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RASSEGNA STAMPA

FEBBRAIO 2010

 
Periodico Italiano, 1.2.2010
Intervista col Maestro Gabriele Lavia

Roma – Voce stanca e profonda. Da attore provato ma non consumato. Il Periodico Italiano è riuscito nell’impresa che poche testate hanno colto: un’intervista dal vivo col Maestro Gabriele Lavia.
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Ha in cantiere progetti cinematografici?
"Il 3 maggio uscirà “Il tailleur grigio”, da un romanzo storico di Andrea Camilleri."
[...]
Federico Ligotti
 
 

CanicattiWeb.com, 1.2.2010
Canicattì, Frassica e Casagrande iniziano “La scomparsa di Patò”

Primo ciak, questa mattina a Canicattì del film “La scomparsa di Pato” tratto dal libro di Andrea Camilleri. In città sono arrivati scenografi e tecnici per allestire le scene degli interni. La produzione ha sistemato le attrezzature nella zona di San Domenico dove si trova il palazzo La Lomia, oggi palazzo Giardina. Proprio in questo stabile Nino Frassica e Maurizio Casagrande hanno iniziato a girare le scene del film di Rocco Mortelliti che termineranno alle 19. Tre le location scelte dallo staff: due palazzi dell’800, nel centro storico di Canicattì, e un palazzo comunale che non ospita più uffici.
Le riprese, cominciate oggi, dovrebbero concludersi tra giovedì e venerdì ma in seguito la troupe si recherà nuovamente in città per altre riprese.
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Davide Difazio
 
 

SoloLibri.net, 1.2.2010
"Un onorevole siciliano" di Andrea Camilleri

In questo scritto, Andrea Camilleri riporta e commenta Sciascia politico, le interrogazioni e le interpellanze che presentò quando (il suo primo impegno politico risale al 1975 quando si candidò come indipendente nelle liste del partito del PCI alle elezioni comunali di Palermo), fu deputato alla Camera come indipendente nelle liste dei radicali nell’arco di tempo tra il 1979 e il 1983. Fece parte della commissione per gli Affari esteri e della commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro. L’impegno politico dello scrittore siciliano fu diretto come deputato e indiretto attraverso degli articoli che pubblicò prima sul "Corriere della Sera" e poi sulla "Stampa" relativi all’evolversi delle BR, al terrorismo. Veemente, incisivo ed eticamente impegnato sia nella scrittura sia nella politica, Sciascia profuse idee, energie e grande forza espressiva. Nella realtà politica vedeva come una specie di proiezione dei fatti immaginati nei suoi scritti, la prefigurazione e poi il verificarsi di essi erano la comprova di quanto smarrimento e preoccupazione potesse destare una classe politica criticabile nei suoi atti; “il mio essere contro lo Stato” va visto – diceva - come una delusione e non come un’avversione”. Infatti affermava che la politica fosse un’attività mediocre per uomini mediocri. Ma a chi gli chiedesse perché facesse politica lui che mediocre non era né pensava di esserlo rispondeva che un uomo vivo ha diritto alla contraddizione, in nome della vita, della speranza. Occuparsi di politica nel senso etico, anche se è confusione voler scambiare la politica con l’etica, sarebbe stato felice se gli italiani cadessero in tale ben salutare confusione. Camilleri riporta fedelmente gli undici interventi di Sciascia che sicuramente risultano di suo pugno e li commenta brevemente evidenziando i punti cardine di ciascuno. Come deputato, Sciascia partecipò attivamente alle sedute della commissione d’inchiesta sul sequestro e l’assassinio di Moro, redigendo una relazione di minoranza; fu attivo con interrogazioni e interpellanze (in tutto 19) su diversi argomenti: sull’uso delle armi da parte delle forze dell’ordine, sul fenomeno della mafia, sulla vicenda dei petroli e sul caso Pecorelli, sull’uccisione del magistrato Ciaccio Montalto… Ricorda Marco Boato che nell’aula della camera parlò pochissimo e sempre con interventi di pochi minuti, leggeva con voce lenta e roca, dopo averli preparati con una scrittura minuta e minuziosa. Emblema dell‘icasticità di parole brevi e quasi scolpite sulla pietra… mentre un silenzio assoluto regnava in aula. Attraverso alcune interpellanze veniamo a conoscere le idee di Sciascia: in merito all’uso delle armi da parte delle forze dell’ordine, affermava che il dare alla polizia più poteri e ai colpevoli pene più dure non avrebbe fatto diminuire di un millesimo i fenomeni delinquenziali; non di leggi speciali, di poteri più vasti e arbitrari, la polizia aveva bisogno, ma di una buona istruzione, di un addestramento accurato, di una direzione intelligente; leggi speciali e poteri più ampi fanno demagogia e sarebbero pericolosi per noi cittadini e per la polizia stessa ( tutte cose che vennero a mancare per esempio alle forze dell’ordine durante il G8 di Genova). Queste leggi servono “A fare tabula rasa in questo paese dell’idea stessa del diritto”. Nell’interpellanza riguardante il fenomeno della mafia faceva riferimento ad un suo racconto paradossale "Filologia" cioè un dialogo sull’etimologia della parola mafia; ebbene, Sciascia, dice che si è rimasti alla filologia, alla sociologia del fenomeno non perché i carabinieri, i marescialli di pubblica sicurezza non facevano il loro dovere, ma più in alto non si era fatto quello che si doveva fare. Cita l’esempio del commissario Giuliano quando indagava sul caso De Mauro, un uomo riservatissimo, aveva, Sciascia, notato nel suo comportamento una sorta di diagramma, era partito con una certa euforia, poi era subentrata la delusione. Per Sciascia il fenomeno mafioso si poteva combattere ”Riformando il sistema delle misure di prevenzione secondo criteri che introducano forme di controllo sugli illeciti arricchimenti”…( Quarta di copertina). Nella nota bibliografica Camilleri annota di aver attinto il materiale del libro dalla rivista “Euros” diretta da Vittorio Nisticò (maggio-agosto 1993), dove sono raccolte le interpellanze e le interrogazioni d Leonardo Sciascia con note e commenti di Alfonso Madeo, Marco Boato, Igor Man, Fernando Savater. Inoltre è stato fondamentale anche il volume-intervista La palma va a nord Gammalibri, 1982. Noi lettori possiamo ringraziare Camilleri per averci fatto conoscere Leonardo Sciascia come politico e di quanto il suo pensiero sia attuale in un’Italia di ieri e di oggi immutabile nelle sue anomalie, viziata da un immobilismo ignorato dai politici professionisti, ma additato da quella razza rara di scrittori il cui acume e la cui indignazione non li mette a tacere. E Sciascia è stato uno di quella speciale razza.
Arcangela Cammalleri
 
 

Marketpress.info, 1.2.2010
Andrea Camilleri riscrive Pirandello: “Festa di famiglia” al teatro Franco Parenti di Milano

Milano - Festa di Famiglia è una riflessione sulle dinamiche violente all´interno del nucleo familiare e su come tutto ciò riguardi tutti. Il tema è drammatico e la storia che si racconta lascia pochi spiragli alla speranza. Difficile trovare un uomo psicologicamente più violento nei confronti delle sue donne di Luigi Pirandello. L´annientamento della moglie Antonietta, sposata, poi relegata a finanziatrice dei bisogni familiari, che impazzisce quando la fine della sua dote le sottrae la propria identità. La povera figlia Lietta che tenta il suicidio. Il caro "zio Luigi", secondo Camilleri, ha predicato bene, denunciando le mascalzonate maschili nell´opera letteraria, e razzolato molto male nella vita privata. Il pretesto è il compleanno di una madre di 60 anni festeggiata dalle sue tre figlie, la vera trama è la violenza quotidiana degli uomini contro le donne nell´ambito familiare. Non una sola battuta è nuova perché l´intero impianto drammaturgico è composto da materiale letterario di Luigi Pirandello estrapolato da drammi, novelle, romanzi. C´è la molestia sessuale del padre verso la figliastra dei Sei personaggi in cerca d´autore, il marito segregatore di Questa sera si recita a soggetto, il manipolatore di personalità de L´amica delle mogli. Ma la sfida qui è quella di raccontare anche il lato tragicomico, di riuscire a vedere ciò che di grottesco e ridicolo si cela dietro le umane miserie. L´impianto allestito dalle quattro attrici-autrici ha trovato in Camilleri una sterminata banca dati, unica nel suo genere e una cabina di regia dal ricchissimo passato. Il progetto Festa di Famiglia nasce dal sodalizio con Andrea Camilleri, grande conoscitore di Pirandello e Maestro di ironia.
 
 

AgrigentoNotizie.it, 2.2.2010
"La scomparsa di Patò", secondo giorno sul set

Canicattì. Secondo giorno di riprese, a Canicattì, per la realizzazione del film "La scomparsa di Patò", il lungometraggio tratto dal libro omonimo dello scrittore empedoclino Andrea Camilleri e diretto da Rocco Mortelliti. Sul posto Nino Frassica e Maurizio Casagrande.
[...]
La troupe sarà in città fino a domani; poi ci si sposterà per proseguire con le riprese, ma è previsto un ritorno a Canicattì per effettuare altre scene.
 
 

La Nuova Sardegna, 2.2.2010
Camilleri a teatro: un birraio tutto da gustare

Cagliari. «Era una notte buia e tempestosa». La voce fumosa di Andrea Camilleri marca a uno a uno gli incipit celebri in testa ai capitoli del suo «Il birrario di Preston» nella versione scenica del Teatro Stabile di Catania ospite del Cedac sino a sabato al Massimo.
Fedele e complessa quanto trama e struttura del noto romanzo - denso di personaggi e punti di vista, che somma vicende individuali e l’affresco di una Sicilia del secondo Ottocento - la trasposizione di Giuseppe Dipasquale e Camilleri punta sull’importante macchina scenografica. Firmata da Antonio Fiorentino, scorre perfettamente in un continuo mutare di spazi e atmosfere, conducendo lo sguardo dentro e fuori il nuovo teatro di Vigata, nelle stanze del potere e nei circoli borghesi, in chiesa e nelle alcove che traspaiono dietro i velari, tra gli aranci nei giardini e i lampioni della piazzetta, sotto i bagliori dell’incendio e i chiaroscuri dell’illuminazione di Franco Buzzanca.
Un apparato degno di un allestimento lirico, come quello al centro della contesa tra vigatesi e il prefetto di Montelusa, sulla quale si innestano congiurati mazziniani in cerca di rivolte, si allungano le prepotenze di un Don Memè in ascesa, le manovre e le ombre sempre più lunghe e colluse alla mafia di politici locali e onorevoli. A guidare il rapido avvicendarsi dei personaggi (gli attori sono 15 ma ognuno ne interpreta con efficacia almeno tre) c’è, nella figura centrale tra custode e maestro di cerimonie, l’ottimo Pino Micol, invitante nell’introdurre, legare e commentare. Al suo fianco un insinuante e disilluso Giulio Brogi che nella parte del delegato di polizia Puglisi scioglie il giallo dell’attentato senza poterlo risolvere con gli arresti, un eclettico Gian Paolo Poddighe e l’accattivante ingenuità di Mariella Lo Giudice. L’attrice è protagonista dell’ulteriore vicenda ricca di eros della vedova Concetta, illustrata in scena come una danza su un letto verticale. Il fumo dell’incendio la soffoca insieme al suo amante. Altra vittima innocente è il medico, scambiato per ladro. Sul ritmo della farsa si assiste alla rappresentazione dell’opera del titolo, sino alla stecca fatidica del soprano, che una serie di combinazioni porta al fiasco e al fuggi fuggi generale.
Brilla su dialoghi e monologhi la lingua di Camilleri, il siciliano delle “taliate”, dei “nirbusi” e delle “timbuliate”, ma si fa festa di dialetti anche col toscano del prefetto, il lombardo del questore, il piemontese del capitano, il romano del rivoluzionario. Per occhi e orecchi c’è di che esser saziati, e se qualche impegno è richiesto dalla complessità e la durata, ben venga ad allenarci contro la piattezza usuale in teatro e tv. Tra i vari colpi di scena, due i finali. Quello delle brutali esecuzioni dell’incendiario, di Don Memè e di Puglisi, perché tutto resti com’era. L’altro è la crudele beffa del caso: si scopre che il vero motivo “dell’amminchiamento” del prefetto per “Il birraio” era basato sull’omaggio alla sua signora, e per di più falsamente, in quanto l’opera galeotta per i due era tutt’altra.
Roberta Sanna
 
 

La Repubblica (ed. di Milano), 2.2.2010
Madre e figlie litigano con parole di Pirandello

Un classico pranzo di famiglia: la madre compie 60 anni e le tre figlie, due delle quali accompagnate dai consorti, preparano una festa a sorpresa. Come spesso accade, la ricorrenza si trasforma in psicodramma facendo esplodere violenze e umiliazioni, soprusi e abusi. Con una particolarità: le parole che i personaggi si scagliano addosso sono tutte di Pirandello, selezionate da drammi, novelle e romanzi (Sei personaggi in cerca d' autore, Questa sera si recita a soggetto, La vita che ti diedi, Il giuoco delle parti, Enrico IV, L'amica delle mogli) e poi montate in una drammaturgia con una sua storia autonoma.È l'idea dello spettacolo Festa di famiglia, (da stasera al Franco Parenti) scritto, diretto e interpretato dal collettivo Mitipretese, quartetto al femminile composto da Manuela Mandracchia, Alvia Reale, Sandra Toffolatti e Mariangeles Torres, già autrici di Roma ore 11. Per tessere questa tela di fili pirandelliani si sono fatte accompagnare da Andrea Camilleri, che dell'opera del suo conterraneo è grande esperto. «Conosciamo Camilleri dai tempi in cui era nostro insegnante all'Accademia Silvio D'Amico - spiega la Mandracchia- un giorno l'ho incontrato per caso e gli ho parlato del nostro progetto: raccontare la famiglia usando Pirandello come filtro poetico. Nessuno meglio di lui ha raccontato gli inferni domestici: anzi, se letto in questo modo, diventa quasi una manuale di psicopatolgia della coppia violenta. Camilleri si è messo a disposizione con suggerimenti, indicazioni, consigli da vero drammaturgo». Dalla molestia sessuale del Padre verso la Figliastra adombrata in Sei personaggi alla gelosia feroce di Verri verso Mommina di Questa sera si recita a soggetto, tutto diventa materia per raccontare una storia familiare di soprusi. Ambientata oggi, ma vecchia come il mondo.
Sara Chiappori
 
 

Corriere della Sera, 2.2.2010
La compagnia Mitipretese al Parenti
Festa tra le mura domestiche, con le donne infelici di Pirandello
Una nuova partitura femminile pesca in 7 pièce «siciliane». Tema centrale, i soprusi sulle donne

Una «Festa di famiglia » che, se nel titolo rimanda alle durezze post-bergmaniane del film «Festen», in realtà affonda le sue radici nelle torbide atmosfere mediterranee di Pirandello. La compagnia Mitipretese (Manuela Mandracchia, Anna Gualdo, Sandra Toffolatti e Mariangeles Torres), di cui a Milano si era visto un paio di anni fa il bellissimo «Roma ore 11», ha dissodato i vasti territori della drammaturgia dell’Agrigentino, ricavando una partitura tutta al femminile (Fabio Cocifoglia e Diego Ribon, uniche presenze maschili di contorno) che ha come comune denominatore i soprusi e le umiliazioni subiti dalle donne fra le mura domestiche. Tema attuale quanto frequente in Pirandello. «Le quattro – dice di loro Andrea Camilleri, che fu loro insegnante all’Accademia Silvio D’Amico prima del successo di Montalbano e che ha supervisionato la drammaturgia – avevano lavorato di fino, con lucido rigore, ritagliando battute e scene dal repertorio pirandelliano allo scopo di comporre un’altra, nuova e originale commedia. Ma quale commedia? Finito di leggere, mi venne in mente che quella era la commedia sulla famiglia borghese che Pirandello avrebbe forse voluto scrivere ma non aveva osato».
In compenso, però, aveva «osato» disseminare le sue pièce di donne rese infelici da mariti, padri e amanti. Le Mitipretese pescano in sette titoli ( Questa sera si recita a soggetto, Sei personaggi in cerca d’autore, L’amica delle mogli, Enrico IV, L’uomo, la bestia e la virtù, La vita che ti diedi e Trovarsi) e si inventano una storia tutta loro, che prende le mosse dal compleanno di una anziana madre festeggiata dalle sue tre figlie. È la dispotica donna Ignazia di «Questa sera si recita a soggetto»: intorno a lei la figlia Mommina, che ha rinunciato all’arte per sposare un violento militare, ma anche la Figliastra dei «Sei personaggi», violata bambina dal padre e avviata alla prostituzione, e una terza sorella pure infelice nella vita coniugale. Ma i pezzi del puzzle che compongono questa commedia sono anche pungenti citazioni musicali, pop e operistiche, straniamenti comici e riferimenti all’attualità per raccontare, non senza risate amare, storie di ordinaria infelicità domestica.
Claudia Cannella
 
 

Mtv, 2.2.2010
Nastri all-star
Adriano Giannini, Susanna Nicchiarelli, Gianmarco Tognazzi premiati per i loro cortometraggi "d'Argento"

Sono stati assegnati oggi a Roma a Palazzo Valentini i Nastri d’argento per i migliori cortometraggi del 2009, scelti tra 25 corti selezionati tra 90 opere brevi pervenute su segnalazione di alcuni festival nazionali.Il gioco di Adriano Giannini vince il Nastro d’argento per il miglior cortometraggio 2009: "E' l’adattamento di un romanzo di Camilleri ed ha un cast di bambini eccezionali” dice il regista.
[…]
 
 

Gialli.it, 3.2.2010
Prossimamente
La Scomparsa di Patò sarà un film
Neri Marcorè sarà al cinema il ragioniere Antonio Patò scomparso il 21 marzo 1890 durante il “mortorio” e protagonista del romanzo di Andrea Camilleri “La scomparsa di Patò”. Il film è al secondo giorno di riprese nella città di Canicattì. Nella trepidante attesa di poter andare al cinema ci facciamo un giro nel film e nel romanzo.

“Cinquant’anni prima, durante le recite del Mortorio, cioè della Passione di Cristo secondo il Cavalier D’Orioles, Antonio Patò, che faceva Giuda, era scomparso, come la parte voleva, nella botola che puntualmente, come già un centinaio di volte tra prove e rappresentazioni, si aprì: solo che (e questo non era nella parte) da quel momento nessuno ne aveva saputo più niente; e il fatto era passato in proverbio, a indicare misteriose comparizioni di persone o di oggetti”.
Inizia così, con un omaggio a Sciascia e al suo “A ciascuno il suo”, uno tra i più belli, geniali e divertenti romanzi di Andrea Camilleri. La scomparsa di Patò. Oggi il romanzo scritto dall’autore siciliano nel 2000, diventa un film e tutti gli appassionati già si chiedono se sarà all’altezza.
Le premesse sembrano buone. Neri Marcorè è una stampa e una figura, per dirla alla Montalbano, con la foto del ragioniere che campeggia all’interno del libro sul manifesto di richiesta di notizie. “L’avete visto? Rag. Antonio Patò. Mancia a chi fornirà notizie alla signora Patò Elisabetta Via C. Colombo, 22 Vigata”. E’ a Vigata, la città del più famoso commissario siciliano, la città immaginaria creata da Camilleri, che è ambientata la storia e che nel film nascerà tra Agrigento, la Valle dei Templi e la Scala dei Turchi di Porto Empedocle.
Il film è scritto da Maurizio Nichetti, Andrea Camilleri che ogni tanto torna alla sceneggiatura e Rocco Mortellitti che ne è anche regista. Neri Marcorè è affiancato da Nino Frassica, Maurizio Casagrande che immaginiamo nei panni del Maresciallo dei Regi Carabinieri Paolo Giummaro e nel Delegato di Pubblica Sicurezza Ernesto Bellavia, da Alessandra Mortelliti, Flavio Bucci, Simona Marchini e Roberto Herlitzka.
La città di Naro, il cui sindaco, Pippo Morello, ha accolto con favore tutta l’operazione, ospiterà proprio la scena della Passione di Cristo, il “mortorio” di Giuda avvenuto in quel venerdì Santo del 1890.
Che fine ha fatto Patò? “Murì Patò o s’ammucciò (si nascose)?”. La Pubblica Sicurezza e i Reali Carabinieri gareggiano e si ostacolano nelle indagini. Il giornale governativo “L’Araldo di Montelusa” e quello dell’opposizione “Gazzetta dell’Isola” s’insultano e si lanciano reciproche accuse di voler nascondere la verità a fini politici.
Il libro è un esilarante repertorio di tradizioni sicule, di costumi e malcostumi ottocenteschi ricreati attraverso una fitta documentazione in linguaggio burocratese e popolare allo stesso tempo. Il libro non è altro. Non si racconta una storia, non è un vero e proprio romanzo. Ma quei documenti, quegli articoli di giornale, quei carteggi, quelle lettere che vanno e che vengono da un organo di governo ad un altro, dai vertici della pubblica sicurezza a quelli dei carabinieri, hanno un potere narrativo enorme che incolla il lettore fino alla fine, fino all’ultimo “pizzino”. “Pressante!! Dispaccio a mano. Al delegato di P.S. di Vigata. Le ordino di non far parola alcuna con nessuno, ripeto nessuno, circa il contenuto dei rapporti inviatici. In caso contrario proporrò sua immediata radiazione. ..”.
Laura Ciotola
 
 

MilanoNera, 3.2.2010
Andrea Camilleri
La rizzagliata
Sellerio

Amalia, figlia di un deputato di centrodestra viene trovata cadavere. Sotto accusa Manlio, il suo fidanzato. Nonché figlio di un esponente del centrosinistra. La notizia arriva alla sede Rai di Palermo, il cui direttore, Michele Caruso, decide di darla solo nel tg della notte.
Il nuovo noir di Andrea Camilleri parte. Orfano del commissario Montalbano, questa volta. S’intitola La rizzagliata. Che nell’idioma siciliano è una larga rete a forma di campana con maglie strette che si apre in aria e penetra sott’acqua anche grazie al peso di piombini legati alle estremità. I”pisci cchiù stùpiti o ccchiù lenti” ne restano vittime. Ma solo quelli. Perché “quelli cchiù sperti, videnno la riti calare, si scansano ‘n tempo”.
Pur in assenza del suo celebre eponimo, siamo dinnanzi a un Camilleri d’annata. E se l’organizzazione strutturale del romanzo rientra nell’alveo del suo filone storico (salvo inserirlo in un contesto attuale), l’humus distillato non cambia di una goccia il tradizionale sapore dello scrivere del magnifico autore di Porto Empedocle quando racconta di un delitto e dell’azione del suo commissario.
Una storia ispirata al caso di Wilma Montesi, il cui omicidio nel 1953 diede vita a uno dei primi esempi di prurito di massa del nostro paese legato a un fatto di cronaca nera, anche (o soprattutto) a causa il coinvolgimento di Attilio Piccioni, rampollo di uno dei notabili democristiani più in vista del tempo.
Il motore della storia non è l’investigazione. Praticamente assente. Molto più sangue in quello che si muove attorno al povero cadavere.
I segreti che nascono nelle stanze che contano, le contromosse alle dicerie private subito in scena in arene pubbliche, le sublimi strategie e tattiche di politici interpeti del più autentico bizantinismo del pensiero, la corruzione come unica acqua capace di irrigare il proprio cammino, il linguaggio come mezzo per accumulare confusione e alimentare il senso del vago e non strumento di chiara comunicazione per informare cosa sta accadendo. E poi letti stracolmi di corna vissute. Non ci sono redenti in queste pagine. Perché mancano gli innocenti. Continua ad aggirarsi il gattopardo secolare. Più in forma che mai. Che governa il lancio della rizzagliata. E i pesci che ne restano impigliati sono proprio più fessi.
Corrado Ori Tanzi
 
 

Libere Recensioni, 3.2.2010
"La rizzagliata" di Andrea Camilleri

La rizzagliata, ossia il lancio e la raccolta della rete da pesca, è metafora di una manovra operata da chi ha potere e lungimiranza strategica e in ogni circostanza sa scegliere, senza alcuno scrupolo, le operazioni da attuare per rinsaldare o ampliare il proprio dominio.
ta manovra complessa e articolata coinvolge realtà politiche ed economiche, magistratura e sistema di informazione, relazioni sociali e personali, persino rapporti d'amore.
In un quadro cupo, che non lascia vie di scampo, si muove il protagonista del giallo di Camilleri, Michele Caruso , direttore del telegiornale regionale della RAI , insidiato nel suo ruolo da un collega, con la cui moglie egli ha una relazione.
ele è uomo che cerca di mantenere la barca pari, sforzandosi di giostrare le notizie senza dare noia ai potenti; e questo, nonostante una incoercibile curiosità per appurare il vero.
posato, ma separato, con la figlia di un senatore di destra, ex-DC, prestigioso ed influente, che l'ha aiutato a fare carriera. Lei l'ha lasciato per un altro; lui l'ama ancora.
La storia comincia con un delitto ( simile a quello di Chiara Poggi a Garlasco, al quale lo scrittore dichiara di essersi ispirato ), per cui viene arrestato il fidanzato della ragazza trovata uccisa, figlio di un esponente importante del centrosinistra, ex-socialista.
Il nostro eroe, ma non troppo, si muove in un intrico di relazioni e colpi di scena, autorità più o meno autorevoli, boss, scagnozzi e una figura di informatore, fisicamente repellente e “quindi” sfortunato; ma due sono le cose che soprattutto gli stanno a cuore: l'amore per la moglie e la propria sopravvivenza, fisica e sociale.
La trama è abbastanza aggrovigliata e tra i numerosi nomi di personaggi, che in alcune parti del romanzo rimangono appunto puri nomi, muovendosi in una struttura narrativa ridotta all'osso, e il dialetto usato come di consueto dall'autore, sia pure con eleganza e sensibilità “musicale”, si affievolisce a volte il coinvolgimento del lettore e si perde un po' il senso del racconto. E se risultano gradevoli gli episodi gastronomici, topoi di numerosi noir, e non solo di Camilleri, e quelli erotici, non possiamo sfuggire all'impressione del mestiere; le belle donne, poi, sono tutte uguali...
Andrea Camilleri si conferma comunque un narratore di razza di quella Sicilia, dove si intrecciano società civile, politica, vecchia e nuova, e mafia; un narratore, qui particolarmente disincantato, che tiene puntigliosamente in mano le fila del racconto, trasmette la fisicità ( la mediterraneità ) delle persone e degli ambienti ed è capace di creare momenti di intensità figurativa e plastica, come l'episodio, visto attraverso gli occhi del protagonista, dell'agguato all'informatore, con quelle ombre che si muovono e si agitano nella notte, in lontananza.
Maddalena Ferrari
 
 

La capanna sotto il tavolo, 3.2.2010
Elogio alla Sicilia

Ho ricevuto quest'anno in regalo un libretto ben rilegato, di quelli che fa piacere tenere in mano per far passare le dita sul dorso di stoffa, sentire sotto i polpastrelli il rilievo della stampa in copertina, girare le pagine lentamente in digonale, accarezzando la carta fino ad arrivare all'angolo e...girare, in un soffio. Autore: Andrea Camilleri. Titolo: "La tripla vita di Michele Sparacino". Uno di quei libri che, al primo sguardo, ti fanno pregustare la serata; penombra, poltrona, coperta, tazza fumante... ah! Piacere assoluto, non ci sono per nessuno! Tempo di lettura: si direbbe in un fiato ma non è così, ci sono libri che potrebbero anche andar via veloci, però non si può bere un bicchiere di buon vino come si beve la birra. Niente contro la birra, ma bisogna dar tempo alle parole di scendere, mentre aspetti di assaporare il retrogusto. I profumi del vino vero si ascoltano come si ascoltano le parole scritte, perchè ne possa uscire la voce.
E' inutile che io parli di Camilleri, perchè sa parlare perfettamente da sè, ma leggendo questo suo gustosissimo racconto ho risentito l'atmosfera e rivisto la gente di un luogo che mi sono accorta di amare, la Sicilia.
Non l'ho vista tante volte, ma ogni volta è stata un'esperienza totale. Non è la solita e noiosa differenza tra nord e sud, balle! E' incontare qualcuno che credi totalmente scoperto e, solo dopo, ti accorgi che con gentile ironia ti ha svelato unicamente ciò che ti era permesso. Nobiltà antica e distacco senza averne l'aria. La Sicilia è una signora che butta in mare le sue perle per farne isole di fuoco, perchè sa che può ottenere di più con la sua bellezza. La Sicilia è un colpo al cuore quando incontri l'ombra di un giardino orientale tra l'arsura di case popolari. La Sicilia è addentare con lo sguardo lo zucchero croccante di un mosaico, dimenticandoti gli occhi tra l'oro e i lapislazzuli di Monreale. E' trovarti a vestire i panni del divino ospite raccontato da Omero, e scoprire che qui è una cosa seria anche in un retrobottega. La Sicilia è tante cose che non so e che mi piacerebbe scoprire. La Sicilia è quella gentile autoironia e facondia di Marina che mi regala libri e mi insegna a parlare siciliano.
grazie amica!
Storitella
 
 

Messaggero Veneto, 3.2.2010
Nella Sicilia tragicomica di Andrea Camilleri

Udine. Ancora grande prosa, al Teatro Nuovo, con Il birraio di Preston , in scena da oggi a sabato, alle 20.45. Tratto dal notissimo romanzo di Andrea Camilleri, adattato e ridotto per la scena dallo stesso Camilleri con il regista Giuseppe Dipasquale, l’atteso spettacolo vede protagonisti Pino Micol, Giulio Brogi e Mariella Lo Giudice. Una folla di personaggi. Anzi: una folla di pupi nelle mani ironiche di un puparo chiamato Andrea Camilleri, poligrafo debordante e superbo uomo di teatro! Siamo sempre in Sicilia, ovviamente, anche nel Birraio di Preston . Qui, messo in cantina il commissario Montalbano, Camilleri s’ispira a fatti reali, documentati dall’inchiesta Franchetti-Sonnino sulle condizioni socio-economiche della Trinacria del secondo Ottocento, alla periferia meridionale di un’Italia da poco unita e più subìta che amata. Il gran tragediatore, poi, manipola, enfatizza, inventa, colorisce con beffardo gusto del paradosso comico. Soprattutto, trasferisce di peso nella geografia immaginaria di Vigata il fattaccio vero dell’inaugurazione del teatro di Caltanissetta, dove un cocciuto prefetto toscano, forestiero e perciò schifato, impone contro il volere della popolazione un modesto melodramma di tal Ricci. Il birraio di Preston , appunto. Anche a costo di ricorrere alla forza o alla combutta con l’uomo di rispetto del posto… Una tragedia, se non fosse che Camilleri vira il quadro in palcoscenico ridicolo del mondo, dove tutti rappresentano una o più parti, anche intercambiabili. Uno nessuno e centomila. Così, anche gli attori si giostrano ognuno tra più personaggi, sotto lo sguardo ironico dell’autore-narratore Pino Micol che tesse le fila del collage carnevalesco. Spettacolo brioso, ma con retrogusto amarognolo, se si pensa che la verità resta inattingibile. Perché la storia la scrivono i vincitori e dopo, al massimo, la si può solo dissacrare con la lente deformante della risata grottesca. «Prima di accettare l’ipotesi di una riduzione per il teatro di questa mia opera letteraria – scrive lo stesso Camilleri – ho resistito un bel po’. Non capivo come fosse possibile (e ragionavo, è ovvio, da autore) trovare un contenitore spaziale, una griglia che supportasse, senza tradirlo, il racconto. Il colloquio avuto con Giuseppe Dipasquale ci ha fatto trovare la soluzione: una struttura drammaturgica che salvaguardasse la scomposizione temporale del romanzo, ma condotta in modo da localizzare scenicamente il tutto in un luogo che fosse ad un tempo un teatro e il luogo dell’azione del racconto. Sono stato per lungo tempo un regista per non capire quante insidie si nascondono nella trasposizione scenica di un’opera letteraria. Ci sembra, questa volta, di avere fatto il possibile affinché l’opera, lo spirito, l’ironia del romanzo siano state conservate. Per il resto non posso che essere d’accordo con quell’altro mio illustre conterraneo, quando diceva che l’opera dello scrittore finisce quando comincia quella del regista».
 
 

Messaggero Veneto, 5.2.2010
Il Birraio e l'affresco di una Sicilia caricaturale

Udine. Il birraio di Preston , pittoresco e puntuto affresco di una Sicilia sul finire dell’800 che, alle prese con lo Stato centrale italiano, cova e genera in sé quella voglia di rivalsa e indipendenza trasformatasi poi nella piaga della mafia, è stato il romanzo che ha rivelato, una decina di anni fa, Andrea Camilleri al grande pubblico, l’incipit di quello straordinario fenomeno, caso unico nel recente panorama letterario italiano, che è stata ed è l’opera dello scrittore siciliano. Ma Camilleri è anche uomo di spettacolo, è stato docente all’Accademia nazionale d’arte drammatica Silvio D’Amico e ha firmato come regista molti spettacoli, anche se non ha mai scritto per il teatro. Una militanza che si avverte, nonostante una messa in scena non proprio all’altezza del romanzo, anche in questa riduzione del Birraio, al Giovanni da Udine per la regia di Giuseppe Dipasquale, pure direttore dello Stabile di Catania che l’ha prodotto. Difficile rendere sulla scena l’intricata trama e la coloratissima umanità che la abita. Perché attorno al rogo del teatro di Licata, per la cui inaugurazione il prefetto, il toscanissimo Bortuzzi, aveva imposto lopera di Ricci che dà il titolo al racconto tra il crescente malumore e il rifiuto dei licatesi, si sviluppa un intreccio di storie molto variegato, con le quali Camilleri disegna un quadro di grande vivezza e umanità: c’è la storia di Concetta Riguccio, vedova che si abbandona a una passionale storia d’amore con il giovane Caspano; c’è quella dell’ingegner Hoffer e della sua invenzione, la macchina spegnifuoco; c’è la storia di Gna Nunzia che si rifiuta di abbandonare la casa in fiamme perché in camicia da notte; c’è quella del Pizzuto e quella di diverse associazioni che nella scelta del prefetto leggono con rabbia una volontà di prevaricazione dello Stato centrale, e magari prestano il fianco alle manie rivoluzionarie di alcuni mazziniani, un cui rappresentante è venuto sin lì per sabotare – provocando l’incendio del teatro – la serata. Difficile, dicevamo, metterle insieme: la scelta di Camilleri (che con la sua voce roca e fuori campo da il “la” a ogni episodio) e del regista si focalizza attorno a un’idea, quasi pirandelliana di teatro nel teatro. Quel teatro che deve bruciare o che è stato bruciato, ché la narrazione non segue un criterio rigorosamente cronologico (ingenerando in questo modo una certa confusione che spiazza e disturba e annoia), quel teatro diventa contenitore scenografico e drammaturgico, ché lì convergono e prendono corpo scenico le varie storie come tanti pezzi di puzzle , alla fine piuttosto scombinato però. Sono quadri che solo con il tirare le fila del delegato Puglisi (il sempre vigoroso e prestante Giulio Brogi) nella seconda parte acquistano una qualche unitarietà. Quadri che dovrebbero avere comunque una sussistenza in sé – a significare il gran colorato (grazie anche al lunguaggio vivissimo e ricco di invenzioni di Camilleri, questo sì rimasto intatto!) montare della rivolta –, ma che invece qui si stemperano spesso in quadretti da farsa, tanti francobolli banalmente caricaturali più che grotteschi, esagitati e spesso urlati con i personaggi ridotti a macchiette, come nel caso del prefetto di Gian Paolo Poddighe o dell’ingegner Hoffer di Pino Micol, anche narratore e introduttore delle diverse sequenze, che riecheggia nel suo italiano fortemente tedeschizzato il Kranz televisivo di un irresistibile, allora, Paolo Villaggio di tanti decenni fa. Se ne salvano alcuni, quelli più narrativi (le discussioni tra gli affiliati delle due organizzazioni culturali del paese, per esempio) e i due intermezzi in cui Concetta, un’intensa Mariella Lo Giudice, racconta della sua rinascita nella passione erotica e amorosa con il linguaggio del mare che le ha insegnato il marito pescatore e che regala allo spettacolo due bei momenti di verità e di poesia. Ma è l’insieme, quell’insieme che è il bello del romanzo di Camilleri, a perdere in incisività e chiarezza e anche in divertimento. Generosi gli applausi alla prima. Repliche ancora oggi e domani.
Mario Brandolin
 
 

Il Gazzettino, 5.2.2010
La recensione
Il Birraio di Preston si perde nel tunnel della confusione

Udine. Una folla di personaggi invade a turno il palco, e talora la platea, del Teatro Nuovo per lo spettacolo “Il birraio di Preston”, firmato da Giuseppe Dipasquale nell’impresa ardita, e forse impossibile, di inscenare l’omonimo romanzo con cui nel 1995 Andrea Camilleri si prese una vacanza dal neonato Montalbano.
La trama riprende un minuto fatto storico: la contestata inaugurazione del teatro di Caltanissetta, nel 1874, con l’imposizione di un modesto melodramma di tal Ricci, “Il birraio” appunto, da parte di un prepotente prefetto fiorentino. Ma poi, con esuberante affabulazione narrativa a colpi di imprevedibili espansioni, si intreccia a tante altre storie, pubbliche e private, dell’immaginaria Vigàta: incontri clandestini tra amanti; complotti mazziniani; interventi, più subìti che accettati, dei rappresentanti dello Stato; invadenze di uomini d’onore facili alla lupara e, da ultimo, l’incendio dello stesso teatro, che porta allo scoperto le cose più indecenti, ma senza poi cambiare alcunché nel teatrino tragicomico di una Sicilia impenetrabile già dall’800.
Sulla pagina un plot così aggrovigliato può sorprendere per il caleidoscopico incastro sperimentale, ma sul palco si arena nel tunnel della confusione. Nè, a chiarire il traffico, serve la finzione del narratore Pino Micol, alter ego dell’autore (qui anche in voce fuori campo), quasi pensato come un burattinaio o come un capocomico vagamente pirandelliano, assediato nel suo eccitato teatro mentale da fantasmi che urgono per essere rappresentati e premono dietro il sipario, continuamente alzato e calato. Di fatto, la scena così vistosamente teatralizzata rimanda solo l’impressione generica della vita come palcoscenico, che cela, dietro gli strati di una carnevalesca sarabanda sociale, lo zoccolo duro di un’eterna tragedia di soprusi. Attori generosi a parte, si salva almeno la ghiotta carnalità di un prodigioso pastiche verbale, a più registri, lingue e cadenze. Troppo poco per sciogliere lo spettacolo, incerto tra l’impaginazione cerebrale da teatro nel teatro e lo spaccato grottesco d’ambiente siciliano.
Angela Felice
 
 

La Repubblica (ed. di Milano), 5.2.2010
Se Pirandello tratta male il sesso debole

In una stagione, o meglio in un periodo, in cui mancano delle riletture importanti del teatro pirandelliano, l'autore agrigentino non è stato del tutto assente, ma è diventato materia di studi e di rifacimenti per le ricerche intellettuali di gruppi e compagnie tesi ad approfondire certe curiosità delle sue opere nel trattare gli atteggiamenti umani indagandone il senso. Ecco allora Giancarlo Cauteruccio portarne in scena per Krypton un romanzo come Uno nessuno centomila, mentre Egumteatro insieme ai Gog e Magog, ancora in Toscana, fonde in Questa sera si recita la nostra fine delle situazioni di suoi brevi atti unici che evocano il sogno, la detenzione, la fine per tornare alla vita. Ora invece è arrivato al Franco Parenti da Roma un altro progetto intelligente del gruppo Miti pretese, a direzione femminile, che già si era distinto in Roma ore 11, e che per il suo nuovo Festa di famiglia si è affidato alla penna di uno scrittore, regista, studioso, insegnante di Accademia, qual è Andrea Camilleri per montare una ricerca dei comportamenti familiari dei personaggi pirandelliani, con particolare attenzione al trattamento usato verso il sesso debole, insidiato anche nei testi più noti da un patrigno o comunque maltrattato dai mariti. Assistiamo allora al sessantesimo compleanno di una nonna padrona e non sfiorita, con esposizione di regali, tra prepotenti eredi vocianti e pronti al lamento tra ricordi e progetti, in cui eccelle e conduce l'azione il quartetto femminile d'attacco formato da Manuela Mandracchia, Sandra Toffolatti, Mariangela Torres, Anna Gualdo - assente stavolta dalla scena Alvia Reale - ma non mancano i maschi agitati come Fabio Cocifoglia, in una sagra della risata che può fare molto male, come succede nella vita, proprio perché sulla vita è modellato, che ai tempi di Pirandello era nascosta ma non meno dura per i più deboli.
Franco Quadri
 
 

La Sicilia, 5.2.2010
La nuova stagione di incontri letterari
Torna Librinscena dalla Bignardi a Carofiglio
Serata speciale anche per gli 80 anni dell’«Italiano di Sicilia» Nino Milazzo

Nuova tranche e nuovi ospiti per “TeSt–Librinscena. Incontri letterari e dintorni”, la rassegna promossa dal Teatro Stabile di Catania, con il patrocinio della Presidenza della Regione Siciliana, in collaborazione con la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Catania, e l'Assessorato alla Cultura del Comune di Catania. Un ciclo in progress e all'insegna della multimedialità: da qui la collocazione nell'ambito di TeSt, la sezione che lo Stabile etneo dedica alle iniziative sperimentali.
[…]
“Ottant'anni in Sicilia” è il tema della festa di compleanno per Nino Milazzo. “Un italiano di Sicilia”: così definisce se stesso il grande giornalista catanese. Festeggerà i suoi ottant'anni in un'altra serata indimenticabile, che vedrà Milazzo circondato dall'affetto dell'intera città e affiancato da amici e colleghi di tutta una vita, come Andrea Camilleri, Emanuele Macaluso e Francesco Merlo (19 aprile, ore 20, Teatro Ambasciatori).
[La partecipazione di Andrea Camilleri non è confermata, NdCFC]
 
 

Economia Sicilia, 5.2.2010
Ragusa. Provincia organizza workshop con 200 TO esteri

Dopo la Bit di Milano, la Provincia di Ragusa organizzerà un workshop che attirerà  100 tour operator europei. […] Intanto il sindaco di Scicli, Giovanni Venticinque ha lanciato un appello all’assessore regionale al turismo Nino Strano chiedendogli di “valorizzi i luoghi di Montalbano” in un incontro operativo a Palermo, presso la sede dell’assessorato regionale, per discutere dell’organizzazione della presenza siciliana alla borsa milanese. Strano ha assicurato che una sezione del padiglione della Bit dedicato al Cinema esporrà le location del Commissario Montalbano, in buona misura girato a Scicli e in provincia di Ragusa.
 
 

Affaritaliani.it, 6.2.2010
Il nuovo direttore di Radio 3 Marino Sinibaldi ad Affaritaliani.it: "Vogliamo che siano i giovani a 'fare' la nostra radio..."
"I giovani, sin dall'inizio, si sono avvicinati alla radio per la musica, che oggi però si è spostata su internet. E con essa i ragazzi. La nostra scommessa non è tanto, o meglio non è solo, quella di far riscoprire Radio 3 ai giovani ma, piuttosto, quella di 'farla fare' ai giovani. E la sfida si chiama 'Il cantiere'..." Il nuovo direttore Marino Sinibaldi (già ideatore del programma cult sui libri 'Fahrenheit') racconta ad Affaritaliani la nuova 'era' di Radio 3, basata su tre parole chiave: "Bellezza, intelligenza e contemporaneità". E anticipa anche le novità della prima edizione, da lui ideata, di 'Libri come. Festa del libro e della lettura', in programma a Roma a fine marzo...

Marino Sinibaldi è noto per essere l'ideatore e il conduttore di Fahrenheit,  il programma sui libri  di culto di Radio3 (oltre che il co-fondatore della rivista 'Linea d'ombra'). Dal 3 agosto scorso, il giornalista e critico letterario romano, classe '54, è anche il direttore dell'emittente radiofonica di Stato dedicata all'arte, alla cultura e alla musica. Con lui Affaritaliani.it ha parlato della nuova era di Radio 3 ma non solo.
Sinibaldi, prima di arrivare alla 'sua' Radio 3 partiamo dell'ultima novità che la riguarda. Dal 25 al 28 marzo, a Roma, è in programma la prima edizione di una manifestazione da lei ideata (promossa e organizzata dalla Fondazione Musica per Roma),  'Libri come. Festa del libro e della lettura'. Ma nella Capitale non ci sono già tanti appuntamenti dedicati alla letteratura e l'editoria?
"Premesso che non si parla mai 'troppo' di libri, 'Libri come' è molto diversa da 'Più libri più liberi' e da Massenzio, i due appuntamenti romani principali dedicati a questo mondo. La 'Festa del libro e della lettura' a cui stiamo lavorando prova per la prima volta a porsi dalla parte del lettore. All'Auditorium ci saranno grandi nomi come Jonathan Safran Foer, Camilleri, Carofiglio, i Wu Ming, Ammaniti e tanti altri. Li faremo parlare di come si scrivono i libri. L'intenzione è quella di dar vita a un festival democratico, che apra finalmente un universo spesso chiuso al grande pubblico. C'è una sacralità da cancellare".
[…]
Antonio Prudenzano
 
 

AgrigentoNotizie.it, 6.2.2010
Tre piccoli attori cattolicesi premiati col Nastro d'argento

Ha vinto il prestigioso Nastro d'argento, per il miglior cortometraggio del 2009,  “Il gioco” di Adriano Giannini in cui sono protagonisti tre giovanissimi attori cattolicesi: Emanuele Vittorio Vaccaro, Gianluca Taibi e Giuseppe Emanuele. Il corto, girato nella spiaggia di Torre Salsa e presentato alla 66esima edizione della Mostra del cinema di Venezia, è tratto dal libro “Il gioco della mosca” di Andrea Camilleri in cui lo scrittore empedoclino ricorda gli anni della propria infanzia. La premiazione nei gironi scorsi a Roma.
Il film è ambientato nella Sicilia del dopoguerra. Luglio 1943, su una spiaggia sette ragazzini sono impegnati come ogni estate in un gioco da loro ideato. E' una scommessa, si puntano soldi, chi vince prende tutto. Un’avventura che rapisce per intere giornate i bambini  nella magia di una misteriosa attesa. Cosa aspettano? Cosa cercano? Perché quell’ inusuale rito preparatorio? I giorni si susseguono ma nulla accade. Escluso dal gioco, Gennarino, il più piccolo del gruppo, osserva in disparte. È proprio lui però che sembra custodire la soluzione. Tra lo stupore e la rabbia dei giocatori sembra chiarirsi il mistero dell’attesa.
Calogero Giuffrida
 
 

Persinsala - Teatro, 6.2.2010
Festa di famiglia

«Mi venne in mente che quella era la commedia sulla famiglia borghese che Pirandello avrebbe forse voluto scrivere ma non aveva osato». Andrea Camilleri presenta così questa commedia, alla quale ha collaborato in quanto attento conoscitore del drammaturgo siciliano.
Il tema centrale sono i disagi e le nevrosi familiari, ma soprattutto i maltrattamenti e i soprusi subiti dalle donne. Questo era l’argomento di cui Pirandello, come rivela Camilleri, probabilmente non aveva avuto il coraggio di scrivere e mettere in scena, a causa di situazioni difficili all’interno del suo nucleo familiare.
In effetti c’è molto, moltissimo di Pirandello: la prima scena che ricorda l’inizio di I sei personaggi in cerca d’autore con la preparazione del palco, i nomi dei personaggi (Mommina, Leone, ecc.) e determinate situazioni – come il rapporto tra il padre e la figliastra, battute copiate da numerosi brani e incollate formando una sorta di collage, la struttura su più livelli. Non mancano gli effetti stranianti: ad esempio si gioca su un cellulare che squilla in platea e che ripropone nel pubblico la discussione su finzione-realtà che Pirandello aveva lanciato negli anni Venti. Curiosa e originale anche la scelta di mostrare simultaneamente sul palco tre vicende separate in una soluzione a incastro in cui i diversi piani sono collegati dalle medesime parole pronunciate dai diversi personaggi.
Interpretazioni degli attori ottime; in particolare si distingue, seppur con una parte di secondo piano, Diego Ribon nel personaggio di Leone (che recupera molto del personaggio di Leone Gala di Il giuoco delle parti).
Ma non è tutto oro quel che luccica e questa commedia soffre di molti chiaroscuri. Appaiono, ad esempio, fuori luogo e fastidiose le molte parti cantate; ma, soprattutto, sono esagerati i passaggi di tono, mai supportati da qualche elemento di raccordo: si passa così dai bei ricordi alle accuse, da una sonora imprecazione ai felici auguri di compleanno alla madre per i suoi sessant’anni – senza una parola, un suono, un’immagine che leghi i due sentimenti, esasperando i passaggi dal tragico al comico.
A pensarci bene anche Pirandello, talvolta, celava molto e lasciava gli spazi vuoti per riflettere. Sempre Camilleri scrive: <>. Il problema è che di tasselli ne mancano parecchi e il puzzle risulta incompleto. Quel che si ottiene è sì Pirandello, ma un Pirandello sminuito, svuotato, nevrotico.
Il progetto era eccezionale, ma la riuscita poteva essere migliore.
Lo spettacolo continua: Teatro Franco Parenti, via Pier Lombardo 14 – Milano, fino al 14 febbraio
Franco
 
 

La Sicilia, 7.2.2010
Cinema. Iniziate le riprese della prima trasposizione cinematografica di un romanzo di Andrea Camilleri
Per «La scomparsa di Patò» primi ciak nell’Agrigentino
Troupe e attori da ieri a Naro dopo alcuni giorni a Canicattì
Il regista Mortelliti. «Sto girando le scene in luoghi che conservano l’Ottocento, facendomi violentare dalla Sicilia»

Agrigento. Patò è scomparso, è andato giù nella sua brava botola e non si è più visto. Lo cercano tutti, la moglie fa come una Maria, il poliziotto indaga, il carabiniere pure, il politico si immischia, il sindaco santiona. Insomma, quel riunito di tipi strani che escono fuori dalla penna di Andrea Camilleri, adesso si sta trasferendo lentamente sul grande schermo.
Dopo la serie infinita, e adorata, dei Montalbano formato tv, ecco arrivare Andrea Camilleri formato cinema. Per questo progetto la firma è quella di Rocco Mortelliti, genero e allievo di Camilleri, che ha già realizzato "La strategia della maschera", film girato ormai tredici anni fa a Kamarina, con lo stesso scrittore nelle vesti di attore. «Sto girando le scene di questo film in quei luoghi che conservano l'Ottocento - spiega il regista -, facendomi violentare dalla Sicilia. Ho cercato di scovare il mondo di Camilleri, quello che dopo cento e più anni non è cambiato, che serba in un cassetto il cucchiaino della nonna. Il romanzo rientra nella mie corde, è molto teatrale, un tipo di storia straordinaria sia per le descrizioni che per i personaggi: non ci sono quasi dialoghi, solo rapporti, ambienti, magari colori. Divertente, profondo, pieno di sostanza: e come musicista mi devo porre il problema di non tradire il pensiero di Camilleri».
[…]
È la prima produzione non televisiva di un lavoro del giallista ma, soprattutto, la prima ad allontanarsi dal successo assicurato dalla figura del commissario Montalbano.
Da ieri le riprese si sono spostate a Naro dopo che per alcuni giorni troupe ed attori sono stati impegnati a Canicattì. Tre le location scelte dallo staff nella città un tempo capitale dell'Uva Italia: due palazzi dell'Ottocento, nel centro storico, e un palazzo comunale in via Milano che non ospita più uffici. Adesso sino a metà marzo sarà la cittadina barocca dell'agrigentino a fare la parte del leone nella realizzazione della pellicola. Troupe ed attori si sposteranno poi ad Agrigento e Porto Empedocle, per l'esattezza nello splendido scenario della Scala dei Turchi.
[…]
Carmelo Vella
 
 

Il Piccolo, 7.2.2010
Camilleri narra la Sicilia dell'800

Udine. Sicilia 1864, giusto tre anni dopo la data che la Storia assegna all’Unità di Italia. Una piccola città costiera vede arrivare, “dal continente”, un prefetto che ha idee ben chiare su come va amministrata la cosa pubblica, e soprattutto su quale debba essere la musica da somministrare ai cittadini. Amante di melodrammi e donne, toscano, uomo dello Stato, il prefetto vuole, esige e impone che ad aprire il sipario del Teatro comunale “Re d’Italia” sia un’opera a lui molto, molto cara, intitolata “Il birraio di Preston”. Malumori in città, proteste, segnali di rivolta. Ma non c’è nulla da fare. Blindata addirittura dalla forza pubblica, l’opera va in scena. E quella sera stessa, il teatro va in fiamme. Se chi narra tutto ciò non si chiamasse Andrea Camilleri, se la cittadina ribelle non avesse il nome di Vigata, se da quelle parti, molti anni più tardi, non si fosse aggirato il commissario Salvo Montalbano, il minuscolo episodio di cronaca siciliana non avrebbe rilievo nel teatro italiano. Invece, grazie a queste combinazioni, “Il birraio di Preston”, è diventato uno spettacolo che il Teatro Stabile di Catania ha tratto dal romanzo pubblicato nel 1995 da Camilleri, e che è andato per quattro sere in scena al Teatro Nuovo Giovanni da Udine. L’ambizione del regista e direttore dello Stabile siciliano, Giuseppe Dipasquale, che con l’autore stesso ha adattato al teatro l’infuocata materia, è quella di farne un grande affresco regionale. Per l’imponenza della compagnia, più di quindici attori per sessanta personaggi, il macchinoso impianto scenografico e la necessità di risorse, il parallelo che si affaccia alla mente potrebbe essere la trasposizione che negli anni Novanta Luca Ronconi fece del “Pasticciaccio brutto” di Carlo Emilio Gadda. Ma tutt’altro esito ha il “Birraio”. Le complicazioni del disporre teatralmente la materia narrata, la lunghezza a cui essa costringe lo spettacolo, la difficoltà nell'intendere la sicilianità linguistica di Camilleri, oltre agli incerti della microfonazione, hanno raffreddato già alla fine del primo tempo l’interesse del pubblico udinese, propenso in parte a riconquistare il cappotto, e lasciare che l’incendio a teatro di Vigata continuasse a divampare. Gli spettatori rimasti, una volta messi a conoscenza dell’intricata rete politica e sentimentale che aveva dato esca al fattaccio (realmente accaduto nella Caltanissetta dell’800) hanno potuto infine congratularsi con il trio dei protagonisti Pino Micol, Giulio Brogi, Mariella Lo Giudice, e il resto della compagnia.
canz.
 
 

Messaggero Veneto, 9.2.2010
Camilleri, tra Pirandello e il metateatro

Sono le otto e quarantacinque e tu, spettatore, ti sei appena adagiato su una di quelle comodissime poltroncine rosse del teatro Giovanni da Udine, probabilmente stai tranquillamente pensando ai fatti tuoi, al progetto da consegnare al capo prima che, a mo’ di Attila, ti riduca in brandelli o a cosa preparare di pranzo alla velenosa suocera che nel weekend ti allieterà con la sua compagnia. I pensieri continuano, almeno fino a quando, spente le luci, senti dei passi alle tue spalle e vedi entrare dalle porte laterali della sala un gruppo di persone “abbigliate all’antica”; ti volti e li squadri da capo a piedi riflettendo su come la moda vintage non risparmi proprio nessuno negli ultimi tempi, allora torni a fissare il palco ancora buio e vuoto dove fa bella mostra di sé la scritta “Il birraio di Preston”, sprofondato in quella poltroncina che mano a mano che il sonno sale diventa sempre più comoda. Ma a un certo punto fai un salto sentendo alle tue spalle che l’eccentrica signora con veletta nera e il monsieur con panciotto si alzano e dopo aver gridato una serie di insulti tutt’altro che eleganti, si avviano a passi decisi e salgono sul palco. Allora tu con sguardo rapito li segui, curioso di sapere se si tratti di psicopatici o attori. Ecco, caro spettatore, sei appena caduto nella trappola di Camilleri: da adesso in poi non riuscirai più a staccare gli occhi da quel palco su cui si muovono, agiscono e vivono personaggi sempre nuovi in un continuo intreccio di storie solo apparentemente estranee tra loro. Si passa dal bambino che ha qualche problema a non bagnare il letto durante la notte, ad un attempato prefetto con un quanto mai marcato accento toscano, ad un certo don Memè che di toscano invece ha ben poco, per poi fare un salto in uno pseudo-circolo intellettuale dove ci si perde a insultare un musicista privo di talento, tale Mozart. Al che, inizi a chiederti chi sia questo famigerato birraio di Preston che ti aspetti di vedere da un momento all’altro, ma che mai arriva. Può essere che lungo la strada abbia incontrato Godot e stiano ritardando, oppure, ipotesi non solo più credibile, ma anche veritiera, può essere che questo birraio non sia una persona, no, proprio no. Il caro birraio di Preston è semplicemente l’opera teatrale che tiene in piedi l’opera che tu stai ammirando a occhi sgranati in un misto tra l’assorto e lo scettico, è l’opera che il prefetto si è intestardito di mettere in scena per inaugurare il teatro di Vigata e che nessuno, vista la discutibile fama che l’accompagna, accetta di vedere. Ma il prefetto non demorde ed è disposto a ricorrere a tutti i mezzi a sua disposizione, legali e non, per vedere il birraio sul palco; si scatenerà allora un putiferio: incendi, assassini, arresti, il tutto sdrammatizzato da un riso che, se ci pensi bene, non fa davvero ridere, se ci pensi bene è una tragedia quella che la tua risata cela, la tragedia di ieri, di oggi. Ecco che allora Camilleri, con un sapiente uso di metateatro misto a una sorta di ironia pirandelliana, ti spinge a calci in un mondo che non conoscevi e forse non avresti voluto conoscere. Chiuso il sipario ti lascia libero di uscire da quel mondo, adesso però sei tu a non volerlo abbandonare e così applaudi, ritiri il cappotto e torni a casa, con quella piega amara sulla bocca, tutto il resto ha perso importanza, non conta più che cosa fare di pranzo alla suocera, non conta proprio più.
Carlotta Ceretelli Liceo classico Stellini
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 9.2.2010
Al teatro Biondo
Il birraio di Preston
Camilleri in teatro prende in giro il potere
L’adattamento è firmato dallo scrittore e dal regista Dipasquale. “Manteniamo la circolarità del romanzo”

È la storia di uno spettacolo che non s'ha da fare, "Il birraio di Preston". Tanto av­versato e contestato da mettere in subbuglio un'intera comunità (anzi due), scatenare complotti e veleni e scomodare addirittura una rivolta popolare dei congiu­rati mazziniani. L'allestimento dal fortunato romanzo di Andrea Camilleri ha debuttato al teatro Stabile di Catania, secondo la ri­duzione curata dallo stesso scrit­tore con il regista Giuseppe Dispaquale ed è diventato subito uno spettacolo di successo. Sta­sera alle 21 debutta al teatro Biondo con Pino Micol nel ruolo del­l'Autore, Giulio Brogi nei panni del delegato Puglisi, Mariella Lo Giudice interpreta sia Concetta che Agatina Ricuccio, Gian Paolo Poddighe veste i panni del prefet­to Bortuzzi e Fulvio D'Angelo quelli di don Memè Ferraguto. La regia è di Giuseppe Dipasquale, direttore dello Stabile catanese, le scene di Antonio Fiorentino.
La storia, ambientata nella seconda metà dell'Ottocento nell'immaginaria Vigàta, ruota attorno alla decisione del prefetto di Montelusa, il vicino capoluo­go, di inaugurare il nuovo teatro civico con "Il birraio di Preston", melodramma di scarso valore di Luigi Ricci. Ma nessuno vuole la rappresentazione di quell'opera e scoppia la rivolta dei melo­mani di Vigàta, tra farsa e colpi di scena. Salvo poi scoprire che l'accanimento del prefetto era dovuto a un ricordo sbagliato.
Con "Il birraio di Preston" lo Stabile di Catania torna a un allestimento nato dieci anni fa e sottoposto, da allora a una con­tinua rielaborazione. «In effetti questa è la terza edizione - rac­conta Di pasquale - la prima era molto simile al romanzo, durava quasi tre ore, poi via via l'abbia­mo sempre più asciugata».
La scena rappresenta l'inter­no di un teatro contemporaneo, che cambia a ogni situazione e da cui muovono tutti i fili del rac­conto. «”Il birraio di Preston” è una storia metateatrale - continua il regista - una parabola sull'arroganza del potere, che Camille­ri sa leggere con feroce ironia. Qui i personaggi mantengono una riconoscibilità e un radicamento storico molto preciso. E anche il Prefetto che vuole im­porre uno spettacolo contro la volontà di tutti, finisce per pro­vocare una tragedia, anzi un'ila­ro-tragedia». Si replica fino al 21.
Laura Nobile
 
 

Il Recensore.com, 9.2.2010
Camilleri: un ritratto perfetto

Questo “Andrea Camilleri – ritratto dello scrittore” (Edizioni Anordest, 2009) è un interessante volume, scritto dal bravo Marco Trainito. L’autore, che da sempre si occupa di filosofia e di letteratura, sulla figura e sull’opera dello scrittore siciliano, forse oggi uno degli esponenti di maggior spicco del nostro panorama letterario e culturale.
Con un andamento puntuale e preciso, quasi scientifico, l’autore elabora una lunga e attenta introduzione, ad ampi raggi, sull’opera di Camilleri; un’introduzione che cerca di spaziare dalle opere più famose (amatissime dai lettori) a quelle meno conosciute ma altrettanto valide che devono ancora essere scoperte.
L’universo “profondamente siciliano” dell’autore de “Il commissario Montalbano” emerge, e ri-emerge, in un gioco squisitamente erudito ma nient’affatto pedante o didascalico. La forma-saggio detta un ritmo che, senza mai eccessi formali, elabora in maniera sequenziale un apparato tanto completo quanto accessibile a chiunque, anche a chi voglia avvicinarsi alla lettura dell’opera “camilleriana” da “profano” o a chi, incuriosito da una figura così carismatica e affascinante, voglia approfondire per il solo desiderio di conoscenza.
Trainito, a mio avviso, colpisce nel segno quando prova ad interpretare “Un filo di fumo“, opera del 1980 di un autore ancora sconosciuto (ci vorranno almeno quindici anni al raggiungimento del grande successo ottenuto nell’ultimo decennio del secolo) in cui già si poteva intravedere il tratto unico del Camilleri “audace sperimentatore” e ottimo “giallista”. La lingua come rovesciamento della dicotomia italiano-dialetto, come superamento di ogni ostacolo formale, come gioco di specchi e sovrapposizioni, come avvicinamento finale della lingua parlata con lo scritto.
“Un filo di fumo“, e la vicenda editoriale che ne conseguì, rappresentarono per Camilleri l’incipit vita nova, il momento di passaggio e, perché no, di prima maturazione di un autore che da lì a poco sarebbe diventato un punto di riferimento della letteratura del nostro paese (e non solo). In effetti, questo romanzo porta con sé un qualcosa di “magico” e di “consapevole”, un’intelaiatura nient’affatto ordinaria ma sempre “vivace”, “lucida”, “colta”.
Passare poi all’esame di altri casi esemplari diventa persino semplice: il meccanismo ad incastri, i giochi linguistici ed intertestuali, rimandano ad echi lontani: la prima influenza pirandelliana, l’interazione costante con gli autori “letti”, con quelli “amati”, con gli autori della propria giovinezza. Così appaiono, quasi come numi tutelari, scrittori della propria terra (Sciascia, Bufalino, lo stesso Pirandello) e del “patrimonio” nazionale e internazionale: su tutti Aulo Gellio, Manzoni, Conrad, Conan Doyle, Faulkner, Calvino, Borges.
Il legame di Camilleri con la propria terra è descritto anche nella dettagliata analisi finale, nel quale Trainito, attraverso testi quali "La bolla di componenda" e "Voi non sapete", cerca di comprendere, in grandi linee, quanto la trattazione del tema della mafia in Sicilia sia stata toccata e quanto abbia influito nell’opera generale dello scrittore.
Matteo Chiavarone
 
 

La Sicilia, 9.2.2010
Due artisti di Serradifalco saranno protagonisti in un film tratto da un libro di Andrea Camilleri

Serradifalco. Due attori serradifalchesi saranno tra i protagonisti del film "La scomparsa di Patò". Si tratta di Vincenzo Volo e Simona Miraglia. I due artisti, già reduci da grandi successi in ambito nazionale ed internazionale, saranno impegnati nelle scene che si stanno girando in questi giorni in diverse località siciliane, tra cui Porto Empedocle, Agrigento, Naro e nella suggestiva Scala dei Turchi. Il film, tratto da un testo di Andrea Camilleri, sarà anche la "prima cinematografica" assoluta per il padre del commissario Montalbano. «Sarà anche la prima cinematografica per il sottoscritto, e questo è un passo importante nell’ambito della mia carriera artistica», ha affermato Vincenzo Volo. Il quale ha annunciato che, all’interno del film, girerà due pose. La prima è prevista oggi a Naro, mentre la seconda è in programma il 2 marzo.
Con lui ci sarà anche Simona Miraglia. La danzatrice serradifalchese, reduce dai recenti successi ottenuti alla Biennale di Venezia, danzerà in una delle scene forse più belle del film che vede protagonisti, tra gli altri, oltre a Neri Marcorè (che interpreta la parte di Patò), anche Nino Frassica, Maurizio Casagrande e Anna Marchesini oltre a Vincenzo Volo e Simona Miraglia. Insomma, un cast d’eccezione per un film la cui regia è curata da Rocco Martinetti. «Per me è un grande onore lavorare con questo cast di attori - ha sottolineato Vincenzo Volo - una bellissima esperienza dalla quale spero di poter trarre un arricchimento professionale e umano che possa essere utile per la mia carriera».
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Carmelo Locurto
 
 

NuovoSoldo.it, 9.2.2010
Gli appuntamenti della notte della cultura di sabato 13 febbraio

Messina – Nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta stamani a Palazzo Zanca, il sindaco, Giuseppe Buzzanca, ed il vicesindaco, Giovanni Ardizzone, hanno presentato “La notte della cultura”, che avrà inizio sabato 13 febbraio, alle 18, per concludersi alle 4 del mattino di domenica 14, e che ha registrato numerose adesioni di Istituzioni, Enti, organismi ed attività private. La Vucciria, il quadro dipinto nel 1974 da Renato Guttuso e proveniente da Palazzo Chiaramonte, sede del Rettorato dell’Ateneo palermitano, in mostra al Teatro Vittorio Emanuele, costituisce la prima tappa, alle ore 18, della seconda edizione della notte della cultura. L’opera ha il potere di offrire al visitatore uno squarcio di vita, una fotografia nitida di uno dei mercati più famosi al mondo. Sempre al Teatro, a cura di Ninni Bruschetta, attori messinesi interpreteranno letture legate al dipinto.
[...] E sempre di Guttuso si parlerà con la provocazione critica “La Vucciria tra Guttuso e Camilleri”, proposta alla libreria Ciofalo.
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La Stampa, 10.2.2010
L'attore "cattivo" per Avati
Luca Zingaretti: "Siamo tutti furbetti del quartierino"
Zingaretti: in Italia si è distrutto il senso morale le persone pensano di poter fare qualsiasi cosa

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Meno male che giù in Sicilia c’è il commissario Montalbano, una persona perbene, che fa il suo dovere.
«Sì, forse è anche per questo che mi piace tanto interpretarlo. La gente pensa che io continui a farlo per denaro, e invece non è così, quando avevo deciso di abbandonarlo mi mancava. Mi piace svernare al Sud durante le riprese, quando vado a girare mi sembra di andare a trovare un amico che vive in Sicilia».
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Riparte tra poco?
«Si, ad aprile ritorno giù per recitare in altri quattro romanzi di Camilleri».
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Fulvia Caprara
 
 

La Repubblica, 10.2.2010
Viaggi
Catania palcoscenici arrampicati sull'Etna

"Il Birraio di Preston", tratto dall'omonimo romanzo di Andrea Camilleri, l'esilarante commedia di Nino Martoglio "L'aria del continente", oppure "Terra matta", tratto dall'autobiografia di Vincenzo Rabito. Le produzioni del Teatro Stabile di Catania sbarcano in provincia fino a tutto maggio, grazie al progetto Teatri di Cintura: occasione per scoprire gli affascinanti territori intorno all' Etna. Il programma coinvolge vari comuni, della provincia di Catania e di Ragusa, che ospiteranno un ricco cartellone: al Teatro Bellini di Adrano, il 23 e il 24 febbraio, è di scena la commedia di Camilleri con la regia di Giuseppe Dipasquale.
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Adriana Falsone
 
 

AMI, 10.2.2010
L'invito allo showman
Fiat, da Termini Imerese un appello a Fiorello e non solo
Gli operai denunciano la totale mancanza di solidarietà dal ceto politico e dal mondo dello spettacolo

Su Facebook riscuote consensi l'appello rivolto al comico siciliano da parte degli operai di Termini Imerese: basta pubblicità al gruppo Fiat che ci toglie il lavoro. Appello simile a quello rivolto nei mesi scorsi dagli operai lombardi della Yamaha a Valentino Rossi. Ma da Termini Imeresi i lavoratori lamentano non solo la mancanza di solidarietà dal mondo dello spettacolo (dove sono Ficarra e Picone o gli scrittori Andra Camilleri e Vincenzo Consolo?), ma anche del ceto politico.
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Gino Cosenza
 
 

Il Giornale, 11.2.2010
Furio Colombo, il piccolo maestro che aizza il popolo viola
Il giornalista lancia su "MicroMega" una chiamata alle armi: "Uno-cento-mille No B Day contro questo governo semi-fascista"

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Scrive Furio Colombo sul numero monografico di Micromega dedicato al popolo viola: «Ogni formula, ogni occasione, ogni autoconvocazione grande e piccola è la strada giusta, anche perché è l’unica strada. Serve a rifornire i passanti, in un periodo semifascista della vita italiana, di notizie, testimonianze, voci libere e denunce. Roberto Saviano e Andrea Camilleri segnano questo percorso, allo stesso tempo disperato ed essenziale: la sola possibile resistenza».
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Vittorio Macioce
 
 

MicroMega, 12.2.2010
La legge è uguale per tutti
Camilleri, Hack, Flores d’Arcais: “No all’illegittima impunità, tutti in piazza il 27 febbraio”
Pubblichiamo l'appello inviato da Andrea Camilleri, Margherita Hack e Paolo Flores d'Arcais a 120 personalità del mondo della scienza, della cultura e dello spettacolo perchè aderiscano alla manifestazione del popolo viola contro il legittimo impedimento.

Per sabato 27 febbraio numerosi siti del “popolo viola” hanno indetto manifestazioni in numerose città italiane (l’appuntamento principale sarà a Roma, piazza del Popolo, dalle ore 14), con lo slogan “la legge è eguale per tutti” e la volontà di opporsi alla “illegittima impunità” che la legge berlusconiana ad personas sul “legittimo impedimento” imporrà al paese, stravolgendo la Costituzione.
I promotori hanno rivolto un accorato appello: “invitiamo tutti gli esponenti della cultura e dell’informazione, della scienza e dello spettacolo, delle forze democratiche e del lavoro, ad aderire e partecipare alla nostra nuova iniziativa”.
Di fronte al drammatico degrado dell’Italia, il “Bel Paese” che un malo governo sta riducendo a macerie morali, istituzionali, culturali, sociali, economiche, calpestando la Costituzione repubblicana anziché realizzarla, crediamo nostro elementare dovere aderire con il massimo dell’impegno.
Speriamo che siano tante, tantissime, una crescente “valanga”, le adesioni nei prossimi giorni di scienziati e scrittori, intellettuali e protagonisti dello spettacolo, che con la loro indignazione e passione democratica sapranno difendere la Costituzione nata dalla Resistenza, a conferma di una “società civile” degna dell’aggettivo, che non si piega né rassegna alla marcia totalitaria di un regime orwelliano.
Andrea Camilleri, Margherita Hack, Paolo Flores d’Arcais
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 12.2.2010
Sessanta personaggi per ricucire “Il birraio”
”Il birraio di Preston” al teatro Biondo fino al 21

La storia procede a sbalzi temporali come nel romanzo. Ma nell'adattamento dell'opera di Andrea Camilleri, firmato dallo stesso autore e dal regista Giuseppe Dipasquale, in scena al Biondo, vince la relazione con lo spettatore. E vince il botta e risposta dalla platea costruito con ilarità. Un cast di bravi interpreti come Giulio Brogi, Mariella Lo Giudice, Gian Paolo Poddighe, gioca su più personaggi, una sessantina, per raccontare come il Prefetto si convinca, contro tutti, di inaugurare la stagione lirica del nuovo teatro civico con "Il birraio di Preston", melodramma scadente. Ad armonizzare tutto c'è il ruolo di Pino Micol, narratore straniante che funziona bene per accompagnare una regia di luci e ombre, ricca e dinamica.
Claudia Brunetto
 
 

Libri News, 13.2.2010
Cominciato il conto alla rovescia per l’uscita di Il nipote del negus di Andrea Camilleri

Dato in uscita per il 15 febbraio 2010, voci di corridoio ne riferiscono lo slittamento al 25 marzo 2010 per motivi di opportunità (‘Le perfezioni provvisorie’ di Gianrico Carofiglio è in piena ascesa e non si vorrebbe turbarne l’andamento), ma in ogni caso i fans di Andrea Camilleri hanno dato inizio al conto alla rovescia per l’uscita in libreria, è comunque già prenotabile online, di ‘Il nipote del negus’, naturalmente (e come sempre) pubblicato dalla Sellerio Editore Palermo.
Con ‘Il nipote del Negus’ – strutturato sulla falsariga di ‘La concessione del telefono’, con una trama fatta di missive, telegrammi, articoli e proclami, dispacci governativi, conversazioni – Andrea Camilleri torna alla sua vena più antica, quella più irriverente e comica che fa pensare a ‘Il Birraio di Preston’ e lo fa con quell’intelligente e contagioso divertimento, con quella mescolanza tra storia e fantasia che i suoi lettori conoscono bene.
Questo nuovo romanzo storico trae ispirazione da una vicenda realmente accaduta negli anni trenta, a Caltanissetta, dove, nella scuola mineraria della cittadina, andò a studiare il nipote del Negus, un principe di sangue reale, una sorta di vitellone, che ne combinò di tutti i colori, quasi da far scoppiare una guerra con l’ Etiopia… In attesa del prossimo Montalbano (maggio 2010?), godiamoci questo romanzo dall’ironia corrosiva, nello stile inconfondibile di Andrea Camilleri.
IL LIBRO – Nell’agosto del 1929 il nipote del Negus Ailé Selassié si iscrive alla Regia Scuola Mineraria di Vigàta. La cosa provoca un generale scompiglio: al nipote regale deve essere riservata una accoglienza all’altezza del suo rango; questo è l’argomento dell’esilarante corrispondenza tra ministero degli Esteri, Prefetto, Questore di Montelusa, federale di Vigàta, direttore della scuola, ognuno preoccupato, in realtà, di salvare il posto.
Dalla scuola viene allontanata qualche testa calda e il principe viene accontentato in ogni suo desiderio. Amante della bella vita, elegante, Grhane Selassié non bada a spese, si fa confezionare abiti ricercati e, visto che i soldi del governo etiopico non bastano mai, comincia a fare debiti. Per di più è un impenitente vitellone e le amanti non si contano.
Le cose precipitano quando il nipote viene sollecitato – su idea di Mussolini in persona – a scrivere una lettera di sperticati elogi sul fascismo, lettera da indirizzare allo zio Ailé Selassié; la cosa, infatti, potrebbe tornare utile nel contenzioso tra Italia ed Etiopia sui confini con la Somalia. Il nipote del Negus si fa pregare, poi cerca di sottrarsi e, mentre traballano ministri, prefetti e questori, la vicenda diventa farsa.
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 13.2.2010
L'assessore Centorrino: "Ci vuole ottimismo. Sciascia, Tomasi e Camilleri portano sfiga"

"Le ideologie sono ormai superate. Destra e sinistra, tutti assieme, almeno per un anno prendiamoci una pausa. Non leggiamo più per un po' Camilleri, Tomasi di Lampedusa o Sciascia perché sono una sorta di 'sfiga' nei confronti della Sicilia. Ci vuole ottimismo".
L'ha detto a Siracusa, intervenendo agli Stati generali dell'autonomia, l'assessore regionale alla Formazione, Mario Centorrino, economista e professore dell'università di Messina, nonché iscritto al Pd.
[…]
 
 

Roberto Alajmo, 13.2.2010
Volendo escludere un'overdose di Prozac, naturalmente

E dunque, secondo l’assessore regionale Centorrino, tecnico in quota centrosinistra nel governo Lombardo, in nome dell’ottimismo bisognerebbe smettere di leggere Sciascia, Tomasi di Lampedusa, e Camilleri, che rappresenterebbero la sfiga della Sicilia.
A parte i primi due, che sono da tempo scomparsi, Camilleri è benissimo in grado di difendersi da solo dall’accusa di essere un menagramo – particolarmente efferata in ambito meridionale.
Però in una cosa, bisogna ammetterlo, Centorrino ha ragione: quando dice che destra e sinistra ormai sono uguali. Difatti succede indistintamente a tutti quelli che, dopo un’onorata e appartata carriera, arrivano a sedersi su una poltrona di palazzo: cominciano a diventare euforici ed estroversi. Molto euforici e molto estroversi.
Il primo è stato Cossiga, più di recente Brunetta, e ora pure Centorrino, che fino a ieri era considerato “solo” uno stimato economista.
Dev’essere qualcosa che ha a vedere con la rarefazione dell’ossigeno quando si sale improvvisamente di quota.
 
 

l'Unità, 13.2.2010
Invece
A loro immagine

La stupidità non ha confini politici ed è molto più dannosa della mala fede.
[…]
Cambio scena. Dalla Sicilia l’assessore regionale alla Formazione Mario Centorrino, economista del Pd in giunta con Lombardo, dice che bisognerebbe smettere di leggere Tomasi di Lampedusa, Sciascia e Camilleri perché, testualmente, «portano sfiga». Torna in mente quando Miccichè disse che intitolare l’aeroporto di Palermo a Falcone e Borsellino poteva dissuadere i turisti intenzionati ad atterrare lì. «In qualità di unico superstite tra i tre» Andrea Camilleri risponde: «Sfiga alla Sicilia la portano semmai i politici inetti. E poi anche i corrotti e i collusi». È un attentato continuo alla memoria, alla cultura, al sapere. Bisognerebbe davvero ricominciare da capo. Ripartire dai fondamentali.
[…]
Concita De Gregorio
 
 

l'Unità, 13.2.2010
La polemica
«Sfiga» in Sicilia. Per l’assessore Pd è colpa degli scrittori
Centorrino: «Non leggete Camilleri, Tomasi di Lampedusa e Sciascia. Il primo ribatte: «La sfortuna la portano i politici inetti, i mafiosi, i corrotti e i collusi»

Riproduciamo l’Ansa, 15 e 31 di ieri, in tutto il suo disarmante candore: «Le ideologie sono ormai superate. Destra e sinistra, tutti assieme, almeno per un anno prendiamoci una pausa. Non leggiamo più per un po’ Camilleri, Tomasi di Lampedusa o Sciascia perché sono una sorta di “sfiga” nei confronti della Sicilia. Ci vuole ottimismo». Lo ha detto a Siracusa, agli Stati generali dell’autonomia, Mario Centorrino, assessore regionale alla Formazione, economista e professore dell’università di Messina.
Riconosciamolo: c’è del titanismo concettuale in queste parole. Un gusto per le sfide da nuovo millennio, tipico di tutti i fuoriclasse, i fuori concorso. Centorrino ha un’attenuante: non deve avere avuto tantissimo tempo a disposizione, diversamente la sintesi non sarebbe andata a scapito della sua completezza. Insomma: all’insigne, il tempo dell’intervento alla tribuna aretusea, fu tiranno. Aveva infatti già pronto lo spiedo per infilzare Pirandello, Verga e De Roberto; Vittorini, Quasimodo e Bufalino... Tutti scrittori e poeti a occhiali neri, a lenti scure. Sempre «tragici»; mai che, in loro, rimbombi una risata o si accenni a un passo di tarantella quando descrivono la Sicilia attraverso i secoli. Quanto migliore sarebbe stata la storia di questa terra - sottintende l’insigne - se a periodi alternati i suoi abitanti si fossero concessi sostanziose pause nella lettura dei libri di cotanti iettatori. Però, anche Camilleri, Sciascia e Lampedusa da soli... Da qualche parte si dovrà pur cominciare. E Centorrino ne ha ben donde di fregarsi le mani: non solo ha avuto il suo bel coraggio, ma può anche fregiarsi del titolo di iscritto al Pd. Sì, avete letto bene, perché così va il mondo. Diceva un altro grande siciliano, l’attore Angelo Musco: «Lei è cretino, però esagera». Musco era un siciliano bontempone, forse era «ottimista».
Abbiamo sentito Camilleri.
L’assessore siciliano Mario Centorrino, dice che Lei porta “sfiga”. E che non bisogna leggere i suoi libri.
«Siccome Centorrino è professore di economia, gli rispondo in termini economici. Risulta che i miei romanzi hanno incrementato notevolmente il turismo in Sicilia. Quindi se “sfiga” va inteso nel senso adoperato da lui, non mi pare di portare “sfiga”. Devo per forza rispondere a nome mio, e non a quello degli altri, perché sono l’unico superstite».
Non crede che uomini politici di fresca «riverniciatura» straparlino per cercare un quarto d’ora di celebrità?
«Trovo paradossale soprattutto il fatto che sia un docente universitario a invitare a non leggere, non dico i miei libri, ma quelli di Tomasi di Lampedusa e Sciascia».
Scusi se insisto: questo dove vuole arrivare?
«Vede, se mi sembra assurdo che gli scrittori possano portare “sfiga” alla Sicilia, mi sembra altrettanto evidente che la “sfiga” la portano i politici inetti, i mafiosi, i corrotti e i collusi. Un intero mondo contro il quale, l’assessore alla Formazione, avendo a disposizione cotanta tribuna come gli Stati Generali dell’Autonomia, avrebbe potuto spendere qualche parola. Se ne sarà dimenticato».
L’avevamo detto: all’insigne, il tempo fu tiranno. In tutti i sensi.
Saverio Lodato
 
 

La Stampa, 14.2.2010
Non sono i libri il problema della Sicilia

Il professore Mario Centorrino, economista e assessore regionale in Sicilia alla Formazione, ha dichiarato: «Non leggiamo più per un po’ Camilleri, Tomasi di Lampedusa o Sciascia perché sono una sorta di “sfiga” nei confronti della Sicilia. Ci vuole ottimismo». Mi permetto di intervenire essendo l’ultimo (in ogni senso) superstite dei tre chiamati in causa.
Per prima cosa, ringrazio il professore, anche da parte di Sciascia, so di poterlo fare, per non avere incluso nell'elenco degli ostraciz­zati il nome di Pirandello. Che evidentemente, ai suoi occhi, brilla di ottimi­smo. Ciò premesso, mi spiega Centorrino perché secondo lui saremmo una «sfiga» (ahi, professore, che parola poco accademi­ca!) per la Sicilia? Dal punto di vista econo­mico, che dovrebbe essere il suo, sa quale incremento al turismo hanno dato i libri di questi autori? Il professore non si riferisce a questo? No?
Forse allora allude al fatto che i tre auto­ri danno della Sicilia una visione che non può propriamente definirsi ottimistica? A me pare che l'ideologia, da Centorrino tirata in ballo, qua non c'entri proprio niente. C'en­trano le idee, le opinioni, i convincimenti che ogni autore ha liberamente maturato attra­verso il confronto con la realtà. E questa re­altà ha fatto quasi sempre pendere l'ago del­la bilancia non certamente verso un facile ottimismo. Non sono gli scrittori a portare «sfiga» alla Sicilia, professore. Ma tutti colo­ro che da sempre dicono di voler cambiare le cose perché le cose non cambino. Perso­nalmente, devo dichiarare di non credere al­lo sciocco ottimismo a tutti i costi. E di cre­dere invece nell'onestà dei propositi e nella silenziosa determinazione a realizzarli. E, per ultimo, vorrei suggerire al professore d'essere più cauto perché si comincia col chiedere di non leggere per un po' certi libri e poi si finisce col mandarli al rogo.
Andrea Camilleri
 
 

La Stampa, 14.2.2010
La storia. Cultura e politica un nuovo corto circuito
"Gli scrittori iellatori rovinano la Sicilia"
L’assessore regionale: “non leggiamoli per un anno”

Sciascia? Un menagramo, con la sua storia della Sicilia irredimibile. Tomasi di Lampedu­sa? Al diavolo lui e quel princi­pe di Salina rassegnato a che nell'Isola «tutto cambi perché tutto ri­manga com'è». E quanto a Camilleri, pazienza per le frotte di turisti arrivate tra le città barocche del Ragusano dietro al suo Montalbano. «Genera un'immagine negativa dei siciliani, come possessori di un Dna senza speranze». Tutti e tre, per farla breve, «portano sfiga».
Parola dell'assessore all'Istruzione della Regione, l'economista MarioCen­torrino, docente universitario a Messi­na, che con un solo lancio - una battuta a margine di un congresso a Siracusa - ha fatto strike di tre capisaldi della lettera­tura. Proponendo di non leggerli per un anno, come in una pausa sabbatica. «E nell' elenco ho messo dentro anche Emanuele Macaluso, un altro che sta sempre a rimpiangere il vecchio Pci», aggiunge. In realtà pure Centorrino (oggi folgora­to dal progetto autonomista di Raffaele Lombardo, che governa con l'appoggio non dichiarato del Pd) arriva dalle vecchie bandiere rosse, anche se - per dirla sempre con lui - «non esistono più né de­stra né sinistra, piuttosto in Sicilia c'è il dovere dell'ottimismo perché stanno cambiando tante cose, e nessun intellettuale se n'è accorto».
Il problema è che a guardarsi indietro, prima di Tomasi, di Sciascia, di Camilleri, non è che molti scrittori l'avessero vista rosea: De Roberto con l'immuta­bilità dei suoi Viceré, Verga con l'epopea dei Malavoglia geneticamente sconfitti, Pirandello con i suoi personaggi straniati. Così è difficile tirar fuori di bocca al­l'assessore nomi di autori fiduciosi nelle magnifiche sorti e progressive. «Bè, non parlo solo di scrittori, ma di intellettuali in senso lato. Se si leggono le parole di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, per esempio, si trova una grande fiducia nel cambiamento». Già, peccato che i due giudici l'abbiano pagata cara la spe­ranza nel futuro, trucidati dalla mafia a distanza di due mesi, nel 1992. E quindi Centorrino si diverte a citare Ottavio Cappellani, con la sua Sicilian tragedi, «che almeno è divertente». Lo sa bene l'assessore di sparare alto per accende­re i riflettori «sugli elementi di discontinuità rispetto al passato che ci sono oggi in Sicilia, dalla spaccatura nel Pdl alla presenza di un magistrato antimafia co­me Massimo Russo alla guida di un set­tore come la Sanità. Forse sopravvaluto questi segnali, ma credo che il cambia­mento sia possibile, come dimostra chi si afferma fuori dallo Stretto».
Considerazione scivolosa: qualcuno la chiama fuga dei cervelli, visto che tanti vanno via ma la capacità attrattiva di intelligenze e di talenti è vicina allo zero. «Ma chi vuole che arrivi qui leggendo Montal­bano o Sciascia? O guardando la fiction Agrodolce, dove la dottoressa trova pri­mari e colleghi farabutti e il disabile non trova strutture per curarsi?».
Lui l'embargo di un anno sui tre «porta sfiga» lo propone ma non l'ha ancora attuato: «Camilleri lo leggo ogni giorno, Macaluso pure. Per quanto riguarda Tomasi, ho ripreso in mano proprio di recente il Gattopardo. E Sciascia, poi... i richiami al­le sue opere sono continui. Sia chiaro: non mi sognerei mai di negare che sono pila­stri dell'intellettualità, non voglio sottova­lutarli, ma se continuiamo a privilegiare soltanto l'aspetto della loro produzione che ha a che fare con il cambiamento im­possibile, li trasformiamo in baluardi del conservatorismo». Precisazioni che non gli risparmiano gli strati di Claudio Fava, coordinatore nazionale di Sinistra, ecologia e libertà («Dispiace sentire dall'espo­nente Pd Centorrino gli stessi luoghi co­muni della destra berlusconiana») e del ca­pogruppo Udc al Parlamento siciliano, Ru­dy Maira. Qualcuno, poi, si diverte a tirar fuori la pagella degli scrittori siciliani stilata tempo fa dal presidente Raffaele Lom­bardo: Pirandello bocciato, Bufalino pro­mosso, Sciascia promosso, De Roberto e ­Tomasi bocciati. Camilleri? «È lo scritto­re che meglio esalta le virtù dei siciliani», aveva detto. Ma si sa, non si può essere d'accordo su tutto.
Laura Anello
 
 

Il Fatto Quotidiano, 14.2.2010
Politica&Palazzo
Centorrino, Sciascia e Camilleri
Sicilia, che sfiga certi assessori...

"Le ideologie sono ormai superate. Destra e sinistra, tutti assieme, almeno per un anno prendiamoci una pausa. Non leggiamo più per un po’ Camilleri, Tomasi di Lampedusa o Sciascia perché sono una sorta di ‘sfiga’ nei confronti della Sicilia. Ci vuole ottimismo". Così disse il nuovo assessore regionale alla Formazione della giunta Lombardo, Mario Centorrino, iscritto al Pd (!), già economista e professore dell’università di Messina (!!).
Verrebbe da dire ‘minchia’. Ci ricordavamo che le sfighe siciliane fossero il traffico (mirabile il Benigni di Johnny Stecchino), o magari sai il caldo, o ancora i lapilli fastidiosissimi di certi indomiti vulcani. Da ieri conviene ricredersi. Oppure che le vere sfighe siano certi veri assessori che dicono certe vere minchiate?
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 14.2.2010
Al bando i pessimisti

«Le ideologie sono ormai superate. Destra e sinistra, tutti assieme, almeno per un anno prendiamoci una pausa. Non leggiamo più per un po' Camilleri, Tomasi di Lampedusa o Sciascia perché sono una sorta di "sfiga" nei confronti della Sicilia. Ci vuole ottimismo». Questa frase, incredibile ma vero, non si deve a uno dei tanti peones del sicilianismo rampantee ruspante. Ma al professor Mario Centorrino, assessore regionale alla Formazione, nonché economista e docente dell'Università di Messina, il quale l'avrebbe pronunciata a Siracusa, intervenendo agli "Stati generali dell'autonomia". E dico avrebbe, con recalcitranza, poiché appunto la dichiarazione appare di una superficialità inverosimile, soprattutto se collegata al dichiarante e alle funzioni pubbliche di quest'ultimo. Vero è che già il presidente Lombardo ci aveva messo in guardia sul conto del pessimismo di Verga, reo di avere istigato un senso di sottomissione e di fatalismo. Né d'altronde va dimenticato il consiglio apotropaico del più naïf Gianfranco Miccichè, per il quale intitolare un aeroporto a Falcone e Borsellino equivaleva a chiamarsi addosso la iella.
Ma davvero una così palese abiura delle ragioni della cultura non l'aveva finora pronunciata che il cardinale Ernesto Ruffini nella sua lettera pastorale del 1964 intitolata "Il vero volto della Sicilia". Nella quale si leggeva: «In questi ultimi tempi si direbbe che è stata organizzata una grave congiura per disonorare la Sicilia: e tre sono i fattori che maggiormente vi hanno contribuito: la mafia, il Gattopardo, Danilo Dolci». Ruffini, da settentrionale perfettamente trapiantato, ne faceva un punto d'onore per la Sicilia, terra nobilissima ma infangata dai maldicenti, dagli scontenti, dai sobillatori, dai sovversivi. Insomma dai menagrami, ancorché nobili, e dalla sinistra, sempre ignobile, che talora perfino coincidevano.
Centorrino, con un sottile understatement, pare invece farne una questione di opportunità e disintossicazione ideologica: perché continuare a discettare di irredimibilità, anziché pensare positivo e voltare pagina? Ma il punto è che quest' anno sabbatico lungi dal pessimismo equivarrebbe praticamente a una vacanza dal (e del) pensiero, nonché dalla migliore tradizione letteraria. Forse che Pirandello non era pessimista? E De Roberto? Per non dire di figure apocalittiche ed emarginate come Angelo Fiore.
L'indice dei libri, se non proibiti, almeno sconsigliati per scongiurare la malasorte sarebbe lunghissimo (e preziosissimo). Equivarrebbe a un invito a non leggere alcunché di autorevole. E soprattutto a non capire nulla di quanto avviene intorno a noi, di ciò che è la nostra storia, il motivo vero di questo bisogno di buoni auspici che lo stesso Centorrino invoca (la «sfiga», infatti, ha solide e concrete motivazioni sociali). Insomma, per dirla con il reprobo Sciascia: «Come mi si può accusare di pessimismo se la realtà è pessima?». Possiamo pure astenerci dal leggere le pagine sconsolate dei nostri scrittori più tetri, ma la realtà, tetragona, resta lì a ricordarci che i problemi non sono una magica conseguenza delle parole, anche se esse a volte sono pietre.
E allora come interpretare l'appello scaramantico di Centorrino? Perché mai mettere al bando, seppure per un periodo circoscritto, la malinconia disillusa del principe di Lampedusa, lo scetticismo del Maestro di Regalpetra e perfino il giallismo tutto sommato consolatorio dell'irrefrenabile birraio di Porto Empedocle (altro che sfiga: un Re Mida!). Forse per un nuovo e talora bipartisan fastidio nei confronti del pensiero critico. Di questa ostinazione di certi scrittori (cocciuti perfino post mortem) a fare i bastiancontrari, perfino i contestatori e comunque i non convinti, i non pacificati. Mentre adesso magari si vorrebbe che nessuno disturbasse il gran manovratore e le sue magnifiche sorti e progressive.
Marcello Benfante
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 14.2.2010
Centorrino censura Sciascia e Camilleri "Sfiga per la Sicilia, non leggiamoli più"

Camilleri, Lampedusa e Sciascia per l'assessore alla Formazione Mario Centorrino «portano sfiga alla Sicilia». Per questo sarebbe meglio «non leggerli per un anno». Forse preso dall'enfasi degli Stati regionali dell'autonomia siciliana, convocati dal deputato del Pdl Fabio Granata nella sua Siracusa, l'assessore Centorrino si è lasciato andare a considerazioni letterarie, bocciando in un sol colpo i principali autori del Dopoguerra. Le reazioni non si sono fatte attendete: «Ecco cosa si arriva a dire pur di poter fare l'assessore in Sicilia», dice Claudio Fava, di Sinistra e libertà. «Battute degne del carnevale», aggiunge Rudy Maira dell'Udc. Centorrino ieri è intervenuto a Siracusa all'incontro sull'autonomia siciliana organizzato dall'ex An, Granata. «Le ideologie sono ormai superate, per questo destra e sinistra, tutti assieme, almeno per un anno dobbiamo prenderci una pausa di rilfessione - dice Centorrino - Non leggiamo più per un po' Andrea Camilleri, Tomasi di Lampedusao Leonardo Sciascia perché sono una sorta di "sfiga" nei confronti della Sicilia. Ci vuole ottimismo». L'assessore regionale, professore di economia all'Università di Messina, ha poi fatto l'elogio di Lombardo e del suo Mpa: «La questione del futuro dello stabilimento Fiat di Termini Imerese oggi la sta trattando il presidente della Regione - Lombardo ha capito e interpretato la nuova Sicilia restituendo dignità alla rappresentanza territoriale della politica». Il tempo che le agenzie di stampa lancino le frasi di Centorrino sugli scrittori siciliani «da non leggere per un anno», che subito arrivano reazioni indignate. La prima è quella del coordinatore nazionale di Sinistra e libertà, Claudio Fava: «Destra o sinistra, tutto è permesso in Sicilia pur di fare l'assessore della Regione di Lombardo - dice Fava - Dispiace sentire dall'esponente Pd Centorrino gli stessi luoghi comuni della destra berlusconiana: alla Sicilia fanno male Sciascia e Camilleri, le fiction sulla mafia e l'aeroporto intitolato a Falcone e Borsellino». Anche sul versante opposto, quello dell'Udc, i commenti alle frasi di Centorrino non sono da meno: «Trovo singolare, ed eufemisticamente suggestivo, che un assessore regionale abiuri in modo grossolano autori siciliani che hanno rappresentato la letteratura italiana nel Novecento - dice Maira, capogruppo dell'Udc all'Ars - Vorrei proprio sapere se l'assessore Centorrino ha parlato da un palco di un convegno politico oppure se era a bordo di un carro carnevalesco. Certamente, dopo la sua sortita, si può immaginare che per una volta il somaro non si trovi tra gli studenti». Dell'incontro aretuseo sull'autonomia siciliana il deputato nazionale Granata, che ha fatto gli onori di casa, è comunque entusiasta: «L'appuntamento di oggi (ieri, ndr) è un appello rivolto al presidente della Regione, Lombardo, affinché convochi immediatamente gli stati generali dell'autonomia in modo che la straordinaria esperienza politica di questo governo non venga persa».
Antonio Fraschilla
 
 

Corriere della Sera, 14.2.2010
Libri Il caso/1 Le risposte di Macaluso, Buttafuoco, Consolo e Fabrizio Catalano, nipote dello scrittore di Racalmuto
«Basta con Sciascia e Camilleri»
Polemiche dopo l'attacco di un assessore: «Portano male alla Sicilia»
Mario Centorrino «Sospendiamo anche la lettura di Tomasi di Lampedusa, almeno per un anno. Ci vuole ottimismo, non se ne può più di un'isola irredimibile»

È stato in Sicilia per trent'anni l'economista di riferimento del vecchio Partito comunista. Piazzato pure negli enti regionali sin dai tempi dei primi «inciuci». E anche per questo Raffaele Lombardo l'ha imbarcato nel suo terzo claudicante governo, forte di una «stampella» targata Pd. Ma ieri il neo assessore alla Formazione, Mario Centorrino, ex prorettore a Messina, intervenendo agli stati generali dell'Autonomia (brevettata dallo stesso Lombardo), ha invitato i siciliani a fare spazio nelle librerie di casa, tirando giù e non leggendo più «almeno per un anno né Sciascia, né Camilleri, né Il Gattopardo, perché ci vuole un po' di ottimismo e non se ne può più di Sicilia irredimibile, di sfigaggine...».
Testuale. Un pugno allo stomaco. Un linguaggio rude, quasi clonato da un certo diffuso autonomismo, ma di taglio più bergamasco che siculo. E per non farsi mancare niente ecco la stilettata storico-politica, che aggrega ai cognomi eccellenti da depennare quello di Emanuele Macaluso, che fu segretario del partito di Centorrino, oggi stanco di sentir riproporre «la tiritera della nostalgia sul milazzismo e su una Sicilia che non c'è più».
Ovvio che si sia scatenata subito una reazione a catena con indignate o ironiche repliche su assessore e governo, con una curiosa convergenza destinata per una volta a saldare sulla stessa posizione nientedimenoché Claudio Fava e Rudi Maira. Il primo, leader di Sinistra Ecologia Libertà, pronto a leggere nelle parole di Centorrino «i luoghi comuni della destra berlusconiana». E il secondo, capogruppo dell'Udc di Casini all'Assemblea regionale siciliana, dubbioso davanti all'«abiuria»: «Vorrei proprio sapere se ha parlato dal palco di un convegno politico oppure se era a bordo di un carro carnevalesco».
Quando a tarda sera capisce di avere fatto esplodere una bomba col rischio di un effetto boomerang, ecco Centorrino interpretare il termine «provocazione»: «Ovvio che io consideri Sciascia e Tomasi di Lampedusa, Camilleri e Macaluso pilastri della Sicilia. Grandi intelligenze. Ma nel loro impegno prevalgono sempre caratteristiche di irredimibilità, di nostalgia per i vecchi tempi, compreso il milazzismo, che non torneranno più e che rischiano di mal condizionare questo momento che la Sicilia vive...».
Dalla riflessione letteraria si approda così a quella politica, perché l'idea di non potere mai cambiare nulla diventerebbe ostacolo allo stesso Lombardo, «unico possibile traghettatore dell'isola verso un futuro meno ambiguo». Si, vabbè, ma Camilleri? La risposta è uno sfogo sul padre del commissario Montalbano: «Pure lui per eroe positivo ci dà comunque un poliziotto. Non solo, ma i momenti belli se li vive con una di Genova. Ma gli trovi almeno una fidanzata a Canicattì...». Visto che c'è, sorride pure Centorrino, forse cosciente della furbata, ma deciso a cavalcarla: «Come vedete, per potere parlare della Sicilia bisogna parlar male di Sciascia, e senza provocazione i giornalisti non si occupano proprio di noi, ignorando rivoluzione e discontinuità dell'operazione Lombardo...».
Viene però il mal di testa a Macaluso, che da Roma non intende proprio seguire «i voli pindarici» del suo ex compagno di partito: «Tagliare la storia, cancellarla, non tenerne conto è una delle sciagure della sinistra. Si cominciò a "tagliare" con la svolta della Bolognina, annunciando "un nuovo inizio", ma prevale l'incapacità. Il futuro lo puoi capire solo tenendo conto del passato».
Ma guarda un po' chi arriva in soccorso dell'economista rosso? L'intellettuale cresciuto leggendo Julius Evola, fine osservatore della sua Sicilia fino all'ultimo caustico Fimmini, Pietrangelo Buttafuoco, presidente dello Stabile di Catania anche su spinta di Lombardo: «Certo che la Sicilia è irredimibile. Altrimenti sarebbe un'inutile Malta. E il mondo intero, infatti, si dà appuntamento a Palermo. Ma non lo capite che quella di Centorrino è una provocazione? Ovvio che, invitando a non leggere Sciascia, sta moltiplicando per mille un invito a leggerlo».
No, non l'hanno capito in famiglia. E il dirimpettaio di Buttafuoco a Racalmuto, il direttore del teatro del paese di Sciascia, Fabrizio Catalano, nipote dello scrittore, è netto: «È l'ennesima prova di una Italia in serie B. Prima c'erano Sciascia, Calvino, Pasolini. Adesso ci si crogiola nell'Italietta declassata dove è più facile emergere senza qualità».
Ed è quel che pensa della provocazione di Centorrino un grande scrittore siciliano risparmiato dall'economista, Vincenzo Consolo, sferzante a difesa dell'amico Sciascia: «Questo assessore fa il paio con Berlusconi quando vorrebbe strozzare chi gira La Piovra. Ma dovrebbero prendersela con Luigi Capuana che coniò il termine attaccando Sonnino e Franchetti per la loro prima inchiesta sulla mafia, nel 1876, quando ne criticò il lavoro "come se l' isola fosse stretta dai tentacoli di una piovra"». E ovviamente Consolo addita Capuana, ma senza invitare a buttarne via i libri.
Felice Cavallaro
 
 

BlogSicilia, 14.2.2010
Fabio Granata, “da Centorrino solo una provocazione intellettuale”
Siracusa. Di seguito un comunicato inviatoci dall’ufficio stampa dell’On. Fabio Granata

“Mario Centorrino, con le dichiarazioni rilasciate ieri sulla sua visione della sicilianità, ha lanciato una provocazione forte per invitare i siciliani a fuoriuscire dalla flagellazione e dal vittimismo, nonché da una autoreferenzialità patologica, tracciata con ineguagliabile sapienza da Sciascia e Tomasi di Lampedusa“.
Con questa dichiarazione l’On. Granata, interviene sulla polemica nata oggi sugli organi d’informazione regionali enazionali, a seguito delle dichiarazioni rilanciate dall’Ass. Mario Centorrino ieri a Siracusa, in occasione del seminario introduttivo agli stati generali della Sicilia, organizzato proprio da Granata.
“Amiamo ed apprezziamo da sempre la letteratura siciliana, dai grandi scrittori classici a Camilleri, ma restiamo stupiti e colpiti dall’ipocrisia e dalla superficialità di alcune dichiarazioni rilasciate oggi alla stampa. Se anche una provocazione intellettuale, lanciata da una dei più importanti economisti dell’isola, non viene colta come tale, è necessaria una profonda riflessione sul nostro essere siciliani”.
 
 

Cinecittà News, 14.2.2010
Andrea Camilleri re del RomaFictionFest

Berlino - Notizie dai due grandi festival romani, quello del cinema e quello della fiction, arrivano dalla Berlinale. L'EFM ha ospitato stamattina un cocktail della Fondazione Rossellini per l'audiovisivo e il presidente Francesco Gesualdi ha illustrato alla platea internazionale (ma soprattutto italiana) di addetti ai lavori gli obiettivi e gli strumenti operativi della Fondazione, attiva da meno di un anno. "India, Cina, mondo arabo, Stati Uniti e Mediterraneo sono i nostri territori d'elezione, dove intendiamo portare un lavoro di profondità, una promozione dell'audiovisivo italiano che duri tutto l'anno, per stabilire contatti solidi con distributori, produttori, esercenti e reti tv".
La Fondazione collabora strettamente con Cinecittà Luce e ha tra i suoi soci il MiBAC, il ministero degli Esteri, l'Anica e l'Agis, oltre agli enti locali, la Regione Lazio, la provincia di Roma e il Comune capitolino. Tra gli eventi che organizza o sostiene c'è il RomaFictionFest, che si terrà nel 2010 dal 5 al 10 luglio ed è diretto da Steve Della Casa. Quest'anno, per la quarta edizione, è in programma una retrospettiva dedicata al grande scrittore e giallista Andrea Camilleri che ha ispirato in tv non solo Montalbano.
[…] 
Cr P
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 14.2.2010
Turturro presenta il suo film "Scopro le radici con i pupi"

John Turturro discute amabilmente con le anziane suore di Aragona, sta lì come un nipote che chiede notizie di zie e parenti, con affabilità; poi le convince perfino a cantare, in un clima familiare e al contempo surreale. Scene da "Prove per una tragedia siciliana", il documentario firmato dal regista e attore insieme a Roman Paska, che sarà proiettato martedì alle 20,30 al cinema Rouge et Noir; la proiezione sarà preceduta da un incontro con John Turturro, Roman Paska, Donatella Finocchiaro, Mimmo Cuticchio e Vincenzo Pirrotta (ingresso ad inviti). Il documentario, presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia lo scorso settembre, alla presenza di Paska e Turturro, e realizzato in collaborazione con la Regione, è un racconto sulle origini siciliane del regista americano. I nonni, originari di Aragona sono il filo conduttore da riavvolgere per riscoprire le radici e alle fine anche se stessi: e la finzione questa volta si mette da parte, perché Turturro dietro la porta della casa degli avi, si commuove davvero ed è sincero quando vorrebbe lo stop per la cinepresa. «Il viaggio in Sicilia - dice Turturro - è stato un modo per rinsaldare la memoria. È nato un film nel film, un modo profondo per affrontare l'idea di partenza e ritorno». L'apertura e la chiusura del documentario sono affidati ad Andrea Camilleri, che prende come punto di riferimento la tradizione e la rivaluta come necessaria per il presente. E in effetti lo stesso Turturro sceglie di impersonare un «puparo» per riallacciare i rapporti con la Sicilia. «Io sono il pupo - dice Turturro - mentre Paska è il puparo. I pupi rappresentano un elemento importante, per questo li ho scelti come tramite per questo mio ritorno alle origini». Così il regista si affida alle mani e ai fili mossi da Mimmo Cuticchio per questo viaggio nel passato; prova a muovere i pupi seguendo le indicazioni di Cuticchio, prova a declamare «Angelica!» seguendo la voce tuonante del maestro, rivelando il suo accento siculoamericano. Diviso tra le sponde, tra due culture: perché Turturro ne possiede entrambe le anime, e queste "Prove per una tragedia siciliana" risultano davvero intense e coinvolgenti, facendo emergere sfaccettature e caratteristiche dell'uomo ancor prima che dell'attore e regista; e nessuna, a questo punto, può far a meno dell'altra. A far da guida a Turturro si alternano Vincenzo Pirrotta, che lo conduce in giro per Palermo sulle due ruote della sua vespa - carretto, alla scoperta di pupi, questa volta di zucchero, e frutta di martorana, all'interno di laboratori dai ripiani colmi di dolci colorati. C'è poi Donatella Finocchiaro che fa da guida tra la Sicilia e l'America, recitando versi nel "Giardino incantato" delle sculture di Filippo Bentivegna a Sciacca e poi girovagando per le strade newyorchesi, alla ricerca di fili da riannodare, tra suggestioni ed emozioni. «Certo - conclude il regista - queste "Prove" per il documentario si sono rivelate molto complesse e piene di spunti. Chissà che non si possa proseguire ad indagare la memoria».
Paola Nicita
 
 

Corriere della Sera, 15.2.2010
L'Assessore anti-Sciascia che non vuole vedere la realtà

L'assessore alla Formazione della Regione siciliana Mario Centorrino l'altro giorno si è guardato allo specchio e ha notato sul suo viso una antiestetica ruga, ma forse era una vecchia cicatrice. Inorridito, anziché mimetizzare in qualche modo quel difetto o prenderne saggiamente atto, s'è rivoltato contro lo specchio, e giù colpi fino a romperlo. Questo, lo avrete immaginato, è un apologo di fantasia, ma mi sembra l'unica risposta possibile alle sue recenti affermazioni riguardanti alcuni scrittori suoi conterranei: Sciascia, Tomasi di Lampedusa, Camilleri. Perché ho fatto il gogoliano (o pirandelliano: Centorrino me lo perdonerà) esempio dello specchio? Semplicissimo. Perché la letteratura di tutti i tempi e di ogni luogo è esattamente lo specchio della realtà. Pochissimo sapremmo dell'Italia, della sua vera anima e del suo carattere se non avessimo letto I promessi sposi, capolavoro letterario tutt'altro che divertente, come vorrebbe Centorrino fosse la letteratura, e men che meno ottimista. Cos' è Il gattopardo se non la realtà della Sicilia allo specchio? E che cosa sono le Parrocchie di Regalpetra o Todo modo se non proprio questo? «Nulla di sé e del mondo sa la generalità degli uomini, se la letteratura non glielo apprende», scrive Leonardo Sciascia nella Strega e il capitano; ma evidentemente all'assessore Centorrino non interessa conoscere la realtà della «sua» Sicilia, guardarla bene in faccia, rughe o cicatrici comprese. Lui preferisce guardare oltre, al mondo, a ciò che è cambiato lontano dalla problematica isola. Perché leggere quei «portatori di sfiga» e non invece narratori di amenità varie o guardare alla televisione un bel programma di disimpegnato intrattenimento? Ma forse l' assessore Centorrino si è reso già conto della gaffe, infatti non ha perso tempo nel dichiarare che la sua voleva essere una provocazione. E allora, provocazione per provocazione: se ne stia lì un anno, l'assessore Mario Centorrino, a leggere e rileggere Sciascia, Tomasi di Lampedusa e Camilleri. Ne uscirà certamente un assessore migliore e soprattutto un siciliano migliore.
Matteo Collura
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 16.2.2010
Risposta a Mario Centorrino, che ha invitato i siciliani a non leggere per un anno Sciascia, Tomasi e Camilleri
Caro assessore, confesso: ho peccato

Vorrei suggerire una possi­bile alternativa alla propo­sta dell'assessore Centorrino di non leggere Camilleri, Sciascia e Tomasi per un anno, al fine di migliorare l'economia e, con essa, la qualità della vita dei siciliani, messe a repentaglio - come è noto - dalla ricaduta drammatica che la lettura dei tre autori ha avuto sulla nostra visione del mondo. Io stesso, lo confesso, ho peccato. È trascorso qualche anno dalle mie ultime letture di Tomasi, ma nel corso del 2009 ho avuto 3 o 4 ricadute nel­la sindrome camillerese e una singola rilettura di Sciascia. Con effet­ti devastanti sulla gestione della munnizza e sullo stato dell'asfalto delle strade di Palermo. Per non parlare di ben più catastrofici eventi, per esempio, nel messinese.
La mia proposta è semplice ma rivoluzionaria e, se attuata fino in fondo, mi arrischierei a definirla, senza falsa, modestia, estrema­mente efficace. In parole povere, si tratterebbe di governare, ma di go­vernare bene, a tutti i livelli. Sono si­curo che non ci aveva pensato nes­suno. Nemmeno l'assessore. Ora che ho reso pubblica la mia propo­sta, però, non ci sono più alibi. Il re è nudo.
Santo Piazzese
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 16.2.2010
Matita allegra

Gianni Allegra
 
 

LiveSicilia, 16.2.2010
Questioni di sfiga

L’assessore Centorrino si è subito recato sui luoghi della frana di San Fratello. Per sincerarsi che nessuno legga Camilleri.
Massimo Puleo
 
 

Corriere della Sera, 16.2.2010
Il piccolo fratello
Sciascia a Milano Gadda a Palermo
L'assessore siciliano: basta con i disfattisti . L'alternativa: scambio tra città

Come faceva notare ieri Matteo Collura sul Corriere, non può lasciare indifferenti la proposta dell'assessore siciliano alla Formazione, Mario Centorrino: «Non leggiamo più per un po' Camilleri, Tomasi di Lampedusa e Sciascia, perché sono una sorta di "sfiga" nei confronti della Sicilia. Ci vuole ottimismo». Resta da chiedersi come mai l'assessore regionale abbia dimenticato Verga e Pirandello, che, anche loro, non sono propriamente degli allegroni: anzi, a onor del vero avrebbe dovuto sconsigliare vivamente, tra gli altri, pure De Roberto e Consolo. E peccato che Centorrino non precisi con esattezza i tempi dell'astinenza rigenerante. «Per un po'», quanto? Un mese, sei mesi, due anni, una legislatura (magari la sua)? Il guaio è, come ha scritto Collura, che «la letteratura di tutti i tempi e di ogni luogo è esattamente lo specchio della realtà», sia pure per metafore e allegorie. Dunque, se tutti gli assessori d'Italia la pensassero come Centorrino, bisognerebbe abolire la lettura dei disfattisti Porta, Manzoni, Dossi e Gadda a Milano e dintorni (ma già che ci siamo, via anche Scerbanenco, Testori, Tadini e l'ultimo Stajano); eliminare da Roma e province circumvicine i romanzi troppo realistici, diciamo nella linea Pasolini-De Cataldo-Ammaniti-Siti; sottrarre alle librerie torinesi i romanzi neri o gialli come «La donna della domenica» e «A che punto è la notte», che raccontano solo morti ammazzati e discutibili intrighi sotto la Mole; espungere i due Rea (Domenico e Ermanno), ma anche (non si sa mai) Anna Maria Ortese, da Napoli, per non dire di Saviano (ma a dirlo ci ha già pensato, qualche settimana fa, Berlusconi); cassare la «Divina commedia» da Firenze, e anzi dall'intero territorio nazionale, visto che quel menagramo di Dante non risparmia quasi nessuno. A ben vedere, l'intervento di Centorrino, del Partito democratico, potrebbe anche assumere un valore politico (di evidente, e durissima, opposizione) alla luce delle proposte leghiste di qualche mese fa: perché sono esattamente il contrario. La Lega voleva puntare sul prodotto dialettal-nostrano? L'assessore siciliano all'opposto vorrebbe bandirlo. E forse, spingendo un po' in là la sua brillante intuizione, bisognerebbe addirittura ipotizzare uno scambio interregionale: dare le «sfighe» siciliane in pasto ai lombardi, quelle lombarde ai romani, quelle romane ai calabresi, quelle calabresi ai veneti e così via. Uno scambio alla pari, in modo tale che ciascuno osservando le sciagure degli altri trovi, al confronto, di che rallegrarsi del proprio status. E tanto meglio, a quel punto, se si raccontano delitti, crimini, morti per fame o per violenza, corruzioni, collusioni, stragi. Purché non siano del luogo, in modo da non intristire le truppe e piuttosto da sollevarne l'autostima. Oppure, ancora meglio, diffondere solo complotti e misfatti lontani: Stieg Larsson, Dan Brown, John Grisham. Se lo desiderassero, potremmo riempire le vetrine svedesi, inglesi, americane di mafiosi, lottizzatori, corruttori, estorsori made in Italy. Avrebbero solo l'imbarazzo della scelta.
Paolo Di Stefano
 
 

Gazzetta del Sud, 16.2.2010
La Sicilia ha bisogno del Gattopardo e anche di Sciascia
Riflessione sulle parole di Centorrino

Quanto meno singolare è che un assessore del governo regionale della Sicilia nel corso di un'intervista dell'altro ieri si sia espresso, fra l'altro, contro "Il Gattopardo", il romanzo di Tomasi di Lampedusa, contro Leonardo Sciascia, contro Andrea Camilleri, esortando i siciliani a non leggerli «perché non danno spazio all'ottimismo», e vi ha messo dentro anche Emanuele Macaluso, «un altro che sta sempre a lagnarsi addosso, sempre a rimpiangere il vecchio Pci».
E, per giunta, si tratta di un assessore che ha la delega alla Pubblica istruzione.
Bene! Osserviamo questa nostra Sicilia da due punti di vista differenti, quello politico e quello letterario. Dal versante politico la risposta è che in poco più di 60 anni di Autonomia regionale la Sicilia avrebbe dovuto avere, costituzionalmente, 17 governi. Se ne contano invece una cinquantina, perché ogni legislatura ne ha sempre contati (come adesso) due, tre in più. È forse colpa della letteratura?
Anzi, nel farsi interpreti di una situazione reale, gli scrittori imprimono alle loro opere un'autentica intenzione di rivalsa, un impegno a far aprire gli occhi sul ciglio del baratro con la responsabilità propria di chi, invece, una coscienza ce l'ha.
Non a caso il primato che la Sicilia esprime nel mondo è quello – appunto – della sua letteratura, con autori come Tomàsi di Lampedusa e Leonardo Sciascia che primeggiano anche per il loro impegno civile.
La letteratura è questa, tenendo comunque in conto la considerazione – proprio nelle pagine del "Gattopardo" – del Principe Fabrizio il quale, dopo aver enucleato ed elencato al suo interlocutore piemontese i difetti dei siciliani conclude «ma queste cose ai siciliani non si possono dire».
Nell'intervista vengono chiamati in causa anche il commissario Montalbano – la creatura letteraria di Andrea Camilleri, protagonista di una fortunata serie di romanzi e poi di seguitissime riduzioni televisive – che è definito «terribile», e la serie televisiva di "Agrodolce" dove «non si trova un ospedale per curarsi».
Ma chi ha finanziato in modo stratosferico quella fiction se non la Regione siciliana, proprio per farsi insultare, mentre fior di proposte edificanti per l'immagine e la cultura dell'isola non vengono neppure prese in considerazione? E dunque, di che cosa stiamo parlando?
Chiudiamo con una storiella in forma di apologo. Nel 1860 viveva a Messina un pastore protestante che si chiamava Otto Hartwig; era tanto innamorato della Sicilia e tanto bene ne conosceva il carattere che fu iscritto come socio di diritto alla Società di Storia Patria, sotto Pitré, a Palermo. Ma quando fu letto un suo articolo – che era apparso in Svizzera – in cui annotava alcuni difetti dei siciliani, dalla Società di Storia Patria fu repentinamente cancellato.
Certo non diceva male, il pastore, che frattanto rimase a Messina fino al 1865, sempre profondamente innamorato della città e dell'isola; ma faceva da specchio, come accade nel racconto di Gogol (come accennato da Matteo Collura domenica in un suo intervento in proposito sul "Corriere della Sera") al naso storto di quel tale che non voleva riconoscerlo.
Melo Freni
 
 

Teatro Biondo - Stabile di Palermo – Associazione Teatro Scuola, 16/18.2.2010
Il Birraio di Preston
Dal romanzo di Andrea Camilleri

Un'ingarbugliata questione
Il birraio di Preston, romanzo di Andrea Camilleri pubblicato nel 1995 dalla casa editrice Sellerio, offre lo spartito dell'opera teatrale omonima. L'avvenimento reale, da cui Camilleri prende ispirazione, è quello descritto nella Inchiesta sulle condizioni della Sicilia (1875-1876) resa nota in una pubblicazione dell'editore Cappelli di Bologna del 1969. Lo scenario in cui si svolgono le azioni è Vigàta. Ma lasciamo che sia lo stesso scrittore siciliano a parlarne: "Vigàta, quella dei miei libri - rivela Camilleri in un'intervista - non è Porto Empedocle, ma piazza San Francesco. Quel luogo al centro di Agrigento, proprio sopra il liceo Empedocle (dallo stesso frequentato, ndr), era il capolinea della corriera che portava a scuola gli studenti di tutta la provincia". Così la ricorda l'autore e continua chiarendo: "In quella piazza, ogni giorno, c'erano il panellaro e tantissimi ragazzi. Ed è proprio così che ho voluto immaginare Vigàta: pensando a piazza San Francesco animata dagli studenti che raccontano le storie del proprio paese". In questa realtà appena descritta è discussa e dibattuta l'inaugurazione del nuovo teatro della città di Vigàta, "Re d'Italia", il 10 dicembre 1864 con l'opera lirica Il birraio di Preston di Luigi Ricci.
Nel libro è caratteristica peculiare, che trascina i lettori in tortuosi e vitali voli, l'ordine di lettura dei capitoli che può essere variato senza che si perda il senso della trama. E questo un esercizio letterario che consente la narrazione dei medesimi fatti da punti di vista diversi ad ogni capitolo. "Era una notte che faceva spavento, veramente scantusa": questo l'incipit del romanzo di Camilleri che riporta alla luce il celeberrimo incipit di Edward Bulwer-Lytton utilizzato più volte dallo "scrittore" Snoopy delle strisce di Peanuts di Charles M.Schulz, che Camilleri stesso cita nell'indice dell'opera. È proprio questa la notte in cui il piccolo Gerd Hoffer si sveglierà obbligato ad alzarsi per non bagnare di pipì il letto e per evitare di essere duramente punito a timpulate dal padre, l'ingegnere minerario Fridolin Hoffer. Il bambino vedrà dalla finestra un sospetto chiarore dalle parti di Vigàta, non attribuibile all'alba ma ad un pericoloso incendio. Sarà il padre, avvisato del fatto, che accorrerà a Vigàta per sperimentare una nuova macchina a vapore per spegnere gli incendi, finalmente appagato dalla scoperta di una così geniale invenzione.
Ma a cos'è dovuto l'incendio? E questo il quesito che l'ingegnere pone ad un contadino mentre corre verso Vigàta e il mistero è presto svelato: "Pare che il soprano, ad un certo punto stonò". Considerazione a dir poco paradossale, questa, in cui s'intravede la chiara volontà di colorare la narrazione grazie al dialetto siciliano e alle sue potenzialità. In un'atmosfera non priva di suspence e di attesa, si arriva alla decisione presa dal prefetto di Montelusa, il toscano Eugenio Bortuzzi, di voler far rappresentare all'inaugurazione del nuovo teatro di Vigàta, l'opera lirica // birraio di Preston di Luigi Ricci. Una decisione contrastata da opposti pareri su cui si solleva un polverone degno di un'ingarbugliata questione: è qui che il gusto per il segno del giallo si mescola all'humour di sapiente derivazione anglosassone e sfocia in rivolta da parte dei melomani di Vigàta: al "Circolo dei nobili" borghesi e aristocratici non tollerano per niente l'imposizione del prefetto, sostenendo di contro un'opera del conterraneo Bellini. L'autore dell'opera lirica viene da loro definito una "mezza calzetta" e la sua musica "una risciacquatura di un'opera di Mozart" e non manca di accendersi la rivalità con tutto ciò che proviene da Montelusa. In un gioco di precari equilibri, il prefetto non demorderà nel realizzare la sua volontà e, intestardito a voler rappresentare l'opera, scorrerà l'elenco dei suoi factotum designando il noto "uomo di rispetto", don Meme, per usare tutti i mezzi leciti e illeciti per imporre il suo credo.
Zù Meme avrà ruolo centrale nell'intimidire il suocero del direttore del foglio satirico "La gallina faraona", autore di argute riflessioni satiriche nei confronti del prefetto, così che questo muterà il suo punto di vista a favore di un pacifico invito ai vigàtesi perché apprezzino l'opera del Ricci. Il 10 dicembre 1864, durante l'inaugurazione del teatro "Re d'Italia", il palcoscenico sarà due volte rappresentato: la prima vedrà in scena i cantanti dell'opera, la seconda il pubblico popolano e borghese vero attore protagonista intento ad esprimere feroci battute rivolte ai "poveri cantanti" che verranno disturbati da grida e fischi. È così che, in un gioco metateatrale, la farsa si trasforma in tragedia durante l'intervallo della rappresentazione: chi prova ad uscire per andare alla toilette viene tempestivamente fermato dalle guardie municipali. Lame di coltelli, revolver, colpi di moschetto hanno il sopravvento modulando una scena degna del più alto stile horror: il terrore ha interrotto l'attrice che sta cantando trasformando l'acuto in una specie di "sirena dipapore (vapore, ndr), rauca potentissima" e il tonfo del suo corpo sulle tavole del palcoscenico sono elementi conclusivi che portano un vero e proprio scompiglio caotico. Il prefetto e la sua consorte, salvati dal capitano Villaroel, sono all'oscuro del fatto che alcuni congiurati mazziniani, nascosti nei sotterranei del teatro, hanno acceso la miccia per incendiare il teatro e creare il clima per una rivolta di popolo. Ma sorge spontanea la domanda: quale il motivo della caparbietà del prefetto nel voler realizzare l'opera? Come può scatenare tanta confusione un avvenimento di carattere culturale tanto da scandagliare il fitto groviglio di coscienze di un'intera popolazione?
Vis comica, dialogo vivo, iperbole e paradosso della battuta, ma anche intrighi, delitti e tumulti formano l'impalcatura di un genere che mescola la finzione alla storia. La convinzione che s'intravede da questo complesso plot narrativo è che in Sicilia non è necessario aspettarsi che la storia si ripeta per avere la farsa: è proprio la farsa con la sua smorfia violenta e assurda che presenta la storia!
Wanda Rabita
 
 

Messaggero Veneto, 16.2.2010
Il geniale copia-e-incolla di Camilleri

Cervignano. Andrea Camilleri, assieme alla giovane compagnia Mitipretese, riscrive Pirandello per raccontare intense storie di donne nello spettacolo Festa di famiglia , prodotto da Mercadante Teatro Stabile di Napoli e Artisti Riuniti e in scena domani, alle 21, al Pasolini. Festa di famiglia nasce da un originale assemblaggio di testi di Luigi Pirandello: sette commedie e materiali estratti dalle sue novelle e dai romanzi vengono tagliate e cucite assieme per dare vita ad un nuovo testo. Artefice di questo capolavoro di ingegneria narrativa è un altro conterraneo di fama di Pirandello, lo scrittore Andrea Camilleri, che offre con questo lavoro di abile copia-e-incolla la sua preziosa e straordinaria collaborazione alla giovane compagnia Mitipretese. Dopo il riuscito esperimento di Roma ore 11 – spettacolo che l’ha affermata in Italia, molto apprezzato anche a Cervignano, due stagioni fa –, la compagnia si ripropone nell’intento di proseguire la ricerca testuale e registica intrapresa in team da quattro attrici bravissime come Manuela Mandracchia, Alvia Reale, Sandra Toffolatti e Mariangeles Torres. Sandra Toffolatti è apparsa pochi giorni fa nel ruolo di Franca, moglie di Franco Basaglia, nella fiction di Raiuno C’era una volta la città dei matti , dedicata al trentennale dalla scomparsa dello psichiatra rivoluzionario. Soggetto e oggetto della nuova indagine del quartetto rimane la figura femminile, mentre si sposta il punto di vista: non più il mondo del lavoro, come era per Roma ore 11 , ma le donne viste attraverso il filtro della loro vita in famiglia. Festa di famiglia è una riflessione sulle dinamiche di violenza e sopruso che si possono scatenare all’interno del nucleo familiare. Info: 0431-370273 teatropasolini@libero.it.
 
 

ASCA, 17.2.2010
Nucleare: Greenpeace, oltre 40mila firme in 10 giorni per dire 'NO'

Roma - In soli dieci giorni piu' di 40.000 persone hanno firmato l'appello sul sito di Greenpeace per chiedere ai candidati alle regionali di dichiararsi contrari al nucleare. Hanno aderito all'appello anche personaggi del mondo dell'arte e dello spettacolo come Lello Arena, Bernardo Bertolucci, Andrea Camilleri, Ascanio Celestini, Elio Germano, Beppe Grillo, Sabina Guzzanti, Diego Parassole, Valerio Mastandrea.
"Contro un governo che continua a imporre le sue scelte, l'opposizione delle Regioni e' l'unica possibilita' per fermare il ritorno del nucleare in Italia. - sostiene Andrea Lepore, responsabile campagna Nucleare di Greenpeace Italia - Il nostro appello servira' a fare pressione sui candidati per farli uscire allo scoperto sul nucleare e a dare ai cittadini la possibilita' di esercitare un voto consapevole alle regionali".
Su www.nuclearlifestyle.it gli utenti possono firmare l'appello
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Gazzetta del Sud, 17.2.2010
La sfiga degli intellettuali e l'autogol di Centorrino
Lettera aperta del sen. Pd Bianco all'assessore, Replica di Pistorio

Catania. Le battute dell'assessore Centorrino sabato a Siracusa nel dibattito del Pdl-Sicilia sull'autonomia hanno determinato commenti vari. «Caro Centorrino, dalle nostre parti si dice che chi pratica lo zoppo impara a zoppicare. Talvolta i proverbi ci pigliano davvero». Lo scrive il senatore del Pd, Enzo Bianco, in una "lettera aperta" all'assessore regionale dell'Istruzione e formazione, Mario Centorrino, che valuta la «sua scelta personale di entrare a fare parte del governo» Lombardo come frutto di una «differente visione delle cose politiche». «E fino a adesso francamente - aggiunge il senatore del Pd - pensavo ci separasse soltanto questa diversa sensibilità politica. Ma ora, le tue dichiarazioni su Sciascia e Camilleri mi fanno davvero pensare che ci separi anche una visione culturale, un aspetto più profondo. Di cosa parli? Tirare in ballo nel vortice dei portatori di "sfiga" alcuni tra i più grandi intellettuali siciliani mi sembra, francamente, un grosso autogol e una ragionamento a perdere. Oppure – osserva Bianco – devo dedurre che tu stia cominciando a stare con il presidente della Regione su tutto il fronte, magari anche nel rimettere in discussione le figure di Garibaldi e Cavour, il ruolo del Risorgimento, la stessa Unità d'Italia, fino ai nostri intellettuali conterranei che si permettono (o si sono permessi) di muovere critiche severe alle degenerazioni della nostra terra e al nostro modo di essere (o al modo di essere di alcuni siciliani) con l'idea di voler vedere rinascere sotto altri auspici quest'isola. Forse, caro Centorrino – conclude il senatore – apparteniamo sconsolatamente, a due Sicilie diverse. Un consiglio, comunque: conta fino a tre prima di spararle grosse».
A rispondergli è il senatore dell'Mpa Giovanni Pistorio: «Se del professore Centorrino è sinceramente apprezzabile il gusto temerario per la sfida culturale dell'innovazione, che egli lancia sul filo della provocazione quasi iconoclasta, la reazione stizzita di un esponente un po' in disarmo del conformismo radical-chic come Enzo Bianco, è la manifesta conferma della difficoltà di una certa classe dirigente a comprendere i profondi cambiamenti che stanno segnando la Sicilia». Le banali ovvietà, che oggi riversa contro Centorrino - dice Pistorio - sono determinate dalla sua ossessione per qualsiasi cosa gli parli del presidente Lombardo.
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 17.2.2010
Zona franca
I pessimisti

Neo-ottimisti o vetero-opportunisti i convertiti al lombardismo? Questo tipo di dilemma, riattualizzato nel contesto delle reazioni seguite alla recente provocazione di Mario Centorrino a non leggere per un po' Camilleri, Tomasi di Lampedusa o Sciascia, tacciati di un pessimismo che porterebbe "sfiga" alla Sicilia, è suscettibile di risposte nell' uno o nell' altro senso. Non perché, da postmoderni, dovremmo per forza sposare la perniciosa tesi che non esistono fatti, ma solo interpretazioni. Ben venga allora l' atteggiamento ottimista, se può giovare al cambiamento. Anzi, consiglieremmo a Centorrino, in atto assessore regionale alla Formazione, di essere come uomo di governo coerente fino in fondo: istituisca nuovi corsi formativi di ottimismo come propellente politico di un futuro migliore.
Giovanni Fiandaca
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 17.2.2010
L’intervista
Turturro: "Che emozioni qui. Presto un altro film in Sicilia"

«Sono felice di questo ritorno a Palermo, è un momento molto forte. È trascorso un anno da quando abbiamo finito di lavorare al documentario». John Turturro ha presentato ieri in città, dopo la prima assoluta del Festival del cinema di Venezia, l'anteprima del film "Prove per una tragedia siciliana", che vede la partecipazione di Andrea Camilleri, Mimmo Cuticchio, Donatella Finocchiaroe Vincenzo Pirrotta, girato con il regista Roman Paska e realizzato con il contributo della Film commission regionale. Entrambi in città dicono: «Abbiamo, come si dice in America, "le farfalle nello stomaco" per l'emozione. Torneremo a girare qui? Perché no, ne parliamo tanto, è un'idea che ci piace. Questo film? Lo definiamo magico-realista».
John Turturro ma queste radici familiari contano davvero così tanto?
«È un'emozione molto strana tornare qui. È la terra dei genitori (la madre di Turturro era originaria di Aragona, Agrigento, ndr), ma adesso i genitori non ci sono più. E cambiano tante cose. Quando sei piccolo vedi le cose in un modo, quando cresci cambi idea».
Dopo questo film cambierà il rapporto con la Sicilia?
«A me piace venire qui, però mi rendo conto che in realtà poi non è possibile mai tornare completamente nella terra d'origine. Però con Paska pensiamo di poter realizzare ancora un altro film in Sicilia, in realtà ne parlavamo anche prima di realizzare questo documentario. Non so bene cosa faremo, stiamo cercando una storia, una narrazione. Magari la storia di un puparo».
Questa storia siciliana è sua e al contempo emblematica...
«Sì, ero veramente emozionato di ritrovare certi luoghi, di cercare le persone che mi potevano raccontare dei fatti legati alla mia famiglia, alle mie origini. Poi penso che tutti hanno storie simili, a New York è pieno di gente che ha radici in altre parti del mondo».
A cosa sta lavorando adesso?
«Sarò ancora in Italia, a Roma per il progetto di favole di Italo Calvino. Sono anche il protagonista del cortometraggio che ha girato Marco Pontecorvo, che collabora con me».
Paola Nicita
 
 

Istituto Italiano di Cultura – Shanghai, 18.2.2010
Lo "Shanghai Morning Post" in Italia
Relazione sulla missione in Italia della redattrice dello Shanghai Morning Post Dott.ssa Wang Na
Milano-Venezia-Roma-Catania-Agrigento 3-20 febbraio 2010

Nel quadro di una serie di servizi e interviste sui paesi europei partecipanti all’EXPO di Sciangai del 2010, l’importante quotidiano municipale Shanghai Morning Post ha deciso di inviare un suo redattore, la d.ssa WANG Na, in Italia, sollecitando il sostegno di questo Istituto Italiano di Cultura.
[…]
La missione si può considerare del tutto riuscita. L’impatto del nostro paese sulla giornalista cinese è stato altamente positivo e le interviste, in particolare con gli scrittori Andrea Camilleri e Tiziano Scarpa e il filosofo Massimo Cacciari, assai prolungate (ben tre ore con il primo e due con il secondo e il terzo) e pienamente soddisfacenti.
La missione ha prodotto e continuerà a produrre nei prossimi giorni una serie di articoli e servizi sulla cultura italiana, che saranno in seguito raccolti anche in volume.
[…]
Auspicabilmente, le interviste e i servizi sulla cultura italiana contribuiranno a rafforzare la presenza italiana sul mercato librario cinese (il romanzo di Tiziano Scarpa vincitore del Premio Strega, “Stabat Mater”, così come il romanzo di Andrea Camilleri “Il cane di terracotta” sono già oggetto di trattative con la casa editrice di Sciangai Yiwen Chubanshe, specializzata in traduzioni di opere letterarie non cinesi, mentre l’opera filosofica di Massimo Cacciari sarà proposta per la prima volta al pubblico cinese).
Prof. Giorgio Casacchia, Addetto Culturale IIC Shanghai, 15 febbraio 2010
Programma della visita
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Lunedì 8 febbraio
Intervista della d.ssa Wang allo scrittore Andre Camilleri nella casa romana di via Asiago.
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La Nazione, 18.2.2010
Camilleri: quattro attrici e una riflessione
Sabato al Teatro Era 'Festa della famiglia'

Pontedera - Dopo aver debuttato lo scorso ottobre e mentre sta circuitando nelle maggiori città italiane, sabato (ore 21) fa tappa al Teatro Era di Pontedera la 'Festa di famiglia', uno spettacolo che trae spunto da un testo del grande maestro e premio Nobel della letteratura italiana Luigi Pirandello, riscritto e rielaborato e interpretato da quattro brillanti attrici (Manuela Mandracchia, Alvia Reale, Sandra Toffolatti, Mariàngeles Torres) che si sono avvalse, durante la stesura del testo, della speciale collaborazione di Andrea Camilleri.
Una riflessione sulle dinamiche violente all’interno del nucleo familiare, di una storia che prende a pretesto il compleanno di una madre di 60 anni festeggiata dalle sue tre figlie per raccontare la vera trama fatta di aggressione quotidiana degli uomini contro le donne nell’ambito familiare.
In scena, alcuni protagonisti estrapolati da 'Questa sera si recita a soggetto', 'Sei personaggi', 'L’amica delle mogli', 'Enrico IV', 'L’uomo, la bestia e la virtù', 'La vita che ti diedi' e 'Trovarsi' si incontrano per mostrare tutta la violenza che può nascondersi all’interno dei nuclei familiari e che Pirandello ha sparso un po’ ovunque nelle sue opere.
 Le parole dei personaggi e i soprusi che commettono risuonano e rimbalzano da una bocca all’altra collegando le storie delle tre sorelle, figlie della sessantenne, e mostrando quanto si assomigli la violenza in tutte le sue forme. Non una sola battuta è nuova perché l’intero impianto drammaturgico è composto da materiale letterario di Luigi Pirandello estrapolato da drammi, novelle, romanzi. C’è la molestia sessuale del padre verso la figliastra dei Sei personaggi in cerca d’autore, il marito segregatore di Questa sera si recita a soggetto, il manipolatore di personalità de L’amica delle mogli.
"Attraverso Pirandello — dichiarano le autrici e attrici — abbiamo voluto raccontare un punto di vista sulla famiglia che sembra superato per la nostra società evoluta, ma che rispecchia fedelmente quello che siamo". Biglietto: 20 euro, ridotto 18.
 
 

AgrigentoNotizie.it, 18.2.2010
Vigata e il mercatino del commissario Montalbano

A Porto Empedocle nascerà il mercato dedicato al celebre commissario Montalbano, famosissimo personaggio dei romanzi di Andrea Camilleri. Si tratta di un mercatino coperto situato nei pressi del porto, attualmente in fase di ristrutturazione e che presto aprirà i battenti in modo che i consumatori potranno accedere a ben sei esercizi commerciali di tipologia agroalimentare, adibiti a frutterie, pescherie e paninerie.
L’edificio in muratura nasce molti anni fa come mercato ittico, ma purtroppo non venne mai destinato a questo uso poiché utilizzato come deposito del Comune. Grazie all’azione di rivitalizzazione del borgo marinaro, fortemente voluta e portata avanti dal sindaco Calogero Firetto, l’edificio tornerà alla sua originaria destinazione di mercato, arricchendosi dei prodotti tipici e genuini della tradizione empedoclina.
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Gazzetta del Sud, 19.2.2010
I prossimi episodi di Salvo Montalbano in sette nuove location
Il ciak il 9 aprile

Santa Croce Camerina. La nuova stagione del "commissario Montalbano" è iniziata. Alberto Sironi, il regista della fiction del personaggio ideato dallo scrittore Andrea Camilleri, ha fatto tappa in questi giorni nel Ragusano, visitando in primo luogo Santa Croce Camerina con alcuni suoi collaboratori. Sironi ha effettuato dei sopralluoghi nei probabili siti delle riprese dei prossimi episodi della fortunata serie televisiva prodotta dalla Palomar.
Il regista si è soffermato, in particolare, a villa Schininà, dove il sindaco Lucio Schembari ha fatto gli onori di casa, come testimonia la foto di Gianni Tidona. «Con Sironi ormai – rileva Schembari – abbiamo instaurato una fraterna amicizia, dettata soprattutto dalla disponibilità, che il Comune di S. Croce ha sempre dimostrato nei confronti della produzione televisiva. La nostra collaborazione dura da diversi anni – ha ricordato il primo cittadino – per cui siamo molto grati ed onorati di avere i nostri luoghi rappresentati nella fiction, a parte la "casa di Montalbano" a Punta Secca, ormai conosciuta ovunque, con la produzione che nei nuovi episodi ha individuato altre sette nuove location dislocate nel nostro piccolo, ma sicuramente interessante territorio».
Le riprese dei nuovi episodi, tra cui figurano gli adattamenti de «Il campo del vasaio», «L'età del dubbio» e «La danza del gabbiano», ultimi lavori di Camilleri che vedono protagonista il commissario Salvo Montalbano, avranno inizio il prossimo 9 aprile a Punta Secca e continueranno per tre mesi.
Federico Di Pasquale
 
 

Santacroceweb, 19.2.2010
Torna il Commissario Montalbano: ad aprile si riparte, Sironi è già a Punta Secca

Le avventure del Commissario Montalbano proseguono. O, meglio, ripartono. Già da aprile, quando prenderanno il via le riprese di una nuova serie di episodi ispirata al romanzo di Andrea Camilleri. La troupe del regista Alberto Sironi darà vita ad alcuni puntate tra cui “L’età del dubbio”, “Il campo del vasaio” e “La danza del gabbiano”. Lo stesso Sironi ha compiuto in questi giorni alcuni sopralluoghi: il primo lo ha visto impegnato a Punta Secca, sede della celebre casa del commissario. Un po’ imbruttita dalla recente ondata di maltempo, la prestigiosa abitazione andrà incontro a qualche ritocco prima di ospitare le scene che vedranno l’attore Luca Zingaretti impegnato nelle sue faccende domestiche. Se ‘Vigata’ non preoccupa più di tanto, l’entourage della serie televisiva sta analizzando con scrupolosa attenzione alcune location, a Ragusa, che saranno adibite alle riprese. Tutti gli appassionati potranno godere, a debita distanza, della presenza del commissario più conosciuto d’Italia già dalla prossima primavera. La troupe di Sironi si fermerà in Provincia fino a giugno inoltrato, quando la nostra terra è in grado di offrire il meglio di sé. Sole e mare per un paesaggio da cartolina.
 
 

Messaggero Veneto, 19.2.2010
Festa, livori e rancori familiari nella feroce realtà di Pirandello

Cervignano. Non c’è solamente Luigi Pirandello in questa Festa di famiglia che le quattro-ragazze-quattro della Compagnia Mitipretese (Manuela Mandracchia, Alvia Reale, Sandra Toffolatti, Mariangeles Torres, qui drammaturghe e registe) hanno allestito per dire la loro su quel microcosmo complesso e sempre problematico che è la famiglia, in scena per una sera sola - ahimè - al teatro Pasolini di Cervignano. Se Pirandello, con la collaborazione di un altro grande siciliano come Andrea Camilleri, che ha supervisionato il tutto, è il padre nobile dell’operazione, un singolare e stimolante pastiche , con alcune scene tratte dai suoi testi più ricchi di suggestioni sull’argomento, l’altra fonte di ispirazione, assai intelligentemente usata a mitigare e rendere più teatrale l’asprezza e la crudezza di un quadro di inaudita ferocia e cattiveria nonché di ipocrita rispettabilità, è la commedia all’italiana, quella grande ispirata del Monicelli di Amici miei o di Parenti serpenti. Perché tra le tensioni che la parola di Pirandello mette in scena, a esempio nella scena tra Mommina e suo marito, il gelosissimo Verri, o in quella ispirata ai Sei personaggi in cui la figliastra accusa la madre, a sua volta isterica e fatua Generalessa di Questa sera si recita a soggetto, di averla indotta al mestiere dopo aver chiuso gli occhi davanti alle attenzioni non proprio paterne del marito, tra questi vertici di drammaticità consumata nella quiete apparente di un interno familiare che è invece carcere, luogo di tortura per eccellenza, spunta leggera e liberatoria l’ironia di una canzone ( Mamma, a esempio, per festeggiare il compleanno della madre appunto, occasione per questa spietata sorta di resa dei conti che è appunto Festa di famiglia) o di un brano d’opera come Bella figlia dell’amore, eseguiti pomposamente e spiritosamente a cappella come nella celeberrima serie di Amici miei, o quel Balocchi e profumi che sigla, nel vuoto retorico e pateticamente melenso di una canzoncina dell’Italietta benpensante e borghese, una rappresentazione in cui non sono mancati tremendi colpi bassi, le esplosioni di violenza e lo scoppio di rancori a lungo soffocati o repressi tra le tre figlie e la madre, tra le figlie stesse, tra le due sposate e i rispettivi consorti. Il quadro è di una sconfortante verità, che assomma violenze e frustrazioni perpetrate nel chiuso delle pareti domestiche, di cui quotidianamente sono piene le cronache dei nostri tempi. Chè la famiglia oggi non è più, e forse non lo è mai stata pienamente, quel santuario di pace e amore tanto sbandierato dai falsi moralisti di casa nostra. Di notevole impatto, per naturalezza e sottile intelligenza scenica, è la prova di tutti gli interpreti: Sandra Toffolati è una vibrante nevrotica Frida che nella consumazione di amori a pagamento riscatta la violenza subìta da piccola e riversa il suo schifo per gli uomini; Manuela Mandracchia è Mommina, colei che ha sacrificato tutto per amore ritrovandosi soffocata nelle spire mortali e malate della gelosia del marito, un dolentissimo e violento Fabio Cocifoglia; Mariangeles Torres è Donata, l’attrice che vive il disagio di una realizzazione di sè non appagata né sul lavoro né nel rapporto con il suo uomo, il filosofeggiante e sarcastico Leone di Diego Ribon. E poi c’è lei, la madre di Anna Gualdo, irriconoscibile qui nelle vesti borghesissime di una donna di mezza età dopo averla ammirata negli spettacoli scatenati e trasgressivi di Ricci e Forte (come in Macadamia visto anche a Gradisca d’Isonzo durante il festival “Omissis”), e che qui tocca in modo assai intenso tutte le corde di una maternità e di una femminilità frustrate nella solitudine dell’abbandono, con assai poco materni sentimenti di livore e rivalsa e momenti di estrema dolcezza, fragile e vuota al tempo stesso. Insomma un significativo (e non troppo lontano dal vero) covo di vipere che, come detto, tra dramma e commedia, coinvolge, diverte e fa pensare, anche perché supportato, oltre che dalla bravura di tutti gli interpreti, da vivaci invenzioni della regia collettiva, spesso intelligenti e divertite citazioni dal Pirandello del teatro nel teatro, come a esempio quando interrompono platealmente la recita per il suono di un cellulare, fingendo di improvvisare offesa e arrabbiatura o quando, discutendo di un prezioso foulard usato come dono alla madre ma strappatosi in precedenza durante una scena piuttosto vivace, sbattono lì anche i problemi economici della compagnia. Una serata piena di sorprese, acuta e di estrema gradevolezza, giustamente premiata dal lungo e caloroso applauso del pubblico per uno spettacolo da vedere e raccomandare.
Mario Brandolin
 
 

Il Piccolo, 19.2.2010
Battista: gli intellettuali italiani sono sacerdoti di banali verità
Nei Conformisti l’editorialista del Corriere della Sera boccia Camilleri, Pasolini, e la cultura della destra

Capita di sentir annunciare l’intervista di un personaggio pubblico “senza peli sulla lingua”. Capita anche, però, che dopo averla letta o ascoltata si scopre che i peli invece erano molti. Pierluigi Battista, editorialista del ”Corriere della Sera”, appartiene alla prima categoria. Lo fa nel suo saggio “I conformisti. L’estinzione degli intellettuali d’Italia” (Rizzoli, pagg. 222, euro 18) e nell’intervista che segue. Da Camilleri a Pasolini è una messe di giudizi al vetriolo. Che naturalmente possono non essere condivisi, come anche l’impostazione del suo libro. Ma gli va dato atto di una chiarezza di questi tempi non frequente. Hanna Arendt, Camus, Orwell, Simone Weill? Figure che tradirono la loro appartenenza pur di non tradire le proprie idee è l’assunto di Battista. Tutto il contrario – scrive – di quanto accade oggi nel mondo, ma con un occhio particolare all’Italia dove l’intellettuale gli appare proprio estinto.
[…]
Ma non sarà che il conformismo è anche figlio di Berlusconi? Guardando certi telegiornali la rappresentazione che se ne ricava è esattamente questa. Tizio è nel mirino dei giudici perché indagato. Un falso, come tutti sappiamo. L’indagato è indagato e basta. Non è colpevole. Che ne pensa?
«Che viviamo imprigionati nella Berlusconimania. Però io trovo che ci sia più conformismo in Andrea Camilleri e in Piergiorgio Odifreddi che in un telegiornale. Lo dico non per ciò che scrivono ma per ciò che fanno in pubblico quando si trasformano in maitre-à-penser e dicono grandissime panzane. Quando Camilleri davanti ad una platea di studenti dice che la Gelmini non è un essere umano e viene accolto da un’ovazione, sta dicendo una castroneria conformista per strappare l’applauso. Non mi piace il tic che trasforma gli scrittori in sacerdoti dell’ovvio, della banalità travestita da pomposa verità».
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Sergio Buonadonna
 
 

Giornale di Brescia, 19.2.2010
Brescia nei ricordi, Vigata nella fantasia
In San Cristo «Emozioni bresciane» con Agape Nulli, il coro La Soldanella e l’attore Filippo Garlanda Serata su Camilleri a Rodengo, «Cosmedy» e «Venti di rivoluzione» al «Casazza», più altro teatro

[…]
VIGATA ANDATA E RITORNO Per la rassegna «Un libro, per piacere», alle 21 nell’Auditorium San Salvatore, in via Castello 8 a Rodengo Saiano, Barbara Mino, Sergio Lussignoli, Angel Galzerano e Nicoletta del Vecchio propongono «Vigata andata e ritorno. Dedicato a Andrea Camilleri».
[…]
 
 

Vdbd Viadellebelledonne, 20.2.2010
La linea regionale nei romanzi di Camilleri

In una intervista di qualche tempo fa’ lo scrittore Andrea Camilleri ebbe a dichiarare che la scelta di adottare per i suoi romanzi una scrittura densa di dialettalismi era motivata dall’aver preso coscienza che il narrato nasceva dentro di sé come dettato dialettale. L’esito di questa scelta è la specificità del linguaggio che ne deriva, codice che si innesta nel tessuto della trama finendo per costituire l’anima stessa del plot. La voce che narra risulta immersa fino alla radice nel carattere dei personaggi e riesce a spaziare dall’uno all’altro per svelarne i tratti personali più nascosti. Citando il critico Maria Corti, che affermava: “Ogni scrittore che si rispetti crea la sua lingua ed ogni scrittore compromesso con il dialetto crea il suo dialetto”, il linguaggio di Andrea Camilleri, che ha radici nel parlato della provincia agrigentina, acquista valore specifico in virtù della sua capacità affabulatoria che ne fa strumento atto a dispiegare la forza caratterizzante dei personaggi. La forma dialettale crea un’orgogliosa  crittografia, un messaggio che non si preoccupa di essere decrittato ma che vuole vivere di se stesso e viaggiare con la sola energia della sua espressione. Ed è il linguaggio stesso che fa la storia raccontata, che non potrebbe vivere, o ne risulterebbe devitalizzata, se espressa in altro codice.
Il legame fra Andrea Camilleri e la Sicilia, o più precisamente fra Andrea Camilleri e la provincia agrigentina, è cosa viva. Vigata, nome convenzionale di un paese che è metafora di un modus vivendi , non è quel luogo immaginario che si potrebbe credere, ma ha una sua fisicità ed una sua geografia e si colloca in quell’estremo lembo di Sicilia che è quasi Africa. In questo luogo dove si è radicata  la memoria dell’autore, dove hanno nidificato i suoi ricordi e le sue esperienze vissute, dove anche le pietre possono nascondere segreti e delitti, è possibile che in una storia, melagrana aperta che sgrana generosamente i suoi chicchi, vivano altre storie, in una catena di rimandi che a percorrerla tutta può condurre molto lontano. Nomi, luoghi e caratteri hanno fondamenta precipuamente isolane e se l’evoluzione storica ha prodotto cambiamenti fisiologici e ha mutato l’architettura arcaica degli ordinamenti sociali non ha inciso, o ha inciso in misura minima, nella struttura intima dei “vigatesi” che continuano a perpetuare la ritualità di certe abitudini innovandone solo il sistema esteriore.
Vigata è luogo-simbolo, contenitore di pigri rilassamenti e di risvegli insospettati, habitat sociale dove si consumano con eguale passione delitti d’amore e delitti di mafia. E’ il tocco garbatamente ironico dell’autore che smorza l’azione drammatica delle vicende e ne evidenzia il dato minimo e se restano devastanti gli effetti ne  risultano ridicolizzati i metodi.
I personaggi delle storie raccontate da Camilleri incarnano una condizione che trova collocazione nell’ambito di quella “linea regionale” a cui si sono riferiti scrittori quali ad esempio Pasolini e Pratolini, ma si apparentano altresì ai personaggi di tanta altra letteratura. Il commissario Montalbano, attraverso le sue incertezze, i suoi dubbi, le sue debolezze, offre al lettore la possibilità di leggere adeguatamente le problematiche della realtà contemporanea. E’ in qualche modo l’omologo del Pereira di Antonio Tabucchi, l’antieroe, l’intellettuale che vive asserragliato nella realtà virtuale della letteratura. Ma a differenza del Pereira, che solo tardivamente prende coscienza della necessità di intervenire soggettivamente nei fatti della realtà che lo circonda, Montalbano vive giorno dopo giorno gli eventi del suo microcosmo ai quali aderisce con  distaccata passione.
Andrea Camilleri ha aggiunto una tessera al mosaico costituito da tutta la narrativa siciliana. Ne ha arricchito il panorama immettendo nuovi scenari, rimescolando le eredità culturali ed innervando il tutto all’attualità della storia contemporanea.
Anna Maria Bonfiglio
 
 

Il Messaggero, 20.2.2010
Alla Sapienza
Piersanti porta il tango nella Sicilia di Montalbano

«Il tango in Sicilia? Un elemento di imprevedibilità e di ironia che mi è sembrato in carattere con la personalità di Montalbano - dice Franco Piersanti -. Ma per me fare musica per la televisione significa innanzitutto evitare di trattarla come un genere andante, con un linguaggio facile. Cerco di fare un discorso un po’ più alto applicando alle immagini una musica seria, elaborata, mai dozzinale. Il livello dei racconti di Camilleri e la regia di Sironi volevano una colonna sonora sostanziosa, sviluppata densamente, in modo cameristico».
Lo sentiremo stasera all’Aula Magna della “Sapienza” Montalbano noir, il tango che fa da sigla e Leitmotiv alla colonna sonora del Montalbano tv: musica ora angolosa ora serpeggiante, ora sorniona ora generosa di melodia, sempre con un’aura di mistero. Sarà al centro di “Note per e fuori dal cinema”, il concerto (ore 17.30) che la Iuc dedica a Piersanti, il quale dirigerà le sue composizioni sul podio dell’Orchestra Roma Sinfonietta.
[…]
Alfredo Gasponi
 
 

RTM, 20.2.2010
Bit Milano. Gli arancini di Montalbano catturano i visitatori

Il commissario Montalbano continua ad essere il primo testimonial per la provincia di Ragusa. Alla Bit di Milano, lo stand della Provincia Regionale è stato preso d’assalto nel momento in cui è cominciata la degustazione degli arancini, tanto cari al commissario di polizia ideato dalla felice penna di Camilleri.
[…]
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 21.2.2010
Siciliani. Lo scrittore di Porto Empedocle racconta il suo rapporto con l'Isola, dalla quale andò via nel 1949: "La lontananza rende tollerabili anche le cose che non avrei accettato"
Io, Camilleri emigrante con tanta voglia di ritornare

Andrea Camilleri abita vicino alla radio. O meglio, a RadioRai. Nella sua bella casa di via Asiago, il portone accanto a quello che infinite volte varcò quando lavorava per la televisione di Stato, ha voluto per sé la stanza più piccola, e così il suo studio - la scrivania sulla quale nascono le intuizioni di Montalbano, i tormenti di Livia e la comicità di Catarella - è diventato un rifugio di ricordi: i quadri, i premi, le vecchie fotografie circondano il fax che ogni tanto sputa ronzando una lettera, un appello, un invito, o inghiotte dopo il bip un messaggio nella segreteria telefonica.
Lo scrittore di Porto Empedocle vive a Roma da più di sessant' anni.
Ma se piemontesi e triestini hanno imparato a leggere i suoi gialli in quell'intreccio unico e originalissimo tra siciliano e italiano, se a Stoccolma sono rimasti incantati vedendo in tv la magnificenza solare della sua Vigàta, l'altro volto di un'isola che per anni è stata solo la terra della Piovra, i siciliani lo debbono a lui.
Lei torna quando può, nella sua Porto Empedocle. Ma perché se ne andò?
«Accadde nel 1949. Io pubblicavo i miei articoli e le mie poesie su L'Italia socialista di Aldo Garosci, su Mercurio di Alba de Cespedes, su Inventario di Luigi Berti. Ma mi sentivo come uno chiuso in un sommergibile affondato. Avevo il deserto attorno a me. Me ne sono dovuto scappare. Eppure le dirò una cosa. Vittorio Nisticò distingueva i siciliani in due categorie: siciliani di mare aperto e siciliani di scoglio. Sciascia era di scoglio, come me. È come se avessimo un elastico che ci spinge a tornare. Quelli che non tornano sono una minoranza».
Vuol dire che anche lei oggi sente la voglia di tornare in Sicilia?
«Sì, oggi anch' io ci tornerei, se potessi. Le dirò di più: se a 24 anni avessi avuto le possibilità di comunicare che ci sono oggi, con Internet e la tv, non me ne sarei andato».
Però non è tornato.
«Siamo emigranti in patria. E l'emigrante, appena può, torna. Il mio cuore è rimasto qui. Io penso sempre in siciliano. Poi, magari, traduco in italiano».
La Sicilia di oggi è molto diversa dalla Sicilia del 1949. Ma i siciliani, secondo lei, come sono cambiati? In meglio o in peggio?
«Mi viene difficile separare nettamente ciò che mi piace da ciò che non mi piace. Va a finire che la troppa lontananza dalla Sicilia rende accettabile cose che senza la lontananza non avrei accettato. La nostalgia rischia di inquinare il giudizio. Una delle cose che più mi piacciono è la perdita del senso di chiusura della famiglia. Una volta c'erano alte mura, che non si capiva se servissero a non fare entrare gli stranei o a non far uscire i figli. Un altro fatto positivo è la maggiore capacità di comunicare dei siciliani, almeno nella Sicilia occidentale. Nella Sicilia orientale l'hanno sempre avuta. Per l'acqua, dico io».
Per l' acqua? In che senso?
«Sì, loro hanno sempre avuto l'acqua, noi no. L'acqua fa gioia, scorre, mette in contatto. La mancanza d'acqua, al contrario, ti spinge a difendere il tuo pozzo col fucile, a vedere nell'altro un nemico. Non è un caso che i grandi scrittori siano nati da quella parte dell'isola, da Verga a Brancati, da Patti a D'Arrigo. Noi abbiamo Pirandello e Sciascia, ma siamo in minoranza. E del resto questa diversità di temperamento è uno dei fascini della Sicilia».
La mafia c'era allora e purtroppo c'è ancora oggi. Non come prima, però. E' rimasto lo stesso, secondo lei, il rapporto tra i siciliani e Cosa nostra?
«No. Intanto è la caduta della leggenda dell'omertà. I siciliani hanno sempre parlato sottotraccia, e chi voleva capire capiva. L'omertà esisteva nei confronti della legge, ma si sapeva tutto di tutti. Tutti sapevano chi era mafioso e chi aveva ammazzato chi. Però anche qui qualcosa è cambiato, e tanto. Quando ho saputo che avevano ammazzato un povero maresciallo a Porto Empedocle e che le telefonate della gente avevano intasato i centralini del commissariato e dei carabinieri, sono rimasto colpito. Una volta la gente chiudeva la finestra, oggi telefona. Io ho una mia teoria. Ed è questa: i grandi cambiamenti sono così profondi, arrivando a mutare anche il Dna, che non si notano subito. Ma quando avvengono sono irreversibili».
Parliamo della "sicilianità". Esiste davvero? In che cosa siamo diversi, noi siciliani, da tutti gli altri?
«Noi siamo più intelligenti di altri popoli perché siamo bastardi. Le dominazioni ci hanno imbastardito, ma ci hanno reso come quei cani che vivono sulla strada, là dove un cane di razza non sopravviverebbe quattro giorni. Certo, sono unici anche i nostri difetti».
Mi dica il primo che le viene in mente.
«Il siciliano, per esempio, passa dalla depressione all'autoesaltazione. È una malattia presente nel 90 per cento della popolazione. È il pianto continuo nei confronti dello Stato, del Nord. Intendiamoci, parte di quello che viene detto è vero. Ma il resto è dato dal carattere dei siciliani, che preferiscono il lamento al lavoro. Preferiscono crepare da soli che tentare di vivere in compagnia. Che noi si sia un'isola, è un fatto geografico su cui non ci piove. Ma che ogni siciliano si senta un'isola e un fatto su cui ci piove parecchio. Una volta Agnelli lesse "Un filo di fumo". Mi fece un'unica osservazione: ma come speravano questi commercianti di zolfo di resistere alla concorrenza delle grandi compagnie straniere? Non ci speravano affatto, gli risposi. Il loro tentativo di difesa era costituito dal far sposare i loro figli tra loro per difendersi meglio. Ma nessuno pensò di fare una cooperativa. Il fatto di non creare un fronte comune, ma di vedere gli altri sempre come avversari, costituisce la nostra più grande debolezza. Pensiamo alla famiglia Florio, che ospitava l'imperatore d' Austria. Ma erano soli: un fungo isolato. E infatti non ne è rimasto nulla».
Una malattia senza rimedio?
«In realtà il rimedio, l'antidoto, ce lo portiamo dentro senza saperlo. Questo popolo che è individualista sfrenato, è capace di rinunciare a tutto a favore degli altri. Nel 1943, quando bombardavano Porto Empedocle, si viveva nei rifugi a ferro di cavallo, dove c'era sempre una seconda via d'uscita, scavati nelle colline di marna. Succedeva che uno usciva per andare a cercare le uova non solo per sé, ma per cinque famiglie. Veniva naturale: non potevi mangiarti lo sfilatino mentre quello accanto moriva di fame. E tu potevi toccare con mano questa solidarietà».
Dovesse indicare l'archetipo del siciliano, quale nome farebbe?
«Uno nel quale si assemblarono le qualità e i difetti del siciliano è stato Antonio Canepa. Aveva un'intelligenza vulcanica. Uno sviscerato amore per la Sicilia lo portò a essere il capo dell'Evis. Voleva conquistare militarmente San Marino per lanciare un messaggio antifascista al mondo. Lo chiusero in manicomio e lui scrisse due trattati che gli valsero la cattedra di dottrina fascista a Catania, lui che era iscritto al Pci e non credeva affatto nel fascismo. C'era tutto, in quell'uomo: lo agiti in uno shaker e vedi il siciliano».
Sebastiano Messina
 
 

La Sicilia, 21.2.2010
E’ di prossima uscita il romanzo di Camilleri dal titolo «Il nipote del Negus» che si rifà al soggiorno nisseno di Brhané Sillassié studente alla nostra Regia Scuola Mineraria
Così il principe abissino viveva tra lusso e amanti mentre studiava in città

E’ di imminente uscita il nuovo romanzo storico di Andrea Camilleri dal titolo «Il nipote del Negus», che ancora una volta vede lo scrittore empedoclino prendere lo spunto dalla realtà nissena. Infatti, dopo «Il birraio di Preston» (che parlava del teatro Margherita), «Privo di titolo» (l’omicidio Gigino Gattuso) e «Meglio lo scuro» (il caso Assunta Vassallo), Camilleri prende stavolta lo spunto dalla presenza a Caltanissetta di Brhané Sellassié (o Sillassié come più correttamente dovrebbe riportarsi), nipote del negus Hailé Sellassié imperatore d’Etiopia: il giovanotto fu studente della nostra Scuola Mineraria dal 1929 al 1932, anno in cui si diplomò perito minerario. Camilleri ambienta la sua storia nella solita e ormai celeberrima Vigàta, dove nel 1929 il nipote del Negus si iscrive alla Regia Scuola Mineraria. La cosa provoca un generale scompiglio: al nipote regale dev’essere, infatti, riservata un’accoglienza all’altezza del suo rango; questo è l’argomento dell’esilarante corrispondenza tra ministero degli Esteri, prefetto, questore di Montelusa, federale di Vigàta, direttore della scuola, ognuno preoccupato, in realtà, di salvare il proprio posto.
Dalla scuola viene, così, allontanata qualche testa calda e il principe viene accontentato in ogni suo desiderio. Amante della bella vita, elegante, il giovane Sillassié non bada a spese, si fa confezionare abiti ricercati e, visto che i soldi del governo etiopico non bastano mai, comincia a fare debiti. Per di più è un impenitente vitellone e le amanti non si contano. Le cose precipitano quando il nipote viene sollecitato - su idea di Mussolini in persona - a scrivere una lettera di sperticati elogi sul fascismo, lettera da indirizzare allo zio Negus: la cosa, infatti, potrebbe tornare utile nel contenzioso tra Italia ed Etiopia sui confini con la Somalia. Il nipote del Negus si fa pregare, poi cerca di sottrarsi e, mentre traballano ministri, prefetti e questori, la vicenda diventa farsa.
Questo nuovo romanzo è costruito come «La concessione del telefono», e quindi con una trama fatta di missive, telegrammi, articoli e proclami, dispacci governativi, conversazioni: ma come andarono effettivamente le cose circa il soggiorno nisseno del giovane principe Brhané? Beh, per certi versi non molto diversamente da quanto immaginato da Camilleri... Ricostruiamo, infatti, tale permanenza grazie al prezioso ausilio fornitoci dal libro di Michele Curcuruto «I signori dello zolfo» (2001) in cui lo studioso nisseno, avvalendosi di documentazione d’archivio e di testimonianze dirette di quanti all’epoca conobbero il giovane studente abissino (che, tra gli altri, frequentò Enrico e Giovanni Curcuruto, rispettivamente padre e zio paterno di Michele), ne ripercorre appunto le vicende, abitudini e divertimenti compresi.
Brhané Sillassié Ybssa (sarebbe questo il corretto cognome appurato da Curcuruto), nato ad Addis Abeba nel 1910, nipote dell’imperatore Hailé, studia dunque alla Scuola Mineraria di Caltanissetta dal 1929 al 1932. In città alloggia in un primo tempo al Convitto Nisseno, all’epoca ubicato in via Redentore e frequentato da numerosi studenti anche di fuori provincia, sotto la direzione di Umberto Polizzi.
«Quando il principe giunse a Caltanissetta - scrive Curcuruto -, proveniente dal Regio Convitto Nazionale "Vittorio Emanuele" di Palermo dove aveva studiato dal 1927 al 1929, era quasi completamente sprovvisto di vestiario, così che il Convitto Nisseno dovette provvedere anche a vestirlo. Ma già nei mesi successivi Sillassié cominciò a vivere da principe. Prese lezioni di matematica e di lingue (lire 2.000), acquistò un abito da società con relativo soprabito, scarpe, camicie, ecc. (lire 3.000), costume, maschera, sciabola, gomitiera, guanti da scherma - il principe aveva imparato a gareggiare di fioretto al Convitto Nazionale di Palermo - (lire 600), mobilio extra per la sua camera (lire 600), argent de poche (lire 2.000). Ma a queste spese, anticipate dal Convitto, il Ministero non intendeva far fronte, perché non autorizzate».
Ed è così che il ministro della Pubblica Istruzione Etiopica scrive per ricordare al giovanotto «le ristrettezze finanziarie del suo Paese e il sacrificio che il Governo Etiopico compie per mantenerlo agli studi», e dunque con l’invito ad attenersi «ad un più modesto tenore di vita, non superando in alcun modo la somma di lire mille italiane mensili».
Macché, il principe sembra ignorare il tutto, e anzi nell’ottobre 1930 scrive al Ministero degli Esteri chiedendo un alloggio migliore «non essendo possibile continuare la vita in un ambiente così poco educativo e dignitoso». E così il giovane dapprima frequenta la casa in via Maida della maestra Barone, moglie del filosofo Calogero Bonavia, e nel 1931 si trasferisce al Grand Hotel Concordia ove soggiorna fin quasi alla fine dei suoi studi, dandosi alla bella vita: feste, veglioni, vestiti di lusso, profumi, materiale sportivo, lasciandosi però dietro una scia di debiti. Anche in fatto di donne pare non scherzi. Al ristorante del «Concordia» pranza da principe ma non pagando mai, con le conseguenti proteste al prefetto da parte di Lorenzo e Antonietta Mazzone. Farà così pure all’Hotel Moderno dove passerà l’ultimo periodo di permanenza.
E gli studi? Invero non brillanti, come riscontrato sempre da Curcuruto, col direttore della Scuola Mineraria che comunica che il giovane è stato «riprovato in meccanica e descrittiva», dimostrandosi debole anche in altre materie, e quindi necessita di lezioni private per gli esami di riparazione. A fine agosto 1932 Brhané si trasferisce presso la miniera Montagna Mintini di Aragona per il tirocinio pratico di due mesi propedeutico al diploma di perito. Diplomatosi e tornato ad Addis Abeba, il principe, come gli altri notabili, conoscerà il periodo oscuro della repressione operata dagli italiani dopo la deposizione del Negus da parte di Mussolini.
Nel 1941, con la sconfitta italiana in Africa Orientale, l’entrata degli inglesi ad Addis Abeba, il ritorno dello zio imperatore dall’esilio e la cacciata degli italiani, ecco che gli stessi inglesi mettono il perito minerario Brhané Sillassié a capo dell’Ispettorato Minerario del Regno etiopico. Ma non risulta che abbia poi onorato i tanti debiti lasciati a Caltanissetta…
Walter Guttadauria
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La Repubblica (ed. di Bologna), 21.2.2010
Pirandello al femminile diventa Festa di famiglia

Indaga la complessità della figura femminile contemporanea "Festa di famiglia" in scena domani e martedì al Duse alle 21 (info 051.231836). Le quattro attrici Manuela Mandracchia, Alvia Reale, Sandra Toffolatti e Mariangéles Torres con lo pseudonimo collettivo di "Mitipretese" hanno scritto un testo che unisce sette commedie pirandelliane e, fedele alle parole del maestro siciliano, parla di donne maltrattate e di rapporti familiari violenti e perversi. "Dopo aver letto tutti i suoi testi teatrali, abbiamo isolato le scene che ci sembravano centrate sul nostro tema, abbiamo scambiato le battute tra i personaggi, abbiamo cambiato genere e ne abbiamo creati di nuovi" tutto con la collaborazione di Andrea Camilleri.
(c. pil.)
 
 

La Tribuna di Treviso, 21.2.2010
Luna Romero. La mia Treviso noir per il detective Caccia
Il suo vero nome è Alessio Romin, quasi tutta la sua vita ha fatto perno su Santa Maria del Rovere, di mestiere fa il bancario ma la sua passione sono i thriller. Li scrive. Ha 33 anni, un matrimonio alle spalle, una storia al presente. Ama i gialli d’Oltreoceano, la musica da De Andrè a roba più «strong», le moto, i cani e le griffes, proprio come la sua creatura, il detective Carlo Caccia. Da un po’ lavora e passa 5 giorni la settimana a Bologna, ma la sua base resta Treviso. Qui continua a vivere Carlo Caccia, eroe semiserio del giallo omonimo, di «La parte fredda dell’inferno”, de “Il rumore discreto della nebbia” e del recentissimo “Non uccidere” (Piazza Editore).

[...]
Simenon, Camilleri, Carlotto...
«Simemon no, non è nelle mie corde. Montalbano meglio in film che sui libri, Carlotto sì. Ma soprattutto Conan Doyle, Holmes è irraggiungibile».
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Antonio Frigo
 
 

Corriere del Mezzogiorno, 22.2.2010
La lista dei protagonisti
Confindustria: ecco i cento grandi del Sud
Da Archimede a Napolitano. Ma gli storici commentano: mancano Lauro, Mattarella e De Viti De Marco

Napoli - Attori, politici, registi; ma anche economisti e scrittori e poeti; un imperatore e un Papa; alcuni presidenti della Repubblica. E’ il who’s who di Confindustria: i 100 nomi eccellenti che hanno fatto e stanno facendo il Mezzogiorno. Volti che si susseguono a ritmo serrato all’interno di un video, con stilemi da spot, che racconta una storia antica. Il documento è stato presentato a Bari, nell’ambito della convention confindustriale «Il Sud aiuta il Sud»; realizzato dallo studio Mg Vision di Marco Godano, su un canovaccio preparato da Alessandro Laterza, presidente della commissione Cultura di viale dell’Astronomia.
ECCO I GRANDI - Cominciamo dai personaggi (alcuni per brevità): Archimede, Celestino V, Federico II di Svevia, Giovanni Boccaccio, Torquato Tasso, Carlo III di Borbone, Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Giovanni Gentile, Salvatore Di Giacomo, Gabriele D’Annunzio, Matilde Serao, Francesco Saverio Nitti, Luigi Pirandello, Grazia Deledda, Benedetto Croce, Padre Pio, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Giovanni Laterza, Ignazio Silone, Vitaliano Brancati, Pasquale Saraceno, Manlio Rossi Doria, Antonio Gramsci, Danilo Dolci, Enrico Berlinguer, Giuseppe Di Vittorio, Ettore Majorana, Giuseppe Tatarella, Paolo Sylos Labini, Giorgio Amendola, Pasquale Villani, Federico Caffè, Giuseppe Galasso, Giuseppe Insalaco, Pio La Torre, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, don Giuseppe Puglisi, don Giuseppe Diana, Giancarlo de Cataldo, Gianrico Carofiglio; poi ancora, Umberto Boccioni, Renato Guttuso, Andrea Camilleri, Sophia Loren, Giuseppe Tornatore, Carmelo Bene, Roberto Saviano, Massimo Troisi, Toni Servillo, Riccardo Muti, Paolo Sorrentino, Luigi Sturzo, Giovanni Leone, Enrico De Nicola, Carlo Levi, Antonio Segni, Aldo Moro, Leonardo Sciascia, Libero Grassi, Antonio D’Amato, Ivan Lo Bello, Giuseppe Cenzato, Francesco Cossiga, Ennio Flaiano, Salvatore Quasimodo, Giorgio Napolitano.
[...]
Patrizio Mannu
 
 

Il Giornale, 22.2.2010
La fiera delle esposizioni di Mamma Rai

Bisogna dare atto che all’ufficio marketing di viale Mazzini ci dev’essere gente che sa il fatto suo. Dopo aver infilato una flebo di pubblico giovane al vecchio Festivalone con l’iniezione dei talent show, i rappresentanti di Mamma Rai hanno gestito la vetrina di Sanremo come una perfetta Fiera delle esposizioni sciorinando tutto il meglio della produzione che riempirà le prossime settimane. Soprattutto i promo sono stati spesi con grande sagacia e ottima tempistica, dentro e fuori dall’Ariston, a cominciare dall’imminente Ti lascio una canzone, per proseguire con l’attesa miniserie Sissi e lo show di D’Alessio Gigi, questo sono io. Ma dopo l’overdose di lustrini e frivolezze, forse quella che mancava di più era la sobria concretezza di Montalbano. Bentornato.
[...]
 
 

TV Sorrisi e Canzoni, 23.2.2010
Auditel di lunedì 22 febbraio: il Grande Fratello vola sopra i sette milioni, Raiuno tiene con una replica di Montalbano

La diciottesima puntata del «Grande Fratello» è stata vista da 7.318.000 spettatori pari al 31.61% di share. Per il reality di Canale 5, condotto da Alessia Marcuzzi, è il secondo miglior risultato di questa edizione. Su Raiuno, la replica di «La luna di carta», film-tv della serie del «Commissario Montalbano», ha ottenuto una media di 6.217.000 spettatori (22.25%).
[…]
 
 

Agrigentonotizie.it, 24.2.2010
"La scomparsa di Patò", selezioni per quattro studenti del Dams

Gli studenti dei corsi di laurea Dams dell’Università di Palermo hanno tempo sino a lunedì primo marzo per presentare la domanda di partecipazione alla selezione di stage per il film “La scomparsa di Patò”, le cui riprese si stanno effettuando in alcuni centri dell’agrigentino e principalmente a Naro. Lo stage si terrà proprio a Naro nella settimana dall’8 al 16 marzo, durante le riprese del film, e sarà rivolto a quattro studenti.
La domanda di ammissione, corredata di curriculum, va indirizzata alla segreteria del Laboratorio universitario multimediale dell’ateneo palermitano e dovrà essere recapitata a mano alla dottoressa Gabriella Turano, presso la segreteria di Presidenza della facoltà di Lettere e filosofia, nei giorni di ricevimento del pubblico entro e non oltre  mezzogiorno del primo marzo.
Una apposita commissione valuterà le domande e stilerà un elenco degli ammessi che sarà pubblicato sul sito web della facoltà di Lettere e filosofia entro i due giorni successivi alla data di scadenza dell'avviso di selezione. Gli studenti ammessi verranno successivamente contattati dalla produzione del film per la presa in carico. La stessa si farà carico delle spese assicurative e dell'alloggio degli stagisti mettendo a loro disposizione un alloggio comune nel centro storico di Naro. L'avviso di selezione e il modello di domanda sono disponibili presso il sito web della facoltà di Lettere e Filosofia.
“Anche l’opportunità di svolgere questo stage nella nostra città - ha detto il sindaco di Naro, Pippo Morello - è conseguenza del fatto che il film 'La scomparsa di Patò', diretto da Rocco Mortelliti e tratto dal libro di Andrea Camilleri viene girato, per quanto riguarda la maggior parte delle scene, a Naro. In queste settimane la  nostra città è stata e continua ad essere in costante fermento, ma il ritorno maggiore sarà offerto dalla promozione che Naro, quale location principale del film,  riceverà non appena 'La scomparsa di Patò' sarà proiettato nelle sale cinematografiche".
 
 

L’Unione Sarda, 24.2.2010
Cagliari. Rassegna "Invito a teatro 2010"
"Teatro Stabile della Sardegna" presenta la rassegna "Invito a teatro 2010"
Teatro Alfieri Febbraio-marzo 2010

[…]
Con "Festa di famiglia" prosegue il percorso teatrale di Mitipretese sulle dinamiche violente all'interno del nucleo familiare. In scena dal 25 al 28 febbraio, è una produzione Artisti Riuniti Teatro Di Roma Mercadante Teatro Stabile Di Napoli che si avvale della collaborazione alla drammaturgia di Andrea Camilleri.
[…]
 
 

Aprileonline.info, 25.2.2010
Viola-day:la legge è uguale per tutti
Politica. Dallo slogan "Berlusconi dimettiti" del No B-Day del 5 dicembre ora si é passati a "La legge é uguale per tutti. Basta!" che campeggerà sul palco di 14 metri di piazza del Popolo. Insomma, nel mirino dei 'viola' ci sono le leggi ad personam innanzitutto: dal legittimo impedimento (in aula al Senato il 9 marzo) al processo breve. Tra le adesioni annunciate, oltre a quella di politici come Pierluigi Bersani e Antonio Di Pietro e dei leader di SeL e Federazione della sinistra, anche personaggi come Mario Monicelli e Andrea Camilleri

L'iniziativa, "messa in piedi in un mese senza l'appoggio di alcuna struttura organizzativa" ma solo attraverso il tam tam su Facebook e sui blog, é stata presentata oggi nella Capitale dagli esponenti del Popolo Viola, gli stessi che hanno organizzato il corteo del No B-Day tre mesi fa. Per sabato é previsto a Roma l'arrivo di 200 pullman da tutta Italia. Su un palco in piazza si alterneranno i lavoratori di Termini Imerese, dell'Ispra e altri precari.
L'iniziativa ha già ricevuto l'adesione ufficiale del Pd e di quasi tutta l'opposizione, tranne alcuni partiti di centro, come Udc e Api. Tra i politici che sfileranno in piazza anche Pierluigi Bersani e Antonio Di Pietro, oltre che personaggi della culturacome Mario Monicelli e Andrea Camilleri.
[…]
[Camilleri ha aderito ma non sarà presente in piazza, NdCFC]
 
 

Il Giornale, 25.2.2010
Adesso il libro fa spettacolo

«Non c’è nulla come i libri». Parola di Marino Sinibaldi, direttore di Rai Radio 3 e ideatore di «Libri come», la grande festa del libro e della lettura che dal 25 al 28 marzo monopolizzerà le attività dell’Auditorium Parco della Musica. Una manifestazione che sarà prima di tutto un omaggio al libro e alla scrittura e che darà voce a esperienze concrete di scrittori, editori e lettori. «L’obiettivo - continua Sinibaldi - è mettere al centro la quotidianità del libro, raccontare la sua vita e spiegare perché è protagonista della nostra vita».
L’approccio, dunque, è radicalmente diverso da quello di «Più libri più liberi», la grande fiera espositiva che ogni anno si tiene al Palazzo dei Congressi dell’Eur.
A spiegare meglio il progetto è Carlo Fuortes, amministratore delegato della Fondazione Musica per Roma: «dopo lunghe riflessioni abbiamo trovato la chiave giusta per tributare il nostro omaggio al libro, inteso come oggetto fisico. Non è facile portare in scena, al centro dell’attenzione, una cosa che si consuma privatamente. Quindi abbiamo scelto di spostare l’attenzione dal "cosa" al "come": come si crea l’oggetto, dalla scrittura, alla stampa, alla distribuzione, alla vendita».
Sarà dunque una full immersion nel mondo della letteratura, che metterà a confronto addetti ai lavori e lettori. Scrittori celebri incontreranno il pubblico per raccontare il loro processo di scrittura, per spiegare come si confrontano con la pagina bianca. Altri, sia autori sia editori, racconteranno dalla loro prospettiva cosa si prova ad affrontare il primo libro. E così nelle sale dell’Auditorium sarà possibile incrociare autori di culto oppure beniamini del grande pubblico: il collettivo Wu Ming, Fabio Volo, Niccolò Ammaniti, Andrea Camilleri, Dario Fo e Gianrico Carofiglio, ma anche Aharon Appelfeld, Boris Pahor, Abraham Yehoshua, Muriel Barbery, Irvine Welsh e Chico Buarque.
Spazio anche alla letteratura legata al cinema, con gli interventi di Stephen Frears («Le relazioni pericolose», «Altà fedeltà») e della coppia Sergio Castellitto-Margaret Mazzantini. E un occhio di riguardo per il mondo virtuale dei blog, con gli interventi di Diego «Zoro» Bianchi, Giovanna Cosenza, Alessandro Gilioli, Peter Gomez e Luca Sofri.
«Per quattro giorni si parlerà del libro - precisa Gianni Borgna, presidente della Fondazione Musica per Roma - come universo da conoscere, da approfondire, da mettere un po’ meglio a fuoco. Ci sarà anche un grande omaggio a Moravia, nel ventennale della sua scomparsa».
Alla conferenza stampa è intervenuto anche Umberto Croppi, assessore alle politiche culturali del Comune di Roma, che ha voluto ricordare la «centralità di Roma nel panorama culturale e letterario italiano. In città hanno sede più di 150 case editrici e si svolgono la fiera dell’editoria e il festival delle letterature di Massenzio. Questa nuova iniziativa dell’Auditorium non può che essere benvenuta».
Duccio Pasqua
 
 

La Sicilia, 25.2.2010
Ciac si gira davanti ai Templi

La troupe che sta girando nella nostra provincia, tra Canicattì e Naro, il film "La scomparsa di Patò", ieri ha fatto tappa in città scegliendo come location la suggestiva Valle dei Templi.
Il nuovo ciak è stato girato tra il tempio della Concordia e l'area prospiciente il giardino della Kolimbetra. Il film, com'è noto, è tratto dall'omonimo libro di Andrea Camilleri ed ha tra i protagonisti principali Nino Frassica e Maurizio Casagrande oltre all'attore Neri Marcorè nel ruolo di Patò. La regia è di Rocco Mortelliti che è il genero dello scrittore empedoclino.
Il primo ciak della pellicola, prodotta dalla società "Tredici Dicembre srl", si è avuto il 1° febbraio scorso a Canicattì. Nel film viene raccontata la scomparsa del ragioniere Patò avvenuta la sera di un Venerdì Santo. Viene raccontato l'episodio della scomparsa avvenuta mentre lo stesso Patò stava partecipando al Mortorio vestendo i panni di Giuda. Cadendo in una botola, praticamente, del ragioniere si sono perse completamente e definitivamente le tracce. Ieri nella Valle dei Templi le riprese, iniziate con il sole, sono state interrotte bruscamente per qualche minuto a causa della pioggia ma ci è mancato poco, però, che venissero rinviate del tutto a causa di un malore che ha costretto l'attore Nino Frassica a restare nel chiuso di un camper.
Intorno a Mezzogiorno l'attore siciliano che domenica sera ha incantato il pubblico agrigentino al palacongressi nello spettacolo «Folk & Smile» ha potuto raggiungere il luogo delle riprese rimanendo sulla scena il tempo strettamente necessario.
Quindi, ha fatto subito rientro nel camper in sosta nel parcheggio Sant'Anna.
Eugenio Cairone
 
 

Corriere della Sera, 25.2.2010
Elzeviro Il dibattito aperto dal saggio di Battista
Gli intellettuali e i loro errori
Nella categoria non rientrano soltanto letterati e filosofi ma anche tecnici, fisici dirigenti, genetisti

Sono usciti di recente due libri che, nonostante la lontananza ideologica dei rispettivi autori, convergono nella tesi fondamentale: 1989 di Angelo d' Orsi (Ponte alle Grazie, pp. 318, 16) e I conformisti di Pierluigi Battista (Rizzoli, pp. 224, 18). A giudizio di entrambi, gli intellettuali sono «conformisti». Per l' uno si tratta di conformismo verso il potere che ha vinto dopo l' 89, cioè il centrodestra che tutto piega a sé; per l' altro si tratta di conformismo nei confronti di una mai estinta anzi sempre risorgente mentalità «di sinistra» (di cui Odifreddi e Camilleri, bersagliati al termine del libro da due sferzanti lettere aperte, sarebbero il simbolo e la incarnazione).
[…]
Luciano Canfora
 
 

Panorama, 26.2.2010
Lauree honoris causa: Camilleri in coda, prima c'è Battiato...

Per diventare dottore lo scrittore Andrea Camilleri dovrà pazientare. La sua laurea honoris causa in lettere, deliberata dall'Università di Catania, è in lista d'attesa. Prima di richiederla al ministero si aspetta che Mariastella Gelmini firmi quella di Franco Battiato. Stoppato tre anni fa dall'ex ministro Fabio Mussi, nemico delle lauree ad honorem, il cantautore (poco tenero con il governo) deve aspettare i tempi del ministro. Che, a sentire i maligni, non avrebbe alcuna fretta di spianare la via a quel Camilleri che due anni fa la definì «non un essere umano».
(A.P.)
 
 

Il Mattino di Padova, 26.2.2010
«Il birraio di Preston» di Camilleri in arrivo al teatro Verdi

La stagione di prosa prosegue dal 2 al 7 marzo al Teatro Verdi con «Il birraio di Preston» dal romanzo di Andrea Camilleri per la regia di Giuseppe Dipasquale. Le scene sono di Antonio Fiorentino, i costumi di Gemma Spina, le musiche di Massimiliano Pace e le luci di Franco Buzzanca.
[…]
 
 

LiveSicilia, 26.2.2010
“Rinvio a settembre? Niente è scontato. Ma dobbiamo pareggiare i conti”

“Rinvio a settembre? Niente è scontato, stiamo ancora lavorando”. L’assessore regionale all’Istruzione e alla Formazione Professionale Mario Centorrino conferma l’intenzione della Regione di “congelare” i corsi di formazione fino all’autunno, ma ammette che questa proposta è solo il primo passo di un percorso da condividere con le forze sociali, e del quale vanno ben ponderati i costi e i benefici.
[…]
Pochi giorni fa i riferimenti a un presunto “pessimismo” di Sciascia e Camilleri hanno scatenato molte critiche
“Anche gli interventi che stiamo facendo nel campo della Formazione sono coerenti con quanto detto a proposito di quegli scrittori”.
Cioè?
“La mia era una provocazione, per dire che in Sicilia dobbiamo avere il coraggio di cambiare, senza farci irretire da certe letture mal interpretate che ci vengono imposte. La voglia di innovare e trasformare certe pratiche nasce dal desiderio di respingere i luoghi comuni sulla Sicilia, che sarebbe, secondo alcuni, un posto nel quale non può cambiare nulla”.
E lei che segnali ha avvertito di fronte a questo suo percorso di cambiamento?
“Io credo che si  possa fare molto. E, giusto per restare ai fatti di oggi, l’atteggiamento dei sindacati, aperto e senza preconcetti, fa sperare nel futuro. Basta avere delle idee. Noi ci stiamo provando”.
Accursio Sabella
 
 

Il Tempo, 27.2.2010
Il convegno. Pescara lo celebra con Camilleri
Cent'anni fa nasceva Ennio Flaiano

E il pescarese viene celebrato da una mostra e da un convegno nella sua città. A raccontarlo Arbasino, Camilleri, Pedullà, insomma, intellettuali bipartisan. […] Il giorno dopo - sabato 6 marzo - si svolgerà il convegno «Nostalgia e attualità di Flaiano», al Mediamuseum di Pescara. Interverranno Alberto Arbasino, Paolo Bonetti, Andrea Camilleri, Masolino d'Amico, Joseph Farrell, Citto Maselli, Renato Minore, Fabrizio Natalini, Walter Pedullà, Jaqueline Risset, Giovannino Russo, Lucilla Sergiacomo, Marisa S. Trubiano, Enrico Vaime, Franca Valeri.
Sim. Cap.
 
 

Corriere della Sera, 27.2.2010
Piace a me
Gian Carlo Caselli e l'adolescenza di John Lennon

[…]
Libri. «Non ne leggo mai uno solo. Adesso per esempio nella borsa ne ho tre. Indignazione, di Philip Roth che con McEwan e Camilleri sono i miei scrittori di riferimento».
[…]
Elvira Serra
 
 

 


 
Last modified Tuesday, October, 22, 2013