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RASSEGNA STAMPA

APRILE 2005

 
Corriere di Gela, 1.4.2005
Un martire senza titolo nell'ultimo libro di Camilleri

È lecito supporre che le 55 “città invisibili” di Calvino (dotate ognuna di un nome femminile) abbiano avuto un precedente storico decisamente farsesco ma assai significativo, dove a fungere da Marco Polo in versione pirandelliana è stato un gruppo di fascisti di Caltagirone e a vestire i panni di un Kublai Kan turlupinato dal tipico ‘teatro’ siciliano è stato nientemeno che Benito Mussolini in persona. Così possiamo rileggere oggi la storia di Mussolinia, la città fantasma che i notabili calatini fecero finta di edificare nel bosco di Santo Pietro, tra Caltagirone, Niscemi e Acate, in onore di Mussolini, per celebrare degnamente la visita del Duce alla loro città, nel maggio del 1924. Mussolini, in una cerimonia funestata da incidenti grotteschi (la sparizione della bombetta e la sua sostituzione con una ridicola coppola da contadino; la sparizione della stessa pergamena commemorativa che il Duce avrebbe dovuto murare dentro la prima pietra; i fischi dei pastori che protestavano per la sospensione dei lavori di costruzione della linea ferroviaria Gela-Caltagirone), posò la prima pietra di una città “turrita” che non sarebbe mai stata costruita e di cui, qualche anno dopo, avendo egli chiesto notizie sullo stato dei lavori, gli arriveranno dalla Sicilia due fotomontaggi beffardi: in uno, costituito da un intero album fotografico, il Duce ammirerà compiaciuto l’imponenza e la maestosità della città che porta il suo nome, e nell’altro, a mo’ di controbeffa volta a smascherare la prima, un Duce incredulo e furente avrà di fronte una sorta di cartolina in cui la stessa città appare come un ridente porto di mare.
Questa incredibile messinscena è uno dei due fatti di cronaca poco noti su cui è costruito l’ultimo romanzo storico di Andrea Camilleri, Privo di titolo (Sellerio), uscito il 17 marzo scorso. L’altro fatto di cronaca è la misteriosa uccisione a Caltanissetta, il 24 aprile 1921, del diciottenne ‘patriota’ Gigino Gattuso, nel corso di una rissa tra fascisti e comunisti. Gattuso è stato poi elevato dal regime, con una tipica montatura mistificatoria fatta di retorica patriottica e di opportunismo politico, al rango di unico martire del fascismo in Sicilia, e in quanto tale celebrato con un monumento, con adunate commemorative ad ogni anniversario della morte e con intitolazioni di strade e scuole (ancora oggi, l’ex via Arco Arena in cui avvenne il fatto di sangue si chiama “via Gigino Gattuso, Martire”, e non più “Martire Fascista”, come una volta: e già questo la dice lunga sul metodo italiano della chiarificazione delle cose, perché se prima Gattuso era un falso martire fascista, ora è un vero martire di niente…).
Come ha raccontato lo stesso Camilleri, la gestazione di questo romanzo storico è stata molto lunga, quasi decennale, e vale la pena ricostruirne per sommi capi la doppia genesi, cui è legata, come detto, la struttura tematica ‘a dittico’ imperniata su due fatti di cronaca molto diversi tra loro ma accomunati dalla capacità di rivelare esemplarmente, sotto lo specifico siciliano, tutto il carattere tragicomico della colossale montatura retorica, ideologica e politica rappresentata dal fascismo.
Camilleri aveva 16 anni quando si è imbattuto per la prima volta nella storia di Gigino Gattuso, partecipando da liceale agrigentino all’adunata del 1941 organizzata a Caltanissetta per commemorare il XX anniversario della morte del giovane “Eroe” siciliano del fascismo. A colpire la sua immaginazione fu non solo il fatto curioso che in quell’occasione egli incontrò casualmente l’ “assassino” di Gattuso, l’ormai cinquantenne Michele Ferrara, che piangeva tra la folla appartato in un portone, ma anche il fatto che da suo padre si sentì dire che Dio solo sa come andò veramente quell’oscura faccenda (questo episodio, già rievocato ampiamente in La linea della palma, Rizzoli 2002, pp. 88-90, costituisce ora la “Premessa” di Privo di titolo). Intorno alla metà degli anni Novanta, all’epoca della stesura de Il birraio di Preston (l’altro romanzo storico ambientato a Caltanissetta), Camilleri si vide inviare direttamente dall’autore, il giornalista nisseno Walter Guttadauria, il libro Fattacci di gente di provincia (Caltanissetta 1993), dove la vicenda processuale del caso Gattuso era dettagliatamente ricostruita. A quel punto, attratto dal groviglio pirandelliano e sciasciano del caso (un morto ammazzato in una rissa e un reo confesso; la verità ufficiale, basata sulle apparenze, del giovane attivista fascista barbaramente assassinato da un sanguinario attivista comunista; la verità ‘processuale’ della difesa, suffragata dalle perizie balistiche, che il colpo mortale, simultaneo a quello del reo confesso, fu in realtà sparato da un ‘camerata’ di Gattuso, Santi Cammarata, ed era diretto contro il “porco comunista”; e infine la verità di comodo della sentenza definitiva secondo cui Ferrara sparò e uccise per legittima difesa), Camilleri decide di trarne un romanzo, ma il progetto stenta a decollare per la difficoltà di dare al contenuto fattuale un’adeguata forma narrativa ed espressiva. Nel 2002 Camilleri dice a Saverio Lodato: “Questa è una storia sulla quale, da anni, sto scrivendo un romanzo” (La linea della palma, cit., p. 90), e ancora nell’autunno del 2004, subito dopo l’uscita de La pazienza del ragno, Camilleri così motiva la difficoltà di portare a termine il romanzo su Gattuso: “Più che i fatti a me interessano due cose: il linguaggio (…) e la struttura. Io faccio un piano mentale, come un architetto fa un villino: quanti capitoli dovrà essere, che durata ha il respiro di ogni capitolo. Tutto questo io per Gattuso non ce l’ho ancora chiaro. (…) Ne ho scritto una settantina di pagine e mi sono fermato” (da un’intervista a Camilleri di Rai Educational, disponibile in www.educational.rai.it/railibro/interviste.asp?id=210). Ed eccolo, finalmente, il romanzo, portato a termine nel corso dell’inverno 2004/2005: riprendendo la tecnica narrativa de La concessione del telefono, de La mossa del cavallo e de La scomparsa di Patò, consistente in un assemblaggio comicamente movimentato di articoli di giornali, lettere, documenti ufficiali, manifesti, fonogrammi, note burocratiche, ecc., cui si accompagnano sezioni narrative più o meno tradizionali, Camilleri può esibire una irresistibile ricostruzione della vicenda svariando sui più diversi registri linguistici e stilistici, da quello drammatico a quello burlesco e comico-realistico, da quello ridicolmente e fumosamente burocratico a quello puramente retorico e magniloquente del Regime, fino all’autentico pezzo di bravura della patetica lettera scritta a Mussolini dalla moglie di Ferrara (“Lopardo” nel romanzo) Filomena Boccadoro, nella quale la donna lo implora di intervenire di persona affinché cessino le intollerabili vessazioni subite dal marito anche dopo l’assoluzione, e sulla quale il Duce di suo pugno lascia scritto: “Mandatelo al confino. Mussolini” (pp. 284-285).
Sul piano puramente ‘quantitativo’, la storia di Mussolinia occupa uno spazio relativamente piccolo nel corpo del romanzo (una ventina di pagine sulle quasi 300 totali), ma il suo peso specifico è tutt’altro che marginale, perché mentre la vicenda Gattuso è in fondo un fatto ‘di provincia’, la burla della città fantasma coinvolge il “Fondatore dell’Impero” in persona. In tal modo, l’accostamento delle due vicende, benché poco giustificato sul piano strettamente narrativo, crea un gioco di rimandi reciproci in questo vero e proprio festival della mistificazione che coinvolge tutti i livelli del Regime, non risparmiando neppure il suo Capo carismatico, investito in pie-no dalla macchina della menzogna propagandistica da lui stesso messa in moto. Le fonti cui Camilleri ha attinto per ricostruire la vicenda della fondazione di Mussolinia a Santo Pietro, sono tutte dettagliatamente indicate nella “Nota” posta in margine al romanzo, ma quella che è sicuramente la più interessante, nonché la più sfruttata, è costituita dal ‘pezzo’ di Leonardo Sciascia del 1969 intitolato “Fondazione di una città”, poi incluso ne La corda pazza (Einaudi 1970). Una lettura comparata mostra che il testo sciasciano è seguito passo passo, con la sola eccezione del numero delle torri di Mussolinia: 16 per Sciascia (cfr. Opere, Bompiani 2001, vol. I, p. 1113), 12 per Camilleri (cfr. p. 227). In un’intervista uscita su “Il Mattino” del 16 marzo scorso, Camilleri dichiara di aver letto (o riletto) le pagine di Sciascia su Mussolinia nel periodo in cui leggeva il libro di Guttadauria e di aver pensato allora di collegare i due fatti, ma “l’idea è rimasta lì, fino a quando non ho trovato la struttura da dare al romanzo”.
Il fatto che lo stimolo sia venuto da Sciascia è molto interessante perché crea un circolo di corrispondenze letterarie che coinvolge anche Italo Calvino e fa sì che “Fondazione di una città”, Le città invisibili e Privo di titolo vengano a costituire un trittico legato insieme da sottili rimandi intertestuali. Per rendersene conto, basterà vedere qualche data. Sin dal 1954, anno in cui gli arrivano sul tavolo di redattore dell’Einaudi le “Cronache scolastiche”, poi confluite due anni dopo nelle Parrocchie di Regalpetra, e fino al 1974, Calvi-no è un lettore attento di tutto quello che Sciascia manda alla casa editrice torinese per la pubblicazione, e non manca di mettere per iscritto le sue impressioni di lettura in alcune lettere divenute celebri (cfr. I. Calvino, Lettere 1940-1985, Mondadori 2000). Ebbene, Einaudi pubblica La corda pazza nel 1970 e Le città invisibili nel 1972, e del 14 settembre 1971 è una lettera di Calvino a Sciascia su Il contesto. Ora, anche se non risultano riferimenti espliciti, è inevitabile supporre che all’epoca in cui lavorava alle Città invisibili Calvino conoscesse il pezzo di Sciascia su Mussolinia. Se ciò fosse vero, allora la Mussolinia raccontata da Sciascia nel 1969 sarebbe davvero una sorta di prototipo storico-farsesco delle città calviniane, oltre che la fonte principale della Mussolinia di Camilleri.
Marco Trainito
 
 

WhipArt, 1.4.2005
Letteratura contemporanea - Nella Sicilia di Montalbano

Quando la fantasia di Andrea Camilleri diede alla luce Salvo Montalbano, il commissario di polizia di Vigàta, probabilmente già lo aveva immaginato muoversi in questi luoghi, tra Ragusa e Agrigento.
Anche perché come lui stesso conferma: "La Sicilia dei miei libri esiste. Anche i nomi e le situazioni sono veri". E volendo andare sulle tracce del commissario Montalbano dobbiamo fare un viaggio di memoria e immaginazione, in luoghi dalla bellezza magica e antica in cui i panorami si mescolano a luoghi dai nomi inventati. Dove Merfi è in realtà Menfi, dietro Fela si nasconde Gela, Fiacca è la più famosa Sciacca, Raccadali è Raffadali. Al centro della geografia sentimentale, però, c'è Vigata ,il paese in cui vive e lavora il catanese Montalbano, che tanto assomiglia alla Porto Empedocle in cui lo scrittore è nato 74 anni fa.
Altri elementi nuovi sono dovuti poi alla fiction che ha scovato i punti esatti dove oggi possiamo ripercorrere le tappe delle avventure del poliziotto più celebre d'Italia. Così Vigàta, Marinella, Montelusa, Marina di Vigàta corrispondono a Scicli, Punta Secca, Ragusa e Donnalucata.
Il nostro viaggio parte ovviamente da Ibla, il quartiere più antico di Ragusa, che è stata inserito nell'elenco dei beni patrimonio dell'umanità dell'Unesco, e che nella finzione scenica è appunto Vigàta con la sua piazza lunga e stretta e la cattredale di S. Giorgio e la scalinata lunghissima di Santa Maria delle Scale che lega le due parti della città, e dalla cui cima si gode un panorama stupefacente sull'intera zona con le sue case addossate una sull'altra.
Continuando e viaggiando sulla statale 115 in direzione Modica si arriva a Scicli dove si trova il Commissariato di Vigata, alias il municipio del paese. Tutto è come nel film, manca solo la "Tipo" del commissario posteggiata fuori. A pochi metri, c'è Palazzo Iacono, che nella fiction è la questura di Montelusa. Riprendendo il percorso per Donnalucata sul lungomare si riconosce Marina di Vigàta. La strada prosegue lungo la costa verso Marina di Ragusa e oltre, in direzione di Capo Scaramia e Punta Secca, un borgo di pescatori dominato dal faro, che porta dritti alla casa del commissario, la bella villetta con terrazzo direttamente sul mare. Per raggiungere infine l'ultima tappa bisogna continuare per Siracusa: il giro non poteva non concludersi a Noto, patria del barocco siciliano con la sua cattedrale semi-distrutta da un terremoto, che regala immagini da favola quando, al tramonto, il tufo dei suoi fregi si tinge di rosa. E ancora Mòdica, Ispica, la stessa Còmiso e Pachino da dove si raggiunge Marzamemi, disposto attorno ad una grande tonnara e alla casa secentesca dei principi di Villadorata. O ancora l'antica fornace del Pisciotto vicino a Sampieri, che diventa la famosa "Mannara", luogo di uno dei tanti delitti su cui indaga Montalbano.
Facendo riferimento alle immagini della fiction che concretizzano i luoghi descritti da Camilleri, che sono poi luoghi dal sapore antico legati alla sua memoria di quando giovane viveva ancora in Sicilia, ogni paese appare come un immenso puzzle. E come si può capire non esiste una carta geografica precisa, tra narrativa e televisione si fa una gran confusione, ma se s'impara a viaggiare con la fantasia, che è la dote necessaria per intraprendere questo viaggio, tutto sembrerà familiare.
Nessuno dei luoghi descritti nei romanzi corrisponde realmente ai luoghi topografici, questa è più una Sicilia reinventata nella memoria. Per cercare le atmosfere non immaginarie di Montalbano bisogna spingersi verso la costa meridionale dell'isola, la zona precisa di riferimento è quella che va da Sciacca a Mazara del Vallo, mentre le atmosfere del Montalbano televisivo si ritrovano invece nella provincia di Ragusa.
Al contrario di Simenon, Montalban, Markis o altri scrittori che ricalcano le strade e le memorie di città vere come Parigi, Barcellona, Atene, Camilleri sceglie invece di seguire le strada della fantasia di una metropoli inesistente, che, però, si trova da qualche parte nella Sicilia sud-occidentale. Vigata è un'allucinazione topografica sull'atlante fantastico del nostro scrittore, anzi come lui stesso sottolinea: " Vigata in realtà è Porto Empedocle. Ora, Porto Empedocle è un posto di diciottomila abitanti che non può sostenere un numero eccessivo di delitti, manco fosse Chicago ai tempi del proibizionismo: non è che siano santi, ma neanche sono a questi livelli. Allora, tanto valeva mettere un nome di fantasia: c'è Licata vicino, e così ho pensato: Vigàta. Ma Vigàta non è neanche lontanamente Licata. È un luogo ideale, questo lo vorrei chiarire una volta per tutte". E l'intera Sicilia diventa, così, immaginaria, conservando però dei luoghi veri di riferimenti che rintracciamo sia nei nomi, sia nei suoi paesaggi, grazie alla ricostruzione della fiction, che ha saputo collocare l'azione del nostro commissario negli angoli più antichi della Sicilia, dove si respira tutta la sicilianità che Camilleri ha voluto far sentire nei suoi romanzi.
Quella Sicilia fatta di mare, di spiagge quasi deserte lontane dalle folle di turisti, ma vive di pescatori, di barche e porticcioli, una Sicilia fatta di strade assolate che portano nelle campagne, dove incontri quei vecchi contadini che masticano solo il dialetto, e vivono in casolari immersi tra fichi d'india e aranceti. Una Sicilia che odora di mare, di pesce, di terra; un odore antico che ha il gusto di una tradizione che non si estingue, ma si rinnova e rivive nella memoria di chi scrive e nella mente di colui che legge, affascinato da questo modo di parlare, dai modi di dire, dai paesaggi che appaiono incontaminati, cristallizzati nel tempo, lontani da ogni forma di modernità, dove rivive in tutto e per tutto la storia di Trinacria.
Infine, da non dimenticare, a Porto Empedocle, in provincia di Agrigento, al numero 2 della centrale via Roma si trova proprio come nei romanzi l'osteria San Calogero, dal nome del cuoco e dell'amatissimo patrono di questa parte di Sicilia, dove i turisti domandano "quello che mangia Montalbano". E sulle pareti c'è appeso persino il ritratto di Camilleri proprio come fosse un nume tutelare.
Giusy Ferraina
 
 

La Sicilia, 2.4.2004
Le riprese per quattro giorni
Territorio megarese set cinematografico per puntata del film con Montalbano

Augusta e Brucoli set cinematografico per quattro giorni. Il territorio megarese ospiterà le riprese di una puntata del celebre telefilm «Il commissario Montalbano» con Luca Zingaretti. Ne ha dato notizia il sindaco Massimo Carrubba, dopo aver ricevuto una formale richiesta dalla Palomar. I dettagli saranno definiti la prossima settimana durante un sopralluogo tecnico dei responsabili della produzione. «Si tratta di una grande occasione per la nostra città - commenta soddisfatto il primo cittadino - che ci darà la possibilità di mettere in mostra le bellezze del nostro territorio. Sul piccolo schermo saranno soprattutto proiettati i luoghi più caratteristici del borgo marinaro, dal castello al porto canale, ma non è escluso che anche Augusta possa fare da cornice alle avventure del famoso commissario». L'episodio sarà girato nei giorni 20, 21, 22 e 23 aprile. «In un ottica di rivalutazione del nostro territorio - aggiunge Massimo Carrubba - l'opportunità che ci è stata offerta si sposa perfettamente col nuovo modello di sviluppo economico che la mia amministrazione intende promuovere. Augusta non è solo una realtà industriale; per le sue ricchezze naturalistiche, archeologiche e monumentali può infatti diventare meta turistica ed essere valorizzata come merita. Queste riprese saranno per noi una vetrina nazionale ed internazionale attraverso le quali far ammirare i luoghi più suggestivi della nostra zona».
 
 

El País, 2.4.2005
Equipaje de bolsillo
Muertos de papel. Alicia Giménez Barlett. Booket. 7,95 euros. Amigos en las altas esferas. Donna Leon. Booket. 6,95 euros. El olor de la noche. Andrea Camilleri. Quinteto. 5,95 euros. El hombre sonriente. Henning Mankell. Quinteto. 8,95 euros. Gambito turco. Boris Akunin. Quinteto, 5,95 euros. C de cadáver. Sue Grafton. Quinteto. 6,95 euros. El cuerpo del delito. Patricia D. Cornwell. Punto de Lectura. 8,25 euros.
El regreso de los amigos sabuesos

Difícil decisión. ¿Con quién comparto hoy almohada? ¿Con el sensible comisario Brunetti o el vividor Montalbano? ¿Escojo un nuevo caso de la forense Kay Scarpetta o me quedo con la desengañada detective Kinsey Millhone? Si en su momento se ha perdido el rastro de algún crimen en tapa dura, aún queda una segunda oportunidad para llevarse a casa a estos viejos amigos sabuesos. Detectives torturados, vitalistas, introspectivos, perdedores, aventureros, de todos los puntos del planeta aspiran a atenazar al lector durante unas horas con sus intrigas. Incluso hay un hueco (Muertos de papel) para la criatura española de Alicia Giménez Barlett, la inspectora Petra Delicado, eternamente en disputa con el solitario subinspector Garzón. Ambos se las tendrán que ver con la farándula para investigar el crimen de un periodista rosa.
Dos de las intrigas provienen de Italia. Donna Leon, una profesora que a los 40 años decidió dedicarse a escribir novelas policiacas y a vivir su amor por la ópera, presenta un caso (Amigos en las altas esferas) en el que el inspector Brunetti baja a las cloacas de Venecia después de que un funcionario le reclame unos papeles de su casa. Guido Brunetti es un tipo que lee a Jenofonte, ama la gastronomía y está casado con una profesora. Entrañable. Pero la vitalidad de Montalbano, el comisario que Andrea Camilleri bautizó en homenaje a Manuel Vázquez Montalbán, es muy atractiva. En El olor de la noche, el desprejuiciado policía, al frente de un equipo realmente cómico, investiga la desaparición de un financiero.
[...]
R. B.
 
 

l’Unità, 3.4.2005
Camilleri: è stato il «Papa Uomo» che ha capito i media e la sofferenza

Di Andrea Camilleri tutto si può dire tranne che sia religioso.
Ma oggi, parlando con lo scrittore di Porte Empedocle di questo grande Papa morto, scopriremo che non l'ha mai perduto di vista, ne ha costantemente valutato parole e gesti, lo ha considerato un punto fermo insostituibile per decifrare il tempo del caos nel quale siamo immersi, e che giudica il messaggio del suo pontificato incommensurabilmente superiore a quello dei cosiddetti Grandi della Terra, tutti modestamente politici in un mondo in cui la politica si è spaventosamente rimpicciolita.
Con questo Papa, infatti, la religione ha finito con l'occupare sterminati spazi lasciati vuoti proprio dalla politica. Altro che «religione oppio dei popoli».
Altro che rassicurazioni escatologiche sul Paradiso che verrà. Altro che il gesto pilatesco di vedere la sofferenza terrena e lavarsene le mani. Questo Papa, per ventisette anni, ha dato del tu a tre miliardi di uomini, e sembrava che li conoscesse tutti per nome.
Andrea, perché il mondo non riesce a staccarsi da questo Papa?
"Perché lui non si è mai staccato dal mondo. È stato, fra i tanti pontefici che io ho visto avendo ottant'anni, quello che più concretamente si è dato da fare per il mondo, per gli uomini. Certo che ha sempre tenuto alta la sua bandiera di cristiano, però non ha mai selezionato fra le varie fedi chi potevano essere i preferiti o meno. Semmai gli fosse arrivata all'orecchio la proposta di certi politici italiani, o anche di qualche porporato: "accettiamo gli immigrati solo se sono di fede cattolica", immagino la faccia che avrà fatto. È stato il Papa veramente di tutti. E per esserlo non si è mai risparmiato fisicamente. Basta vedere la quantità enorme di viaggi che ha compiuto. Voleva conoscere in prima persona la gente, i luoghi, i problemi della gente e i problemi del mondo."
Navarro Valls, il «professionista» abituato a dire tutto e a non nascondere nulla, che piange in diretta. Che impressione ti ha fatto?
"Mi avrebbe fatto impressione non vederlo commuovere. Non puoi vivere per ventisette anni a contatto diretto con un personalità di questo tipo e non commuoverti nel momento in cui senti che se ne sta andando. A Navarro Valls non ho mai sentito fare un commento personale. Però, in questo momento, l'uomo ha prevalso su quello che era il corretto e diplomatico informatore."
Ieri mattina, un musicista del teatro Massimo di Palermo oggi in pensione, il maestro Salvatore Bottino, mi ha detto: “Giovanni XXIII lo chiamarono il Papa buono. Questo come lo chiameranno? Dovrebbero chiamarlo il Papa Magno”. Tu come lo definiresti?
"Il Papa Uomo. E posso dirlo soprattutto degli ultimi tempi, quando non ha esitato a mostrare la decadenza fisica, la malattia che lo colpiva dando coraggio a tutti i malati i sofferenti, dandoci il coraggio per il passo ultimo.
Non ha voluto che la sua decadenza fisica fosse circonfusa di mistero. Mi tornava in mente una frase di Merleau-Ponty che diceva: l'eroe dei contemporanei è l'uomo. L'uomo che sa che può vincere o perdere, che sa che il suo destino, in terra, è segnato. Il destino dell'uomo è la malattia e la morte. E questo Papa
questo ci ha mostrato."
È stato un Papa che ha parlato alle tante solitudini infinite di questo pianeta, ha scritto Furio Colombo sull'Unità: “Lui parla alle tanti solitudini di un mondo che, nel tempo di un certo benessere, ha creato solitudini infinite, abbandoni senza recupero, isolamenti profondi in cui sei vagabondo pur avendo una casa, sei un senza patria con il tuo passaporto, sei inutile agli altri mentre gli altri sono inutili a te”. Condividi?
"Condivido perfettamente tutto il bellissimo articolo dal quale hai tratto questa frase. Quelle tante solitudini facevano quelle sterminate moltitudini che lui incontrava in ogni angolo del mondo."
Ma c'è un altro giudizio, quello di Bernardo Valli di Repubblica, che ci sembra altrettanto condivisibile: “nella dottrina era terribilmente conservatore… Il rifiuto del controllo delle nascite contrastava, ad esempio, con altre posizioni che si potevano definire progressiste". Che ne pensi?
"È vero anche questo. Però credo che il prezzo da pagare per avere posizioni estremamente progressiste in alcuni campi, fosse proprio la più stretta ortodossia. Credo che sia un atteggiamento che si verifica spesso nel campo politico: bisogna che il trampolino di lancio sia assolutamente solido per darti la spinta necessaria. In una posizione delicata, in una posizione in cui esistono tradizioni consolidate da secoli, l'apertura, per esempio, verso altre religioni, verso altre fedi, era possibile solo mantenendo salda e unita la base che reggeva questo pontificato. Qualsiasi incrinatura, qualsiasi dissenso o discostarsi da certe tradizioni, lo avrebbe indebolito per la sua opera di progressista in alcuni campi."
In quali campi questo Papa è stato veramente progressista?
"Il primo che mi viene in mente: vorrei sapere per quale Papa si è pregato in una moschea, si è pregato in una sinagoga, si è pregato nelle chiese di tanti altri culti. Ricordo benissimo la grande emozione di Toaff quando parlava della visita del Papa in sinagoga. Quel gesto interrompeva millenni di isolamenti e di incomunicabilità."
Il Papa com'è riuscito a rendere quasi invisibile questa frattura - che c'è e rimane - fra "ortodossia" e "progressismo"?
"Perché è stato un uomo che ha capito l'importanza dei media. Su questa strada ha potuto rendere palese a tutto il mondo quello che faceva per il mondo. E sempre su questa strada non ha reso palese la sua politica di mantenimento dello status quo. Ha detto delle cose. Ma non ha insistito: come se volesse ribadirle una volta sola. I cattolici osservanti lui non aveva da convincerli sull'ortodossia, semmai aveva da convincere i non cattolici e gli stessi cattolici su altre questioni che gli stavano a cuore."
Veniamo al suo rapporto con la politica. La prima picconata al muro di Berlino venne da lui, polacco cresciuto nel mondo dell'Est. Potremmo definirlo il grande mandante, spirituale e morale, della caduta del comunismo nel mondo? O più semplicemente ne accelerò l'agonia?
"Credo che ne abbia accelerato l'agonia. Credo che il comunismo, nei termini in cui lo abbiamo letto, anche perché noi italiani ne siamo stati felicemente fuori pur essendo molti di noi comunisti, era destinato a una implosione. Come quando si vedono crollare su se stessi i grattacieli americani precedentemente minati. Lui ha accelerato, questo sì, il corso della storia. E del comunismo, che resta un fenomeno storico senza precedenti, è stato veramente un degno e fiero avversario. Un avversario vittorioso."
Ma l'aggressione americana all'Iraq non riuscì a fermarla. E dire che non risparmiò in quei giorni né parole, né moniti. E mostrò anche il volto dell'ira.
"E questo fa parte della sua vicenda di uomo. Dicevo che questo eroe contemporaneo che è l'uomo conosce la vittoria e la sconfitta. Lui ha vinto sul comunismo. È stato sconfitto dal proliferare delle guerre. Ciò però non lo ha smosso di un millimetro su quella che era la sua opinione. E la sua sconfitta, in questo caso specifico, è stata la sconfitta di moltissimi uomini nel mondo."
E vogliamo dirlo che anche che il capitalismo non gli era mai piaciuto?
"C'erano altri Papi, prima di lui, ai quali il capitalismo proprio non andava giù. Mi torna a mente Papa Luciani, che si espresse pubblicamente e lucidamente sul capitalismo. E anche Papa Wojtyla lo ha detto, ripetuto, scritto diverse volte. La domanda di fondo, infatti, resta: può un vero cristiano amare il capitalismo? Perché se è vero che da un lato è stato possibile quantificare le vittime del comunismo, le vittime del capitalismo, invece non vengono quantificate da nessuno. E lui, anche questo, lo sapeva benissimo."
Che idea ti sei fatto in questi anni della matrice dell'attentato in Piazza San Pietro?
"Nessuna idea. Per quanto possa apparire strano, visto che scrivo romanzi gialli, spesso di fronte a certi fatti di cronaca non vado oltre la semplice lettura dei giornali o l'ascolto della tv. Penso che le cose in questi casi, soprattutto nel caso di un attentato al Papa, siano assai più complesse e appiccicose di quanto possano apparire. Mi è capitato di sentire le dichiarazioni di Ali Agca il quale, ogni volta, smentisce le sue dichiarazioni precedenti, altre volte tira in ballo personaggi che non c'entrano per niente, e addirittura si è spinto a dire che ebbe complici in Vaticano. Voglio fare una malignità: questi "complici del Vaticano" si andavano a fidare di uno come Ali Agca? Semmai sono esistiti, li immagino molto più intelligenti."
Un laico come te, che lezione può trarre da un Papa come lui?
"Le lezioni si traggono da chiunque. Si traggono anche, e soprattutto, da chi è preposto a compiti che riguardano tutto il mondo intero. Quando un uomo che ha dimostrato di avere questo livello sa mantenere quest'impegno di responsabilità, questa è già una lezione enorme. Noi oggi vediamo tanti uomini che hanno responsabilità mondiali, mancare assai spesso ai loro impegni. Questo Papa ha fatto impallidire l'immagine di questi uomini."
Saverio Lodato
 
 

Il Messaggero, 5.4.2005
La costruzione di un martire

Tutto inizia il 24 aprile del 1921, in una strada di Caltanissetta agonizza un giovane fascista colpito a pistolettate durante una rissa. Che diverrà nell’isola un eroe del futuro regime, onorato con cerimonie, monumenti e strade. La vulgata ufficiale dice che a ucciderlo è stato un muratore comunista, condannato per omicidio volontario e in appello (nel 1924) assolto per legittima difesa. Una mistificazione, una favola smontata da Andrea Camilleri che sulla figura di Gigino Gattuso (così si chiama l’uomo santificato, diciottenne fascista della prima ora) incentra l’ultimo suo romanzo storico, "Privo di titolo" (Sellerio, 295 pagine, 11 euro). Una «notte degli imbrogli » passata e ripassata alla moviola per dimostrare che Gattuso fu ucciso dal fuoco amico nella concitazione della rissa, per raccontare a modo suo - scendendo «tra le matterie, le fibrille le amplificazioni del linguaggio - una storia assai emblematica di un’impostura che sostituisce «la realtà con una realtà virtuale, inesistente ».
Camilleri: quello che lei racconta è un episodio poco noto, praticamente dimenticato... 
«Gigino Gattuso è l’unico “martire” fascista in Sicilia fino a quando non sono arrivati gli americani che hanno abbattuto il monumento dedicato a lui, perché era il rappresentante di un’ideologia sconfitta. E’ un sistema che mi fa venire da ridere. Allora bisognava distruggere dalle fondamenta il Foro italico... Se si ragiona con questo giudizio la storia diventa di una spaventosa tragica semplificazione».
Per lei però Gattuso fu il “protomartire” di una realtà “stracangiata con violenza dalla volontà politica, dai giornali accodati a quella volontà politica, dalla cosiddetta opinione pubblica orientata dal potere”. Insomma un caso di mistificazione?
«Io non faccio ricerche, non è il mio mestiere. Debbo tutte le notizie sul caso a un provvidenziale libro di Walter Guttadauria, che non finirò mai di ringraziare. Il “martire” fu ucciso dai suoi compagni per sbaglio. Non lo uccise il muratore comunista Ferrara. La sentenza definitiva che è del 1924, quando Mussolini già era saldamente al potere, dice che Ferrara aveva ucciso per legittima difesa».
Si voleva mettere a tacere una verità scomoda?
«Si salvavano capra e cavoli: non si accettava che a sparare fosse un fascista, ma nello stesso tempo si rimetteva in libertà il presunto assassino. Nel cui collegio di difesa (composto non da soli comunisti) c’era anche Cesare Marchesi Arduini, uno degli esponenti più alti del liberalesimo in Sicilia. L’ho conosciuto senza sapere nulla del caso Gattuso, nel ’46. Del resto da ragazzo ho anche conosciuto Ferrara, che non aveva ucciso nessuno. Ci ha rimesso anche lui la vita, durante il fascismo non ebbe più un momento di pace. Era arrestato un giorno sì e un giorno no».
Un’altra storia che deriva da un brandello di vecchia cronaca. “Priva di titolo” secondo l’indicazione di Manzoni parla del passato, per parlare anche di oggi?
«Questa è l’ambizione. I miei romanzi storici sono tutti post-unitari. Cerco di vedere gli errori dell’unità che ci portiamo appresso (non per l’unità), che tutto il meridione si porta appresso. Provo a parlare di un’altra epoca per far luce sul mondo attuale. La polemica nasce a mano a mano che mi avvicino nei nostri tempi. “Privo di titolo” parla di una mistificazione doppia, di un eroe costruito per il consenso e di una città, Mussolinia, da costruire in onore del Duce e che invece restò un inganno, un fotomontaggio artificioso. Mi sembra importante ricordarlo oggi che viviamo in un tempo di mistificazioni spaventose».
Lei dice che le interessava capire e far capire come erano organizzate le “fabbriche del credere’?
Le tecniche con cui si organizza il consenso sono immutate. Si tratta di alcuni tasti da toccare...».
Manzoni resta centrale nella sua costellazione letteraria. Un debito tardivamente pagato?
«Quando in un liceo hanno tolto Manzoni e l’hanno sostituito con “Il birraio di Preston”, io ho scritto una lettera a Manzoni dicendogli che la colpa era dei professori... A scuola si leggeva “Quel ramo del lago di Como”, “E la sventurata rispose”... Il grande amore della mia classe era il gobbetto, innamorato di Silvia, parlava con il passero solitario, non rompeva le scatole a nessuno, i professori ci si mettevano a collocare il povero Manzoni come abitante stabile di una sacrestia... Me lo sono riletto per dovere molti anni più tardi. E’ un grandissimo romanzo, ironico sottile alludente. Se poi uno si legge pure la storia della colonna infame, se si sparge come il sale, come condimento, il sapore è straordinario».
Prova pietà per quelle che Salvatore Silvano Nigro chiama due vittime diversamente innocenti della messinscena di verità?
«E’ stato un romanzo difficile da scrivere. Non ho usato la solita miscela ironico-sarcastica. Ci sono due vittime, il fascista che muore vittima forse di una bravata, lo pseudoassassino comunista, reo confesso perché non sa di non averlo ammazzato lui il diciottenne fascista. Forse a trenta anni avrei scritto con un sentimento diverso. Ma a ottanta anni è più che legittima una comprensione umana, una pietosa immedesimazione».
Alcuni capitoli sono costruiti con una tecnica cinematografica, il fermo macchina alla moviola. Quasi a sottolineare un punto di vista più mobile, non centrato sull’io che narra o sull’oggetto che è raccontato.
«La moviola è decisiva nell’individuazione del colpevole, la luce eccessiva nel fotogramma indica il doppio colpo. E’ una ricostruzione fantastica che fa parte del mio mestiere. Quando ho scritto “La scomparsa di Patò” mi sono divertito a tirarmi fuori. La Capria ha scritto che i documenti parlavano da soli e il narratore stava a curarsi le unghie... Qui ho fatto un continuo “trasi e nesci”, entra e esci, con una libertà assai maggiore».
A proposito di libertà e potere della narrazione. Kundera sostiene che il romanzo è l’ultimo osservatorio dal quale si può abbracciare la vita umana nel suo complesso. E’ d’accordo? E’ ancora possibile?
«Resta una ambizione. I grandi romanzi sono questo, basta pensare a Manzoni o a Balzac. Ho un’idea fisica della letteratura. Si vede dal respiro di chi affronta il romanzo, di chi ha il passo dell’atleta se è capace di afferrare un grossa fetta di mondo. Come si fa a pensare che non possano nascere altri atleti? Nasceranno nuovi atleti record (anche se oggi i record sono un po’ dopati), l’uomo evolve in meglio».
Renato Minore
 
 

Il Messaggero, 5.4.2005
Parla Patrizio Gattuso, lontano parente del giovane assassinato. Che non esclude le vie legali contro lo scrittore
«Due colpi di pistola, da un comunista»

Patrizio Gattuso non ci sta. «Andrea Camilleri - dice - è certamente un bravo scrittore, un illustre giallista, può fare quello che vuole ma non può permettersi di infangare la memoria di un giovane che ha pagato con la vita la sua passione politica».
Pomo della discordia è l’ultimo libro dello scrittore siciliano, "Privo di titolo", un romanzo storico in cui si racconta e si ricostruisce la storia di Gigino Gattuso (nel libro Lillino Grattuso) unico martire fascista siciliano ucciso a 18 anni nel pomeriggio del 24 aprile 1921 a Caltanissetta dal socialista, poi passato al Pci, Michele Ferrara, 33 anni, muratore e consigliere comunale. Ebbene, secondo la ricostruzione di Camilleri, Gigino non fu ucciso da Ferrara ma dal “fuoco amico”, vale a dire da un suo camerata. La storia di Gattuso, nel libro di Camilleri, si intreccia con la colossale beffa di Mussolinia, la città mai nata nei pressi di Caltagirone che avrebbe dovuto celebrare la gloria del Duce ma che si ridusse a un fotomontaggio da mostrare allo stesso Mussolini.
Patrizio Gattuso è parente collaterale di Gigino, i loro nonni erano cugini. Ha 44 anni, è nato a Caltanissetta ma vive a Bologna, è funzionario delle Ferrovie e siede sui banchi di Alleanza Nazionale del consiglio comunale del capoluogo emiliano-romagnolo. E da quando è uscito il libro di Camilleri, «il 17 marzo, proprio il giorno del mio compleanno», è impegnato in una battaglia mediatica tesa a contrastare la tesi revisionistica dello scrittore a proposito della morte del suo avo.
Consigliere Gattuso, perché non crede alla tesi di Camilleri?
«Intanto Ferrara è reo confesso. Poi ci sono due chiarissime sentenze del tribunale che lo smentiscono».
Ma a quell’epoca i tribunali non pendevano da una certa parte?
«Quelle sentenze furono emesse in tempi non sospetti. La prima nel 1921 quando non c’era ancora stata la marcia su Roma. E i giudici condannarono all’ergastolo il Ferrara per omicidio premeditato volontario».
Tre anni dopo, nel 1924, nel processo di revisione, Ferrara fu però assolto.
«Certo, fu assolto perché i giudici decisero che si trattava di legittima difesa. Questo perché un noto penalista siciliano del partito comunista, Calogero Cigna, un avvocato molto “influente”, e quando definisco influente un siciliano capisce cosa intendo, presentò nel processo di revisione dei testimoni apparsi all’improvviso... Resta il fatto che a sparare, anche per la seconda sentenza, fu sempre lui, Ferrara».
Perché, secondo lei, Ferrara uccise Gattuso?
«Legga la deposizione del padre della vittima. “Uccise per capriccio, per provare una rivoltella nuova, così come un cacciatore vuole provare un fucile nuovo, disse che voleva provarla su un fascista”. I due si incontrarono in una via del centro, oggi via Gattuso. Gigino aveva al petto una coccarda tricolore, Michele gli disse di toglierla, aggiunse “con i fascisti dobbiamo farla finita” e visto che Gigino non gli obbediva sparò. Due colpi, il primo andò a vuoto, il secondo raggiunse Gattuso alla tempia. Ecco come andò».
Non pensa che negli anni successivi il regime fascista abbia speculato su questa vicenda?
«E’ evidente che il Ventennio ha poi enfatizzato l’episodio, forse oltremisura, ma resta il fatto che Gigino Gattuso fu ucciso da un comunista e non da un suo camerata».
Agirà legalmente contro Camilleri?
«Sto valutando cosa fare. Premetto che non mi interessano risarcimenti. La via legale sarà l’ultima strada che percorrerò se sarò costretto. Ciò che più mi preme in questo momento è togliere le ombre che sono state gettate sulla morte di un ragazzo di 18 anni che ha pagato con la vita la sua passione politica. Ripeto, Camilleri non deve gettare fango su questa figura, non deve prestarsi a falsi storici».
Marco Berti
 
 

Giornale di Sicilia, 5.4.2004
Raiuno. Il regista Alberto Sironi con la troupe dal 18 aprile a Siracusa e poi a giugno nel Ragusano per i nuovi episodi della fortunata saga tratta dai romanzi di Camilleri
Montalbano minaccia le dimissioni fra clandestini e traffico di minorenni

Palermo. Montalbano, e dodici. Il commissario più famoso d'Italia ritorna in campo accompagnato dai suoi omini, per altre quattro inchieste che arriveranno in inverno sul piccolo schermo. Le riprese sono divise in due tranches: dal 18 aprile Siracusa ospiterà il set delle prime due puntate, la prima tratta da «Il giro di boa», best-seller del 2003 pubblicato da Sellerio, che propone un quanto mai attuale Montalbano, in crisi, che, dopo i fatti del G8 di Genova, giunge ad annunciare le sue dimissioni al Questore di Vigata mentre è alle prese con una difficile indagine che prende il via da uno sbarco di clandestini. La seconda nascerà, invece, da una novella, «Par condicio» tratta dalla raccolta «Un mese con Montalbano», pubblicata da Mondadori. Produce, come per le precedenti, la Palomar di Carlo Degli Esposti per RaiDue.
La seconda tranche, che si girerà in estate, sarà composta dall'adattamento dell'ultimo romanzo della serie, «La pazienza del ragno» e da «Il gioco delle tre carte», altra novella (o unione di più novelle). Si girerà per una settimana a Siracusa, per poi trasferirsi per tutto il mese di maggio nel Ragusano (Marina di Ragusa, Scicli, Punta Secca) ormai terra d'elezione dei commissario, e arrivare ai primi di giugno a San Vito Lo Capo, nella Tonnara del Secco (nel Trapanese sono già state girate alcune scene de «Il ladro di merendine»), e terminare le riprese a Roma dove verrà ricostruito il commissariato. Protagonista, manco a dirlo, è ovviamente Luca Zingaretti che avrà al suo fianco Katharina Bohm (Livia), Cesare Bocci (Mimì Augello), Peppino Mazzotta (Fazio), Angelo Russo (Catarella), Davide Lo Verde e Marco Cavallaro.
La formula resta sempre la stessa. «Il commissario Montalbano» non deve cambiare di una virgola - spiega il regista Alberto Sironi - come non devono mutare atmosfere e personaggi. La forza della serie sta proprio nella sua immediatezza e nella rappresentazione di una Sicilia che abbiamo la certezza di raccontare tale e quale la vediamo».
Le prime due puntate prenderanno spunto da episodi strettamente legati alla realtà. «Infatti, soprattutto ne «Il giro di boa» Montalbano si trova in contatto con la realtà tragica degli sbarchi dei clandestini e del traffico di bambini. «Par condicio» è basata su intuizioni: partendo da una serie di strani «amrnazzamenti» mafiosi, di scontri tra famiglie, Montalbano subodora che c'è dell'altro «dietro le quinte».
Si può immaginare un altro Montalbano?«No, c’è una sola maniera di mettere in scena il commissario di Camilleri: è un uomo con tutti i suoi difetti, che tiene fede alle sue idee, che non ha paura di perdere. Non tiene al denaro, e neanche alla carriera. Soltanto alla dignità».
Nei giorni scorsi sono stati fatti i casting per le comparse, mentre delle location sul posto si è occupato come sempre Pasquale Spatola. Il cast - di cui fanno parte stabile Marcello Perracchio nei panni del medico legale dottor Pasquano, Roberto Nobile, l'amico giornalista Nicolò Zito, Giovanni Guardiano è il capo della Scientifica Jacomuzzi - si arricchisce ancora con attori dello Stabile di Catania. E di splendide figliole dell'Est, tra cui la conduttrice televisiva Alexandra Dinu, la bionda moglie dei centravanti della Juve, Adrian Mutu. «Èt veramente bellissima, oltre ad essere una brava attrice», sorride Sironi.
Nel frattempo prende sempre più corpo l'idea della Regione di creare un'antica «Vigata» ottocentesca, una sorta di set-museo in una tonnara siciliana. «Sarebbe splendido, sarebbe veramente la "casa" dei romanzi storici di Camilleri, magari dove riuscire a girare "Il birraio di Preston"o "La stagione della caccia", veri e propri romanzi che già contengono i film. Penso anche che la saga di  Montalbano vada verso l'esaurimento, anche perché Luca Zingaretti non vuole essere fagocitato dal commissario. È giusto provare altri ruoli, in cui peraltro si dimostra eccezionale».
Simonetta Trovato
 
 

Thriller Magazine, 5.4.2005
Il giro di boa

Passata l'onda emozionale, locuzione ora di moda, di certi fatti ci si dimentica. Si torna ognuno alla propria vita, dalla pubblica condivisione di un avvenimento si scende, inesorabilmente, al privato, alla propria realtà quotidiana. Inevitabile e, per certi versi, giusto. Come fare allora? Come evitare che certe cose cadano nel dimenticatoio? Con la parola scritta - libri, giornali - e poi, con le immagini dei film e di una certa televisione di questi tempi sempre più rara.
I libri dunque. "l giro di boa"di Andrea Camilleri altro non è che una "talìata", uno sguardo sul nostro passato recente.
G8 di Genova e immigrazione clandestina.
Due argomenti che hanno diviso l'opinione pubblica: il primo finito davanti a processi politici e in tribunale, il secondo che torna sugli schermi di tanto in tanto, provocando nelle coscienze l'effetto di una puntura di zanzara, un fastidio temporaneo, passeggero.
Non sono scherzi, non è un reality, non è la storia d'amore tra una showgirl e un calciatore. È la nostra storia. Prima che il tempo o qualcos'altro cominci a logorarla è bene rispolverarla.
Montalbano lo conosciamo tutti, Camilleri anche.
"Il giro di boa" prende delle posizioni nette, tanto che a qualcuno potrebbero sembrare faziose, ma non è così, lo scrittore siciliano è critico con tutti, anche con quelli che sono vicini alle sue idee politiche.
Non chiudete gli occhi, apriteli e talìate. Il vostro "ciriveddru", il vostro cervello, con la sua propria e particolare sensibilità politica e civile, farà il resto.
Fernando Fazzari

Per un lettore amante di Andrea Camilleri non è facile essere imparziali e obbiettivi nella stesura di un breve resoconto sul suo "Il giro di boa".
Pertanto, dopo aver lasciato passare qualche tempo dal termine della lettura e aver lasciato sedimentare le prime impressioni, ecco alcuni pensieri e considerazioni.
Ancora una volta l'autore riesce ad appassionare il lettore, che si trova immerso nel mondo di Vigàta e di Montalbano.
Con la lingua ormai nota mista di italiano e dialetto, Camilleri racconta una nuova indagine del commissario, ricca di temi attuali e di riflessione.
Quello però che più interessa del libro è l'aspetto meditativo che esso propone: Montalbano si trova in una fase delicata della propria carriera, scosso dai fatti del G8, e pensa addirittura di dare le dimissioni... Le cose cambiano, anche per lui, che vive il suo "giro di boa" e si trova ad affrontare crisi di coscienza e pensieri legati al tempo che passa e alla sua vita fino a questo momento.
Forse per questa scelta viene un pochino penalizzata la parte dell'opera dedicata all'indagine vera e propria perché l'autore preferisce, appunto, soffermarsi su temi più riflessivi e introspettivi.
Il lettore si trova quindi un commissario diverso, meno uomo d'azione e più facile alle lacrime; meno scorbutico e più pensoso.
Camilleri coglie l'occasione per trattare temi delicati e sempre di forte attualità, parla così, tra le righe, di politica, di immigrazione clandestina e di infanzia rubata, facendo in modo che il lettore possa confrontarsi anche con queste tematiche scottanti.
L'aspetto più significativo resta comunque quello legato al personaggio del commissario, un personaggio vero e concreto, che riesce a mantenersi fedele a se stesso pur mutando col passare del tempo, perché anche Montalbano, come tutti, invecchia.
Chiara Bertazzoni
 
 

Il Messaggero, 6.4.2005
Lethem, Whitehead, Moody tra i narratori della metropoli

[...]
A parlare è Daniele Di Gennaro, con Marco Cassini fondatore della casa editrice romana Minimum Fax da dieci anni sul mercato, oggi aperta ad una nuova esperienza come società di produzione e distribuzione cinematografica insieme alla “new entry” Rosita Bonanno, anche amministratrice, alle spalle una carriera di produttrice indipendente a Palermo e autrice di importanti documentari sulla mafia.
[...]
«In cartellone abbiamo diversi altri progetti già avviati come il documentario "A quattro mani" che mette a confronto due generi letterari, il giallo e il noir, dando la parola ad Andrea Camilleri e a Carlo Lucarelli».
Leonardo Jattarelli
 
 

La Repubblica, 6.4.3005
L'attore protagonista del film in onda l'11 e il 12 aprile su RaiUno
La storia del massacro dei militari italiani nel settembre del 1943
Luca Zingaretti eroe di Cefalonia: "Necessario ritrovare le nostre radici"
"Momento difficile per il Paese, bisogna risvegliare la memoria"
Presto un film su Carlo Urbani, medico italiano ucciso dalla Sars

[...]
Dov'è finito Montalbano? 
"Sto per girare altri due episodi, e saranno rigorosamente gli ultimi. Sono felice di averlo fatto, ma a un certo punto si deve dire basta. E' stato bellissimo, ma tutte le cose belle prima o poi finiscono".
Alessandra Vitali
 
 

La Sicilia, 6.4.2005
Domani tornano «I Calatini»
Mussolinia, la città-giardino mai sorta a «Santo Pietro»

Domani (giovedì 7) troverete in edicola con La Sicilia un nuovo numero de I Calatini. E nel servizio principale, firmato Alessandra Scollo, torniamo a occuparci - ne avevamo accennato in un servizio sulla visita del duce a Caltagirone - di Mussolinia, la città-giardino mai sorta nel bosco di Santo Pietro e che avrebbe dovuto celebrare la gloria del capo del governo fascista.
Un argomento tornato di attualità grazie al nuovo libro dello scrittore Andrea Camilleri, Privo di titolo, che intreccia la storia dell'unico "martire" fascista siciliano, Gigino Gattuso, con la colossale beffa di questa città mai esistita. Nel servizio la vicenda viene ricostruita attraverso i contributi di Enzo Nicoletti della Società calatina di Storia patria e Cultura, dello scrittore Domenico Seminerio, di Fabio Roccuzzo, vice presidente del consiglio provinciale, di Domenico Amoroso, direttore dei Musei civici e di altri ancora. Ma quel che viene fuori dal servizio è che c'è chi comincia a chiedersi se sfruttare la grande pubblicità venuta a Caltagirone e al suo bosco dall'ultima fatica di Camilleri per avere dei benefici sotto il profilo turistico.
[...]
 
 

Cordio.net
Il 16 aprile 2005 sarà inaugurata a Catania, presso il Centro Culturale Le Ciminiere, la mostra Omaggio a Nino Cordio, mostra di opere inedite di sculture, olii, affreschi ed incisioni.
Il catalogo della mostra sarà introdotto da uno scritto inedito di Andrea Camilleri sul Maestro Cordio.
La mostra si concluderà l'8 maggio 2005.
 
 

Città del Capo - Radio Metropolitana, 7.4.2005
Eat it - La tribù che mangia
Un programma che parla di cibo e costume, cultura della tavola, dalla tavola
Di e con Daniela Patanè

Oggi, alle ore 14, nel corso della trasmissione, andrà in onda una breve conversazione con Franco Spilotro del Camilleri Fans Club sul tema: "La cucina nell'opera di Camilleri".
 
 

Carta, n. 13, 7-13.4.2005
L'istruttoria, l'indagine sulle torture a Bolzaneto
a cura di Pierluigi Sullo

Resoconto dei PM di Genova sui fatti della caserma di Bolzaneto durante il G8 in versione stringata e riassunta (l'originale e' di 500 pagine).
Oltre a segnare l'inizio di "Giro di boa", e' stato anche citato durante la chiaccherata con il Sommo in radio. Diceva appunto che i Pubblici Ministeri avevano letto il suo libro e richiesto di poter inserire a chiusura delle loro "Memorie" l'introduzione del libro (poi adattato e diventato "Un anno di Costituzione Italiana: art. 13").
Anche nell'articolo si cita in un box questo fatto che ha reso il Sommo orgoglioso, molto piu' che per un qualsiasi altro premio... la realta' ispira la letteratura, poi la realta' cita la letteratura che cita la realta' stessa.
Segnalazione di Andrea u Pitturi
 
 

Il Quotidiano della Calabria, 8.4.2005
I colori della scrittura
Si parte con Camilleri

"Giallo, rosso, rosa, blu: colore d'autore" è il titolo dato, significativamente, agli incontri teatrali con tre scrittori italiani, organizzati dalla cooperativa Nuova Ipotesi e che si terranno al Teatro Masciari cioè Andrea Camilleri (18 aprile), Marcello Fois (26 aprile) e Patrizia Valduga (2 maggio), tutti e tre fissati nel pomeriggio alle ore 18,30.
Per fornire ai giornalisti tutti i dettagli di queste particolari occasioni culturali presentate ed arricchite dalla partecipazione di altri personaggi del mondo del teatro e della comunicazione, il presidente della cooperativa Franco Ferrara terrà una conferenza stampa lunedì prossimo 11 aprile alle ore 12 nella sala stampa di piazza Le Pera.
 
 

LibriAlice, 8.4.2005
Il libro della settimana
Andrea Camilleri
Privo di titolo
“È stato verso le dieci di stasera ricoverato presso questo Ospedale il giovane Lillino Grattuso, che tutti noi ben conosciamo per il suo impegno e la sua lotta nella battaglia antibolscevica, per la sempre pronta e generosa dedizione alla Causa, ferito alla testa da un colpo d’arma da fuoco.
Egli versa in gravissime condizioni, si esclude possa sopravvivere.
Pare sia caduto vittima di un agguato ordito dal noto bolscevico Michele Lopardo, che è stato arrestato, e da alcuni suoi complici.”

Quest’ultima opera di Camilleri rientra nel filone del romanzo storico: la vicenda si svolge nel 1921, periodo tra i più violenti della storia del secolo scorso, in cui le squadracce fasciste imponevano con brutalità il nuovo ordine del regime. Oltre all’ormai abituale intreccio di parte narrativa e di “documenti”, "Privo di titolo" viene anche strutturato come se si assistesse a una scena cinematografica e si fosse anzi in fase di montaggio: riprese alla moviola, fermo immagine, primi piani e campi lunghi. Così molto attenta è l’ambientazione delle scene, quasi si volessero dare indicazioni precise ai tecnici del suono e delle luci. Eppure l’elemento strutturale non ha il predominio su quello narrativo, né gli uomini che popolano la vicenda, e che ne sono i personaggi chiave, appaiono unicamente strumentali alla “tesi” dell’autore: una pietà diffusa (quell’umanità che Camilleri riserva sempre a chi agisce in modo inconsapevole), finisce con l’accomunare la vera vittima, l’innocente e perseguitato Michele Leopardo, e quell’eroe fittizio, costruito da una macchinazione politica di cui, “morto per fuoco amico”, il Lillino Grattuso è logicamente inconsapevole.
Il romanzo si apre con un ricordo d’infanzia: siamo nel 1941 a una manifestazione commemorativa di un caduto fascista; poi, rapidamente, il lettore viene posto, in un lunghissimo flashback, dentro la lontana vicenda accaduta vent’anni prima.
Scena notturna: rumori, voci, spari, confusione. L’evento cardine della storia nasce proprio da una situazione incomprensibile di cui questa “commedia degli equivoci”, triste e sciagurata appare quasi l’inevitabile conseguenza. È l’occasione d’oro però per i fascisti di costruirsi un “martire” e di eliminare un avversario politico. Indagini, pene, suffragi e manifestazioni pubbliche saranno tutte assolutamente conseguenti a questa macchinazione politica.
La nota conclusiva dell’autore ricorda che lo spunto narrativo gli è derivato da due diversi e reali fatti di cronaca su cui ha operato alcune necessarie trasformazioni, altri elementi invece sono stati conservati intatti tanto che viene detto che nel primo e nell’ultimo capitolo non c’è nulla di inventato.
Ancora qualche parola, con il rischio di ripetersi e di ripetere elogi già tante volte espressi, sull’abilità di Camilleri di giocare su tanti registri linguistici differenti. Tralasciando il merito di aver inventato una lingua, quel siciliano tutto suo e tanto evocativo del parlato, ma leggibile da tutti gli italiani, che gli permette la scalata delle classifiche di vendita fino a rimanerne a lungo saldamente in vetta, in questo caso sottolineerei la capacità di aver costruito una “lingua fascistissima”. La burocrazia ha in parte mantenuto inalterato il proprio codice linguistico, ma nel Ventennio vi si aggiungeva quel tocco in più di retorica esaltatoria che ben traspare dalle relazioni e dai documenti qui costruiti; a questi vanno aggiunte le pagine dei quotidiani locali in cui veniva descritto il fatto di cronaca. Altri i toni e altre le modalità comunicative, è evidente infatti la volontà d’indottrinamento del lettore in cui si doveva istillare l’indignazione e l’ira contro il nemico politico, farlo apparire come uno spietato assassino mentre avveniva in contemporanea la santificazione del “martire fascista”.
Grazia Casagrande
 
 

La Sicilia, 8.4.2005
Nostra inchiesta sul giallo siciliano. Intervista al giudice scrittore Domenico Cacopardo
Il nipotino di Sciascia
«La definizione di giallista non mi garba. In effetti, non amo le definizioni di genere. Se ho in corpo una storia la racconto senza pormi il problema della sua natura. I miei romanzi raccontano l’Italia contemporanea e non, compreso il delitto, evento drammatico che consente di catalizzare le vicende dando loro un ordine eziologico e finalistico. La mia scrittura deriva dall’osservazione del mondo di oggi e dei rapporti di potere.

Oggi dire giallo in Sicilia è dire tutto! A parte Camilleri che fa testo a sé ed ha dato vita ad una vera e propria scuola, negli ultimi anni la nostra isola ha infatti prodotto un così cospicuo numero di opere che, del mistero e della tragediatina a noi tanto cara, prendono spunto per raccontare e raccontarsi, come già fece Giorgio Scerbanenco, inventando il noir milanese negli anni Sessanta.
Può un genere raccontare un’epoca? Una terra? Un popolo? Oppure aveva ragione Italo Calvino che aveva parlato, a proposito di Sciascia, dell’impossibilità di ambientare un giallo in Sicilia?
Ne abbiamo parlato col più sciasciano degli scrittori siciliani, Domenico Cacopardo (originario di Letojanni), siculo-emiliano di nascita, romano d’adozione, un nome che più siciliano non si può.
"Sono nato nel ‘36 - dice di sé - e quando è finita la guerra, nel ‘45, avevo 9 anni. Rispetto alla normalità dei siciliani che non hanno vissuto l’esperienza della Resistenza io ho avuto il vantaggio psicologico che la famiglia di mia madre è stata tra i fondatori del partito socialista alla fine dell’Ottocento; mia madre fu presidente del Cnl di Piacenza e sindaco della Liberazione e ha avuto su di me una grande influenza. Dopo la guerra mi ha spiegato cosa era accaduto in questo paese. La differenza tra nord e sud, anche dal punto di vista civile, trova una ragione anche in questo. Non solo la Sicilia non ha vissuto la Resistenza, ma la Liberazione è avvenuta con l’aiuto della mafia,
perché la Cia nel ‘43 si alleò con la mafia".
Magistrato del Consiglio di Stato, vive a Parma ma non ha mai tagliato il cordone ombelicale con la Sicilia. Cacopardo nei suoi libri ricorda giust’appunto l’impegno di Sciascia, denunciando gli scandali che coinvolgono i notabili siciliani, paradigma del malcostume di tutta la società italiana. Ma ha anche raccontato (in «Cadenze d’inganno»), i maneggi che avvenivano al ministero della Difesa. Nella geografia del giallo siciliano, la parte orientale dell’isola che va da Messina a Siracusa, sino a pochi anni fa non compariva neppure. Cacopardo ha rimesso le cose a posto già col suo romanzo d’esordio, «Il caso Chillè» (1999), ambientato nella Messina del primo Novecento ricostruita eccellentemente. Coi romanzi successivi, da «L’endiadi del dottor Agrò» (2001) a «Cadenze d’inganno» (2002, tutti editi da Marsilio), cambia l’ambientazione ma resta immutato il suo stile secco, forbito, e l’impegno politico che traspare dall’abilità nel costruire polizieschi con trame intricate quanto credibili, dove racconta il santuario inesplorato dei ministeri e dei burocrati, facendoci toccare con mano ciò che avviene nei palazzi.
Protagonista è il procuratore della Repubblica Italo Agrò, che torna anche ne «La mano del Pomarancio» (Mondatori 2003), dove svolge un’indagine parallela a quella dell’investigatore privato Puccio Ballarò, titolare della Ballarò Investigations, un metro e sessantacinque per ottanta chili, gran conoscitore del mondo ma con in mente solo fimmini, piccioli e buona tavola. Cacopardo ha pubblicato anche «Giacarandà» (il libro che ama di più) ambientato nel 1747, un romanzo storico molto moderno. Il marchesino Giulio Límiri, vuole costruire una nuova casa nella baia sotto Taormina. La vicenda si complicherà con le feroci quanto sotterranee lotte tra domenicani e gesuiti (e qui il parallelo con Sciascia ritorna, basta citare Il Consiglio d’Egitto).
Il 15 marzo è uscito per Baldini, Castoldi-Dalai il suo nuovo romanzo, «Virginia».
"Si tratta - dice l’autore - di una storia d’amore che si conclude con un omicidio-suicidio consumato da due anziani. Lei ultraottentenne, lui quattro anni meno di lei".
Tra gli scrittori siciliani, Cacopardo ama moltissimo Salvatore Quasimodo, Vincenzo Consolo e Leonardo Sciascia, più in generale predilige Sartre, Malerba, Gadda, Vittorini e dei contemporanei,
Barbero e Bruno Arpaia. Si sente mille km lontano dalla scrittura di Camilleri.
- Le scoccia se la definiscono giallista?
«La definizione di giallista non mi garba. In effetti, non amo le definizioni di genere. Se ho in corpo una storia la racconto senza pormi il problema della sua natura. I miei romanzi raccontano l’Italia
contemporanea e non, compreso il delitto, evento drammatico che consente di catalizzare le vicende dando loro un ordine eziologico e finalistico».
- Chi è realmente il suo dottor Agrò?
«Per quanto ne so, è una persona comune, con un normale senso del dovere, con una normale capacità di lavoro. E mi piace per questo: non si tratta di Superman, ma di un onesto magistrato di procura della Repubblica».
- Quanto della sua professione trasfonde in lui?
«Niente di Agrò deriva dalla mia esperienza professionale. Agrò deriva dall’osservazione del mondo contemporaneo e dei rapporti potere economico-politico».
- Quali storie le preme raccontare come scrittore ma che non ha voluto o potuto raccontare come burocrate ad alti livelli?
«Non ho ancora incontrato limiti nei miei racconti, né mi sono posto dei limiti. Un solo freno: non racconto né racconterò mai in forma di romanzo e simili, i contenuti di ricorsi che tratto come
Consigliere di Stato. Ricorsi che rappresentano vicende umane e che non ho il diritto di usare».
- Ha mai dei dubbi di andare oltre quando racconta una storia?
«Non ho ancora avuto dubbi sul cosiddetto "andare oltre"».
- Dove sta andando secondo lei il giallo siciliano?
«Non so dove stia andando il giallo siciliano come del resto quello nazionale. Mi sembra che il giallo siciliano si stia desicilianizzando come il giallo italiano sta diventando sempre meno caratterizzato e più convenzionale».
- Cosa ne pensa del proliferare di questo genere nella nostra isola?
«Mi sembra che ci sia una diffusa stanchezza tra i lavoratori del pc nel concepire storie e nel narrarle con il giusto approccio letterario. Ho la sensazione di una sorta di rito ripetitivo. Un’eccezione gradevole: Ottavio Cappellani col suo "Chi è Lou Sciortino?"».
- Pur vivendo al nord ha scritto storie ambientate in Sicilia. C’è una ragione precisa?
«Non ho scritto solo storie ambientate in Sicilia. ‘Cadenze d’inganno’ e ‘La mano
del Pomarancio’ non sono ambientate in Sicilia ed anche il prossimo romanzo di Agrò ‘L’accademia di vicolo Baciadonne’ è ambientato a Viterbo».
- Si definirebbe un nipotino di Sciascia?
«Premesso che considero vergognose le parole che il cosiddetto ‘filofoso’ Sgalambro dedica a Leonardo Sciascia, stimo troppo e venero troppo la sua memoria per poter chiedere o vantare l’appellativo di suo nipotino. Sciascia rimane un grande letterato che ha (ri)condotto la Sicilia
al centro dell’attenzione del mondo».
- Quanto secondo lei il successo di Camilleri e la cronaca giornaliera, hanno inciso in questo boom di giallisti?
«Camilleri con il suo giallo nazionalpopolare leogullottiano ha attirato di certo l’attenzione del più vasto pubblico - quello che vede soap e serials - sulla Sicilia e sui siciliani. Ma quel vasto pubblico - nel bene e nel male - non ha trovato ciò che si aspettava di trovare: né la gnagnera dialettale allusiva né la lievità inconsistente delle storie».
Roberto Mistretta (1 - continua)
 
 

La Nazione (Grosseto), 8.4.2005
L'ispirazione del commissario di Camilleri passa per Montalbàn

Roccastrada - E' un esplicito omaggio allo scrittore spagnolo Manuel Vàzquez Montalbàn [...]
 
 

Tutti i colori del giallo, 9-10.4.2005
I segreti di Camilleri

Mentre è da poco uscito in tutte le librerie il suo ultimo romanzo storico "Privo di titolo" (Sellerio), Andrea Camilleri incontrerà radiofonicamente i suoi fans in due puntate speciali di "Tutti i colori del giallo" in onda su Radiodue i prossimi 2 e 3 aprile dalle 13.00 alle 13.30. Per l'occasione saranno presenti in studio da Palermo gli scrittori Roberto Alajmo, Valentina Gebbia e Piergiorgio Di Cara che dialogheranno con Camilleri assieme alla folta schiera degli iscritti al fan club ufficiale (vigata.org) interamente dedicato allo scrittore siciliano. Come proseguirà la saga di Montalbano? Quali sono i piatti preferiti di Andrea Camilleri? Qual è il segreto del suo successo? Come è nata l'idea di scrivere un romanzo come "Privo di titolo" dove si intrecciano la storia dell'unico martire fascista siciliano del biennio rosso e la colossale beffa di Mussolinia, la città nei pressi di Caltagirone che avrebbe dovuto celebrare per sempre la gloria del Duce. Un romanzo al quale lavorava già da tempo visto che già nel gennaio 2002 in un'intervista, concessa a "La Nazione" aveva espressamente dichiarato: "Voglio assolutamente scrivere la storia di un eroe immaginario in un paese immaginario. Mi riferisco alla storia dell'unico martire fascista che poi ho scoperto essere stato ammazzato dai suoi per un errore. L'ambientazione ovviamente sarà quella che sarebbe dovuta divenire Mussolinia, la città che non fu mai costruita e della quale al duce, nel 1928, fu mostrato un fotomontaggio".
 
 

La Repubblica (ed. di Firenze), 9.4.2005
Altri libri

Presso il Centro civico di Ribolla (Roccastrada, Gr, ore 16) si tiene l'incontro con Hado Lyria, Bruno Arpaia e Andrea Camilleri su «Vazquez Montalban, cittadino del mondo». Nell'occasione si tiene una mostra con tutte le opere di Vazquez Montalban tradotte in italiano.
 
 

Il Quotidiano della Calabria, 12.4.2005
Lo scrittore sarà ospite al Masciari. Poi ci saranno Fois e Valduga
Rosso Camilleri

"Giallo, rosso, rosa, blu· colore d'autore", si chiama così l'ultimo nato in casa Masciari. Lo storico teatro catanzarese ha, infatti, costruito un mini cartellone che racchiude in tre nomi il senso di quel che sarà il percorso tratteggiato: Andrea Camilleri (18 aprile), Marcello Fois (26 aprile) e la poetessa Patrizia Valduga (2 maggio). Non si tratta dei collaudati e consueti faccia a faccia con autori di prestigio bensì di incontri teatrali curati da Maria Luisa Bigai con l'accompagnamento musicale della Binghillo Blues Band.
L'iniziativa è stata presentata ieri mattina nella sala stampa del teatro dal presidente della cooperativa Nuova Ipotesi, Franco Ferrara e dalla direttrice delle bibiloteca De Nobili, Maria Teresa Stranieri (il cartellone vede la partecipazione dell'assessorato comunale alla Cultura e degli istituti superiori della città Einaudi, Siciliani e Tecnico Agrario. I tre ospiti saranno coinvolti in una sorta di work in progress che dal palco farà il paio con la platea. Due gli attori coinvolti: Giovanni Carta e Daniela Scarlatti e tre i conduttori: la stessa Bigai, Claudia Pulice e Davide Lamanna.
Casuale, ma non troppo, la scelta dei colori attribuiti a ciascun scrittore. A cominciare dal rosso storico di Camilleri, scrittore sanguigno giallista e non solo. Quindi il giallo per il sardo Fois e il rosa e il blu per la Valduga ad indicare le sfumature dell'animo umano in versi. E allora, in attesa di incontrarli, ecco sinteticamente il ritratto biografico dei tre protagonisti di "Giallo, rosso, rosa, blu· colore d'autore". 
Andrea Camilleri, il padre del commissario Montalbano, parte da lontano, a cominciare dalle numerose regie di opere teatrali e di romanzi sceneggiati per la radio e per la televisione, da lui firmate. È stato autore, sceneggiatore e regista di programmi culturali per la radio e la televisione. Ha prodotto diversi programmi televisivi tra cui, per esempio, un ciclo dedicato dalla Rai al teatro di Eduardo e le famose serie poliziesche del Commissario Maigret di Simenon e del Tenente Sheridan. A vent'anni alcune sue poesie furono pubblicate in un'antologia curata da Ungaretti.
Nello stesso tempo scriveva i suoi primi racconti per riviste e quotidiani come "L'Italia socialista" e "L'ora" di Palermo. Ha esordito come romanziere nel 1978 con "Il corso delle cose" (Lalli, ristampato da Sellerio nel 1999), primo della serie dei romanzi "storici". Sempre Sellerio ha pubblicato i cinque romanzi che hanno come protagonista il commissario Montalbano: da "La forma dell'acqua" a "La voce del violino" (1998, premio Flaiano), per citarne due. La saga di Montalbano continua con Mondadori. Dai suoi romanzi incentrati sulla figura del commissario Montalbano è stata tratta una fortunata serie di film per la Tv con Luca Zingaretti alla realizzazione della quale Camilleri ha collaborato come sceneggiatore. Sua anche la sceneggiatura e l'adattamento per il teatro del "Birraio di Preston", che nella versione per la radio lo ha visto autore e interprete.
Marcello Fois è nato a Nuoro nel 1960. Scrittore e autore teatrale, è anche sceneggiatore per la Tv ("Distretto di polizia") e il cinema ("Ilaria Alpi. Il più crudele dei giorni"). Fra le sue pubblicazioni "Ferro Recente"; "Falso gotico nuorese"; "Sempre caro". Nel poco tempo a disposizione si occupa di promuovere la scrittura e i giovani scrittori. Collabora alla realizzazione dei film che saranno tratti da "Sempre caro" e "Ferro recente".
Patrizia Valduga è nata a Castelfranco Veneto nel 1953 e vive a Milano. Ha tradotto i sonetti di John Donne e da Mallarmé, Kantor, Valery, Crebillon, Moliére, Céline, Cocteau. Si distingue fra i poeti contemporanei, per la particolarità della sua ricerca sul linguaggio. Notissimo è il suo "Cento quartine e altre storie d'amore" in cui l'autrice sembra sostenere la tesi di una distanza insanabile fra maschio e femmina. Nell'orizzonte temporale di una sola notte, i personaggi si chiudono in una diade narcisistica che si esibisce senza ritegno (specie quello maschile). Una poesia unica, nuova, di una scrittrice tutta da scoprire e amare. Tre autori e tre universi che s'incontreranno a breve sul palcoscenico del Masciari.
e. vi.
 

La posta in palio è il pubblico di domani

La posta in palio è quella di creare  il pubblico di domani ed è la prima volta che tre istituti scolastici cittadini partecipano anche con un contributo economico ad un'iniziativa cultrale fuori dalle mura delle rispettive scuole. "Giallo, rosso, rosa, blu·colore d'autore", si chiama così l'ultimo nato in casa Masciari (ne parliamo in dettaglio in Cultura). Lo storico teatro catanzarese ha, infatti, costruito un mini cartellone con: Andrea Camilleri (18 aprile), Marcello Fois (26 aprile) e la poetessa Patrizia Valduga (2 maggio). Non si tratta dei collaudati e consueti faccia a faccia con autori di prestigio bensì di incontri teatrali curati da Maria Luisa Bigai con l'accompagnamento musicale della Binghillo Blues Band. L'iniziativa è stata presentata ieri dal presidente della cooperativa Nuova Ipotesi, Franco Ferrara e dalla direttrice delle bibiloteca De Nobili, Maria Teresa Stranieri. Il cartellone vede la partecipazione dell'assessorato comunale alla Cultura e degli istituti superiori della città Einaudi, Siciliani e Tecnico Agrario. I tre ospiti saranno coinvolti in una sorta di work in progress che dal palco farà il paio con la platea. E sul palco due studenti per volta animeranno l'interfaccia con l'autore. Anche questo può essere un modo per coinvolgere i giovani nella vita culturale della città. La posta in gioco è alta e il cammino per costruire il pubblico di domani non concederà nulla all'improvvisazione.
(e.vi.)
 
 

Il Domani, 12.4.2005
È stata presentata l'iniziativa letteraria che andrà in scena da lunedì prossimo al teatro Masciari
I quattro colori della scrittura d'autore
Agli incontri saranno presenti alcuni ragazzi di tre scuole di Catanzaro

Catanzaro. «Non saranno i classici incontri con gli scrittori». é la premessa, dell'avvocato Franco Ferrara, necessaria per "inquadrare" l'iniziativa "Giallo, rosso, rosa, blu... Colore d'autore", che andrà in scena al teatro Masciari a partire da lunedì prossimo.
Un progetto, quello della cooperativa Nuova Ipotesi, da tempo in cantiere, che si sviluppa solo adesso, in seguito a numerosi rinvii e cancellazioni da parte degli autori contattati - «Sono delle vere e proprie star», ha detto in proposito Ferrara, presidente della cooperativa - i cui appuntamenti, posti nell'ambito del cartellone dell'attuale stagione in corso, avranno una «connotazione decisamente teatrale».
Andrea Camilleri, Marcello Fois e Patrizia Valduga. Saranno loro i protagonisti delle tre serate che si svilupperanno secondo un work in progress, per la regia di Maria Luisa Bigai - direttore artistico del cartellone del Masciari - che vedrà anche alcuni interventi della Binghillo blues band di Cortale, oltre che letture dei brani degli autori proposti da parte di alcuni attori e di singoli conduttori. Inoltre, agli incontri saranno presenti anche alcuni ragazzi - due studenti per scuola - del Liceo scientifico Siciliani, dell'Istituto tecnico agrario e dell'Istituto tecnico professionale Einaudi.
«Il perchè della scelta dei colori è piuttosto evidente - ha spiegato Ferrara -. Si è trattata di una scelta arbitraria, ma tuttavia legata ai personaggi che saranno presenti a Catanzaro: il rosso per Camilleri, scrittore "sanguigno", storico e politico; il giallo per Fois, che del sardismo ha fatto una bandiera culturale e il rosa e il blu per la Valduga, intesi rispettivamente come i colori della femminilità e della poesia, in cui è l'azzurro in tutte le sue sfumature a farla da padrone».
[…]
Il programma
Lunedì 18 aprile
Il "rosso" storico di Andrea Camilleri incontro condotto da Maria Luisa Bigai, letture di Giovanni Carta.
Martedì 26 aprile
Il "giallo" Sardegna di Marcello Fois incontro condotto da Claudia Pulice, letture di Daniela Scarlatti.
Lunedì 2 maggio
Il "rosa" e il "blu": i colori della poesia di Patrizia Valduga incontro condotto da Davide Lamanna.
Carmen Loiacono
 
 

La Sicilia, 12.4.2005
Quasi pronta la stanza di Montalbano

La stanza del commissario Montalbano. A lungo resterà questo il soprannome della stanza del palazzo Cosentini, che rappresenta la location principale della fiction televisiva ispirata al personaggio delle celebre saga di Andrea Camilleri. Infatti questa sarà la stanza del commissario, il sito più importante dove verrà fatto il numero maggiore di riprese interne. Ecco spiegato il mistero del perché, più velocemente di ogni altro locale del monumento storico di Ibla, che è in via di ristrutturazione, proprio questa stanza è stata restaurata con grande solerzia. Fra poche settimane arriva il regista e la troupe quindi la location doveva essere pronta. Il commissario Montalbano potrà godersi una volta colorata con un affresco interessante, suddiviso in sezioni che corrispondono alla differente cronologia degli artisti che hanno realizzato tale dipinto. Se la volta del soffitto non fosse stata restaurata sarebbe rimasto quello che c'era prima, cioè un cielo azzurro con tantissime stelle. Sotto il firmamento azzurrato, decorato con grandi stelle e costellazioni, era invece celato l'affresco che è venuto alla luce. Il restauro non è concluso. Ma Sebastiano Patanè, il restauratore che ha diretto i lavori dell'affresco è soddisfatto. «Abbiamo tanto lavoro da fare - spiega Patanè - ma questa stanza era la più importante, quindi abbiamo lavorato con grande velocità».
Mai restauro in provincia di Ragusa è stato fatto con una grande motivazione come quella dell'arrivo imminente di una troupe cinematografica. Di solito i tempi si accorciano per far contenta la comunità e quasi sempre non si riesce a sbrigarsi. Stavolta c'è un regista, una produzione e un cast di attori di cui rendere conto. Anche nelle altre stanze il restauro ha subito l'influenza dell'imminente arrivo della troupe. In altri locali sono stati utilizzati per gli intonaci dei colori neutri, adatti per riprese da cinema. Forse questo restauro è un caso senza precedenti, a testimonianza che le istituzioni locali hanno capito quanto business c'è dietro una troupe che gira un film. L'affresco della stanza del commissario riporta motivi floreali che si trasformano in figure alate antropomorfe del periodo del '700. «Vi sono anche dei medaglioni dell'800 - spiega Patanè - uno dei quali è già restaurato e che descrive un paesaggio africano, un motivo molto singolare». Anche il restauro delle opere murarie di palazzo Cosentini sta procedendo celermente.
Rossella Schembri
 
 

Avvenire, 13.4.2005
Intervista. Ancora una volta best seller, lo scrittore siciliano racconta il suo rapporto con il sacro: «Mai voluto irridere i credenti»
Tutti i santi di Camilleri
Oltre Montalbano. Dal «Poverello» ammirato a teatro fino a «preti coraggio» come Romero e Puglisi. «E in un nuovo libro mi piacerebbe ricostruire la storia di monsignor Peruzzo, il vescovo di Agrigento che nel dopoguerra si schierò con i contadini» «Sono rimasto molto colpito dal profondo desiderio di comunicare che il Papa ha espresso fino alla fine, anche quando il corpo pareva impedirlo»

Ogni tanto lo accusano di prendersi tanticchia di libertà con gli episodi storici di cui si occupa nei suoi libri. «E ci mancherebbe altro, gli rispondo: io scrivo romanzi, mica saggi». Alla gagliarda età di ottant'anni, Andrea Camilleri è arrivato a trattare con uguale distacco critiche ed elogi. Forse perché, sostiene, ha avuto la fortuna di arrivare tardi al successo, come conferma il suo nuovo romanzo, Privo di titolo (Sellerio, pagine 304, euro 11,00), rivelatosi un best seller non appena è arrivato in libreria. «Ecco, pensi se un fatto del genere capitasse a un autore più giovane, a un narratore quarantenne - ipotizza Camilleri -. Ne resterebbe travolto, se non altro dal punto di vista psicologico. Io, invece, ci ho guadagnato in sicurezza, in serenità».
Non diversamente da quella di Simenon, anche la produzione di Camilleri è rigorosamente bipartita: da una parte i libri che hanno per protagonista il suo detective di fiducia (no, non Maigret: stiamo parlando di Montalbano), dall'altra i romanzi che l'autore siciliano ama definire «storici». Di una storia in buona parte reinventata, però. «I documenti riportati in Privo di titolo, per esempio, sono tutti falsi, con un paio di eccezioni che non le sto a dire», spiega Camilleri. Circostanza curiosa, se si considera che il libro è in realtà un atto di denuncia contro le mistificazioni della politica e del potere, a partire dalla vicenda emblematica e controversa di Gigino Gattuso, giovane fascista della prima ora morto nel 1921 in circostanze mai del tutto chiarite. «Basti ricordare - sottolinea Camilleri - che il presunto omicida, comunista, fu assolto nel 1924, in pieno regime. Già allora, infatti, troppi indizi lasciavano intendere che il "martire" Gattuso fosse stato, come dire?, vittima del fuoco amico...».
Libro revisionista, Privo di titolo? E, nel caso, il revisionismo non era considerata un'attitudine un po' di destra? Camilleri, che delle proprie convinzioni progressiste non ha mai fatto mistero, passa al contrattacco: «Faccia conto che si voglia raccontare una vicenda dell'Ottocento siciliano, magari legata al cosiddetto brigantaggio. La versione ufficiale sarebbe quella di fonte governativa, giusto? Quella non ufficiale, e quindi sospetta di revisionismo, coinciderebbe invece con le testimonianze orali, con il punto di vista di chi ha fatto il fatto, se mi passa il gioco di parole. Difficile uscirne, se non mettendo a confronto i due racconti, in modo da individuare convergenze e discrepanze. Operazione difficile, specie nei nostri tempi dominati dalla televisione, che è una macchina perfetta per ogni tipo di mistificazione, oltre che un'eccellente fabbrica di credulità».
Parla di credulità, Camilleri, e non di fede. A dispetto delle frequenti punzecchiature presenti nei suoi libri, infatti, il suo atteggiamento nei confronti dell'esperienza religiosa è tutt'altro che ostile. «Mai pensato di sorridere sui credenti, tanto meno di irriderli - rivendica -. E poi, guardi, in questo i romanzi "storici" sono davvero molto diversi dalle avventure di Montalbano. Ho in mente uno dei miei primi libri, La bolla di componenda, molto critico nei confronti del ruolo che, secondo me, una certa mentalità ecclesiastica aveva avuto nel frenare lo sviluppo. Ma questo è il passato, un passato dal quale la Chiesa si sta sempre più allontanando. Quando si arriva ai nostri anni, a sacerdoti come don Puglisi o monsignor Romero, altro che critica: per questi uomini ho un'autentica venerazione, non mi vergogno a dirlo. Su uno di loro, anzi, mi piacerebbe scrivere un libro». Un nuovo Montalbano? «No, no: un romanzo storico. Su monsignor Giovanni Battista Peruzzo, vescovo di Agrigento nell'immediato dopoguerra. Un piemontese che era arrivato a comprendere la Sicilia meglio di tanti siciliani e che, con grande coraggio, sostenne a viso aperto le rivendicazioni dei contadini. Gli spararono. Non lo fecero fuori, però gli spararono».
Allo stesso modo, Camilleri confessa di essere rimasto colpito dagli ultimi giorni di Giovanni Paolo II: «Quel modo impudico, eppure pudicissimo di mostrare la propria sofferenza. E poi, più che altro, quel desiderio fortissimo di comunicare, fino all'ultimo, nonostante il corpo gli si ribellasse e glielo impedisse. Non vorrei sembrare irriverente, ma si capiva che era stato un attore. "Sentiva" il pubblico, e questo gli dava forza». Prima che scrittore di successo, del resto, lo stesso Camilleri è stato uomo di spettacolo: regista, sceneggiatore, autore di quella che oggi si chiamerebbe fiction. «Ma erano altri tempi, sul serio - si difende -. Adesso ci sono molti buoni professionisti, alla mia epoca si potevano ancora incontrare grandi maestri. Il mio è stato Orazio Costa, che oltretutto era un autentico credente. Lo spettacolo più bello che abbia mai visto è stata la sua regia del Poverello di Jacques Coupeau. E sa perché? Perché Costa ci stava con la fede, come direbbe Montalbano».
Alessandro Zaccuri
 
 

Modica.info, 13.4.2005
Torna il commissario Montalbano
Scicli, ovvero la Vigata di Camilleri
I nuovi episodi avranno diverse location a Scicli: piazza Municipio, l’ospedale Busacca e la chiesa di San Bartolomeo

Il commissario Montalbano torna a Scicli. Nei giorni scorsi una troupe della Palomar, la casa di produzione dello sceneggiato televisivo interpretato da Luca Zingaretti, ha compiuto diversi sopralluoghi in città, al termine dei quali ha chiesto al sindaco Bartolomeo Falla la disponibilità ad ospitare la troupe in alcuni siti di Scicli che dovrebbero diventare location dei prossimi episodi, che saranno anche gli ultimi del fortunato serial televisivo.
Le location dovrebbero essere piazza Municipio, l’ospedale Busacca (solo gli esterni), e la chiesa di San Bartolomeo. Qui dovrebbe essere girata la scena di un funerale. Il sindaco Falla ha accordato la disponibilità a supportare la logistica della Palomar nei giorni di lavorazione dello sceneggiato ispirato ai libri di Andrea Camilleri. Scicli conferma perciò la sua vocazione a diventare la Vigata di Salvo Montalbano.
 
 

Gazzetta del Sud, 14.4.2005
«Privo di titolo» di Andrea Camilleri
Storia di un delitto nella Sicilia fascista

Storia di un delitto politico in Sicilia, nel periodo fascista, con un morto che invece è stato ammazzato per sbaglio da un suo amico camerata. Il risultato è che l'assassino per la legge è incolpevole e il martire fascista è stato sì ucciso, ma non può essere classificato come eroe e vittima dell'odio politico. Andrea Camilleri, con il suo nuovo libro (Privo di titolo, Sellerio editore, pagine 296, euro 11) torna a uno dei suoi filoni prediletti insieme al giallo, i fatti storici del passato, con la sottintesa intenzione di pensare al presente. Come nella pratica diffusa tra gli scrittori nell'Egitto di Gamal Abdel Nasser, che utilizzavano storie provenienti dal passato e dalla letteratura per fare riferimenti alle vicende dell'attualità politica, Camilleri gioca con i fatti, impastandoli con la sua capacità di narratore e con la forza della «sua» lingua e non nasconde l'ambizione di leggere la realtà contemporanea. Sceglie, lo scrittore di Porto Empedocle, un'ambientazione e una storia che hanno suscitato polemiche ancora prima che il libro uscisse, ma prende spunto da due fatti realmente accaduti, come la vicenda di Luigi Gattuso, «unico martire fascista siciliano», ammazzato per errore dai suoi stessi camerati, e la storia di Mussolinia città immaginaria, che doveva sorgere vicino a Caltanissetta per onorare il Duce del fascismo e invece fu solo un'artificiosa invenzione esistita soltanto nella realtà illusoria di un fotomontaggio. La storia di Gattuso, a cui si ispira Camilleri era stata già raccontata dal giornalista siciliano Walter Guttadauria, che ricostruì in un suo libro la vicenda che si rifà a un processo con due vittime: il fascista Gattuso che muore e il comunista pseudo-assassino tormentato e innocente. Privo di titolo dice Camilleri, spiegando la singolare intitolazione del suo ultimo romanzo, per evitare di essere di parte in una storia atroce e allo stesso tempo assurda, con un assassino reo confesso perché crede di avere ammazzato lui il giovane Gattuso e il morto celebrato come martire ma che alla fine è defraudato della dignità di «semplice morto privo di titolo». Insomma, la storia di due sventure nell'epoca del fascismo, raccontate da Camilleri con la sua consueta forza narrativa, che si intesse in questo caso con la tecnica della scrittura e del montaggio cinematografico. Lo scrittore riguarda alla moviola i fatti accaduti, li rallenta, li rilegge come in un fermo immagine, invita a scartare ciò che non serve e a sottolineare quanto deve essere lasciato alla riflessione. Il «martire fascista» Luigi Gattuso fu ucciso nel 1921, a soli diciotto anni, dai suoi compagni, per sbaglio, e il suo presunto assassino, il giovane muratore comunista Michele Ferrara, fu prima incarcerato e poi rimesso in libertà, in considerazione, come stabiliva la sentenza, che aveva già agito in stato di legittima difesa. Un verdetto che volle mettere a tacere una verità scomoda e che alla fine stava bene a tutti, ai fascisti che si tenevano il loro martire e ai comunisti per i quali tutto sommato la vicenda era finita bene. Camilleri, ricostruendo i fatti di cronaca, ha cambiato i nomi dei protagonisti della vicenda storica. Il nome di Luigi Gattuso appare solo nel primo e nell'ultimo capitolo del libro, nei quali non c'è nessuna invenzione. Poi lo scrittore si è dedicato a rivisitare tutta la storia interpretandola in maniera immaginaria e fantastica. L'altro fatto che si intreccia con la storia del martire fascista riguarda la città del Duce che non è mai esistita. Una beffa a Mussolini. Una città virtuale con il mare trasportato nell'entroterra, con ornamento di barche e di reti messe ad asciugare. Camilleri ha lavorato molto di fantasia, ma Mussolinia è un fatto vero. Ne hanno scritto in un recente passato in tanti e tra questi, cita lo stesso Camilleri, a conclusione del suo libro, un calatino di nascita che abita a Torino, il dottor Salvatore Venezia, autore del saggio Mussolinia: il fantasma di una città giardino, apparso sul «Bollettino» (1993, n. 2) della «Società calatina di Storia patria e cultura».
Domenico Nunnari
 
 

La Provincia di Sondrio, 14.4.2005
Montalbano sfida in tivù Rivombrosa 2

Cannes. Giocano la carta dei telefilm e delle fiction, più che puntare ai reality show, Rai e Mediaset. Queste le anticipazioni delle due aziende al mercato televisivo in corso a Cannes.
Telefilm Rai
[...]
Torna Montalbano. Il commissario Montalbano -alias Luca Zingaretti, reduce dal successo di Cefalonia- sta per tornare a Scicli per un'altra serie televisiva sul personaggio creato da Andrea Camilleri. Le riprese inizieranno tra breve; si prevede la messa in onda nel 2006.
[...]
Piermaria Pazienza
 
 

VareseNews, 14.4.2005
Fiction - Incontro con Alberto Sironi, regista di origine bustocca che lunedì inizierà le riprese dei nuovi episodi di Montalbano e che ha appena terminato la nuova fiction tratta dai romanzi di Gianrico Carofiglio
“In tv continuo le battaglie di De Sica e Fellini”

Alberto Sironi è un regista infaticabile: dopo il successo televisivo di "Salvo D’Acquisto" e "Virginia, la monaca di Monza", ha appena terminato i due primi film tratti dalle opere dello scrittore e giudice della Dia, Gianrico Carofiglio: "Testimone inconsapevole" e "Ad occhi chiusi". Film per la televisione che narrano le vicende del giovane avvocato Guerrieri, interpretato da Emilio Solfrizzi, e ambientate in Puglia.
Abbiamo incontrato a Roma il regista originario di Busto Arsizio, poco prima della sua partenza per la Sicilia dove nei prossimi mesi sarà impegnato nelle riprese di altri quattro episodi della serie di Montalbano. "Iniziamo a girare lunedì 18 aprile e realizzeremo i primi due episodi in programma – spiega Sironi –. Episodi tratti dagli ultimi due romanzi di Camilleri, "Giro di Boa" e "La pazienza del ragno". Poi a ottobre gireremo altri due episodi, stavolta tratti da due racconti. Il tutto non andrà in onda prima del 2006".
Invece la nuova fiction tratta da Carofiglio, quando potremo vederla sul piccolo schermo?
"Abbiamo consegnato da poco il lavoro, questa volta sarà trasmesso da Canale 5, ma non sappiamo ancora quando. E’ un progetto che ho fortemente voluto e spero diventi un nuovo Montalbano, la storia lo merita".
Cosa la attira delle storie che racconta?
"Mi piacciono le storie morali, quelle che mettono in discussione anche la società in cui viviamo, esattamente come accade in Montalbano. Si tratta di uomini che vanno anche contro il sistema, ma che allo stesso tempo sono anche persone fragili, con delle debolezze. Come questo nuovo personaggio, l’avvocato Guerrieri appena rimasto senza la moglie. Per la televisione si tratta di storie piuttosto inusuali perché non si tratta di un semplice legal thriller, è un racconto morale con temi che io definisco grigi, inusuali per il racconto televisivo".
Dopo tanti lavori realizzati per la Rai questa nuova fiction andrà in onda su Medaiset. Cosa si aspetta?
"Non si tratta sicuramente di film per Mediaset: il più grande nemico sarà il bombardamento pubblicitario, ma non si può chiudere gli occhi sulla realtà. Non faccio storie in cui non credo moralmente, e ho sempre avuto questo punto di vista anche quando lavoravo poco. Con Mediaset ho avuto la possibilità di realizzare questo progetto, vediamo che succede".
Lei è sicuramente un regista inusuale per la televisione: ha lanciato Zingaretti, Fiorello, e adesso ha recuperato Solfrizzi, prima attore di commedia. In un sistema televisivo che punta tutto sulle star, come si trova?
"E’ la battaglia che più duramente porto avanti da anni. Mi piace lavorare con giovani attori, facce nuove e sconosciute al grande pubblico. Nella serie sull’avvocato Guerrieri ci sono anche altri bravi attori come Chiara Muti, Bianca Maria D’Amato, Giovanni Moschella, Giovanni Esposito in un ruolo drammatico, ed Alex Van Damme nella parte di un extracomunitario accusato ingiustamente di un crimine e aiutato dall’avvocato Guerrieri nella prima puntata. Poi la squadra è la stessa di Montalbano: stesso direttore della fotografia e stesso produttore Carlo Degli Esposti. Si può dire che l’affiatamento è più che collaudato e gli attori sono una parte molto importante".
Anche il suo stile si avvicina molto a quello cinematografico…
"Sono nato con il cinema, i miei riferimenti sono alti, ma oggi il cinema italiano non esiste, non c’è produzione e il mio tentativo è quello di alzare il livello della televisione. Ed è proprio in televisione che porto le battaglie che in passato furono di De sica e Fellini".
Torniamo a Montalbano: per lei i nuovi episodi sono un ritorno al personaggio che le ha dato un certo successo…
"Certamente. E tornare a lavorare a queste storie mi fa molto piacere. Quando ci si avvicina al mondo di uno scrittore non è semplice, un regista deve acchiappare l’anima di una storia. Sono un appassionato di letteratura gialla e poliziesca e sinceramente penso che Montalbano sia il più bel personaggio della letteratura italiana di questo tipo. Un equivalente di Maigret".
Zingaretti, tempo fa, disse che non avrebbe più interpretato Motalbano, poi ha cambiato idea. Cosa è successo?
"Per Luca non sarà facile scrollarsi di dosso l’immagine di Montalbano, a cui lui si adatta benissimo. E poi la sua faccia non è molto trasformabile. Penso che abbandonerà il personaggio dopo questi quattro episodi".
Camilleri cosa dice delle sue trasposizioni televisive?
"Camilleri è contentissimo e ne sono felice perché vuol dire che non è stata tradita l’anima della storia. Una frase che ricorderò sempre e che mi ha fatto molto piacere, è quando, riferito ai personaggi di contorno, mi ha detto: "sembra che gli abbia scritti io". Ho capito che era la direzione giusta".
 
 

La Sicilia, 14.4.2005
Nostra inchiesta sul giallo siciliano. Intervista allo scrittore palermitano Santo Piazzese
Mitteleuropeo tra le panelle
«Più che da Sciascia sono stato influenzato dalla letteratura americana, da quella mitteleuropea, e poi da tutto ciò che ho letto, visto al cinema, nei musei, per le strade del mondo, la musica che ho ascoltato, le persone che ho conosciuto: per dirla con Hemingway, gli scrittori applicano il principio dell’ce berg: il romanzo è la parte emersa di una montagna di esperienze, di suggestioni che fanno da brodo di coltura per lo scrittore».

Definito dalla critica il più mitteleuropeo degli scrittori siciliani, Santo Piazzese, palermitano, ha sempre l’aria di chi, per timore di disturbare, si presenta in punta di piedi. Classe 1948, biologo, Piazzese è una delle voci più interessanti della letteratura siciliana contemporanea, che nelle sue mani diventa sperimentazione e ricerca. La città di Palermo, tra palazzi nobiliari, panelle e cappelle nascoste, fa da cornice ideale ai suoi romanzi, dove riversa un concentrato delle proprie esperienze di vita vissuta. "Dell’esistenza di Camilleri - dice infatti l’autore- l’ho saputo una settimana prima dell’uscita del mio primo libro. E più che da Sciascia sono stato influenzato dalla letteratura americana, poi da quella mitteleuropea, e poi da tutto quello che ho letto, visto al cinema, nei musei, per le strade del mondo, la musica che ho ascoltato, le persone che ho conosciuto: per dirla con Hemingway, gli scrittori applicano il Principio dell’iceberg: il romanzo è la parte emersa di una montagna di esperienze, di suggestioni che fanno da brodo di coltura per lo scrittore. Posso dire solo che non mi riconosco in nessun filone che abbia al vertice un caposcuola".
Nel suo ultimo pluripremiato romanzo, "Il soffio della valanga", assurge a ruolo di protagonista Vittorio Spotorno, commissario, già comparso in maniera defilata nei primi due romanzi di Piazzese "I delitti di via Medina-Sidonia" e "La doppia vista di M. Laurent" (Sellerio), dove il protagonista-investigatore Lorenzo La Marca è ricercatore universitario.
- Piazzese, lei è uno dei pochi giallisti che non rifiuta tale "etichetta". Una volta ha detto che le piacerebbe scrivere un romanzo di fantascienza alla Asimov. Perché ha scelto di scrivere gialli piuttosto che romanzi di fantascienza?
"Mi piace parlare di cose che conosco, ambientare una storia in un contesto che mi è familiare e che sia potenzialmente riconoscibile ai lettori, anche a quelli che non conoscono questo contesto. Mi rendo conto che è possibile farlo anche scrivendo una storia di fantascienza - anzi, parecchi grandi autori l’hanno fatto, scrivendo storie memorabili - però, secondo me, il giallo, per sua natura, è strettamente legato a un contesto, più di qualsiasi altro genere letterario. D’altra parte, quando ho cominciato a scrivere avevo già in mente uno spunto per una storia, ed era una storia noir. Ma non escludo di riuscire a scrivere una storia di fantascienza, prima o poi. Anzi, ripensandoci, credo di avere già scritto un paio di racconti che stanno a metà strada tra il thrilling e il surreale, che in casi
specifici può essere assimilato a una variante di fantascienza".
- Quanto incide la territorialità di ogni autore?
"Incide quanto vuole l’autore. Nel mio caso incide in modo decisivo, fondamentale. Non riesco a pensare a una storia, sia essa un romanzo o un racconto, che non sia territorialmente contestualizzata. Non è solo un fenomeno topografico, ovviamente, ma coinvolge livelli più profondi, che riguardano l’individuo e la società".
- Cosa pensa del boom del giallo siciliano?
"Penso che, in realtà, sia un boom nazionale, che riguarda anche i libri scritti da autori stranieri. Il giallo era rimasto per troppo tempo nel limbo della letteratura di serie B, e quando è stato sdoganato anche dalla critica ‘togata’ - pure per merito di bravi scrittori, e il capofila di questi è ovviamente Camilleri - è stato come togliere il tappo a un vulcano, tanto che oggi c’è persino il rischio che a forza di pompare solo gialli, la gente si stufi. E’ un fenomeno che, come meccanismo, somiglia a quello della rivoluzione sessuale, che da noi arrivò dopo il ‘68. Per quanto concerne in modo specifico la Sicilia, faccio notare che il boom di autori siciliani riguarda il comparto letterario nel suo complesso, non solo il giallo. Mi sembra persino pleonastico ricordare gli straordinari precedenti siciliani nel settore".
- A parte il fenomeno Camilleri che ha fatto riscoprire il giallo made in Sicily, condizionando comunque i nuovi autori siciliani che non possono prescindere dal confronto col suo successo, la Sicilia ha sempre parlato in giallo, basta citare Sciascia ma anche Enzo Russo o lo stesso Mario Puzo oriundo napoletano col suo celeberrimo e sicilianissimo don Vito Corleone de "Il padrino". Siamo quindi naturalmente portati a raccontare in giallo, condizionati dal nostro essere siciliani?
"Tra gli oriundi siciliani, non dimentichiamo Salvatore Lombino, che, se non ricordo male, proviene da una famiglia originaria di Bisacquino e divenne famoso con lo pseudonimo di Ed McBain, autore di una delle più notevoli saghe poliziesche della storia della letteratura di genere. Tornando ai gialli e alla Sicilia, riprendo quanto detto in precedenza: non tutto quello che scrivono oggi gli autori siciliani è giallo. E, da biologo abituato a considerare la biodiversità come un valore, aggiungo: per
fortuna. Lo stesso Camilleri non scrive solo gialli e, anzi, il mio libro preferito tra i suoi che ho letto, è “Il birraio di Preston”, che non è un giallo. In Sicilia comunque c’è un altro fattore che condiziona gli scrittori: la mafia. Poiché interviene in modo massiccio nelle nostre vite, non si può non parlarne. E gli scrittori non possono non scriverne. Poiché mafia vuol dire crimine, nella maggior parte dei casi, scrivere libri che hanno la mafia come oggetto, può voler dire scrivere un giallo. Non credo a motivazioni legate a una supposta "specificità" dell’essere siciliani".
- La Sicilia sembra una terra vocata ai racconti duri e di genere. Basta seguire ciò che la cronaca racconta ogni giorno. Uno scrittore siciliano quanta verità e quanta fantasia deve dosare per essere credibile e non stereotipato?
"Premetto che non ho mai creduto nella funzione salvifica della letteratura e dei libri in genere. Detto questo, ritengo che uno scrittore - che sia siciliano o meno – si può considerare tale solo se tende a farsi testimone di verità, sia pure relative. Ricordo ciò che diceva Sciascia in proposito: la letteratura è la più alta forma che la verità possa assumere. Il che vale anche quando un autore ricorre alla fantasia. Perché non bisogna confondere la fantasia con la menzogna. In una storia di fantasia ci può essere più verità che in una all’apparenza "vera". Si può raccontare un fatto di cronaca realmente accaduto capovolgendo responsabilità e motivazioni. E, al contrario, se ne può anche inventare uno di sana pianta, ma capace di affermare gradi di verità più o meno avanzati. Perché, sia chiaro, ‘la Verità’ è un’astrazione".
- Che futuro prevede per il giallo made in Sicily?
"Penso che questa fase di grande ubriacatura per il giallo, a livello nazionale e regionale, si andrà assestando gradualmente su un livello intermedio, diciamo più ‘fisiologico’, e anche gli editori saranno più selettivi. La mia è anche una speranza, perché mi piace leggere buoni libri, a prescindere dai generi che essi rappresentano. Se ciò non dovesse accadere, se gli editori continueranno a ‘spremere’ il genere, il cambiamento sarà più drastico e i critici meno assoggettati all’industria editoriale ricominceranno a sparare a zero contro i giallisti".
- Non pochi suoi lettori, pur non disprezzando il commissario Vittorio Spotorno protagonista dell’ultimo romanzo "Il soffio della valanga", invocano a gran voce il ritorno a tutta scena di Lorenzo La Marca, suo alter ego. Facciamo loro un regalo: quando ritornerà La Marca?
"Onestamente, non so se tornerà. Ogni tanto ne sento la mancanza (Camilleri direbbe ‘il fiato sul collo’). Però nell’immediato futuro ci sarà ancora spazio per Spotorno. Poi si vedrà".
Roberto Mistretta (2 - continua)
 
 

Liberazione, 15/04/2005
La realtà virtuale? Un déjà vu del fascismo
Andrea Camilleri parla del suo nuovo libro "Privo di titolo". L'attuale mistificazione del reale radicata nel Ventennio. Nel romanzo, un "martire del regime" ucciso da un altro camerata e una città intitolata a Mussolini, mai esistita se non in un fotomontaggio

La deformazione delle notizie, dei fatti, è sempre stata un tratto saliente dei regimi autoritari. Oggi, venuti meno questi, almeno nel mondo occidentale, la realtà non sembra essere cambiata molto. Appare sempre più virtuale e modellata secondo le esigenze dei potenti. C'è insomma un filo rosso che lega la vecchia propaganda di regime a quello che oggi i media e i politici raccontano, per esempio, sulla guerra in Iraq o sul conflitto mediorientale, facendo scempio della verità. Per tutte queste ragioni di strettissima attualità, Andrea Camilleri ha pubblicato recentemente “Privo di titolo” (Sellerio editore, pp. 295, euro 11,00), la storia di un finto martire fascista e di una città intitolata a Mussolini, quest'ultima del tutto virtuale ma della cui esistenza il duce credette per un certo periodo grazie ad un ingegnoso fotomontaggio. Il tutto ovviamente ambientato nella Sicilia di Camilleri. Per farci raccontare la genesi di queste due storie, talmente incredibili da giustificare la scelta di un titolo "non titolo", siamo andati a trovare l'ottantenne "inventore" del commissario Montalbano nella sua bella casa di Roma, in via Asiago, proprio di fronte agli studi di Radiorai. «Non hanno una grande insonorizzazione e così spesso sento i concerti che trasmettono» dice lo scrittore, che non appare infastidito da queste note che arrivano di tanto in tanto. Nel suo studio ci sono copie dei suoi romanzi tradotti nelle lingue più varie. Dall'ebraico al portoghese - «ma si tratta di un'edizione brasiliana» precisa Camilleri – al greco, solo per citarne qualcuna.
Poi il racconto di come è nato “Privo di titolo”. «La storia la narro già nel primo capitolo di questo romanzo. Ci sono io, vestito in divisa fascista, che vengo convocato in questa grande adunata nel ventennale del sacrificio del martire. Lì vedo il cosiddetto assassino ma poi la cosa mi passò di mente. Ci sono tornato sopra quando ho letto un libro, “Fattacci di gente di provincia”, che l'autore, il giornalista nisseno Walter Guttadauria, mi mandò. Me lo mandò perché io avevo scritto “Il birraio di Preston”, che si svolgeva a Caltanissetta, e lui mi inviò la vera storia di quello che era successo in occasione della prima teatrale dell'opera, realizzata sempre a Caltanissetta. Il libro era pieno di fatti interessanti tanto che, con il suo permesso, saccheggiai un episodio che poi misi in un Montalbano. Ma una parte importante di questo libro era sul fatto di Gigino Gattuso, martire fascista.»
Le tornò così in mente quell'episodio vissuto realmente in gioventù...
«Sì, e scoprii che c'erano dei sospetti molto seri sulla versione dei fatti che era stata accreditata. Gigino Gattuso non era stato ammazzato dal feroce comunista, che io avevo visto piangere nel '41, ma bensì, per errore naturalmente, da un altro camerata durante l'aggressione al comunista. Si direbbe oggi da fuoco amico. Ora, tutto questo non venne chiaramente fuori durante il processo del '24, con il fascismo saldamente al potere perché aveva superato la crisi Matteotti. Però in quel processo si ribaltarono le conclusioni del primo. Nel primo, appunto, si disse che era omicidio volontario, nel secondo invece si disse che l'assassino aveva "agito in stato di legittima difesa e quindi se ne ordina l'immediata scarcerazione e la restituzione dell'arma illegalmente detenuta".»
Una vera e propria retromarcia...
«Si trattò di una sentenza di comodo che mise in libertà quello che fino a quel momento era stato considerato un assassino al punto che lui stesso si considerò tale. Perché la cosa strabiliante è che il Ferrara credeva di aver realmente ucciso il giovane. Ci furono due colpi partiti contemporaneamente ma quello che uccise il fascista era stato sparato in realtà dall'altro camerata. La conclusione è che, essendo il fascismo imperante, ed essendo l'unico martire fascista siciliano, si sfruttò questo povero ragazzo ammazzato a diciotto anni da un suo compagno, e lo si trasformò in un simbolo della fede fascista della Sicilia. Gli vennero intitolate scuole, aule magne, tutto. Anche se il processo mise questi dubbi fortissimi.»
Una storia intrigante per uno scrittore come lei...
«Infatti mi ha tentato molto, anche perché in contemporanea stavo leggendo l'incredibile storia di una città inesistente se non nelle fotografie, che è Mussolinia. Nel '24, proprio mentre si svolgeva il processo, venne fondata una città nei pressi di Caltagirone, intitolata a Mussolini. Si costruirono due torri, si spianò un po' di terreno e Mussolini, quando arrivò nel '24, mise la prima pietra, che però non fu la prima perché appunto c'erano già le torri. Sei anni dopo il duce se ne ricordò e chiese a che punto fosse la costruzione della città. Tutti piombarono nel panico perché, nel frattempo, non esistevano più neanche le due torri, in quanto erano state smantellate dai pastori per costruire delle case. A quel punto realizzarono un fotomontaggio e glielo mandarono. A Mussolini il fotomontaggio piacque moltissimo, tanto che ne mandò una copia alla Sonzogno casa editrice perché inserisse Mussolinia nelle cento più belle città d'Italia. Ma non finisce qui. A Caltagirone, gli avversari dei fascisti che erano al potere, realizzarono una cosa meravigliosa. Fecero un secondo fotomontaggio facendo credere che nella città era arrivato il mare che si trova a 95 chilometri di distanza. E nel retro c'era scritto "Duce, siamo riusciti a portare il mare a Mussolinia". Mussolini capì l'inganno e così Caltagirone, che era in lizza con Enna per diventare capoluogo di provincia, perse la contesa.»
Perché l'idea di mettere queste due storie insieme?
«Perché oggi viviamo in un mondo nel quale non sai qual è la linea di demarcazione tra realtà virtuale e realtà vera, e le storie che ho raccontato sono un primo rozzo, ma riuscito, tentativo di alterazione della realtà. Per quanto riguarda l'oggi, all'età venerabile di ottant'anni sono sconvolto da quello che succede. Le televisioni, che fino ad un certo momento sono state fabbriche del consenso, oggi hanno fatto un salto in avanti e sono diventate fabbriche del credere. Del credere in che cosa? In una fede di comodo. E lo abbiamo visto nella guerra all'Iraq. All'Onu gli americani mostrano del materiale in base al quale Saddam Hussein avrebbe avuto armi di distruzione di massa. Armi, che, secondo il primo ministro britannico Blair, sarebbero state capaci di distruggere una città europea in 48 ore. Quindi c'è la necessità della guerra preventiva prima che questo dittatore pazzo scateni l'apocalisse, costi quel che costi in vite umane. Dopo di che veniamo a sapere che queste armi non c'erano. Colin Powell dice "sono stato ingannato". Ingannati in realtà siamo stati noi. Però, malgrado questo, il presidente Bush viene rieletto con quella maggioranza che aveva solo sognato nelle prime elezioni. Quindi è diventata una fede difficile da sconfiggere assai di più di una fede religiosa, perché è una fede di comodo.»
La difficoltà a leggere la realtà per quella che è passa anche attraverso la rilettura della storia in chiave politica. Che cosa ne pensa?
«Un revisionismo storico che sia un sano revisionismo, è ammesso, è giusto, è doveroso. Tu non puoi sentire sui fatti della storia una solo voce. Ne devi sentire anche altre. Che si facciano le trasmissioni televisive su Cefalonia, per cancellare un lungo silenzio su un fatto straordinario che ha caratterizzato l'esercito e non i partigiani, è giusto e parte da una giusta revisione storica. Ma quando il revisionismo parte da un presupposto politico è già un errore storico. Cioè l'oggettività storica è andata a farsi benedire. Ecco perché io ho scritto questo libro. L'ho scritto per dire "guardate che le radici di tutto questo non nascono ora, ma parecchio tempo addietro".»
Vittorio Bonanni
 
 

La Sicilia, 15.4.2005
Barrafranca, conclusa la prima serata di confronto su Tabucchi
Il Cafè letterario apprezzato dai giovani

Barrafranca. Si è conclusa con una buona partecipazione la prima serata del «Cafè Letterario» dove ha suscitato interesse la discussione su uno scrittore contemporaneo come Antonio Tabucchi da parte di Tina Cancilleri la quale ha lanciato un modo nuovo di coinvolgere gli intervenuti e gli appassionati di letteratura discutendo e, magari, sorseggiando una bevanda al fine identificare il tutto in una passione del mondo letterario.
Un modo per incentivare la discussione su alcuni testi anche di scrittori siciliani dove oltre all'attività didattica nella scuola per i più giovani la serata di discussione di un autore può essere un modo di riscoprire alcuni testi di letteratura per alcuni depositati nel "cassetto". Tina Cancilleri laureata in filosofia, studiosa e amante della letteratura italiana e straniera ha stretto rapporti di collaborazione con il famoso scrittore Andrea Camilleri dove oltre a intervistarlo per lo studio sul romanzo storico e sul suo libro come "Il Re di Girgenti" ha avuto l'occasione di iscriversi come fan del Club Camilleri e tenere contatti con il proprio amato scrittore.
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Renato Pinnisi
 
 

Io Donna (supplemento del Corriere della Sera), 16.4.2005
Tutto insieme appassionatamente
Che la lentezza sia un lusso maschile? Qualche fanatico del ritmo sfrenato dissente. Altri incolpano la latitudine. Cinque uomini osservano le signore in corsa. Con sguardi solidali. E un consiglio.

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Andrea Camilleri, scrittore.
"Poveracce, corrono: non è una bella condizione. Ricordo come correva sempre mia moglie, quando lavorava in ufficio fino alle cinque e poi doveva dedicarsi a tre figlie. E pure al marito. Devo però riconoscere che le nuove generazioni di uomini stanno cambiando: vedo i miei generi fare la loro parte in casa e coi figli, cosa che per me sarebbe stata inconcepibile. Non c'è dubbio: la lentezza è un lusso maschile. Per l'uomo meridionale poi... Non è uno stereotipo: il meridionale continua a prendersela comoda. Io, per aver lavorato in teatro e in televisione, credo di aver acquisito il senso del tempo. So quando posso permettermi di rallentare, ma se dispongo a piacimento del mio tempo, me lo prendo tutto. La mia natura è quella di non correre mai, e oggi è bellissimo: sono un pensionato di quasi ottant'anni, che scrive romanzi, me la posso prendere estremamente comoda. Anzi, è mio dovere: il tempo lento è indispensabile per produrre dei buoni lavori."
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Emanuela Zuccalà
 
 

La Sicilia, 16.4.2005
Ragusa. Il regista Sironi definisce le location e rammarica l'assenza del Duomo di Ibla

Ragusa.  Le impalcature che nascondono la facciata esterna del Duomo di San Giorgio ne impediranno le riprese televisive nella famosa fiction del Commissario Montalbano. A confermarlo e' il regista Alberto Sironi che ieri mattina, dopo l'incontro di giovedi' al Comune, ha avuto un breve confronto con i funzionari e i vertici dell'Aapit. "Purtroppo le impalcature non ci consentiranno di effettuare delle riprese da vicino - spiega il regista Sironi - Probabilmente faremo delle riprese a piu' ampio raggio in modo da non far capire che si tratta di impalcature. In ogni caso Ibla ha degli angoli bellissimi che potremo ugualmente sfruttare". La troupe e' arrivata da qualche giorno. Le riprese inizieranno lunedì e serviranno a realizzare altri quattro episodi televisivi. "Ogni volta che torniamo va sempre bene - dice Sironi - Ritrovarci da queste parti e' molto bello. Siamo diventati siciliani anche noi. Gireremo gli ultimi episodi. Ne faremo quattro, due tratti dai romanzi, ed in particolare da "Giro di boa" e "La pazienza del ragno" e due dai racconti di Camilleri". Perche' parla di ultimi episodi? C'e' una connessione tra la fiction televisiva e l'annunciata morta letteraria del personaggio Montalbano? "La morte letteraria di Montalbano non e' stata ancora pubblicata da Camilleri. In effetti potrebbero esserci ancora altri episodi ma dipendera' da molti fattori, dalla Rai, dagli attori, dal pubblico". Si inizia a girare a Brucoli con alcune scene che vedono protagonisti gli extracomunitari. Nel "Giro di boa", infatti, e' prevista la scena di uno sbarco di clandestini. Nei giorni scorsi si sono avuti i casting con molti cittadini di colore residenti in provincia di Ragusa che si sono messi in gioco dinnanzi gli obiettivi della troupe. "La scena iniziale racconta di uno sbarco che gireremo a Brucoli, in provincia di Siracusa - conclude Sironi - poi ci sposteremo anche nella realta' iblea per proseguire le riprese". Per gli immigrati c'e' uno sforzo in piu'. In molti devono conciliare i tempi delle riprese televisive con quelle del lavoro. Si stanno gia' organizzando partendo in autobus alle quattro del mattino per poi cercare di rientrare il prima possibile. Intanto al Comune di Ragusa il produttore della Palomar, Carlo Degli Esposti, ha incontrato i sindaci di Ragusa, Modica e S. Croce oltre al presidente dell'Ap e rappresentanti Aapit.
Michele Barbagallo
 
 

Il Domani.it, 19.4.2005
Catanzaro
Incontri con gli scrittori

Nell'ambito del programma "Giallo, rosso, rosa, blu... colore d'autore" il Masciari sarà teatro di incontri con scrittori italiani: martedì 26 aprile il "giallo" Sardegna di Marcello Fois, incontro condotto da Claudia Pulice, letture di Daniela Scarlatti; lunedì 2 maggio il "rosa" e il "blu" i colori della poesia di Patrizia Valduga, incontro condotto da Davide Lamanna. Rinviato al 18 maggio il "rosso" storico di Andrea Camilleri, incontro condotto da Maria Luisa Bigai, letture di Giovanni Carta tratte da "Il re di Girgenti"; Interventi musicali della Binghillo Blues Band, con la partecipazione degli studenti del liceo scientifico Siciliani, istituto tecnico Einaudi e la collaborazione della biblioteca comunale "De Nobili". Tutti gli appuntamenti saranno alle ore 18.30.
 
 

TGCom, 19.4.2005
"Tutte le mattine" compie un anno
Fiorello festeggia a sorpresa Costanzo

[...]
Fiorello nella sua trasmissione radiofonica annuncia anche il maestro Andrea Camilleri "assunto - ha detto Fiorello - dal Vaticano perché è lui che si occupa delle fumate (Camilleri è un grande fumatore, ndr). Per la fumata nera fumerà tre o quattro toscani - ha detto Fiorello - per la fumata bianca del cotone".
[...]
 
 

Scicli, 20-04-05 
Le location del commissario Montalbano a Scicli
La troupe della Palomar, che produce per conto della Rai lo sceneggiato televisivo, sarà in città dal 14 al 17 maggio

Commissario Montalbano, sesta serie. La Palomar, società che produce lo sceneggiato televisivo ispirato ai libri di Andrea Camilleri, ha reso note le location in cui saranno ambientate le ultime due puntate del serial. In una lettera al sindaco di Scicli, Bartolomeo Falla, la Palomar ha annunciato che sarà in città dal 14 al 17 maggio prossimi.
Due le puntate che verranno girate in provincia di Ragusa dal 27 aprile al 29 maggio per la regia di Alberto Sironi e le scene di Luciano Ricceri.
Tre i siti che diventeranno set dello sceneggiato ispirato ai libri di Andrea Camilleri: il 14 maggio si gira davanti l’ingresso dell’ospedale Busacca, nella strada prospiciente, dal passaggio a livello ferroviario fino al cimitero; il 16 maggio sarà la volta della chiesa di San Bartolomeo, dove dovrebbe essere girata la scena di un funerale. Qui il set si estenderà alle strade laterali della chiesa fino a piazza Italia. Il 17 maggio si girerà in via Mormina Penna, o meglio, in piazza Municipio, dove verrà ripreso l’ingresso del palazzo comunale. Il set televisivo si estenderà anche al tratto di via Nazionale antistante la piazza.
E’ chiaro che gli automobilisti e i residenti dovranno sopportare qualche sacrificio. Il comando di polizia municipale predisporrà di divieti di sosta e in alcuni casi anche i divieti di transito. Ma non c’è dubbio che il gioco valga la candela. Negli ultimi anni Scicli ha ricevuto infatti una notorietà turistica notevole proprio grazie alla identificazione della cittadina con la Vigata di Montalbano, mentre l’attore Luca Zingaretti è diventato “uno di casa”.
Giuseppe Savà (Uff. Stampa Comune di Scicli)
 
 

Bresciaoggi, 20.4.2005
«Senza re né regno» un esordio forgorante
Domenico Seminerio il «nuovo» Camilleri

Qualcuno già associa il suo nome a Andrea Camilleri, ma «è solo per l’età», si schermisce lui. Domenico Seminerio da Caltagirone al suo primo romanzo è già un caso letterario. Professore al liceo classico della sua città, è approdato al giallo grazie alla sua passione per l’archeologia.
E ne esce una storia di mafia, di quelle che non si fermano alla superficie ma vanno all’origine dei comportamenti. Quelli «mafiogeni», per così dire, che portano il protagonista di «Senza re nè regno» (Sellerio) lungo una china che dall’idealismo giovanile scende tutti i gradini dell’immoralità (compresa la relazione omosessuale con un onorevole) e delle scelte politiche.
Un libro che stupisce, anche per lo stile di una scrittura siciliana che accentua il regionalismo verghiano senza concessioni al dialetto. «Avevo bisogno di un linguaggio che si adattasse al mio personaggio», dice Seminerio. E siccome in Sicilia sono importanti le parole, ma anche i silenzi, «ho usato molto le frasi nominali, frammentate, che costringono il lettore alla pausa».
Come la cosa sia nata la racconta così. Faceva scavi archeologici a S. Mauro. I contadini raccontavano della battaglia tra separatisti e esercito italiano, proprio su quelle terre, il 29 dicembre 1945. La sua famiglia d’altronde possiede terreni confinanti con quelli del capo separatista Concetto Gallo, e l’argomento non gli è nuovo.
Parte da lì e ricostruisce la storia del movimento nel suo passare dalla sinistra alla destra fino ad aprirsi alla mafia, che «entra in politica tra il ’45 e il ’47 - sostiene Seminerio - con il meccanismo delle 4 preferenze che permetteva di controllare ogni voto». In quel contesto, il suo giovane protagonista, figlio di buona famiglia, partecipa alla battaglia di S. Mauro, e per evitare future compromissioni viene mandato al Nord. Dove incontra un mafioso, e si avvia per la china.
mi.va.
 
 

Giornale di Sicilia, 21.4.2005
Brucoli, set "blindato" per Montalbano
"La città impreparata a questi eventi"
 
 

La Sicilia, 22.4.2005
Guttadauria
L’ispiratore  di Camilleri

Un libro giallo nel giallo.
L’acclamato "Privo di titolo", ultimo romanzo storico di Andrea Camilleri, appena pubblicato e già balzato in vetta alle classifiche, ha un debito di riconoscenza verso un altro libro, "Fattacci di gente di provincia", del giornalista nisseno Walter Guttadauria, pubblicato dalle Edizioni Lussografica. Camilleri che da ragazzino era stato portato ad assistere ad una adunata delle camice nere proprio a Caltanissetta, voleva scrivere  sull’omicidio del giovanissimo fascista Gigino Gattuso. Omicidio di cui fu accusato e condannato il socialista  Michele Ferrara. Ma i socialisti sostennero che invece Gattuso rimase ucciso dagli stessi squadristi coinvolti nel tafferuglio col Ferrara. Un giallo in piena regola negli anni Venti, con testi ambigui, una condanna che a molti sembrò politica, e quindi l’assoluzione finale per legittima difesa pronunciata dallo stesso regime. Insomma pane per i denti di Camilleri, abilissimo a costruire trame di fantasia cucite su fatti storici, che quasi non credeva ai propri occhi quando ricevette in dono il libro di Guttadauria, che contiene la minuziosa ricostruzione di quel caso. Uno dei tanti fatti e fattacci in giallo della provincia nissena dal 1713 al 1954.
(R.M.)
 
 

La Sicilia, 22.4.2005
Nostra inchiesta sul giallo siciliano. Parlano il catanese Cappellani e la palermitana Gebbia
In due sulla scia di Camilleri
Catania e Palermo sono i palcoscenici ideali per i gialli umoristici di Ottavio Cappellani e Valentina Gebbia. «Chi è Lou Sciortino» e «Per un crine di cavallo» affondano le loro radici nella cultura e nella gestualità del  teatro siciliano di cui Camilleri è maestro. «Ho un debito di riconoscenza verso il teatro siciliano, da Nino Martoglio ad Angelo Musco» dice Cappellani. «Ho inventato morti surreali. La lupara è volgare» dice Valentina Gebbia

Due città diverse, Catania e Palermo. Due palcoscenici ideali per la carrellata di personaggi pittoreschi che fanno da spalla ai protagonisti di gialli umoristici,diversi nella forma ma simili nella parlata dialettale. Gialli che affondano le loro radici nella cultura e nella gestualità del  teatro siciliano di cui Camilleri è oggi l’indiscusso maestro. Due giovani autori, Ottavio Cappellani, catanese, e Valentina Gebbia, palermitana.
Cappellani col suo romanzo d’esordio, "Chi è Lou Sciortino?", ha già fatto centro undici volte, tante sono infatti le case editrici straniere, compresa la Cina, che hanno acquistato finora i diritti. I personaggi del romanzo sono tutti sopra le righe e non manca niente come nella migliore tradizione di gangster di casa (cosa) nostra: fucili a pompa, cannoli e paste di mandorla, ammazzatine, locali chic della Catania bene dove può capitare di essere accoltellati senza un cane che se ne accorga  e così Catania da città reale e riconoscibile qual è, diventa set di un libro scritto come un film, con un linguaggio serrato, impastato di un irresistibile siculoamericano.
- Cappellani, come nasce questo personaggio?
"Nasce bene, cioè nasce da solo. ’Chi è Lou Sciortino?’ è un romanzo corale, sono altri i personaggi che ’agiscono’, parrucchieri, sciampisti, produttori cinematografici, attrici prosperose, registi pazzi, picciotti impasticcati. Lou resta ai margini. E’ come se mi avesse voluto dire poco di sé. Deve aver avuto un’adolescenza molto interessante. Parla poco, ma sa essere sempre al posto giusto nel momento giusto".
– Quanto c’è di vero e quanto di inventato nella caratura dei personaggi?
"Mi appello al quinto emendamento!"
- Come è nata l’idea di questo romanzo?
"Ci sono due tendenze in Italia, per quanto riguarda la letteratura ’mafiosa’. O parlarne con rabbia e indignazione, o non parlarne affatto. Sappiamo invece che una conoscenza ’letteraria’ è possibile grazie a un atteggiamento che riesce ad essere al contempo vicinissimo e lontanissimo dal fenomeno. Francesco Durante, storico della letteratura italoamericana e traduttore di John Fante, a proposito del mio libro, ha parlato di ’impassibilità esilarante’. Ha detto bene: è proprio questa l’idea di partenza."
- Quanto ha lavorato per rendere quell’impostazione siculo-americana?
"Sono sonorità familiari grazie ad alcuni parenti di Porto Empedocle che, emigrati in America, sono rientrati negli anni del boom economico. Alcuni di loro parlavano proprio così."
- Quali sono i suoi referenti culturali e letterari?
"Ho un debito di riconoscenza verso il teatro siciliano, da Nino Martoglio ad Angelo Musco. Verso la loro capacità di restituire un personaggio attraverso l’uso del linguaggio. Ogni personaggio una "lingua" diversa."
- C’è uno scrittore in cui si riconosce?
"Mi riconosco negli scrittori che preferiscono ’narrare’ più che ’descrivere’. La sperimentazione sul linguaggio mi interessa in quanto dà forza alla scena, non come virtuosismo. Per questo ringrazio il mio favoloso editor, Giuseppe Russo, che mi ha tenuto sulla retta via dicendomi: Mai spiegare quello che si può far vedere".
- Ha temuto il confronto con Camilleri?
"Macché. Mia madre è di Porto Empedocle. Mi sembra una sorta di "zione" simpatico!"
- Lou Sciortino sta facendo furore, la verità: si aspettava questo successo?
"Abbiamo lavorato molto seriamente. In questo campo non si può mai essere sicuri di niente. Ma quando il libro è andato in stampa avevamo la coscienza a posto. Il lavoro era stato svolto a dovere."
- Per un esordiente è sempre difficile trovare credito presso gli editori, com’è approdato da Neri Pozza?
"Mandando quaranta pagine con un abbozzo del manoscritto via posta. Dopo una settimana è arrivata la telefonata di Giuseppe Russo che mi proponeva un contratto."
- Lou Sciortino avrà un seguito?
"Mi sembra altamente probabile. Non subito però. Adesso c’è un progetto che mi furria in testa da tanto tempo".
Valentina Gebbia è l’unica  giallista italiana-siciliana umoristica. Conoscerla di persona è come ammirare il mare azzurro di Sicilia in un giorno di sole. Il suo ultimo romanzo, ambientato a Borgo vecchio, "Per un crine di cavallo", appena pubblicato, a Palermo è balzato al primo posto nelle vendite e interesse sta suscitando anche in Germania.
- Gebbia, perché ha scelto proprio l’abusata Palermo come teatro dei suoi romanzi?
"Palermo, è la mia città, perché non dire di essa ciò che nessuno diceva? C’è la Palermo dei palazzi nobiliari, quella del sacco edilizio, la Palermo dell’arte e della cultura, la Palermo dei mercati storici, quella delle periferie, la Palermo che odora di mare e quella che puzza ancora di tante cose. Ci sono numerose Palermo...e c’è la Palermo del Borgo Vecchio. Il quartiere in cui vivo. Non quello borghese in cui sono nata, ma quello che somiglia a un mondo a parte, una repubblica indipendente  I miei investigatori al Borgo ci abitano.
- Parliamo di Terio e Fana: chi sono realmente i suoi investigatori?
"Non sono poliziotti né detective tradizionali, non sono magistrati né giornalisti. Semplicemente, due fratelli pigri e disoccupati, antieroi per eccellenza. La sede della loro Agenzia, la Mangiaracina investigazioni, che esiste solo nell’immaginario della gente della zona, è l’antica cucina di casa, con una consulente d’eccezione, la madre vedova Mangiaracina.  Terio e Fana sono due single di mezza età pieni di tic e manie, dalla fissazione per il cibo della sorella, al continuo brontolare del fratello, ’spirito di contraddizione’, palermitano sui generis, che odia mare e clima siciliano."
- I misteri in cui si trovano invischiati, loro malgrado, sono sempre piuttosto ingarbugliati e sopra le righe, perché questa scelta?
"Qui in Sicilia, si uccideva quasi esclusivamente a colpi di lupara, arma irrispettosa deflagrante, volgare. La violenza è sempre volgare e così ho cercato d’inventarmi delle morti un po’ surreali, mai gratuite, ai miei occhi più sopportabili. Sono una che s’innamora se scrive d’amore e ha paura delle sue stesse parole, se scrive di morte e crudeltà. Ho stemperato il tutto nello scirocco, che per me non è solo un vento, ma quasi un modo di essere, una dimensione dell’anima. La mia Sicilia e le sue storie, assomigliano più a certe atmosfere sudamericane, sonnolente e profumate di sole. Mentre su tutto aleggia un velato umorismo che alleggerisce anche i più turpi aspetti della vita umana."
- Cosa nasconde la voluta leggerezza di fondo nei suoi scritti?
"Qualcuno ha scritto di me che ho scelto la strada della leggerezza per sopportare la pesantezza della vita e credo abbia ragione."
- Quanto di lei c’è nelle sue storie?
"C’è qualcosa di me in tutto ciò che descrivo, dalle giornate assolate, al nero delle rocce affacciate sul mare. Pare che nelle vene dei siciliani scorra la lava dei nostri tanti vulcani, accesi o silenti che siano, ed è anche per questo che so di essere siciliana."
- Lei è stata ospite di Radiodue con Camilleri, come è stato il confronto col maestro?
"Camilleri è stato delizioso nei miei confronti, in onda e fuori onda. Mi ha commosso. Gli ho spedito una lettera e ’Erba Celeste’ che non aveva letto."
Roberto Mistretta (3 - continua)
 
 

Nove da Firenze, 22.4.3005
Reporters di guerra testimoni di pace
Giandomenico Picco, ex sottosegretario generale ONU, a Scandicci per Reporter di Pace

E' il titolo del I° “Colloquio (della pace, dei diritti, della nonviolenza) di Santa Fiora” (promosso con il sostegno della Regione Toscana), dedicato ad un tema che le convulsioni del “dopoguerra” iracheno, la vicenda che ha visto come involontaria protagonista Giuliana Sgrena e i tanti “conflitti dimenticati” del mondo contemporaneo rendono di drammatica attualità.
Ad invitare, il prossimo 23-24-25 Aprile, interlocutori autorevoli (alcuni nomi: Claudio Martini, Ali Rashid, Mimmo Candito, Loris Campetti, Stefano Marcelli, Paolo Serventi Longhi, Giovanna Botteri.. ) a discuterne a Santa Fiora , sul Monte Amiata, terra di origine di Ernesto Balducci e “luogo simbolo della cultura della pace e della nonviolenza”, è l’Associazione “Uomo planetario” promossa dal Comune di Santa Fiora e dall’Associazione Consultacultura, da “Testimonianze”, dall’ARCI e dalla CGIL regionali. “Uomo planetario” ha già ricevuto l’adesione o il sostegno del Patriarca di Gerusalemme, dello scrittore Andrea Camilleri, dell’attrice Laura Morante, delle ACLI, della Comunità Montana del Monte Amiata Grossetana, dell’Amministrazione provinciale di Grosseto, della Diocesi di Pitigliano, del Centro di accoglienza “Balducci” di Rugliano (UD). L’Associazione, che nasce dalla necessità – avvertita dai costituenti – di pensare la cultura della pace e la nonviolenza (e di connetterle saldamente alla promozione della cultura dei diritti) ha, come punti ideali di riferimento il Mahatma Gandhi, e i maestri italiani della cultura della pace, come Ernesto Balducci e Tom Benetollo, il Presidente dell’ARCI prematuramente scomparso, che fortemente volle che Santa Fiora assumesse il ruolo per il quale oggi l’Associazione sta lavorando.
[...]
 
 

Il Venerdì, 22.4.3005
Montelupo vs Vigata
Barbareschi sono, commissario
In tv sarà il protagonista di una serie di gialli ambientati sull'Appennino

Sarà impossibile non fare paragoni: tra il Montalbano interpretato da Luca Zingaretti e il commissario Soneri portato sul piccolo schermo da Luca Barbareschi. La sfida tra i due investigatori andrà in onda in autunno. Per ora è "confinata" alle librerie, dove è appena arrivato "Le ombre di Montelupo" (Frassinelli, pp. 256, euro 14,50), terza avventura del commissario Sonerri. Il personaggio ideato dal giornalista Valerio Varesi deve vedersela con un giallo familiar- finanziario che stravolge la tranquilla vita di un paesino dell'Appennino. Montelupo come Vigata?
 
 

Le Temps.ch, 23.4.2005
Samedi culturel
Lire en Italie
L'Italie est l'invitée du Salon du livre qui s'ouvre mercredi prochain à Palexpo. L'occasion de dresser l'état des lieux de l'édition transalpine grâce au «passeur» Jean-Noël Schifano. L'occasion surtout de dédier ce numéro du Samedi Culturel à la littérature et, plus largement, à la créativité italiennes.

Un marché qui frôle les 4 milliards d'euros. Près de 700 maisons d'édition. Une profession organisée. Plus de 50.000 nouveaux titres par an, malgré l'inertie des pouvoirs publics. Une myriade de prix littéraires. Des foires du livre, comme celle de Bologne. En Italie, le monde de l'édition est une véritable ruche, même si le lectorat reste limité, et si quelques grands groupes super-puissants ont tendance à faire peser leur monopole. Où en est-on aujourd'hui? Réponses de Jean-Noël Schifano, un «passeur» qui a traduit Elsa Morante, Leonardo Sciascia, Italo Svevo, Alberto Savinio, Umberto Eco. Et qui a dirigé des collections de littérature italienne (chez Desjonquères, Fayard et Flammarion) avant de s'occuper chez Gallimard de l'excellente collection Continents noirs, réservée à la littérature africaine de la diaspora.
SAMEDI CULTUREL: Comment peut-on décrire l'édition italienne, dans ses grandes lignes?
JEAN-NOEL SCHIFANO: Actuellement, il y a deux groupes très puissants, installés à Milan. Rizzoli, d'abord, auquel sont attachées des maisons comme Bompiani, Fabbri, Marsilio. Ce groupe est contrôlé par un conseil de syndicats, de banques, d'assurances. Il est assez libre face au pouvoir en place, contrairement au second groupe: le géant Mondadori qui, lui, chapeaute Einaudi ou Electa, et qui dépend de Berlusconi. A côté de ces deux surpuissants, vous avez un éditeur comme Feltrinelli, qui possède l'identité la plus forte et qui reste indépendant, avec son réseau de distribution et de libraires. Il faut aussi, bien sûr, citer Adelphi, qui est lié au groupe Rizzoli mais qui a su conserver une certaine autonomie. Enfin, il y a tout le réseau autour des Messaggerie italiane: Longanesi, Guanda, Ponte alle Grazie (Le Pont aux Grâces), une maison assez dynamique. Voilà pour l'essentiel.
– Y a-t-il des éditeurs plus modestes, mais importants pour la vie littéraire?
– Bien entendu. A Palerme, par exemple, on trouve l'excellent Sellerio où Sciascia avait créé une collection de textes oubliés, La Memoria. Cette maison continue à travailler dans le même esprit. Elle a fait traduire Hector Bianciotti, Angelo Rinaldi, ou des auteurs américains de premier ordre. Ce n'est pas du tout un éditeur provincial, bien qu'excentré, mais une sorte d'Actes Sud qui lance beaucoup de jeunes Italiens, et aussi des Siciliens.
[…]
– On traduit pas mal d'auteurs italiens en France. Cette activité est-elle suffisamment cohérente?
– Non, hélas! La littérature transalpine continue à être considérée comme une roue de secours. Et puis, on pratique trop ce que j'appelle «la persillade»: on traduit un seul livre d'un auteur et, si ça ne marche pas comme on le souhaite, on l'abandonne; il arrive parfois qu'il soit publié dans une autre maison, et cette politique est très mauvaise. Il faudrait qu'il y ait plus de constance, de cohérence. Il faudrait également de meilleurs sourciers, des gens éclairés qui ne soient pas des amateurs jonglant avec quelques écrivains à la mode. Il y a également la question de l'éparpillement: si un romancier comme Andrea Camilleri n'a pas chez nous le succès qu'il mérite, c'est peut-être parce qu'il est tiraillé entre plusieurs traducteurs et éditeurs.
[…]
– Quel regard portez-vous sur la littérature actuelle?
– Je pense qu'elle régresse. C'est inquiétant. Je ne vois pas d'héritiers d'Elsa Morante, de Sciascia, de Moravia, de Pasolini. Il reste certes Lucarelli, Marcello Fois, Erri De Luca, Antonio Tabucchi ou Vincenzo Consolo. Mais où trouver un Gadda, actuellement? Par contre, les jeunes romanciers italiens me semblent moins nombriliques que les nôtres. Et puis, il existe dans ce pays une littérature parallèle, une littérature de dialectes: elle s'écrit dans les langues non officielles des différentes régions. C'est le cas du Sicilien Andrea Camilleri, par exemple, mais il n'est pas le seul. Cet aspect-là me semble très positif.
Isabelle Rüf
 
 

La Sicilia, 23.4.2005
Tutti pazzi per Montalbano

Tutti pazzi per Montalbano. L'imminente arrivo della troupe della Palomar, la casa di produzione della fortunata serie televisiva ispirata al romanzo di Andrea Camilleri, che ha valorizzato le bellezze del territorio ibleo, rendendo noti al grande pubblico i "luoghi di Montalbano", sta creando fibrillazione fra i sindaci delle città in cui verranno girate le scene della fiction Rai. Un esempio per tutti è il fermento che c'è a Punta Secca, la località balneare dove si trova la villa del commissario Montalbano. Nel passato il Comune di Santa Croce Camerina aveva realizzato degli interventi specifici di sistemazione, per migliorare la resa estetica della piazzetta dove c'è la villa del commissario, valorizzandola con fioriere e panche decorative. Un intervento mirato a abbellire un luogo che improvvisamente è diventato meta di visitatori esclusivamente per la presenza di questa villa. Addirittura il Comune ha soprannominato la piazzetta Montalbano. Insomma, il turista che arriva in questo luogo non ha dubbi sul connubio esistente fra la villa del commissario e il contesto circostante.
Quest'anno però la casa di produzione della fiction si è fatta più esigente, ha chiesto maggiore collaborazione da parte dei Comuni. E i sindaci di Santa Croce Camerina, Scicli e Ragusa non si sono fatti pregare. A Ragusa a Palazzo Cosentini il restauro è stato fatto in tempo record per approntare il luogo che diventerà la sede del Commissariato. Nelle stanze sono stati messi gli intonaci di colore ideale per le riprese cinematografiche. A Santa Croce, invece, il sindaco ha accontentato la richiesta di semplicità dell'arredo urbano nella piazzetta.
Così proprio quegli elementi aggiuntivi di decoro urbano, che erano stati inseriti nella piazza, per renderla più bella, sono stati tolti. «Abbiamo eliminato fioriere e panche - spiega il sindaco Lucio Schembari -; in effetti, con le esigenze delle riprese non c'entravano nulla». Insomma i sindaci ragusani ragionano ormai in una perfetta logica di marketing cinematografico.
Rossella Schembri
 
 

ANSA, 24.4.2005
Esordio nella fiction per De Silva
Tra autori episodi figurano anche Camilleri e Ammaniti

Salerno - Lo scrittore Diego De Silva firmera' nel 2006 per la Rai un film tv per una serie, dal titolo provvisorio 'Crimini'. Gli episodi sono tutti firmati da scrittori. 'Il mio film per la tv sara' un thriller psicologico - anticipa De Silva al festival di immagini creative, Linea D'Ombra -. Un progetto interessante che vedra' in prima linea 7-8 grandi scrittori, tra cui Camilleri e Ammaniti, i cui lavori saranno pubblicati in un'antologia che uscira', in estate'.
 
 

Gazzetta di Parma, 24.4.2005
Al di sotto d'ogni sospetto

Meno male che c'è Camilleri. La sua prosa, il suo ritmo, la sua forza narrativa: il suo stile. Un'autentica boccata d'ossigeno, tanto più nel panorama piuttosto asfittico di oggi, quando scrivere un libro non solo è lo sport più praticato ma pare addirittura facilissimo, sembran capaci tutti. Leggendo Andrea Camilleri ci si riconcilia con la scrittura, quella vera. L'ultimo romanzo, «Privo di titolo» ( Sellerio), è l'ennesima conferma: è un volume fondato su fatti di cronaca (la morte per omicidio di un fascista a Caltanissetta nel 1921, e le mille persecuzioni che per quell'omicidio mai commesso ha dovuto subire un muratore comunista) sui quali l'autore siciliano sa costruire un altro geniale ghirigoro barocco, uno dei suoi, mescolando realtà e creazione letteraria (tranne che nel primo e nell'ultimo capitolo) ma soprattutto contaminando superbamente forme e linguaggi, storie e Storia. Camilleri ripercorre i fatti passo passo: arriva addirittura a bloccare i momenti cruciali con il «fermo immagine» per analizzarli minuziosamente. Poi va oltre, racconta il dopo: l'immediata e frettolosa edificazione dell'icona del «martire fascista ucciso da mano comunista» e il suo crescere progressivo e smisurato (complici una stampa sempre più prona, testimoni spuntati dal nulla e compiacenze varie), senza però tralasciare una linea «investigativa», d'indagine pura, che aiuti a ricostruire come sono andate davvero le cose quella sera. Il tutto è cucito insieme in modo geniale, con un ricorso sapiente all'arte della contaminazione e con un taglio già quasi cinematografico. La forme, innanzitutto: il racconto «tradizionale», certo, ma anche articoli di giornale, manifesti, verbali di polizia, addirittura necrologi, che diventano come il resto strumenti narrativi a tutti gli effetti. E poi naturalmente la lingua, o meglio «le» lingue: un italiano impastato con il siciliano, il siciliano più stretto, l'italiano forbito, da libro stampato («Il giudice non parlava come si parla, ma parlava come si scrive»), addirittura il dialetto veneto. Ne esce un mondo, la fotografia più che dettagliata di una realtà («pianerottolo» compreso: la tresca tra la moglie del prefetto e il questore, ad esempio) e di un preciso delicatissimo momento storico, a fascismo non solo montante ma sempre più imperante: gli scontri di piazza, le violenze, i funzionari zelanti pronti a far carriera (ma per fortuna c'è anche chi crede ai fatti), le mistificazioni sempre più macroscopiche della stampa, che crea e amplifica «la» verità. L'affresco è minutissimo: accurato e meraviglioso. E ha tocchi di comicità impareggiabili: tutta la vicenda di Mussolinia la «città fantasma» che esisteva solo in fotografia e le stesse apparizioni nel testo di Mussolini («il Cavaliere») raggiungono livelli gaddiani: «Nella foto, Mussolini indossa un capputtuni pisanti, aperto, sotto il quale s'intravvede una doppio petto scuro di almeno una misura cchiù nico per la so stazza. Dalle maniche evidentemente troppo corte della giacchetta e del capputtuni fuoriescono dù polsini rigiti, bianchissimi e larghissimi, quasi da pagliaccio da circolo equestre. Porta le ghette in bella vista macari a causa dei pantaloni a livello osso pizziddro e in testa ha una bombetta che non gli trase bene». Non ci si faccia però trarre in inganno dal registro prevalente o dagli sfavillii della forma: l'intento di fondo, come si dice, è serio, e dietro tutti i lustrini, le magiche capriole della prosa, ciò che mostra Camilleri non è altro che la ferocia della mistificazione e del suo potere, di cui finiscono per essere vittime sia il presunto omicida sia, in sostanza, il morto: «Dato che scrivendo questo libro non mi è passato manco per l'anticamera del ciriveddro un sia pur minimo intento denigratorio nei confronti di quel poviro picciotto ammazzato a diciotto anni, mi pare di dover dire che la verità su Gigino Gattuso venne fora tutta quando cancellarono dalla targa l'aggettivo «fascista» e lassarono scritto solamente «Martire». Gigino fu il protomartire di una realtà stracangiata con violenza dalla volontà politica, dai giornali accodati a quella volontà politica, dalla cosiddetta opinione pubblica orientata dal potere. Sulla morte di Gigino Gattuso, e proprio senza alcun rispetto per la sua morte, venne costruita una solenne mistificazione che sostituiva la realtà con una realtà virtuale, inesistente. Lo stesso 'ntifico di quello che capitò con la città di Mussolinia. Solo che Gigino Gattuso la vita ce la rimise pi davero. E il comunista Michele Ferrara, chisto il nome sò, che passò per assassino, patí incolpevole una via crucis, un vero martirio di arresti e confino, fame e umiliazione, per anni e anni». I temi, insomma, sono «alti», e «di peso». A tal punto da travalicare l'hic et nunc e da proporsi in chiave universale: certo, anche per l'oggi (d'altra parte i paralleli e i riferimenti possibili sono più d'uno). Cosí, non disdegnando il «pianerottolo» (anzi utilizzandolo quando serve, e per certi versi non staccandosene mai del tutto), Camilleri sa spingersi molto in là: «Privo di titolo» affascina proprio per la sua ampiezza di spettro, per la varietà dei registri e dei toni, per la struttura composita e perfetta (ben controllata), per la capacità del suo autore di rendere fortemente significanti queste trecento paginette che spaziano senza fratture dalle corna alla marcia su Roma. In una parola, affascina per il suo «respiro».
Lisa Oppici
 
 

Adesso, 4.2005
Letteratura. Intervista al grande scrittore siciliano
La Sicilia di Camilleri
Il papà di Montalbano ci racconta cosa ama della "sua" Sicilia

La Sicilia in tre aggettivi
"Solare, scabra ed essenziale"
Un panorama mozzafiato
"Quello che si vede dalla terrazza di Enna"
Il piatto preferito del commissario Montalbano
"Le sarde alla beccafico"
A cosa non rinuncerebbe mai dell'Isola?
"All'isola stessa"
A cosa rinuncerebbe volentieri?
"Alla mafia"
Un luogo in Sicilia al quale è particolarmente affezionato
"Il tempio di Selinunte"
La sua spiaggia preferita
"Quella di Marinella a Porto Empedocle e poi Capocabana"
La stagione più bella per visitare l'isola
"La primavera"
Tre cose che un turista deve assolutamente fare
"Perché dare indicazioni? Il bello di andar in giro per l'isola è proprio di essere liberi"
Tre cose che un turista non dovrebbe mai fare...
"Non dovrebbe mai sentirsi un turista"
Un proverbio che individui al meglio il carattere dei siciliano
"L'acqua ti bagna, il vento t'asciuga"
Il modo migliore per fare la conoscenza dei siciliani
"Un caffè in una piazza"
Prima di partire per la Sicilia si dovrebbe leggere
"Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia"
La caricatura di Andrea Camilleri è tratta dal sito molto bello sull'autore siciliano: www.vigata.org.
Laura Tomassetti
 
 

La Sicilia, 26.4.2005
Nostra inchiesta sul giallo siciliano. Parlano Roberto Alajmo e Gaetano Savatteri
Sulle tracce di Sciascia

Due noti giornalisti, entrambi grandissimi estimatori di Sciascia a cui si ispirano per rigore stilistico e impegno sociale. Due scrittori diversi ma simili nel trasfondere in libri di successo realtà talmente incredibili da sembrare inventate. In Sicilia, Roberto Alajmo è un volto noto. Giornalista Rai, lo vediamo spesso presentare il Tg regionale. Col noir "Cuore di madre" ha conosciuto il successo. Poche settimane addietro è stato pubblicato il suo nuovo libro: "E' stato il figlio" (Mondadori).
- Alajmo, quali storie le preme raccontare come scrittore ma che non vuole o non può raccontare come giornalista?
"Quello del giornalista è un mestiere in via di estinzione. Più aumentano gli spazi virtuali, più si vanno riducendo i tempi di agibilità complessiva. E dunque mi verrebbe da rispondere: tutte. Tutte le storie si bruciano nel giro di un paio di giorni e poi diventano quasi sempre vecchie. Io invece vorrei sapere come vanno a finire certi personaggi. Chi sa che fine ha fatto il Califfo di Cuccobello?"
- Quanto incide la territorialità, in questo caso la sicilianità in lei come autore?
"Io vorrei, vorrei con tutte le mie forze sbarazzarmi della Sicilia. Mi accontenterei di tenerla come semplice fondale, magari. Ma lei sgomita per venire in proscenio. E' come quel molesto Paolini che appare dietro i telegiornalisti e ruba loro la scena. Ecco: mi verrebbe da prenderla a calci, certe volte, come fece Frajese una volta con Paolini. Ma nella maggior parte dei casi è lei che prende a calci me."
- A parte Sciascia, che ha definito il suo maestro, c'è un modello di scrittura o uno scrittore in particolare al quale si ispira?
"Sciascia è un maestro a tutto tondo, sia sul piano della letterario, sia su quello dell'intellettualità, in senso generale. Ma è un modello che considero inarrivabile. Per limitarmi ai modelli viventi e stranieri, leggo sempre con interesse Nick Hornby, Joseph O'Connor, Emmanuel Carrère."
- Lei scrive noir sui generis, non è un giallista puro, cosa ne pensa del boom del giallo made in Sicily?
"Per quanto riguarda i polizieschi io mi regolo come con la carne, e cioè dichiaro, mettendo le mani avanti, di essere vegetariano. Dopodiché se trovo un posto dove la carne è buona, ma buona veramente, allora la mangio, e con gran piacere. Non sarà coerente, ma mi mette al riparo dal dover leggere un sacco di roba. Per quanto riguarda i gialli 'siciliani' non mi pare di dovermi discostare da questa regola: sono vegetariano, salvo eccezioni."
- Lei ha detto: "Fare lo scrittore è un mestiere parassitario che al sud difficilmente rimarrà mai privo di ispirazione." Uno scrittore siciliano quanta verità e quanta fantasia deve dosare per essere credibile?
"Il mio ultimo romanzo è ispirato a una storia realmente accaduta. Ebbene: ho dovuto smussare certi angoli di realtà perché si trattava di particolari veri ma troppo grotteschi per risultare verosimili. Quando si tratta di Sicilia per non cadere nella trappola del 'pittoresco' bisogna tenere a freno la realtà, non la fantasia".
- Se fare l'analisi del sangue e determinare la malattia del Sud può essere compito di uno scrittore, come ha dichiarato, a chi spetta la cura?
"Dovrebbero essere i politici a fare diagnosi, offrire risposte, a mettere a punto una cura. Che poi lo facciano è un altro discorso. E allora a un intellettuale toccherebbe il compito di fare l'analisi del sangue anche a loro."
- E' più facile trovare la realtà vera dell'isola nei libri o nelle cronache?
"Di recente trovo spunti più interessanti nei libri che sui giornali. Ma il problema non è la mancanza di bravi giornalisti. Il problema è che nessuno ti dà più il tempo di fare un vero reportage o anche solo una vera intervista documentata. Quello del giornalista è un mestiere anchilosato. Uno scrittore magari è meno tenuto a certe regole e può restituire aspetti della realtà che sfuggono alla rilevazione meramente cronachistica."
- Con quale metafora presenterebbe la Sicilia a uno straniero?
"La Sicilia è una madre che ama talmente tanto i suoi figli che non li vorrebbe far crescere mai. Ne fa dei principi che non diventeranno mai re. Dei principi bonsai."
- L'ironia con cui stempera la sua disillusione di scrittore siciliano, può essere un'arma efficace per scuotere le coscienze?
"Me lo auguro di tutto cuore. Altrimenti sono fottuto."
Gaetano Savatteri nasce a Milano da una famiglia di Racalmuto, il paese di Sciascia. Giornalista, è inviato del Tg5. Nel 2000 col romanzo "La congiura dei loquaci", ricostruisce l'omicidio in piazza del sindaco di Racalmuto, assassinato il 6 novembre 1944. Nel romanzo incontriamo anche il giovane Sciascia, "Nanà". Del 2003 è "La ferita di Vishinskij", di recente ha pubblicato "I siciliani" (Laterza).
- Quanto l'influenza del suo compaesano Sciascia ha inciso nei suoi lavori?
"Mi sono nutrito dei libri di Sciascia, con una strana sensazione: quella di vivere in un luogo e di ritrovarlo scritto nei libri. Una sorta di doppia esistenza: reale, nella Racalmuto di ogni giorno; e letteraria, nella Regalpetra dell'invenzione artistica".
- Sciascia diceva che "La letteratura è la più alta forma che la verità possa assumere", è d'accordo? 
"Bisogna considerare che nasco e sono giornalista e quindi con un radicamento forte nella cronaca e nella realtà. A un certo punto, però, ci si accorge che il reportage o l'inchiesta non bastano più per raccontare le storie del nostro tempo. Ecco che allora si scivola verso il romanzo nel tentativo di avvicinarsi alla verità attraverso la finzione."
- Come è nata l'idea della congiura dei loquaci?
"L'idea mi è stata suggerita da Giovanni Bianconi, mentre scrivevamo insieme 'L'attentatuni'. Bianconi mi invitava a rileggere le pagine di Sciascia sull'omicidio del sindaco di Racalmuto, cercai e trovai, in un vecchio armadio di una caserma dei carabinieri i verbali e gli atti dell'inchiesta del 1944. Nella notte dell'omicidio decine di persone accusarono lo zolfataio Centoedieci, del delitto del sindaco. Come Sciascia ero convinto che il vero autore del delitto non fosse quell'uomo. A quel punto decisi di scrivere un romanzo sull'ingiustizia e sui meccanismi che portano alla condanna di un innocente."
- Un romanzo può essere un valido strumento di denuncia?
"Non so. Credo ai romanzi che raccontano storie, se poi denunciano qualcosa è un valore aggiunto. Non credo ai romanzi-denuncia così come ai romanzi-scandalo, quelli scritti solo per suscitare la bagarre sui giornali e farsi un po' di pubblicità"
- "Si sente un giallista o questa definizione le sta stretta?
"Ormai tutti lo siamo e nessuno lo è. Perfino lo Shakespeare del Macbeth è autore di un giallo o di un thriller, ma mi sembra riduttivo. A me piace raccontare storie: il genere del giallo torna utile perché, in ogni caso, spinge il lettore ad arrivare alla fine quantomeno per risolvere l'enigma. Ma i gialli, quelli veri, quelli ben costruiti, sono un'altra cosa: un meccanismo perfetto come un orologio e io non sono abbastanza preciso e paziente per fare l'orologiaio".
- La Sicilia, il giallo, certi contesti, la scelta di attingere dalla realtà la fanno sentire vicino o lontano a Camilleri?
"Fosse soltanto l'attinenza geografia implica che mi senta vicinissimo a Camilleri. Ma non c'è solo questo. Camilleri mi è stato vicino fin dal mio primo romanzo, con generosità e affetto, Con entusiasmo ha accettato di dirigere il teatro di Racalmuto riaperto dopo quarant'anni. E' un amico."
Roberto Mistretta (4 - continua)
 
 

Giornale di Sicilia, 27.4.2005
Siracusa
Piazza Duomo abbraccia Montalbano, un set "blindato" per Luca Zingaretti 
 
 

Giornale di Sicilia, 27.4.2005
Catania
Cordio in mostra alle Ciminiere. Camilleri: intepretò la natura 
 
 

Il Domani.it, 28.4.2005
Catanzaro
Incontri con gli scrittori

Nell'ambito di "Giallo, rosso, rosa, blu... colore d'autore" il Masciari sarà teatro di incontri con scrittori italiani: il 2 maggio il "rosa" e il "blu" i colori della poesia di Patrizia Valduga, incontro condotto da Davide Lamanna. Rinviato al 18 maggio il "rosso" storico di Andrea Camilleri, incontro condotto da Maria Luisa Bigai, letture di Giovanni Carta tratte da "Il re di Girgenti". Gli interventi musicali saranno della Binghillo Blues Band, con la partecipazione degli studenti del liceo Siciliani, istituto tecnico Einaudi e la collaborazione della biblioteca "De Nobili". Tutti gli appuntamenti saranno alle ore 18.30.
 
 

La Sicilia, 28.4.2005
Il commissario Montalbano torna nel quartiere barocco

Con il basco marrone e i pantaloni in velluto, Luca Zingaretti, il commissario Montalbano è riapparso ieri mattina fra le strade di Ibla. E' sempre lui il più atteso fra tutti gli attori della fiction "Il commissario Montalbano". Quando a Ragusa arriva "la troupe di Montalbano", così la chiamano i ragusani, tutti cercano Luca, il commissario. Il primo ciak per le scene degli episodi del "Giro di boa" e di "Par Condicio" è stato fatto sul corso XXV aprile. Gli attori, il regista, i tecnici e le comparse hanno lavorato per tutta la mattina all'interno di un palazzo. Il traffico veicolare è stato bloccato da piazza Pola ai giardini iblei e i turisti curiosi si sono fermati nella piazza, davanti alla chiesa di San Giuseppe, per guardare almeno da lontano la macchina cinematografica in piena attività.
"A Siracusa sono state riprese le scene dello sbarco di clandestini, c'erano i bambini immigrati che si sono rivelati dei grandi attori - racconta Marisa Emmolo della Banca del tempo iblea, l'associazione che ha aiutato la produzione nella ricerca delle comparse sul territorio locale -; anche io ho fatto una piccolissima comparsa, ho interpretato la dottoressa Mancini». Giusy Baglieri ragusana ieri ha fatto da controfigura all'attrice svedese Isabel Sollman, che avevamo visto in altre puntate de "Il Commissario Montalbano" nei panni della conturbante Ingrid. "E' stato emozionante - racconta Giusy -; intanto, perchè ho fatto da controfigura all'attrice e poi, devo ammetterlo, sono salita a bordo di una fiammante macchina da corsa rossa e quando mi ricapita?". "Il giro di boa" nasce dalla penna di Camilleri dopo i drammatici fatti del G8 di Genova. Ci si trova di fronte a un Montalbano diverso, che medita di dare una svolta alla propria esistenza, rassegnando le dimissioni dalla polizia (la situazione politica non gli piace, certi eventi di repressione e l'atteggiamento verso gli immigrati non li gradisce). Così il commissario mentre nuota s'imbatte nel cadavere di un uomo con i polsi e le caviglie segnati, un clandestino che è stato ucciso.
Rossella Schembri
 
 

Modica.info, 28.4.2005
Camilleri non è soltanto Montalbano

Camilleri non è soltanto Montalbano. Ben lo sanno i lettori più attenti di questo autore che riesce sempre a regalare affreschi realistici di una Sicilia fuori dagli stereotipi comuni. Succede anche con la sua ultima opera, un romanzo che possiamo senza dubbio definire di tipo storico e, come tale, assai utile per costruire il quadro di un’epoca su cui, negli ultimi anni, si sta cercando di operare una mistificazione atta a cancellare responsabilità e colpe, violenze e assassini.
Punto di partenza del romanzo è una “grande adunata giovanilfascistafascista” per  celebrare  Gigino Gattuso, ”unico martire fascista siciliano”.
Era il 1941 e Camilleri, allora studente, raggiunse Caltanissetta dove, mentre si spargevano fiumi di retorica, vide “un omo cinquantino, tutto vistuto di nivuro” in preda ad un pianto tanto disperato da convincere l’adolescente che “quell’omo a lutto era un parente stritto del martire”. In realtà, come apprenderà dal  padre, era l’assassino. O meglio, come emerge fin dalle prime pagine, la vera e unica vittima della violenza fascista.
Il romanzo, costruito su fatti di cronaca, non è un’opera fantastica, sebbene l’autore – come precisa nella nota conclusiva – abbia con la fantasia cambiato nomi a personaggi, non al falso martire tuttavia. Inoltre Camilleri ha tratta materia per la propria narrazione da libri – usciti in epoca abbastanza recente – che ricostruiscono alcuni episodi (come la costruzione di Mussolinia) del fascismo siciliano.
Si avvale, quindi, di documenti storici e la struttura del libro alterna parti narrativi a parti documentaristiche (come articoli di giornali e lettere) che rendono particolarmente realistica la ricostruzione dei fatti. Si tratta di un libro di non facile lettura per chi - scorrendo la scrittura sempre piacevolissima di Camilleri, grazie all’uso particolarissimo che lo scrittore fa del dialetto siciliano – ha difficoltà ad accettare le menzogne e le falsità.
A rendere difficile la lettura è, infatti, la presa d’atto, pagina dopo pagina, della grande ingiustizia consumata ai danni di Michele Lopardo (questo l’uomo in lagrime conosciuto dal liceale Camilleri, considerato l’assassino del giovane Gattuso) e verso il quale era stata organizzata la spedizione punitiva da tre giovani fascisti tra i quali, appunto, vi era la giovane vittima.
La difficoltà per il lettore scaturisce dalla profonda impotenza della verità di fronte a fatti costruiti allo scopo di alterare la natura dei fatti, contro i quali nulla può l’onestà di quanti, veramente pochi, si mettono al servizio della verità, vittime a loro volta di un sistema quanti hanno incarichi di responsabilità sono ricattabili e manovrabili per la propria vita privata.
Camilleri ricostruisce la faciloneria con cui sono spesso la storia vede sorgere i propri martiri, tirati su senza rispetto per la dignità degli uomini coinvolti. Alla fine appare con chiarezza che le vittime, entrambi dello stesso sistema di potere di cui uno era addirittura parte attiva, sono due: il capomastro Lopardo, che si autoaccusa dell’omicidio e che non potrà più riprendere in mano la propria vita, e il giovane Gattuso, ucciso per errore e che non può essere considerato responsabile della vendetta politica costruita dai vertici del fascismo siciliano che non hanno rispetto per niente e nessuno.
Si ha la sensazione che questa ultima fatica di Camilleri non sarà facilmente accettata dai revisionisti del fascismo che, forse perché convinti che il tempo cancelli ogni cosa, continuano ad affermare che i morti sono tutti uguali. Con il chiaro obiettivo di sminuire i morti per la libertà, quanti realmente hanno sacrificato la loro vita per ideali più alti e nobili, che senza dubbio non sono gli stessi ideali degli squadristi che hanno diffuso violenza e angherie tra innocenti.
Lilla Anagni
 
 

29.4.2005
Università Statale di Pisa
Giovedì 26 maggio 2005 alle ore 16:00 Andrea Camilleri riceverà la Laurea Honoris Causa in Comunicazione.
 

 


 
Last modified Thursday, December, 27, 2012