RASSEGNA STAMPA
APRILE 2005
Corriere di Gela,
1.4.2005
Un martire senza titolo nell'ultimo libro di Camilleri
È lecito supporre che le 55 “città invisibili” di Calvino
(dotate ognuna di un nome femminile) abbiano avuto un precedente storico
decisamente farsesco ma assai significativo, dove a fungere da Marco Polo
in versione pirandelliana è stato un gruppo di fascisti di Caltagirone
e a vestire i panni di un Kublai Kan turlupinato dal tipico ‘teatro’ siciliano
è stato nientemeno che Benito Mussolini in persona. Così
possiamo rileggere oggi la storia di Mussolinia, la città fantasma
che i notabili calatini fecero finta di edificare nel bosco di Santo Pietro,
tra Caltagirone, Niscemi e Acate, in onore di Mussolini, per celebrare
degnamente la visita del Duce alla loro città, nel maggio del 1924.
Mussolini, in una cerimonia funestata da incidenti grotteschi (la sparizione
della bombetta e la sua sostituzione con una ridicola coppola da contadino;
la sparizione della stessa pergamena commemorativa che il Duce avrebbe
dovuto murare dentro la prima pietra; i fischi dei pastori che protestavano
per la sospensione dei lavori di costruzione della linea ferroviaria Gela-Caltagirone),
posò la prima pietra di una città “turrita” che non sarebbe
mai stata costruita e di cui, qualche anno dopo, avendo egli chiesto notizie
sullo stato dei lavori, gli arriveranno dalla Sicilia due fotomontaggi
beffardi: in uno, costituito da un intero album fotografico, il Duce ammirerà
compiaciuto l’imponenza e la maestosità della città che porta
il suo nome, e nell’altro, a mo’ di controbeffa volta a smascherare la
prima, un Duce incredulo e furente avrà di fronte una sorta di cartolina
in cui la stessa città appare come un ridente porto di mare.
Questa incredibile messinscena è uno dei due fatti di cronaca
poco noti su cui è costruito l’ultimo romanzo storico di Andrea
Camilleri, Privo di titolo (Sellerio), uscito il 17 marzo scorso. L’altro
fatto di cronaca è la misteriosa uccisione a Caltanissetta, il 24
aprile 1921, del diciottenne ‘patriota’ Gigino Gattuso, nel corso di una
rissa tra fascisti e comunisti. Gattuso è stato poi elevato dal
regime, con una tipica montatura mistificatoria fatta di retorica patriottica
e di opportunismo politico, al rango di unico martire del fascismo in Sicilia,
e in quanto tale celebrato con un monumento, con adunate commemorative
ad ogni anniversario della morte e con intitolazioni di strade e scuole
(ancora oggi, l’ex via Arco Arena in cui avvenne il fatto di sangue si
chiama “via Gigino Gattuso, Martire”, e non più “Martire Fascista”,
come una volta: e già questo la dice lunga sul metodo italiano della
chiarificazione delle cose, perché se prima Gattuso era un falso
martire fascista, ora è un vero martire di niente…).
Come ha raccontato lo stesso Camilleri, la gestazione di questo romanzo
storico è stata molto lunga, quasi decennale, e vale la pena ricostruirne
per sommi capi la doppia genesi, cui è legata, come detto, la struttura
tematica ‘a dittico’ imperniata su due fatti di cronaca molto diversi tra
loro ma accomunati dalla capacità di rivelare esemplarmente, sotto
lo specifico siciliano, tutto il carattere tragicomico della colossale
montatura retorica, ideologica e politica rappresentata dal fascismo.
Camilleri aveva 16 anni quando si è imbattuto per la prima volta
nella storia di Gigino Gattuso, partecipando da liceale agrigentino all’adunata
del 1941 organizzata a Caltanissetta per commemorare il XX anniversario
della morte del giovane “Eroe” siciliano del fascismo. A colpire la sua
immaginazione fu non solo il fatto curioso che in quell’occasione egli
incontrò casualmente l’ “assassino” di Gattuso, l’ormai cinquantenne
Michele Ferrara, che piangeva tra la folla appartato in un portone, ma
anche il fatto che da suo padre si sentì dire che Dio solo sa come
andò veramente quell’oscura faccenda (questo episodio, già
rievocato ampiamente in La linea della palma, Rizzoli 2002, pp. 88-90,
costituisce ora la “Premessa” di Privo di titolo). Intorno alla metà
degli anni Novanta, all’epoca della stesura de Il birraio di Preston (l’altro
romanzo storico ambientato a Caltanissetta), Camilleri si vide inviare
direttamente dall’autore, il giornalista nisseno Walter Guttadauria, il
libro Fattacci di gente di provincia (Caltanissetta 1993), dove la vicenda
processuale del caso Gattuso era dettagliatamente ricostruita. A quel punto,
attratto dal groviglio pirandelliano e sciasciano del caso (un morto ammazzato
in una rissa e un reo confesso; la verità ufficiale, basata sulle
apparenze, del giovane attivista fascista barbaramente assassinato da un
sanguinario attivista comunista; la verità ‘processuale’ della difesa,
suffragata dalle perizie balistiche, che il colpo mortale, simultaneo a
quello del reo confesso, fu in realtà sparato da un ‘camerata’ di
Gattuso, Santi Cammarata, ed era diretto contro il “porco comunista”; e
infine la verità di comodo della sentenza definitiva secondo cui
Ferrara sparò e uccise per legittima difesa), Camilleri decide di
trarne un romanzo, ma il progetto stenta a decollare per la difficoltà
di dare al contenuto fattuale un’adeguata forma narrativa ed espressiva.
Nel 2002 Camilleri dice a Saverio Lodato: “Questa è una storia sulla
quale, da anni, sto scrivendo un romanzo” (La linea della palma, cit.,
p. 90), e ancora nell’autunno del 2004, subito dopo l’uscita de La pazienza
del ragno, Camilleri così motiva la difficoltà di portare
a termine il romanzo su Gattuso: “Più che i fatti a me interessano
due cose: il linguaggio (…) e la struttura. Io faccio un piano mentale,
come un architetto fa un villino: quanti capitoli dovrà essere,
che durata ha il respiro di ogni capitolo. Tutto questo io per Gattuso
non ce l’ho ancora chiaro. (…) Ne ho scritto una settantina di pagine e
mi sono fermato” (da un’intervista a Camilleri di Rai Educational, disponibile
in www.educational.rai.it/railibro/interviste.asp?id=210). Ed eccolo, finalmente,
il romanzo, portato a termine nel corso dell’inverno 2004/2005: riprendendo
la tecnica narrativa de La concessione del telefono, de La mossa del cavallo
e de La scomparsa di Patò, consistente in un assemblaggio comicamente
movimentato di articoli di giornali, lettere, documenti ufficiali, manifesti,
fonogrammi, note burocratiche, ecc., cui si accompagnano sezioni narrative
più o meno tradizionali, Camilleri può esibire una irresistibile
ricostruzione della vicenda svariando sui più diversi registri linguistici
e stilistici, da quello drammatico a quello burlesco e comico-realistico,
da quello ridicolmente e fumosamente burocratico a quello puramente retorico
e magniloquente del Regime, fino all’autentico pezzo di bravura della patetica
lettera scritta a Mussolini dalla moglie di Ferrara (“Lopardo” nel romanzo)
Filomena Boccadoro, nella quale la donna lo implora di intervenire di persona
affinché cessino le intollerabili vessazioni subite dal marito anche
dopo l’assoluzione, e sulla quale il Duce di suo pugno lascia scritto:
“Mandatelo al confino. Mussolini” (pp. 284-285).
Sul piano puramente ‘quantitativo’, la storia di Mussolinia occupa
uno spazio relativamente piccolo nel corpo del romanzo (una ventina di
pagine sulle quasi 300 totali), ma il suo peso specifico è tutt’altro
che marginale, perché mentre la vicenda Gattuso è in fondo
un fatto ‘di provincia’, la burla della città fantasma coinvolge
il “Fondatore dell’Impero” in persona. In tal modo, l’accostamento delle
due vicende, benché poco giustificato sul piano strettamente narrativo,
crea un gioco di rimandi reciproci in questo vero e proprio festival della
mistificazione che coinvolge tutti i livelli del Regime, non risparmiando
neppure il suo Capo carismatico, investito in pie-no dalla macchina della
menzogna propagandistica da lui stesso messa in moto. Le fonti cui Camilleri
ha attinto per ricostruire la vicenda della fondazione di Mussolinia a
Santo Pietro, sono tutte dettagliatamente indicate nella “Nota” posta in
margine al romanzo, ma quella che è sicuramente la più interessante,
nonché la più sfruttata, è costituita dal ‘pezzo’
di Leonardo Sciascia del 1969 intitolato “Fondazione di una città”,
poi incluso ne La corda pazza (Einaudi 1970). Una lettura comparata mostra
che il testo sciasciano è seguito passo passo, con la sola eccezione
del numero delle torri di Mussolinia: 16 per Sciascia (cfr. Opere, Bompiani
2001, vol. I, p. 1113), 12 per Camilleri (cfr. p. 227). In un’intervista
uscita su “Il Mattino” del 16 marzo scorso, Camilleri dichiara di aver
letto (o riletto) le pagine di Sciascia su Mussolinia nel periodo in cui
leggeva il libro di Guttadauria e di aver pensato allora di collegare i
due fatti, ma “l’idea è rimasta lì, fino a quando non ho
trovato la struttura da dare al romanzo”.
Il fatto che lo stimolo sia venuto da Sciascia è molto interessante
perché crea un circolo di corrispondenze letterarie che coinvolge
anche Italo Calvino e fa sì che “Fondazione di una città”,
Le città invisibili e Privo di titolo vengano a costituire un trittico
legato insieme da sottili rimandi intertestuali. Per rendersene conto,
basterà vedere qualche data. Sin dal 1954, anno in cui gli arrivano
sul tavolo di redattore dell’Einaudi le “Cronache scolastiche”, poi confluite
due anni dopo nelle Parrocchie di Regalpetra, e fino al 1974, Calvi-no
è un lettore attento di tutto quello che Sciascia manda alla casa
editrice torinese per la pubblicazione, e non manca di mettere per iscritto
le sue impressioni di lettura in alcune lettere divenute celebri (cfr.
I. Calvino, Lettere 1940-1985, Mondadori 2000). Ebbene, Einaudi pubblica
La corda pazza nel 1970 e Le città invisibili nel 1972, e del 14
settembre 1971 è una lettera di Calvino a Sciascia su Il contesto.
Ora, anche se non risultano riferimenti espliciti, è inevitabile
supporre che all’epoca in cui lavorava alle Città invisibili Calvino
conoscesse il pezzo di Sciascia su Mussolinia. Se ciò fosse vero,
allora la Mussolinia raccontata da Sciascia nel 1969 sarebbe davvero una
sorta di prototipo storico-farsesco delle città calviniane, oltre
che la fonte principale della Mussolinia di Camilleri.
Marco Trainito
WhipArt, 1.4.2005
Letteratura contemporanea - Nella Sicilia di Montalbano
Quando la fantasia di Andrea Camilleri diede alla luce Salvo Montalbano,
il commissario di polizia di Vigàta, probabilmente già lo
aveva immaginato muoversi in questi luoghi, tra Ragusa e Agrigento.
Anche perché come lui stesso conferma: "La Sicilia dei miei
libri esiste. Anche i nomi e le situazioni sono veri". E volendo andare
sulle tracce del commissario Montalbano dobbiamo fare un viaggio di memoria
e immaginazione, in luoghi dalla bellezza magica e antica in cui i panorami
si mescolano a luoghi dai nomi inventati. Dove Merfi è in realtà
Menfi, dietro Fela si nasconde Gela, Fiacca è la più famosa
Sciacca, Raccadali è Raffadali. Al centro della geografia sentimentale,
però, c'è Vigata ,il paese in cui vive e lavora il catanese
Montalbano, che tanto assomiglia alla Porto Empedocle in cui lo scrittore
è nato 74 anni fa.
Altri elementi nuovi sono dovuti poi alla fiction che ha scovato i
punti esatti dove oggi possiamo ripercorrere le tappe delle avventure del
poliziotto più celebre d'Italia. Così Vigàta, Marinella,
Montelusa, Marina di Vigàta corrispondono a Scicli, Punta Secca,
Ragusa e Donnalucata.
Il nostro viaggio parte ovviamente da Ibla, il quartiere più
antico di Ragusa, che è stata inserito nell'elenco dei beni patrimonio
dell'umanità dell'Unesco, e che nella finzione scenica è
appunto Vigàta con la sua piazza lunga e stretta e la cattredale
di S. Giorgio e la scalinata lunghissima di Santa Maria delle Scale che
lega le due parti della città, e dalla cui cima si gode un panorama
stupefacente sull'intera zona con le sue case addossate una sull'altra.
Continuando e viaggiando sulla statale 115 in direzione Modica si arriva
a Scicli dove si trova il Commissariato di Vigata, alias il municipio del
paese. Tutto è come nel film, manca solo la "Tipo" del commissario
posteggiata fuori. A pochi metri, c'è Palazzo Iacono, che nella
fiction è la questura di Montelusa. Riprendendo il percorso per
Donnalucata sul lungomare si riconosce Marina di Vigàta. La strada
prosegue lungo la costa verso Marina di Ragusa e oltre, in direzione di
Capo Scaramia e Punta Secca, un borgo di pescatori dominato dal faro, che
porta dritti alla casa del commissario, la bella villetta con terrazzo
direttamente sul mare. Per raggiungere infine l'ultima tappa bisogna continuare
per Siracusa: il giro non poteva non concludersi a Noto, patria del barocco
siciliano con la sua cattedrale semi-distrutta da un terremoto, che regala
immagini da favola quando, al tramonto, il tufo dei suoi fregi si tinge
di rosa. E ancora Mòdica, Ispica, la stessa Còmiso e Pachino
da dove si raggiunge Marzamemi, disposto attorno ad una grande tonnara
e alla casa secentesca dei principi di Villadorata. O ancora l'antica fornace
del Pisciotto vicino a Sampieri, che diventa la famosa "Mannara", luogo
di uno dei tanti delitti su cui indaga Montalbano.
Facendo riferimento alle immagini della fiction che concretizzano i
luoghi descritti da Camilleri, che sono poi luoghi dal sapore antico legati
alla sua memoria di quando giovane viveva ancora in Sicilia, ogni paese
appare come un immenso puzzle. E come si può capire non esiste una
carta geografica precisa, tra narrativa e televisione si fa una gran confusione,
ma se s'impara a viaggiare con la fantasia, che è la dote necessaria
per intraprendere questo viaggio, tutto sembrerà familiare.
Nessuno dei luoghi descritti nei romanzi corrisponde realmente ai luoghi
topografici, questa è più una Sicilia reinventata nella memoria.
Per cercare le atmosfere non immaginarie di Montalbano bisogna spingersi
verso la costa meridionale dell'isola, la zona precisa di riferimento è
quella che va da Sciacca a Mazara del Vallo, mentre le atmosfere del Montalbano
televisivo si ritrovano invece nella provincia di Ragusa.
Al contrario di Simenon, Montalban, Markis o altri scrittori che ricalcano
le strade e le memorie di città vere come Parigi, Barcellona, Atene,
Camilleri sceglie invece di seguire le strada della fantasia di una metropoli
inesistente, che, però, si trova da qualche parte nella Sicilia
sud-occidentale. Vigata è un'allucinazione topografica sull'atlante
fantastico del nostro scrittore, anzi come lui stesso sottolinea: " Vigata
in realtà è Porto Empedocle. Ora, Porto Empedocle è
un posto di diciottomila abitanti che non può sostenere un numero
eccessivo di delitti, manco fosse Chicago ai tempi del proibizionismo:
non è che siano santi, ma neanche sono a questi livelli. Allora,
tanto valeva mettere un nome di fantasia: c'è Licata vicino, e così
ho pensato: Vigàta. Ma Vigàta non è neanche lontanamente
Licata. È un luogo ideale, questo lo vorrei chiarire una volta per
tutte". E l'intera Sicilia diventa, così, immaginaria, conservando
però dei luoghi veri di riferimenti che rintracciamo sia nei nomi,
sia nei suoi paesaggi, grazie alla ricostruzione della fiction, che ha
saputo collocare l'azione del nostro commissario negli angoli più
antichi della Sicilia, dove si respira tutta la sicilianità che
Camilleri ha voluto far sentire nei suoi romanzi.
Quella Sicilia fatta di mare, di spiagge quasi deserte lontane dalle
folle di turisti, ma vive di pescatori, di barche e porticcioli, una Sicilia
fatta di strade assolate che portano nelle campagne, dove incontri quei
vecchi contadini che masticano solo il dialetto, e vivono in casolari immersi
tra fichi d'india e aranceti. Una Sicilia che odora di mare, di pesce,
di terra; un odore antico che ha il gusto di una tradizione che non si
estingue, ma si rinnova e rivive nella memoria di chi scrive e nella mente
di colui che legge, affascinato da questo modo di parlare, dai modi di
dire, dai paesaggi che appaiono incontaminati, cristallizzati nel tempo,
lontani da ogni forma di modernità, dove rivive in tutto e per tutto
la storia di Trinacria.
Infine, da non dimenticare, a Porto Empedocle, in provincia di Agrigento,
al numero 2 della centrale via Roma si trova proprio come nei romanzi l'osteria
San Calogero, dal nome del cuoco e dell'amatissimo patrono di questa parte
di Sicilia, dove i turisti domandano "quello che mangia Montalbano". E
sulle pareti c'è appeso persino il ritratto di Camilleri proprio
come fosse un nume tutelare.
Giusy Ferraina
La Sicilia, 2.4.2004
Le riprese per quattro giorni
Territorio megarese set cinematografico per puntata del film con
Montalbano
Augusta e Brucoli set cinematografico per quattro giorni. Il territorio
megarese ospiterà le riprese di una puntata del celebre telefilm
«Il commissario Montalbano» con Luca Zingaretti. Ne ha dato
notizia il sindaco Massimo Carrubba, dopo aver ricevuto una formale richiesta
dalla Palomar. I dettagli saranno definiti la prossima settimana durante
un sopralluogo tecnico dei responsabili della produzione. «Si tratta
di una grande occasione per la nostra città - commenta soddisfatto
il primo cittadino - che ci darà la possibilità di mettere
in mostra le bellezze del nostro territorio. Sul piccolo schermo saranno
soprattutto proiettati i luoghi più caratteristici del borgo marinaro,
dal castello al porto canale, ma non è escluso che anche Augusta
possa fare da cornice alle avventure del famoso commissario». L'episodio
sarà girato nei giorni 20, 21, 22 e 23 aprile. «In un ottica
di rivalutazione del nostro territorio - aggiunge Massimo Carrubba - l'opportunità
che ci è stata offerta si sposa perfettamente col nuovo modello
di sviluppo economico che la mia amministrazione intende promuovere. Augusta
non è solo una realtà industriale; per le sue ricchezze naturalistiche,
archeologiche e monumentali può infatti diventare meta turistica
ed essere valorizzata come merita. Queste riprese saranno per noi una vetrina
nazionale ed internazionale attraverso le quali far ammirare i luoghi più
suggestivi della nostra zona».
El País, 2.4.2005
Equipaje de bolsillo
Muertos de papel. Alicia Giménez Barlett. Booket. 7,95 euros. Amigos en las altas esferas. Donna Leon. Booket. 6,95 euros. El olor de la noche. Andrea Camilleri. Quinteto. 5,95 euros. El hombre sonriente. Henning Mankell. Quinteto. 8,95 euros. Gambito turco. Boris Akunin. Quinteto, 5,95 euros. C de cadáver. Sue Grafton. Quinteto. 6,95 euros. El cuerpo del delito. Patricia D. Cornwell. Punto de Lectura. 8,25 euros.
El regreso de los amigos sabuesos
Difícil decisión. ¿Con quién comparto hoy almohada? ¿Con el sensible comisario Brunetti o el vividor Montalbano? ¿Escojo un nuevo caso de la forense Kay Scarpetta o me quedo con la desengañada detective Kinsey Millhone? Si en su momento se ha perdido el rastro de algún crimen en tapa dura, aún queda una segunda oportunidad para llevarse a casa a estos viejos amigos sabuesos. Detectives torturados, vitalistas, introspectivos, perdedores, aventureros, de todos los puntos del planeta aspiran a atenazar al lector durante unas horas con sus intrigas. Incluso hay un hueco (Muertos de papel) para la criatura española de Alicia Giménez Barlett, la inspectora Petra Delicado, eternamente en disputa con el solitario subinspector Garzón. Ambos se las tendrán que ver con la farándula para investigar el crimen de un periodista rosa.
Dos de las intrigas provienen de Italia. Donna Leon, una profesora que a los 40 años decidió dedicarse a escribir novelas policiacas y a vivir su amor por la ópera, presenta un caso (Amigos en las altas esferas) en el que el inspector Brunetti baja a las cloacas de Venecia después de que un funcionario le reclame unos papeles de su casa. Guido Brunetti es un tipo que lee a Jenofonte, ama la gastronomía y está casado con una profesora. Entrañable. Pero la vitalidad de Montalbano, el comisario que Andrea Camilleri bautizó en homenaje a Manuel Vázquez Montalbán, es muy atractiva. En El olor de la noche, el desprejuiciado policía, al frente de un equipo realmente cómico, investiga la desaparición de un financiero.
[...]
R. B.
l’Unità, 3.4.2005
Camilleri: è stato il «Papa Uomo» che ha capito
i media e la sofferenza
Di Andrea Camilleri tutto si può dire tranne che sia religioso.
Ma oggi, parlando con lo scrittore di Porte Empedocle di questo grande
Papa morto, scopriremo che non l'ha mai perduto di vista, ne ha costantemente
valutato parole e gesti, lo ha considerato un punto fermo insostituibile
per decifrare il tempo del caos nel quale siamo immersi, e che giudica
il messaggio del suo pontificato incommensurabilmente superiore a quello
dei cosiddetti Grandi della Terra, tutti modestamente politici in un mondo
in cui la politica si è spaventosamente rimpicciolita.
Con questo Papa, infatti, la religione ha finito con l'occupare sterminati
spazi lasciati vuoti proprio dalla politica. Altro che «religione
oppio dei popoli».
Altro che rassicurazioni escatologiche sul Paradiso che verrà.
Altro che il gesto pilatesco di vedere la sofferenza terrena e lavarsene
le mani. Questo Papa, per ventisette anni, ha dato del tu a tre miliardi
di uomini, e sembrava che li conoscesse tutti per nome.
Andrea, perché il mondo non riesce a staccarsi da questo Papa?
"Perché lui non si è mai staccato dal mondo. È
stato, fra i tanti pontefici che io ho visto avendo ottant'anni, quello
che più concretamente si è dato da fare per il mondo, per
gli uomini. Certo che ha sempre tenuto alta la sua bandiera di cristiano,
però non ha mai selezionato fra le varie fedi chi potevano essere
i preferiti o meno. Semmai gli fosse arrivata all'orecchio la proposta
di certi politici italiani, o anche di qualche porporato: "accettiamo gli
immigrati solo se sono di fede cattolica", immagino la faccia che avrà
fatto. È stato il Papa veramente di tutti. E per esserlo non si
è mai risparmiato fisicamente. Basta vedere la quantità enorme
di viaggi che ha compiuto. Voleva conoscere in prima persona la gente,
i luoghi, i problemi della gente e i problemi del mondo."
Navarro Valls, il «professionista» abituato a dire tutto
e a non nascondere nulla, che piange in diretta. Che impressione ti ha
fatto?
"Mi avrebbe fatto impressione non vederlo commuovere. Non puoi vivere
per ventisette anni a contatto diretto con un personalità di questo
tipo e non commuoverti nel momento in cui senti che se ne sta andando.
A Navarro Valls non ho mai sentito fare un commento personale. Però,
in questo momento, l'uomo ha prevalso su quello che era il corretto e diplomatico
informatore."
Ieri mattina, un musicista del teatro Massimo di Palermo oggi in pensione,
il maestro Salvatore Bottino, mi ha detto: “Giovanni XXIII lo chiamarono
il Papa buono. Questo come lo chiameranno? Dovrebbero chiamarlo il Papa
Magno”. Tu come lo definiresti?
"Il Papa Uomo. E posso dirlo soprattutto degli ultimi tempi, quando
non ha esitato a mostrare la decadenza fisica, la malattia che lo colpiva
dando coraggio a tutti i malati i sofferenti, dandoci il coraggio per il
passo ultimo.
Non ha voluto che la sua decadenza fisica fosse circonfusa di mistero.
Mi tornava in mente una frase di Merleau-Ponty che diceva: l'eroe dei contemporanei
è l'uomo. L'uomo che sa che può vincere o perdere, che sa
che il suo destino, in terra, è segnato. Il destino dell'uomo è
la malattia e la morte. E questo Papa
questo ci ha mostrato."
È stato un Papa che ha parlato alle tante solitudini infinite
di questo pianeta, ha scritto Furio Colombo sull'Unità: “Lui parla
alle tanti solitudini di un mondo che, nel tempo di un certo benessere,
ha creato solitudini infinite, abbandoni senza recupero, isolamenti profondi
in cui sei vagabondo pur avendo una casa, sei un senza patria con il tuo
passaporto, sei inutile agli altri mentre gli altri sono inutili a te”.
Condividi?
"Condivido perfettamente tutto il bellissimo articolo dal quale hai
tratto questa frase. Quelle tante solitudini facevano quelle sterminate
moltitudini che lui incontrava in ogni angolo del mondo."
Ma c'è un altro giudizio, quello di Bernardo Valli di Repubblica,
che ci sembra altrettanto condivisibile: “nella dottrina era terribilmente
conservatore… Il rifiuto del controllo delle nascite contrastava, ad esempio,
con altre posizioni che si potevano definire progressiste". Che ne pensi?
"È vero anche questo. Però credo che il prezzo da pagare
per avere posizioni estremamente progressiste in alcuni campi, fosse proprio
la più stretta ortodossia. Credo che sia un atteggiamento che si
verifica spesso nel campo politico: bisogna che il trampolino di lancio
sia assolutamente solido per darti la spinta necessaria. In una posizione
delicata, in una posizione in cui esistono tradizioni consolidate da secoli,
l'apertura, per esempio, verso altre religioni, verso altre fedi, era possibile
solo mantenendo salda e unita la base che reggeva questo pontificato. Qualsiasi
incrinatura, qualsiasi dissenso o discostarsi da certe tradizioni, lo avrebbe
indebolito per la sua opera di progressista in alcuni campi."
In quali campi questo Papa è stato veramente progressista?
"Il primo che mi viene in mente: vorrei sapere per quale Papa si è
pregato in una moschea, si è pregato in una sinagoga, si è
pregato nelle chiese di tanti altri culti. Ricordo benissimo la grande
emozione di Toaff quando parlava della visita del Papa in sinagoga. Quel
gesto interrompeva millenni di isolamenti e di incomunicabilità."
Il Papa com'è riuscito a rendere quasi invisibile questa frattura
- che c'è e rimane - fra "ortodossia" e "progressismo"?
"Perché è stato un uomo che ha capito l'importanza dei
media. Su questa strada ha potuto rendere palese a tutto il mondo quello
che faceva per il mondo. E sempre su questa strada non ha reso palese la
sua politica di mantenimento dello status quo. Ha detto delle cose. Ma
non ha insistito: come se volesse ribadirle una volta sola. I cattolici
osservanti lui non aveva da convincerli sull'ortodossia, semmai aveva da
convincere i non cattolici e gli stessi cattolici su altre questioni che
gli stavano a cuore."
Veniamo al suo rapporto con la politica. La prima picconata al muro
di Berlino venne da lui, polacco cresciuto nel mondo dell'Est. Potremmo
definirlo il grande mandante, spirituale e morale, della caduta del comunismo
nel mondo? O più semplicemente ne accelerò l'agonia?
"Credo che ne abbia accelerato l'agonia. Credo che il comunismo, nei
termini in cui lo abbiamo letto, anche perché noi italiani ne siamo
stati felicemente fuori pur essendo molti di noi comunisti, era destinato
a una implosione. Come quando si vedono crollare su se stessi i grattacieli
americani precedentemente minati. Lui ha accelerato, questo sì,
il corso della storia. E del comunismo, che resta un fenomeno storico senza
precedenti, è stato veramente un degno e fiero avversario. Un avversario
vittorioso."
Ma l'aggressione americana all'Iraq non riuscì a fermarla. E
dire che non risparmiò in quei giorni né parole, né
moniti. E mostrò anche il volto dell'ira.
"E questo fa parte della sua vicenda di uomo. Dicevo che questo eroe
contemporaneo che è l'uomo conosce la vittoria e la sconfitta. Lui
ha vinto sul comunismo. È stato sconfitto dal proliferare delle
guerre. Ciò però non lo ha smosso di un millimetro su quella
che era la sua opinione. E la sua sconfitta, in questo caso specifico,
è stata la sconfitta di moltissimi uomini nel mondo."
E vogliamo dirlo che anche che il capitalismo non gli era mai piaciuto?
"C'erano altri Papi, prima di lui, ai quali il capitalismo proprio
non andava giù. Mi torna a mente Papa Luciani, che si espresse pubblicamente
e lucidamente sul capitalismo. E anche Papa Wojtyla lo ha detto, ripetuto,
scritto diverse volte. La domanda di fondo, infatti, resta: può
un vero cristiano amare il capitalismo? Perché se è vero
che da un lato è stato possibile quantificare le vittime del comunismo,
le vittime del capitalismo, invece non vengono quantificate da nessuno.
E lui, anche questo, lo sapeva benissimo."
Che idea ti sei fatto in questi anni della matrice dell'attentato in
Piazza San Pietro?
"Nessuna idea. Per quanto possa apparire strano, visto che scrivo romanzi
gialli, spesso di fronte a certi fatti di cronaca non vado oltre la semplice
lettura dei giornali o l'ascolto della tv. Penso che le cose in questi
casi, soprattutto nel caso di un attentato al Papa, siano assai più
complesse e appiccicose di quanto possano apparire. Mi è capitato
di sentire le dichiarazioni di Ali Agca il quale, ogni volta, smentisce
le sue dichiarazioni precedenti, altre volte tira in ballo personaggi che
non c'entrano per niente, e addirittura si è spinto a dire che ebbe
complici in Vaticano. Voglio fare una malignità: questi "complici
del Vaticano" si andavano a fidare di uno come Ali Agca? Semmai sono esistiti,
li immagino molto più intelligenti."
Un laico come te, che lezione può trarre da un Papa come lui?
"Le lezioni si traggono da chiunque. Si traggono anche, e soprattutto,
da chi è preposto a compiti che riguardano tutto il mondo intero.
Quando un uomo che ha dimostrato di avere questo livello sa mantenere quest'impegno
di responsabilità, questa è già una lezione enorme.
Noi oggi vediamo tanti uomini che hanno responsabilità mondiali,
mancare assai spesso ai loro impegni. Questo Papa ha fatto impallidire
l'immagine di questi uomini."
Saverio Lodato
Il Messaggero,
5.4.2005
La costruzione di un martire
Tutto inizia il 24 aprile del 1921, in una strada di Caltanissetta agonizza
un giovane fascista colpito a pistolettate durante una rissa. Che diverrà
nell’isola un eroe del futuro regime, onorato con cerimonie, monumenti
e strade. La vulgata ufficiale dice che a ucciderlo è stato un muratore
comunista, condannato per omicidio volontario e in appello (nel 1924) assolto
per legittima difesa. Una mistificazione, una favola smontata da Andrea
Camilleri che sulla figura di Gigino Gattuso (così si chiama l’uomo
santificato, diciottenne fascista della prima ora) incentra l’ultimo suo
romanzo storico, "Privo di titolo" (Sellerio, 295 pagine, 11 euro). Una
«notte degli imbrogli » passata e ripassata alla moviola per
dimostrare che Gattuso fu ucciso dal fuoco amico nella concitazione della
rissa, per raccontare a modo suo - scendendo «tra le matterie, le
fibrille le amplificazioni del linguaggio - una storia assai emblematica
di un’impostura che sostituisce «la realtà con una realtà
virtuale, inesistente ».
Camilleri: quello che lei racconta è un episodio poco noto,
praticamente dimenticato...
«Gigino Gattuso è l’unico “martire” fascista in Sicilia
fino a quando non sono arrivati gli americani che hanno abbattuto il monumento
dedicato a lui, perché era il rappresentante di un’ideologia sconfitta.
E’ un sistema che mi fa venire da ridere. Allora bisognava distruggere
dalle fondamenta il Foro italico... Se si ragiona con questo giudizio la
storia diventa di una spaventosa tragica semplificazione».
Per lei però Gattuso fu il “protomartire” di una realtà
“stracangiata con violenza dalla volontà politica, dai giornali
accodati a quella volontà politica, dalla cosiddetta opinione pubblica
orientata dal potere”. Insomma un caso di mistificazione?
«Io non faccio ricerche, non è il mio mestiere. Debbo
tutte le notizie sul caso a un provvidenziale libro di Walter Guttadauria,
che non finirò mai di ringraziare. Il “martire” fu ucciso dai suoi
compagni per sbaglio. Non lo uccise il muratore comunista Ferrara. La sentenza
definitiva che è del 1924, quando Mussolini già era saldamente
al potere, dice che Ferrara aveva ucciso per legittima difesa».
Si voleva mettere a tacere una verità scomoda?
«Si salvavano capra e cavoli: non si accettava che a sparare
fosse un fascista, ma nello stesso tempo si rimetteva in libertà
il presunto assassino. Nel cui collegio di difesa (composto non da soli
comunisti) c’era anche Cesare Marchesi Arduini, uno degli esponenti più
alti del liberalesimo in Sicilia. L’ho conosciuto senza sapere nulla del
caso Gattuso, nel ’46. Del resto da ragazzo ho anche conosciuto Ferrara,
che non aveva ucciso nessuno. Ci ha rimesso anche lui la vita, durante
il fascismo non ebbe più un momento di pace. Era arrestato un giorno
sì e un giorno no».
Un’altra storia che deriva da un brandello di vecchia cronaca. “Priva
di titolo” secondo l’indicazione di Manzoni parla del passato, per parlare
anche di oggi?
«Questa è l’ambizione. I miei romanzi storici sono tutti
post-unitari. Cerco di vedere gli errori dell’unità che ci portiamo
appresso (non per l’unità), che tutto il meridione si porta appresso.
Provo a parlare di un’altra epoca per far luce sul mondo attuale. La polemica
nasce a mano a mano che mi avvicino nei nostri tempi. “Privo di titolo”
parla di una mistificazione doppia, di un eroe costruito per il consenso
e di una città, Mussolinia, da costruire in onore del Duce e che
invece restò un inganno, un fotomontaggio artificioso. Mi sembra
importante ricordarlo oggi che viviamo in un tempo di mistificazioni spaventose».
Lei dice che le interessava capire e far capire come erano organizzate
le “fabbriche del credere’?
Le tecniche con cui si organizza il consenso sono immutate. Si tratta
di alcuni tasti da toccare...».
Manzoni resta centrale nella sua costellazione letteraria. Un debito
tardivamente pagato?
«Quando in un liceo hanno tolto Manzoni e l’hanno sostituito
con “Il birraio di Preston”, io ho scritto una lettera a Manzoni dicendogli
che la colpa era dei professori... A scuola si leggeva “Quel ramo del lago
di Como”, “E la sventurata rispose”... Il grande amore della mia classe
era il gobbetto, innamorato di Silvia, parlava con il passero solitario,
non rompeva le scatole a nessuno, i professori ci si mettevano a collocare
il povero Manzoni come abitante stabile di una sacrestia... Me lo sono
riletto per dovere molti anni più tardi. E’ un grandissimo romanzo,
ironico sottile alludente. Se poi uno si legge pure la storia della colonna
infame, se si sparge come il sale, come condimento, il sapore è
straordinario».
Prova pietà per quelle che Salvatore Silvano Nigro chiama due
vittime diversamente innocenti della messinscena di verità?
«E’ stato un romanzo difficile da scrivere. Non ho usato la solita
miscela ironico-sarcastica. Ci sono due vittime, il fascista che muore
vittima forse di una bravata, lo pseudoassassino comunista, reo confesso
perché non sa di non averlo ammazzato lui il diciottenne fascista.
Forse a trenta anni avrei scritto con un sentimento diverso. Ma a ottanta
anni è più che legittima una comprensione umana, una pietosa
immedesimazione».
Alcuni capitoli sono costruiti con una tecnica cinematografica, il
fermo macchina alla moviola. Quasi a sottolineare un punto di vista più
mobile, non centrato sull’io che narra o sull’oggetto che è raccontato.
«La moviola è decisiva nell’individuazione del colpevole,
la luce eccessiva nel fotogramma indica il doppio colpo. E’ una ricostruzione
fantastica che fa parte del mio mestiere. Quando ho scritto “La scomparsa
di Patò” mi sono divertito a tirarmi fuori. La Capria ha scritto
che i documenti parlavano da soli e il narratore stava a curarsi le unghie...
Qui ho fatto un continuo “trasi e nesci”, entra e esci, con una libertà
assai maggiore».
A proposito di libertà e potere della narrazione. Kundera sostiene
che il romanzo è l’ultimo osservatorio dal quale si può abbracciare
la vita umana nel suo complesso. E’ d’accordo? E’ ancora possibile?
«Resta una ambizione. I grandi romanzi sono questo, basta pensare
a Manzoni o a Balzac. Ho un’idea fisica della letteratura. Si vede dal
respiro di chi affronta il romanzo, di chi ha il passo dell’atleta se è
capace di afferrare un grossa fetta di mondo. Come si fa a pensare che
non possano nascere altri atleti? Nasceranno nuovi atleti record (anche
se oggi i record sono un po’ dopati), l’uomo evolve in meglio».
Renato Minore
Il Messaggero,
5.4.2005
Parla Patrizio Gattuso, lontano parente del giovane assassinato. Che
non esclude le vie legali contro lo scrittore
«Due colpi di pistola, da un comunista»
Patrizio Gattuso non ci sta. «Andrea Camilleri - dice - è
certamente un bravo scrittore, un illustre giallista, può fare quello
che vuole ma non può permettersi di infangare la memoria di un giovane
che ha pagato con la vita la sua passione politica».
Pomo della discordia è l’ultimo libro dello scrittore siciliano,
"Privo di titolo", un romanzo storico in cui si racconta e si ricostruisce
la storia di Gigino Gattuso (nel libro Lillino Grattuso) unico martire
fascista siciliano ucciso a 18 anni nel pomeriggio del 24 aprile 1921 a
Caltanissetta dal socialista, poi passato al Pci, Michele Ferrara, 33 anni,
muratore e consigliere comunale. Ebbene, secondo la ricostruzione di Camilleri,
Gigino non fu ucciso da Ferrara ma dal “fuoco amico”, vale a dire da un
suo camerata. La storia di Gattuso, nel libro di Camilleri, si intreccia
con la colossale beffa di Mussolinia, la città mai nata nei pressi
di Caltagirone che avrebbe dovuto celebrare la gloria del Duce ma che si
ridusse a un fotomontaggio da mostrare allo stesso Mussolini.
Patrizio Gattuso è parente collaterale di Gigino, i loro nonni
erano cugini. Ha 44 anni, è nato a Caltanissetta ma vive a Bologna,
è funzionario delle Ferrovie e siede sui banchi di Alleanza Nazionale
del consiglio comunale del capoluogo emiliano-romagnolo. E da quando è
uscito il libro di Camilleri, «il 17 marzo, proprio il giorno del
mio compleanno», è impegnato in una battaglia mediatica tesa
a contrastare la tesi revisionistica dello scrittore a proposito della
morte del suo avo.
Consigliere Gattuso, perché non crede alla tesi di Camilleri?
«Intanto Ferrara è reo confesso. Poi ci sono due chiarissime
sentenze del tribunale che lo smentiscono».
Ma a quell’epoca i tribunali non pendevano da una certa parte?
«Quelle sentenze furono emesse in tempi non sospetti. La prima
nel 1921 quando non c’era ancora stata la marcia su Roma. E i giudici condannarono
all’ergastolo il Ferrara per omicidio premeditato volontario».
Tre anni dopo, nel 1924, nel processo di revisione, Ferrara fu però
assolto.
«Certo, fu assolto perché i giudici decisero che si trattava
di legittima difesa. Questo perché un noto penalista siciliano del
partito comunista, Calogero Cigna, un avvocato molto “influente”, e quando
definisco influente un siciliano capisce cosa intendo, presentò
nel processo di revisione dei testimoni apparsi all’improvviso... Resta
il fatto che a sparare, anche per la seconda sentenza, fu sempre lui, Ferrara».
Perché, secondo lei, Ferrara uccise Gattuso?
«Legga la deposizione del padre della vittima. “Uccise per capriccio,
per provare una rivoltella nuova, così come un cacciatore vuole
provare un fucile nuovo, disse che voleva provarla su un fascista”. I due
si incontrarono in una via del centro, oggi via Gattuso. Gigino aveva al
petto una coccarda tricolore, Michele gli disse di toglierla, aggiunse
“con i fascisti dobbiamo farla finita” e visto che Gigino non gli obbediva
sparò. Due colpi, il primo andò a vuoto, il secondo raggiunse
Gattuso alla tempia. Ecco come andò».
Non pensa che negli anni successivi il regime fascista abbia speculato
su questa vicenda?
«E’ evidente che il Ventennio ha poi enfatizzato l’episodio,
forse oltremisura, ma resta il fatto che Gigino Gattuso fu ucciso da un
comunista e non da un suo camerata».
Agirà legalmente contro Camilleri?
«Sto valutando cosa fare. Premetto che non mi interessano risarcimenti.
La via legale sarà l’ultima strada che percorrerò se sarò
costretto. Ciò che più mi preme in questo momento è
togliere le ombre che sono state gettate sulla morte di un ragazzo di 18
anni che ha pagato con la vita la sua passione politica. Ripeto, Camilleri
non deve gettare fango su questa figura, non deve prestarsi a falsi storici».
Marco Berti
Giornale di Sicilia, 5.4.2004
Raiuno. Il regista Alberto Sironi con la troupe dal 18 aprile a Siracusa
e poi a giugno nel Ragusano per i nuovi episodi della fortunata saga tratta
dai romanzi di Camilleri
Montalbano minaccia le dimissioni fra clandestini e traffico di
minorenni
Palermo. Montalbano, e dodici. Il commissario più famoso d'Italia
ritorna in campo accompagnato dai suoi omini, per altre quattro inchieste
che arriveranno in inverno sul piccolo schermo. Le riprese sono divise
in due tranches: dal 18 aprile Siracusa ospiterà il set delle prime
due puntate, la prima tratta da «Il giro di boa», best-seller
del 2003 pubblicato da Sellerio, che propone un quanto mai attuale Montalbano,
in crisi, che, dopo i fatti del G8 di Genova, giunge ad annunciare le sue
dimissioni al Questore di Vigata mentre è alle prese con una difficile
indagine che prende il via da uno sbarco di clandestini. La seconda nascerà,
invece, da una novella, «Par condicio» tratta dalla raccolta
«Un mese con Montalbano», pubblicata da Mondadori. Produce,
come per le precedenti, la Palomar di Carlo Degli Esposti per RaiDue.
La seconda tranche, che si girerà in estate, sarà composta
dall'adattamento dell'ultimo romanzo della serie, «La pazienza del
ragno» e da «Il gioco delle tre carte», altra novella
(o unione di più novelle). Si girerà per una settimana a
Siracusa, per poi trasferirsi per tutto il mese di maggio nel Ragusano
(Marina di Ragusa, Scicli, Punta Secca) ormai terra d'elezione dei commissario,
e arrivare ai primi di giugno a San Vito Lo Capo, nella Tonnara del Secco
(nel Trapanese sono già state girate alcune scene de «Il ladro
di merendine»), e terminare le riprese a Roma dove verrà ricostruito
il commissariato. Protagonista, manco a dirlo, è ovviamente Luca
Zingaretti che avrà al suo fianco Katharina Bohm (Livia), Cesare
Bocci (Mimì Augello), Peppino Mazzotta (Fazio), Angelo Russo (Catarella),
Davide Lo Verde e Marco Cavallaro.
La formula resta sempre la stessa. «Il commissario Montalbano»
non deve cambiare di una virgola - spiega il regista Alberto Sironi - come
non devono mutare atmosfere e personaggi. La forza della serie sta proprio
nella sua immediatezza e nella rappresentazione di una Sicilia che abbiamo
la certezza di raccontare tale e quale la vediamo».
Le prime due puntate prenderanno spunto da episodi strettamente legati
alla realtà. «Infatti, soprattutto ne «Il giro di boa»
Montalbano si trova in contatto con la realtà tragica degli sbarchi
dei clandestini e del traffico di bambini. «Par condicio» è
basata su intuizioni: partendo da una serie di strani «amrnazzamenti»
mafiosi, di scontri tra famiglie, Montalbano subodora che c'è dell'altro
«dietro le quinte».
Si può immaginare un altro Montalbano?«No, c’è
una sola maniera di mettere in scena il commissario di Camilleri: è
un uomo con tutti i suoi difetti, che tiene fede alle sue idee, che non
ha paura di perdere. Non tiene al denaro, e neanche alla carriera. Soltanto
alla dignità».
Nei giorni scorsi sono stati fatti i casting per le comparse, mentre
delle location sul posto si è occupato come sempre Pasquale Spatola.
Il cast - di cui fanno parte stabile Marcello Perracchio nei panni del
medico legale dottor Pasquano, Roberto Nobile, l'amico giornalista Nicolò
Zito, Giovanni Guardiano è il capo della Scientifica Jacomuzzi -
si arricchisce ancora con attori dello Stabile di Catania. E di splendide
figliole dell'Est, tra cui la conduttrice televisiva Alexandra Dinu, la
bionda moglie dei centravanti della Juve, Adrian Mutu. «Èt
veramente bellissima, oltre ad essere una brava attrice», sorride
Sironi.
Nel frattempo prende sempre più corpo l'idea della Regione di
creare un'antica «Vigata» ottocentesca, una sorta di set-museo
in una tonnara siciliana. «Sarebbe splendido, sarebbe veramente la
"casa" dei romanzi storici di Camilleri, magari dove riuscire a girare
"Il birraio di Preston"o "La stagione della caccia", veri e propri romanzi
che già contengono i film. Penso anche che la saga di Montalbano
vada verso l'esaurimento, anche perché Luca Zingaretti non vuole
essere fagocitato dal commissario. È giusto provare altri ruoli,
in cui peraltro si dimostra eccezionale».
Simonetta Trovato
Thriller Magazine,
5.4.2005
Il giro di boa
Passata l'onda emozionale, locuzione ora di moda, di certi fatti ci
si dimentica. Si torna ognuno alla propria vita, dalla pubblica condivisione
di un avvenimento si scende, inesorabilmente, al privato, alla propria
realtà quotidiana. Inevitabile e, per certi versi, giusto. Come
fare allora? Come evitare che certe cose cadano nel dimenticatoio? Con
la parola scritta - libri, giornali - e poi, con le immagini dei film e
di una certa televisione di questi tempi sempre più rara.
I libri dunque. "l giro di boa"di Andrea Camilleri altro non è
che una "talìata", uno sguardo sul nostro passato recente.
G8 di Genova e immigrazione clandestina.
Due argomenti che hanno diviso l'opinione pubblica: il primo finito
davanti a processi politici e in tribunale, il secondo che torna sugli
schermi di tanto in tanto, provocando nelle coscienze l'effetto di una
puntura di zanzara, un fastidio temporaneo, passeggero.
Non sono scherzi, non è un reality, non è la storia d'amore
tra una showgirl e un calciatore. È la nostra storia. Prima che
il tempo o qualcos'altro cominci a logorarla è bene rispolverarla.
Montalbano lo conosciamo tutti, Camilleri anche.
"Il giro di boa" prende delle posizioni nette, tanto che a qualcuno
potrebbero sembrare faziose, ma non è così, lo scrittore
siciliano è critico con tutti, anche con quelli che sono vicini
alle sue idee politiche.
Non chiudete gli occhi, apriteli e talìate. Il vostro "ciriveddru",
il vostro cervello, con la sua propria e particolare sensibilità
politica e civile, farà il resto.
Fernando Fazzari
Per un lettore amante di Andrea Camilleri non è facile essere
imparziali e obbiettivi nella stesura di un breve resoconto sul suo "Il
giro di boa".
Pertanto, dopo aver lasciato passare qualche tempo dal termine della
lettura e aver lasciato sedimentare le prime impressioni, ecco alcuni pensieri
e considerazioni.
Ancora una volta l'autore riesce ad appassionare il lettore, che si
trova immerso nel mondo di Vigàta e di Montalbano.
Con la lingua ormai nota mista di italiano e dialetto, Camilleri racconta
una nuova indagine del commissario, ricca di temi attuali e di riflessione.
Quello però che più interessa del libro è l'aspetto
meditativo che esso propone: Montalbano si trova in una fase delicata della
propria carriera, scosso dai fatti del G8, e pensa addirittura di dare
le dimissioni... Le cose cambiano, anche per lui, che vive il suo "giro
di boa" e si trova ad affrontare crisi di coscienza e pensieri legati al
tempo che passa e alla sua vita fino a questo momento.
Forse per questa scelta viene un pochino penalizzata la parte dell'opera
dedicata all'indagine vera e propria perché l'autore preferisce,
appunto, soffermarsi su temi più riflessivi e introspettivi.
Il lettore si trova quindi un commissario diverso, meno uomo d'azione
e più facile alle lacrime; meno scorbutico e più pensoso.
Camilleri coglie l'occasione per trattare temi delicati e sempre di
forte attualità, parla così, tra le righe, di politica, di
immigrazione clandestina e di infanzia rubata, facendo in modo che il lettore
possa confrontarsi anche con queste tematiche scottanti.
L'aspetto più significativo resta comunque quello legato al
personaggio del commissario, un personaggio vero e concreto, che riesce
a mantenersi fedele a se stesso pur mutando col passare del tempo, perché
anche Montalbano, come tutti, invecchia.
Chiara Bertazzoni
Il Messaggero,
6.4.2005
Lethem, Whitehead, Moody tra i narratori della metropoli
[...]
A parlare è Daniele Di Gennaro, con Marco Cassini fondatore
della casa editrice romana Minimum Fax da dieci anni sul mercato, oggi
aperta ad una nuova esperienza come società di produzione e distribuzione
cinematografica insieme alla “new entry” Rosita Bonanno, anche amministratrice,
alle spalle una carriera di produttrice indipendente a Palermo e autrice
di importanti documentari sulla mafia.
[...]
«In cartellone abbiamo diversi altri progetti già avviati
come il documentario "A quattro mani" che mette a confronto due generi
letterari, il giallo e il noir, dando la parola ad Andrea Camilleri e a
Carlo Lucarelli».
Leonardo Jattarelli
La Repubblica, 6.4.3005
L'attore protagonista del film in onda l'11 e il 12 aprile su RaiUno
La storia del massacro dei militari italiani nel settembre del 1943
Luca Zingaretti eroe di Cefalonia: "Necessario ritrovare le nostre
radici"
"Momento difficile per il Paese, bisogna risvegliare la memoria"
Presto un film su Carlo Urbani, medico italiano ucciso dalla Sars
[...]
Dov'è finito Montalbano?
"Sto per girare altri due episodi, e saranno rigorosamente gli ultimi.
Sono felice di averlo fatto, ma a un certo punto si deve dire basta. E'
stato bellissimo, ma tutte le cose belle prima o poi finiscono".
Alessandra Vitali
La Sicilia, 6.4.2005
Domani tornano «I Calatini»
Mussolinia, la città-giardino mai sorta a «Santo Pietro»
Domani (giovedì 7) troverete in edicola con La Sicilia un nuovo
numero de I Calatini. E nel servizio principale, firmato Alessandra Scollo,
torniamo a occuparci - ne avevamo accennato in un servizio sulla visita
del duce a Caltagirone - di Mussolinia, la città-giardino mai sorta
nel bosco di Santo Pietro e che avrebbe dovuto celebrare la gloria del
capo del governo fascista.
Un argomento tornato di attualità grazie al nuovo libro dello
scrittore Andrea Camilleri, Privo di titolo, che intreccia la storia dell'unico
"martire" fascista siciliano, Gigino Gattuso, con la colossale beffa di
questa città mai esistita. Nel servizio la vicenda viene ricostruita
attraverso i contributi di Enzo Nicoletti della Società calatina
di Storia patria e Cultura, dello scrittore Domenico Seminerio, di Fabio
Roccuzzo, vice presidente del consiglio provinciale, di Domenico Amoroso,
direttore dei Musei civici e di altri ancora. Ma quel che viene fuori dal
servizio è che c'è chi comincia a chiedersi se sfruttare
la grande pubblicità venuta a Caltagirone e al suo bosco dall'ultima
fatica di Camilleri per avere dei benefici sotto il profilo turistico.
[...]
Cordio.net
Il 16 aprile 2005 sarà inaugurata a Catania, presso il Centro
Culturale Le Ciminiere, la mostra Omaggio a Nino Cordio, mostra
di opere inedite di sculture, olii, affreschi ed incisioni.
Il catalogo della mostra sarà introdotto da uno scritto inedito
di Andrea Camilleri sul Maestro Cordio.
La mostra si concluderà l'8 maggio 2005.
Città
del Capo - Radio Metropolitana, 7.4.2005
Eat it - La tribù che mangia
Un programma che parla di cibo e costume, cultura della tavola, dalla
tavola
Di e con Daniela Patanè
Oggi, alle ore 14, nel corso della trasmissione, andrà in onda
una breve conversazione con Franco Spilotro del Camilleri Fans Club sul
tema: "La cucina nell'opera di Camilleri".
Carta, n. 13, 7-13.4.2005
L'istruttoria, l'indagine sulle torture a Bolzaneto
a cura di Pierluigi Sullo
Resoconto dei PM di Genova sui fatti della caserma di Bolzaneto durante
il G8 in versione stringata e riassunta (l'originale e' di 500 pagine).
Oltre a segnare l'inizio di "Giro di boa", e' stato anche citato durante
la chiaccherata con il Sommo in radio. Diceva appunto che i Pubblici Ministeri
avevano letto il suo libro e richiesto di poter inserire a chiusura delle
loro "Memorie" l'introduzione del libro (poi adattato e diventato "Un anno
di Costituzione Italiana: art. 13").
Anche nell'articolo si cita in un box questo fatto che ha reso il Sommo
orgoglioso, molto piu' che per un qualsiasi altro premio... la realta'
ispira la letteratura, poi la realta' cita la letteratura che cita la realta'
stessa.
Segnalazione di Andrea u Pitturi
Il Quotidiano
della Calabria, 8.4.2005
I colori della scrittura
Si parte con Camilleri
"Giallo, rosso, rosa, blu: colore d'autore" è il titolo dato,
significativamente, agli incontri teatrali con tre scrittori italiani,
organizzati dalla cooperativa Nuova Ipotesi e che si terranno al Teatro
Masciari cioè Andrea Camilleri (18 aprile), Marcello Fois (26 aprile)
e Patrizia Valduga (2 maggio), tutti e tre fissati nel pomeriggio alle
ore 18,30.
Per fornire ai giornalisti tutti i dettagli di queste particolari occasioni
culturali presentate ed arricchite dalla partecipazione di altri personaggi
del mondo del teatro e della comunicazione, il presidente della cooperativa
Franco Ferrara terrà una conferenza stampa lunedì prossimo
11 aprile alle ore 12 nella sala stampa di piazza Le Pera.
LibriAlice, 8.4.2005
Il libro della settimana
Andrea Camilleri
Privo di titolo
“È stato verso le dieci di stasera ricoverato presso questo
Ospedale il giovane Lillino Grattuso, che tutti noi ben conosciamo per
il suo impegno e la sua lotta nella battaglia antibolscevica, per la sempre
pronta e generosa dedizione alla Causa, ferito alla testa da un colpo d’arma
da fuoco.
Egli versa in gravissime condizioni, si esclude possa sopravvivere.
Pare sia caduto vittima di un agguato ordito dal noto bolscevico Michele
Lopardo, che è stato arrestato, e da alcuni suoi complici.”
Quest’ultima opera di Camilleri rientra nel filone del romanzo storico:
la vicenda si svolge nel 1921, periodo tra i più violenti della
storia del secolo scorso, in cui le squadracce fasciste imponevano con
brutalità il nuovo ordine del regime. Oltre all’ormai abituale intreccio
di parte narrativa e di “documenti”, "Privo di titolo" viene anche strutturato
come se si assistesse a una scena cinematografica e si fosse anzi in fase
di montaggio: riprese alla moviola, fermo immagine, primi piani e campi
lunghi. Così molto attenta è l’ambientazione delle scene,
quasi si volessero dare indicazioni precise ai tecnici del suono e delle
luci. Eppure l’elemento strutturale non ha il predominio su quello narrativo,
né gli uomini che popolano la vicenda, e che ne sono i personaggi
chiave, appaiono unicamente strumentali alla “tesi” dell’autore: una pietà
diffusa (quell’umanità che Camilleri riserva sempre a chi agisce
in modo inconsapevole), finisce con l’accomunare la vera vittima, l’innocente
e perseguitato Michele Leopardo, e quell’eroe fittizio, costruito da una
macchinazione politica di cui, “morto per fuoco amico”, il Lillino Grattuso
è logicamente inconsapevole.
Il romanzo si apre con un ricordo d’infanzia: siamo nel 1941 a una
manifestazione commemorativa di un caduto fascista; poi, rapidamente, il
lettore viene posto, in un lunghissimo flashback, dentro la lontana vicenda
accaduta vent’anni prima.
Scena notturna: rumori, voci, spari, confusione. L’evento cardine della
storia nasce proprio da una situazione incomprensibile di cui questa “commedia
degli equivoci”, triste e sciagurata appare quasi l’inevitabile conseguenza.
È l’occasione d’oro però per i fascisti di costruirsi un
“martire” e di eliminare un avversario politico. Indagini, pene, suffragi
e manifestazioni pubbliche saranno tutte assolutamente conseguenti a questa
macchinazione politica.
La nota conclusiva dell’autore ricorda che lo spunto narrativo gli
è derivato da due diversi e reali fatti di cronaca su cui ha operato
alcune necessarie trasformazioni, altri elementi invece sono stati conservati
intatti tanto che viene detto che nel primo e nell’ultimo capitolo non
c’è nulla di inventato.
Ancora qualche parola, con il rischio di ripetersi e di ripetere elogi
già tante volte espressi, sull’abilità di Camilleri di giocare
su tanti registri linguistici differenti. Tralasciando il merito di aver
inventato una lingua, quel siciliano tutto suo e tanto evocativo del parlato,
ma leggibile da tutti gli italiani, che gli permette la scalata delle classifiche
di vendita fino a rimanerne a lungo saldamente in vetta, in questo caso
sottolineerei la capacità di aver costruito una “lingua fascistissima”.
La burocrazia ha in parte mantenuto inalterato il proprio codice linguistico,
ma nel Ventennio vi si aggiungeva quel tocco in più di retorica
esaltatoria che ben traspare dalle relazioni e dai documenti qui costruiti;
a questi vanno aggiunte le pagine dei quotidiani locali in cui veniva descritto
il fatto di cronaca. Altri i toni e altre le modalità comunicative,
è evidente infatti la volontà d’indottrinamento del lettore
in cui si doveva istillare l’indignazione e l’ira contro il nemico politico,
farlo apparire come uno spietato assassino mentre avveniva in contemporanea
la santificazione del “martire fascista”.
Grazia Casagrande
La Sicilia, 8.4.2005
Nostra inchiesta sul giallo siciliano. Intervista al giudice scrittore
Domenico Cacopardo
Il nipotino di Sciascia
«La definizione di giallista non mi garba. In effetti, non amo
le definizioni di genere. Se ho in corpo una storia la racconto senza pormi
il problema della sua natura. I miei romanzi raccontano l’Italia contemporanea
e non, compreso il delitto, evento drammatico che consente di catalizzare
le vicende dando loro un ordine eziologico e finalistico. La mia scrittura
deriva dall’osservazione del mondo di oggi e dei rapporti di potere.
Oggi dire giallo in Sicilia è dire tutto! A parte Camilleri che
fa testo a sé ed ha dato vita ad una vera e propria scuola, negli
ultimi anni la nostra isola ha infatti prodotto un così cospicuo
numero di opere che, del mistero e della tragediatina a noi tanto cara,
prendono spunto per raccontare e raccontarsi, come già fece Giorgio
Scerbanenco, inventando il noir milanese negli anni Sessanta.
Può un genere raccontare un’epoca? Una terra? Un popolo? Oppure
aveva ragione Italo Calvino che aveva parlato, a proposito di Sciascia,
dell’impossibilità di ambientare un giallo in Sicilia?
Ne abbiamo parlato col più sciasciano degli scrittori siciliani,
Domenico Cacopardo (originario di Letojanni), siculo-emiliano di nascita,
romano d’adozione, un nome che più siciliano non si può.
"Sono nato nel ‘36 - dice di sé - e quando è finita la
guerra, nel ‘45, avevo 9 anni. Rispetto alla normalità dei siciliani
che non hanno vissuto l’esperienza della Resistenza io ho avuto il vantaggio
psicologico che la famiglia di mia madre è stata tra i fondatori
del partito socialista alla fine dell’Ottocento; mia madre fu presidente
del Cnl di Piacenza e sindaco della Liberazione e ha avuto su di me una
grande influenza. Dopo la guerra mi ha spiegato cosa era accaduto in questo
paese. La differenza tra nord e sud, anche dal punto di vista civile, trova
una ragione anche in questo. Non solo la Sicilia non ha vissuto la Resistenza,
ma la Liberazione è avvenuta con l’aiuto della mafia,
perché la Cia nel ‘43 si alleò con la mafia".
Magistrato del Consiglio di Stato, vive a Parma ma non ha mai tagliato
il cordone ombelicale con la Sicilia. Cacopardo nei suoi libri ricorda
giust’appunto l’impegno di Sciascia, denunciando gli scandali che coinvolgono
i notabili siciliani, paradigma del malcostume di tutta la società
italiana. Ma ha anche raccontato (in «Cadenze d’inganno»),
i maneggi che avvenivano al ministero della Difesa. Nella geografia del
giallo siciliano, la parte orientale dell’isola che va da Messina a Siracusa,
sino a pochi anni fa non compariva neppure. Cacopardo ha rimesso le cose
a posto già col suo romanzo d’esordio, «Il caso Chillè»
(1999), ambientato nella Messina del primo Novecento ricostruita eccellentemente.
Coi romanzi successivi, da «L’endiadi del dottor Agrò»
(2001) a «Cadenze d’inganno» (2002, tutti editi da Marsilio),
cambia l’ambientazione ma resta immutato il suo stile secco, forbito, e
l’impegno
politico che traspare dall’abilità nel costruire polizieschi con
trame intricate quanto credibili, dove racconta il santuario inesplorato
dei ministeri e dei burocrati, facendoci toccare con mano ciò che
avviene nei palazzi.
Protagonista è il procuratore della Repubblica Italo Agrò,
che torna anche ne «La mano del Pomarancio» (Mondatori 2003),
dove svolge un’indagine parallela a quella dell’investigatore privato Puccio
Ballarò, titolare della Ballarò Investigations, un metro
e sessantacinque per ottanta chili, gran conoscitore del mondo ma con in
mente solo fimmini, piccioli e buona tavola. Cacopardo ha pubblicato anche
«Giacarandà» (il libro che ama di più) ambientato
nel 1747, un romanzo storico molto moderno. Il marchesino Giulio Límiri,
vuole costruire una nuova casa nella baia sotto Taormina. La vicenda si
complicherà con le feroci quanto sotterranee lotte tra domenicani
e gesuiti (e qui il parallelo con Sciascia ritorna, basta citare Il Consiglio
d’Egitto).
Il 15 marzo è uscito per Baldini, Castoldi-Dalai il suo nuovo
romanzo, «Virginia».
"Si tratta - dice l’autore - di una storia d’amore che si conclude
con un omicidio-suicidio consumato da due anziani. Lei ultraottentenne,
lui quattro anni meno di lei".
Tra gli scrittori siciliani, Cacopardo ama moltissimo Salvatore Quasimodo,
Vincenzo Consolo e Leonardo Sciascia, più in generale predilige
Sartre, Malerba, Gadda, Vittorini e dei contemporanei,
Barbero e Bruno Arpaia. Si sente mille km lontano dalla scrittura di
Camilleri.
- Le scoccia se la definiscono giallista?
«La definizione di giallista non mi garba. In effetti, non amo
le definizioni di genere. Se ho in corpo una storia la racconto senza pormi
il problema della sua natura. I miei romanzi raccontano l’Italia
contemporanea e non, compreso il delitto, evento drammatico che consente
di catalizzare le vicende dando loro un ordine eziologico e finalistico».
- Chi è realmente il suo dottor Agrò?
«Per quanto ne so, è una persona comune, con un normale
senso del dovere, con una normale capacità di lavoro. E mi piace
per questo: non si tratta di Superman, ma di un onesto magistrato di procura
della Repubblica».
- Quanto della sua professione trasfonde in lui?
«Niente di Agrò deriva dalla mia esperienza professionale.
Agrò deriva dall’osservazione del mondo contemporaneo e dei rapporti
potere economico-politico».
- Quali storie le preme raccontare come scrittore ma che non ha voluto
o potuto raccontare come burocrate ad alti livelli?
«Non ho ancora incontrato limiti nei miei racconti, né
mi sono posto dei limiti. Un solo freno: non racconto né racconterò
mai in forma di romanzo e simili, i contenuti di ricorsi che tratto come
Consigliere di Stato. Ricorsi che rappresentano vicende umane e che
non ho il diritto di usare».
- Ha mai dei dubbi di andare oltre quando racconta una storia?
«Non ho ancora avuto dubbi sul cosiddetto "andare oltre"».
- Dove sta andando secondo lei il giallo siciliano?
«Non so dove stia andando il giallo siciliano come del resto
quello nazionale. Mi sembra che il giallo siciliano si stia desicilianizzando
come il giallo italiano sta diventando sempre meno caratterizzato e più
convenzionale».
- Cosa ne pensa del proliferare di questo genere nella nostra isola?
«Mi sembra che ci sia una diffusa stanchezza tra i lavoratori
del pc nel concepire storie e nel narrarle con il giusto approccio letterario.
Ho la sensazione di una sorta di rito ripetitivo. Un’eccezione gradevole:
Ottavio Cappellani col suo "Chi è Lou Sciortino?"».
- Pur vivendo al nord ha scritto storie ambientate in Sicilia. C’è
una ragione precisa?
«Non ho scritto solo storie ambientate in Sicilia. ‘Cadenze d’inganno’
e ‘La mano
del Pomarancio’ non sono ambientate in Sicilia ed anche il prossimo
romanzo di Agrò ‘L’accademia di vicolo Baciadonne’ è ambientato
a Viterbo».
- Si definirebbe un nipotino di Sciascia?
«Premesso che considero vergognose le parole che il cosiddetto
‘filofoso’ Sgalambro dedica a Leonardo Sciascia, stimo troppo e venero
troppo la sua memoria per poter chiedere o vantare l’appellativo di suo
nipotino. Sciascia rimane un grande letterato che ha (ri)condotto la Sicilia
al centro dell’attenzione del mondo».
- Quanto secondo lei il successo di Camilleri e la cronaca giornaliera,
hanno inciso in questo boom di giallisti?
«Camilleri con il suo giallo nazionalpopolare leogullottiano
ha attirato di certo l’attenzione del più vasto pubblico - quello
che vede soap e serials - sulla Sicilia e sui siciliani. Ma quel vasto
pubblico - nel bene e nel male - non ha trovato ciò che si aspettava
di trovare: né la gnagnera dialettale allusiva né la lievità
inconsistente delle storie».
Roberto Mistretta (1 - continua)
La Nazione (Grosseto),
8.4.2005
L'ispirazione del commissario di Camilleri passa per Montalbàn
Roccastrada - E' un esplicito omaggio allo scrittore spagnolo Manuel
Vàzquez Montalbàn [...]
Tutti
i colori del giallo, 9-10.4.2005
I segreti di Camilleri
Mentre è da poco uscito in tutte le librerie il suo ultimo romanzo
storico "Privo di titolo" (Sellerio), Andrea Camilleri incontrerà
radiofonicamente i suoi fans in due puntate speciali di "Tutti i colori
del giallo" in onda su Radiodue i prossimi 2 e 3 aprile dalle 13.00 alle
13.30. Per l'occasione saranno presenti in studio da Palermo gli scrittori
Roberto Alajmo, Valentina Gebbia e Piergiorgio Di Cara che dialogheranno
con Camilleri assieme alla folta schiera degli iscritti al fan club ufficiale
(vigata.org) interamente dedicato allo scrittore siciliano. Come proseguirà
la saga di Montalbano? Quali sono i piatti preferiti di Andrea Camilleri?
Qual è il segreto del suo successo? Come è nata l'idea di
scrivere un romanzo come "Privo di titolo" dove si intrecciano la storia
dell'unico martire fascista siciliano del biennio rosso e la colossale
beffa di Mussolinia, la città nei pressi di Caltagirone che avrebbe
dovuto celebrare per sempre la gloria del Duce. Un romanzo al quale lavorava
già da tempo visto che già nel gennaio 2002 in un'intervista,
concessa a "La Nazione" aveva espressamente dichiarato: "Voglio assolutamente
scrivere la storia di un eroe immaginario in un paese immaginario. Mi riferisco
alla storia dell'unico martire fascista che poi ho scoperto essere stato
ammazzato dai suoi per un errore. L'ambientazione ovviamente sarà
quella che sarebbe dovuta divenire Mussolinia, la città che non
fu mai costruita e della quale al duce, nel 1928, fu mostrato un fotomontaggio".
La Repubblica
(ed. di Firenze), 9.4.2005
Altri libri
Presso il Centro civico di Ribolla (Roccastrada, Gr, ore 16) si tiene
l'incontro con Hado Lyria, Bruno Arpaia e Andrea Camilleri su «Vazquez
Montalban, cittadino del mondo». Nell'occasione si tiene una mostra
con tutte le opere di Vazquez Montalban tradotte in italiano.
Il Quotidiano
della Calabria, 12.4.2005
Lo scrittore sarà ospite al Masciari. Poi ci saranno Fois e
Valduga
Rosso Camilleri
"Giallo, rosso, rosa, blu· colore d'autore", si chiama così
l'ultimo nato in casa Masciari. Lo storico teatro catanzarese ha, infatti,
costruito un mini cartellone che racchiude in tre nomi il senso di quel
che sarà il percorso tratteggiato: Andrea Camilleri (18 aprile),
Marcello Fois (26 aprile) e la poetessa Patrizia Valduga (2 maggio). Non
si tratta dei collaudati e consueti faccia a faccia con autori di prestigio
bensì di incontri teatrali curati da Maria Luisa Bigai con l'accompagnamento
musicale della Binghillo Blues Band.
L'iniziativa è stata presentata ieri mattina nella sala stampa
del teatro dal presidente della cooperativa Nuova Ipotesi, Franco Ferrara
e dalla direttrice delle bibiloteca De Nobili, Maria Teresa Stranieri (il
cartellone vede la partecipazione dell'assessorato comunale alla Cultura
e degli istituti superiori della città Einaudi, Siciliani e Tecnico
Agrario. I tre ospiti saranno coinvolti in una sorta di work in progress
che dal palco farà il paio con la platea. Due gli attori coinvolti:
Giovanni Carta e Daniela Scarlatti e tre i conduttori: la stessa Bigai,
Claudia Pulice e Davide Lamanna.
Casuale, ma non troppo, la scelta dei colori attribuiti a ciascun scrittore.
A cominciare dal rosso storico di Camilleri, scrittore sanguigno giallista
e non solo. Quindi il giallo per il sardo Fois e il rosa e il blu per la
Valduga ad indicare le sfumature dell'animo umano in versi. E allora, in
attesa di incontrarli, ecco sinteticamente il ritratto biografico dei tre
protagonisti di "Giallo, rosso, rosa, blu· colore d'autore".
Andrea Camilleri, il padre del commissario Montalbano, parte da lontano,
a cominciare dalle numerose regie di opere teatrali e di romanzi sceneggiati
per la radio e per la televisione, da lui firmate. È stato autore,
sceneggiatore e regista di programmi culturali per la radio e la televisione.
Ha prodotto diversi programmi televisivi tra cui, per esempio, un ciclo
dedicato dalla Rai al teatro di Eduardo e le famose serie poliziesche del
Commissario Maigret di Simenon e del Tenente Sheridan. A vent'anni alcune
sue poesie furono pubblicate in un'antologia curata da Ungaretti.
Nello stesso tempo scriveva i suoi primi racconti per riviste e quotidiani
come "L'Italia socialista" e "L'ora" di Palermo. Ha esordito come romanziere
nel 1978 con "Il corso delle cose" (Lalli, ristampato da Sellerio nel 1999),
primo della serie dei romanzi "storici". Sempre Sellerio ha pubblicato
i cinque romanzi che hanno come protagonista il commissario Montalbano:
da "La forma dell'acqua" a "La voce del violino" (1998, premio Flaiano),
per citarne due. La saga di Montalbano continua con Mondadori. Dai suoi
romanzi incentrati sulla figura del commissario Montalbano è stata
tratta una fortunata serie di film per la Tv con Luca Zingaretti alla realizzazione
della quale Camilleri ha collaborato come sceneggiatore. Sua anche la sceneggiatura
e l'adattamento per il teatro del "Birraio di Preston", che nella versione
per la radio lo ha visto autore e interprete.
Marcello Fois è nato a Nuoro nel 1960. Scrittore e autore teatrale,
è anche sceneggiatore per la Tv ("Distretto di polizia") e il cinema
("Ilaria Alpi. Il più crudele dei giorni"). Fra le sue pubblicazioni
"Ferro Recente"; "Falso gotico nuorese"; "Sempre caro". Nel poco tempo
a disposizione si occupa di promuovere la scrittura e i giovani scrittori.
Collabora alla realizzazione dei film che saranno tratti da "Sempre caro"
e "Ferro recente".
Patrizia Valduga è nata a Castelfranco Veneto nel 1953 e vive
a Milano. Ha tradotto i sonetti di John Donne e da Mallarmé, Kantor,
Valery, Crebillon, Moliére, Céline, Cocteau. Si distingue
fra i poeti contemporanei, per la particolarità della sua ricerca
sul linguaggio. Notissimo è il suo "Cento quartine e altre storie
d'amore" in cui l'autrice sembra sostenere la tesi di una distanza insanabile
fra maschio e femmina. Nell'orizzonte temporale di una sola notte, i personaggi
si chiudono in una diade narcisistica che si esibisce senza ritegno (specie
quello maschile). Una poesia unica, nuova, di una scrittrice tutta da scoprire
e amare. Tre autori e tre universi che s'incontreranno a breve sul palcoscenico
del Masciari.
e. vi.
La posta in palio è il pubblico di domani
La posta in palio è quella di creare il pubblico di domani
ed è la prima volta che tre istituti scolastici cittadini partecipano
anche con un contributo economico ad un'iniziativa cultrale fuori dalle
mura delle rispettive scuole. "Giallo, rosso, rosa, blu·colore d'autore",
si chiama così l'ultimo nato in casa Masciari (ne parliamo in dettaglio
in Cultura). Lo storico teatro catanzarese ha, infatti, costruito un mini
cartellone con: Andrea Camilleri (18 aprile), Marcello Fois (26 aprile)
e la poetessa Patrizia Valduga (2 maggio). Non si tratta dei collaudati
e consueti faccia a faccia con autori di prestigio bensì di incontri
teatrali curati da Maria Luisa Bigai con l'accompagnamento musicale della
Binghillo Blues Band. L'iniziativa è stata presentata ieri dal presidente
della cooperativa Nuova Ipotesi, Franco Ferrara e dalla direttrice delle
bibiloteca De Nobili, Maria Teresa Stranieri. Il cartellone vede la partecipazione
dell'assessorato comunale alla Cultura e degli istituti superiori della
città Einaudi, Siciliani e Tecnico Agrario. I tre ospiti saranno
coinvolti in una sorta di work in progress che dal palco farà il
paio con la platea. E sul palco due studenti per volta animeranno l'interfaccia
con l'autore. Anche questo può essere un modo per coinvolgere i
giovani nella vita culturale della città. La posta in gioco è
alta e il cammino per costruire il pubblico di domani non concederà
nulla all'improvvisazione.
(e.vi.)
Il Domani, 12.4.2005
È stata presentata l'iniziativa letteraria che andrà
in scena da lunedì prossimo al teatro Masciari
I quattro colori della scrittura d'autore
Agli incontri saranno presenti alcuni ragazzi di tre scuole di Catanzaro
Catanzaro. «Non saranno i classici incontri con gli scrittori».
é la premessa, dell'avvocato Franco Ferrara, necessaria per "inquadrare"
l'iniziativa "Giallo, rosso, rosa, blu... Colore d'autore", che andrà
in scena al teatro Masciari a partire da lunedì prossimo.
Un progetto, quello della cooperativa Nuova Ipotesi, da tempo in cantiere,
che si sviluppa solo adesso, in seguito a numerosi rinvii e cancellazioni
da parte degli autori contattati - «Sono delle vere e proprie star»,
ha detto in proposito Ferrara, presidente della cooperativa - i cui appuntamenti,
posti nell'ambito del cartellone dell'attuale stagione in corso, avranno
una «connotazione decisamente teatrale».
Andrea Camilleri, Marcello Fois e Patrizia Valduga. Saranno loro i
protagonisti delle tre serate che si svilupperanno secondo un work in progress,
per la regia di Maria Luisa Bigai - direttore artistico del cartellone
del Masciari - che vedrà anche alcuni interventi della Binghillo
blues band di Cortale, oltre che letture dei brani degli autori proposti
da parte di alcuni attori e di singoli conduttori. Inoltre, agli incontri
saranno presenti anche alcuni ragazzi - due studenti per scuola - del Liceo
scientifico Siciliani, dell'Istituto tecnico agrario e dell'Istituto tecnico
professionale Einaudi.
«Il perchè della scelta dei colori è piuttosto
evidente - ha spiegato Ferrara -. Si è trattata di una scelta arbitraria,
ma tuttavia legata ai personaggi che saranno presenti a Catanzaro: il rosso
per Camilleri, scrittore "sanguigno", storico e politico; il giallo per
Fois, che del sardismo ha fatto una bandiera culturale e il rosa e il blu
per la Valduga, intesi rispettivamente come i colori della femminilità
e della poesia, in cui è l'azzurro in tutte le sue sfumature a farla
da padrone».
[…]
Il programma
Lunedì 18 aprile
Il "rosso" storico di Andrea Camilleri incontro condotto da Maria Luisa
Bigai, letture di Giovanni Carta.
Martedì 26 aprile
Il "giallo" Sardegna di Marcello Fois incontro condotto da Claudia
Pulice, letture di Daniela Scarlatti.
Lunedì 2 maggio
Il "rosa" e il "blu": i colori della poesia di Patrizia Valduga incontro
condotto da Davide Lamanna.
Carmen Loiacono
La Sicilia, 12.4.2005
Quasi pronta la stanza di Montalbano
La stanza del commissario Montalbano. A lungo resterà questo
il soprannome della stanza del palazzo Cosentini, che rappresenta la location
principale della fiction televisiva ispirata al personaggio delle celebre
saga di Andrea Camilleri. Infatti questa sarà la stanza del commissario,
il sito più importante dove verrà fatto il numero maggiore
di riprese interne. Ecco spiegato il mistero del perché, più
velocemente di ogni altro locale del monumento storico di Ibla, che è
in via di ristrutturazione, proprio questa stanza è stata restaurata
con grande solerzia. Fra poche settimane arriva il regista e la troupe
quindi la location doveva essere pronta. Il commissario Montalbano potrà
godersi una volta colorata con un affresco interessante, suddiviso in sezioni
che corrispondono alla differente cronologia degli artisti che hanno realizzato
tale dipinto. Se la volta del soffitto non fosse stata restaurata sarebbe
rimasto quello che c'era prima, cioè un cielo azzurro con tantissime
stelle. Sotto il firmamento azzurrato, decorato con grandi stelle e costellazioni,
era invece celato l'affresco che è venuto alla luce. Il restauro
non è concluso. Ma Sebastiano Patanè, il restauratore che
ha diretto i lavori dell'affresco è soddisfatto. «Abbiamo
tanto lavoro da fare - spiega Patanè - ma questa stanza era la più
importante, quindi abbiamo lavorato con grande velocità».
Mai restauro in provincia di Ragusa è stato fatto con una grande
motivazione come quella dell'arrivo imminente di una troupe cinematografica.
Di solito i tempi si accorciano per far contenta la comunità e quasi
sempre non si riesce a sbrigarsi. Stavolta c'è un regista, una produzione
e un cast di attori di cui rendere conto. Anche nelle altre stanze il restauro
ha subito l'influenza dell'imminente arrivo della troupe. In altri locali
sono stati utilizzati per gli intonaci dei colori neutri, adatti per riprese
da cinema. Forse questo restauro è un caso senza precedenti, a testimonianza
che le istituzioni locali hanno capito quanto business c'è dietro
una troupe che gira un film. L'affresco della stanza del commissario riporta
motivi floreali che si trasformano in figure alate antropomorfe del periodo
del '700. «Vi sono anche dei medaglioni dell'800 - spiega Patanè
- uno dei quali è già restaurato e che descrive un paesaggio
africano, un motivo molto singolare». Anche il restauro delle opere
murarie di palazzo Cosentini sta procedendo celermente.
Rossella Schembri
Avvenire, 13.4.2005
Intervista. Ancora una volta best seller, lo scrittore siciliano racconta
il suo rapporto con il sacro: «Mai voluto irridere i credenti»
Tutti i santi di Camilleri
Oltre Montalbano. Dal «Poverello» ammirato a teatro fino
a «preti coraggio» come Romero e Puglisi. «E in un nuovo
libro mi piacerebbe ricostruire la storia di monsignor Peruzzo, il vescovo
di Agrigento che nel dopoguerra si schierò con i contadini»
«Sono rimasto molto colpito dal profondo desiderio di comunicare
che il Papa ha espresso fino alla fine, anche quando il corpo pareva impedirlo»
Ogni tanto lo accusano di prendersi tanticchia di libertà con
gli episodi storici di cui si occupa nei suoi libri. «E ci mancherebbe
altro, gli rispondo: io scrivo romanzi, mica saggi». Alla gagliarda
età di ottant'anni, Andrea Camilleri è arrivato a trattare
con uguale distacco critiche ed elogi. Forse perché, sostiene, ha
avuto la fortuna di arrivare tardi al successo, come conferma il suo nuovo
romanzo, Privo di titolo (Sellerio, pagine 304, euro 11,00), rivelatosi
un best seller non appena è arrivato in libreria. «Ecco, pensi
se un fatto del genere capitasse a un autore più giovane, a un narratore
quarantenne - ipotizza Camilleri -. Ne resterebbe travolto, se non altro
dal punto di vista psicologico. Io, invece, ci ho guadagnato in sicurezza,
in serenità».
Non diversamente da quella di Simenon, anche la produzione di Camilleri
è rigorosamente bipartita: da una parte i libri che hanno per protagonista
il suo detective di fiducia (no, non Maigret: stiamo parlando di Montalbano),
dall'altra i romanzi che l'autore siciliano ama definire «storici».
Di una storia in buona parte reinventata, però. «I documenti
riportati in Privo di titolo, per esempio, sono tutti falsi, con un paio
di eccezioni che non le sto a dire», spiega Camilleri. Circostanza
curiosa, se si considera che il libro è in realtà un atto
di denuncia contro le mistificazioni della politica e del potere, a partire
dalla vicenda emblematica e controversa di Gigino Gattuso, giovane fascista
della prima ora morto nel 1921 in circostanze mai del tutto chiarite. «Basti
ricordare - sottolinea Camilleri - che il presunto omicida, comunista,
fu assolto nel 1924, in pieno regime. Già allora, infatti, troppi
indizi lasciavano intendere che il "martire" Gattuso fosse stato, come
dire?, vittima del fuoco amico...».
Libro revisionista, Privo di titolo? E, nel caso, il revisionismo non
era considerata un'attitudine un po' di destra? Camilleri, che delle proprie
convinzioni progressiste non ha mai fatto mistero, passa al contrattacco:
«Faccia conto che si voglia raccontare una vicenda dell'Ottocento
siciliano, magari legata al cosiddetto brigantaggio. La versione ufficiale
sarebbe quella di fonte governativa, giusto? Quella non ufficiale, e quindi
sospetta di revisionismo, coinciderebbe invece con le testimonianze orali,
con il punto di vista di chi ha fatto il fatto, se mi passa il gioco di
parole. Difficile uscirne, se non mettendo a confronto i due racconti,
in modo da individuare convergenze e discrepanze. Operazione difficile,
specie nei nostri tempi dominati dalla televisione, che è una macchina
perfetta per ogni tipo di mistificazione, oltre che un'eccellente fabbrica
di credulità».
Parla di credulità, Camilleri, e non di fede. A dispetto delle
frequenti punzecchiature presenti nei suoi libri, infatti, il suo atteggiamento
nei confronti dell'esperienza religiosa è tutt'altro che ostile.
«Mai pensato di sorridere sui credenti, tanto meno di irriderli -
rivendica -. E poi, guardi, in questo i romanzi "storici" sono davvero
molto diversi dalle avventure di Montalbano. Ho in mente uno dei miei primi
libri, La bolla di componenda, molto critico nei confronti del ruolo che,
secondo me, una certa mentalità ecclesiastica aveva avuto nel frenare
lo sviluppo. Ma questo è il passato, un passato dal quale la Chiesa
si sta sempre più allontanando. Quando si arriva ai nostri anni,
a sacerdoti come don Puglisi o monsignor Romero, altro che critica: per
questi uomini ho un'autentica venerazione, non mi vergogno a dirlo. Su
uno di loro, anzi, mi piacerebbe scrivere un libro». Un nuovo Montalbano?
«No, no: un romanzo storico. Su monsignor Giovanni Battista Peruzzo,
vescovo di Agrigento nell'immediato dopoguerra. Un piemontese che era arrivato
a comprendere la Sicilia meglio di tanti siciliani e che, con grande coraggio,
sostenne a viso aperto le rivendicazioni dei contadini. Gli spararono.
Non lo fecero fuori, però gli spararono».
Allo stesso modo, Camilleri confessa di essere rimasto colpito dagli
ultimi giorni di Giovanni Paolo II: «Quel modo impudico, eppure pudicissimo
di mostrare la propria sofferenza. E poi, più che altro, quel desiderio
fortissimo di comunicare, fino all'ultimo, nonostante il corpo gli si ribellasse
e glielo impedisse. Non vorrei sembrare irriverente, ma si capiva che era
stato un attore. "Sentiva" il pubblico, e questo gli dava forza».
Prima che scrittore di successo, del resto, lo stesso Camilleri è
stato uomo di spettacolo: regista, sceneggiatore, autore di quella che
oggi si chiamerebbe fiction. «Ma erano altri tempi, sul serio - si
difende -. Adesso ci sono molti buoni professionisti, alla mia epoca si
potevano ancora incontrare grandi maestri. Il mio è stato Orazio
Costa, che oltretutto era un autentico credente. Lo spettacolo più
bello che abbia mai visto è stata la sua regia del Poverello di
Jacques Coupeau. E sa perché? Perché Costa ci stava con la
fede, come direbbe Montalbano».
Alessandro Zaccuri
Modica.info, 13.4.2005
Torna il commissario Montalbano
Scicli, ovvero la Vigata di Camilleri
I nuovi episodi avranno diverse location a Scicli: piazza Municipio,
l’ospedale Busacca e la chiesa di San Bartolomeo
Il commissario Montalbano torna a Scicli. Nei giorni scorsi una troupe
della Palomar, la casa di produzione dello sceneggiato televisivo interpretato
da Luca Zingaretti, ha compiuto diversi sopralluoghi in città, al
termine dei quali ha chiesto al sindaco Bartolomeo Falla la disponibilità
ad ospitare la troupe in alcuni siti di Scicli che dovrebbero diventare
location dei prossimi episodi, che saranno anche gli ultimi del fortunato
serial televisivo.
Le location dovrebbero essere piazza Municipio, l’ospedale Busacca
(solo gli esterni), e la chiesa di San Bartolomeo. Qui dovrebbe essere
girata la scena di un funerale. Il sindaco Falla ha accordato la disponibilità
a supportare la logistica della Palomar nei giorni di lavorazione dello
sceneggiato ispirato ai libri di Andrea Camilleri. Scicli conferma perciò
la sua vocazione a diventare la Vigata di Salvo Montalbano.
Gazzetta del Sud,
14.4.2005
«Privo di titolo» di Andrea Camilleri
Storia di un delitto nella Sicilia fascista
Storia di un delitto politico in Sicilia, nel periodo fascista, con
un morto che invece è stato ammazzato per sbaglio da un suo amico
camerata. Il risultato è che l'assassino per la legge è incolpevole
e il martire fascista è stato sì ucciso, ma non può
essere classificato come eroe e vittima dell'odio politico. Andrea Camilleri,
con il suo nuovo libro (Privo di titolo, Sellerio editore, pagine 296,
euro 11) torna a uno dei suoi filoni prediletti insieme al giallo, i fatti
storici del passato, con la sottintesa intenzione di pensare al presente.
Come nella pratica diffusa tra gli scrittori nell'Egitto di Gamal Abdel
Nasser, che utilizzavano storie provenienti dal passato e dalla letteratura
per fare riferimenti alle vicende dell'attualità politica, Camilleri
gioca con i fatti, impastandoli con la sua capacità di narratore
e con la forza della «sua» lingua e non nasconde l'ambizione
di leggere la realtà contemporanea. Sceglie, lo scrittore di Porto
Empedocle, un'ambientazione e una storia che hanno suscitato polemiche
ancora prima che il libro uscisse, ma prende spunto da due fatti realmente
accaduti, come la vicenda di Luigi Gattuso, «unico martire fascista
siciliano», ammazzato per errore dai suoi stessi camerati, e la storia
di Mussolinia città immaginaria, che doveva sorgere vicino a Caltanissetta
per onorare il Duce del fascismo e invece fu solo un'artificiosa invenzione
esistita soltanto nella realtà illusoria di un fotomontaggio. La
storia di Gattuso, a cui si ispira Camilleri era stata già raccontata
dal giornalista siciliano Walter Guttadauria, che ricostruì in un
suo libro la vicenda che si rifà a un processo con due vittime:
il fascista Gattuso che muore e il comunista pseudo-assassino tormentato
e innocente. Privo di titolo dice Camilleri, spiegando la singolare intitolazione
del suo ultimo romanzo, per evitare di essere di parte in una storia atroce
e allo stesso tempo assurda, con un assassino reo confesso perché
crede di avere ammazzato lui il giovane Gattuso e il morto celebrato come
martire ma che alla fine è defraudato della dignità di «semplice
morto privo di titolo». Insomma, la storia di due sventure nell'epoca
del fascismo, raccontate da Camilleri con la sua consueta forza narrativa,
che si intesse in questo caso con la tecnica della scrittura e del montaggio
cinematografico. Lo scrittore riguarda alla moviola i fatti accaduti, li
rallenta, li rilegge come in un fermo immagine, invita a scartare ciò
che non serve e a sottolineare quanto deve essere lasciato alla riflessione.
Il «martire fascista» Luigi Gattuso fu ucciso nel 1921, a soli
diciotto anni, dai suoi compagni, per sbaglio, e il suo presunto assassino,
il giovane muratore comunista Michele Ferrara, fu prima incarcerato e poi
rimesso in libertà, in considerazione, come stabiliva la sentenza,
che aveva già agito in stato di legittima difesa. Un verdetto che
volle mettere a tacere una verità scomoda e che alla fine stava
bene a tutti, ai fascisti che si tenevano il loro martire e ai comunisti
per i quali tutto sommato la vicenda era finita bene. Camilleri, ricostruendo
i fatti di cronaca, ha cambiato i nomi dei protagonisti della vicenda storica.
Il nome di Luigi Gattuso appare solo nel primo e nell'ultimo capitolo del
libro, nei quali non c'è nessuna invenzione. Poi lo scrittore si
è dedicato a rivisitare tutta la storia interpretandola in maniera
immaginaria e fantastica. L'altro fatto che si intreccia con la storia
del martire fascista riguarda la città del Duce che non è
mai esistita. Una beffa a Mussolini. Una città virtuale con il mare
trasportato nell'entroterra, con ornamento di barche e di reti messe ad
asciugare. Camilleri ha lavorato molto di fantasia, ma Mussolinia è
un fatto vero. Ne hanno scritto in un recente passato in tanti e tra questi,
cita lo stesso Camilleri, a conclusione del suo libro, un calatino di nascita
che abita a Torino, il dottor Salvatore Venezia, autore del saggio Mussolinia:
il fantasma di una città giardino, apparso sul «Bollettino»
(1993, n. 2) della «Società calatina di Storia patria e cultura».
Domenico Nunnari
La Provincia
di Sondrio, 14.4.2005
Montalbano sfida in tivù Rivombrosa 2
Cannes. Giocano la carta dei telefilm e delle fiction, più che
puntare ai reality show, Rai e Mediaset. Queste le anticipazioni delle
due aziende al mercato televisivo in corso a Cannes.
Telefilm Rai
[...]
Torna Montalbano. Il commissario Montalbano -alias Luca Zingaretti,
reduce dal successo di Cefalonia- sta per tornare a Scicli per un'altra
serie televisiva sul personaggio creato da Andrea Camilleri. Le riprese
inizieranno tra breve; si prevede la messa in onda nel 2006.
[...]
Piermaria Pazienza
VareseNews, 14.4.2005
Fiction - Incontro con Alberto Sironi, regista di origine bustocca
che lunedì inizierà le riprese dei nuovi episodi di Montalbano
e che ha appena terminato la nuova fiction tratta dai romanzi di Gianrico
Carofiglio
“In tv continuo le battaglie di De Sica e Fellini”
Alberto Sironi è un regista infaticabile: dopo il successo televisivo
di "Salvo D’Acquisto" e "Virginia, la monaca di Monza", ha appena terminato
i due primi film tratti dalle opere dello scrittore e giudice della Dia,
Gianrico Carofiglio: "Testimone inconsapevole" e "Ad occhi chiusi". Film
per la televisione che narrano le vicende del giovane avvocato Guerrieri,
interpretato da Emilio Solfrizzi, e ambientate in Puglia.
Abbiamo incontrato a Roma il regista originario di Busto Arsizio, poco
prima della sua partenza per la Sicilia dove nei prossimi mesi sarà
impegnato nelle riprese di altri quattro episodi della serie di Montalbano.
"Iniziamo a girare lunedì 18 aprile e realizzeremo i primi due episodi
in programma – spiega Sironi –. Episodi tratti dagli ultimi due romanzi
di Camilleri, "Giro di Boa" e "La pazienza del ragno". Poi a ottobre gireremo
altri due episodi, stavolta tratti da due racconti. Il tutto non andrà
in onda prima del 2006".
Invece la nuova fiction tratta da Carofiglio, quando potremo vederla
sul piccolo schermo?
"Abbiamo consegnato da poco il lavoro, questa volta sarà trasmesso
da Canale 5, ma non sappiamo ancora quando. E’ un progetto che ho fortemente
voluto e spero diventi un nuovo Montalbano, la storia lo merita".
Cosa la attira delle storie che racconta?
"Mi piacciono le storie morali, quelle che mettono in discussione anche
la società in cui viviamo, esattamente come accade in Montalbano.
Si tratta di uomini che vanno anche contro il sistema, ma che allo stesso
tempo sono anche persone fragili, con delle debolezze. Come questo nuovo
personaggio, l’avvocato Guerrieri appena rimasto senza la moglie. Per la
televisione si tratta di storie piuttosto inusuali perché non si
tratta di un semplice legal thriller, è un racconto morale con temi
che io definisco grigi, inusuali per il racconto televisivo".
Dopo tanti lavori realizzati per la Rai questa nuova fiction andrà
in onda su Medaiset. Cosa si aspetta?
"Non si tratta sicuramente di film per Mediaset: il più grande
nemico sarà il bombardamento pubblicitario, ma non si può
chiudere gli occhi sulla realtà. Non faccio storie in cui non credo
moralmente, e ho sempre avuto questo punto di vista anche quando lavoravo
poco. Con Mediaset ho avuto la possibilità di realizzare questo
progetto, vediamo che succede".
Lei è sicuramente un regista inusuale per la televisione: ha
lanciato Zingaretti, Fiorello, e adesso ha recuperato Solfrizzi, prima
attore di commedia. In un sistema televisivo che punta tutto sulle star,
come si trova?
"E’ la battaglia che più duramente porto avanti da anni. Mi
piace lavorare con giovani attori, facce nuove e sconosciute al grande
pubblico. Nella serie sull’avvocato Guerrieri ci sono anche altri bravi
attori come Chiara Muti, Bianca Maria D’Amato, Giovanni Moschella, Giovanni
Esposito in un ruolo drammatico, ed Alex Van Damme nella parte di un extracomunitario
accusato ingiustamente di un crimine e aiutato dall’avvocato Guerrieri
nella prima puntata. Poi la squadra è la stessa di Montalbano: stesso
direttore della fotografia e stesso produttore Carlo Degli Esposti. Si
può dire che l’affiatamento è più che collaudato e
gli attori sono una parte molto importante".
Anche il suo stile si avvicina molto a quello cinematografico…
"Sono nato con il cinema, i miei riferimenti sono alti, ma oggi il
cinema italiano non esiste, non c’è produzione e il mio tentativo
è quello di alzare il livello della televisione. Ed è proprio
in televisione che porto le battaglie che in passato furono di De sica
e Fellini".
Torniamo a Montalbano: per lei i nuovi episodi sono un ritorno al personaggio
che le ha dato un certo successo…
"Certamente. E tornare a lavorare a queste storie mi fa molto piacere.
Quando ci si avvicina al mondo di uno scrittore non è semplice,
un regista deve acchiappare l’anima di una storia. Sono un appassionato
di letteratura gialla e poliziesca e sinceramente penso che Montalbano
sia il più bel personaggio della letteratura italiana di questo
tipo. Un equivalente di Maigret".
Zingaretti, tempo fa, disse che non avrebbe più interpretato
Motalbano, poi ha cambiato idea. Cosa è successo?
"Per Luca non sarà facile scrollarsi di dosso l’immagine di
Montalbano, a cui lui si adatta benissimo. E poi la sua faccia non è
molto trasformabile. Penso che abbandonerà il personaggio dopo questi
quattro episodi".
Camilleri cosa dice delle sue trasposizioni televisive?
"Camilleri è contentissimo e ne sono felice perché vuol
dire che non è stata tradita l’anima della storia. Una frase che
ricorderò sempre e che mi ha fatto molto piacere, è quando,
riferito ai personaggi di contorno, mi ha detto: "sembra che gli abbia
scritti io". Ho capito che era la direzione giusta".
La Sicilia, 14.4.2005
Nostra inchiesta sul giallo siciliano. Intervista allo scrittore palermitano
Santo Piazzese
Mitteleuropeo tra le panelle
«Più che da Sciascia sono stato influenzato dalla letteratura
americana, da quella mitteleuropea, e poi da tutto ciò che ho letto,
visto al cinema, nei musei, per le strade del mondo, la musica che ho ascoltato,
le persone che ho conosciuto: per dirla con Hemingway, gli scrittori applicano
il principio dell’ce berg: il romanzo è la parte emersa di una montagna
di esperienze, di suggestioni che fanno da brodo di coltura per lo scrittore».
Definito dalla critica il più mitteleuropeo degli scrittori siciliani,
Santo Piazzese, palermitano, ha sempre l’aria di chi, per timore di disturbare,
si presenta in punta di piedi. Classe 1948, biologo, Piazzese è
una delle voci più interessanti della letteratura siciliana contemporanea,
che nelle sue mani diventa sperimentazione e ricerca. La città di
Palermo, tra palazzi nobiliari, panelle e cappelle nascoste, fa da cornice
ideale ai suoi romanzi, dove riversa un concentrato delle proprie esperienze
di vita vissuta. "Dell’esistenza di Camilleri - dice infatti l’autore-
l’ho saputo una settimana prima dell’uscita del mio primo libro. E più
che da Sciascia sono stato influenzato dalla letteratura americana, poi
da quella mitteleuropea, e poi da tutto quello che ho letto, visto al cinema,
nei musei, per le strade del mondo, la musica che ho ascoltato, le persone
che ho conosciuto: per dirla con Hemingway, gli scrittori applicano il
Principio dell’iceberg: il romanzo è la parte emersa di una montagna
di esperienze, di suggestioni che fanno da brodo di coltura per lo scrittore.
Posso dire solo che non mi riconosco in nessun filone che abbia al vertice
un caposcuola".
Nel suo ultimo pluripremiato romanzo, "Il soffio della valanga", assurge
a ruolo di protagonista Vittorio Spotorno, commissario, già comparso
in maniera defilata nei primi due romanzi di Piazzese "I delitti di via
Medina-Sidonia" e "La doppia vista di M. Laurent" (Sellerio), dove il protagonista-investigatore
Lorenzo La Marca è ricercatore universitario.
- Piazzese, lei è uno dei pochi giallisti che non rifiuta tale
"etichetta". Una volta ha detto che le piacerebbe scrivere un romanzo di
fantascienza alla Asimov. Perché ha scelto di scrivere gialli piuttosto
che romanzi di fantascienza?
"Mi piace parlare di cose che conosco, ambientare una storia in un
contesto che mi è familiare e che sia potenzialmente riconoscibile
ai lettori, anche a quelli che non conoscono questo contesto. Mi rendo
conto che è possibile farlo anche scrivendo una storia di fantascienza
- anzi, parecchi grandi autori l’hanno fatto, scrivendo storie memorabili
- però, secondo me, il giallo, per sua natura, è strettamente
legato a un contesto, più di qualsiasi altro genere letterario.
D’altra parte, quando ho cominciato a scrivere avevo già in mente
uno spunto per una storia, ed era una storia noir. Ma non escludo di riuscire
a scrivere una storia di fantascienza, prima o poi. Anzi, ripensandoci,
credo di avere già scritto un paio di racconti che stanno a metà
strada tra il thrilling e il surreale, che in casi
specifici può essere assimilato a una variante di fantascienza".
- Quanto incide la territorialità di ogni autore?
"Incide quanto vuole l’autore. Nel mio caso incide in modo decisivo,
fondamentale. Non riesco a pensare a una storia, sia essa un romanzo o
un racconto, che non sia territorialmente contestualizzata. Non è
solo un fenomeno topografico, ovviamente, ma coinvolge livelli più
profondi, che riguardano l’individuo e la società".
- Cosa pensa del boom del giallo siciliano?
"Penso che, in realtà, sia un boom nazionale, che riguarda anche
i libri scritti da autori stranieri. Il giallo era rimasto per troppo tempo
nel limbo della letteratura di serie B, e quando è stato sdoganato
anche dalla critica ‘togata’ - pure per merito di bravi scrittori, e il
capofila di questi è ovviamente Camilleri - è stato come
togliere il tappo a un vulcano, tanto che oggi c’è persino il rischio
che a forza di pompare solo gialli, la gente si stufi. E’ un fenomeno che,
come meccanismo, somiglia a quello della rivoluzione sessuale, che da noi
arrivò dopo il ‘68. Per quanto concerne in modo specifico la Sicilia,
faccio notare che il boom di autori siciliani riguarda il comparto letterario
nel suo complesso, non solo il giallo. Mi sembra persino pleonastico ricordare
gli straordinari precedenti siciliani nel settore".
- A parte il fenomeno Camilleri che ha fatto riscoprire il giallo made
in Sicily, condizionando comunque i nuovi autori siciliani che non possono
prescindere dal confronto col suo successo, la Sicilia ha sempre parlato
in giallo, basta citare Sciascia ma anche Enzo Russo o lo stesso Mario
Puzo oriundo napoletano col suo celeberrimo e sicilianissimo don Vito Corleone
de "Il padrino". Siamo quindi naturalmente portati a raccontare in giallo,
condizionati dal nostro essere siciliani?
"Tra gli oriundi siciliani, non dimentichiamo Salvatore Lombino, che,
se non ricordo male, proviene da una famiglia originaria di Bisacquino
e divenne famoso con lo pseudonimo di Ed McBain, autore di una delle più
notevoli saghe poliziesche della storia della letteratura di genere. Tornando
ai gialli e alla Sicilia, riprendo quanto detto in precedenza: non tutto
quello che scrivono oggi gli autori siciliani è giallo. E, da biologo
abituato a considerare la biodiversità come un valore, aggiungo:
per
fortuna. Lo stesso Camilleri non scrive solo gialli e, anzi, il mio
libro preferito tra i suoi che ho letto, è “Il birraio di Preston”,
che non è un giallo. In Sicilia comunque c’è un altro fattore
che condiziona gli scrittori: la mafia. Poiché interviene in modo
massiccio nelle nostre vite, non si può non parlarne. E gli scrittori
non possono non scriverne. Poiché mafia vuol dire crimine, nella
maggior parte dei casi, scrivere libri che hanno la mafia come oggetto,
può voler dire scrivere un giallo. Non credo a motivazioni legate
a una supposta "specificità" dell’essere siciliani".
- La Sicilia sembra una terra vocata ai racconti duri e di genere.
Basta seguire ciò che la cronaca racconta ogni giorno. Uno scrittore
siciliano quanta verità e quanta fantasia deve dosare per essere
credibile e non stereotipato?
"Premetto che non ho mai creduto nella funzione salvifica della letteratura
e dei libri in genere. Detto questo, ritengo che uno scrittore - che sia
siciliano o meno – si può considerare tale solo se tende a farsi
testimone di verità, sia pure relative. Ricordo ciò che diceva
Sciascia in proposito: la letteratura è la più alta forma
che la verità possa assumere. Il che vale anche quando un autore
ricorre alla fantasia. Perché non bisogna confondere la fantasia
con la menzogna. In una storia di fantasia ci può essere più
verità che in una all’apparenza "vera". Si può raccontare
un fatto di cronaca realmente accaduto capovolgendo responsabilità
e motivazioni. E, al contrario, se ne può anche inventare uno di
sana pianta, ma capace di affermare gradi di verità più o
meno avanzati. Perché, sia chiaro, ‘la Verità’ è un’astrazione".
- Che futuro prevede per il giallo made in Sicily?
"Penso che questa fase di grande ubriacatura per il giallo, a livello
nazionale e regionale, si andrà assestando gradualmente su un livello
intermedio, diciamo più ‘fisiologico’, e anche gli editori saranno
più selettivi. La mia è anche una speranza, perché
mi piace leggere buoni libri, a prescindere dai generi che essi rappresentano.
Se ciò non dovesse accadere, se gli editori continueranno a ‘spremere’
il genere, il cambiamento sarà più drastico e i critici meno
assoggettati all’industria editoriale ricominceranno a sparare a zero contro
i giallisti".
- Non pochi suoi lettori, pur non disprezzando il commissario Vittorio
Spotorno protagonista dell’ultimo romanzo "Il soffio della valanga", invocano
a gran voce il ritorno a tutta scena di Lorenzo La Marca, suo alter ego.
Facciamo loro un regalo: quando ritornerà La Marca?
"Onestamente, non so se tornerà. Ogni tanto ne sento la mancanza
(Camilleri direbbe ‘il fiato sul collo’). Però nell’immediato futuro
ci sarà ancora spazio per Spotorno. Poi si vedrà".
Roberto Mistretta (2 - continua)
Liberazione, 15/04/2005
La realtà virtuale? Un déjà vu del fascismo
Andrea Camilleri parla del suo nuovo libro "Privo di titolo". L'attuale
mistificazione del reale radicata nel Ventennio. Nel romanzo, un "martire
del regime" ucciso da un altro camerata e una città intitolata a
Mussolini, mai esistita se non in un fotomontaggio
La deformazione delle notizie, dei fatti, è sempre stata un tratto
saliente dei regimi autoritari. Oggi, venuti meno questi, almeno nel mondo
occidentale, la realtà non sembra essere cambiata molto. Appare
sempre più virtuale e modellata secondo le esigenze dei potenti.
C'è insomma un filo rosso che lega la vecchia propaganda di regime
a quello che oggi i media e i politici raccontano, per esempio, sulla guerra
in Iraq o sul conflitto mediorientale, facendo scempio della verità.
Per tutte queste ragioni di strettissima attualità, Andrea Camilleri
ha pubblicato recentemente “Privo di titolo” (Sellerio editore, pp. 295,
euro 11,00), la storia di un finto martire fascista e di una città
intitolata a Mussolini, quest'ultima del tutto virtuale ma della cui esistenza
il duce credette per un certo periodo grazie ad un ingegnoso fotomontaggio.
Il tutto ovviamente ambientato nella Sicilia di Camilleri. Per farci raccontare
la genesi di queste due storie, talmente incredibili da giustificare la
scelta di un titolo "non titolo", siamo andati a trovare l'ottantenne "inventore"
del commissario Montalbano nella sua bella casa di Roma, in via Asiago,
proprio di fronte agli studi di Radiorai. «Non hanno una grande insonorizzazione
e così spesso sento i concerti che trasmettono» dice lo scrittore,
che non appare infastidito da queste note che arrivano di tanto in tanto.
Nel suo studio ci sono copie dei suoi romanzi tradotti nelle lingue più
varie. Dall'ebraico al portoghese - «ma si tratta di un'edizione
brasiliana» precisa Camilleri – al greco, solo per citarne qualcuna.
Poi il racconto di come è nato “Privo di titolo”. «La
storia la narro già nel primo capitolo di questo romanzo. Ci sono
io, vestito in divisa fascista, che vengo convocato in questa grande adunata
nel ventennale del sacrificio del martire. Lì vedo il cosiddetto
assassino ma poi la cosa mi passò di mente. Ci sono tornato sopra
quando ho letto un libro, “Fattacci di gente di provincia”, che l'autore,
il giornalista nisseno Walter Guttadauria, mi mandò. Me lo mandò
perché io avevo scritto “Il birraio di Preston”, che si svolgeva
a Caltanissetta, e lui mi inviò la vera storia di quello che era
successo in occasione della prima teatrale dell'opera, realizzata sempre
a Caltanissetta. Il libro era pieno di fatti interessanti tanto che, con
il suo permesso, saccheggiai un episodio che poi misi in un Montalbano.
Ma una parte importante di questo libro era sul fatto di Gigino Gattuso,
martire fascista.»
Le tornò così in mente quell'episodio vissuto realmente
in gioventù...
«Sì, e scoprii che c'erano dei sospetti molto seri sulla
versione dei fatti che era stata accreditata. Gigino Gattuso non era stato
ammazzato dal feroce comunista, che io avevo visto piangere nel '41, ma
bensì, per errore naturalmente, da un altro camerata durante l'aggressione
al comunista. Si direbbe oggi da fuoco amico. Ora, tutto questo non venne
chiaramente fuori durante il processo del '24, con il fascismo saldamente
al potere perché aveva superato la crisi Matteotti. Però
in quel processo si ribaltarono le conclusioni del primo. Nel primo, appunto,
si disse che era omicidio volontario, nel secondo invece si disse che l'assassino
aveva "agito in stato di legittima difesa e quindi se ne ordina l'immediata
scarcerazione e la restituzione dell'arma illegalmente detenuta".»
Una vera e propria retromarcia...
«Si trattò di una sentenza di comodo che mise in libertà
quello che fino a quel momento era stato considerato un assassino al punto
che lui stesso si considerò tale. Perché la cosa strabiliante
è che il Ferrara credeva di aver realmente ucciso il giovane. Ci
furono due colpi partiti contemporaneamente ma quello che uccise il fascista
era stato sparato in realtà dall'altro camerata. La conclusione
è che, essendo il fascismo imperante, ed essendo l'unico martire
fascista siciliano, si sfruttò questo povero ragazzo ammazzato a
diciotto anni da un suo compagno, e lo si trasformò in un simbolo
della fede fascista della Sicilia. Gli vennero intitolate scuole, aule
magne, tutto. Anche se il processo mise questi dubbi fortissimi.»
Una storia intrigante per uno scrittore come lei...
«Infatti mi ha tentato molto, anche perché in contemporanea
stavo leggendo l'incredibile storia di una città inesistente se
non nelle fotografie, che è Mussolinia. Nel '24, proprio mentre
si svolgeva il processo, venne fondata una città nei pressi di Caltagirone,
intitolata a Mussolini. Si costruirono due torri, si spianò un po'
di terreno e Mussolini, quando arrivò nel '24, mise la prima pietra,
che però non fu la prima perché appunto c'erano già
le torri. Sei anni dopo il duce se ne ricordò e chiese a che punto
fosse la costruzione della città. Tutti piombarono nel panico perché,
nel frattempo, non esistevano più neanche le due torri, in quanto
erano state smantellate dai pastori per costruire delle case. A quel punto
realizzarono un fotomontaggio e glielo mandarono. A Mussolini il fotomontaggio
piacque moltissimo, tanto che ne mandò una copia alla Sonzogno casa
editrice perché inserisse Mussolinia nelle cento più belle
città d'Italia. Ma non finisce qui. A Caltagirone, gli avversari
dei fascisti che erano al potere, realizzarono una cosa meravigliosa. Fecero
un secondo fotomontaggio facendo credere che nella città era arrivato
il mare che si trova a 95 chilometri di distanza. E nel retro c'era scritto
"Duce, siamo riusciti a portare il mare a Mussolinia". Mussolini capì
l'inganno e così Caltagirone, che era in lizza con Enna per diventare
capoluogo di provincia, perse la contesa.»
Perché l'idea di mettere queste due storie insieme?
«Perché oggi viviamo in un mondo nel quale non sai qual
è la linea di demarcazione tra realtà virtuale e realtà
vera, e le storie che ho raccontato sono un primo rozzo, ma riuscito, tentativo
di alterazione della realtà. Per quanto riguarda l'oggi, all'età
venerabile di ottant'anni sono sconvolto da quello che succede. Le televisioni,
che fino ad un certo momento sono state fabbriche del consenso, oggi hanno
fatto un salto in avanti e sono diventate fabbriche del credere. Del credere
in che cosa? In una fede di comodo. E lo abbiamo visto nella guerra all'Iraq.
All'Onu gli americani mostrano del materiale in base al quale Saddam Hussein
avrebbe avuto armi di distruzione di massa. Armi, che, secondo il primo
ministro britannico Blair, sarebbero state capaci di distruggere una città
europea in 48 ore. Quindi c'è la necessità della guerra preventiva
prima che questo dittatore pazzo scateni l'apocalisse, costi quel che costi
in vite umane. Dopo di che veniamo a sapere che queste armi non c'erano.
Colin Powell dice "sono stato ingannato". Ingannati in realtà siamo
stati noi. Però, malgrado questo, il presidente Bush viene rieletto
con quella maggioranza che aveva solo sognato nelle prime elezioni. Quindi
è diventata una fede difficile da sconfiggere assai di più
di una fede religiosa, perché è una fede di comodo.»
La difficoltà a leggere la realtà per quella che è
passa anche attraverso la rilettura della storia in chiave politica. Che
cosa ne pensa?
«Un revisionismo storico che sia un sano revisionismo, è
ammesso, è giusto, è doveroso. Tu non puoi sentire sui fatti
della storia una solo voce. Ne devi sentire anche altre. Che si facciano
le trasmissioni televisive su Cefalonia, per cancellare un lungo silenzio
su un fatto straordinario che ha caratterizzato l'esercito e non i partigiani,
è giusto e parte da una giusta revisione storica. Ma quando il revisionismo
parte da un presupposto politico è già un errore storico.
Cioè l'oggettività storica è andata a farsi benedire.
Ecco perché io ho scritto questo libro. L'ho scritto per dire "guardate
che le radici di tutto questo non nascono ora, ma parecchio tempo addietro".»
Vittorio Bonanni
La Sicilia, 15.4.2005
Barrafranca, conclusa la prima serata di confronto su Tabucchi
Il Cafè letterario apprezzato dai giovani
Barrafranca. Si è conclusa con una buona partecipazione la prima
serata del «Cafè Letterario» dove ha suscitato interesse
la discussione su uno scrittore contemporaneo come Antonio Tabucchi da
parte di Tina Cancilleri la quale ha lanciato un modo nuovo di coinvolgere
gli intervenuti e gli appassionati di letteratura discutendo e, magari,
sorseggiando una bevanda al fine identificare il tutto in una passione
del mondo letterario.
Un modo per incentivare la discussione su alcuni testi anche di scrittori
siciliani dove oltre all'attività didattica nella scuola per i più
giovani la serata di discussione di un autore può essere un modo
di riscoprire alcuni testi di letteratura per alcuni depositati nel "cassetto".
Tina Cancilleri laureata in filosofia, studiosa e amante della letteratura
italiana e straniera ha stretto rapporti di collaborazione con il famoso
scrittore Andrea Camilleri dove oltre a intervistarlo per lo studio sul
romanzo storico e sul suo libro come "Il Re di Girgenti" ha avuto l'occasione
di iscriversi come fan del Club Camilleri e tenere contatti con il proprio
amato scrittore.
[...]
Renato Pinnisi
Io Donna (supplemento del Corriere
della Sera), 16.4.2005
Tutto insieme appassionatamente
Che la lentezza sia un lusso maschile? Qualche fanatico del ritmo sfrenato
dissente. Altri incolpano la latitudine. Cinque uomini osservano le signore
in corsa. Con sguardi solidali. E un consiglio.
[...]
Andrea Camilleri, scrittore.
"Poveracce, corrono: non è una bella condizione. Ricordo come
correva sempre mia moglie, quando lavorava in ufficio fino alle cinque
e poi doveva dedicarsi a tre figlie. E pure al marito. Devo però
riconoscere che le nuove generazioni di uomini stanno cambiando: vedo i
miei generi fare la loro parte in casa e coi figli, cosa che per me sarebbe
stata inconcepibile. Non c'è dubbio: la lentezza è un lusso
maschile. Per l'uomo meridionale poi... Non è uno stereotipo: il
meridionale continua a prendersela comoda. Io, per aver lavorato in teatro
e in televisione, credo di aver acquisito il senso del tempo. So quando
posso permettermi di rallentare, ma se dispongo a piacimento del mio tempo,
me lo prendo tutto. La mia natura è quella di non correre mai, e
oggi è bellissimo: sono un pensionato di quasi ottant'anni, che
scrive romanzi, me la posso prendere estremamente comoda. Anzi, è
mio dovere: il tempo lento è indispensabile per produrre dei buoni
lavori."
[...]
Emanuela Zuccalà
La Sicilia, 16.4.2005
Ragusa. Il regista Sironi definisce le location e rammarica l'assenza
del Duomo di Ibla
Ragusa. Le impalcature che nascondono la facciata esterna del
Duomo di San Giorgio ne impediranno le riprese televisive nella famosa
fiction del Commissario Montalbano. A confermarlo e' il regista Alberto
Sironi che ieri mattina, dopo l'incontro di giovedi' al Comune, ha avuto
un breve confronto con i funzionari e i vertici dell'Aapit. "Purtroppo
le impalcature non ci consentiranno di effettuare delle riprese da vicino
- spiega il regista Sironi - Probabilmente faremo delle riprese a piu'
ampio raggio in modo da non far capire che si tratta di impalcature. In
ogni caso Ibla ha degli angoli bellissimi che potremo ugualmente sfruttare".
La troupe e' arrivata da qualche giorno. Le riprese inizieranno lunedì
e serviranno a realizzare altri quattro episodi televisivi. "Ogni volta
che torniamo va sempre bene - dice Sironi - Ritrovarci da queste parti
e' molto bello. Siamo diventati siciliani anche noi. Gireremo gli ultimi
episodi. Ne faremo quattro, due tratti dai romanzi, ed in particolare da
"Giro di boa" e "La pazienza del ragno" e due dai racconti di Camilleri".
Perche' parla di ultimi episodi? C'e' una connessione tra la fiction televisiva
e l'annunciata morta letteraria del personaggio Montalbano? "La morte letteraria
di Montalbano non e' stata ancora pubblicata da Camilleri. In effetti potrebbero
esserci ancora altri episodi ma dipendera' da molti fattori, dalla Rai,
dagli attori, dal pubblico". Si inizia a girare a Brucoli con alcune scene
che vedono protagonisti gli extracomunitari. Nel "Giro di boa", infatti,
e' prevista la scena di uno sbarco di clandestini. Nei giorni scorsi si
sono avuti i casting con molti cittadini di colore residenti in provincia
di Ragusa che si sono messi in gioco dinnanzi gli obiettivi della troupe.
"La scena iniziale racconta di uno sbarco che gireremo a Brucoli, in provincia
di Siracusa - conclude Sironi - poi ci sposteremo anche nella realta' iblea
per proseguire le riprese". Per gli immigrati c'e' uno sforzo in piu'.
In molti devono conciliare i tempi delle riprese televisive con quelle
del lavoro. Si stanno gia' organizzando partendo in autobus alle quattro
del mattino per poi cercare di rientrare il prima possibile. Intanto al
Comune di Ragusa il produttore della Palomar, Carlo Degli Esposti, ha incontrato
i sindaci di Ragusa, Modica e S. Croce oltre al presidente dell'Ap e rappresentanti
Aapit.
Michele Barbagallo
Il Domani.it, 19.4.2005
Catanzaro
Incontri con gli scrittori
Nell'ambito del programma "Giallo, rosso, rosa, blu... colore d'autore"
il Masciari sarà teatro di incontri con scrittori italiani: martedì
26 aprile il "giallo" Sardegna di Marcello Fois, incontro condotto da Claudia
Pulice, letture di Daniela Scarlatti; lunedì 2 maggio il "rosa"
e il "blu" i colori della poesia di Patrizia Valduga, incontro condotto
da Davide Lamanna. Rinviato al 18 maggio il "rosso" storico di Andrea Camilleri,
incontro condotto da Maria Luisa Bigai, letture di Giovanni Carta tratte
da "Il re di Girgenti"; Interventi musicali della Binghillo Blues Band,
con la partecipazione degli studenti del liceo scientifico Siciliani, istituto
tecnico Einaudi e la collaborazione della biblioteca comunale "De Nobili".
Tutti gli appuntamenti saranno alle ore 18.30.
TGCom, 19.4.2005
"Tutte le mattine" compie un anno
Fiorello festeggia a sorpresa Costanzo
[...]
Fiorello nella sua trasmissione radiofonica annuncia anche il maestro
Andrea Camilleri "assunto - ha detto Fiorello - dal Vaticano perché
è lui che si occupa delle fumate (Camilleri è un grande fumatore,
ndr). Per la fumata nera fumerà tre o quattro toscani - ha detto
Fiorello - per la fumata bianca del cotone".
[...]
Scicli, 20-04-05
Le location del commissario Montalbano a Scicli
La troupe della Palomar, che produce per conto della Rai lo sceneggiato
televisivo, sarà in città dal 14 al 17 maggio
Commissario Montalbano, sesta serie. La Palomar, società che
produce lo sceneggiato televisivo ispirato ai libri di Andrea Camilleri,
ha reso note le location in cui saranno ambientate le ultime due puntate
del serial. In una lettera al sindaco di Scicli, Bartolomeo Falla, la Palomar
ha annunciato che sarà in città dal 14 al 17 maggio prossimi.
Due le puntate che verranno girate in provincia di Ragusa dal 27 aprile
al 29 maggio per la regia di Alberto Sironi e le scene di Luciano Ricceri.
Tre i siti che diventeranno set dello sceneggiato ispirato ai libri
di Andrea Camilleri: il 14 maggio si gira davanti l’ingresso dell’ospedale
Busacca, nella strada prospiciente, dal passaggio a livello ferroviario
fino al cimitero; il 16 maggio sarà la volta della chiesa di San
Bartolomeo, dove dovrebbe essere girata la scena di un funerale. Qui il
set si estenderà alle strade laterali della chiesa fino a piazza
Italia. Il 17 maggio si girerà in via Mormina Penna, o meglio, in
piazza Municipio, dove verrà ripreso l’ingresso del palazzo comunale.
Il set televisivo si estenderà anche al tratto di via Nazionale
antistante la piazza.
E’ chiaro che gli automobilisti e i residenti dovranno sopportare qualche
sacrificio. Il comando di polizia municipale predisporrà di divieti
di sosta e in alcuni casi anche i divieti di transito. Ma non c’è
dubbio che il gioco valga la candela. Negli ultimi anni Scicli ha ricevuto
infatti una notorietà turistica notevole proprio grazie alla identificazione
della cittadina con la Vigata di Montalbano, mentre l’attore Luca Zingaretti
è diventato “uno di casa”.
Giuseppe Savà (Uff. Stampa Comune di Scicli)
Bresciaoggi, 20.4.2005
«Senza re né regno» un esordio forgorante
Domenico Seminerio il «nuovo» Camilleri
Qualcuno già associa il suo nome a Andrea Camilleri, ma «è
solo per l’età», si schermisce lui. Domenico Seminerio da
Caltagirone al suo primo romanzo è già un caso letterario.
Professore al liceo classico della sua città, è approdato
al giallo grazie alla sua passione per l’archeologia.
E ne esce una storia di mafia, di quelle che non si fermano alla superficie
ma vanno all’origine dei comportamenti. Quelli «mafiogeni»,
per così dire, che portano il protagonista di «Senza re nè
regno» (Sellerio) lungo una china che dall’idealismo giovanile scende
tutti i gradini dell’immoralità (compresa la relazione omosessuale
con un onorevole) e delle scelte politiche.
Un libro che stupisce, anche per lo stile di una scrittura siciliana
che accentua il regionalismo verghiano senza concessioni al dialetto. «Avevo
bisogno di un linguaggio che si adattasse al mio personaggio», dice
Seminerio. E siccome in Sicilia sono importanti le parole, ma anche i silenzi,
«ho usato molto le frasi nominali, frammentate, che costringono il
lettore alla pausa».
Come la cosa sia nata la racconta così. Faceva scavi archeologici
a S. Mauro. I contadini raccontavano della battaglia tra separatisti e
esercito italiano, proprio su quelle terre, il 29 dicembre 1945. La sua
famiglia d’altronde possiede terreni confinanti con quelli del capo separatista
Concetto Gallo, e l’argomento non gli è nuovo.
Parte da lì e ricostruisce la storia del movimento nel suo passare
dalla sinistra alla destra fino ad aprirsi alla mafia, che «entra
in politica tra il ’45 e il ’47 - sostiene Seminerio - con il meccanismo
delle 4 preferenze che permetteva di controllare ogni voto». In quel
contesto, il suo giovane protagonista, figlio di buona famiglia, partecipa
alla battaglia di S. Mauro, e per evitare future compromissioni viene mandato
al Nord. Dove incontra un mafioso, e si avvia per la china.
mi.va.
Giornale di Sicilia, 21.4.2005
Brucoli, set "blindato" per Montalbano
"La città impreparata a questi eventi"
La Sicilia, 22.4.2005
Guttadauria
L’ispiratore di Camilleri
Un libro giallo nel giallo.
L’acclamato "Privo di titolo", ultimo romanzo storico di Andrea Camilleri,
appena pubblicato e già balzato in vetta alle classifiche, ha un
debito di riconoscenza verso un altro libro, "Fattacci di gente di provincia",
del giornalista nisseno Walter Guttadauria, pubblicato dalle Edizioni Lussografica.
Camilleri che da ragazzino era stato portato ad assistere ad una adunata
delle camice nere proprio a Caltanissetta, voleva scrivere sull’omicidio
del giovanissimo fascista Gigino Gattuso. Omicidio di cui fu accusato e
condannato il socialista Michele Ferrara. Ma i socialisti sostennero
che invece Gattuso rimase ucciso dagli stessi squadristi coinvolti nel
tafferuglio col Ferrara. Un giallo in piena regola negli anni Venti, con
testi ambigui, una condanna che a molti sembrò politica, e quindi
l’assoluzione finale per legittima difesa pronunciata dallo stesso regime.
Insomma pane per i denti di Camilleri, abilissimo a costruire trame di
fantasia cucite su fatti storici, che quasi non credeva ai propri occhi
quando ricevette in dono il libro di Guttadauria, che contiene la minuziosa
ricostruzione di quel caso. Uno dei tanti fatti e fattacci in giallo della
provincia nissena dal 1713 al 1954.
(R.M.)
La Sicilia, 22.4.2005
Nostra inchiesta sul giallo siciliano. Parlano il catanese Cappellani
e la palermitana Gebbia
In due sulla scia di Camilleri
Catania e Palermo sono i palcoscenici ideali per i gialli umoristici
di Ottavio Cappellani e Valentina Gebbia. «Chi è Lou Sciortino»
e «Per un crine di cavallo» affondano le loro radici nella
cultura e nella gestualità del teatro siciliano di cui Camilleri
è maestro. «Ho un debito di riconoscenza verso il teatro siciliano,
da Nino Martoglio ad Angelo Musco» dice Cappellani. «Ho inventato
morti surreali. La lupara è volgare» dice Valentina Gebbia
Due città diverse, Catania e Palermo. Due palcoscenici ideali
per la carrellata di personaggi pittoreschi che fanno da spalla ai protagonisti
di gialli umoristici,diversi nella forma ma simili nella parlata dialettale.
Gialli che affondano le loro radici nella cultura e nella gestualità
del teatro siciliano di cui Camilleri è oggi l’indiscusso
maestro. Due giovani autori, Ottavio Cappellani, catanese, e Valentina
Gebbia, palermitana.
Cappellani col suo romanzo d’esordio, "Chi è Lou Sciortino?",
ha già fatto centro undici volte, tante sono infatti le case editrici
straniere, compresa la Cina, che hanno acquistato finora i diritti. I personaggi
del romanzo sono tutti sopra le righe e non manca niente come nella migliore
tradizione di gangster di casa (cosa) nostra: fucili a pompa, cannoli e
paste di mandorla, ammazzatine, locali chic della Catania bene dove può
capitare di essere accoltellati senza un cane che se ne accorga e
così Catania da città reale e riconoscibile qual è,
diventa set di un libro scritto come un film, con un linguaggio serrato,
impastato di un irresistibile siculoamericano.
- Cappellani, come nasce questo personaggio?
"Nasce bene, cioè nasce da solo. ’Chi è Lou Sciortino?’
è un romanzo corale, sono altri i personaggi che ’agiscono’, parrucchieri,
sciampisti, produttori cinematografici, attrici prosperose, registi pazzi,
picciotti impasticcati. Lou resta ai margini. E’ come se mi avesse voluto
dire poco di sé. Deve aver avuto un’adolescenza molto interessante.
Parla poco, ma sa essere sempre al posto giusto nel momento giusto".
– Quanto c’è di vero e quanto di inventato nella caratura dei
personaggi?
"Mi appello al quinto emendamento!"
- Come è nata l’idea di questo romanzo?
"Ci sono due tendenze in Italia, per quanto riguarda la letteratura
’mafiosa’. O parlarne con rabbia e indignazione, o non parlarne affatto.
Sappiamo invece che una conoscenza ’letteraria’ è possibile grazie
a un atteggiamento che riesce ad essere al contempo vicinissimo e lontanissimo
dal fenomeno. Francesco Durante, storico della letteratura italoamericana
e traduttore di John Fante, a proposito del mio libro, ha parlato di ’impassibilità
esilarante’. Ha detto bene: è proprio questa l’idea di partenza."
- Quanto ha lavorato per rendere quell’impostazione siculo-americana?
"Sono sonorità familiari grazie ad alcuni parenti di Porto Empedocle
che, emigrati in America, sono rientrati negli anni del boom economico.
Alcuni di loro parlavano proprio così."
- Quali sono i suoi referenti culturali e letterari?
"Ho un debito di riconoscenza verso il teatro siciliano, da Nino Martoglio
ad Angelo Musco. Verso la loro capacità di restituire un personaggio
attraverso l’uso del linguaggio. Ogni personaggio una "lingua" diversa."
- C’è uno scrittore in cui si riconosce?
"Mi riconosco negli scrittori che preferiscono ’narrare’ più
che ’descrivere’. La sperimentazione sul linguaggio mi interessa in quanto
dà forza alla scena, non come virtuosismo. Per questo ringrazio
il mio favoloso editor, Giuseppe Russo, che mi ha tenuto sulla retta via
dicendomi: Mai spiegare quello che si può far vedere".
- Ha temuto il confronto con Camilleri?
"Macché. Mia madre è di Porto Empedocle. Mi sembra una
sorta di "zione" simpatico!"
- Lou Sciortino sta facendo furore, la verità: si aspettava
questo successo?
"Abbiamo lavorato molto seriamente. In questo campo non si può
mai essere sicuri di niente. Ma quando il libro è andato in stampa
avevamo la coscienza a posto. Il lavoro era stato svolto a dovere."
- Per un esordiente è sempre difficile trovare credito presso
gli editori, com’è approdato da Neri Pozza?
"Mandando quaranta pagine con un abbozzo del manoscritto via posta.
Dopo una settimana è arrivata la telefonata di Giuseppe Russo che
mi proponeva un contratto."
- Lou Sciortino avrà un seguito?
"Mi sembra altamente probabile. Non subito però. Adesso c’è
un progetto che mi furria in testa da tanto tempo".
Valentina Gebbia è l’unica giallista italiana-siciliana
umoristica. Conoscerla di persona è come ammirare il mare azzurro
di Sicilia in un giorno di sole. Il suo ultimo romanzo, ambientato a Borgo
vecchio, "Per un crine di cavallo", appena pubblicato, a Palermo è
balzato al primo posto nelle vendite e interesse sta suscitando anche in
Germania.
- Gebbia, perché ha scelto proprio l’abusata Palermo come teatro
dei suoi romanzi?
"Palermo, è la mia città, perché non dire di essa
ciò che nessuno diceva? C’è la Palermo dei palazzi nobiliari,
quella del sacco edilizio, la Palermo dell’arte e della cultura, la Palermo
dei mercati storici, quella delle periferie, la Palermo che odora di mare
e quella che puzza ancora di tante cose. Ci sono numerose Palermo...e c’è
la Palermo del Borgo Vecchio. Il quartiere in cui vivo. Non quello borghese
in cui sono nata, ma quello che somiglia a un mondo a parte, una repubblica
indipendente I miei investigatori al Borgo ci abitano.
- Parliamo di Terio e Fana: chi sono realmente i suoi investigatori?
"Non sono poliziotti né detective tradizionali, non sono magistrati
né giornalisti. Semplicemente, due fratelli pigri e disoccupati,
antieroi per eccellenza. La sede della loro Agenzia, la Mangiaracina investigazioni,
che esiste solo nell’immaginario della gente della zona, è l’antica
cucina di casa, con una consulente d’eccezione, la madre vedova Mangiaracina.
Terio e Fana sono due single di mezza età pieni di tic e manie,
dalla fissazione per il cibo della sorella, al continuo brontolare del
fratello, ’spirito di contraddizione’, palermitano sui generis, che odia
mare e clima siciliano."
- I misteri in cui si trovano invischiati, loro malgrado, sono sempre
piuttosto ingarbugliati e sopra le righe, perché questa scelta?
"Qui in Sicilia, si uccideva quasi esclusivamente a colpi di lupara,
arma irrispettosa deflagrante, volgare. La violenza è sempre volgare
e così ho cercato d’inventarmi delle morti un po’ surreali, mai
gratuite, ai miei occhi più sopportabili. Sono una che s’innamora
se scrive d’amore e ha paura delle sue stesse parole, se scrive di morte
e crudeltà. Ho stemperato il tutto nello scirocco, che per me non
è solo un vento, ma quasi un modo di essere, una dimensione dell’anima.
La mia Sicilia e le sue storie, assomigliano più a certe atmosfere
sudamericane, sonnolente e profumate di sole. Mentre su tutto aleggia un
velato umorismo che alleggerisce anche i più turpi aspetti della
vita umana."
- Cosa nasconde la voluta leggerezza di fondo nei suoi scritti?
"Qualcuno ha scritto di me che ho scelto la strada della leggerezza
per sopportare la pesantezza della vita e credo abbia ragione."
- Quanto di lei c’è nelle sue storie?
"C’è qualcosa di me in tutto ciò che descrivo, dalle
giornate assolate, al nero delle rocce affacciate sul mare. Pare che nelle
vene dei siciliani scorra la lava dei nostri tanti vulcani, accesi o silenti
che siano, ed è anche per questo che so di essere siciliana."
- Lei è stata ospite di Radiodue con Camilleri, come è
stato il confronto col maestro?
"Camilleri è stato delizioso nei miei confronti, in onda e fuori
onda. Mi ha commosso. Gli ho spedito una lettera e ’Erba Celeste’ che non
aveva letto."
Roberto Mistretta (3 - continua)
Nove da Firenze,
22.4.3005
Reporters di guerra testimoni di pace
Giandomenico Picco, ex sottosegretario generale ONU, a Scandicci per
Reporter di Pace
E' il titolo del I° “Colloquio (della pace, dei diritti, della nonviolenza)
di Santa Fiora” (promosso con il sostegno della Regione Toscana), dedicato
ad un tema che le convulsioni del “dopoguerra” iracheno, la vicenda che
ha visto come involontaria protagonista Giuliana Sgrena e i tanti “conflitti
dimenticati” del mondo contemporaneo rendono di drammatica attualità.
Ad invitare, il prossimo 23-24-25 Aprile, interlocutori autorevoli
(alcuni nomi: Claudio Martini, Ali Rashid, Mimmo Candito, Loris Campetti,
Stefano Marcelli, Paolo Serventi Longhi, Giovanna Botteri.. ) a discuterne
a Santa Fiora , sul Monte Amiata, terra di origine di Ernesto Balducci
e “luogo simbolo della cultura della pace e della nonviolenza”, è
l’Associazione “Uomo planetario” promossa dal Comune di Santa Fiora e dall’Associazione
Consultacultura, da “Testimonianze”, dall’ARCI e dalla CGIL regionali.
“Uomo planetario” ha già ricevuto l’adesione o il sostegno del Patriarca
di Gerusalemme, dello scrittore Andrea Camilleri, dell’attrice Laura Morante,
delle ACLI, della Comunità Montana del Monte Amiata Grossetana,
dell’Amministrazione provinciale di Grosseto, della Diocesi di Pitigliano,
del Centro di accoglienza “Balducci” di Rugliano (UD). L’Associazione,
che nasce dalla necessità – avvertita dai costituenti – di pensare
la cultura della pace e la nonviolenza (e di connetterle saldamente alla
promozione della cultura dei diritti) ha, come punti ideali di riferimento
il Mahatma Gandhi, e i maestri italiani della cultura della pace, come
Ernesto Balducci e Tom Benetollo, il Presidente dell’ARCI prematuramente
scomparso, che fortemente volle che Santa Fiora assumesse il ruolo per
il quale oggi l’Associazione sta lavorando.
[...]
Il Venerdì,
22.4.3005
Montelupo vs Vigata
Barbareschi sono, commissario
In tv sarà il protagonista di una serie di gialli ambientati
sull'Appennino
Sarà impossibile non fare paragoni: tra il Montalbano interpretato
da Luca Zingaretti e il commissario Soneri portato sul piccolo schermo
da Luca Barbareschi. La sfida tra i due investigatori andrà in onda
in autunno. Per ora è "confinata" alle librerie, dove è appena
arrivato "Le ombre di Montelupo" (Frassinelli, pp. 256, euro 14,50), terza
avventura del commissario Sonerri. Il personaggio ideato dal giornalista
Valerio Varesi deve vedersela con un giallo familiar- finanziario che stravolge
la tranquilla vita di un paesino dell'Appennino. Montelupo come Vigata?
Le Temps.ch, 23.4.2005
Samedi culturel
Lire en Italie
L'Italie est l'invitée du Salon du livre qui s'ouvre mercredi
prochain à Palexpo. L'occasion de dresser l'état des lieux
de l'édition transalpine grâce au «passeur» Jean-Noël
Schifano. L'occasion surtout de dédier ce numéro du Samedi
Culturel à la littérature et, plus largement, à la
créativité italiennes.
Un marché qui frôle les 4 milliards d'euros. Près
de 700 maisons d'édition. Une profession organisée. Plus
de 50.000 nouveaux titres par an, malgré l'inertie des pouvoirs
publics. Une myriade de prix littéraires. Des foires du livre, comme
celle de Bologne. En Italie, le monde de l'édition est une véritable
ruche, même si le lectorat reste limité, et si quelques grands
groupes super-puissants ont tendance à faire peser leur monopole.
Où en est-on aujourd'hui? Réponses de Jean-Noël Schifano,
un «passeur» qui a traduit Elsa Morante, Leonardo Sciascia,
Italo Svevo, Alberto Savinio, Umberto Eco. Et qui a dirigé des collections
de littérature italienne (chez Desjonquères, Fayard et Flammarion)
avant de s'occuper chez Gallimard de l'excellente collection Continents
noirs, réservée à la littérature africaine
de la diaspora.
SAMEDI CULTUREL: Comment peut-on décrire l'édition italienne,
dans ses grandes lignes?
JEAN-NOEL SCHIFANO: Actuellement, il y a deux groupes très puissants,
installés à Milan. Rizzoli, d'abord, auquel sont attachées
des maisons comme Bompiani, Fabbri, Marsilio. Ce groupe est contrôlé
par un conseil de syndicats, de banques, d'assurances. Il est assez libre
face au pouvoir en place, contrairement au second groupe: le géant
Mondadori qui, lui, chapeaute Einaudi ou Electa, et qui dépend de
Berlusconi. A côté de ces deux surpuissants, vous avez un
éditeur comme Feltrinelli, qui possède l'identité
la plus forte et qui reste indépendant, avec son réseau de
distribution et de libraires. Il faut aussi, bien sûr, citer Adelphi,
qui est lié au groupe Rizzoli mais qui a su conserver une certaine
autonomie. Enfin, il y a tout le réseau autour des Messaggerie italiane:
Longanesi, Guanda, Ponte alle Grazie (Le Pont aux Grâces), une maison
assez dynamique. Voilà pour l'essentiel.
– Y a-t-il des éditeurs plus modestes, mais importants pour
la vie littéraire?
– Bien entendu. A Palerme, par exemple, on trouve l'excellent Sellerio
où Sciascia avait créé une collection de textes oubliés,
La Memoria. Cette maison continue à travailler dans le même
esprit. Elle a fait traduire Hector Bianciotti, Angelo Rinaldi, ou des
auteurs américains de premier ordre. Ce n'est pas du tout un éditeur
provincial, bien qu'excentré, mais une sorte d'Actes Sud qui lance
beaucoup de jeunes Italiens, et aussi des Siciliens.
[…]
– On traduit pas mal d'auteurs italiens en France. Cette activité
est-elle suffisamment cohérente?
– Non, hélas! La littérature transalpine continue à
être considérée comme une roue de secours. Et puis,
on pratique trop ce que j'appelle «la persillade»: on traduit
un seul livre d'un auteur et, si ça ne marche pas comme on le souhaite,
on l'abandonne; il arrive parfois qu'il soit publié dans une autre
maison, et cette politique est très mauvaise. Il faudrait qu'il
y ait plus de constance, de cohérence. Il faudrait également
de meilleurs sourciers, des gens éclairés qui ne soient pas
des amateurs jonglant avec quelques écrivains à la mode.
Il y a également la question de l'éparpillement: si un romancier
comme Andrea Camilleri n'a pas chez nous le succès qu'il mérite,
c'est peut-être parce qu'il est tiraillé entre plusieurs traducteurs
et éditeurs.
[…]
– Quel regard portez-vous sur la littérature actuelle?
– Je pense qu'elle régresse. C'est inquiétant. Je ne
vois pas d'héritiers d'Elsa Morante, de Sciascia, de Moravia, de
Pasolini. Il reste certes Lucarelli, Marcello Fois, Erri De Luca, Antonio
Tabucchi ou Vincenzo Consolo. Mais où trouver un Gadda, actuellement?
Par contre, les jeunes romanciers italiens me semblent moins nombriliques
que les nôtres. Et puis, il existe dans ce pays une littérature
parallèle, une littérature de dialectes: elle s'écrit
dans les langues non officielles des différentes régions.
C'est le cas du Sicilien Andrea Camilleri, par exemple, mais il n'est pas
le seul. Cet aspect-là me semble très positif.
Isabelle Rüf
La Sicilia, 23.4.2005
Tutti pazzi per Montalbano
Tutti pazzi per Montalbano. L'imminente arrivo della troupe della Palomar,
la casa di produzione della fortunata serie televisiva ispirata al romanzo
di Andrea Camilleri, che ha valorizzato le bellezze del territorio ibleo,
rendendo noti al grande pubblico i "luoghi di Montalbano", sta creando
fibrillazione fra i sindaci delle città in cui verranno girate le
scene della fiction Rai. Un esempio per tutti è il fermento che
c'è a Punta Secca, la località balneare dove si trova la
villa del commissario Montalbano. Nel passato il Comune di Santa Croce
Camerina aveva realizzato degli interventi specifici di sistemazione, per
migliorare la resa estetica della piazzetta dove c'è la villa del
commissario, valorizzandola con fioriere e panche decorative. Un intervento
mirato a abbellire un luogo che improvvisamente è diventato meta
di visitatori esclusivamente per la presenza di questa villa. Addirittura
il Comune ha soprannominato la piazzetta Montalbano. Insomma, il turista
che arriva in questo luogo non ha dubbi sul connubio esistente fra la villa
del commissario e il contesto circostante.
Quest'anno però la casa di produzione della fiction si è
fatta più esigente, ha chiesto maggiore collaborazione da parte
dei Comuni. E i sindaci di Santa Croce Camerina, Scicli e Ragusa non si
sono fatti pregare. A Ragusa a Palazzo Cosentini il restauro è stato
fatto in tempo record per approntare il luogo che diventerà la sede
del Commissariato. Nelle stanze sono stati messi gli intonaci di colore
ideale per le riprese cinematografiche. A Santa Croce, invece, il sindaco
ha accontentato la richiesta di semplicità dell'arredo urbano nella
piazzetta.
Così proprio quegli elementi aggiuntivi di decoro urbano, che
erano stati inseriti nella piazza, per renderla più bella, sono
stati tolti. «Abbiamo eliminato fioriere e panche - spiega il sindaco
Lucio Schembari -; in effetti, con le esigenze delle riprese non c'entravano
nulla». Insomma i sindaci ragusani ragionano ormai in una perfetta
logica di marketing cinematografico.
Rossella Schembri
ANSA, 24.4.2005
Esordio nella fiction per De Silva
Tra autori episodi figurano anche Camilleri e Ammaniti
Salerno - Lo scrittore Diego De Silva firmera' nel 2006 per la Rai un
film tv per una serie, dal titolo provvisorio 'Crimini'. Gli episodi sono
tutti firmati da scrittori. 'Il mio film per la tv sara' un thriller psicologico
- anticipa De Silva al festival di immagini creative, Linea D'Ombra -.
Un progetto interessante che vedra' in prima linea 7-8 grandi scrittori,
tra cui Camilleri e Ammaniti, i cui lavori saranno pubblicati in un'antologia
che uscira', in estate'.
Gazzetta di Parma,
24.4.2005
Al di sotto d'ogni sospetto
Meno male che c'è Camilleri. La sua prosa, il suo ritmo, la sua
forza narrativa: il suo stile. Un'autentica boccata d'ossigeno, tanto più
nel panorama piuttosto asfittico di oggi, quando scrivere un libro non
solo è lo sport più praticato ma pare addirittura facilissimo,
sembran capaci tutti. Leggendo Andrea Camilleri ci si riconcilia con la
scrittura, quella vera. L'ultimo romanzo, «Privo di titolo»
( Sellerio), è l'ennesima conferma: è un volume fondato su
fatti di cronaca (la morte per omicidio di un fascista a Caltanissetta
nel 1921, e le mille persecuzioni che per quell'omicidio mai commesso ha
dovuto subire un muratore comunista) sui quali l'autore siciliano sa costruire
un altro geniale ghirigoro barocco, uno dei suoi, mescolando realtà
e creazione letteraria (tranne che nel primo e nell'ultimo capitolo) ma
soprattutto contaminando superbamente forme e linguaggi, storie e Storia.
Camilleri ripercorre i fatti passo passo: arriva addirittura a bloccare
i momenti cruciali con il «fermo immagine» per analizzarli
minuziosamente. Poi va oltre, racconta il dopo: l'immediata e frettolosa
edificazione dell'icona del «martire fascista ucciso da mano comunista»
e il suo crescere progressivo e smisurato (complici una stampa sempre più
prona, testimoni spuntati dal nulla e compiacenze varie), senza però
tralasciare una linea «investigativa», d'indagine pura, che
aiuti a ricostruire come sono andate davvero le cose quella sera. Il tutto
è cucito insieme in modo geniale, con un ricorso sapiente all'arte
della contaminazione e con un taglio già quasi cinematografico.
La forme, innanzitutto: il racconto «tradizionale», certo,
ma anche articoli di giornale, manifesti, verbali di polizia, addirittura
necrologi, che diventano come il resto strumenti narrativi a tutti gli
effetti. E poi naturalmente la lingua, o meglio «le» lingue:
un italiano impastato con il siciliano, il siciliano più stretto,
l'italiano forbito, da libro stampato («Il giudice non parlava come
si parla, ma parlava come si scrive»), addirittura il dialetto veneto.
Ne esce un mondo, la fotografia più che dettagliata di una realtà
(«pianerottolo» compreso: la tresca tra la moglie del prefetto
e il questore, ad esempio) e di un preciso delicatissimo momento storico,
a fascismo non solo montante ma sempre più imperante: gli scontri
di piazza, le violenze, i funzionari zelanti pronti a far carriera (ma
per fortuna c'è anche chi crede ai fatti), le mistificazioni sempre
più macroscopiche della stampa, che crea e amplifica «la»
verità. L'affresco è minutissimo: accurato e meraviglioso.
E ha tocchi di comicità impareggiabili: tutta la vicenda di Mussolinia
la «città fantasma» che esisteva solo in fotografia
e le stesse apparizioni nel testo di Mussolini («il Cavaliere»)
raggiungono livelli gaddiani: «Nella foto, Mussolini indossa un capputtuni
pisanti, aperto, sotto il quale s'intravvede una doppio petto scuro di
almeno una misura cchiù nico per la so stazza. Dalle maniche evidentemente
troppo corte della giacchetta e del capputtuni fuoriescono dù polsini
rigiti, bianchissimi e larghissimi, quasi da pagliaccio da circolo equestre.
Porta le ghette in bella vista macari a causa dei pantaloni a livello osso
pizziddro e in testa ha una bombetta che non gli trase bene». Non
ci si faccia però trarre in inganno dal registro prevalente o dagli
sfavillii della forma: l'intento di fondo, come si dice, è serio,
e dietro tutti i lustrini, le magiche capriole della prosa, ciò
che mostra Camilleri non è altro che la ferocia della mistificazione
e del suo potere, di cui finiscono per essere vittime sia il presunto omicida
sia, in sostanza, il morto: «Dato che scrivendo questo libro non
mi è passato manco per l'anticamera del ciriveddro un sia pur minimo
intento denigratorio nei confronti di quel poviro picciotto ammazzato a
diciotto anni, mi pare di dover dire che la verità su Gigino Gattuso
venne fora tutta quando cancellarono dalla targa l'aggettivo «fascista»
e lassarono scritto solamente «Martire». Gigino fu il protomartire
di una realtà stracangiata con violenza dalla volontà politica,
dai giornali accodati a quella volontà politica, dalla cosiddetta
opinione pubblica orientata dal potere. Sulla morte di Gigino Gattuso,
e proprio senza alcun rispetto per la sua morte, venne costruita una solenne
mistificazione che sostituiva la realtà con una realtà virtuale,
inesistente. Lo stesso 'ntifico di quello che capitò con la città
di Mussolinia. Solo che Gigino Gattuso la vita ce la rimise pi davero.
E il comunista Michele Ferrara, chisto il nome sò, che passò
per assassino, patí incolpevole una via crucis, un vero martirio
di arresti e confino, fame e umiliazione, per anni e anni». I temi,
insomma, sono «alti», e «di peso». A tal punto
da travalicare l'hic et nunc e da proporsi in chiave universale: certo,
anche per l'oggi (d'altra parte i paralleli e i riferimenti possibili sono
più d'uno). Cosí, non disdegnando il «pianerottolo»
(anzi utilizzandolo quando serve, e per certi versi non staccandosene mai
del tutto), Camilleri sa spingersi molto in là: «Privo di
titolo» affascina proprio per la sua ampiezza di spettro, per la
varietà dei registri e dei toni, per la struttura composita e perfetta
(ben controllata), per la capacità del suo autore di rendere fortemente
significanti queste trecento paginette che spaziano senza fratture dalle
corna alla marcia su Roma. In una parola, affascina per il suo «respiro».
Lisa Oppici
Adesso, 4.2005
Letteratura. Intervista al grande scrittore siciliano
La Sicilia di Camilleri
Il papà di Montalbano ci racconta cosa ama della "sua" Sicilia
La Sicilia in tre aggettivi
"Solare, scabra ed essenziale"
Un panorama mozzafiato
"Quello che si vede dalla terrazza di Enna"
Il piatto preferito del commissario Montalbano
"Le sarde alla beccafico"
A cosa non rinuncerebbe mai dell'Isola?
"All'isola stessa"
A cosa rinuncerebbe volentieri?
"Alla mafia"
Un luogo in Sicilia al quale è particolarmente affezionato
"Il tempio di Selinunte"
La sua spiaggia preferita
"Quella di Marinella a Porto Empedocle e poi Capocabana"
La stagione più bella per visitare l'isola
"La primavera"
Tre cose che un turista deve assolutamente fare
"Perché dare indicazioni? Il bello di andar in giro per l'isola
è proprio di essere liberi"
Tre cose che un turista non dovrebbe mai fare...
"Non dovrebbe mai sentirsi un turista"
Un proverbio che individui al meglio il carattere dei siciliano
"L'acqua ti bagna, il vento t'asciuga"
Il modo migliore per fare la conoscenza dei siciliani
"Un caffè in una piazza"
Prima di partire per la Sicilia si dovrebbe leggere
"Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia"
La caricatura di Andrea Camilleri è tratta dal sito molto bello
sull'autore siciliano: www.vigata.org.
Laura Tomassetti
La Sicilia, 26.4.2005
Nostra inchiesta sul giallo siciliano. Parlano Roberto Alajmo e Gaetano
Savatteri
Sulle tracce di Sciascia
Due noti giornalisti, entrambi grandissimi estimatori di Sciascia a
cui si ispirano per rigore stilistico e impegno sociale. Due scrittori
diversi ma simili nel trasfondere in libri di successo realtà talmente
incredibili da sembrare inventate. In Sicilia, Roberto Alajmo è
un volto noto. Giornalista Rai, lo vediamo spesso presentare il Tg regionale.
Col noir "Cuore di madre" ha conosciuto il successo. Poche settimane addietro
è stato pubblicato il suo nuovo libro: "E' stato il figlio" (Mondadori).
- Alajmo, quali storie le preme raccontare come scrittore ma che non
vuole o non può raccontare come giornalista?
"Quello del giornalista è un mestiere in via di estinzione.
Più aumentano gli spazi virtuali, più si vanno riducendo
i tempi di agibilità complessiva. E dunque mi verrebbe da rispondere:
tutte. Tutte le storie si bruciano nel giro di un paio di giorni e poi
diventano quasi sempre vecchie. Io invece vorrei sapere come vanno a finire
certi personaggi. Chi sa che fine ha fatto il Califfo di Cuccobello?"
- Quanto incide la territorialità, in questo caso la sicilianità
in lei come autore?
"Io vorrei, vorrei con tutte le mie forze sbarazzarmi della Sicilia.
Mi accontenterei di tenerla come semplice fondale, magari. Ma lei sgomita
per venire in proscenio. E' come quel molesto Paolini che appare dietro
i telegiornalisti e ruba loro la scena. Ecco: mi verrebbe da prenderla
a calci, certe volte, come fece Frajese una volta con Paolini. Ma nella
maggior parte dei casi è lei che prende a calci me."
- A parte Sciascia, che ha definito il suo maestro, c'è un modello
di scrittura o uno scrittore in particolare al quale si ispira?
"Sciascia è un maestro a tutto tondo, sia sul piano della letterario,
sia su quello dell'intellettualità, in senso generale. Ma è
un modello che considero inarrivabile. Per limitarmi ai modelli viventi
e stranieri, leggo sempre con interesse Nick Hornby, Joseph O'Connor, Emmanuel
Carrère."
- Lei scrive noir sui generis, non è un giallista puro, cosa
ne pensa del boom del giallo made in Sicily?
"Per quanto riguarda i polizieschi io mi regolo come con la carne,
e cioè dichiaro, mettendo le mani avanti, di essere vegetariano.
Dopodiché se trovo un posto dove la carne è buona, ma buona
veramente, allora la mangio, e con gran piacere. Non sarà coerente,
ma mi mette al riparo dal dover leggere un sacco di roba. Per quanto riguarda
i gialli 'siciliani' non mi pare di dovermi discostare da questa regola:
sono vegetariano, salvo eccezioni."
- Lei ha detto: "Fare lo scrittore è un mestiere parassitario
che al sud difficilmente rimarrà mai privo di ispirazione." Uno
scrittore siciliano quanta verità e quanta fantasia deve dosare
per essere credibile?
"Il mio ultimo romanzo è ispirato a una storia realmente accaduta.
Ebbene: ho dovuto smussare certi angoli di realtà perché
si trattava di particolari veri ma troppo grotteschi per risultare verosimili.
Quando si tratta di Sicilia per non cadere nella trappola del 'pittoresco'
bisogna tenere a freno la realtà, non la fantasia".
- Se fare l'analisi del sangue e determinare la malattia del Sud può
essere compito di uno scrittore, come ha dichiarato, a chi spetta la cura?
"Dovrebbero essere i politici a fare diagnosi, offrire risposte, a
mettere a punto una cura. Che poi lo facciano è un altro discorso.
E allora a un intellettuale toccherebbe il compito di fare l'analisi del
sangue anche a loro."
- E' più facile trovare la realtà vera dell'isola nei
libri o nelle cronache?
"Di recente trovo spunti più interessanti nei libri che sui
giornali. Ma il problema non è la mancanza di bravi giornalisti.
Il problema è che nessuno ti dà più il tempo di fare
un vero reportage o anche solo una vera intervista documentata. Quello
del giornalista è un mestiere anchilosato. Uno scrittore magari
è meno tenuto a certe regole e può restituire aspetti della
realtà che sfuggono alla rilevazione meramente cronachistica."
- Con quale metafora presenterebbe la Sicilia a uno straniero?
"La Sicilia è una madre che ama talmente tanto i suoi figli
che non li vorrebbe far crescere mai. Ne fa dei principi che non diventeranno
mai re. Dei principi bonsai."
- L'ironia con cui stempera la sua disillusione di scrittore siciliano,
può essere un'arma efficace per scuotere le coscienze?
"Me lo auguro di tutto cuore. Altrimenti sono fottuto."
Gaetano Savatteri nasce a Milano da una famiglia di Racalmuto, il paese
di Sciascia. Giornalista, è inviato del Tg5. Nel 2000 col romanzo
"La congiura dei loquaci", ricostruisce l'omicidio in piazza del sindaco
di Racalmuto, assassinato il 6 novembre 1944. Nel romanzo incontriamo anche
il giovane Sciascia, "Nanà". Del 2003 è "La ferita di Vishinskij",
di recente ha pubblicato "I siciliani" (Laterza).
- Quanto l'influenza del suo compaesano Sciascia ha inciso nei suoi
lavori?
"Mi sono nutrito dei libri di Sciascia, con una strana sensazione:
quella di vivere in un luogo e di ritrovarlo scritto nei libri. Una sorta
di doppia esistenza: reale, nella Racalmuto di ogni giorno; e letteraria,
nella Regalpetra dell'invenzione artistica".
- Sciascia diceva che "La letteratura è la più alta forma
che la verità possa assumere", è d'accordo?
"Bisogna considerare che nasco e sono giornalista e quindi con un radicamento
forte nella cronaca e nella realtà. A un certo punto, però,
ci si accorge che il reportage o l'inchiesta non bastano più per
raccontare le storie del nostro tempo. Ecco che allora si scivola verso
il romanzo nel tentativo di avvicinarsi alla verità attraverso la
finzione."
- Come è nata l'idea della congiura dei loquaci?
"L'idea mi è stata suggerita da Giovanni Bianconi, mentre scrivevamo
insieme 'L'attentatuni'. Bianconi mi invitava a rileggere le pagine di
Sciascia sull'omicidio del sindaco di Racalmuto, cercai e trovai, in un
vecchio armadio di una caserma dei carabinieri i verbali e gli atti dell'inchiesta
del 1944. Nella notte dell'omicidio decine di persone accusarono lo zolfataio
Centoedieci, del delitto del sindaco. Come Sciascia ero convinto che il
vero autore del delitto non fosse quell'uomo. A quel punto decisi di scrivere
un romanzo sull'ingiustizia e sui meccanismi che portano alla condanna
di un innocente."
- Un romanzo può essere un valido strumento di denuncia?
"Non so. Credo ai romanzi che raccontano storie, se poi denunciano
qualcosa è un valore aggiunto. Non credo ai romanzi-denuncia così
come ai romanzi-scandalo, quelli scritti solo per suscitare la bagarre
sui giornali e farsi un po' di pubblicità"
- "Si sente un giallista o questa definizione le sta stretta?
"Ormai tutti lo siamo e nessuno lo è. Perfino lo Shakespeare
del Macbeth è autore di un giallo o di un thriller, ma mi sembra
riduttivo. A me piace raccontare storie: il genere del giallo torna utile
perché, in ogni caso, spinge il lettore ad arrivare alla fine quantomeno
per risolvere l'enigma. Ma i gialli, quelli veri, quelli ben costruiti,
sono un'altra cosa: un meccanismo perfetto come un orologio e io non sono
abbastanza preciso e paziente per fare l'orologiaio".
- La Sicilia, il giallo, certi contesti, la scelta di attingere dalla
realtà la fanno sentire vicino o lontano a Camilleri?
"Fosse soltanto l'attinenza geografia implica che mi senta vicinissimo
a Camilleri. Ma non c'è solo questo. Camilleri mi è stato
vicino fin dal mio primo romanzo, con generosità e affetto, Con
entusiasmo ha accettato di dirigere il teatro di Racalmuto riaperto dopo
quarant'anni. E' un amico."
Roberto Mistretta (4 - continua)
Giornale di Sicilia, 27.4.2005
Siracusa
Piazza Duomo abbraccia Montalbano, un set "blindato" per Luca Zingaretti
Giornale di Sicilia, 27.4.2005
Catania
Cordio in mostra alle Ciminiere. Camilleri: intepretò la
natura
Il Domani.it, 28.4.2005
Catanzaro
Incontri con gli scrittori
Nell'ambito di "Giallo, rosso, rosa, blu... colore d'autore" il Masciari
sarà teatro di incontri con scrittori italiani: il 2 maggio il "rosa"
e il "blu" i colori della poesia di Patrizia Valduga, incontro condotto
da Davide Lamanna. Rinviato al 18 maggio il "rosso" storico di Andrea Camilleri,
incontro condotto da Maria Luisa Bigai, letture di Giovanni Carta tratte
da "Il re di Girgenti". Gli interventi musicali saranno della Binghillo
Blues Band, con la partecipazione degli studenti del liceo Siciliani, istituto
tecnico Einaudi e la collaborazione della biblioteca "De Nobili". Tutti
gli appuntamenti saranno alle ore 18.30.
La Sicilia, 28.4.2005
Il commissario Montalbano torna nel quartiere barocco
Con il basco marrone e i pantaloni in velluto, Luca Zingaretti, il commissario
Montalbano è riapparso ieri mattina fra le strade di Ibla. E' sempre
lui il più atteso fra tutti gli attori della fiction "Il commissario
Montalbano". Quando a Ragusa arriva "la troupe di Montalbano", così
la chiamano i ragusani, tutti cercano Luca, il commissario. Il primo ciak
per le scene degli episodi del "Giro di boa" e di "Par Condicio" è
stato fatto sul corso XXV aprile. Gli attori, il regista, i tecnici e le
comparse hanno lavorato per tutta la mattina all'interno di un palazzo.
Il traffico veicolare è stato bloccato da piazza Pola ai giardini
iblei e i turisti curiosi si sono fermati nella piazza, davanti alla chiesa
di San Giuseppe, per guardare almeno da lontano la macchina cinematografica
in piena attività.
"A Siracusa sono state riprese le scene dello sbarco di clandestini,
c'erano i bambini immigrati che si sono rivelati dei grandi attori - racconta
Marisa Emmolo della Banca del tempo iblea, l'associazione che ha aiutato
la produzione nella ricerca delle comparse sul territorio locale -; anche
io ho fatto una piccolissima comparsa, ho interpretato la dottoressa Mancini».
Giusy Baglieri ragusana ieri ha fatto da controfigura all'attrice svedese
Isabel Sollman, che avevamo visto in altre puntate de "Il Commissario Montalbano"
nei panni della conturbante Ingrid. "E' stato emozionante - racconta Giusy
-; intanto, perchè ho fatto da controfigura all'attrice e poi, devo
ammetterlo, sono salita a bordo di una fiammante macchina da corsa rossa
e quando mi ricapita?". "Il giro di boa" nasce dalla penna di Camilleri
dopo i drammatici fatti del G8 di Genova. Ci si trova di fronte a un Montalbano
diverso, che medita di dare una svolta alla propria esistenza, rassegnando
le dimissioni dalla polizia (la situazione politica non gli piace, certi
eventi di repressione e l'atteggiamento verso gli immigrati non li gradisce).
Così il commissario mentre nuota s'imbatte nel cadavere di un uomo
con i polsi e le caviglie segnati, un clandestino che è stato ucciso.
Rossella Schembri
Modica.info, 28.4.2005
Camilleri non è soltanto Montalbano
Camilleri non è soltanto Montalbano. Ben lo sanno i lettori più
attenti di questo autore che riesce sempre a regalare affreschi realistici
di una Sicilia fuori dagli stereotipi comuni. Succede anche con la sua
ultima opera, un romanzo che possiamo senza dubbio definire di tipo storico
e, come tale, assai utile per costruire il quadro di un’epoca su cui, negli
ultimi anni, si sta cercando di operare una mistificazione atta a cancellare
responsabilità e colpe, violenze e assassini.
Punto di partenza del romanzo è una “grande adunata giovanilfascistafascista”
per celebrare Gigino Gattuso, ”unico martire fascista siciliano”.
Era il 1941 e Camilleri, allora studente, raggiunse Caltanissetta dove,
mentre si spargevano fiumi di retorica, vide “un omo cinquantino, tutto
vistuto di nivuro” in preda ad un pianto tanto disperato da convincere
l’adolescente che “quell’omo a lutto era un parente stritto del martire”.
In realtà, come apprenderà dal padre, era l’assassino.
O meglio, come emerge fin dalle prime pagine, la vera e unica vittima della
violenza fascista.
Il romanzo, costruito su fatti di cronaca, non è un’opera fantastica,
sebbene l’autore – come precisa nella nota conclusiva – abbia con la fantasia
cambiato nomi a personaggi, non al falso martire tuttavia. Inoltre Camilleri
ha tratta materia per la propria narrazione da libri – usciti in epoca
abbastanza recente – che ricostruiscono alcuni episodi (come la costruzione
di Mussolinia) del fascismo siciliano.
Si avvale, quindi, di documenti storici e la struttura del libro alterna
parti narrativi a parti documentaristiche (come articoli di giornali e
lettere) che rendono particolarmente realistica la ricostruzione dei fatti.
Si tratta di un libro di non facile lettura per chi - scorrendo la scrittura
sempre piacevolissima di Camilleri, grazie all’uso particolarissimo che
lo scrittore fa del dialetto siciliano – ha difficoltà ad accettare
le menzogne e le falsità.
A rendere difficile la lettura è, infatti, la presa d’atto,
pagina dopo pagina, della grande ingiustizia consumata ai danni di Michele
Lopardo (questo l’uomo in lagrime conosciuto dal liceale Camilleri, considerato
l’assassino del giovane Gattuso) e verso il quale era stata organizzata
la spedizione punitiva da tre giovani fascisti tra i quali, appunto, vi
era la giovane vittima.
La difficoltà per il lettore scaturisce dalla profonda impotenza
della verità di fronte a fatti costruiti allo scopo di alterare
la natura dei fatti, contro i quali nulla può l’onestà di
quanti, veramente pochi, si mettono al servizio della verità, vittime
a loro volta di un sistema quanti hanno incarichi di responsabilità
sono ricattabili e manovrabili per la propria vita privata.
Camilleri ricostruisce la faciloneria con cui sono spesso la storia
vede sorgere i propri martiri, tirati su senza rispetto per la dignità
degli uomini coinvolti. Alla fine appare con chiarezza che le vittime,
entrambi dello stesso sistema di potere di cui uno era addirittura parte
attiva, sono due: il capomastro Lopardo, che si autoaccusa dell’omicidio
e che non potrà più riprendere in mano la propria vita, e
il giovane Gattuso, ucciso per errore e che non può essere considerato
responsabile della vendetta politica costruita dai vertici del fascismo
siciliano che non hanno rispetto per niente e nessuno.
Si ha la sensazione che questa ultima fatica di Camilleri non sarà
facilmente accettata dai revisionisti del fascismo che, forse perché
convinti che il tempo cancelli ogni cosa, continuano ad affermare che i
morti sono tutti uguali. Con il chiaro obiettivo di sminuire i morti per
la libertà, quanti realmente hanno sacrificato la loro vita per
ideali più alti e nobili, che senza dubbio non sono gli stessi ideali
degli squadristi che hanno diffuso violenza e angherie tra innocenti.
Lilla Anagni
29.4.2005
Università Statale
di Pisa
Giovedì 26 maggio 2005 alle ore 16:00 Andrea Camilleri riceverà
la Laurea Honoris Causa in Comunicazione.
|