaggio. Anche nella trasposizione televisiva non può non ritrovarsi la caratteristica parlata inventata da Camilleri. «Montalbano sono» è diventato un celebre tormentone. Come nota Marrone, il siciliano del commissario di Vigata non è la lingua parlata in Sicilia. È solo un finto siciliano a uso del grande pubblico. E per giunta è il frutto di un riadattamento con aggiunte interpretative dettate dal mezzo.
Per un racconto ambientato in Sicilia, che per giunta mette in scena gialli appassionanti, non può mancare il tema della mafia. Ma Camilleri le assegna un ruolo marginale e spesso si diverte a tracciare copioni in cui la mafia appare come l’elemento centrale ma subito la trama narrativa concede il sopravvento alle questioni private. Più che la mafia Marrone rintraccia nell’eroe mediatico uscito dalla fertile penna di Camilleri l’essenza di una mafiosità, «una specie di mentalità diffusa, di spirito del luogo, di disposizione antropologica che permea il modo di fare e di pensare delle persone». La sua caratteristica più evidente è l’omertà e la diffidenza verso la «legge». Di questo spirito, che tanto fa dannare Montalbano, si coglie tutto il senso tragico e ironico in un dialogo tra il commissario e l’ispettore Fazio.
Dopo l’ennesimo omicidio Montalbano chiede al suo collaboratore: «Ci sono testimoni?». E Fazio risponde allusivo: «Commissario, vuole babbiare (scherzare ndr)?».
La disperazione del messaggio nella trasposizione televisiva si fa però più teatrale. Lo studio di Marrone la individua come la principale operazione di trasfigurazione.
 
 

Lospettacolo.it, 14.3.2004
Montalbano: un eroe mediatico
Sarà presentato la prossima settimana a Roma il nuovo volume della collana Rai Vqpt dedicato proprio al commissario di Vigata.

Sarà presentato giovedì prossimo presso la sede Rai di Viale Mazzini a Roma il nuovo volume della collana Rai VQPT (Verifica Qualitativa Programmi Trasmessi): “Montalbano – Affermazioni e trasformazioni di un eroe mediatico”.
L’autore, Gianfranco Marrone ha cercato di indagare nell’universo personale di un personaggio che in questi ultimi anni è riuscito a catturare l’attenzione e l’affetto di milioni di telespettatori. Chi è davvero Salvo Montalbano? Il commissario di polizia di Vigata, ormai indissolubilmente legato al volto e alla bravura dell’attore Luca Zingaretti, è passato dai libri alla tv senza perdere un briciolo del suo fascino e del suo carisma. Marrone, partendo dall’analisi dettagliata della fortunata serie televisiva, ha condotto un’approfondita analisi sociosemiotica sull’eroe, finendo per ricostruire le articolazioni del mondo di un uomo burbero, ma simpatico, un triste epicureo alla ricerca di una giustizia tutta umana, pronta spesso a trascendere gli angusti limiti di ogni ordine costituito.
Alla presentazione parteciperanno, oltre all’autore, anche il direttore dell’agenzia Ap Com, Antonio Calabrò, il produttore della fiction, Carlo Degli Esposti, e il direttore di Rai Fiction, Agostino Saccà.
 
 

Palermo News.net, 18.3.2004
Montalbano ritorna in autunno

Una nuotata rilassante e scacciapensieri fino all'incrocio in alto mare con un cadavere mezzo decomposto e con polsi e caviglie profondamente incise: riparte dall'inchiesta più dura del commissario, raccontata nel best seller assoluto italiano del 2003, il romanzo 'Il giro di boa' di Andrea Camilleri, il prossimo Montalbano tv. Gli spettatori dovranno aspettare il 2005 per vederlo di nuovo su Raiuno.
Le riprese sono previste tra l'autunno 2004 o molto più probabilmente nella primavera 2005, dopo che il protagonista Luca Zingaretti avrà girato, sempre per la Rai, la fiction 'Cefalonia', le cui riprese sono previste (in Sicilia) tra due mesi. Il vicedirettore di Rai Fiction Max Gusberti ha annunciato oggi i titoli di Camilleri dai quali saranno tratte le prossime due produzioni di Montalbano: oltre a 'Giro di boa', si tratta di 'Par condicio' e 'Catarella risolve' [in effetti 'Catarella risolve un caso', NdCFC], presi da 'Un mese con Montalbano' [in effetti 'Catarella ...' è tratto da 'Gli arancini di Montalbano', NdCFC] e che confluiranno in un'unica sceneggiatura, scritta da Francesco Bruni e diretta da Alberto Sironi, con lo stesso team tecnico e di attori delle altre produzioni Palomar-Rai Fiction dedicate a Montalbano. 10 titoli in tutto che hanno conquistato gli spettatori anche nelle innumerevoli repliche e hanno fatto del sexy commissario di Vigata-Porto Empedocle uno degli eroi della fiction italiana più amati (anche il più seguito, rispetto alle altre fiction, dai laureati). A Montalbano è dedicato anche un recente libro Rai-Eri, della collana Vqpt curata da Loredana Cornero, scritto da Gianfranco Marrone, professore di semiotica all'Università di Palermo.
Nell'attesa del nuovo Montalbano tv, i fan dei gialli di Camilleri potranno leggere 'La prima indagine di Montalbano', in libreria dal 6 aprile (Mondadori): tre lunghi racconti con Montalbano 35enne, non così astuto, non così smaliziato come siamo abituati a conoscerlo, anzi persino un pizzico ingenuo nella professione e c'è chi sarà pronto ad approfittarne.
L'individuazione, tra la prolifica produzione di Camilleri, del 'Giro di boa' (Sellerio) tra le prossime produzioni tv, non era scontata. Il romanzo è senz'altro il Montalbano più politico, seppure «più imparziale» come più volte ha precisato Camilleri. Infatti, prima i fatti di Genova in occasione del G8, poi la scoperta di quelli di Napoli mettono in crisi l'investigatore. Barcolla la sua fiducia nella polizia, annuncia le dimissioni a Vigata e prende appuntamento con il Questore per presentarle. È un Montalbano anche dal forte impegno sociale, meno cinico e più toccante, in cui il trattamento riservato agli immigrati che sbarcano in Sicilia, l'incontro con quelle persone così disperate lo fa persino commuovere. L'immigrazione è l'argomento principale del libro, dal quale partono due indagini diverse e complesse che porteranno alla scoperta di un orribile traffico internazionale.
«Montalbano è il nostro Maigret», ha detto oggi Gusberti ricordando il Camilleri dirigente di Raidue e produttore per la Rai della celebre serie tratta dai gialli di Simenon. E non è certo un caso che proprio Maigret sia destinato a tornare in tv, sulla concorrente Canale 5, in una serie con Sergio Castellitto che si comincerà a girare a fine aprile.
 
 

Guidasicilia, 18.3.2004
Storia di quei tedeschi che cercando casa Camilleri, trovarono quella Pirandello
Luoghi simbolo e mode letterarie
Riportiamo di seguito una notizia che potrebbe diventare il perfetto paradigma di ciò che significa moda letteraria.

La nostra bella Isola, dopo tante giornate fredde e uggiose, è ritornata da qualche settimana una terra baciata dal sole, e comincia a diventare consuetudine vedere pullman carichi di aziani signori provenienti da chissàdove.
Giusto la scorsa settimana, un pullman di turisti tedeschi è giunto nella zona dell’agrigentino, esattamente a Porto Empedocle, da poco ribattezzata Vigata.
Sceso dal pullman, fermatosi nella centrale via Roma, il capo della delegazione ha chiesto ad un ausiliario del traffico dove fosse casa Camilleri.
Il giovane ausiliare, preso alla sprovvista dall'improvvisa invasione della comitiva di attempati turisti provenienti da Stoccarda, invece di indicare la via dove abita il «papà» del commissario Montalbano, che tra l’altro vive stabilmente a Roma, senza pensarci un momento ha spedito il gruppo in contrada Caos, ossia nei luoghi che hanno dato i natali al Premio Nobel Luigi Pirandello.
I teutonici fans del Commissario Montalbano, credevano di avere fatto centro al primo colpo, ignari però della delusione che avrebbero provato poco dopo ritrovandosi da tutt'altra parte rispetto ai loro programmi. Giunti infatti nell'ampio parcheggio attiguo alla villa dove il grande drammaturgo siciliano visse la sua giovinezza, i turisti hanno subito capito di avere «sbagliato» scrittore.
Resisi conto dell’errore la comitiva è ritornata col pullman in via Roma nel centro di Vigata, del tutto insensibili al fascino che da sempre avvolge i luoghi del Caos.
Non trovando l'ex ausiliario del traffico incosciente colpevole di un depistaggio, la tribù germanica si è messa ancora alla ricerca della casa del fenomeno letterario del momento, riuscendo a individuarla solo alle 10 di sera, quando cioè in giro per le strade non c'era più neanche un cane in grado di abbaiare qualche informazioni.
Dopo tanta fatica, i tedeschi se ne sono andati da Porto Empedocle delusi di non avere avuto come risposta dal citofono di casa Camilleri la risposta "…Montalbano sono!".
E Luigi Pirandello, d’aldilà, credete si sia potuto offendere da questa palese mancanza di riguardo nei suoi confronti? Ma certo che no! Altrimenti a che pro l’avrebbe detto che siamo tutti uno, nessuno e centomila?
 
 

Gazzetta di Reggio, 18.3.2004
Si presenta così: "Montalbano sono" ma viene arrestato per tentato furto
 
 

Il baco del millennio, 19.3.2004
Andrea Camilleri è intervenuto alla trasmissione di Radio 1 Rai, parlando -fra le altre cose- della visione della mafia in Leonardo Sciascia, di come viva la mafia Montalbano, della attualità o meno della classificazione sciasciana in categorie degli uomini (mezzi uomini, ominicchi, etc).
 
 

WebTrek Italia, 20.3.2004
Uccidere per amore (online / pdf)
Una doverosa premessa
Quanta italianità esiste nell’universo di Star Trek? La risposta e’ desolante: poco, o meglio, nulla.
Siamo di fronte ad un’ennesima colonizzazione culturale americana? Per fortuna, no

Il successo “mondiale” della più lunga serie fantascientifica della storia deriva soprattutto dall’affermazione di valori etici sovranazionali, a partire dal concetto della “Federazione dei Pianeti Uniti” (l’O.N.U. dello spazio) per arrivare alla ricusazione della violenza se non come forma ultima per la risoluzione dei contrasti (sic).
Resta però innegabile (sebbene sia possibile intuire nei tratti emotivi del cuoco di bordo dell’astronave Voyager , tracce del carattere latino) niente Italia in Star Trek.
Allora proviamo a vedere la cosa da una diversa prospettiva: quale e’ il rapporto degli italiani con la saga dell’Enterprise, di Spock, del capitano Kirk e di tutto il pantheon di eroi spaziali?
Per fare questo ci siamo avvalsi della “consulenza” di uno dei personaggi più riusciti della nostra letteratura e cinematografia recente: il commissario Montalbano.
La scelta e’ stata fatta anzitutto per la grande stima e ammirazione che dobbiamo al suo autore, Andrea Camilleri, e poi per la simpatia, intelligenza e umanità del commissario di Vigàta (se volete saperne di più sull’argomento vi consigliamo una visita al sito www.vigata.org) che rappresenta forse i migliori tratti dell’italianità.
Non fatevi fuorviare dall’uso del dialetto (a parte il fatto che se qualcuno si e’ preso la briga di imparare il klingon, comprendere qualche termine siciliano, anche senza il traduttore universale non sarà un’impresa impossibile) perché i lettori tutti di Camilleri concordano nell’apprezzare i divertenti scambi di battute. E del resto, in un mondo che punta alla globalizzazione, i dialetti, quali essi siano non importa, fanno ancora parte della storia nostra nazionale, al pari degli usi, dei costumi e delle cucine regionali.
Montalbano insomma rappresenta un’Italia pragmatica, onesta ed intelligente e lo vedremo alle prese con un caso da risolvere e nel contempo alla scoperta di una serie televisiva fantastica., appunto “Star Trek”.
Concludo dicendo che si tratta di un gioco, di una impresa assolutamente amatoriale e senza fine di lucro, scritta con il massimo amore e rispetto per Andrea Camilleri e per Gene Roddenberry.
Certo, se non dicessi che l’autore del racconto e’ Claudio Chillemi qualcuno potrebbe pensare di trovarsi di fronte ad un originale inedito…
Buona lettura!
Giancarlo Manfredi
 
 

Quotidiano di Sicilia, 20.3.2004
Ogni angolo racconta storie antiche e magnifiche realtà quotidiane ricche di magia
Turismo ed effetto Camilleri
Sicilia terra da sogno
L’Isola è un immenso giacimento culturale  ma sono pochi i luoghi ben valorizzati

Che l’immagine ricopra un ruolo fondamentale nella nostra società è ormai scontato. In particolare nel turismo vige quello che i francesi chiamano il “principio del sogno”, ovvero quando si parte per andare in vacanza si insegue un sogno che influenza le nostre scelte nella individuazione della destinazione. Per questo dico che ogni viaggio inizia e finisce dentro noi stessi, perché quando partiamo andiamo alla ricerca di qualcosa che noi non conosciamo bene o che abbiamo perduto e ci manca.
C’è chi parte alla ricerca di serenità e relax, chi di divertimento, chi di crescita culturale e interiore; ma c’è anche chi parte alla ricerca di atmosfere che sono piaciute e si vogliono rivivere. Così tanta gente, affascinata dal mondo letterario creato da Andrea Camilleri, da quella Sicilia che molti definiscono fantastica ma che io trovo tanto vera, vengono nei luoghi descritti dall’autore con nome di fantasia ma che la fiction televisiva ha trasferito nella realtà siciliana.
In particolare parlerò di tre realtà siciliane che in maniera diversa hanno affrontato il tema. In provincia di Trapani sono stati utilizzati diversi luoghi per ambientare le storie del Commissario Montalbano: la Grotta di Mangiapane nel Comune di Custonaci, le isole di Favignana e Levanzo nelle Egadi, il porto di Mazara del Vallo. Ma pochi, anche tra gli stessi abitanti del luogo, lo sanno né è stata fatta alcuna attività per evidenziare il collegamento con Montalbano. Diversamente a Porto Empedocle, vera fonte di ispirazione dell’autore, addirittura è stato deciso di “sottonominare” la città quale “Vigàta”, ovvero il luogo di fantasia prende il sopravvento sulla realtà.
Infine l’Aapit di Ragusa, set ideale per tutte le puntate di Montalbano. Ne abbiamo parlato con il dott. Biscazza, responsabile marketing dell’ufficio turistico dell’Aapit iblea. “Viste le tante richieste abbiamo stampato un opuscolo sul tema dal titolo Sulle tracce del Commissario Montalbano nella Provincia di Ragusa. È stato un successo. Ne abbiamo distribuito oltre 15.000 copie in un anno. Me è difficile quantificare i dati sulle presenze legate al fenomeno.
Non dimentichiamo che Ragusa fa parte del Distretto Culturale del Sud Est – Val di Noto, dichiarato Patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Dobbiamo molto al commissario Montalbano, ma non possiamo restringere l’immagine di Ragusa e della sua Provincia ad un personaggio letterario e televisivo”.
Nell’approvare il ragionamento dell’Aapit iblea aggiungo alcune considerazioni. Innanzitutto Ragusa Ibla, ovvero il vecchio centro, è stato di recente restaurato ed è tornato all’antico splendore: la Sicilia è un immenso giacimento culturale,ogni angolo della nostra regione ci racconta storie antiche e magnifiche realtà quotidiane, ma sono pochi i luoghi in cui tale ricchezza è valorizzata ed amata da chi ci vive dentro, dai suoi abitanti e dai suoi amministratori. Tanti luoghi da sogno ma anche tanti scempi e brutture sul cui sfondo leggiamo il fascino di questa terra magica.
Ragusa Ibla è la dimostrazione che chi opera per rendere più bella la propria città, il proprio territorio, raccoglie sempre i frutti di tale lavoro.Perché Ragusa adesso è anche polo universitario, è turismo rurale di qualità, è tante altre cose che creano l’immagine di un territorio di cui Montalbano è stato una sorta di ambasciatore ma che, senza creare una sostanza, è immagine effimera e in taluni casi ha l’effetto opposto. Quanti eventi si sono ritorti contro chi ha investito tanto su di essi, in denari e fatica, perché tutto il resto non era pronto all’appuntamento! Che senso ha promuovere un territori partecipando a fiere e “workshop” internazionali se poi non si hanno strutture di ospitalità adeguate in qualità e quantità, servizi efficienti, popolazione pronta a ricevere visitatori ed a subirne la presenza invasiva in termini di parcheggi, di diponibilità idrica, di pilizia urbana e rurale, di collegamenti, di informazioni e tutto quanto contribuisce a rendere turistica una località. Anche a Ragusa c’è parecchio da fare: ho provato a fare una visita a Punta Secca, dove c’è la casa che la televisione ci ha fatto riconoscere come l’abitazione di Montalbano.
Passando da Marina di Ragusa si trovano, come in parecchi luoghi di mare di Sicilia, dei grandi palazzi che sanno più da sobborgo di città industriale del Nord Europa che di borgata marinara mediterranea.
Un sogno infranto: cercavo la mediterraneità di Camilleri e mi ritrovo la tristezza di questi casermoni senza identità. Mi aspettavo anche più cura della piccola borgata di Punta Secca, trovo solo le insegne commerciali che si rifanno al commissario più famoso d’Italia. Ma gli operatori privati che hanno investito su questa immagine forse non erano pronti a questa opportunità e forse andrebbero aiutati nella loro attività: la stessa casa l’ho trovata chiusa e mi hanno detto che adesso è un “Bed and breakfast”. Istintivamente mi è tornata la casa-museo di Sherlock Holmes a Londra, anche questa totalmente inventata, ma che è visitata da diverse centinaia di migliaia di visitatori all’anno e sviluppa fatturati notevoli.
Di fronte alla stessa casa c’è una splendida Torre di avvistamento del mirabile sistema progettato dal fiorentino Camillo Camilliani per il Viceré spagnolo nel XVI secolo.
Allora la Sicilia era particolarmente esposta alle scorrerie dei pirati Saraceni e la scelta di allora fu di dotarla di una rete di oltre 100 torri di difesa con il compito di avvistare le navi nemiche e avvisare la popolazione delle città e dei borghi perché  si potessero mettere in salvo fuggendo nell’entroterra. Vi potevano abitare comodamente un piccolo gruppo di militari che, una volta avvistato il nemico, si dovevano rinchiudere e resistere fino a quando finiva la scorreria; erano dunque dotate di un’ampia cisterna d’acqua, viveri a sufficienza e qualche colubrina per rispondere ad un improbabile fuoco nemico.
Se ne parla ogni tanto, ma non sono queste torri uno dei simboli identitari più significativi della nostra presenza al centro del Mediterraneo nella storia dell’umanità? Le torri rappresentano i difficili rapporti tra Nord e Sud del Mare Nostrum, ma se consideriamo che la maggior parte dei comandanti saraceni erano calabresi e siciliani scopriamo anche risvolti sociali, o una forma di ribellione all’invasore spagnolo, o chissà quanti altri spunti per scoprire la nostra identità storica e la nostra profonda mediterraneità perché noi non siamo del nord o del sud, siamo Siciliani. Le torri ancora oggi non fanno parte del nostro prodotto turistico.
I visitatori che casualmente le vedono si chiedono quale sia la loro origine e magari pensano che anche in Sicilia c’erano le fortezze ed i castelli medievali, come nel Nord Europa: e pensare che eravamo venuti in Sicilia per vivere il Mediterraneo! Ma lungo la stessa costa, a pochissima distanza, la splendida Kamarina e una lapide, lungo la strada per Gela, ci ricorda il luogo dello sbarco alleato nella II Guerra Mondiale.
In Normandia esistono numerosi centri visite che raccontano la storia del “D-Day” e contano migliaia di visitatori ogni anno. Forse è opportuno che almeno noi siciliani scopriamo prima cos’è la Sicilia. Camilleri vi ha aperto gli occhi, sperando di non fermarci all’ormai classico “Montalbano sono”.
Antonio Barone
 
 

La Repubblica, 21.3.2004
Un racconto autobiografico dello scrittore
Guai al contadino che mi ruba l´acqua
Andrea Camilleri

Pubblichiamo un breve racconto autobiografico di Andrea Camilleri, una testimonianza sulla sua personale scoperta del valore dell'acqua offerta alla Fondazione africana per la medicina e la ricerca, in occasione della Giornata Mondiale dell'Acqua in programma per domani.
 
 

La Repubblica (ed. di Milano), 21.3.2004
Lettere
Gli scrittori da supermercato

Cara Valduga, vorrei intervenire a proposito della lettera del lettore Gino Danzi. Sono d´accordo con lei che è meglio un analfabeta di un impapocchiato, ma non condivido il suo giudizio così tranchant sui «bestseller». Andrea Camilleri è un «bestseller», ed anche un´ottima lettura. Nel supermercato vicino a casa mia non c´è solo «Harmony», ci sono titoli di Pennac, Pavese, Yoshimoto, ci sono i romanzi di Simenon che Adelphi sta ristampando. Certo, non ci sarà «Tristram Shandy» di Sterne, nè la «Rubayyat» di Omar Khayyam ma, considerando il prezzo medio di un libro tra 12euro e 15euro, col 15% di sconto ogni cinque libri ne salta fuori un sesto gratis.
Antonio Rocca
C´era un "perlopiù", caro Rocca, che rendeva il giudizio meno definitivo. Lei dimostra una sua competenza, sa quello che compera: neppure col "paghi 2 e prendi 3" si porterebbe a casa la Melissa, la Mazzantini e Oreglio. Lei non fa testo. Ma mi lasci dissentire su Camilleri, su Pennac, su certo Pavese, su buona parte di Simenon. (Devo ancora leggere Kawabata, immagini se perdo il mio tempo con la Yoshimoto).
Patrizia Valduga
 
 

Corriere Romagna, 21.3.2004
Roulette balcanica Premio Nuove Lettere per Drazan Gunjaca 

Già vincitore di numerosi prestigiosi riconoscimenti, come il Premo Viaggio Infinito 2003 per il teatro (in giuria tra gli altri Barbieri Squarotti, Cardini, Mercurio), Drazan Gunjaca si appresta con il suo Roulette balcanica, edito dalla Casa Editrice riminese Fara, a ricevere oggi a Napoli il primo premio nella sezione ‘Romanzo edito’ della 13ª Edizione del Premio Nuove Lettere, indetto dall’Accademia Letteraria Europea di Nuove Scienze. Definito da Andrea Camilleri “un tragico dialogo senza uscita, come un duello sulla morte, sull’assurdità dei conflitti e della guerra”, in quest’ultima parte della fortunata trilogia sulla guerra nei Balcani, dopo A metà del cielo e Congedi balcanici (tradotto e pubblicato in vari Paesi), lo scrittore croato ha voluto alludere alla morte come al risultato di un ‘gioco’ perverso, che catapulta uomini semplici in un esistenza dolorosa, insanabile, come nella storia di Petar, uno dei protagonisti, che sente i valori crollare sotto il peso di una memoria lacerata dalla guerra.“Ideali? Gli uni li fanno nascere, gli altri li giudicano e i terzi muoiono per loro”, abbiamo letto recentemente nelle sue Confessioni di un vecchio poeta pubblicate su ‘Faranews’. “Arriverà mai una generazione che non sentirà il peso dei ricordi altrui? Che darà ascolto solo ai propri ricordi? Mai. E non solo daqueste parti. Con i ricordi degli altri uccidiamo il futuro”.
Marcello Tosi
 
 

Stilos, 23.3.2004
Sono il professore copia di Montalbano
Una testimonianza pari a una identificazione: lo scrittore vedeva in lui l'interprete migliore del commissario. Che nel "Giro di boa" assume una nuova veste: di un cinquantino che perde colpi e guadagna conto sulla vita. Analisi di un libro che integra una inaspettata consapevolezza

Parte dell'intervento orale di Giuseppe Marci reso al seminario di Cagliari Lingua, storia, gioco e moralità nel mondo di Camilleri
 
 

Adnkronos, 24.3.2004
TV: 'Il commissario Montalbano' sbarca anche in Grecia

Taormina - L'intera serie del 'Commissario Montalbano', i film 'Il cuore altrove' di Pupi Avati e 'Marcinelle' di Andrea e Antonio Frazzi e il cartoon 'La Pimpa', sono solo alcuni dei 42 titoli acquistati oggi dalla societa' di distribuzione greca, Modern Times Sa, agli Screenings di Rai Trade, in corso a Taormina. In questa giornata di avvio degli Screenings i buyers greci sono stati tra i primi a concludere un accordo con Rai Trade che ha scelto quest'anno la suggestiva cornice di Taormina e del grande albergo in riva al mare 'Mazzaro' Sea Palace' per proporre al mercato internazionale i suoi prodotti.
 
 

l'Unità, 25.3.2004
Sicilia in prima pagina
Domani sarà in edicola, insieme a l'Unità, il primo volume di "Sicilia in prima pagina" di Saverio Lodato (euro 3,50)

Dal taccuino di un cronista siciliano: i reportage su un'isola perennemente stretta fra ansia di rinnovamento e passato che resiste, fra vecchia mafia e vecchia politica, fra nuova politica e nuova mafia; il ruolo di Cosa Nostra americana e siciliana nello sbarco degli alleati in Sicilia; i resoconti dell'emigrazione del terzo millennio, fra barconi carichi di naufraghi vivi e naufraghi morti, fra solidarietà popolare e razzismo istituzionale; uno sguardo alla missione in Iraq e al sacrificio dei nostri militari a Nassirya; ampie interviste a Vincenzo Consolo, Andrea Camilleri e Enzo Biagi.
 
 

La Sicilia, 27.3.2004
Scopo sociale, Camilleri racconta Modica

Modica. «Sono felice e disponibile a scrivere per la vostra associazione su Modica, una città dove non ho mai vissuto, ma che è stata fondamentale nella mia vita e nel mio lavoro». Sono le parole con cui Andrea Camilleri ha risposto all'invito che la libreria Equilibri, gestita dalla cooperativa sociale "Alberto Portogallo", organizzatrice della seconda edizione del concorso letterario «Cunti della Contea di Modica», gli ha lanciato nelle scorse settimane per collaborare alla promozione della rassegna. Il papà del commissario Montalbano, in tal modo, ha annunciato agli organizzatori l'invio di un racconto inedito su Modica, che già suscita curiosità, da pubblicare nel volume contenente i racconti dei dieci finalisti del concorso. L'iniziativa, lo ricordiamo, è finalizzata ad incrementare le vendite del libro per finanziare progetti sociali della cooperativa, di recente premiata al Quirinale dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, proprio per l'attività meritoria in favore dell'inserimento di ragazzi svantaggiati nel mondo del lavoro. E potrebbe venire dal Capo dello Stato l'altra attesa novità. La Libreria Equilibri ha infatti chiesto alla segreteria del Quirinale un intervento scritto di Ciampi per inserirlo nella prefazione. Una risposta è attesa in questi giorni. Comunque sia, la seconda edizione di «Cunti della Contea di Modica» nasce sotto i migliori auspici. Il concorso è riservato agli studenti delle scuole medie superiori e consiste nel recepimento di racconti inediti relativi al vissuto-raccontato, quotidiano o immaginario, legato al territorio dell'antica Contea di Modica. Il premio vede, tra gli altri, la partecipazione degli assessorati alla Cultura di Comune e Provincia. Oltre al vincitore, selezionato da una rosa di dieci finalisti, un premio sarà riservato al migliore racconto che abbia per oggetto il cioccolato di Modica, anch'esso da pubblicare. I racconti vanno inviati alla libreria Equilibri, via Resistenza Partigiana, 27/m, entro il 10 aprile. Parallelamente al concorso letterario, gli organizzatori hanno varato un premio artistico, denominato "Arti della Contea di Modica", anche in questo caso diretto agli studenti, in particolare a coloro che frequentano l'istituto d'arte e il liceo artistico, o che abbiano inclinazione artistica. Il tema è: «Cultura e Folklore della Contea di Modica», un'opportunità per riflettere sull'importanza della tradizione come mezzo di crescita culturale.
A. C.
 
 

La Repubblica (ed. di Genova), 30.3.2004
Facoltà e Teatro. Mario Tozzi al "Pertini" e alla Tosse
"Un filo di fumo" il romanzo sulfureo di Andrea Camilleri

Il romanzo di Andrea Camilleri «Un filo di fumo» (Sellerio editore) è lo spunto per l´incontro odierno della rassegna «Facoltà e Teatro» nel foyer del Teatro della Tosse (ore 17, ingresso libero) organizzato dal teatro stabile di Sant´Agostino con l´ateneo genovese.
La puntata si sviluppa sul tema «Dall´evento geologico allo spunto narrativo», attraverso una conversazione con il geologo e conduttore televisivo (Gaia, su Rai3) Mario Tozzi e Laura Gaggero, docente della facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell´università di Genova.
Nella provincia di Montelusa (per Camilleri, Agrigento nella realtà) in cui si trova Vigata (ovvero Porto Empedocle, che è poi anche il teatro delle imprese del commissario Montalbano), si trovano abbondanti depositi di zolfo, asfalto, sale, marmi accanto a manifestazioni vulcaniche (sorgenti termali, emanazioni gassose, vulcani di fango). Si tratta di un territorio interessante dal punto di vista geologico, e tali particolarità si incontrano nel romanzo di Camilleri, che si dipana sull´attesa a Vigata dell´arrivo di un piroscafo per un carico di zolfo in un crescendo di umoristica drammaticità.
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Adnkronos, 31.3.2004
Scrittori: Camilleri, arriva il nuovo Montalbano

Roma - Dopo aver raccontato la maturita' di Salvo Montalbano, Andrea Camilleri si appresta a svelare i passi iniziali del suo famoso poliziotto. Sta per uscire infatti il nuovo libro dello scrittore siciliano. Sabato 3 aprile arrivera' nelle librerie italiane ''La prima indagine di Montalbano'' (348 pagine, euro 16,50), che Mondadori pubblica con una prima tiratura ben superiore alle 150mila copie. La nuova storia di Camilleri ha per protagonista un Montalbano giovane e ingenuo, alle prese con le sue prime indagini nel mondo del crimine. Lo scrittore ha confezionato tre lunghi racconti che narrano le prime inchieste del commissario piu' famoso d'Italia, una sorta di ''archeologia di Montalbano'', come e' stata gia' definita dal suo stesso creatore. Il poliziotto Montalbano ha circa trentacinque anni. E' decisamente un uomo adulto, ma nella professione sconta ancora qualche ingenuita'; non e' cosi' astuto, smaliziato come siamo abituati a conoscerlo. E c'e' chi e' pronto ad approfittarne.
 

 


 
Last modified Saturday, November, 11, 2017