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RASSEGNA STAMPA

GENNAIO 2011

 
El País semanal, 2.1.2011
Reportaje
Por qué escribo
Algunos llegaron a la literatura por vocación, por el placer de la lectura y para emular a los autores que admiraban. ahora crean por necesidad vital o simplemente lo hacen por dinero. cincuenta autores de renombre nos desvelan los secretos de su obra, los motivos por los que dedican sus vidas a la escritura.

En el principio fue el verbo... Así lo recoge San Juan en su Evangelio. La palabra que conforma el mundo, el nombre que lo explica todo. Puede que no fuera tal, puede que antes del verbo existieran cielos, mares, noche, día, estrellas, firmamento. Pero si nadie sabía cómo nombrarlos, no eran nada, absolutamente nada. Así que al principio fue el verbo, como bien dejó escrito Juan. Y a ese verbo bíblico le siguió la épica de Homero, la duda de los filósofos, la intemperie y el poder de los dioses, el amor y la guerra que nos relata la Iliada y después el delirio del Quijote y luego la soledad de Macondo.
Puede que después de episodios narrados como aquellos no hiciera falta nada más. Pero a los clásicos, que montaron todos los cimientos del templo, siguieron más generaciones -"el eslabón en la cadena ininterrumpida de la tradición", de la que alerta Vila-Matas-, algunas nuevas preguntas para cada era, nuevos problemas y por tanto conceptos nuevos, palabras nuevas. Detrás de su registro se escondía un escritor. ¿Por qué?
¿Por qué escribir? ¿Para qué nombrar? ¿Para qué contar? Para entender. Para amar y que te amen. Para saber, para conocer. Por miedo, por necesidad, por dinero. Para sobrevivir, porque no todo el mundo sabe bailar el tango, ni jugar bien al fútbol. Por costumbre, para matar la costumbre, por vivir otras vidas y revivir las propias. Por dar testimonio, porque no se sabe bien escribir, confiesa John Banville. Porque leyeron, padecieron y miraron cara a cara a la muerte.
[...]
Andrea Camilleri
Escribo porque siempre es mejor que descargar cajas en el mercado central.
Escribo porque no sé hacer otra cosa.
Escribo porque después puedo dedicar los libros a mis nietos.
Escribo porque así me acuerdo de todas las personas a las que tanto he querido.
Escribo porque me gusta contarme historias.
Escribo porque me gusta contar historias.
Escribo porque al final puedo tomarme mi cerveza.
Escribo para devolver algo de todo lo que he leído.
(Traducción de Carlos Gumpert)
[...]
Jesús Ruiz Mantilla
 
 

Gazzetta del Sud, 2.1.2011
”La danza del gabbiano”, il giallo metafisico di Camilleri
Il mare come tragica metafora dei perduti valori esistenziali

All'inizio è il «caso» della sparizione di un fedele collaboratore di Montalbano; ma via via che le pagine scorrono, diventa la tragica e crudele constatazione di come la vita possa essere ormai svenduta al mercato del potere e degli interessi: «La danza del gabbiano» di Andrea Camilleri è il giallo metafisico dello scrittore siciliano, con il mare dei suoi lidi assunto a simbolo di degrado e di umana voracità.
È Fazio, il fedele compagno di tante pericolose avventure, a rischiare questa volta di persona, per la sua innata curiosità investigativa stimolata in questo caso dal riapparire, dopo anni, di un vecchio compagno di scuola, noto per la sua ambizione ormai frustrata di diventare ballerino. Il coinvolgimento emotivo del commissario nella spasmodica ricerca del suo prezioso e affettuoso collaboratore, sparito inspiegabilmente da casa e dall'ufficio, non frena nel racconto l'inesorabile dipanarsi di una intricata matassa d'interessi e sotterfugi, tutti in qualche misura collegati con gli intensi traffici del porto di Vigata. Pescherecci che non trasportano solo pesci, imprenditori in odore di malaffare, marinai corrotti e natura violentata: sono gli elementi che fanno da sfondo alla serrata avventura, in cui tutti rischiano qualcosa di personale, a cominciare proprio dall'antieroe per antonomasia di Camilleri, che qui dimostra addirittura invidia per l'attore che lo impersona nella trasposizione televisiva delle sue indagini. Un escamotage metaletterario dell'autore, volto ad evidenziare la discendente parabola umana del protagonista, alle prese con l'inesorabile scorrere degli anni e con le conseguenze sempre più visibili e tangibili dell'invecchiamento fisico e mentale.
Nulla di grave, dal momento che alla fine anche quest'inchiesta si concluderà con un successo. Ma non sarà un trionfo, sul crimine organizzato e su quella devianza dai colletti bianchi che davvero inquieta e mette paura. Dal momento che come un gabbiano avvelenato dal suo stesso elemento basilare di vita, la morte può essere spesso anticipata da una danza rituale, da un'apparenza di benessere, da un'illusione di gioia.
Il ritrovamento di Fazio, ferito ma in grado di riprendersi nel giro di qualche settimana, e il continuo districarsi delle forze dell'ordine tra i mille ostacoli frapposti alla soluzione delle indagini da insospettabili gestori di speculazioni d'ogni tipo, alimenteranno così nel segno dello stile e della caratteristica più pura del narratore una storia densa d'intrighi e di sottile umorismo. Tra le consuete ma sempre godibili critiche raffinate alla burocrazia e alle sue inutili esitazioni operative, che rendono ancora più vicini ai lettori i personaggi nati dalla fantasia del loro artefice, a divenuti ormai familiari e quindi «personalizzati» nella mente e nell'intelletto dei fruitori primi del romanzo.
(b.f.)
 
 

SienaFree.it, 2.1.2011
Letteratura: i best seller del decennio 2000-2010

Siamo appena all’inizio di un anno che, ne siamo certi, vedrà ancora una volta i libri come nostri importanti compagni di viaggio.
Molte interessanti nuove uscite ci attendono, mentre le pagine di carta, di qualità più o meno buona, dovranno sempre più convivere con una realtà come quella del e- Book, che permette di “sfogliare” i propri romanzi preferiti direttamente dal computer.
In attesa di scoprire se questo nuovo modo di leggere aumenterà il numero dei lettori, cosa che ci auguriamo, questa settimana vi offriamo una classifica che, se questa rubrica avesse ogni volta un titolo diverso, potremmo chiamare “solo Numeri Uno”: si tratta infatti dei dieci libri che sono risultati tra i più acquistati nel decennio 2001- 2010 che si è appena concluso.
[…]
All’ottavo posto, uno degli autori italiani più fecondi e seguiti: Andrea Camilleri compare infatti in questa speciale classifica con un libro del 2001, “L’odore della notte”. Un caso del suo personaggio più famoso, il commissario Salvo Montalbano, con tutti i personaggi della serie che, grazie anche agli sceneggiati televisivi che ne sono stati tratti, sono ormai entrati nel cuore di tanti.
[…]
Annamaria Vanni
 
 

Il Giornale, 2.1.2011
«Gli ingredienti del vero noir? Slang e proiettili»

È da un po’ che sono finiti i tempi di Messico e nuvole e Cielito Lindo, in cui i turisti fantasticavano fughe sudamericane da sogno, in posti apparentemente incontaminati fatti di sole, mare e buon umore. La visione del Messico che ci propone un noir contemporaneo come Proiettili d’argento (La Nuova Frontiera) di Elmer Mendoza (tradotto con cura da Pino Cacucci) è agghiacciante e cupissima.
[…]
Ci sono autori che crede che in qualche modo abbiano segnato profondamente il suo modo di fare letteratura?
«Certo, e sono anche molti: potrei menzionarvi Sciascia, Camilleri, Lampedusa, Landolfi, Saramago, Batya Gur ma anche Hammett, Chandler, Juan Rulfo, Fernando del Paso, W Faulkneer, Markaris, Mankell e il grande A. Dumas».
Luca Crovi
 
 

ASCA, 3.1.2011
Fiat: Appello Camilleri, Flores d'Arcais e Hack In Appoggio Alla Fiom

Roma - ''Il diktat di Marchionne, che Cisl e Uil hanno firmato, contiene una clausola inaudita, che nemmeno negli anni dei reparti-confino di Valletta era stata mai immaginata: la cancellazione dei sindacati che non firmano l'accordo, l'impossibilita' che abbiano una rappresentanza aziendale, la loro abrogazione di fatto''.
E' quanto si legge nell'appello in appoggio alla Fiom ''Si' ai diritti, No ai ricatti. La societa' civile con la Fiom'' promosso dallo scrittore Andrea Camilleri, da Paolo Flores d'Arcai e da Margherita Hack con le prime adesioni da parte di Antonio Tabucchi, don Andrea Gallo, Dario Fo, Gino Strada, Franca Rame, Luciano Gallino, Fiorella Mannoia, Ascanio Celestini, Moni Ovadia, Piergiorgio Odifreddi, Enzo Mazzi. Firme per ulteriori adesioni su Micromega.net.
''Questo incredibile annientamento di un diritto costituzionale inalienabile -prosegue l'appello- non sta provocando l'insurrezione morale che dovrebbe essere ovvia tra tutti i cittadini che si dicono democratici. Eppure si tratta dell'equivalente funzionale, seppure in forma post-moderna e soft (soft?), dello squadrismo contro le sedi sindacali, con cui il fascismo distrusse il diritto dei lavoratori a organizzarsi liberamente.
Per questo ci sembra che la richiesta di sciopero generale, avanzato dalla Fiom, sia sacrosanto e vada appoggiato in ogni modo. L'inaudito attacco della Fiat ai diritti dei lavoratori e' un attacco ai diritti di tutti i cittadini, poiche' mette a repentaglio il valore fondamentale delle liberta' democratiche. Ecco perche' riteniamo urgente che la societa' civile manifesti la sua piu' concreta e attiva solidarieta' alla Fiom e ai lavoratori metalmeccanici: ne va delle liberta' di tutti''.
 
 

La Repubblica, 3.1.2011
Movimenti
La società civile con la Fiom

Una civile indignazione. Restituire centralità politica al lavoro. Riportarlo in cima all’agenda politica. Si moltiplicano gli appelli per sostenere la battaglia della Fiom contro “i diktat di Marchionne”. Da domani parte la camapgna di Micromega “Si ai diritti, no ai ricatti. La società civile con la Fiom”. Tre le prime adesioni: Camilleri, Flores D’Arcais, Margherita Hack. Ed è già in rete il manifesto di “Lavoro e Libertà”, la nuova associazione costituita, tra gli altri, da Stefano Rodotà, Luciano Gallino, Fausto Bertinotti, Sergio Cofferati, Rossana Rossanda e Aldo Tortorella. Il punto di partenza e gli obiettivi sono comuni: una civile indignazione per sostenere il sindacato dei metalmeccanici.
L’appello di Micromega. L’accordo proposto dalla Fiat “contiene una clausola inaudita, che nemmeno negli anni dei reparti-confino di Valletta era stata mai immaginata: la cancellazione dei sindacati che non firmano l’accordo, l’impossibilità che abbiano una rappresentanza aziendale, la loro abrogazione di fatto”. Una clausola che presuppone “l’annientamento di un diritto costituzionale inalienabile”. E l’appello di Micromega ha già raccolto tante adesioni. Tra queste: don Andrea Gallo, Antonio Tabucchi, Dario Fo, Gino Strada, Franca Rame, Luciano Gallino,  Fiorella Mannoia, Ascanio Celestini, Moni Ovadia, Lorenza Carlassarre, Sergio Staino, Gianni Vattimo, Furio Colombo, Marco Revelli, Piergiorgio Odifreddi, Massimo Carlotto, Valerio Magrelli, Valeria Parrella, Lidia Ravera e Alberto Asor Rosa.
Lavoro e Libertà. E’ possibile sottoscrivere l’appello di Lavoro e Libertà sul sito di Articolo 21. Tra le critiche espresse al sistema Marchionne: la riduzione del grado di democraticità del mondo del lavoro, il mancato rafforzamento di meccanismi pubblici in grado di fare da contrappeso alle scelte operate nel campo economico, il prevalere di interessi di parte – quelli delle aziende – sui diritti dei lavoratori. “Siamo stupefatti, ancor prima che indignati, dal fatto che non si eserciti, con rilevanti eccezioni quali la manifestazione del 16 ottobre, una assunzione di responsabilità che coinvolga il numero più alto possibile di forze sociali, politiche e culturali per combattere, fermare e rovesciare questa deriva autoritaria”. Poi la domanda: “Come è possibile che di fronte alla distruzione sistematica di un secolo di conquiste di civiltà sui temi del lavoro non vi sia una risposta all’altezza della sfida?”.
Carmine Saviano
 
 

AMI, 3.1.2011
Due maestri del genere poliziesco raccontano l’Italia
Camilleri e Lucarelli danno scacco matto all’Italia che non si interroga
Un romanzo epistolare e sperimentale che attiva l’immaginazione del lettore
Quando Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli nel libro “Acqua in bocca” edito da Minimum Fax, si trovano davanti a un cadavere e il corpo scompare, Montalbano e Grazia Negro rubano la scena e danno vita ad una partita a scacchi dal finale mozzafiato. Un successo editoriale che prevede anche un impegno sociale: gli autori hanno scelto di devolvere i proventi derivati dai diritti d’autore per sostenere progetti di beneficenza. Andrea Camilleri a favore dell’Associazione San Damiano onlus per la realizzazione di una scuola nel lebbrosario di Ambanja, in Madagascar; Carlo Lucarelli a favore dell’Associazione Papayo per la realizzazione di una scuola in Sierra Leone.

Un insolito omicidio, in cui la vittima viene ritrovata con un pesciolino rosso in bocca, suscita la curiosità dell’ispettrice Grazia Negro, che si rende conto di non essere di fronte a un delitto ordinario. Riservatamente, prende spunto dal luogo di nascita del defunto per chiedere aiuto al commissario Salvo Montalbano. Si sviluppa così un romanzo non convenzionale, costruito attraverso un collage di lettere, fotografie, ritagli di giornale, rapporti e verbali di polizia. “Pizzini” nascosti tra tortelli e cannoli siciliani fanno la spola fra i due detective, che ben presto scoprono di avere a che fare con i servizi segreti deviati.
Due detective e un omicidio da risolvere
Salvo Montalbano e Grazia Negro si incontrano in territorio neutro, senza tuttavia perdere la specificità delle loro caratteristiche: il commissario siciliano riflessivo e filosofo, l’ispettrice bolognese impulsiva e quasi sprezzante del pericolo. Milano Marittima diviene il crocevia delle intrecciate investigazioni, per stanare una pericolosa assassina, che si serve di un’arma del delitto, dal nome enigmatico: Betta splendens. Nel sottile “gioco di carambole e rimandi” compaiono altri protagonisti della produzione letteraria dei due narratori: il distratto e un po’ maschilista ispettore Coliandro, al quale fa da contraltare il “fimminaro” per eccellenza dei personaggi di Camilleri, Mimì Augello, latore improvvisato di messaggi riservatissimi, fondamentali per la soluzione dell’indagine e l’incolumità dei due protagonisti, non certo per la sua!
La genesi del libro
“Acqua in bocca” nasce per gioco, da una domanda provocatoria dell’editore, durante le riprese di un documentario sul mestiere di scrivere: «Se ci fosse un cadavere per terra, Salvo Montalbano e Grazia Negro come interagirebbero?». Camilleri e Lucarelli prendono sul serio la battuta e danno vita ad un’autentica partita a scacchi (secondo la metafora usata dallo stesso editore): alle mosse dello scrittore bolognese, allievo solo per motivi d’anagrafe, risponde Camilleri, che smonta e ricostruisce la trama proposta dal compagno/avversario.
La scrittura come impegno civile
Nel libro si respira il divertimento dei due nel far interagire il loro immaginario e il loro stile, così come traspare la lunga e, a volte impaziente, ‘trattativa’ mediata dall’editore Di Gennaro. Il risultato di questo libro sperimentale non può prescindere, però, dall’immaginazione del lettore chiamato a completare un testo intermittente: viene di continuo stimolato e accompagnato nella ricostruzione dell’indagine. Ricerche, pedinamenti ed appostamenti sono abbozzati e richiedono la partecipazione attiva di chi legge per fare sì che la verità e l’intricato gioco di spie vengano alla luce. Il genere poliziesco-noir è solo un pretesto, che consente agli autori di andare oltre le strettoie dei rispettivi generi e testimoniare ciò che sta a cuore ad entrambi: la scrittura è impegno civile, la cultura non solo serve a mangiare, ma vale se intesa come fonte di condivisione e crescita.
Andrea Colelli
 
 

La Repubblica, 4.1.2011
L'inchiesta
"Ecco perché scrivo"
Gli autori raccontano

Da Vargas Llosa, a Camilleri, alla Nothomb: ecco come hanno risposto molti scrittori alla domanda sul loro mestiere. Che spesso è una necessità, un piacere, o semplicemente la possibilità di svegliarsi tardi...

C'è chi ha 85 anni e chi 32. Chi ha pubblicato ancora poco e chi tanto. Qualcuno ha vinto il Nobel, qualcun altro, forse, lo vincerà. Sono scrittori. Questa settimana El País Semanal, il settimanale del quotidiano spagnolo, ha chiesto a 50 autori: perché scrivete? Ognuno ha dato la sua risposta. Brevissima, come Umberto Eco, che icastico ha detto: "Perché mi piace". O più articolata, come quella, con digressioni autobiografiche, di Mario Vargas Llosa. Prendendo spunto da El País, e raccogliendo da lì alcune risposte, abbiamo rivolto lo stesso quesito anche ad altri. Qualcuno (Camilleri, Haddon, Marías) sostiene di non saper fare cose diverse dalla scrittura, o quasi. Per Ken Follett scrivere è il primo pensiero del mattino. Per Amélie Nothomb è come innamorarsi. Per Nathan Englander si tratta dell'unico modo di fare ordine nel caos. Colum McCann la prende come una sfida a immaginare quello che non è ancora accaduto. Antonio Tabucchi trova una risposta ponendo altre domande. Ma prima cita Beckett, che rispondeva semplicemente: "Non mi rimane altro".
[…]
Andrea Camilleri
Scrivo perché è sempre meglio che scaricare casse al mercato centrale.
Scrivo perché non so fare altro.
Scrivo perché dopo posso dedicare i libri ai miei nipoti.
Scrivo perché così mi ricordo di tutte le persone che ho amato.
Scrivo perché mi piace raccontarmi storie.
Scrivo perché mi piace raccontare storie.
Scrivo perché alla fine posso prendermi la mia birra.
Scrivo per restituire qualcosa di tutto quello che ho letto.
[…]
Antonio Monda
 
 

MicroMega, 4.1.2011
In centomila con la Fiom. Firma anche tu l'appello di Camilleri, Flores d'Arcais e Hack

Centomila firme, per un sito come il nostro, sono un OBIETTIVO “IMPOSSIBILE”, anche se avessimo il sostegno di link importanti. Ne abbiamo raccolte in passato fino a ventimila (19916) per l'appello in solidarietà con Marco Travaglio, accusato da Fabrizio Cicchitto in Parlamento di "terrorismo mediatico", in un clima di mobilitazione delle più importanti testate contro la legge-bavaglio, mentre in piazza su questo tema si era speso anche Roberto Saviano.
Eppure riteniamo necessario provare a realizzare questo OBIETTIVO “IMPOSSIBILE” perché siamo convinti che sulla “abrogazione” della Fiom che Marchionne sta cercando di imporre, si giochi una partita cruciale per la difesa dei più elementari e intrattabili diritti e libertà costituzionali. Per questo vi chiediamo di non limitarvi a firmare l’appello, ma di mobilitarvi per farlo firmare a tutti i vostri amici, per inserirlo nei vostri blog, per farlo girare in modo “virale”, come si usa dire, su quanti più siti siete in grado di raggiungere, partecipando a discussioni, forum e altre forme di intervento.
Proviamo a realizzare questo “IMPOSSIBILE” entro il 28 gennaio, giorno dello sciopero nazionale dei metalmeccanici, a dimostrazione che la parte più coerentemente democratica della società italiana ha capito che la lotta della Fiom è una lotta che ci riguarda tutti.
(pfd’a)

L'APPELLO
La società civile con la Fiom: “Sì ai diritti, No ai ricatti”. Firma l’appello di Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais e Margherita Hack

"Il diktat di Marchionne, che Cisl e Uil hanno firmato, contiene una clausola inaudita, che nemmeno negli anni dei reparti-confino di Valletta era stata mai immaginata: la cancellazione dei sindacati che non firmano l’accordo, l’impossibilità che abbiano una rappresentanza aziendale, la loro abrogazione di fatto. Questo incredibile annientamento di un diritto costituzionale inalienabile non sta provocando l’insurrezione morale che dovrebbe essere ovvia tra tutti i cittadini che si dicono democratici. Eppure si tratta dell’equivalente funzionale, seppure in forma post-moderna e soft (soft?), dello squadrismo contro le sedi sindacali, con cui il fascismo distrusse il diritto dei lavoratori a organizzarsi liberamente.
Per questo ci sembra che la richiesta di sciopero generale, avanzata dalla Fiom, sia sacrosanta e vada appoggiata in ogni modo. L’inaudito attacco della Fiat ai diritti dei lavoratori è un attacco ai diritti di tutti i cittadini, poiché mette a repentaglio il valore fondamentale delle libertà democratiche. Ecco perché riteniamo urgente che la società civile manifesti la sua più concreta e attiva solidarietà alla Fiom e ai lavoratori metalmeccanici: ne va delle libertà di tutti".
Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Margherita Hack

Primi firmatari: don Andrea Gallo, Antonio Tabucchi, Dario Fo, Gino Strada, Franca Rame, Luciano Gallino, Giorgio Parisi, Fiorella Mannoia, Ascanio Celestini, Moni Ovadia, Lorenza Carlassarre, Sergio Staino, Gianni Vattimo, Furio Colombo, Marco Revelli, Piergiorgio Odifreddi, Massimo Carlotto, Valerio Magrelli, Enzo Mazzi, Valeria Parrella, Sandrone Dazieri, Angelo d'Orsi, Lidia Ravera, Domenico Gallo, Marcello Cini, Alberto Asor Rosa, don Paolo Farinella.
 
 

Marie Claire, 4.1.2011
I libri di gennaio
André Aciman, Andrea Camilleri, Philippe Djian, Alessia Gazzola, Francesca Kay.

[…]
”Questo mondo un po’ sgualcito” di Andrea Camilleri, conversazioni con Francesco De Filippo (Infinito, 12 euro)
Arte, scrittura, impegno. Anedotti su chi ha inventato il canocchiale e cosa scopri ascoltando due contadini davanti al Duomo di Orvieto. Camilleri, vecchio saggio, racconta un paese che ha imparato con troppa facilità a considerare la cultura una cosa «pericolosa».
[…]
Marta Cervino
 
 

Wuz, 5.1.2011
I libri italiani promossi o bocciati del 2010
Tempo di bilanci. Anche qui in redazione ci siamo divertiti a stilare una classifica dei libri promossi o bocciati di questo 2010 appena concluso. Ci siamo limitati al panorama italiano e abbiamo scelto alcuni titoli a testa: libri che ci hanno entusiasmato, emozionato, appassionato, e libri che invece si sono rivelati una delusione rispetto alle aspettative (anche se stiamo parlando sempre di grandi autori).

Un bilancio della narrativa italiana del 2010
I promossi e bocciati da Giulia Mozzato:
[…]
Potevano fare di più:
”Acqua in bocca” di Camilleri e Lucarelli. Un prodotto commerciale di successo che poteva risultare di maggior valore dal punto di vista letterario. L'ispettrice bolognese Grazia Negro e il commissario di Vigata Salvo Montalbano si incontrano per un’indagine, ma attendiamo inutilmente pagina dopo pagina che la storia decolli. Un’occasione mancata.
[…]
 
 

Il Sole 24 Ore, 7.1.2011
Intellettuali, siate miopi!
Dimmi che occhiali porti ti dirò chi sei

Occhiali a perno, a ponte, con stanghette, monocoli, lenti d'ingrandimento, binocoli, telescopi, polemoscopi ma anche occhiali «degli avari» o «dei gelosi» sono protagonisti di un excursus attraverso la storia delle lenti firmato da Arnauld Maillet, storico dell'arte e della visione, recentemente pubblicato da Raffaello Cortina (pagg. 126, € 14,00).
Partendo da cenni storici, alla ricerca dell'incerta origine degli occhiali, l'autore tratta la loro rappresentazione artistica e letteraria, per fare poi una riflessione filosofica sull'esperienza visiva che, con un ribaltamento di prospettiva, ci aiuta a vedere i «giochi che si celano dietro gli occhiali» e rivela qualcosa del nostro rapporto con il mondo.
[…]
Pochi tra i contemporanei rinunciano a questo nobile accessorio. […] Gli occhiali a finestra, con larga montatura scura, denotano l'autore di successo, da Umberto Eco a Eugenio Scalfari, da Pietrangelo Buttafuoco fino a Vittorio Sgarbi, narratori che non si lasciano distrarre dagli estetismi o dalle minuzie, ma puntano a vedere, e quindi ad avere di più. Non a caso sono anche gli occhiali grazie ai quali Andrea Camilleri sforna best-sellers.
[…]
Giuseppe Scaraffia
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 8.1.2011
Quando il libro ha la colonna sonora

C'è un rapporto speciale tra la musica e gli scrittori siciliani: da Verga a Camilleri è sempre la musica a rivestire un ruolo tanto importante da debordare a volte fuori dai libri. Leggendoli, non si può ignorarla. Un esempio è il prossimo, attesissimo romanzo di Santo Piazzese, dove sarà presente con «intromissioni indirette» più che citazioni, situazioni nate per il tramite di uno dei due protagonisti che, come il suo autore, ama la musica. Piazzese, che si definisce un ascoltatore ma non un conoscitore, la vive fuori e dentro la pagina scritta. «Non vado a caccia di storie in cui ci sia musica», spiega, «ma mi piace trovarla dentro un libro». Ama quelli che ne raccontano gli interpreti, prima fra tutte Billie Holiday perché il blues e il jazz sono tra le sue grandi passioni, coltivate nella mitica cantina del Brass Group in via Duca della Verdura. «Al jazz arrivai intorno ai vent'anni», racconta, «ma solo più tardi ho cominciato ad ascoltarlo sistematicamente. I grandi classici: Louis Armstrong e Duke Ellington per primi». Poi il piacere dell'ascolto l'ha portato a comprenderne le strutture e ad apprezzare il free. Ne "I delitti di via Medina-Sidonia" fa dire al protagonista: «Il fatto è che mentre finiva di pensare all'impiccato, era partito l'assolo di tromba di "Strange fruit" e Billie Holiday attaccava la prima strofa». […] Su tutt' altro fronte, Roberto Alajmo nel capitolo La musica del tempo di 1982. Memorie di un giovane vecchio (Laterza) confessa: «Soffro di una grave forma di ossessione mozartiana» anche se definisce intermittente il suo usare la musica. «La uso quando mi serve per raccontare una storia, se no la evito. In 1982 c'è perché è il più autobiografico dei miei libri. Spesso quando scrivo ascolto musica, o meglio, finisco col non ascoltarla affatto, l'adopero per arginare l'horror vacui piuttosto». D'altra parte Alajmo pensa che Mozart sia un exemplum al di là del suo essere musicista e se ha bisogno di disciplina, mette un disco di Bach e si gode l'ordine che il Kantor riesce a creare nel caos. […] L' irresistibile attrazione verso il jazz investe molti scrittori siciliani. […] Per Antonio Marangolo, jazzista egli stesso, la scelta di usarlo nei suoi romanzi è quasi obbligata. Meno scontata è invece per Camilleri che confessa di saper poco d'altri generi («quel poco che basta per servirmene nei libri») e di aver seguito per tutta la vita il jazz. E così riversa nei suoi romanzi i suoni della sua memoria: Armstrong e Chet Baker soprattutto. Ma se il suo romanzo più musicale è certamente Il birraio di Preston, che è il titolo di un'opera di Luigi Ricci su libretto di Francesco Guidi, negli altri Camilleri si muove con agilità tra i due catanesi Vincenzo Bellini e Aldo Clementi, cita Donizetti e Beethoven ma non disdegna operette e canzonette. D'altra parte, Pasolini affermava che «poche cose hanno una potenza evocativa pari alle canzonette anche brutte». Una lezione che gli scrittori siciliani devono aver imparato diligentemente. Simon Daniels (al secolo Davide Cammarone), nella Crosta dell'Inferno mette insieme Janis Joplin e i Radiohead, per dare concretezza uditiva alla parola scritta. […] Così, alla domanda sul perché ci sia tanta musica nella narrativa siciliana, la risposta migliore la dà l'onesto falegname del Birraio di Preston. Quando Bortuzzi, prefetto di Montelusa, domanda cosa voglia lui dalla musica, quello semplicemente risponde: «Ca mi facissi vìdiri com' è fatto u cielo».
Emanuela E. Abbadessa
 
 

La Repubblica, 9.1.2011
Inghilterra
Tutti pazzi per lo "spaghetti thriller"
In tv e nei libri, il giallo parla italiano

Sulla Bbc spopola il poliziesco "Zen", interamente ambientato a Roma con Caterina Murino e Valentina Cervi. Contemporaneamente, sugli scaffali arrivano le traduzioni di Carofiglio, De Cataldo e Carlotto

Londra - E' il momento del giallo italiano alla tv e nelle librerie d'Inghilterra. […]
Sulle ali dell'interesse per il serial poliziesco ambientato in Italia, o forse per una pura coincidenza, anche in libreria c'è in questo periodo grande attenzione per il giallo "made in Italy". Vari autori nostrani di thriller sono già tradotti da tempo in Gran Bretagna: un nome su tutti è quello di Andrea Camilleri, ma nei prossimi mesi usciranno le versioni inglesi anche dei romanzi di Gianrico Carofiglio, Giancarlo de Cataldo e Massimo Carlotto, ai quali sempre l'Observer dedica oggi un ampio articolo. La Bbc ha mandato in onda di recente un programma sul giallo italiano, contribuendo a suscitare interesse per i nostri autori di questo genere nella terra del "padre" di tutti i poliziotti da romanzo: Sherlock Holmes.
Enrico Franceschini
 
 

Il Mattino, 11.1.2011

Nuova miniserie su Raiuno stasera e domani in prima serata con un cast di tutto rispetto […]. Si tratta di «Eroi per caso» diretta da Alberto Sironi, regista di successo per tutta una serie di fiction a cominciare dal «Il commissario Montalbano».
[…]
A proposito delle quattro nuove miniserie sul celebre poliziotto pronte in primavera, Sironi annuncia: «Saranno una bomba. Sono la trasposizione di quattro recenti romanzi, ”L’età del dubbio”, ”La danza del gabbiano”, ”Il campo del vasaio” e ”La caccia al tesoro”, libri in cui Andrea Camilleri ha dato più spazio all’azione. Luca Zingaretti è sembrato rinascere ed ha ulteriormente approfondito il suo personaggio: è difficile non cadere nella routine dopo 12 anni, vuol dire che la simbiosi tra tutti è perfetta». Ma la vera novità sarà nelle nuove presenze femminili: «Ci saranno personaggi femminili destinati a fare epoca», afferma Sironi: «In ”Il campo del vasaio” ho affidato a Belén Rodriguez la parte di una splendida colombiana che non ha più notizie del marito, imbarcato su una nave; in ”L’età del dubbio” Isabella Ragonese interpreta un tenente della Guardia Costiera dal cuore tenero, e Ana Caterina Moriaru una giovane dall’identità nascosta; in ”Il gabbiano” il ruolo decisivo di un’infermiera è interpretato dall’emergente palermitana Ileana Maccarone; mentre in ”Caccia al tesoro” ci sarà il rientro in scena della svedese Isabell Sollman».
[…]
Fabrizio Corallo
 
 

Film-Review, 11.1.2011
Il 2011 delle serie TV

Per un anno che si chiude, se ne apre un altro. Ci si conceda la banalità, solo apparente quando si parla di serie televisive, perché tra rinnovi, chiusure, novità e titoli in stand-by, il mondo della fiction è in continuo divenire e nulla è sacro o intoccabile o eterno. Per contro, tutto è possibile...
La fiction italiana
Terminati “Romanzo Criminale” e “Boris”, l'unica fiction decente prodotta in Italia rimane il “Commissario Montalbano”. L'impianto da “detective story” è solo un pretesto per mettere in scena vicende e personaggi pirandelliani che si/ci pongono domande sul senso della vita. Ma mentre la versione cartacea diventa sempre più crepuscolare e malinconica (nelle serie americane e inglesi un cambiamento di questo tipo è normale, si chiama “evoluzione del personaggio”), il commissario, sul piccolo schermo, è oramai caricatura di se stesso e ha perso il fascino che aveva all'inizio. Zingaretti ce la mette tutta, ma sembra che gli sceneggiatori vogliano riproporre all'infinito lo stesso character, tralasciando i piccoli, ma importantissimi cambiamenti che Camilleri ha apportato alla sua creatura. Quest'anno vedremo quattro episodi tratti da altrettanti romanzi – La caccia al tesoro, Il campo del vasaio, L'età del dubbio e La danza del gabbiano – che dovrebbero andare in onda in primavera. E probabilmente vedremo anche Il giovane Montalbano, sorta di prequel dedicato al poliziotto di Vigàta, prodotto dalla Palomar di Carlo Degli Esposti e interpretato da Michele Riondino, che ricordiamo in Marpiccolo, Dieci inverni e Il passato è una terra straniera.
[…]
Massimiliano Scarnà
 
 

Oggi, 12.1.2011
Cultura. Lo scrittore più venduto d’Italia attacca tutti
La realtà secondo Montalbano
Obama, la Cina, il comunismo, Castro, la Chiesa, la tv: in un libro-intervista Andrea Camilleri spara a zero. Qui, in anteprima, ecco le pagine più infuocate
Arte, politica, religione, spettacolo. Andrea Camilleri parla di tutto in “Questo mondo un po’ sgualcito”, libro-intervista di Francesco De Filippo. Per gentile concessione dell’editore Infinito, ecco alcuni giudizi dello scrittore che sicuramente faranno discutere.
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A cura di Mauro Suttora
 
 

La Sicilia, 12.1.2011
Storia & Letteratura. L’opera ha per scenario la vecchia Agrigento e per oggetto, la storia di una piccola moneta d’oro passata da tante mani
La moneta di Akragas
A giorni nelle librerie il nuovo romanzo storico scritto da Andrea Camilleri. «Nasce dalla cronaca o forse da una leggenda familiare»

Agrigento. Solo cinque righe pubblicate in cronaca locale, anziché le tre "cartelle" che erano state accuratamente scritte, dal corrispondente di Girgenti, per l'assassinio di Cosimo Cammarota, il contadino trovato cadavere dopo che era venuto casualmente in possesso di una moneta d'immenso valore, conosciuta come la piccola Akragas.
S'intitola per l'appunto, "La moneta di Akragas" l'ennesimo giallo con risvolti storici di Andrea Camilleri, a giorni in libreria per i tipi di "Skira" (E.15,00) che ha per scenario la vecchia città di Agrigento e per oggetto la storia di una piccola moneta d'oro, coniata, in pochissimi esemplari, ad Akragas intorno al 400 a.C. durante l'assedio dei Cartaginesi.
Una moneta che passerà di mano in mano, da Girgenti a Roma, fino ad essere donata a Sua Maestà Vittorio Emanuele III Re d'Italia, appassionato di numismatica.
Con "La moneta di Akragas" lo scrittore empedoclino, a 85 anni e dopo ben 17 libri della serie del commissario Montalbano e diversi romanzi storici, ancora una volta da vita ad una "storia" che si dipana, con risvolti inaspettati, tragici ed esilaranti, tra le campagne di Vigata e la Messina distrutta dal terremoto, fino all'imprevedibile conclusione: l'apparizione di un misterioso generale piemontese che è la "fotocopia" del dottor Gibilaro di Vigata, personaggio principe di tutta la narrazione, facendo venire allo scoperto uno scandalo amoroso d'altri tempi.
"Questa storia - spiega Andrea Camilleri - nasce da una cronaca o forse da una leggenda familiare. Secondo la quale un nostro lontano parente, lontano anche nel tempo, che era medico e numismatico, incontrò un giorno un contadino che gli mostrò, per regalargliela, una monetina d'oro che aveva rinvenuta zappando. Il medico la riconobbe all'istante - continua Camilleri - perché era la favolosa piccola Akragas. Fece per prenderla e rovinò da cavallo spezzandosi una gamba. Sempre secondo la cronaca o la leggenda - prosegue lo scrittore - il dottore regalò poi la moneta al Re Vittorio Emanuele III che se ne era interessato, ricevendone in cambio l'onorificenza di Grande Ufficiale.
«Tutto il resto del romanzo - ammette Andrea Camilleri - è stato inventato da me di sana pianta. Ma solo dopo che l'editore mi ha dato assicurazione che in qualche modo, la storia che avevo sentito raccontare in famiglia, poteva anche non essere pura leggenda!".
Lorenzo Rosso
 
 

La Sicilia, 12.1.2011
Tinaglia: «Un libro su Camilleri»

Favara. Con l'inizio del nuovo anno il filosofo favarese Fabrizio Tinaglia vuole rendere omaggio allo scrittore di Porto Empedocle Andrea Camilleri. Il giovane pedagogista, infatti, sta preparando un nuovo libro incentrato sulla figura del personaggio empedoclino. Un'opera che al suo interno avrà anche delle novelle inedite dello stesso filosofo. Il lavoro letterario del Tinaglia prosegue spedito e l'opera sarà completata entro il 2011.
«Bisogna rendere omaggio ad un grande personaggio della nostra provincia come Andrea Camilleri - afferma l'autore - dedicare a lui un libro, per me, è la cosa più bella dal punto di vista letterario. Un libro è sempre qualcosa di unico e speciale, non passa mai di moda quindi è una dedica unica che dura nel tempo. Da tanto tempo pensavo di scrivere un libro su Camilleri, oggi finalmente sto completando l'opera che sarà unica nel suo genere».
 
 

l’Unità, 12.1.2011
Paradossi. I nostri romanzi raccontano storie senza immaginazione letteraria e senza stranieri...
Un mondo multiculturale. Eppure la realtà è viva e colorata. Ma dove vivono i grandi scrittori?
Italiani e bianchi: l’«apartheid» esiste anche in letteratura
Ma di quale Paese ci parlano i nostri grandi scrittori? Come mai i personaggi non bianchi o non italiani sono sempre secondari nei romanzi italiani e mai protagonisti? Vediamo perché...

[…]
Leggendo “Nuovo immaginario italiano. Italiani e stranieri a confronto nella letteratura italiana contemporanea” (Sinnos 2009), di M. Cristina Mauceri e M. Grazia Negro, una puntuale schedatura arricchita da analisi ed eloquenti comparazioni dedicate alla rappresentazione dello straniero. Viene fuori, come prevedibile, che per gli autori italiani la società multiculturale praticamente non esiste se non come deposito stereotipico di trame secondarie dai toni caritatevoli, esotici o criminosi. Mai che ai non italiani o ai non bianchi venga offerta la possibilità di essere personaggi attanti. Mauceri e Nigro registrano eccezioni, naturalmente, ma negli ultimi dieci anni il contingente (Mazzucco, Lodoli, de Luca, Carofiglio, Camilleri e pochi altri) è davvero scarso.
[…]
Sara Antonelli, americanista
 
 

Infinito edizioni, 13.1.2011
Nuovo in libreria: “Questo mondo un po' sgualcito” di Andrea Camilleri e Francesco De Filippo
La casa editrice Infinito edizioni presenta il nuovo libro “Questo mondo un po’ sgualcito” (pagg. 128, € 12,00) di Andrea CAMILLERI e Francesco DE FILIPPO

“La verità è che c’è la volontà di tenere basso il livello della cultura degli italiani, perché la cultura è pericolosa”. (Andrea Camilleri)
“Questo mondo un po’ sgualcito” è il primo libro-intervista ad Andrea Camilleri sul Camilleri Maestro, un uomo che a 85 anni ha ancora tanto da dire e da insegnare.
Camilleri è un grande Saggio, depositario di una sterminata cultura nazionale e internazionale che, per la prima volta, qui parla a cuore aperto di tutto. Perché il Maestro è la Memoria storica del Paese, ne è Padre morale.
“Che i fratelli Wright abbiano cominciato a volare a dieci metri di altezza con un aeroplano ci consente di avere il fatto che in sei ore sei negli Stati Uniti. In sé è una cosa strepitosa. Poi l’aereo piglia e butta le bombe, magari atomiche, ma non è responsabilità della scoperta del volo, è colpa della sua applicazione”. (Andrea Camilleri)
“Io sono convinto che ci sia un equivoco sostanziale da parte della politica nei confronti della televisione. Cioè, i politici pensano che portando il dibattito loro in pubblico, riescono in qualche modo a controllare la televisione. In realtà questo non avviene, perché la televisione è sì uno strumento, ma uno strumento impietoso. […] Attenzione che la televisione può anche usare la politica, non la politica usare la televisione”. (Andrea Camilleri)
“Ritengo che l’Italia sia un Paese che va ricivilizzato a partire dalle asticelle a scuola. Sono venute a mancare le regole elementari. C’è l’analfabetismo dell’apprendere e l’analfabetismo della democrazia che aumenta. È sempre così: il danno prodotto da governi corrotti prosegue oltre la durata del governo stesso; occorrono anni per riprendersi”. (Andrea Camilleri)
Con i proventi di questo libro il Maestro Camilleri, De Filippo e la casa editrice contribuiscono alla costruzione di un ospedale a Bilogo, nel Burkina Faso.
Con il patrocinio di Mehala onlus
Comunicato stampa
 
 

Libero, 15.1.2011
Camilleri è passato dal giallo al rosso: viva il compagno Stalin e il comunismo
Il papà di Montalbano si confessa in una video-intervista: Berlsuconi è peggio di gulag e Cuba

E poi qualcuno dubita ancora che i comunisti esistano ed abbiano qualche influenza sulla cultura italiana. Prendiamo Andrea Camilleri. Non si può dire che non sia influente: è uno degli scrittori più venduti del nostro Paese, sforna romanzi a getto continuo (dove trovi il tempo rimane un mistero). Si dirà: lo accusate di comunismo solo perché firmava sull’Unità, un po’ poco. Se non siete convinti, guardatevi 'Questo mondo un po’ sgualcito', libro-intervista curato da Francesco De Filippo. Si tratta di un’operazione benefica a favore dell’Africa, che però ha più di un risvolto inquietante.
Che Camilleri odi Berlusconi, per continuando a pubblicare con Mondadori, non è certo una novità. («Uno, uno su mille crede in Berlusconi… beh, l’idiota del villaggio c’è sempre», sentenzia). Ma quel che c’è di nuovo e raccapricciante riguarda prima di tutto l’Unione Sovietica. Secondo lui, il moloch comunista aveva iniziato bene. «Se ne avesse avuto il tempo», Lenin avrebbe davvero potuto portare a termine qualcosa di molto positivo. Solo dopo la situazione è un po’ sfuggita di mano al Pcus. «Più tardi ci sono state le azioni riprovevoli, ma non mi riferisco ai gulag», spiega lo scrittore. «Voglio precisare che i gulag non furono campi di sterminio; Solgenitsin, tanto per fare un nome, con i nazisti non sarebbe sopravvissuto».
Dunque finire alle Solovkij era un piacere, dopotutto nei lager rossi non erano così cattivi. Forse Camilleri potrebbe rileggersi Arcipelago Gulag o I racconti di Kolyma, tanto per farsi un’idea di che cosa fossero realmente i campi sovietici.
In ogni caso, lo scrittore siciliano è convinto che l’Urss fosse un posto carino, nonostante qualche difettuccio. «Queste, chiamiamole così, azioni riprovevoli hanno offuscato ciò che ha rappresentato l’Urss», dice lo scrittore. «Per milioni e milioni di persone il riscatto dalla povertà, la dignità del lavoro che l’Urss prometteva, sostituiva di gran lunga l’idea generica di libertà che l’America proponeva senza incidenza sulla realtà economica europea». Senza contare poi che «si dimentica facilmente l’immane sforzo sostenuto dall’Unione Sovietica nella Seconda guerra mondiale. A decine di milioni morirono per contrastare Hitler».
In fondo, se l’Urss fosse sopravvissuta, adesso lì non si starebbe male. «Non c’è una persona trentenne, dai trent’anni in su, che arrivi dall’ex Unione Sovietica in Italia e che fa la modella, la cantante, la cameriera che non sia ingegnere o diplomata. Ciò significa che se il comunismo fosse continuato in Urss forse oggi l’Urss si troverebbe allo stesso livello della Cina».
Ah, già, la Cina. Camilleri ne ha anche per i compagni orientali. Vero, ammette, lì non si rispettano i diritti umani. Ma i governanti europei sono molto ipocriti. «Guardiamo in faccia alla realtà: anche i regimi cosiddetti democratici utilizzano il sistema dell’annullamento dell’avversario». Peggio, molto peggio, la «dittatura» di Silvio.
A un certo punto, l’intervistatore De Filippo ha uno scatto di orgoglio e chiede al creatore di Montalbano di commentare i fatti di Tienanmen. Se qualcuno è sceso in piazza a protestare, subendo la repressione violenta del governo, qualcosa vorrà pur dire. Niente, Camilleri non cede. Dietro Tienanmen, per lui, c’è qualcosa si losco. E in ogni caso trattasi di episodio di poco conto. «Se metti cinquantamila in piazza in Cina non sono niente». Se hanno sparato sulla folla, un motivo ci sarà: «Non credo che si spari facilmente neanche in un regime dittatoriale, è di una superficialità assoluta ritenere che lo si faccia facilmente». Geniale conclusione: «Non so che cosa c’è dietro Tienanmen quindi perché devo parlarne?».
Poco dopo arriva la perla. Nei regimi rossi non c’è liberta? «Quello è inevitabile perché tu… non sono cose che vengono fatte perché l’uomo è buono, allora di sua spontanea volontà… tu devi costringere l’uomo a fare alcune cose e quindi alcune libertà personali vengono limitate ma… la domanda che allora io rivolgerei è: dov’è che non vengono limitate le libertà personali nel mondo?». Massì, le purghe sono salutari.
Dulcis in fundo, Cuba: «C’è chiaramente una dittatura, ma non ci sono stati desaparecidos, cioè si sa chi era e chi è ancora in galera, con nome e cognome, non ci sono scomparsi perché prelevati di notte dalla polizia o dai paramilitari. Volendo, i parenti possono visitarli. Ci sono state fucilazioni ma vanno viste le condizioni che hanno portato a questo. Sappiamo soltanto quello che ci dice la stampa statunitense e non quella non condizionata». Vabbé, gli oppositori ricevono una buona dose di piombo in corpo, ma non sono proprio stinchi di santo. A Cuba, insomma, sono severi ma giusti.
Sarà l’età, sarà il gravoso impegno di scrittura, ma oltre a essere comunista, Camilleri ci sembra pure un pochettino fuori di senno.
F. Borgonovo
 
 

Wuz, 17.1.2011
Intervista
Camilleri: "La moneta di Akragas nasce dalla storia vera di un fratello di un mio catanonno"
In libreria in questi giorni un bel racconto di Andrea Camilleri - edito da Skira - che narra le avventure di una moneta antichissima. Una storia affascinante che lega bene e male, strane coincidenze, guerre, terremoti, omicidi e morti naturali.

Una storia che, come lei stesso scrive, ha radici in una leggenda famigliare. Ce ne può parlare?
Esattamente quello che ho raccontato nella nota.
Un fratello di un mio catanonno che era medico, di quelli di una volta che andavano campagna campagna a visitare i parenti a cavallo, era anche un numismatico e possedeva una discreta collezione. E siccome siamo nella zona di Akragas chiedeva ai contadini che se zappando avessero trovato monete antiche lui gliele avrebbe pagate bene.
Un giorno un contadino gli mostrò una moneta che aveva accuratamente ripulita, il dottore la riconobbe e dimenticandosi di essere a cavallo cadde dallo stesso per poter prendere avidamente la moneta.
Racconta sempre la leggenda famigliare che questo mio antenato cedette alle pressioni del Re Vittorio Emanuele III (grande numismatico) cedendogli la moneta e avendone in cambio l’onorificenza di Grande Ufficiale.
Questa è la storia che si raccontava in famiglia ed è il punto di partenza di tutto il mio romanzo che è assolutamente inventato.

Condivide anche lei la passione per la numismatica?
No assolutamente no.
Non ne capisco niente non ho mai avuto hobby di questo tipo.

"Io mi rimetto a quello che deciderà di fare la moneta.” Dice a un certo punto il medico Gibilaro numismatico per passione che ha intuito che la moneta non desidera per “nessuna ragione, andare a finire nella sua povera collezione. È come se un’imperatrice si rifiutasse giustamente di abitare in una stamberga.”
Protagonista del racconto in fondo risulta essere la moneta, come dotata di un’anima. È un racconto che trasmette l’antica idea che gli oggetti dunque possano decidere del loro destino e di quelli che li posseggono fino a causare tragedie. Una tesi da sempre affascinante. E così? Lei crede, o si diverte a credere, che sia possibile?
Io non credo a nulla ma mi è molto utile fingere di crederci.
Perché una moneta non così preziosa al momento all’epoca della sua emissione, non dovrebbe vivere bene nelle mani di una persona modesta? In fondo ancora una volta la morale sembra essere che gli aristocratici – seppur generosi come in questo caso – hanno per nascita più diritti dei borghesi...
Perché non avviene così comunemente?
 
 
Recensione
“La moneta di Akragas” di Andrea Camilleri
Andrea Camilleri - La moneta di Akragas
136 pag., 12 tavole a colori, 15,00 € - Edizioni Skira 2010 (Skira Fiction)
«“Non le sembra una strana coincidenza?”
Non è una parola che gli piace.
“Io non credo tanto alle coincidenze.”
“Non ci crede?!”
“Mi correggo: esistono sì, ma siamo noi che le vediamo come tali.»

Un po' tutti abbiamo pensato prima o poi che gli oggetti siano dotati di un'anima, che improvvisamente possano sparire, nascondersi, farsi rubare, causare eventi più o meno nefasti.
O che, molto semplicemente, vogliano vivere in pace, dimenticati da tutti.
Forse questo "pensiero" accompagna anche una piccola moneta (la favolosa, piccola Akragas) al centro della vicenda narrata da Camilleri con l'abituale abilità linguistico-letteraria e il fascino dei suoi romanzi storici, i veri capolavori del creatore di Montalbano.
Ancora una volta Camilleri ci descrive alcuni scorci di Sicilia, aprendo finestre temporali che distano millenni.
La storia inizia intorno al 406 a.C., quando Akragas (l'antica Agrigento) cade in mano ai Cartaginesi e il mercenario Kalebas, al servizio d’Akragas e agli ordini dallo spartano Deixippos, scampato all'eccidio portando con sé una sacchetto di monete d'oro che rappresentano il compenso per otto mesi circa di lavoro, cerca di fuggire.
"Sono monete appositamente coniate, da un lato c’è un’aquila ad ali aperte e una lepre, dall’altro un granchio e un pesce. Ognuna pesa 1,74 grammi d’oro, comprensivo anche della quotidiana razione di grano, perché negli ultimi mesi ad Akragas è stato più facile trovare oro da fondere che frumento ed equivale a sei giorni di paga. Nel sacchetto di Kalebas di queste monete ce ne sono trentotto".
Kalebas, morso da una vipera, muore, ma prima sparge le sue monete scagliandole lontano.
1908: "Quasi duemilacentosettant’anni dopo Akragas, un’altra città siciliana viene distrutta dalle fondamenta. Ma stavolta si tratta di cause naturali." La città è Messina e la causa il terremoto. Drammatiche vicende legate a questo evento portano alla luce una moneta tanto piccola quanto di grande valore: è una delle monete coniate ad Akragas considerata l'unica del suo genere, probabilmente una di quelle di Kalebas, e alla fine arriva nelle mani dello Zar, numismatico per passione.
1909: Passa solo un anno e uno zappatore trova un'altra moneta d'oro, dal valore inestimabile. Ma lui non lo sa e neppure può rendersi conto che questo ritrovamento sarà la sua sfortuna. Il suo desiderio sarebbe regalarla al medico del paese per sdebitarsi con lui - notoriamente appassionato collezionista, affascinato dalla straordinaria scoperta - ma per una serie di concidenze sfortunate la moneta sembrerà sfuggire a questo destino.
"La spiegazione è questa - secondo il dottro Gibilaro, appunto - che la moneta stia esprimendo la sua volontà di non riapparire al mondo, di tornarsene nuovamente dentro quella terra dalla quale un giorno l’hanno tirata fuori. E comunque, in linea subordinata, di non andare mai, per nessuna ragione, a finire nella sua povera collezione. È come se un’imperatrice si rifiutasse giustamenti di abitare in una stamberga."
Senza scomodare gli oggetti fatati della tradizione (vedi “Morfologia della fiaba” e “Le radici storiche dei racconti di fate” di Vladimir Propp) la moneta diventa strumento e scopo ultimo di una serie di eventi. Non tanto l'oggetto utilizzato per realizzare sogni quanto quello che può servire a modificare la realtà, sia negativamente che positivamente. Dipende dalle mani in cui si trova, da chi la utilizza. Se l'uomo che ne viene in possesso è buono la moneta farà del bene attraverso lui, viceversa potrà diventare strumento del male.
Insomma, una moneta antichissima per temi eterni dell'umanità: la distinzione tra ciò che è eticamente corretto e ciò che non lo è, la relatività del possesso dei beni materiali, il premio - non garantito a tutti, però, perché esiste sempre l'imponderabile - per coloro che sapranno gestire questi beni materiali con generosità e oculatezza. E infine la forza eterna del potere e la necessità di sottostare al volere di aristocratici e governanti.

Giulia Mozzato
 
 

Adnkronos, 17.1.2011
Libri: esce 'La moneta di Akragas', giallo archeologico di Andrea Camilleri

Roma - ''La moneta di Akragas'' e' il titolo del nuovo libro di Andrea Camilleri nelle librerie dal 19 gennaio pubblicato da Skira. Si tratta di un giallo archeologico sulla citta' di Akragas e' caduta in mano ai Cartaginesi, dopo un lungo assedio, poco prima del tramonto del giorno precedente il solstizio d'inverno del 406 a.C.
Nel 1909 in un campo viene ritrovata una piccola moneta d'oro, unica al mondo, preziosissima. Per l'emozione il dottor Stefano Gibilaro, medico condotto di Vigata, cade da cavallo. Comincia cosi' una storia che si dipana con risvolti inaspettati, tragici ed esilaranti, tra le campagne di Vigata e la Messina distrutta dal terremoto, fino all'imprevedibile conclusione.
 
 

Panorama, 17.1.2011
I cento libri più venduti nel 2010

Era prevedibile, ed è puntualmente accaduto. Cotto e mangiato di Benedetta Parodi è il libro più venduto del 2010.
Dai dati pubblicati sull’inserto Tuttolibri del quotidiano La Stampa si scopre che nella top ten dell’anno la giornalista Mediaset è presente con ben due titoli.
[…]
Ai margini del podio ci sono Gianrico Carofiglio con Le perfezioni provvisiorie, Fabio Volo con Il tempo che vorrei e Andrea Camilleri con La caccia al tesoro.
[…]
Gli autori più venduti sono invece Gianrico Carofiglio e Andrea Camilleri.
[…]
Camilleri risponde con altrettanti titoli: La caccia al tesoro è sesto, Acqua in bocca, scritto insieme a Lucarelli, è tredicesimo; spazio poi al Sorriso di Angelica (15esimo), Il nipote del Negus (28esimo) e infine L’intermitteza (83esimo). E’ lui il narratore più letto dell’anno appena terminato.
Filippomaria Battaglia
 
 

La Repubblica, 18.1.2011
Tutti contro la censura degli autori "pro-Battisti"

La lista nera dei "libri proibiti" scalda la rete, mobilita gli scrittori, suscita la reazione degli editori. Ma non è in discussione il caso Battisti, nei confronti del quale è quasi unanime la condanna. Ciò che provoca indignazione è la richiesta di censura e di messa al bando di un gruppo di autori, firmatari nel 2004 di un appello per la scarcerazione del terrorista. Se improvvido appare a molti quel manifesto "pro Battisti", l'attuale iniziativa suggerita dall'assessore veneto Speranzon evoca i peggiori fantasmi. E dai roghi dell'Inquisizione a Fahrenheit 451, non mancavano ieri nei blog riferimenti storici e letterari. Sarà il caso di riepilogare la faccenda. L'assessore alla Cultura della provincia di Venezia, il pidiellino Raffele Speranzon, un passato nel Fronte della gioventù, ha annunciato di voler chiedere a tutte le biblioteche del veneziano di rimuovere dagli scaffali i libri degli scrittori firmatari di un manifesto a favore di Cesare Battisti. E ha annunciato anche di voler chiedere alle medesime biblioteche di rinunciare a iniziative con tali autori, che vanno stigmatizzati come "persone sgradite". Una proposta che - se presa sul serio - metterebbe al bando autori come Daniel Pennac e Giorgio Agamben, Nanni Balestrini e Massimo Carlotto, Valerio Evangelisti e Giuseppe Genna, i Wu Ming e Tiziano Scarpa. E in laguna non potrebbero affacciarsi, di persona o con le opere, neppure Sandrone Dazieri e Tiziano Scarpa, Dario Voltolini e Loredana Lipperini, Laura Grimaldi e Tommaso Pincio, Pino Cacucci e Antonio Moresco. Tutti fuori, almeno dalle biblioteche. Al momento non sembra che l'iniziativa abbia avuto successo, tutt'altro. Il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, s'è detto contrario a qualsiasi forma di censura. E dai microfoni di Fahrenheit, su Radiotre, la presidente della provincia di Venezia Francesca Zaccariotto ha scaricato duramente il suo assessore, annunciando che «qualora presentasse la proposta in giunta, la provincia di Venezia non la sosterrà». Per dirla con le parole di Luciano Canfora, «un'iniziativa di gigantesca idiozia». Colpisce il fatto che, nell'Italia di oggi, un amministratore pubblico possa uscirsene con una trovata del genere. «Un atto di profonda ignoranza democratica», la definisce Ernesto Franco, direttore della Einaudi. «Boicottare i libri e le idee è un atto di imbarbarimento che non può trovare mai, in alcun fatto o dichiarazione o opinione, per quanto controversi essi siano, la benché minima giustificazione». Alcuni giornali hanno parlato di "boicottaggio civile", «ma l'espressione non mi sembra appropriata», interviene Michela Murgia, solidale con gli autori proscritti. «Quello proposto dall'assessore è un atto di censura. Non è il lettore che sceglie di non comprare un libro, ma è il bibliotecario che lo toglie dalla circolazione in un luogo pubblico». Anche altri scrittori, che pure non figurano nella lista nera, si mostrano reattivi: tra gli altri Marcello Fois, Simona Vinci e Mariolina Venezia. «Una porcata» è l'espressione scelta da Carlo Lucarelli, pur in totale dissenso dai firmatari dell'appello per la liberazione del terrorista. Parole di condanna arrivano anche da Gian Arturo Ferrari, presidente del Centro per il libro. «Ho sempre trovato un po' ridicole le mobilitazione in favore di Battisti», dice sul sito Affaritaliani.it. «Ma i libri sono libri. E hanno diritto a stare dove stanno». L'assessore veneto racconta di essere stato mosso da una buona intenzione - indurre alcuni intellettuali a un ripensamento sul caso Battisti - ma la soluzione adottata sembra la peggiore possibile. Speranzon, nomen ma non omen. «Ora non vorrà fermarsi alla proscrizione», suggerisce Andrea Camilleri. «Gli proporrei di organizzare un bel rogo di libri. Una soluzione che nella Germania hitleriana ha avuto un discreto successo: l'assessore, che viene dal Fronte della Gioventù, dovrebbe saperlo». Ricordi che ancora feriscono, poi la didascalia di quest'ultima fotografia nazionale. «È un'Italia che mi avvilisce sempre di più. E, a 85 anni, riesce ancora a rattristarmi».
Simonetta Fiori
 
 

La Stampa, 18.1.2011
Camilleri: e se Shakespeare fosse siciliano?
L'ipotesi (scherzosa ma non troppo) del padre di Montalbano che inaugura con due libri la nuova stagione editoriale

Se voi suonerete i vostri Camilleri, noi suoneremo i nostri Camilleri. Il nuovo anno in libreria si apre con due editori l’un contro l’altro armati dell’autore che anche nel 2010, tra novità (molte) e riedizioni (moltissime), è risultato il più venduto in Italia. Domani scende in campo Skira, con La moneta di Akragas, un giallo ambientato nella Vigàta del 1909, scritto parte in italiano e parte in siciliano, che gravita intorno al ritrovamento (e successiva sparizione) di un piccolo preziosissimo reperto numismatico risalente al 406 a.C., epoca dell’assedio e distruzione di Agrigento a opera dei cartaginesi: un romanzo sorprendente, in cui l’autore per la prima volta si confronta (anche) con l’archeologia. L’editrice specializzata in mostre e cataloghi d’arte è però preceduta sul filo di lana da Mondadori, che oggi manda in libreria un volume piuttosto particolare, scritto da Camilleri in collaborazione con l’amico regista Giuseppe Dipasquale: Troppu trafficu ppi nenti, ovverossia Much Ado about Nothing, ovverossia (per chi non avesse capito) Molto rumore per nulla.
Proprio la celebre commedia di Shakespeare. Tradotta in un fantasioso messinese del Cinquecento, «una lingua arabeggiante, castigliana e siceliota insieme», e ritrovata «nelle polverose casse di un teatro», che gli autori-traduttori, in una fintamente dotta introduzione che gioca con certi toni accademici della critica, assicurano essere la forma originaria a cui il Bardo avrebbe attinto.
Una nuova ipotesi, nella vexata quaestio shakespeariana? Sulla reale identità del drammaturgo, e sul vero autore dei drammi che vanno sotto il suo nome, si è molto discusso, nei secoli. Camilleri e Dipasquale aggiungono il loro punto di vista. L’operazione «Shakespeare in Sicily», in verità, risale a una decina di anni fa, quando la riduzione teatrale di Troppu trafficu ppi nenti era andata in scena in diverse città italiane (con una ripresa nel luglio di due anni fa al Silvano Toti Globe Theatre di Roma): «L’idea», spiega Camilleri, «era nata quando Enzo Bianco, allora sindaco, ci aveva chiesto di pensare qualcosa per l’estate catanese. Voleva uno spettacolo molto popolare». Ma l’operazione, nel testo ora disponibile per il grande pubblico, si arricchisce di un inquadramento che sviluppa il gioco e tende a dargli verosimiglianza.
Utilizzando, e forzando quando serve, il dato storico, e basandosi anche su una tesi sostenuta anni fa dal giornalista siciliano Martino Iuvara, Camilleri-Dipasquale ci raccontano di un tale «Michele Agnolo (o Michelangelo) Florio (Crollalanza dal lato materno o, come alcuni manoscritti tramandano, Scrollalanza)», nato nel 1564 (guarda caso, come Shakespeare) e a lungo vissuto in fuga a causa delle sue origini quacchere. Dalle Eolie a Messina a Venezia a Verona, e infine a Stratford-on-Avon. Qui venne ospitato da un lontano parente, il quale rivedeva in lui il defunto figlio William, tanto che prese a chiamarlo affettuosamente con quel nome. A questo punto i giochi erano quasi fatti: bastava tradurre in inglese il cognome materno, Crolla (o Scrolla) lanza (la lancia), per ottenere «Shake the speare». Ed ecco «William Shakespeare», il fuggiasco finalmente al sicuro sotto false generalità.
Michelangelo Florio è effettivamente esistito: era l’erudito italiano padre di quel John Florio che tanto peso ha avuto nella produzione shakespeariana. Esule per sfuggire all’Inquisizione, ma non in quanto quacchero bensì perché era ebreo. I quaccheri a quel tempo non esistevano ancora, e il palese anacronismo è un modo per mettere in guardia i lettori: «Una spia», ci dice Camilleri, «per far capire che è tutto uno scherzo».
Però, sotto sotto, il gioco si rivela più serio di quanto non parrebbe. Perché la trama di Much Ado, quell’intreccio di schermaglie e di finzioni che si originano a vicenda, complicandosi in un groviglio che a un certo punto sembra inestricabile, salvo risolversi in nulla, è quanto di più affine a quella vocazione tutta siciliana - rimarcata da Moravia in un dialogo con Sciascia - a complicare le cose semplici. E l’uso del dialetto rende l’affinità più persuasiva. Davvero «Troppu trafficu ppi nenti è il modello eterno di un carattere terribilmente semplice, che ama complicarsi l’esistenza in un continuo arruvigliarsi su se stesso».
Maurizio Assalto
 
 

Spinetignler, 18.1.2011
The track of the sand by Andrea Camilleri, translated by Stephen Sartarelli - review

Strange dreams and perfect intuition and logic are the keys to solving a mystery in this Inspector Montalbano novel. It seems that even when he is asleep he can proceed with an investigation with dispatch.
He awakens one day and looks out of his beach house to see a bludgeoned horse lying in the sand. When his men arrive after his call to investigate, the horse has disappeared. In short order, Rachele, an equestrian champion rider, and Saverio Lo Duca, one of the richest men in Sicily, each report a missing horse. Which one was the horse the inspector sighted?
In consultation with Fazio, a colleague, Montalbano learns of a clandestine horse racing scheme operated by the mafia. Meanwhile, several burglary attempts take place at the inspector’s house, as well as an arson attempt. What, if any, is the connection to the investigation? With his customary unorthodox methodology, the inspector proceeds to unravel all the possibilities.
With humor and charm, the author writes a procedural of a different kind: one which is full of good food, good-looking women and lots of fun. Eat, drink and read hearty.
Recommended.
Theodore Feit
 
 

Il Giornale dell’Arte, 19.1.2011
La moneta di Akragas
Anticipiamo un brano del nuovo libro di Andrea Camilleri pubblicato da Skira e da oggi in libreria

È da oggi in libreria “La moneta di Akragas”, di Andrea Camilleri, secondo titolo dello scrittore siciliano, dopo “Il cielo rubato. Dossier Renoir” pubblicato nella collana Narrativa Skira (136 pp., euro 15,00). Ambientato tra la Messina distrutta dal terremoto del 1908 e le campagne della non ancora montalbaniana Vigàta, lo scoppiettante intreccio, ispirato a Camilleri da «una cronaca, o da una leggenda, familiare» ruota intorno alla «trovatura» di un’antica moneta d’oro unica al mondo, alle brame collezionistiche e alle tragicomiche vicende che il fortuito ritrovamento innesca.
Ne anticipiamo un brano, per gentile concessione dell’editore:

«Quattro
L’incidente

Cosimo tiene tra il pollice e l’indice della mano alzata un oggetto minuscolo, rotondo, splendente. Il dottore si china dal cavallo sporgendosi tutto di lato per vedere meglio. Ha capito subito che si tratta di una moneta antica mai vista prima.
Contemporaneamente, anche Ernesto, vinto dalla curiosità, ha fatto un passo avanti e si è frapposto tra la mano alzata di Cosimo e lo sguardo del dottore.
“Tu levati dai coglioni!” urla subito quest’ultimo.
I tre contadini si terrorizzano. Il dottore è vantato come uomo d’estrema pazienza, comprensivo, sempre gentile con tutti. Mai l’hanno sentito usare una parolaccia. Che gli sta succedendo? ‘Ntonio arretra sbalordito, Ernesto balza di lato atterrito, Cosimo istintivamente abbassa il braccio.
“Fammi vidiri!”, ordina imperioso il dottore a Cosimo. Che risolleva di scatto il braccio e rimane immobile così, il sorriso gli è scomparso dalla faccia, non s’attenta nemmeno a respirare.
Il dottore si china ancora di più, ormai il suo equilibrio sul cavallo è assai precario.
Ha avuto modo di vedere pubblicata su una rivista la moneta regalata dal marchese Longhitano all’ammiraglio Litvinov e da questi donata allo zar Nicola. La rivista smentisce il marchese, quella moneta non è unica, ce n’è un’altra a Londra. Nel recto della moneta dello zar c’è un’aquila ad ali chiuse che ghermisce una serpe. In quella che ha in mano Cosimo l’aquila invece ha le ali aperte e tiene tra gli artigli una lepre.
Per un attimo il dottore ha una leggera vertigine. Il paesaggio coi tre contadini si mette improvvisamente in movimento, fa un giro completo intorno a lui e finalmente si blocca.
Il dottor Gibilaro è in un bagno di sudore. Vorrebbe dire a Cosimo di girare la moneta per vederne l’altro lato, ma la voce non gli esce dalla gola arida.
Si sforza, ci riesce.
“Votala!”
Ha urlato più forte di prima. Cosimo chiude gli occhi e rigira la monetina».

 
 

Storie di libri, 19.1.2011
Giudici di Lucarelli, Camilleri, De Cataldo

Uscirà molto probabilmente a Maggio 2011 il libro Giudici, firmato da tre grandi nomi del Giallo italiano: Lucarelli, Camilleri e De Cataldo.
Ecco la descrizione apparsa sul sito lafeltrinelli.it.
“Tre fra i più importanti narratori italiani si confrontano con una figura centrale della nostra società: il giudice. E provano a indagarne i punti di crisi, di conflitto, di tensione.
Camilleri mette in scena un giudice catapultato da Torino in Sicilia poco dopo l’Unità d’Italia. Il suo candore gli impedisce di vedere i pericoli che lo minacciano e per questo, suo malgrado, lui diventa un esempio di coraggio estremo, una leggenda nell’amministrazione della giustizia.
De Cataldo ambienta la storia nell’Italia di oggi e racconta in chiave ironica la dannazione della giustizia – e allo stesso tempo la sua necessità – vista dalla camera di consiglio di un’aula di corte d’assise.
Lucarelli narra la storia di un giudice dal punto di vista di un poliziotto della sua scorta, assegnata senza che il giudice ne avesse bisogno. Almeno cosí sembra, prima che inizino ad accadere strani episodi e tutti comincino ad avere paura…“.
Editore: Einaudi;
Pagine 100;
Prezzo: 11,00 euro.
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 19.1.2011
La rinascita incompiuta Sos per il Cretto di Burri

Appena due anni fa Riso, il Museo d'arte contemporanea della Sicilia, si era fatto promotore di un "cantiere della conoscenza" che aveva lo scopo di studiare condizioni di conservazione e strategie di restauro e salvaguardia del grande Cretto che Alberto Burri aveva realizzato sui ruderi della vecchia Gibellina distrutta dal terremoto del 1968 come un colossale memoriale-sudario dell'antica cultura belicina. Un monumento simbolo ridotto in stato di degrado, per il quale ora si mobilita un gruppo di intellettuali, da Claudio Abbado ad Andrea Camilleri, reclamandone il restauro. […] In difesa del Cretto, e a favore del suo completamento, giunge ora un appello firmato da un nutrito gruppo di personalità culturali di primo piano (tra cui Claudio Abbado, Marina Abramovic, Franco Battiato, Vincenzo Consolo, Jan Fabre, Arata Isozaki, Mario Martone, Renzo Piano, Arnaldo Pomodoro, Bob Wilson) rivolto al Presidente della Regione e al ministro dei Beni culturali. […]
Sergio Troisi
 
 

La Repubblica, 19.1.2011
Il libro
Eco: quei capolavori che non riconosciamo
In "Dove andremo a finire" il semiologo risponde a Barbano sul futuro dei romanzi e della scrittura
Anticipiamo un brano del dialogo tra Umberto Eco e Alessandro Barbano contenuto nel libro "Dove andremo a finire" (Einaudi): otto interviste ad altrettanti intellettuali italiani (da Giuliano Amato a Umberto Veronesi, da Nicola Cabibbo a Sergio Romano) che raccontano quello che ci aspetta nei prossimi vent'anni sul piano politico, sociale, economico e culturale.

[…]
E tuttavia non le pare che questa letteratura del presente abbia perso la capacità di costruire miti e finisca per replicare la cronaca?
"Personalmente non sono tra quegli scrittori che costruiscono i loro romanzi sulla cronaca del presente. Anzi, ho sempre cercato di costruire i miei miti situandoli ora nel Medioevo ora nell'èra barocca. Non credo di essere il solo ad aver lavorato sull'invenzione. E tuttavia mi chiedo: anche a voler esaminare una letteratura di consumo come quella di Camilleri, non è forse un creatore di miti anche lui? Montalbano diventa un personaggio tipico della società italiana, se non altro del mondo siciliano, quanto il commissario Maigret lo è stato della Francia del Novecento. A distanza di più di mezzo secolo si comincia a capire che le storie del commissario non erano solo un giallo di consumo ma le forme più nobili di una certa letteratura franco-belga".
[…]
 
 

Comunicati-Stampa.net, 19.1.2011
Assegnati i vincitori dei Libriblog Awards: ecco i migliori e i peggiori libri del 2010
Si è chiusa la quest online rivolta ai lettori di Libriblog.com,. la più grande community italiana dedicata ai libri. I lettori hanno indicato quali sono i migliori e i peggiori autori dell'anno 2010. Ecco tutti i risultati.

[…]
Il “miglior autore italiano”, con ben 1013 voti, è Niccolò Ammaniti, seguito da Andrea Camilleri (830 voti).
[…]
Alessandra Favaro
 
 

Corriere della Sera, 19.1.2011
Tendenze. Alessandro Trocino racconta la «resistibile ascesa» di sei guru mediatici. Da Saviano a Grillo a Camilleri: l'altra faccia del successo
Intellettuali? Ma no, popstar della cultura
Il libro: Alessandro Trocino, «Popstar della cultura», Fazi editore, pagine 208, 18, in libreria da venerdì 21

Un tempo era il maître à penser, oggi è la popstar della cultura. Per essere una popstar della cultura non c'è necessariamente bisogno di aver scritto, come Jean-Paul Sartre, voluminosi tomi di filosofia e atteggiarsi a monarca assoluto dei caffè del Quartiere Latino. Basta avere alle spalle un pamphlet, un virtuosismo musicale, un tratto stilistico molto riconoscibile. Occorre soprattutto stare bene in tv. Saper diventare un personaggio. La personificazione di un'immagine e di una tendenza. Bisogna essere, secondo Alessandro Trocino che ne descrive la «resistibile ascesa» in Popstar della cultura edito da Fazi, Roberto Saviano o Giovanni Allevi o Carlo Petrini o Beppe Grillo o Mauro Corona o Andrea Camilleri. I loro libri vendono tonnellate di copie. In televisione sbancano l'audience. Ogni loro apparizione è accompagnata da ovazioni. Chi li critica è bollato come un invidioso che non sa rassegnarsi al successo altrui. Secondo Trocino hanno in comune alcuni «peccati capitali»: «Inclinazione al conformismo, propensione all'emotività e al sentimentalismo, diffidenza per il razionalismo, ricorso al manicheismo». Hanno meriti e percorsi molto diversi. Saviano ha scritto uno straordinario libro di denuncia, Beppe Grillo no. Ma ambedue coltivano una medesima allergia alla critica. Per essere «popstar della cultura» bisogna essere un po' paranoici. Solo qualche volta, come è il caso di Saviano, la minaccia è reale. Trocino studia il modo con cui scrittori, musicisti, comici, montanari e militanti politici diventano guru culturali. Non ne ricava una ricetta, semplicemente perché la ricetta non esiste. Se esistesse, basterebbe conoscerne la formula per replicarla all'infinito. Ma se ne conoscono i singoli ingredienti. E le piccole imposture. […]
Pierluigi Battista
 
 

Il Saggiatore
Ingroia presenta “Nel labirinto degli dèi”
Andrea Camilleri presenta “Nel labirinto degli dèi” presso la libreria Arion Esposizioni di Roma. Intervengono: Marco Tullio Giordana, Lirio Abbate, Antonello Montante, Ivan Lo Bello.
Quando: giovedí 20-01-2011 alle 18:00
Dove: Roma - Libreria Arion Esposizioni, Via Milano 15/17.

Ingroia, Camilleri e Montante (foto Felpa Lobo)

La presentazione è stata coordinata da Lirio Abbate. Prima di Ingroia, hanno parlato a titolo di presentatori:
Antonello Montante, Delegato nazionale di Confindustria per i rapporti con le istituzioni preposte al controllo del territorio;
Ivan Lo Bello, Presidente di Confindustria Sicilia;
Marco Tullio Giordana, regista;
Andrea Camilleri.
Ha concluso la serata Antonio Ingroia, Procuratore Antimafia di Palermo, l’autore di “Nel Labirinto degli dei”, che ha per sottotitolo “Storie di mafia e di antimafia”. Di seguito, un breve resoconto degli interventi.
Saremmo contenti di ritrovare l’audio completo della serata, perché, per quanto possa riferire, non è possibile ritenere o riportare le coloriture emerse da tutti gli intervenuti. La durata complessiva della presentazione ha superato l’ora e mezza.
Antonello Montante espone brevemente le sue considerazioni sulla situazione siciliana delle aziende. Ringrazia Ingroia per quanto ha fatto con Borsellino, e direttamente a Borsellino stesso.
Cita poi (da pagina 108 del libro) un pezzo in cui Ingroia, giovane, a Caltanissetta, racconta come, all’uscita dalla scuola non distinguesse tra i suoi compagni chi era figlio di mafiosi e chi no, ma trattasse tutti allo stesso modo.
Ivan Lo Bello racconta come in Sicilia stia avvenendo qualcosa di nuovo rispetto al passato. Il codice etico delle aziende è stato letteralmente cambiato fin dal tempo di Libero Grassi. C’è stata una cesura rispetto al pesante fardello che la Sicilia si portava dietro.
Nella maggioranza delle imprese attuali in Sicilia c’è stato un forte ricambio generazionale. La conseguenza di questo fatto è che prima gli imprenditori stavano sostanzialmente con la mafia, mentre adesso essi sono presenti sul mercato e non si occupano affatto di quanto fa la mafia.
Marco Tullio Giordana: “Un libro ti fa vivere altre vite. Le storie del libro di Ingroia toccano vicende che tutti conosciamo. Ma la differenza è che sono raccontate da uno che sta dentro a quel mondo.
Ingroia diventa magistrato sotto magistrati come Falcone e Borsellino, soprattutto quest’ultimo. Mi sono chiesto, leggendolo: che necessità ha un magistrato di esporsi pubblicamente anche con un libro? E la cosa che salta agli occhi è che il “magistrato” vuole comunicare con i lettori, con tutti. In particolare con i ragazzi.
Chi ama il teatro deve venire in Sicilia per capire quale senso reale abbia la parola.
Questo libro è un libro da far leggere ai ragazzi.
Grazie anche a Confindustria per aver introdotto un codice di comportamento (“quello di non accettare al suo interno imprenditori che non rifiutino il pizzo”, ndr) che può cambiare profondamente le cose.”
Andrea Camilleri: “Vorrei parlare dell’argomento da un altro punto di vista.
“Romanzare” mafia, camorra, Brigate rosse, fa correre un rischio gravissimo. In occasione di un’intervista a “Il Fatto Quotidiano”, dissi che sarebbe stato meglio se Leonardo Sciascia non avesse scritto “Il giorno della civetta”. Il monologo di Don Mariano Arena, dove si parla di “…uomini, mezzi uomini, ominicchi e quaraqquà”, determinò ampio consenso di popolo sull’argomento, consenso non condiviso affatto dallo stesso Sciascia.
Il libro di Ingroia mi fa esultare, perché alfine c’è un magistrato che non scrive solo sentenze!
Il titolo del libro parla di dei e di labirinti. Il fatto è che in Sicilia ci sono tanti labirinti quanti sono i siciliani!
Ingroia è un formidabile ritrattista: le persone diventano subito storie, nelle sue parole...
Falcone e cinque minuti di interrogatorio diventano subito una storia… e qui si ha spesso un ribaltamento di campo, come nel film “Zazie nel metrò”. Come accade nell’incontro tra Borsellino e Ingroia e un energumeno.
Grazie a Ingroia per quello che fa ogni giorno, un grazie come cittadino prima che come scrittore. Tra qualche anno (perché è giovane, oggi) scriverà – da magistrato – un vero romanzo sulla mafia che lo renderà famoso.”
Antonio Ingroia: “Molte delle cose dette da Antonello, Ivan e Marco Tullio mi hanno affascinato.
La mia scrittura di questo libro, in realtà, è venuta così. Quindi la domanda che Lirio Abbate mi ha posto (“… la giustizia è uguale per tutti?”, ndr), non risponde a quello che ho scritto nel libro, e che – per quanto mi riguarda – ho sentito di dover scrivere. Credo che la domanda abbia a che fare con una delle tante anomalie che riguardano la vita italiana.
Eguaglianza – Verità – Giustizia in Italia, oggi, sono un po’ negate. Una giustizia che è forte con i deboli e debolissima con i potenti. Una Verità che non è per tutti. Nella giustizia, è presente l’ossessione per fatti che sono fondanti di un paese.
La mia esperienza personale: molti italiani non si danno pace del perché molti dei fatti importanti del nostro paese siano stati sottolineati da stragi. La mia esperienza è quella di chi si è trovato a incrociare Falcone , poi Borsellino, poi Rocco Chinnici: tutti questi incontri mi fecero abbandonare il cinema – che volevo diventasse la mia professione – e mettere il diritto al primo posto (il cinema resta un hobby, nella mia vita attuale).
Falcone, con una domanda-suggerimento, mi portò ad indagare. E ad indagare con Borsellino. Ed oggi ad indagare sulla verità che c’è dietro il suo assassinio, verità che va emergendo dagli interrogatori di Gaspare Spatuzza, e che sembra assai diversa da quella emersa nel primo processo.
E il labirinto – tra i tanti – da cui dobbiamo uscire è quello che lega la trattativa degli uomini che lottano contro la mafia a quelli che – invece – trattano i loro crimini assieme alla mafia.”
Lavinio Riccardi – Camilleri Fans Club
 
 

La Repubblica, 20.1.2011
Libri
Le antichità viste da Camilleri
Esce il libreria il nuovo romanzo dello scrittore, "La moneta di Akragas". Un giallo archeologico, che intreccia storia e fantasia sulla base di una "cronaca familiare" documentata
Notizie utili: "La moneta di Akragas", Andrea Camilleri, 136 pagine, €15, Skira Editore
LE IMMAGINI
I luoghi d’arte di Camilleri

Sul recto presenta un'aquila ad ali aperte che stringe negli artigli una lepre, sul verso rivela un granchio e un pesce. E' tutta d'oro, è spessa tredici millimetri e pesa 1,74 grammi. E' la "moneta di Akragas", datata tra il 407 e il 406 a. C. esemplare unico al mondo perché è "l'ultima coniatura di monete auree akragantine prima della distruzione della città da parte dei Cartaginesi e sulla cui esistenza storici e numismatici avevano a lungo dissertato e polemizzato". Ed è lei, chiamata "la piccola Akragas", la protagonista assoluta del nuovo libro di Andrea Camilleri, appena uscito nelle librerie dal 19 gennaio edito da Skira per la collana narrativa. Star di una storia che Camilleri dipana, nel suo inappuntabile stile, sulle note intriganti di un giallo che avvince e diverte dalla prima all'ultima riga, ma che allo stesso tempo svela un piccolo grande tesoro dell'archeologia siciliana realmente esistente (tant'è che oggi l'esemplare è custodito al British Museum di Londra).
E Camilleri, da siciliano doc e da grande appassionato della storia della sua Sicilia, recupera la "piccola Akragas" per tessere una rocambolesca vicenda sullo sfondo di fatti realmente accaduti, dalla fondazione di Akragas (l'attuale Agrigento) come colonia greca, e il lungo assedio dei cartaginesi cui dovrà arrendersi nel 406 a. C. con la relativa distruzione, ai primi del '900, tra il terribile terremoto di Messina, il fantasma della prima guerra mondiale che incombe, la figura chiave di re Vittorio Emanuele III riscoperto con Camilleri quale appassionato numismatico, una passione "cominciatagli a sei anni, quando la governante irlandese - scrive nel libro Camilleri - gli fece dono di un soldo di Pio IX e continuata allorché il suo precettore, il tenente colonnello Egidio Osio, numismatico, l'incoraggiò a intraprendere una collezione sistematica".
Tutto ruota intorno ad una apparente casualità che aleggia sulla "piccola Akragas", casualità cui lo stesso Camilleri sembra non credere molto, come se la monetina avesse un suo temperamento e una sua volontà nel rispondere alle circostanze che la coinmvolgono. La "truvatura", nel dicembre del 1909, in un campo tra le campagne di Vigata e quello di Girgenti "che 'na vota, a lu tempu de li greci, era 'na granni citate ed era acchiamata Akragas", della moneta d'oro da parte di un contadino. Contadino che ne vuole fare dono al medico condotto di Vigata perché sa della sua passione per le monete antiche e perché anni prima gli aveva salvato la gamba dall'amputazione. Incontrato il professionista a cavallo, durante il suo giro mattutino dei pazienti a domicilio, gli mostra la moneta ritrovata. E il dottore, dall'occhio fine ed esperto, riconosce subito quel piccolo capolavoro di numismatica, "l'unico esemplare conosciuto al mondo dell'ultima coniatura". Per l'emozione, perde l'equilibrio e cade da cavallo.
Da qui Camilleri orchestra una serie di risvolti inaspettati, tra assassini e indagini all'ombra di una moneta d'oro di eccezionale valore che appare per poi scomparire puntualmente. Con l'acuta ironia che rende gustosa la lettura delle sue storie, Camilleri compone dei siparietti di vernacolare realismo siciliano che sanno fare, però, i conti con la storia. E ce lo rivela lo stesso Camilleri, alla fine, puntualizzando dove arriva la realtà documentabile e dove inizia la sua fantasia prorompente. Perché tutte le storie di Camilleri intimamente legate ai tesori della Sicilia partono sempre da un genesi vera. La storia parte da una "cronaca familiare". Un lontano parente, medico e numismatico appassionato, incontrò un giorno un contadino che gli mostrava per fargliene dono una monetina d'oro che aveva trovato zappando la terra. "Il medico - scrive Camilleri nel libro - la riconobbe all'instante, era la favolosa piccola Akragas. Fece per prenderla e rovinò da cavallo spezzandosi una gamba". E sempre secondo la cronaca, rivela Camilleri, "il dottore regalò poi la moneta al Re Vittorio Emanuele III che se ne era interessato, ricevendone in cambio l'onorificenza di Grande Ufficiale". Moneta che poi diventerà un dono diplomatico del Re. Tutto il resto è fantasia, ma, ci tiene a sottolineare Camilleri nella note del libro, "solo dopo che Eileen Romano, avendo fatto delle ricerche, mi aveva assicurato che in qualche modo la storia che avevo sentito raccontare in famiglia poteva non essere pura leggenda".
Laura Larcan
 
 

l’Unità, 20.1.2011
Il nuovo romanzo dello scrittore siciliano parte dal lontano 406 a. C
La storia. Ambientata nell’agrigentino, racconta di un caso misterioso
Camilleri, l’assedio di Akragas e una preziosissima moneta d’oro
Il nuovo romanzo di Andrea Camilleri, «La moneta di Akragas» (Skira, pagine 120, euro 15,00): una storia dai risvolti inaspettati, tragici ed esilaranti, tra le campagne di Vigata e la Messina distrutta dal terremoto.

Un romanzo storico che ha al suo interno un giallo, una narrazione che prende spunto da una «cronaca, o da una leggenda, familiare». Sono alcune chiavi di lettura del nuovo libro di Andrea Camilleri, La moneta di Akragas, edito da Skira. Il romanzo è ambientato nell’Agrigentino, nei luoghi natii dello scrittore siculo-romano. La vicenda parte appunto da Akragas e l’autore la contestualizza temporalmente nel 406 a.C. In quell’anno uno dei grandi centri siciliani dell’antichità viene distrutto dai Cartaginesi dopo un lungo assedio. Scrive Camilleri: «E subito dopo l’abbandono di ogni resistenza si è scatenato il saccheggio, la devastazione, la carneficina, lo scempio».
In questo contesto un soldato, Kalebas, è riuscito «a scampare all’eccidio». Emerso a fatica da una catasta di corpi, «si è spogliato del vestiario reso rigido dal sangue rappreso e si è impadronito della toga e dei calzari di un akragantino con la testa fracassata. Di suo ha tenuto solo la daga con cinturone, la borraccia, e il sacchetto con le preziose monete d’oro che costituiscono la paga di un lungo periodo di lavoro, circa otto di quelli che oggi chiamiamo mesi». L’uomo riesce a fuggire perché conosce una entrata segreta che conduce alle gigantesche vasche sotterranee d’acqua potabile. Ma dopo aver trovato la via d’uscita di quel labirinto sotterraneo, attendendo la luce dell’alba, si addormenta ed una vipera lo morde. Il suo destino è segnato, e dopo tre giorni d’agonia muore.
«Nel delirio, l’ultima cosa che fa è alzarsi in piedi, aprire il sacchetto con le monete d’oro e scagliarle lontano». A questo punto la storia si sposta al 20 dicembre del 1909. Un contadino mentre lavora la terra allo Sperone trova una moneta antica. È quella del soldato. Lui sa cosa farà di quella moneta, la regalerà al medico condotto Stefano Gibilaro, perché gli ha salvato una gamba dopo un incidente sul lavoro.
Il caso vuole che il dottore passi quella mattina da quei luoghi, ed appena quella moneta gli viene mostrata, si rende conto che ha un valore inestimabile. È talmente colpito dalla scoperta che cade da cavallo e finisce in ospedale. Finito il suo periodo di convalescenza, non vi sono più tracce del contadino. Ma non si arrende, sfonda la porta della sua abitazione e lo trova morto, assassinato. Si ricorda che quando gli mostrò la moneta, vi erano con lui altri due uomini che zappavano la terra. Ha già i suoi sospetti e si sforza con astuzia di mettere sulla buona strada il delegato di polizia. Ma mentre il giallo si dipana e la moneta viene ritrovata, un altro caso curioso vien fuori. Il re affascinato dalla numismatica invia a Vigàta un generale, che è anche un marchese, e cerca proprio il dottore che è diventato il possessore della preziosa moneta. Quando Gibilaro incontra dal prefetto l’inviato del re, sono tutti sorpresi. La somiglianza fra il medico condotto ed il marchese è impressionante.
E da qui si sdipana un altro mistero, che Camilleri con la sua narrazione rende avvincente. Seppur la storia è ambientata in Sicilia, lo scrittore non usa il dialetto, o meglio l’ormai classico linguaggio intriso di dialettismi ed anche neologismi. Ma vi è nella scrittura il suo ritmo narrativo, la forza dell’affabulazione e lo strumento dell’ironia. Il suo inconfondibile stile...
Salvo Fallica
 
 

Gazzetta del Sud, 20.1.2011
Il terremoto di Messina e la moneta di Akragas
Una leggenda familiare nel contesto della immensa tragedia del 28 dicembre 1908

Andrea Camilleri archeologo. Anzi, numismatico. È il ruolo di cui il celebre scrittore s'investe nel suo ultimo libro, da oggi in libreria: "La moneta di Akragas". Il libro segna anche il ritorno di Camilleri nella fortunata collana NarrativaSkira, che pubblica con oculata gestione piccoli capolavori (in catalogo, tra gli altri, "Vincent mio fratello" di Elizabeth van Gogh, "Camera oscura" di Simonetta Agnello Hornby) e che proprio Camilleri inaugurò nel 2009 con "Il cielo rubato, Dossier Renoir".
"La moneta di Akragas" è una storia, forse una leggenda, familiare. Dice l'Autore che in un tempo lontano un parente, medico e numismatico, incontrò un contadino che gli mostrò, per regalargliela, una monetina d'oro che aveva trovato zappando. Il medico la riconobbe all'istante: era la favolosa piccola Akragas, moneta unica risalente al 406 a.C. anno in cui Akragas (da cui Agrigento) cadde in mano ai Cartaginesi dopo lungo assedio. (Piccolo particolare raccapricciante: i mercenari combattenti per Akragas si dimostrarono così valorosi che i Cartaginesi li vollero premiare sterminandoli tutti, per evitare loro l'ignominia della prigionia).
Quando il medico vide la monetina si sporse per prenderla e dall'emozione cadde da cavallo spezzandosi una gamba. Pare che il dottore poi regalò la moneta a Re Vittorio Emanuele III, grande numismatico, e n'ebbe in cambio l'onorificenza di Grand'Ufficiale. Questa storia, forse o in parte vera, è stata elaborata dalle funamboliche capacità inventive di Camilleri. Per prima cosa, oltre al solito irrinunciabile riferimento a Vigata (il dottore è medico condotto del piccolo centro), lo sfondo è quello della tragedia del terremoto di Messina, cui Camilleri dedica largo spazio, ricordando il determinante intervento della flotta russa.
«... Quando alle sette del mattino del 29 dicembre la flotta si presenta davanti ai resti del porto e dalle navi con la bandiera blucrociata della marina zarista vengono messe in mare le scialuppe, ognuno dei tremila marinai che le stipano sa perfettamente quello che dovrà fare appena messo piede a terra. Naturalmente sul luogo della catastrofe in breve si precipiteranno altri soccorritori, tra i quali i marinai e i cadetti di alcune navi da guerra della marina inglese. Resteranno così sorpresi e ammirati dell'efficienza degli equipaggi zaristi che alcuni cadetti inglesi si metteranno agli ordini dei sottufficiali russi che comandano le squadre di soccorso, le quali lavorano giorno e notte: verrà alla fine calcolato che ogni squadra ha tirato fuori da sotto le macerie una persona all'ora».
A questa emozionante descrizione, testimonianza storica dell'ampiezza della catastrofe, Camilleri nel libro ha aggiunto vicende e personaggi e il thriller con l'immancabile misterioso delitto. Il piccolo volume è corredato di bellissime foto storiche di Messina dopo il terremoto. Né manca la riproduzione dell'affascinante "moneta di Akragas" oggi al British Museum di Londra.
Carla Maria Casanova
 
 

Francesco Guccini – Unofficial Web Site, 20.1.2011
Dicono di lui

“È come trovare un consanguineo. Ho cominciato a leggere Guccini dalle Cronache, poi Vacca d’un Cane. Lasciamo perdere poi i gialli con Macchiavelli, quelli li conosco tutti”.
Andrea Calogero Camilleri, scrittore, sceneggiatore e regista.
 
 

La Nuova Sardegna, 21.1.2011
Fois: censura da inquisizione

All’inizio sembrava una delle tante boutade ricorrenti nelle regioni governate saldamente da Lega e Pdl da parte di politici locali in cerca di visibilità. L’obiettivo era punire gli scrittori che nel 2004 firmarono l’appello per la liberazione di Cesare Battisti, quando fu arrestato su richiesta del governo italiano dopo aver trascorso 14 anni in Francia come rifugiato politico. Ma dall’invito dell’assessore alla Cultura della provincia di Venezia, Raffaele Speranzon, a eliminare dalle biblioteche i libri di quegli autori, si è passati alla proposta dell’assessore regionale alla Cultura del Veneto, Elena Donazzan, di bandirli dalle scuole; poi, in un rapido crescendo, nell’elenco degli autori “diseducativi” è finito anche chi l’appello pro Battisti non l’aveva firmato, e neppure lo condivideva, ma che aveva denunciato l’assurda censura verso i propri colleghi: nomi da poco come Andrea Camilleri, Carlo Lucarelli, e i “nostri” Marcello Fois e Michela Murgia. Quest’ultima nella paradossale situazione di vincitrice del Campiello, premio assegnato a Venezia: rischia di essere messa al bando proprio nella regione dove è stata celebrata pochi mesi fa.
Ma esiste davvero, a parte l’elenco dei firmatari dell’appello che il quotidiano Libero ha di recente pubblicato, una lista più ampia di scrittori indesiderati? Sì, secondo Repubblica, che giovedì ha pubblicato un breve elenco degli «scrittori contrari alla censura e perciò messi al bando», dove troviamo, accanto ai già citati Camilleri, Lucarelli, Fois e Murgia, anche Simona Vinci e Mariolina Venezia. E Roberto Saviano, messo al bando per la polemica con il ministro Maroni durante la trasmissione «Vieni via con me».
«Non potevo ricevere un regalo più bello per il mio compleanno - dice Fois, che ieri ha compiuto 51 anni - quale essere incluso in una lista di cattivi». Ma come c’è finito? «È già una settimana che in Rete discutiamo di questo caso. A suo tempo non firmai l’appello per Battisti, e non lo farei neppure oggi, ma non significa che chi lo firmò debba finire in una lista nera. Ho detto pubblicamente che di fronte a un simile sopruso deve mobilitarsi a maggior ragione chi fa parte della lista bianca. Su ciò ho una posizione integralista: i libri non si toccano. Solo l’inquisizione l’ha pensata diversamente, o il nazismo. E ritengo paradossale una crociata che definisce diseducativi certi autori nel momento in cui il premier, della stessa maggioranza, è indagato per prostituzione minorile».
Da Fois a Massimo Carlotto, che fa parte della lista, come dire?, più nera del nero, perché firmò l’appello e continua a sostenere che Battisti ha diritto a un processo che lo veda presente, e non a una condanna in contumacia. «È diventata eclatante una censura che accade da tempo - dice - visto che ora riguarda anche autori come Saviano, Giannantonio Stella, Marco Paolini, ormai invisi alla Lega. Dalle biblioteche spariscono anche autori che non hanno firmato l’appello per Battisti. Io sono sparito da quando pubblicai il romanzo “Nord Est”. Adesso viene fuori con chiarezza come la destra veneta intende operare. L’assessore Donazzan ha imposto a tutte le famiglie la Bibbia, ora vorrebbe farlo anche con le scuole. Il caso Battisti ha avuto un impatto mediatico gigantesco e dunque è facile utilizzarlo da chi cerca visibilità, non a caso tutto nasce nel Pdl, in netta minoranza rispetto alla Lega. Il compattamento su questi temi è immediato, così scatta la censura del dissenso, vista come un atto naturale. E dalle liste di libri che le biblioteche richiedono ai sindaci spariscono gli autori indesiderati. È una destra diversa da quella che c’è in altre parti del Nord: questa è Vandea pura».
Paolo Merlini
 
 

Gazzetta del Sud, 21.1.2011
L'avventura del contadino Zosimo
Il romanzo “Il re di Girgenti” di Camilleri tra ricostruzione storica e fantasia

Si può leggere come un romanzo storico, «Il Re di Girgenti» di Andrea Camilleri; nonostante la parte da protagonista risulti come sempre riservata alla prolifica fantasia dello scrittore. Perché degli eventi del Diciottesimo secolo che portarono Zosimo, contadino affrancato, sul trono dell'antica Girgenti, si conosce in realtà così poco che la sola riproposizione dell'evento può da sé costituire, per l'artefice, un precipuo merito documentario.
Sono gli anni della pace di Utrecht, e tra il popolo gretto, ignorante e superstizioso circolano anche idee di dignità, di libertà dall'oppressione dei nobili, di riscatto sociale e di ribellione. I potenti spagnoli che invadono gli altrui spazi vitali, decidendo a volte su vita e morte degli indigeni, diventano così il paradossale riferimento di un'ironica messa in scena del potere, cara a Camilleri anche per la sua funzione evocatrice di intramontabili prepotenze, di ieri come di oggi.
Ma non c'è soltanto l'aspetto comico e irriverente, a caratterizzare la descrizione dei tempi e dei luoghi come cornice agli eventi. Perché la miseria, l'arretratezza, e in breve il male di vivere dei poveri siciliani costretti a subire le altrui dominazioni esplodono con tutta la loro forza dirompente all'arrivo di una terribile carestia, che asciuga le campagne, uccide gli animali e affama la popolazione.
È così che prendono vita i semi della ribellione: quella che per i casi della Storia, e i capricci del fato, conduce il giovanissimo Michele Zosimo al trionfo e alla rapida decadenza, nel giro di pochi giorni. Lui, che la natura aveva dotato di eccezionali capacità espressive, intuito e furbizia, diventa così il simbolo vivente – non a lungo, però – del riscatto di classi sociali perennemente soggiogate, e sottomesse alla speculativa volontà dei ricchi e dei potenti.
Prende forma così l'eterno dissidio tra i pochi detentori del potere e le molte vittime dei suoi eccessi e delle sue esibite convenienze, che l'autore rende con spirito aspramente critico, a malapena celato dai cedimenti alla leggerezza della narrazione, sospesa tra sicilianismi e spagnolismi che rendono a perfezione il conflitto tra due mondi che s'incrociano senza amarsi, confondendosi senza mai integrarsi. Perché tra i tanti difetti e i rari pregi d'ogni popolo, permane intatta la gelosia per le proprie tradizioni, per i propri rituali, per le abitudini giuste o sbagliate ma comunque consone ad affrontare un divenire quasi sempre ingrato e difficile.
Quello in cui irrompe, come un miracolo fuggente, l'avventura di un re di passaggio, isolano nella sua isola, destinata a subire sempre e comunque l'altrui dominazione. Magari travestita da aiuto e soccorso, e spacciata per missione dagli alti valori e dai nobili contenuti sociali.
Francesco Bonardelli
 
 

ANSA, 21.1.2011
Libri: da Saviano a Camilleri, le ‘Popstar della Cultura’

Esce oggi Popstar della Cultura, libro-pamphlet di Alessandro Trocino (Fazi Editore, 224 pagine, 18 euro) che racconta la 'resistibile ascesa' di sei protagonisti della cultura e dello spettacolo: Roberto Saviano, Giovanni Allevi, Carlo Petrini, Beppe Grillo, Mauro Corona e Andrea Camilleri.
Un affresco ironico e graffiante, divertente ma anche serio, sullo stato della cultura di massa in Italia, con particolare attenzione agli idoli della sinistra. Attraverso le testimonianze di estimatori e detrattori, i documenti e le opere, il libro racconta la parabola di sei personaggi che, in campi diversi, sono arrivati sul piedistallo piu' alto della celebrita'.
Il viaggio tra i 'Venerati Maestri' e' anche il pretesto per raccontare l'Italia, per smontare i meccanismi mediatici e divistici di un Paese in cui l'inclinazione al conformismo, la profusione di retorica apocalittica, la delega delle responsabilita', la ricerca del guru di turno e il presenzialismo hanno azzerato il pensiero critico e la capacita' di ragionare sui contenuti. Perche' se e' vero che la cultura di questi anni e' stata monopolizzata dal berlusconismo imperante, e' altrettanto vero che la sinistra, orfana dei suoi intellettuali di una volta, ha ceduto di schianto e ha ormai cambiato pelle. Dall'egemonia culturale di impronta gramsciana all'industria culturale di Horkheimer e Adorno, fino all'attuale strapotere del marketing editoriale, il salto e' stato lungo. In mezzo si e' costituito un universo contaminato e franto, nel quale destra e sinistra si sono spesso confuse in un abbraccio poco virtuoso.
Il libro e' preceduto da una prefazione di Antonio Pascale, narratore e saggista, autore di 'Questo e' il Paese che non amo', che definisce Popstar della cultura 'un libro bello e serio' e 'un originale contributo alla democrazia culturale'.
 
 

AntonioGenna.net, 21.1.2011
Libri – Alessandra Vietina “Montalbano Maigret & Co. – Storia del giallo in televisione”

I fasti delle fiction poliziesche italiane, dai tempi lontani de “Le inchieste del commissario Maigret” con Gino Cervi ai fasti più recenti del “Commissario Montalbano” con Luca Zingaretti, hanno spinto Alessandra Vietina, laureata al DAMS di Bologna in Storia della televisione, a realizzare il volume “Montalbano Maigret & Co. – Storia del giallo in televisione” (Edizioni Falsopiano, 240 pagine, prezzo di copertina 17 €).
Il volume parte da una breve storia del romanzo poliziesco, tramite i suoi eventi salienti e senza nessuna pretesa di completezza, per proseguire con la nascita del poliziesco italiano (con la pubblicazione dei libri “gialli” italiani da parte di Mondadori nel 1929). Dopo la nascita della televisione, è sorta l’esigenza di realizzare prodotti di genere poliziesco anche per il piccolo schermo: l’autrice racconta in modo puntuale e veloce quali sono stati gli storici detective della televisione italiana, accennando anche al poliziesco d’importazione da parte delle televisioni commerciali.
Un’ampia sezione centrale del libro è dedicata a due commissari a metà tra letteratura e tubo catodico, Jules Maigret di Georges Simenon e Salvo Montalbano di Andrea Camilleri, con differenziazioni, importanza e influenze.
Il capitolo conclusivo, “Presente e futuro nelle indagini televisive”, si spinge nell’analisi di prodotti più recenti, come “Distretto di Polizia”, “La Squadra” e il “Coliandro” di Carlo Lucarelli, chiudendosi con un’analisi del “domani” di Montalbano.
Il volume è completato da un’ampia bibliografia, una serie di link utilizzati ed una filmografia delle fiction italiane citate nel volume.
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 21.1.2011
Fiat Termini, ancora Cig Camilleri firma per la Fiom

Ancora cassa integrazione per gli operai dello stabilimento Fiat di Termini Imerese. […] Intanto, si moltiplicano le adesioni allo sciopero generale del 28 gennaio dei metalmeccanici della Fiom: in Sicilia ci sarà una manifestazione proprio a Termini Imerese.
Tra gli aderenti all'appello Fiom lo scrittore Andrea Camilleri, l'eurodeputata Rita Borsellino, il magistrato Franca Imbergamo, Leoluca Orlando e Fabio Giambrone (Idv), Erasmo Palazzotto (Sel), Luca Cangemi (Prc), il consigliere al comune di Palermo Antonella Monastra, i giuristi Luca Nivarra e Mariella Annino, il compositore Marco Betta, il presidente del conservatorio Francesco Giambrone, l'imprenditore Davide Grassi. Domenica, inoltre, la Fiom allestirà in tutti i centri storici delle principali città siciliane, punti per la raccolta delle adesioni.
 
 

Il Fatto Quotidiano, 21.1.2011
“Il mio Vallanzasca almeno non è ipocrita”
Michele Placido: "Rappresentare il male al cinema è un modo per esorcizzarlo, non per esaltare cattivi maestri o fare apologie. Rispetto i parenti delle vittime ma invito i poliziotti che protestano a star buoni: non sempre sono innocenti"

L’Italia è scioccata dagli scandali di Berlusconi, altro che il film su Vallanzasca”. Passionale come sempre, riflessivo più del solito, Michele Placido è da oggi in sala con Vallanzasca – Gli angeli del male.
[…]
Camilleri ha sostenuto che Sciascia “non avrebbe mai dovuto scrivere Il giorno della civetta: non si può fare di un mafioso un protagonista, la letteratura migliore per parlare di mafia sono i verbali dei poliziotti e le sentenze dei giudici”.
Romanzo criminale l’ha scritto un magistrato, Giancarlo De Cataldo. Vengo ora da Palermo: sull’ultimo dossier sulla mafia, che potrebbe scatenare azioni di altissimo livello, ci farei subito un film. L’arte serve per illustrare le analisi tecniche dei magistrati: la mafia è il cancro della Sicilia e dell’Italia intera, perché il cinema non dovrebbe occuparsene?
[…]
 
 

Il Tempo, 22.1.2011
Che cosa unisce Roberto Saviano, Giovanni Allevi, Beppe Grillo, Mauro Corona, Carlo Petrini, Andrea Camilleri? Semplice.
Sono sempre e comunque sulla cresta dell'onda.

Osannati. Totem. E fanno un sacco di soldi. Anzi, passano la maggior parte del tempo a industriarsi a farne sempre di più. Con buona pace delle loro idee. Rigorosamente «de sinistra». Ora dipinge i nuovi dèi per palati buoni Alessandro Trocino, giornalista, con «Popstar della cultura», il libro appena pubblicato da Fazi. Ecco qualche chicca.
[…]
CAMILLERI Uno che può permettersi il lusso, come scrive Giorgio Di Rienzo, di consumare una sua «piccola (e allegra) vendetta: affidare alle grandi case editrici che non credettero in lui ai tempi della gavetta, come la Mondadori, le sue opere peggiori (Il colore del sole) e riservare le migliori (La gita a Tindari) per Sellerio. Insomma uno che detta tempi e scelte al mercato editoriale, invece di subirle. Un intoccabile».
Li. Lom.
 
 

Il Mattino, 23.1.2011
Andrea Camilleri, La moneta di Akragas. Skira pagg. 120. euro 15
Camilleri-Dipasquale, Troppu trafficu ppi nenti. Mondadori pagg. 160, euro 9
Camilleri-De Filippo, Questo mondo un po’ sgualcito. Infinito edizioni pagg. 128, euro 12

A partire dai suoi sorprendenti esordi, a metà degli anni '90 con i libri della saga del commissario Montalbano - libri che hanno dato una notorietà mondiale a uno scrittore esordiente all'età di 70 anni (dopo una vita passata in Rai come autore radiofonico e televisivo) - la bibliografia di Andrea Camilleri si è infittita in questi anni all'inverosimile. Gli editori - Sellerio che l'ha pubblicato all'inizio, Mondadori che poi se l'è in parte accaparrato, e via via altri che occasionalmente si aggiungono alla lista - con Camilleri vanno a colpo sicuro. Perciò non solo gli commissionano nuove opere, ma accettano tutto quello che esce dai suoi cassetti (testi magari scritti decine di anni fa). Ecco come si spiega l'uscita di opere all'apparenza piuttosto ostiche, che se l'autore fosse un altro nessuno si sognerebbe di pubblicare. Ma il nome di Camilleri è garanzia di vendibilità, anche quando si tratti di libri apertamente sperimentali. Ovviamente non diciamo questo a scapito di Camilleri (che è, come al solito, bravissimo), ma in polemica con il mondo editoriale, il quale accetta la sfida di pubblicare opere che esulino dai filoni main stream soltanto quando possa farlo, per così dire, senza rischi commerciali. Decisamente sperimentali sono gli ultimi due libri di Camilleri. Il primo si intitola Troppu trafficu ppi nenti (Mondadori, pagine 160, euro 9) e lo scrittore siciliano l'ha composto insieme con Giuseppe Dipasquale, regista e autore teatrale (attualmente è direttore del Teatro stabile di Catania). Il libro è una pièce per le scene. Lo spunto narrativo parte da una domanda, apparentemente surreale: e se William Shakespeare fosse siciliano? Domanda paradossale, anche se la teoria, tra storia e letteratura, non è nuova, e certo molto accattivante. Il bardo di Stratford, infatti, altri non sarebbe che Michel Agnolo - o Michelangelo - Florio, tragediografo e commediografo siciliano di fede protestante sfuggito alle persecuzioni religiose e rifugiatosi in Inghilterra dove prese l'identità del defunto figlio di un oste, di nome William. Per quanto riguarda il cognome, si sarebbe limitato a tradurre quello materno: «Scrollalanza» («shake the speare»). Che sia vera o no, l'ipotesi è certo intrigante, e non poteva mancare di affascinare due siciliani doc come Camilleri e Dipasquale. I quali, partendo da questa suggestione, hanno preso la più siciliana e forse la più divertente e raffinata delle commedie shakespeariane, Molto rumore per nulla, e ne hanno ricreato l'archetipo attribuito appunto a Messer Michele Angelo Florio Crollalanza, inventando un immaginifico dialetto messinese del Cinquecento. Anche il secondo volume, La moneta di Akragas (pagine 120, euro 15), rappresenta una raffinata operazione letteraria, anzi un'operazione tra letteratura e arte. Non a caso è pubblicato da Skira, una casa editrice specializzata in libri d'arte, che correda il testo con un suggestivo apparato iconografico. Camilleri ha immaginato una storia ambientata all'inizio del Novecento, e precisamente nel 1909, quando il dottor Stefano Gibilaro, medico condotto di Vigata, trova in un campo una moneta d'oro preziosissima, unica nel suo genere. Siamo all'indomani di una terribile distruzione, quella del terremoto di Messina del 28 dicembre 1909. Segnaliamo, infine, un altro libro dedicato a Camilleri. Si tratta di una lunga intervista, dal titolo Questo mondo un po' sgualcito, realizzata da Francesco De Filippo e pubblicata da Infinito Edizioni (pagine 128, euro 12). Un colloquio in cui emerge l'aspetto del Camilleri «scrittore impegnato», impegnato e indignato, insofferente nei confronti di un Paese che ha smarrito, nel privato e nel pubblico, la propria bussola etica. A 85 anni Camilleri appare davvero come un maestro, il quale, senza enfasi né retorica, richiama alcune basilari verità che gli Italiani farebbero bene a non dimenticare.
Roberto Carnero
 
 

Gazzetta del Sud, 23.1.2011
Ecco come nacque lo "stile Camilleri"
La dignità della parola contaminata nel libro “Il corso delle cose” primo romanzo dello scrittore

Incredibile a dirsi: per scrivere il suo primo romanzo, Andrea Camilleri lavorò per più di un anno e mezzo, dall'aprile 1967 al dicembre 1968. E molto più tempo, con relativa alta dose di pazienza, impiegò per pubblicarlo presso un quasi sconosciuto editore di provincia, che praticamente lo distribuì soltanto tra una ristrettissima cerchia di lettori.
Questo perché «Il corso delle cose» – titolo tratto da una frase del "Senso e non senso" di Maurice Merleau-Ponty – venne decisamente rifiutato dai maggiori referenti dell'industria libraria nazionale, perplessi di fronte a una scrittura mista di lingua e dialetto, e restii a sperimentazioni sul campo relative a un nuovo modo di raccontare la realtà, e la fantasia, della Sicilia.
Ma dal momento che il testo, uscito successivamente da Sellerio, ha raggiunto nel settembre 2010 la sua ventinovesima edizione, qualcosa negli altrimenti collaudati meccanismi dell'imprenditoria culturale deve essersi, in passato, inceppata. Soprattutto perché il libro appare oggi facilmente riconoscibile come un piccolo capolavoro di sicilianità, denso di suggestioni e spunti d'interesse, peraltro ampiamente utilizzati dallo stesso scrittore in altre prove narrative del suo periodo di maggior fama.
La vicenda riguarda il misterioso attentato contro un giovane paesano, apparentemente tranquillo e pacifico, dedito ai consueti passatempi del «vitellone» di provincia: cinema, bar, qualche trasgressione sessuale più o meno mercenaria. E poi gli amici, tanti, in un contesto dove ciascuno sa tutto di tutti.
Ma così sempre non è. E l'apparenza può nascondere inattese verità. Perciò la storia dei colpi di fucile sparati contro il protagonista e quella – parallela – del ritrovamento del cadavere di un pastore nelle campagne appena fuori il centro abitato si trasformano, da subito, nello specchio fedele di una realtà regolata da loschi traffici, meschini espedienti, rischiosi tradimenti. Con lo sfondo dell'annuale processione del patrono, in un delirio di presunta devozione tra sacro e profano, riti arcaici e residui sentimenti religiosi, superstizioni e pettegolezzi.
Una Sicilia vera nella sua problematicità, che non impedisce però allo scrittore di narrare quei caratteri individuali e collettivi talora in grado di trasformare il negativo in positivo. Sulla base di una misteriosa e quasi magica propensione a invertire di continuo quel «corso delle cose», altrove disegnato da rigorose linearità. Una terra unica e irripetibile, insomma, dove tutto all'improvviso può cambiare, e dove ogni singola espressione, ogni frase detta o pensata può significare altro dalla sua letterale valenza. In un crogiolo d'interpretazioni che diviene presto il sale della vita
Francesco Bonardelli
 
 

AgrigentoWeb.it, 24.1.2011
“La pietra inquieta”, mostra d’arte a Porto Empedocle.

“Una vera reinvenzione del colore che in realtà appiattisce il colore naturale del paesaggio siciliano, un sole che scalda si, ma più spesso nei quadri di Provenzano, brucia”.
Così lo scrittore empedoclino Andrea Camilleri scrive nel Catalogo d’Arte di Gianni Provenzano a proposito della Mostra intitolata “La pietra inquieta”, organizzata a curata dal Comune di Porto Empedocle in collaborazione con la “Fondazione Andrea Camilleri” con il supporto delle “Fabbriche Chiaramontane”, allestita presso l’Auditorium San Gerlando di piazza Chiesa Vecchia e che verrà inaugurata dal sindaco, Calogero Firetto, sabato 29 Gennaio alle ore 17.30.
Si tratta di oltre una quarantina di opere ad olio, sul tema della pietra e del paesaggio siciliano, presentate con testi a cura di Edith de la Heronniere e di Matteo Collura.
La mostra proseguirà fino al 20 Marzo prossimo, con apertura pomeridiana nei giorni feriali dalle 17 alle 19 e nei festivi dalle 10 alle ore 12, ad ingresso gratuito.
 
 

MicroMega, n. 1/2011
Berlusconismo e fascismo (1)
Il sommario del nuovo numero in edicola e libreria da martedì 25 gennaio

ICEBERG - l’involuzione della specie
Andrea Camilleri - Homo berlusconensis
Grazie alla televisione Berlusconi ha creato una involuzione di homo sapiens a sua perfetta immagine e somiglianza. Un essere che rifiuta la cultura e l’intelligenza, che osanna alle virtù del Capo, che ne invidia lo stile di vita. Un grande scrittore traccia, come un naturalista, il catalogo classificatorio di questa solo parzialmente inedita specie zoologica.
 
 

Il Messaggero, 25.1.2011
L'homo berlusconensis secondo Andrea Camilleri
MicroMega, nel numero in edicola da oggi, propone una analisi dell’ultimo quindicennio di storia italiana. Eloquente il sottotitolo della pubblicazione - "berlusconismo e fascismo" - che contiene una serie di saggi, analisi (e sberleffi) su Berlusconi e si chiude con una raccolta di scritti che prima della discesa in campo del Cavaliere lanciavano l’allarme sul pericolo di regime. Pubblichiamo una sintesi del pezzo in cui Andrea Camilleri racconta l’involuzione antropologica che ha segnato l’homo nella società berlusconizzata.

Devo fare una premessa assolutamente necessaria. Che in realtà è una doverosa precisazione. In queste poche pagine non prenderò in esame, tra le molteplici categorie e sottocategorie attraverso le quali il fenomeno dell’homo berlusconensis si appalesa, tutti coloro che del berlusconismo sono in qualche modo attivi e pubblici esponenti, collaboratori, operatori vuoi in qualità di membri del governo, del parlamento e del partito vuoi in quanto amministratori comunali, provinciali e regionali. La cosiddetta classe politica, insomma, di ogni ordine e grado. E nemmeno m’attarderò a prendere in esame tutti coloro che ne sono diffusori del credo, in qualità, ufficialmente riconosciuta e retribuita, d’apostoli o di zelatori. Ai quali, com’è noto, settimanalmente l’Idolo appare via etere comunicando il Verbo, la Parola da diffondere. L’esclusione è dovuta al fatto che resta del tutto impossibile all’analisi verificare quanto il loro grado di purezza d’adesione all’ideale berlusconiano sia o non sia inquinato da fattori degenerativi quali, primo tra tutti, il desiderio di far rapida carriera, di guadagnare, d’avere un certo potere. Prenderò in esame perciò solo l’homo berlusconensis communis, quello, diciamo così, puro, colui che, in parole povere, difende tutte le manifestazioni della berlusconità, quali che esse siano, al mercato o sul tram, che guarda l’attuale Tg1, il telegiornale di Rete 4, (Canale 5 no perché non sempre è rigidamente ortodosso), che non si perde mai un’apparizione di Berlusconi alla tv saltabeccando da una rete all’altra, che compra Il Giornale o Libero o tutti e due (il Foglio no, non si capisce bene cosa voglia) e che infine puntualmente lo vota senza ricavarne alcun beneficio diretto. Trattandosi, a stare ai sondaggi, di una cifra attualmente oscillante tra il 25 e il 30 per cento degli italiani, non è chi non intuisca la molteplicità e la diversità della tipologia che si presenta a un’indagine sia pure superficiale come la nostra. (…)
Così come la sacra scrittura afferma che Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza, si può tranquillamente affermare che c’è stato un Uomo che ha saputo creare in Italia una televisione a sua perfetta, totale immagine e somiglianza, anche se questo non è detto in nessuna scrittura, sacra o meno. L’uomo che ha creato la televisione a sua immagine e somiglianza era in origine un uomo d’affari spregiudicato ma a parole osservante delle regole, cattolico dichiarato anche se poi (pluri) divorziato, sedicente liberale, furbissimo, anticomunista, ricco, di scarsa cultura, d’intelligenza mediocre, di statura un po’ più bassa della media, non bello, dotato di un italiano basico, che sapeva cantare canzonette francesi e napoletane, che amava le donne e gli piaceva passare per gran seduttore. Inoltre, almeno ai primi tempi, aveva l’abilità persuasiva e la loquela spigliata e convincente di un venditore di macchine usate americano. Ragion per cui, in un paese dai linguaggi incomprensibili (il legale, il politico, il letterario, il critico eccetera) venne subito scambiato per essere «un grande comunicatore». I palinsesti delle sue tre televisioni private infatti accuratamente bandirono ogni forma di cultura, anche quelle più popolari (come l’opera lirica), e ogni forma d’intelligenza. Cultura e intelligenza sono parole che spaventano la maggior parte degli italiani.
Esaltarono invece i programmi di quiz, le serie televisive comiche americane con le risate incorporate che parevano fatte per un pubblico di dementi, i concorsi a facile premio, i programmi di varietà di bassa lega (tipo Colpo grosso e non è un caso che il suo ideatore occupi oggi il seggio di uno dei più importanti ministeri) e soprattutto le profuse nudità femminili (vallette, letterine eccetera), quasi proponendole come un diritto di «evasione nel sogno», parole di Eco. Attraverso anni e anni di siffatto modello televisivo, la piattaforma culturale degli italiani, già di per sé tutt’altro che elevata, s’abbassò a gradi infimi, anche perché la tv di Stato s’affrettò ad adeguarsi seguendo il cattivo esempio. Contestualmente, l’uomo che aveva creato la televisione a sua immagine e somiglianza, creò in breve tempo, proiettandosi attraverso le sue televisioni, degli uomini che, sia potenzialmente sia effettivamente, potevano dirsi a sua immagine e somiglianza. Il circolo così si chiuse perfettamente.
Va detto che gran parte di quegli uomini avevano già in loro un humus predisposto e fertile dove i semi poterono attecchire con facilità e si svilupparono magnificamente. In fondo, come scrive Eco, a quegli uomini non si chiedeva altro che d’essere ciò che già erano. Solo che ora potevano esserlo a viso scoperto, alla luce del sole e soprattutto riconoscersi tra di loro. Altri, e furono molti, invece subirono una trasformazione radicale. I più giovani, vale a dire i trentenni o poco più, nacquero e crebbero in quella coltura e in essa si trovarono perfettamente a loro agio come i pesci che nuotano nell’acqua senza sapere che l’elemento dentro il quale vivono è l’acqua. La tipologia dell’homo berlusconensis è dunque assai varia e non tutta catalogabile. Ma siccome da qualche parte bisognerà cominciare, comincerò dai tipi più semplici.
Ci sono due statuine che non mancano mai in ogni presepe che si rispetti. La prima è quella del contadino che davanti alla grotta col bambinello appena nato, alza, meravigliato e stupito, le braccia al cielo. In Sicilia è chiamato «‘u spavintatu do presepiu», perché la meraviglia che esprime è tale da sfiorare lo spavento. La seconda è quella di un altro contadino che, poco lontano dalla grotta, se ne sta beatamente a dormire disteso per terra, dopo avere assistito al grande evento. Dalle mie parti è detto «l’addrummisciutu do presepiu». Queste due statuine le prendo a prestito perché plasticamente raffigurano due diffusissimi tipi di homo berlusconensis. Il primo è sempre pronto ad esprimere, con partecipata emozione, alte meraviglie qualsiasi cosa faccia il suo Idolo, sia che mostri le corna in una foto ufficiale di gruppo («come sa fare le corna lui, nessun altro!») sia che racconti una barzelletta stantia («nessuno è capace di raccontarle come lui!») sia che presieda una riunione di governo («nemmeno il mio preside a scuola»). Tutto quello che Egli fa viene definito dall’entusiasta con superlativi assoluti e un sorriso beato sulla faccia. Questo tipo d’homo berlusconensis è trasversale, nel senso che va dal beota puro al docente universitario proposto per il Nobel. A ben considerare, l’homo berlusconensis sempre e comunque acclamante, insomma colui che pratica il culto cieco della personalità, è la clonazione più borghese e sciamannata del fascista osannante, in prima fila sotto il balcone di palazzo Venezia.
Il secondo tipo, il dormiente, può abbandonarsi al sonno perché Egli è nato alla politica, anzi, come ama dire, è disceso in campo. Quello è stato il suo Natale. Probabilmente ha dovuto sloggiare da quella grotta che era la sua abitazione per far posto all’evento, ma in compenso gli è stato promesso un villino munito di tutti i comfort. Al risveglio, ne è certo, quel villino sarà suo. Intanto, dorme. (…)
Quanti hanno dato il voto a Berlusconi sapendo che mai e poi mai sarebbe stato in grado di mantenere le sue promesse, dalla riduzione delle tasse a sole tre aliquote al ponte sullo Stretto? Non le ha mantenute? Bene, nessuna disillusione, lo sapevamo già che non ce l’avrebbe fatta, possiamo rivotarlo. L’importante non sono le promesse che fa, ma come le fa.(...)
Nel suo piccolo, l’homo berlusconensis si considera e vuole che gli altri lo considerino come il meglio in tutto: il miglior padre di famiglia (anche se ha tre amanti), il miglior cliente della banca (anche se ha firmato assegni a vuoto), il miglior amico (anche se è pronto a tradire l’amicizia se ci trova un tornaconto) eccetera. E tale profondamente si crede. L’homo berlusconensis quale sottoprodotto del piccolo Münchhausen vive e opera in una fittizia realtà di comodo. In ogni paese d’Italia da sempre c’è un personaggio locale, che si chiami Gigetto, Toni, Efisio, Pippuzzu, Carlìn, non importa, soprannominato «il pallonaro». È quello che le spara grosse per il gusto di farlo. Non ne può fare a meno, fa parte della sua natura. Mentre della sua natura non fa parte la verità, anche quella più piccola, più insignificante. Il pallonaro costituisce una sottocategoria della precedente. (...)
L’homo berlusconensis è naturaliter pallonaro sempre e comunque. Sottocategoria collaterale è quella di colui che mente sempre sapendo di mentire. La menzogna in Italia è stata istituzionalizzata. Il più recente esempio è costituito dalla mendace affermazione del premier che un’extracomunitaria minorenne senza documenti, accusata di furto, già frequentatrice di festini presidenziali, era in realtà la nipote del presidente egiziano Mubarak e che perciò andava liberata subito e affidata a una consigliera regionale che altri non era che la bella ex igienista dentale del premier stesso. Un intrigo da operetta da belle époque nel quale l’homo berlusconensis si è immediatamente riconosciuto e immedesimato, invidiandone il protagonista. Ah, che uomo furbo! Come sa cavarsela sempre! Ah, poter fare lo stesso! (...)
Il catalogo è questo canta il servitore di Don Giovanni nell’opera omonima di Mozart e giù una sfilza di numeri che rappresentano le conquiste femminili del suo padrone in varie parti d’Europa. Per lungo tempo l’homo berlusconensis considerò l’Idolo, che poteva vantare un catalogo meno affollato ma pur sempre straordinario, come una sorta di astratto risarcimento d’ogni grama vita sessuale. Perché, nella realtà, Egli rimaneva «un ideale di fatto irraggiungibile », per dirla con Eco.
Mentre le foto sui rotocalchi lo ritraevano con tre procaci ragazze sulle ginocchia o con seminude fanciulle sui bordi delle innumerevoli piscine della sua residenza sarda, mentre altre foto mostravano lo sbarco da un aereo di un plotone di ballerine di fandango, di danzatrici del ventre, di vallette televisive accorse a dare il cambio alle colleghe stremate, voci ammirate propalavano la sua sovrumana resistenza, la sua strabiliante capacità di reiterazione, la sua inesausta inventiva. Poi accadde che l’Idolo scese a mezza costa dall’Olimpo allorché si riseppe che non disdegnava intrattenersi con escort delle quali era «l’utilizzatore finale» (definizione del suo legale onorevole Ghedini), dato che venivano pagate da compiacenti procuratori. Questa notizia anziché abbassarne il prestigio dongiovannesco, come ci si sarebbe aspettato, ne ampliò il consenso. Ora l’homo berlusconensis infatti poteva «utilizzare» una prostituta qualsiasi illudendosi d’essere come lui, sia pure per una notte e sotto un certo, limitato aspetto. Mai, certamente, sotto quello della conclamata, erculea, possente virilità.
L’elenco potrebbe continuare per altrettante e passa pagine. Ma preferisco fermarmi qui.
Andrea Camilleri
 
 

Il Fatto Quotidiano, 25.1.2011
Camilleri racconta il trionfo dell’Homo berlusconensis
“Con la Tv il premier ha creato una specie a sua immagine”
Di seguito un estratto dell’articolo di Andrea Camilleri, pubblicato sul numero di MicroMega in edicola da oggi, che racconta l’involuzione antropologica che ha segnato l’uomo nella società berlusconizzata

Ci sono due statuine che non mancano mai in ogni presepe che si rispetti. La prima è quella del contadino che davanti alla grotta col bambinello appena nato, alza, meravigliato e stupito, le braccia al cielo.
In Sicilia è chiamato “‘u spavintatu do presepiu”, perché la meraviglia che esprime è tale da sfiorare lo spavento.
La seconda è quella di un altro contadino che, poco lontano dalla grotta, se ne sta beatamente a dormire disteso per terra, dopo avere assistito al grande evento. Dalle mie parti è detto “l’addrummisciutu do presepiu”.
Queste due statuine le prendo a prestito perché plasticamente raffigurano due diffusissimi tipi di homo berlusconensis.
Il primo è sempre pronto ad esprimere, con partecipata emozione, alte meraviglie qualsiasi cosa faccia il suo Idolo, sia che mostri le corna in una foto ufficiale di gruppo (“come sa fare le corna lui, nessun altro!”) sia che racconti una barzelletta stantia (“nessuno è capace di raccontarle come lui!”) sia che presieda una riunione di governo (“nemmeno il mio preside a scuola”). Tutto quello che Egli fa viene definito dall’entusiasta con superlativi assoluti e un sorriso beato sulla faccia.
Questo tipo d’homo berlusconensis è trasversale, nel senso che va dal beota puro al docente universitario proposto per il Nobel.
A ben considerare, l’homo berlusconensis sempre e comunque acclamante, insomma colui che pratica il culto cieco della personalità, è la clonazione più borghese e sciamannata del fascista osannante, in prima fila sotto il balcone di Palazzo Venezia.
A proposito. L’entusiasta ascolta il Verbo rapito, ad occhi chiusi, in stato di trance. Se è a casa, pretende il silenzio assoluto dai familiari. Al bar, fa lo stesso. Insomma, non vuole perdersi una parola.
Ma attenzione: dopo, è assolutamente incapace di riferire quanto ha sentito. Al massimo, esclamerà, balbettando sconvolto dal piacere: “Ha parlato per quattro ore e mezzo filate!”. Per lui conta la quantità delle parole, non la qualità.
Il secondo tipo, il dormiente, può abbandonarsi al sonno perché Egli è nato alla politica, anzi, come ama dire, è disceso in campo. Quello è stato il suo Natale. Probabilmente ha dovuto sloggiare da quella grotta che era la sua abitazione per far posto all’evento, ma in compenso gli è stato promesso un villino munito di tutti i comfort. Al risveglio, ne è certo, quel villino sarà suo. Intanto, dorme (...)
Il barone di Münchhausen, il personaggio creato alla fine del Settecento dallo scrittore tedesco Raspe, raccontava d’aver compiuto imprese mirabolanti come salire al volo sopra una palla di cannone e viaggiare con essa o come aver sentito crescere l’erba poggiando l’orecchio a terra. La nota più caratteristica del personaggio era che credeva alle storie che raccontava pur sapendo di essersele inventate di sana pianta. Vi ricorda qualcuno?
Attenzione però. Mentre il barone non raccontava le sue storie mirando a un fine pratico e immediato, ma solo per il gusto di stupire, le storie del nostro piccolo Münchhausen sono tutte finalizzate a un unico scopo: creare consenso.
Quindi egli non racconterà d’avere camminato sulle acque, ma di essere il miglior capo di governo mai avutosi in Italia, il più amato (“io, quando cammino per strada, blocco la circolazione”), il più presente negli eventi tragici da L’Aquila a Viareggio, magnificherà d’essere uno statista che dà consigli indifferentemente a Putin e a Bush e via di questo passo.
Nel suo piccolo, l’homo berlusconensis si considera e vuole che gli altri lo considerino come il meglio in tutto: il miglior padre di famiglia (anche se ha tre amanti), il miglior cliente della banca (anche se ha firmato assegni a vuoto), il miglior amico (anche se è pronto a tradire l’amicizia se ci trova un tornaconto) eccetera. E tale profondamente si crede.
L’homo berlusconensis quale sottoprodotto del piccolo Münchhausen vive e opera in una fittizia realtà di comodo. In ogni paese d’Italia da sempre c’è un personaggio locale, che si chiami Gigetto, Toni, Efisio, Pippuzzu, Carlìn, non importa, soprannominato “il pallonaro”. È quello che le spara grosse per il gusto di farlo. Non ne può fare a meno, fa parte della sua natura. Mentre della sua natura non fa parte la verità, anche quella più piccola, più insignificante. Il pallonaro costituisce una sottocategoria della precedente. L’homo berlusconensis è naturaliter pallonaro sempre e comunque. Sottocategoria collaterale è quella di colui che mente sempre sapendo di mentire. La menzogna in Italia è stata istituzionalizzata. Il più recente esempio è costituito dalla mendace affermazione del premier che un’extracomunitaria minorenne senza documenti, accusata di furto, già frequentatrice di festini presidenziali, era in realtà la nipote del presidente egiziano Mubarak e che perciò andava liberata subito e affidata a una consigliera regionale che altri non era che la bella ex igienista dentale del premier stesso. Un intrigo da operetta da Belle époque nel quale l’homo berlusconensis si è immediatamente riconosciuto e immedesimato, invidiandone il protagonista. Ah, che uomo furbo! Come sa cavarsela sempre! Ah, poter fare lo stesso! (...)
Andrea Camilleri
 
 

Istituto Italiano di Cultura di Parigi
Bon anniversaire Italie! Cultures et identités depuis 1861
A l'occasion des célébrations des 150 ans de l'unité de l'Italie
Inauguration du cycle
Bon anniversaire Italie! Cultures et identités depuis 1861

Tout au long de 2011, à l’occasion des 150 ans de l’Unité italienne, l’Istituto Italiano di Cultura présentera un cycle pluridisciplinaire “Bonne anniversaire Italie! Cultures et identités depuis 1861” qui souhaite interroger notre histoire nationale à la lumière du présent.
Le cycle sera inauguré en présence de Andrea Camilleri.
Deux évènements marqueront la soirée d'inauguration:

Cannibardo e la Sicilia o L’Unità d’Italia vista dai Siciliani (en langue italienne)
Mise en scène: Giuseppe Di Pasquale, directeur du Teatro Stabile de Catania
Narrateur: Massimo Ghini
Lectures: Vincenzo Crivello - Mimmo Mignemi
Andrea Camilleri s’entretient avec le journaliste littéraire Fabio Gambaro pour parcourir l’histoire de Giuseppe Garibaldi et de la Sicile après l’Unité d’Italie. Il retrace la courte histoire d’un rêve en plongeant dans l’univers de ses romans (La bolla di componenda, Il filo di fumo, Il Birraio di Preston, La Concessione del telefono, Il Re di Girgenti) consacrés à cette période.

Suivra: Il racconto del commissario Collura (en langue italienne)
Narrateur: Massimo Ghini
Illustrations: Stefano Disegni
Vidéos et mise en scène: Sergio Spina
Les mots de Camilleri nous plongent cette fois dans le présent: on suit le commissarie Vincenzo Collura et ses enquêtes envoutantes.

Istituto Italiano di Cultura
73, rue de Grenelle - 75007 Paris
Informations
Date: mardi 25 janvier 2011
Horaires: 18h30
Lieu: IIC Paris
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 25.1.2011
Camilleri a Parigi l'unità vista dal Sud

È Andrea Camilleri l'ospite d' onore della serata di celebrazione per il centocinquantenario dell'Unità d'Italia organizzata dall'Istituto italiano di cultura a Parigi. Lo scrittore sarà protagonista di un incontro che vedrà la messa in scena di "Cannibardo e la Sicilia, ovvero l'Unità d' Italia vista dai siciliani", per la regia di Giuseppe Dipasquale con Massimo Ghini come narratore e le letture di Vincenzo Crivello e Mimmo Mignemi. Andrea Camilleri, intervistato da Fabio Gambaro corrispondente di "Repubblica", ripercorre la storia di Garibaldi e la Sicilia post-unitaria attraverso alcuni brani tratti dai suoi cinque romanzi storici ("La bolla di componenda", "Il filo di fumo", "Il Birraio di Preston", "La concessione del telefono", "Il Re di Girgenti"): l'autore siciliano traccia la breve parabola di un sogno, raccontando le speranze suscitate dallo sbarco di Garibaldi in Sicilia, l'entusiasmo con cui il popolo andò alle urne e nell' ottobre del 1860 tributò una «maggioranza bulgara» all'annessione dell'isola al regno d'Italia, e le delusioni che invece suscitò la politica post-unitaria.
 
 

Live Sicilia, 25.1.2011
“Montalbano con Ruby farebbe così…”

E se l’inchiesta sul Rubygate venisse affidata al commissario Montalbano? Come tratterebbe il caso? Lo domandiamo per mail ad Andrea Camilleri, purtroppo assente dalla serata-spettacolo organizzata per lui all’Istituto italiano di cultura di Parigi. “Il commissario Montalbano agirebbe nello stesso identico modo nel quale stanno agendo i pm di Milano. Trovate è difficile averne, sarebbero romanzesche e non ce n’é bisogno, basta la realtà a superare la mia stessa fantasia”, risponde. I commenti? No comment. Ma approva quel movimento verso lo sdegno che sta emergendo in molti paesi, decantato in Francia nel pamphlet di Stephane Hessel ‘Indignez-vous’ che è diventato un caso letterario. “Credo che oggi il ricorso all’indignazione sia necessario non solo in Francia, ma anche in Italia e in altri paesi del mondo”, afferma lo scrittore che per via del freddo ancora pungente non se l’é sentita di affrontare il viaggio per Parigi dove stasera si svolge l’evento di apertura delle celebrazioni del Centocinquantenario dell’Unità d’Italia, in cui Camilleri sarà presente virtualmente: in un’intervista registrata ripercorre la storia di Garibaldi e la Sicilia postunitaria attraverso brani tratti dai suoi cinque romanzi storici.
“L’unità d’Italia – dice all’ANSA – è un fatto. L’Italia esiste, c’é nel bene e nel male. Non ne siamo lontani dall’Unità. C’é in corso una dialettica anche molto accesa su una forma federalistica che comunque non mette mai in discussione l’Unità d’Italia”. L’Incontro con Andrea Camilleri, in collaborazione con Tunart, si articola in due parti: Cannibardo e la Sicilia, ovvero l’Unità d’Italia vista dai siciliani con la regia teatrale di Giuseppe Di Pasquale, direttore del Teatro Stabile di Catania, mentre i contributi video hanno la firma del regista Sergio Spina. Narratore Massimo Ghini, che nella seconda parte su disegni di Stefano Disegni recita Il racconto del commissario Collura, che su una nave da crociera indaga su un misterioso personaggio dietro cui si cela un miliardario che rievoca il periodo in cui da giovane cantava sulle navi da crociera… Al pubblico parigino, certo deluso per la sua assenza, Camilleri ha riservato una sorpresa: una copia della Costituzione italiana, con la sua firma.
 
 

Italia Oggi, 25.1.2011
Alle popstar dei programmi tv: per loro, fra Camilleri e Pirandello non c'è differenza
Le pagine culturali dei grandi giornali si sono arrese
Dall'assalto alla scuola nel '68 alla conquista delle redazioni, il passo è stato breve

Non saranno le postar della cultura a salvarci, anche se i programmi televisivi incipriati e le «terze pagine», com'erano chiamate una volta le «pagine culturali», sembrano pensarlo. Dirimpettaie degli spettacoli, ai quali invidiano il gossip e il bell'aspetto dei loro eroi, le pagine culturali sono passate da tempo al nemico: il divo che dispensa autografi, sorrisi biancosmaltati e aforismi da Bacio Perugina pensoso. Da costui, tuttavia, non si spreme granché (banalità, sciocchezze, parole al vento) per quanta meraviglia si finga: la cultura è meno che presunta, lo spettacolo è lagnosetto e per lo più indecoroso.
Alessandro Trocino, del Corriere della sera, illustra con buona penna (e divertendosi) «la resistibile ascesa di Roberto Saviano, Giovanni Allevi, Beppe Grillo, Carlo Petrini, Mauro Corona e Andrea Camilleri» in Popstar della cultura, Fazi, pp. 224, 18,00. Ultime raffiche dell'ideologia, sempre così critici e così inesorabili con i difetti altrui, monumenti all'ipertrofia dell'ego, vittime di se stessi ma anche dei propri adulatori, costoro scambiano l'improvvisa e immeritata popolarità dei loro poveri testi o delle loro modeste idee fisse per un anticipo d'eternità.
[…]
Oppure sono dapprima paragonati e poi dichiarati superiori a Luigi Pirandello e Leonardo Sciascia, quindi bruscamente ridimensionati e poi di nuovo acclamati, com'è capitato al giallista siculo Andrea Camilleri, un comunista retrò, nostalgico dell'Urss e del Gulag, che si crede Georges Simenon (non lo è, ma gli Incorruttibili di Micromega glielo lasciano credere).
[…]
Anche Camilleri, del resto, è un vero signore della scena culturale, come dimostrano questi versi, forse metricamente stentati e tuttavia alatissimi, rivolti a Umberto Bossi: «Quel medio alzato all'inno di Mameli se lo metta nel culo, Senatore/già fatto largo per averci infilato il tricolore./Mi congratulo per la capienza».
[…]
Diego Gabutti
 
 

La Sicilia, 25.1.2011
Viaggiando nei luoghi di Montalbano

Il Commissario Montalbano come tutti sanno lavora a Vigata e vive nella frazione di Marinella. Questi nomi di fantasia adottati da Andrea Camilleri per ambientare le avventure del suo personaggio più popolare corrispondono in realtà a luoghi conosciuti. Vigata, ad esempio, è del tutto simile alla città natale dello scrittore, ovvero Porto Empedocle. Ma con il salto avvenuto dall'immaginario letterario a quello televisivo, grazie alla fortunata serie del regista Sironi, gli scenari nei quali il commissario opera si sono concretizzati in ben più specifici luoghi reali.
Set privilegiato degli episodi della serie televisiva è senz'altro la provincia di Ragusa. Il Commissariato di Vigata corrisponde, ad esempio, al Palazzo Comunale di Scicli. Dai romanzi di Camilleri Montalbano risulta essere nato a Catania nel 1950. In una località vicina a Vigata, Marinella, il commissario affitta una villetta sul mare, che poi acquisterà, dove abitualmente vive solo, salvo quando viene a visitarlo la fidanzata Livia. È una bella casa con terrazza che dà direttamente sulla spiaggia e sul mare. Nella fiction televisiva la casa di Marinella si trova nel borgo marinaro di Punta Secca.
È una località frazione di Santa Croce Camerina, in provincia di Ragusa. La gente del posto la chiama "a sicca" (la secca) probabilmente per la presenza di una piccola formazione di scogli di fronte alla spiaggia di levante. Il borgo, unitamente alla vicina Punta Braccetto, esisteva già in epoca remota e fu occupato da Arabi, Bizantini e Normanni. Da vedere sono il caratteristico faro, che fu costruito nel 1853 ed è alto 35 metri, e la Torre Scalambri, una torre costiera difensiva costruita nel XVI secolo. Sono molti i luoghi della provincia iblea raggiunti dal set della Rai nel corso delle varie edizioni della fiction. Si possono ammirare Ragusa Ibla, Donnalucata, Pozzallo, il Castello di Donnafugata, la fornace del Pisciotto e tante altre residenze nobiliari e scorci di natura o di centri urbani come Ragusa Superiore, Comiso, Pozzallo, e anche luoghi meno conosciuti come la Grotta delle Trabacche, una piccola catacomba scavata negli altipiani calcarei che caratterizzano i monti Iblei, che appare nell'episodio "Il cane di terracotta". La provincia di Ragusa è piena di testimonianze archeologiche di epoche passate. Uno dei luoghi più suggestivi è senza dubbio la Grotta delle Trabacche, recentemente sistemata e resa pienamente fruibile dalla soprintendenza ai beni culturali. Non si tratta in realtà di una grotta naturale bensì di una piccola catacomba scavata negli altipiani calcarei che caratterizzano i monti Iblei. Nella credenza diffusa, le catacombe sono i luoghi ove i primi cristiani si nascondevano per sfuggire alle persecuzioni romane. Oggi questa visione è stata fortemente ridimensionata. La catacomba era infatti il cimitero per eccellenza delle prime comunità cristiane. Esse continuarono ad essere costruite anche dopo il 313 d.C., anno dell'Editto di Tolleranza, emanato dall'imperatore Costantino che poneva definitivamente fine alle persecuzioni.
La catacomba delle Trabacche, per la sua forma e per le sue dimensioni è stata datata al IV sec. d.C., quindi dopo la fine delle persecuzioni contro i Cristiani. Si tratta di un ipogeo formato da due grandi cameroni adiacenti. Entrando all'interno dell'ipogeo, colpiscono subito due monumentali sarcofagi scavati nella roccia. Questi sarcofagi sono ornati con una serie di colonne scavate anch'esse nella roccia (due 'baldacchini') e con ogni probabilità erano dedicate a due personaggi importanti o vicini alla santità della piccola comunità a cui apparteneva questo cimitero. Alcuni episodi del serial televisivo sono stati girati in parte fuori dalla provincia iblea, mostrando così al folto pubblico del Commissario anche i panorami e i paesaggi di altre parti dell'isola.
Nell'episodio "La forma dell'acqua" si può ammirare Portopalo di Capo Passero con il suo splendido mare. La frazione di Villaseta è invece diventata nella serie tv il paesino di Custonaci, in provincia di Trapani. Nell'episodio la gita a Tindari si può invece notare il santuario della Madonna Nera di Tindari, simbolo della cittadina stessa, sita anch'essa nel trapanese. Non c'è alcun dubbio sulla portata benefica che può avere sul turismo una così grande vetrina come la prima serata di Rai Uno, ma è altrettanto vero che la Sicilia, immenso set a cielo aperto, è sempre stata protagonista del cinema e della televisione, con le sue bellezze multiculturali e paesaggistiche. Era comunque inevitabile che le storie televisive del Commissario fossero girate in Sicilia, terra della quale il personaggio di Camilleri è diventato oramai ambasciatore e promotore, direttamente nelle case degli italiani.
 
 

Skira
Skira editore ha il piacere di invitarla alla presentazione del volume di Andrea Camilleri
La moneta di Akragas

Conversazione dell'autore con Salvatore Settis.
Mercoledì 26 gennaio 2010, ore 17,30
Museo Nazionale Romano
Palazzo Massimo alle Terme
Largo di Villa Peretti, 1
Roma

Cliccare qui per vedere il video di un brano della presentazione (dal sito flanerì)

Ha presentato l’incontro Fabio Isman, in rappresentanza della Direttrice del Museo, dando subito la parola al relatore, Salvatore Settis.
Setis ha esordito dicendo che lui appartiene alla schiera degli estimatori del Sommo, e quindi, quando ha notizie dell’uscita di libri camilleriani, comincia insistentemente a chiedere in libreria: “Quando esce? Quando esce?”. Ha poi lodato l’incrocio che c’è nel libro tra lingua e dialetto, raccontando che lui – se non siciliano – è pur sempre calabrese.
Poi, parlando del libro, ci ha detto delle sue paure. Aveva paura di trovarsi di fronte un giallo in chiave archeologica; non è stato così.
Infine – dopo un accenno ad un tedesco, che ha avuto a che fare con la stessa moneta e di cui non c’è traccia nel libro – ha detto che la storia ha la moneta come protagonista.
Ha sottolineato di essere stato colpito da molte simmetrie e coppie, nella storia (che ovviamente non ci ha raccontato). Le monete sono due, e non una; la coppia “terremoto di Messina” e distruzione di Agrigento; una delle due monete finì nelle mani dello Zar, l’altra in quelle di Vittorio Emanuele III°. E in tutto il libro, è la moneta a decidere, non chi ne ha a che fare. E’ dotata – questa moneta – di volontà propria, di una sua libera scelta. Inoltre c’è una coincidenza che lui ritiene non casuale: la data del ritrovamento della moneta segue di pochi mesi l’uscita di una legge italiana che decide della proprietà di tutti i ritrovamenti archeologici da parte dello Stato italiano (siamo nel 1909). “Anche nella mia famiglia” – ha concluso Settis – “si racconta del ritrovamento di una moneta antica.”
La parola è qui passata al Sommo, che – dopo aver ringraziato Settis per le sue notizie ed anche per le storie che ci ha narrato – ha esordito con una piccola e applaudita chiosa: “Ho appreso che ogni famiglia del Sud trova una moneta!” . Ha poi iniziato a parlare del libro, dicendoci che ha evitato accuratamente (salvo nel primo capitolo) di parlare di Akragas. Nel primo capitolo si parla delle invasioni della zona prima dei Fenici, poi degli Spartani.
A proposito del terremoto di Messina, ha tirato in ballo l’intervento della flotta del Baltico, che (stanziava ad Augusta) intervenne subito in aiuto delle popolazioni e salvò moltissime persone. L’ammiraglio che la comandava è sepolto nel cimitero di Messina.
“C’è – a un certo punto – un signore che fa finta di essere il console russo e poi finisce che deve continuare a fare il console per davvero!”. Questo particolare viene raccontato in un libro di Giuseppe Pitrè, dato che il finto console era suo genero.
Il Sommo, dopo aver citato il fatto che si è divertito non solo per la storia di questa moneta, ma anche perché ha potuto raccontare una sorta di favola, ci ha fatto divertire narrandoci un episodio in cui aveva colto sua nonna a parlare con una saliera, e riportandoci un tratto del dialogo, ovviamente in dialetto…
A proposito dell’arte di nascondersi, ci ha detto che quell’arte – tra gli oggetti – ce l’hanno i libri.
La sala era gremita (non meno di 100 – 120 persone presenti).
Lavinio Riccardi – Camilleri Fans Club
 
 

Il Tempo, 26.1.2011
L'editoriale
Tasca a destra cuore a sinistra
Roberto Saviano pubblicherà un libro con Feltrinelli. Andrea Camilleri spiega al mondo che "Il commissario Montalbano agirebbe nello stesso identico modo nel quale stanno agendo i pm di Milano". Così la prolifica coppia di bestselleristi esprime idee elevatissime, firma appelli, redarguisce e impartisce lezioni.

Roberto Saviano pubblicherà un libro con Feltrinelli e ci informa urbi et orbi che «è contento». Perbacco. Andrea Camilleri spiega al mondo che «Il commissario Montalbano agirebbe nello stesso identico modo nel quale stanno agendo i pm di Milano. Trovate è difficile averne, sarebbero romanzesche e non ce n’è bisogno, basta la realtà a superare la mia stessa fantasia». Pensa un po’...
Di fronte a questi due fatti fondamentali del nostro tempo, non possiamo restare indifferenti, occorre una profonda riflessione, ma che scrivo, una seria seduta di autocoscienza, come si conviene a un tema che riguarda gli intellettuali. La prolifica coppia di bestselleristi, impegnata nella propria campagnetta di promozione del Fatturato Ideale, esprime idee elevatissime, firma appelli, redarguisce e impartisce lezioni. Tutti sono tenuti ad ascoltare in religioso silenzio. Chiunque osi parlare, può farlo a una sola condizione: osannare il contributo alla ciclopica opera di costruzione di una nuova coscienza italiana.
Entrambi gli autori sono da primato in classifica, tutto ciò che scrivono e dicono si trasforma in oro. Ma questo dalle nostre parti non è sufficiente per avere la patente di quelli che hanno sempre ragione. Essere un santone della letteratura non si traduce nel diventare un infallibile oracolo della politica. Novellare con maestria non conferisce il titolo di Infallibile. Indagare sulla carta e sull’anima non dà la bacchetta magica per risolvere i casi concreti. Un commissario immaginario non è l’inquirente del mondo delle cose reali. Può essere divertente, intrigante, ma non si tramuta nel personaggio che scova la prova regina.
Si può giocare e scherzare su tutto, poi però la vita non ti presenta il commissario Basettoni e Pietro Gambadilegno, Derrick e il cane Rex, la signora in giallo e il tenente Colombo, ma la Boccassini e Berlusconi, magistrati e presunti innocenti fino al terzo grado di giudizio. Quando la propaganda e la faziosità sconfinano nel fantasy, nella letteratura d’appendice o nella finzione della docu-fiction per dipingere i casi giudiziari, allora vuol dire che il meccanismo che tiene in piedi una società civile s’è rotto, che il tribunale ordinario è sostituito da quello straordinario della piazza dove è stata già issata la forca.
L’intellettuale può e deve essere «impegnato», ma proprio per il ruolo che svolge, ha il dovere di osservare la realtà a 360 gradi, se pensa di essere un uomo che indica la via della libertà al prossimo, allora deve liberarsi di scorie ideologiche, schemi preordinati e visioni a una dimensione. Non mi pare che sia così. La notizia che Saviano pubblicherà un libro con Feltrinelli è uscita sulle agenzie di stampa con le tre stellette di solito dedicate alle big news. Per qualcuno è il preludio dell’addio alla casa editrice di Segrate. Gli anti-berlusconiani si fregano le mani, mentre i manager della divisione libri della Mondadori si grattano la testa d’uovo cercando di immaginare cosa ne sarà del fatturato.
Messa così, la partita è tutta a favore di Saviano, creato, allevato, coccolato e meritatamente portato al successo dalla Mondadori. Ironia della sorte, Saviano, una delle icone dell’anti-berlusconismo, è il prodotto di punta di un’azienda del Cavaliere. Anche l’altro scrittore militante, Camilleri, pur pubblicando la sua opera per l’editore Sellerio, ha una serie di volumi da record con il logo della Mondadori. Lenin a questo punto si porrebbe la domanda: che fare? La missione del business editoriale non è granché differente da quella di chi produce tondini di ferro: bisogna stampare buoni libri, venderne più possibile e fare utili.
Saviano e Camilleri sono dunque l’ideale per qualsiasi editore. Ma questo è il punto di vista di chi fa libri. Diversa invece è la posizione di un intellettuale che non si considera neutro o distaccato dalla politica, ma rivendica il suo ruolo interventista nel dibattito pubblico, oltre i suoi libri ci sono dunque le sue idee personali, egli parla fuori dai personaggi della fiction e dentro il suo personaggio di scrittore. Se dipingi il Cavaliere come il Male Assoluto, il Nemico da abbattere, l’uomo che ha distrutto la cultura del Paese, il Mago dell’Imbroglio, un corruttore di giudici e minorenni, se i suoi nemici sono i tuoi amici, se i suoi amici sono per te da considerare alla stregua di complici, allora caro intellettuale, ti devi porre un problema: posso prendere i soldi dal Cavaliere? Posso gonfiare il mio portafoglio con il denaro dell’essere immondo? Io dico di no, perché anche un cretino capisce che questo modo di ragionare è più degno di un trucchista che di uno scrittore che si sente investito della potentissima missione di mandare a casa il cattivo di Palazzo Chigi. Portafoglio a destra e cuore a sinistra? Si può, certamente. Solo che la radiografia del corpo intellettuale rischia di rivelare all’uomo della strada uno stranissimo fenomeno: è il portafoglio che batte.
Mario Sechi
 
 

Il Tempo, 26.1.2011
Montalbano bussa da Silvio
Il partito degli scrittori. Saviano pubblica con Feltrinelli il libro di "Vieni via con me" e Camilleri attacca: "Il mio commissario farebbe come i pm milanesi".

Intellettuali, non c’è dubbio. Ma sempre a senso unico. Guardano le contraddizioni. Ma solo quelle degli altri. Criticano il Cavaliere ma diventano ricchi (con merito) grazie all’azienda di famiglia. Roberto Saviano «prova» lo strappo dalla Mondadori. E Andrea Camilleri schiera il suo commissario Montalbano al fianco del pool di Milano.
[…]
Ieri, poi, è sceso in campo un altro habitué dell’antiberlusconismo militante, Andrea Camilleri. Lo scrittore, in realtà, per attaccare il Cav ha scomodato addirittura la sua creatura più famosa, il commissario Montalbano. Come tratterebbe lui il caso Ruby se gli venisse affidata l’inchiesta? Ma che domande... «Il commissario Montalbano agirebbe nello stesso identico modo nel quale stanno agendo i pm di Milano. Trovate è difficile averne, sarebbero romanzesche e non ce n’è bisogno, basta la realtà a superare la mia stessa fantasia», risponde, senza il minimo dubbio, lo scrittore siciliano. Che poi, neanche a dirlo, anche lui è un autore Mondadori. Anzi, come scrive Alessandro Trocino nel suo Popstar della cultura, è «uno che può permettersi il lusso di consumare una personale vendetta: affidare alle case editrici che non credettero in lui ai tempi della gavetta, come la Mondadori, le sue opere peggiori e riservare le migliori per Sellerio». Il tutto, continuando a far soldi grazie - ma sempre e comunque contro - al Cav.
Nadia Pietrafitta
 
 

Corriere della Sera, 26.1.2011
Camilleri & C. Razzismo antropologico
Il disprezzo (perdente) per chi vota il nemico
In un circolo vizioso, gli ottimati afflitti dal «complesso dei migliori» trovano nella sconfitta la riprova del loro assunto Si tratta di un tic mentale diffuso soprattutto tra gli intellettuali, i comici, gli attori, gli scrittori, i cantanti

Umberto Saba, dopo la batosta del ’48, inveì contro l’orrore della «porca Italia» che aveva osato votare contro gli auspici del grande poeta. Sono invece quindici anni che si replica stancamente il rito dell’invettiva contro alcuni milioni di elettori considerati l’Italia peggiore, ripugnante, corrotta, sciocca, incolta, «barbara». Ora Andrea Camilleri, su MicroMega, porta a compimento la deprecazione indignata contro «l’homo berlusconensis». Non contro Berlusconi, come sarebbe normale per chi lo avversa, ma contro chi lo vota. Disprezzare chi ha contratto il vizio morale di votare contro la tua parte ha un duplice, tonificante effetto. Gratifica l’Ego di chi si sente superiore e si considera titolare del diritto di far parte honoris causa dell’Italia dei «migliori».
Consente inoltre di autoconsolarsi, attribuendo le ragioni della sconfitta non già ai propri errori, ma alla tara genetica degli italiani incapaci di apprezzare chi, incompreso, meriterebbe un destino più favorevole. È una forma di superbia antropologica, che Luca Ricolfi già chiamò (inascoltato) «razzismo etico», che talvolta assume forme macchiettistiche. E infatti non c’è figura più patetica di chi, sentendosi parte di un’aristocrazia spirituale non contaminata dalle bassezze del popolo volgare e grossolano, fa di questa presunzione un titolo di cui vantarsi. Una presunzione, tra l’altro, del tutto arbitraria. E immeritata. Questo sussiego è talmente insopportabile che una parte dell’elettorato, pur di non consegnarsi nella mani della casta dei «migliori», preferisce affidarsi a chi, almeno, non ne fa oggetto di disprezzo e di disgusto antropologico. Se ci si chiede come mai non parta nell’elettorato berlusconiano una vigorosa «rivolta morale» nei confronti della deplorevole condotta del suo leader, pochi alfieri dell’antiberlusconismo antropologico sono disposti a concluderne che l’alternativa proposta a quell’elettorato non è poi così attraente come appare agli occhi degli ottimati. E perciò, come in un circolo vizioso, gli ottimati afflitti dal «complesso dei migliori» trovano in ogni sconfitta l’ennesima riprova del loro assunto: essendo il popolo bue e puerile, massa di manovra imbottita di spot pubblicitari e dunque vulnerabile ai richiami incantatori del Nemico, ergo la minoranza colta e illuminata non potrà che andare incontro a un numero impressionante di sconfitte. Si tratta di un tic mentale per la verità molto più diffuso tra gli intellettuali, gli attori, i comici, gli scrittori, i cantanti che non tra i responsabili dei partiti. A differenza degli intellettuali, infatti, chi ha una responsabilità di partito sente la mancanza di consenso come una maledizione e il recupero del consenso come una missione ineludibile. Ma molto spesso sono gli intellettuali, anziché i leader di partito, a dettare il «tono» generale del discorso, a fissare le priorità emotive del popolo che si riconosce nell’opposizione. Tanto che i leader politici appaiono sempre in difesa, come se dovessero rincorrere l’oltranzismo verbale di chi, nel grido di disprezzo verso l’Italia «inferiore» degli altri, sente vibrare le corde della piazza, le ovazioni dei seguaci, il ruggito del «popolo contro». Ecco perché il razzismo antropologico, oltre a essere una malattia culturale, rischia di diventare anche un permanente e invalidante handicap politico. Invece di conquistare il consenso e strapparlo all’avversario, perpetua una divisione insanabile con la parte maggioritaria, ma corrotta, dell’elettorato. E perciò consegna per sempre quella fetta del popolo tanto disprezzato all’egemonia berlusconiana tanto deplorata. Un boomerang micidiale, che prolungherà i suoi effetti anche alla fine di questa lunga stagione politica di bipolarismo primitivo e di guerra civile strisciante. Quando le due Italie, oggi divise da un muro di disprezzo e di ostilità, dovranno ricominciare a parlarsi.
Pierluigi Battista
 
 

Il Fatto Quotidiano, 26.1.2011
Grazie Belpietro, grazie Pigi (Battista)!

Voglio ringraziare pubblicamente Maurizio Belpietro per il gigantesco spot pubblicitario a MicroMega (per il quale, lo giuro, non ho sborsato né denaro né “altra utilità”) con cui ha riempito per intero le prime tre pagine del suo quotidiano Libero. Se il più efficiente e lesto capo-tifoseria del bunga-totalitarismo arcoriano ha deciso che il numero di MicroMega dedicato a “Berlusconismo e fascismo” è infinitamente più importante della strage dell’aeroporto di Mosca, della crisi in Albania, delle manovre intorno al Corriere della sera, delle esternazioni della Marcegaglia, anzi di tutto questo messo insieme, vuol dire che forse il lavoro che abbiamo fatto con questo numero speciale non è stato inutile. Ha colpito nel segno.
Belpietro pensa che descrivere uno dei più popolari scrittori italiani nel mondo, Andrea Camilleri, e una delle più lucide e capaci giornaliste (anche rispetto ai colleghi maschi), Natalia Aspesi, come degli “odiatori di professione del Cavaliere” assomigli anche vagamente ad una stroncatura. Buon per lui.
Mi auguro che nessuno dei suoi lettori sia indotto in curiosità e vada a leggersi il numero di MicroMega. Potrebbe infatti scoprire, se è un elettore leghista, le quantità industriali di regali di impunità a “Roma ladrona” e alle cricche di regime, che il quasi centinaio di leggi ad personam (minuziosamente catalogate da Marco Travaglio) ha elargito. E se è un elettore che teme le intercettazioni illegali, il mare di “balletti” intrattenuti dal regime con ogni deviazione e soperchieria di apparati segreti, ricostruiti da Gianni Barbacetto. E se è un fautore della “american way of life”, capire grazie a Marco D’Eramo come Berlusconi abbia preso dagli Usa il peggio del passato e rifiutato il meglio del “nuovo” che lì si sperimenta. E se è un elettore cattolico, leggere per intero le parole vere e terribili di un vescovo che prende sul serio il Vangelo, monsignor Nogaro, contro i nuovi “mercanti del Tempio”. E molto altro ancora.
Perciò, di cuore grazie Belpietro!
E voglio ringraziare anche Pigi Battista, che raddoppia.
Ieri Belpietro su Libero, oggi Pigi Battista con un editoriale di prima pagina sul Corriere della sera. Il numero speciale di MicroMega su “Berlusconismo e fascismo” dà proprio fastidio, tanto alle cheerleader del “meno male che Silvio c’è”, quanto a quelle del “un colpo al cerchio e uno alla botte”. Perciò il nostro Pigi, mentre non perde occasione per giustificare il regime putiniano che ha ridotto l’Italia in macerie, sente il dovere di stracciarsi le vesti contro Andrea Camilleri, che su MicroMega ha scritto un saggio su Homo berlusconensis (affiancato dal saggio gemello su Foemina berlusconensis di Natalia Aspesi).
Pensando di bollare d’infamia il grande scrittore, Pigi sfodera la penosa definizione di “razzismo etico” (utilizzata anche da Belpietro) che “gratifica l’Ego di chi si sente superiore e si considera titolare del diritto di far parte honoris causa dell’Italia dei ‘migliori’”. Perché solo “honoris causa”? Camilleri la laurea in “Italia civile”, l’Italia dei migliori, la possiede già per quello che ha fatto e scritto nel corso di una vita. Pigi, invece, appartiene all’Italia del manzoniano “troncare e sopire”, l’Italia dei don Abbondio (“il coraggio, uno non se lo può dare”) nella quale, con questo sgangherato attacco a Camilleri, sembra più che mai deciso a insidiare la pole position di Piero Ostellino.
Paolo Flores d'Arcais
 
 

Panorama, 26.1.2011
L'ultima di Micromega? L'antropologia dei berlusconiani

Il titolo parla da sé: “Berlusconismo e fascismo”. Così come l’indice degli interventi raccolti: si va, infatti, da “Il vero cristiano è antiberlusconiano”, scritto da Monsignor Raffaello Nogaro, al ben più esplicito “Antropoligicamente diversi” del procuratore Gian Carlo Caselli. E ancora: “Golpisti d’Italia” di Gianni Barbacetto, e l’inserto “l’Involuzione della specie” con due interventi, quello di Andrea Camilleri dedicato all’Homo Berlusconensis e quello della giornalista Natalia Aspesi, naturellement, alla Foemina Berlusconensis.
Come avrete già intuito, stiamo parlando della rivista MicroMega, mensile di cultura e politica edito dal Gruppo Espresso e diretto da Paolo Flores D’Arcais, filosofo girotondino ora simpatizzante dell’IdV, ma con posizioni critiche, sorpattutto verso il leader Di Pietro. Per carità, di numeri dedicati al premier, al suo entourage, alle sue vicende giudiziarie e alle politiche del centrodestra se ne contano a dozzine. Anzi. Viene da dire che se non ci fosse stato Berlusconi probabilmente non avrebbero saputo di cosa parlare in questi anni.
Ma un attacco così feroce, anche se in salsa culturale, contro l’altra parte del Paese non si era mai visto. Bersaglio dell’intellighenzia, stavolta, sono proprio gli italiani che votano e si riconoscono nel PdL, la cui colpa sarebbe quella di simpatizzare per il premier - magari anche solo un po’, perché ad oggi è “l’unica alternativa a stesso” (copyright Marcello Pera); cittadini che lo stimano come leader del centrodestra e disposti (perché no?) anche a perdonarne i vizi, dalle ormai note gaffe alle feste ad Arcore.
Ecco, se vi riconoscete - anche solo in parte - nella tipologia abbozzata sopra, allora sappiate che siete catalogabili come “berlusconiani” (Homo o Foemina Berlusconensis, dicono a MicroMega); e che una parte d’Italia, indotta dagli intellettuali di sinistra, pensa di voi più o meno le seguenti cose: siete “un essere che rifiuta la cultura e l’intelligenza, che osanna alle virtù del Capo, che ne invidia lo stile di vita”; siete donne sempre pronte “a denudarsi, a sorridere, ad ammiccare e a tacere” e che “si sentono autorizzate, non sapendo far nulla ed essendo appena carine, a vedere nel mondo televisivo il loro futuro radioso”.
Siete berlusconiani, perché amate “il raggiungimento di certi risultati con la sopraffazione, la prepotenza, la prevaricazione”: insomma, siete “la clonazione più borghese e sciamannata del fascista osannante, in prima fila sotto il balcone di palazzo Venezia”. E pazienza, se credete in Dio e preferite la tradizione alla modernità, la famiglia alla coppia di fatto. Con buona probabilità finirete all’inferno: votando Berlusconi, vi schierate pure contro la Chiesa di Cristo, “che non ci sta a mettere in mora i propri princìpi pur di compiacere quel potere”, come fa la Chiesa di Ratzinger e Ruini; perché, incalza Monsignor Nogaro, siete “complici della ingiustizia e della violenza istituzionali”. Amen.
Massimo Morici
 
 

Italia Oggi, 26.1.2011
Si vede che invecchiando il conduttore dell'Infedele peggiora
Un tempo Gad Lerner non era giustizialista

[…]
Qual è, dunque, il «vero» Lerner? Quello che, 10 anni fa, auspicava lo scioglimento del «partito dei giudici» ed esortava la sinistra a inventarsi nuove idee, liberandosi del dannoso «complesso dei migliori»? Oppure il Gad lancia in resta, come Santoro, contro il premier sulle escort, che si presenta come il portavoce dell'involuzione di ampi settori dei progressisti da libertari a oscurantisti, bacchettoni e giustizialisti? E non riesce, o non vuole, distinguersi da chi, come l'attempato scrittore Camilleri, disprezza i milioni di elettori del Pdl come una massa di «idioti, che hanno un culto cieco della personalità del Capo e sono la clonazione del fascista osannante sotto Palazzo Venezia?».
Pietro Mancini
 
 

La Sicilia, 26.1.2011
Scrittori
Ci manca Sciascia per illuminare la via
A fare la staffetta potrebbe essere Camilleri se non fosse troppo impegnato nei suoi racconti

Dove sono gli scrittori siciliani di forte temperamento civile? Morto Leonardo Sciascia siamo rimasti orfani, senza nessuno che ci illumini la via. E' scomparsa anche la Sellerio, geniale ricercatrice di talenti. Direte che c'è ancora Andrea Camilleri, ma lui scrive racconti, certamente affascinanti, usa lo scenario siciliano per quel che gli serve, ma non ha, e non la ricerca, la passione politica e laica di Sciascia. Distilla episodicamente i suoi pensieri politici, perché ne ha eccome, ma non entra nella mischia, non apre spazi di riflessione sociale. E' troppo scettico e preferisce chiudersi nel suo privato. Potrebbe, se volesse, dirci delle cose sulla Sicilia, sull'Italia, ma si astiene, forse per una forma di snobismo intellettuale che guarda al mondo con la stanchezza ritrosa della sua età.
Un po' come Gesualdo Bufalino, il finissimo scrittore di Comiso che ci ha dato splendidi esempi narrativi. Ma quando gli abbiamo chiesto perché non facesse come Sciascia, addentrandosi negli oscuri vicoli della realtà siciliana, ci rispose: «Non è necessario che lo scrittore affronti temi politici, deve solo esprimere nelle pagine i suoi sentimenti personali. Sciascia che mi ha scoperto è diverso, un pezzo unico, non posso essere come lui». Peccato Gesualdo, con la sua fragilità umana, la vecchia madre da accudire, la briscola con gli amici al circolo di Comiso, la sua fidanzata di Vittoria, più esile e tenera di lui, che era stata sua alunna. E poi la morte banale su una strada scivolosa per la pioggia. Una morte senza sofferenza, senza drammi, anonima, anch'essa scivolata nel ricordo.
L'unico che era come un faro che illumina la notte è Sciascia, sulla cui tomba di Racalmuto è scritto: «Ci ricorderemo di questo pianeta». Pianeta che continua a ricordarlo a 21 anni dalla morte perché i suoi libri sulla Sicilia e sulla politica non hanno tempo: «Le parrocchie di Regalpietra», «Il giorno della civetta», «A ciascuno il suo», «Toto modo», «Candido», «L'affaire Moro». Se Pirandello fu un gigante del teatro che scrutava le sofferenze dell'anima, Sciascia lo fu della letteratura impegnata nel sociale. Quando andai a trovarlo nella sua villetta di contrada Noce, a Racalmuto, stava scrivendo sulla sua Lettera 22 azzurrina il libro su Moro e mi colpì una sua affermazione: «Nessuna ragion di Stato vale la vita di un uomo». Per lui era stato uno sbaglio gravissimo aver sacrificato Moro alle logiche politiche.
Ecco perché ci manca uno come lui che sappia ergersi a coscienza critica della nostra società, soprattutto quella siciliana che ne avrebbe gran bisogno. E se fosse vissuto ancora qualche anno chissà cosa avrebbe potuto scrivere dell'uccisione di Falcone e Borsellino, i magistrati che hanno cercato con il loro sacrificio di riscattare la Sicilia dalla mafia. Purtroppo gli uomini passano e le vicende della vita stritolano la loro memoria come uno schiacciasassi.
C'era uno scrittore siciliano impegnato nel sociale ed era Pippo Fava, la cui dimensione non è stato possibile misurare compiutamente perché anche lui è stato ucciso nel pieno della maturità. Il suo «Processo alla Sicilia», pubblicato a puntate dal nostro giornale e poi raccolte in volume è ancora una pietra miliare per chi vuole avere un quadro della situazione dell'Isola trent'anni fa, magari per fare il paragone con quella di oggi.
La verità è che la Sicilia è terra che ha sempre dato grandi scrittori, basterebbe ricordare De Roberto, Verga e Brancati, ma ora la linfa vitale pare essersi esaurita. Ci sono dei tentativi lodevoli, ma questi autori, tra cui annoveriamo Pietrangelo Buttafuoco, non hanno la visibilità necessaria e l'età necessaria per poter insegnare a tutti. In qualche modo lo stesso vale in campo nazionale, con l'unica eccezione di Roberto Saviano, che però è stato fagocitato da una parte politica che lo esibisce nei talk show televisivi senza dargli la possibilità di esprimere il suo talento privo di condizionamenti di interesse politico, per cui ne risulta forzatamente uno scrittore dimezzato. La prova è che il suo prossimo libro è una raccolta dei monologhi della trasmissione televisiva «Vieni via con me». Un modo sbrigativo per tenere la scena senza spremersi il cervello.
L'unico su cui sarebbe stato possibile fare leva è rimasto Andrea Camilleri, perché ha carisma, notorietà, conoscenza profonda delle cose. E' di sinistra, ma con equilibrio e senza accanimento di parte. Lui poteva essere un altro Sciascia, un siciliano ardente di pensiero e di scrittura. Ma doveva essere meno assillato da esigenze editoriali e televisive per potersi dedicare ai problemi che opprimono la sua e nostra terra. Ne abbiamo bisogno in un mondo che cambia così velocemente, per capire come siamo e dove andiamo. Ma adesso a 85 anni è chiedergli troppo.
Tony Zermo
 
 

Gazzetta del Sud, 26.1.2011
Quando Shakespeare scriveva storie in dialetto siciliano
Il libro di Camilleri e Dipasquale

E se davvero Shakespeare fosse siciliano? Se davvero, come sostengono alcuni, dietro al nome del più celebre drammaturgo inglese si celasse in realtà tal Michelangelo Agnolo Florio Crollalanza, quacchero nato nel 1564, autore di molte tragedie e commedie, in fuga dalle persecuzioni religiose per tutta la Sicilia e poi a Venezia, prima di trovar rifugio in Inghilterra?
«Ci piacerebbe, per amor di patria», ammettono Andrea Camilleri, papà del commissario Montalbano e autore di tanti testi teatrali, e Giuseppe Dipasquale, regista e attuale direttore dello Stabile di Catania. Insieme i due rilanciano l'annosa questione, firmando "Troppu traffico ppi nenti" (Mondadori, pagg. 220, euro 11,00): un dittico che mette uno accanto all'altro l'archetipo e l'originale di "Molto rumore per nulla". Ovvero il testo, tutto in siciliano, firmato da Crollalanza e oggi ritrovato nelle polverose casse di un teatro e il testo "ufficiale", nella traduzione italiana curata da Masolino D'Amico, della commedia amorosa ambientata alla corte di Messina durante la preparazione del matrimonio tra il conte Claudio e la sua bella Ero.
Domandare quale sia l'archetipo e quale l'originale, se "Troppo trafficu ppi nenti" ("Troppo traffico per niente") sia la fonte o la traduzione di "Molto rumore per nulla", è come chiedere se davvero dietro al Bardo si nascondesse il Crollalanza, se davvero "Crolla lanza", ovvero "Crolla lancia" sia letteralmente diventato "Shakespeare". La questione, spiegano Camilleri e Di Pasquale, è tipica del carattere siciliano «che ama complicarsi l'esistenza in un continuo "arravugliarsi" su se stesso», proprio come l'intricatissima vicenda della commedia. Un dolce arruvugliarsi, però, se rileggendo passo dopo passo la storia di «Liunatu, signori di Messina», di Eru sua «figghia», del «giuvini signori Claudio» e di Don Petru «principi di Aragona», i due ammettono di aver ceduto all'immaginazione, con «una Messina in mezzo al Mediterraneo così come Shakespeare se la poteva immaginare: esotica, viva crocevia di magheggi, che avrebbero fatto di una festa nuziale il complicato intreccio per una giostra degli intrighi. Immaginiamo che tutto ciò sia il frutto di un carattere tipicamente mediterraneo, se non propriamente siciliano – scrivono – ed ecco che potremo anche credere, anche solo per una volta, che William Shakespeare, di Stratford, sia potuto essere quel tale Michele Angolo Florio Crollalanza partito in fuga da Messina. Poiché non c'è nulla di più meravigliosamente siciliano che il potere complicare, da un dato semplice, una vicenda fino a farla diventare surreale».
Sandro Sarti
 
 

Il Giornale, 26.1.2011
Minima culturalia
Scomparso il divismo dello spettacolo, un altro spettacolo mediatico ha preso il sopravvento sui nostri schermi: il divismo della cultura – Tipini fini come Roberto Saviano, Giovanni Allevi, Carlo Petrini, Beppe Grillo, Mauro Corona e Andrea Camilleri hanno preso il posto dei Sordi e dei Manfredi – Un libro fa il contropelo ai nostri eroi: cambiato il prodotto, il marketing non cambia...

Conformisti, sentimentali, retorici, apocalittici, nostalgici, cialtroneschi, narcisisti. Sono gli intellettuali italiani. Anzi, le popstar della cultura italiana, perché gli intellettuali sono scomparsi da tempo, sostituiti dagli opinionisti. Hanno un successo di massa, prosperano nei media, si nutrono di marketing, producono opere che un tempo si sarebbero definite midcult: hanno l'aspetto della cultura d'alto profilo ma sono un compromesso al ribasso, una falsificazione attuata a fini commerciali. Queste sono le premesse di Popstar della cultura (Fazi, pagg. 219, euro 18) di Alessandro Trocino.
Sottotitolo: «La resistibile ascesa di Roberto Saviano, Giovanni Allevi, Carlo Petrini, Beppe Grillo, Mauro Corona e Andrea Camilleri». Sei brevi biografie ironiche per illustrare come si diventa maître à penser, pur non disponendo di un penser. Un semplice campione, spiega l'autore. Molti altri personaggi avrebbero potuto essere inclusi nel libro: da Tiziano Terzani, forse il capostipite, a Roberto Benigni, passando per i fratelli Muccino, Maurizio Cattelan, Fabio Fazio, Massimiliano Fuksas, Alessandro Baricco, Nichi Vendola.
[…]
ANDREA CAMILLERI
Il Sommo, come lo chiamano i suoi fan, dichiara e scrive a tutto spiano. Rimpiange il Partito comunista, verga poesie contro re Silvio da Arcore, depreca la decadenza dei costumi. Amato dal pubblico, meno dai critici (Massimo Onofri: «un atleta delle classifiche»), nonostante faccia professione di anticapitalismo è ben attento a fornire al mercato tutto quello che il mercato richiede. Infatti sforna romanzo dopo romanzo senza sosta (già due nel 2011). Progressista convinto, rimpiange i tempi andati: «Io sotto il Fascismo ero più libero di voi», dice alle platee di ragazzi. Vallo a dire anche ai fratelli Rosselli.
Alessandro Gnocchi
 
 

La Sicilia, 27.1.2011
I 150 anni d'Italia visti dai siciliani

Parigi. Andrea Camilleri, un grande geniale scrittore che tanto ha scritto sull'Unità d'Italia senza risparmiare critiche ai modi in cui fu realizzata. Massimo Ghini, un attore dall'intuito e la curiosità sempre più vivi.
Il comune desiderio di far scoprire la nostra storia. Il 150mo dell'Unità della penisola. Sono gli ingredienti del successo di un originale spettacolo che ha debuttato a Parigi, «Cannibardo e la Sicilia, ovvero l'Unità d'Italia vista dai siciliani», nato da un'intuizione di Ghini quando venne chiamato all'Onu per leggere un carteggio tra Garibaldi e Lincoln. «Non ne conoscevo l'esistenza, non sapevo che Lincoln chiese al nostro eroe di andare a comandare l'esercito americano, e ho capito che conosciamo male il Risorgimento , che c'è tanta storia non raccontata».
Applaudito dal folto pubblico che ha gremito i saloni dell'Istituto italiano di cultura, lo spettacolo prodotto da Tunarte con la regia di Ghini e Giuseppe Di Pasquale direttore dello Stabile di Catania, è il primo degli eventi parigini per questo importante anniversario dedicati ai «libri dell'Unità», ha spiegato la direttrice Rossana Rummo preannunciando tra gli altri Sandro Veronesi, Umberto Eco, Antonio Tabucchi, ciascuno dei quali «adotterà uno dei grandi libri del passato, importanti per la nostra identità».
Camilleri, rimasto a Roma per motivi di salute ma presente dapprima con un saluto via Skype poi con letture registrate in video di brani dei suoi cinque romanzi storici, ha raccontato le speranze suscitate dallo sbarco di Garibaldi in Sicilia, l'entusiasmo con cui il popolo andrò alle urne e nell'ottobre 1860 tributò una «maggioranza bulgara» all'annessione dell'isola al regno d'Italia, le delusioni per la politica postunitaria.
Sul palco, Massimo Ghini affiancato da altri due eccellenti attori, Vincenzo Crivello e Mimmo Mignemi, ha dato vita ad alcune delle pagine più significative, gustosi spaccati sull'attracco del «legno inglese» con a bordo il re, l'arrivo di funzionari dal nord a sostituire i borbonici con le conseguenti difficoltà di comprensione che hanno permesso a Ghini di dar prova di una straordinaria capacità di passare da un dialetto all'altro. E poi il brigantaggio, la prima rivolta contro lo stato unitario, il colera «sparso dal governo per eliminare i siciliani e aumentare le tasse». E per finire, l'Italia più recente: su disegni di Stefano Disegni, Ghini ha letto passaggi da «Il Commissario Collura» che indaga su un misterioso miliardario che durante una crociera si spaccia per cantante, per rievocare quando da giovane, cantava sulle navi da crociera. Qual è il libro adottato da Camilleri? La Costituzione italiana, regalata al pubblico con la sua firma.
Antonella Tarquini
 
 

La Stampa, 27.1.2011
Arte e cultura
La valle dei templi e di Montalbano
Agrigento: il fascino dell’archeologia si sposa con i luoghi di Camilleri

Sicilia dei templi e dei mandorli, delle memorie letterarie di Tomasi di Lampedusa, di Pirandello, di Sciascia, i giganti che hanno respirato e raccontato quest’aria. La Sicilia dove si muove il commissario Montalbano, che la fiction ha trasportato più a Est, nel barocco telegenico di Ragusa, ma che qui è stato concepito, e vive tra questi paesi di splendori e cemento. Agrigento, la Akragas dei greci che vi realizzarono quello che è oggi il parco archeologico più grande del mondo con i suoi dieci templi dorici, le necropoli, i santuari, visitati da 600 mila visitatori ogni anno. La Gergent degli Arabi, Girgenti fino al 1929 quando il fascismo le diede il nome dell’età imperiale romana.
La terra che fronteggia l’Africa, dove la primavera sboccia due mesi in anticipo rispetto al calendario. Nel cuore dell’inverno, il 4 febbraio, si apre la sagra del Mandorlo in fiore, da sessantasei anni la kermesse siciliana del folclore internazionale, un appuntamento fisso nell’agenda dei tanti emigrati dispersi in mezzo mondo e per i turisti che arrivano a respirare l’aria di una tradizione fatta di carretti e tarantelle, ma anche di musica di qualità. Incoraggiati dal clima mite che quasi mai tradisce le attese, gli alberi si vestono di petali bianchi e profumati, un colpo d’occhio che avvolge gli antichi colossi dedicati agli dèi.
«Mai visto in tutta la mia vita uno splendore di primavera come stamattina al levar del sole», scriveva Goethe nel 1786 decantando il colpo d’occhio di verde, mare e templi in un colpo solo. Splendore insidiato nell’ultimo secolo dalla speculazione, dall’abusivismo, dall’incuria ma con un così grande capitale di partenza da resistere a tutto. D’altronde, i picchi e gli abissi sono nel Dna di questa città, fondata dai greci nel 581 avanti Cristo e diventata secondo Pindaro «la più bella città dei mortali», poi distrutta dai Cartaginesi nel 406, e ancora ricostruita e ripopolata. Di quella stagione resta una Valle dei Templi che è patrimonio mondiale dell’umanità e che custodisce una piccola gemma: il giardino della Kolymbetra, da dieci anni affidato al Fai, cinque ettari di meraviglie paesaggistiche e botaniche irrigate secondo le tecniche arabe, un posto che - diceva l’abate di Sant Non - «somiglia alla valle dell’Eden o a un angolo della terra promessa». Città, Agrigento, transitata dalla crudeltà di tiranni come Falaride (passato alla storia per usare come strumento di tortura un toro di bronzo cavo e rovente) al regime democratico del filosofo Empedocle, che rifiutò il potere offertogli dal popolo e diede il via alla stagione d’oro, il tempo in cui - diceva lui stesso - «gli akragantini costruiscono case e templi come se non dovessero morire mai e mangiano come se dovessero morire l’indomani».
A lui è dedicata Porto Empedocle, il paese dove è nato Camilleri, la Vigàta del commissario Montalbano che qui si delizia con triglie allo scoglio dell’osteria San Calogero, che esiste davvero in via Roma. Il vecchio sindaco aveva fatto pure un referendum per aggiungere il nome letterario a quello vero e aveva fatto piazzare i nuovi cartelli agli ingressi del paese. Il successore li ha tolti in nome della verità, ma progetta di realizzare in piazza una statua a Montalbano che somiglierà a Luca Zingaretti.
Ma è tutto il mondo di Camilleri che ruota qui, nella Sicilia del Sud: dalla Merfi che in realtà è Menfi, con i suoi vigneti che declinano su un litorale amato da intellettuali che fuggono la folla, a Fiacca che è Sciacca, con l’isola Ferdinandea emersa nel 1834 per pochi giorni e poi di nuovo scomparsa sott’acqua. E ancora Fela, la Gela deturpata dal petrolchimico e dal cemento; Raccadali, che in realtà si chiama Raffadali; Montelusa, che è il nome preso a prestito dalle novelle di Pirandello con cui Camilleri chiama Agrigento.
Già, Pirandello, l’interprete della «corda pazza» siciliana che qui si esprime più che altrove, come se la realtà si trasfigurasse sotto questo sole che è una anticipo d’Africa. Qui c’è la casa-museo dove lo scrittore è nato, qui le sue ceneri, anche se il pino secolare che le vegliava è stato spazzato via anni fa da una tromba d’aria. Leonardo Sciascia teneva la sua fotografia sulla scrivania, nella vicina Racalmuto. E anche lì vale la pena fare un giro, alla Fondazione che ospita le sue lettere, tra i luoghi dove cercò rifugio dalle persecuzioni del Sant’Uffizio il frate libertario Diego La Matina, protagonista del suo Morte dell’Inquisitore. E poi c’è anche Palma di Montechiaro, la città degli avi di Tomasi di Lampedusa, con il palazzo del Gattopardo. E ancora Naro, dove la sagra del Mandorlo in fiore nacque nel 1934 come festa contadina, prima di migrare ad Agrigento e diventare kermesse internazionale ispirata alla pace e tra i popoli. Ambizione conclamata dalla tradizionale accensione del Tripode dell’amicizia come a un’Olimpiade. Davanti al tempio della Concordia, vicino agli dèi.
Laura Anello
 
 

Il Centro, 28.1.2011
Eventi culturali, l’editore Leone «A maggio in città arrivano i big»

L’Aquila. «A maggio in città ci sarà un grande fermento di cultura». L’editore Paolo Leone replica alle affermazioni di Lelio De Santis (Idv) sulla cultura. «Dal 25 al 29 maggio, per la prima volta in città, si terrà una fiera dell’editoria indipendente organizzata dalla casa editrice Arkhé. Un giovane imprenditore, con la sua esperienza nel campo e l’entusiasmo del suo giovane, staff porterà personaggi come Andrea Camilleri, Dacia Maraini, il vincitore del premio Bancarella 2009 Donato Carrisi, Paola Calvetti, Daria Bignardi, Maurizio Maggiani, Piero Dorfles, Gaetano Savatteri, Mauro Corona, John Hooper, Daniele Biacchessi, Walter Siti, Umberto Longo, Luisa Prayer, Silvia Manco e tanti altri ancora». «L’evento», scrive Leone, «sarà un ordinato contenitore di libri, convegni, dibattiti, mostre, percorsi didattici per scuole, reading, performance teatrali e musicali, oltre che personali di pittura e scultura, esposizioni delle eccellenze dell’alto artigianato locale che fanno grande il nome dell’Aquila nel mondo. Tutto questo con la collaborazione del Salone del libro di Torino, la Scuola Holden di Baricco, l’associazione culturale Librialsole e la fondazione De André onlus, che con generosità ci ha messo a disposizione il titolo “Volta la carta”. E il titolo non è a caso. Il Comune, con l’assessore Stefania Pezzopane, ha appoggiato il progetto da subito e con grande entusiasmo, mettendosi a disposizione. Siamo convinti che iniziative del genere debbano partire dai cittadini, aziende o privati. Abbiamo utilizzato la nostra esperienza nell’ideare iniziative e realizzarle. Il ruolo delle istituzioni deve piuttosto essere di sostegno laddove di loro interesse, soprattutto in un contesto complicato come quello in cui viviamo dove la politica ha ben altri drammi a cui pensare. Siamo aperti al confronto con chi, per maggiore esperienza nelle istituzioni, sia intenzionato a darci una mano sui nostri progetti».
 
 

La7 - Bookstore, 29.1.2011
Andrea Camilleri
Intervista di Alain Elkann in occasione della presentazione de “La moneta di Akragas” (Roma, 26.1.2011)
Cliccare qui per vedere l'intervista
 
 

Giornale di Brescia, 29.1.2011
Camilleri
La moneta del riscatto
La moneta di Akragas, Andrea Camilleri, Skira, 112 pagine, 15 euro

Un'antica moneta più unica che rara, un dono, un delitto, un'indagine, un riscatto... «È una specie di grossa fiaba per adulti e mi divertiva raccontarla attraverso una moneta», spiega Andrea Camilleri. Che aggiunge: «Se non avessi il piacere della scrittura sarebbe un inferno a scrivere tutti questi libri».
«La moneta di Akragas» è dunque una favola. Ma prende le mosse da una storia di famiglia. A casa Camilleri si narra da sempre di questo lontano parente, medico e numismatico, che ebbe in dono da un contadino una piccola moneta d'oro ritrovata in un terreno alle porte di Agrigento. E si racconta anche che quella moneta il medico l'avesse poi donata a Vittorio Emanuele III. Più d'uno spunto, quindi, per una fantasia fervida come quella di Camilleri.
La fiaba non può avere la misura d'un romanzo, al massimo quella di un racconto lungo. In cento pagine attraversa più di duemila anni. A cominciare dalla conquista di Akragas - l'Agrigento greca - da parte dei Cartaginesi, nel 406 a. C. Nell'alba gelida di quel Solstizio d'inverno, un pugno di monete d'oro vengono scagliate contro la malasorte: ultimo gesto di un soldato morso da una vipera proprio quando pensava d'aver salvato la pelle. Una di quelle monete la ritrova uno zappatore, la mattina del 20 dicembre 1909. E pensa di donarla a Stefano Gibilaro, il medico di Vigàta che anni prima gli aveva salvato la gamba dall'amputazione. Ma il dottore, appassionato numismatico, appena la vede tanto s'emoziona che cade da cavallo...
Ogni cosa alla fine andrà secondo il volere della moneta.
Il racconto narra della Sicilia quand'era fulcro di tutta l'Europa. Parla del tremendo terremoto che distrusse Messina nel 1908. E del clima degli inizi dell'Italia unita: non è un caso che il dott. Gibilaro si senta come un fratello con l'inviato sabaudo, il marchese Giustino di San Lorenzo; il quale, a sua volta, da buon piemontese, è interessato alla moneta ma anche alla tradizione vitivinicola siciliana.
Come tutte le favole, a saperla leggere, offre più d'uno spunto di riflessione. Il divertimento è garantito dalla premiata ditta Camilleri.
Claudio Baroni
 
 

Stato Quotidiano, 29.1.2011
Macondo – La città dei libri
L’Italia secondo Camilleri
Andrea Camilleri-Saverio Lodato, “Di testa nostra. Cronache con rabbia 2009-2010”, Chiarelettere 2010
Giudizio: 3/5 – Impietoso

Proviamo a leggere il mondo dagli occhi di Andrea Camilleri. Con quegli occhiali spessi, l’accento rauco siciliano, la voglia di dire no un giorno fisso e l’altro pure. Proviamo a dire no con le parole più semplici che conosciamo, in maniera non volgare, sempre giocando tra un lato e l’altro del filo che può farci cadere nel baratro del’incertezza e del dubbio. Dovremmo avere 86 anni ed una storia di lavoro e scrittura alle spalle, una serie di delusioni grandi così. Ma, soprattutto, tanto coraggio grande almeno quanto l’energia che abbiamo in corpo.
Non deve essere semplice essere nei panni di Camilleri, circondato di lettori che implorano di dar seguito alle avventure di Salvo Montalbano. Quel commissario che nei libri ha in dotazione una bella chioma grigia ma che tutti ormai vedono con la pelata di Luca Zingaretti. Non deve essere facile essere radicale in un mondo che, pur presentandosi spigliato sino al fastidio e sboccato da censura con bollino, sottende vaste oasi di pensiero benpensante.
Lui, figlio di un fascista della prima ora, partecipe attivo della Marcia su Roma. Lui, un diploma ottenuto senza esame per lo sbarco Alleato. Lui, scacciato da un collegio per aver tirato uova contro un crocifisso, in questo paese deve sentirsi stretto, disagiato. Forse anche un tantino sconfitto. Non tanto per la storia del clericalismo, sia chiaro. Quanto più per la costanza con cui il mondo che lo circonda s’impegna a rinnegare se stesso.
2009 e 2010 di Andrea Camilleri sono racchiusi nel testo edito da Chiarelettere intitolato “Di testa nostra”. Laddove, quell’attributo possessivo ha senso vigente in quanto espressione della zucca anche di Saverio Lodato, giornalista de l’Unità, complice dei peggiori di Camilleri nonché curatore del libro. Due anni di Lodato-provocazioni e di Camilleri-pensiero racchiusi in circa duecento pagine. Pagine dure, ironiche, talora addirittura blasfeme nei confronti di un modus cogitandi diffuso. Un manuale della libertà di pensiero e dell’indipendenza contenente tutte le tematiche più in voga, tutti gli argomenti scottanti, sotto la lente d’ingrandimento camilleriana.
Indiscusso protagonista, il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, maciullato verbalmente e bastonato con sagacia spietata. E, attraverso lo specchio di Arcore, come in quello fatato del regno della strega di Biancaneve, si possono vedere tutte le magagne di un sistema al tracollo, tutti i sintomi da crollo dell’impero: Noemi Letizia e L’Aquila, Gheddafi ed i processi per corruzione, la guerra in Iraq e le leggi ad personam. È il Cavaliere il bersaglio favorito dello scrittore sicilano. Lodato lo sa e martella. Camilleri ringrazia, prende la rincorsa e parte ventre a terra. Colpendo direttamente: “Demonizzando Berlusconi si fa il suo gioco? Credo, al contrario, che sia il tacere a fare il suo gioco” o “Il problema si fa grosso quando un nano si crede Dio”. Ed indirettamente: “Quando Riina manifestò il proposito delle stragi, Provenzano fece un sondaggio fra imprenditori, politici e massoni. Ma i risultati non li divulgò. Il pentito Giuffrè riuscì a sapere che alcuni industriali del Nord si erano dichiarati favorevoli all’uccisione di Falcone e Borsellino”.
Capitolo dopo capitolo, che sarebbe come dire colloquio dopo colloquio, prende corpo tutta la vasta prosopopea delle vulnerabilità del sistema politico italiano, tutto l’andazzo zoppicante della società dello Stivale, adagiata miseramente su un letto fatato della cui inesistenza potrebbe venire a conoscenza in maniera brusca, capitombolando. Un libro che potrebbe essere utile per gli studiosi avvenire. Chiudiamolo in un baule e mandiamolo in orbita. Fra due, trecento anni, qualcuno lo troverà.
Piero Ferrante
 
 

30.1.2011
Andrea Camilleri e il Camilleri Fans Club
Incontro col Presidente del Camilleri Fans Club nell'ambito delle attività della sezione dell'Auser di Castelbuono (PA).
Ore 16:30, Sala delle Capriate dell'ex convento di S.Venera (Badia).
 
 

Il Giornale, 30.1.2011
Vi raccomando queste raccomandazioni
Per farsi pubblicare un libro è indispensabile saper coltivare le relazioni giuste con le persone giuste
Uno scrittore ve ne fornisce l’elenco aggiornato: dalla Lipperini alla Sgarbi e da Mieli a Lagioia

Volete pubblicare un romanzo? Per favore non rivolgetevi a me, non ne posso più. Certo, con gli anni ho imparato a difendermi, e gli aspiranti li mando tutti da chi detesto, usandoli come un’invasione di cavallette: «Vai da Scurati, a mio nome, ti aiuterà sicuramente». Ma oggi, in esclusiva per il Giornale, vorrei rendere un servizio pubblico a me stesso svelandovi da chi dovete farvi raccomandare o meno per trovare un editore.
[…]
Se volete giocare la carta delle parentele sappiate che sono influenti solo quelle dei bestselleristi: Camilleri è riuscito a far pubblicare il genero Francesco De Filippo, Carofiglio ha infilato il fratello Francesco e la madre Enza Buono a Marsilio.
[…]
Massimiliano Parente
 
 

RagusaNews, 31.1.2011
Signori, Montalbano sono
Cambia attore e regista perchè si racconta il commissario da giovane

Ragusa - Si torna a girare Montalbano in provincia di Ragusa. Accadrà a partire da febbraio quando si gireranno sei nuovi episodi. Ma questa volta non sarà Luca Zingaretti ad interpretare il commissario più famoso della tv ma il trentenne attore pugliese Michele Riondino. Cambia anche il regista. Non sarà Sironi, ma a dirigere le sei puntate prodotte sempre dalla Palomar di Carlo degli Esposti, sarà Gianluca Maria Tavarelli, regista di “Paolo Borsellino” e “Le cose che restano”. Nessun litigio, per carità, ma questa volta si racconterà Montalbano da giovane, alle prese con l'avvio della sua carriera, con le sue prime indagini. Trentuno anni, di Taranto, richiestissimo dal cinema italiano, eclettico e trasformista, Michele Riondino ha esordito nella serie televisiva “Distretto di Polizia”, dove ha recitato per tre stagioni, dal 2003 al 2005. Poi tanti altri successi. Riondino ha da poco finito di girare proprio in Sicilia, per Rai Fiction, la serie “Il segreto dell'acqua”. In questi giorni si sono svolti dei primi sopralluoghi da parte dei delegati di produzione e degli sceneggiatori. Confermata ancora una volta il borgo di Punta Secca e in generale il territorio ibleo come set principale delle nuove puntante sulle storie del “giovane” Montalbano. Il sindaco di Santa Croce, Lucio Schembari, che ha saputo della presenza di parte della troupe soltanto ieri, si dice soddisfatto “perché sicuramente l'effetto della Montalbanomania proseguirà anche con questa nuova importante serie”.
Il Montalbano adulto resterà immutato. Stesso cast, stesso regista.
Michelangelo Barbagallo
 
 

 


 
Last modified Wednesday, August, 31, 2011