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RASSEGNA STAMPA

MARZO 2017

 
Il Recensore.com, 1.3.2017
La mossa del cavallo
Nella collana “La memoria”, Sellerio riedita La mossa del cavallo (2017) di Andrea Camilleri, uno dei più intelligenti, spassosi, esemplari romanzi del Maestro siciliano, pubblicato per la prima volta da Rizzoli nel 1999 e oggi considerato un classico.

La casa editrice siciliana ripropone il romanzo poliziesco ambientato nella Sicilia del XIX secolo con una nota dell’autore appositamente scritta per questa edizione. “La mossa del cavallo di Bovara è il recupero del dialetto siciliano. E quindi potersi muovere agevolmente dentro il dialetto ritrovato e rivoltare a suo beneficio il senso e il significato delle parole”.
L’azione del libro si svolge nel 1877 e trae spunto da un episodio raccontato da Leopoldo Franchetti nel suo saggio “Politica e mafia in Sicilia” scritto nel 1876 e pubblicato nel 1995 dall’editore Bibliopolis di Napoli. Il ragioniere Giovanni Bovara, nato a Vigàta in Sicilia ma trasferitosi a soli tre mesi d’età a Genova, viene mandato nell’isola come Ispettore Capo dei Mulini dopo che i due che l’hanno preceduto sono morti ammazzati. A Vigàta rimane invischiato nei potentati locali, dal prete ai politici, agli uomini d’onore a infidi azzeccagarbugli che gli mandano messaggi in codice che Bovara, integerrimo funzionario, non può capire. Va dritto per la sua strada, che è quella della legge, e ragiona in dialetto genovese, ma è proprio questo che gli impedisce di cogliere la rete che lo va stritolando. Così quando viene ucciso Artemio Carnazza, un prete avido, corrotto, donnaiolo e in fama d’usuraio, l’unica maniera per difendersi dalla paradossale situazione in cui si è venuto a trovare, quella di essere accusato del delitto che ha denunciato, è la mossa del cavallo.
Giovanni Bovara dunque si mette non solo a parlare ma anche a pensare in siciliano, un dialetto che credeva d’aver perso, ma che sboccia spontaneo dalle sue labbra e si rivela la chiave per comprendere l’accaduto e soprattutto per dare scacco a chi controlla un paese intero. Insomma una autentica provocazione che rovescia la trappola fabbricata per lui. La connessione delle lingue: l’italiano postunitario, le parole della burocrazia, i dialetti genovese e siciliano; basta trovare il codice giusto per risolvere il corto circuito e accedere alla soluzione. Ed è questo che rende questo romanzo (che al racconto alterna verbali, documenti, corrispondenze e articoli fittizi), unico e uno dei più felici di Andrea Camilleri: per la scena animata e umoristica e il rovesciamento dei ruoli, per l’irrisione dei siciliani, fra cadaveri che appaiono e scompaiono, testimoni che si volatilizzano, parole sussurrate a mezza voce, una farsa tragica.
Se è vero che i Camilleri sono almeno due, quello del poliziesco e quello della memoria storica; nel romanzo “La mossa del cavallo” i due Camilleri convivono felicemente. Meravigliosa la scena nella quale, in uno scambio di battute tra la tragedia e la farsa, il “parrino” Artemio Carnazza denuncia all’ispettore dei Mulini il nome del suo assassino, cioè suo cugino (“cuscinu”) con il quale si contrastava da anni per certe proprietà. “Mo…ro mo…ro cu…scinu… Fu… fu… moro… cuscinu”. “Vuole un cuscino?” gli spiò Giovanni intordonuto. “Ffffff…. aaaaaa… nnnnnn… cu… lo…» disse il parrino e morì”.
Alessandra Stoppini
 
 

La Stampa, 1.3.2017
Il simposio francese
Pubblichiamo un estratto dell'intervento di Francesco La Licata, contenuto nel volume "La storia, le storie. Camilleri, la mafia e la questione siciliana" pubblicato lo scorso gennaio (Università degli Studi di Cagliari) nell'ambito dei "Quaderni camilleriani" (La Collana di Rhesis). Il volume, a cura di Camillo Faverzani e Dario Lanfranca, raccoglie gli atti di un convegno svoltosi all'Università Paris8, per iniziativa del Département d'Etudes italiennes.

Il senso di Montalbano per la mafia invisibile
Escono gli atti del convegno parigino dedicato a Camilleri. Ecco uno stralcio dell’intervento di Francesco La Licata

Più d’una volta le critiche, le recensioni (soprattutto dei romanzi montalbaniani tradotti poi in fiction) hanno fatto registrare la contestazione principe che viene rivolta spesso agli autori siciliani: «Sì è valido, però non affronta il problema della mafia» che è una presenza quasi permanente nella vita quotidiana degli isolani. È vero: questo nodo della mafia, ma più ancora quello della lotta alla mafia e dell’impegno contro il potere oscuro, è un tema quasi obbligatorio per i narratori siciliani che vogliano raccontare la loro terra. E ci vuol poco a «vestire» (passateci l’accezione camilleriana) la «diversa attenzione» verso coppola e lupara con gli abiti di colpevole sottovalutazione se non addirittura di imperdonabile negazionismo.
La mafia, intesa come totalizzante impero del male, in effetti non emerge nei racconti che vedono protagonista quel commissario Salvo Montalbano, sicilianissimo, ma davvero atipico perché lontano dallo stereotipo di uomo imbelle e rassegnato. Non emerge nel senso che il mafioso non è mai il protagonista delle storie. Tuttavia l’onorata società non è che non esista nelle trame: c’è ma non sta in primo piano per esplicita volontà dell’autore che dichiara apertamente di non voler contribuire al consolidamento del mito della mafia. «Vuoi o non vuoi, il romanzo finisce col nobilitare anche i personaggi più indegni», ha scritto o fatto scrivere più volte Camilleri anche nei libri che costituiscono il breviario per comprenderlo.
Mi riferisco principalmente alle lunghe conversazioni raccolte in volumi da tre giornalisti: La linea della palma, con Saverio Lodato, La testa ci fa dire, con Marcello Sorgi e Tutto Camilleri di Gianni Bonina, questa – certamente – la più completa «radiografia» dell’autore empedoclino. «Attenzione – ha precisato poi Camilleri – a non fraintendere. Non sto proponendo di cassare capolavori assoluti come Il Padrino. Sto soltanto dicendo che, al di là delle intenzioni dello scrittore, è la forza del romanzo che costruisce il mito di don Vito Corleone, mafioso ma uomo ragionevole, marito, padre e nonno affettuoso che muore trasmettendo al nipotino l’amore per i fiori».
È una polemica, questa della celebrazione della mafia, antica e irrisolta. Persino Leonardo Sciascia dovette difendersi dalle frecciatine rivoltegli da intellettuali che non avevano mai scritto una riga sul tema. La contestazione, in occasione dell’uscita de Il Giorno della civetta, primo romanzo italiano ad affrontare l’argomento in modo assolutamente esplicito, riguardava soprattutto la figura del boss, don Mariano Arena, in fondo percepito dal lettore come possessore di una scala di valori che lo porta a riconoscere al «nemico» – quel capitano Bellodi odioso rappresentante dell’autorità statale – lo status di «uomo», contrapposto ai mezzi uomini e ai quaquaraqua che popolano le istituzioni e la società civile.
E chi ha memoria e l’età per ricordare sa che simili critiche non furono risparmiate neppure al giudice Giovanni Falcone, quando scrisse – con la giornalista francese Marcelle Padovani – il primo manuale per capire la mafia: Cose di Cosa Nostra. Venne attaccato da destra e da sinistra per l’atteggiamento mentale che lo portava a sottolineare come non si dovesse mai dimenticare che dietro al sospettato che si sta interrogando, quindi dietro al mafioso, c’è sempre un uomo. E apriti cielo, quando sostenne di aver provato «rispetto» – sì disse proprio così – per le motivazioni che avevano indotto Tommaso Buscetta a pentirsi e collaborare con lo Stato. I censori più agguerriti furono quelli di sinistra che accusarono il giudice di essere «stregato dalla mafia» e sottolinearono che non avrebbe dovuto addentrarsi in un terreno non suo. In sostanza gli contestarono il fatto di aver voluto scrivere un libro, senza mai essere passato per i salotti buoni dell’intellighentia. Anche Camilleri preferisce «cercare l’uomo»: in La linea della palma dice chiaramente di temere atteggiamenti moralistici: «Prima di tutto mi è sempre interessato l’uomo». Forse è per questo che Montalbano preferisce entrare nel fondo dell’umanità dei personaggi in cui si imbatte, piuttosto che cercare valutazioni sociologiche che possano spiegare l’evoluzione delle trame narrative. E anche la mafia, dunque, finisce per restare sullo sfondo senza invadere la scena, che resta appannaggio di una realtà popolata da uomini e donne portatori di tutto il bello e il brutto che ci circonda: piccoli miserabili, esplosioni di grande generosità e amore, rapporti familiari commoventi e a volte malati.
Di questo «presepio» fa parte la mafia, impersonata dai Sinagra, dai Cuffaro, potenti clan, ma anche da un contorno di «buona società» imbelle e dedita al quieto vivere da cui trae benefici e privilegi. Ecco, ci sia concesso di dire che la mafia e Montalbano vanno in parallelo: ciascuno riconosce l’altro senza che i Sinagra o i Cuffaro finiscano per essere il problema principale di Montalbano, senza cioè una militanza antimafia del commissario.
Volendo estremizzare, si potrebbe concludere che Montalbano «prende atto» dell’esistenza dei boss, sa che quello è un segmento importante, ma non l’unico, della realtà. Perché ciò che traspare dai racconti montalbaniani è, ancor più di una Cosa Nostra strutturata, una «mafiosità» diffusa che condiziona la quotidianità di tutti i personaggi. Un quadro, questo, offerto senza alcuna vocazione moralistica, tanto da indurre lo stesso autore a rivelare (a Bonina) il ragionevole sospetto che non solo la mafia è responsabile dei mali della Sicilia. Dice Camilleri della società siciliana: «Un sistema minato con una carica comandata dall’interno». E viene in mente il concetto di «sicilitudine», neologismo inventato dal vigile urbano/poeta Crescenzio Cane e celebrato da Sciascia. Il problema della mafia, sosteneva Falcone, sarebbe risolvibile se non fosse aggravato e amplificato dalla mafiosità, cioè da quella cultura, o sottocultura come si preferisce, che diffonde e afferma un modo di pensare e di vivere capace di giustificare tutto e persino di accettare il capovolgimento delle logiche e delle regole del vivere civile. È la patologia siciliana, antica e radicata, che ha reso «irredimibile» – copyright di Sciascia – la nostra (dei siciliani) coscienza collettiva. Rivedo così mia madre, cattolicissima e timorata di Dio, abbassare la voce quando si parlava di mafia e mafiosi.
Dunque non è affatto vero che la mafia sia assente nei racconti in cui Montalbano è protagonista. È più giusto dire, semmai, che il poliziotto non si comporta come eroe dell’antimafia, nell’accezione che viene data a certi investigatori e magistrati assurti agli onori della cronaca dopo le stragi mafiose del 1992 e del ‘93. Montalbano non vuole incarnare il bene che lotta contro il male assoluto. Vigata non è Palermo, i racconti risentono di un’ambientazione che è per necessità piccola, chiusa, dove tutti – buoni e cattivi – vivono gomito a gomito. Dove ciascuno sa tutto di tutti e oppressori ed oppressi si dividono lo spazio vitale. Una realtà irredimibilmente siciliana, per dirla con Sciascia. In questo spazio qualcuno (per esempio Bonina) ha fatto notare a Camilleri che si percepisce Vigata come «terreno di forte presenza mafiosa». La risposta dello scrittore è chiara: «A me basta questo, che i lettori capiscano». Altro discorso va fatto per il Camilleri dei romanzi storici, dei saggi e degli interventi giornalistici. Lì la passione antimafia dello scrittore è senza mediazione. Andrea non si sottrae e non vacilla mai, entra nel vivo della battaglia culturale e politica. Tocca i temi più scottanti dell’antimafia moderna, da Andreotti e Dell’Utri all’origine delle fortune di Berlusconi.
Francesco La Licata
 
 

La Repubblica, 1.3.2017
Montalbano boom 10 mln davanti alla tv e Camilleri ringrazia
Il successo di una serie che marcia su binari propri. E l'Auditel arriva al 48,5 % di share

Roma. «Ho l'immensa fortuna a 91 anni di potere ancora meravigliarmi, stupirmi e gioire e condividere il successo di Montalbano con dieci milioni di persone! Grazie a tutti». Andrea Camilleri ringrazia gli spettatori che non l'hanno mai tradito. In tv ci sono poche certezze: Sanremo, la Nazionale e Montalbano. Il ritorno del commissario Zingaretti segna l'ennesimo record: Un covo di vipere, trasmesso lunedì su Rai1, è stato seguito da 10 milioni 674 mila spettatori con il 40.8% di share. Il film con Valentina Lodovini e Alessandro Haber, su un tema scabroso come l'incesto, è il terzo Montalbano più visto di sempre. Per la percentuale d'ascolto è il secondo (meglio aveva fatto nel 2016 Piramide di fango con il 40,9%, ma con meno spettatori: 10 milioni 333mila). Una sfida con se stesso, stravinta: l'altra sera l'Auditel ha sfiorato picchi di 12 milioni, e nel finale il 48, 5% di share.
Montalbano come Maigret, umano e abitudinario. Ritrovarlo vuol dire reimmergersi nei suoi ritmi lenti, riscoprire paesi svuotati, donne dalla femminilità prepotente, armate di tacchi a spillo e rossetto, Catarella che sbatte senza un perché contro le porte, il medico legale che divora con sprezzo del pericolo (e del diabete) vassoi di cannoli. Lunedì 6 marzo andrà in onda Come voleva la prassi, indagine cruda sulla morte di una ragazza a un festino con orrendi politici. Mentre ad aprile il cast tornerà sul set, Rai1 trasmetterà le repliche, altra garanzia d'ascolti.
Se la fiction Rai può contare su successi come I Medici (oltre sei milioni di spettatori), I bastardi di Pizzofalcone che ha superato i sette, il vicequestore Rocco Schiavone su Rai2, Montalbano è sempre un evento. Unisce l'Italia davanti alla tv: se in Sicilia fa record, 56%, in Lombardia si ferma al 36,7%, in Piemonte raggiunge il 42% e nel Lazio il 49%.
L'età media dello spettatore è 58 anni, picco del 59% tra le donne over 65; 41% gli spettatori tra i 45-54 anni, 38% il pubblico dai 15 ai 24. Montalbano piace ai laureati (55%) e alle famiglie abbonate anche alla pay tv (con lo stesso share del 40%). Altro dato interessante è il 43% tra coloro che hanno la connessione Internet: chi segue le serie con altri mezzi, per il commissario si siede davanti alla tv.
«Non è solo il Montalbano dei record, ma è soprattutto una storia di eccellenze italiane » sottolinea il direttore di RaiFiction Tinny Andreatta «la squadra ha saputo parlare al cuore delle persone. È la fiction 2017 più vista d'Europa». Luca Zingaretti festeggia con una foto su Instagram: caschetto stile Beatles con Angelo Russo (Catarella), Cesare Bocci (Mimì Augello) e Peppino Mazzotta (Fazio), accompagnata dall'ironica scritta "The Inimitables".
Il produttore Carlo degli Esposti ricorda quando tutto è nato. «Ho pensato a Elvira Sellerio, quando nel suo ufficio vent'anni fa mi regalò i primi due libri di Camilleri e guardandomi negli occhi mi disse: "Questi non li devi solo leggere, li devi leggere e li devi produrre: è la più grande serie televisiva che ci sia"». Il fiuto di una grande editrice.
Silvia Fumarola
 
 

La Repubblica, 1.3.2017
Il Commissario, quello che non deve correre. Mai

Con i consueti dieci milioni che si presentano all'appello che altre sfide deve vincere il Montalbano tv? Stavolta ci prova, per dire, con la scabrosità dei moventi e dei delitti — l'incesto nel primo dei due episodi, ma nel prossimo, lunedì, Come voleva la prassi, sarà anche più pesante. Oppure nel giocare un gioco di lentezza di passo e snodi di sceneggiatura che nessun altro potrebbe permettersi, salti logici improbabili e così via: ma Zingaretti-Montalbano e la sua band corrono una partita tutta loro, anche i comprimari sanno quanto siano ormai decisivi, il Commissario, proprio perché la caratura del delitto cresce, si esibisce in momenti top: stavolta, anche e soprattutto nel prossimo episodio, sono le espressioni del volto che oppone all'efferatezza sempre più marcata quando la verità si palesa o quando i colpevoli raccontano. In quello smarrimento e delusione crescente per il genere umano c'è un senso superiore che dà tono a tutto il racconto.
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 1.3.2017
Il record di share, 40,8 per cento, registrato dal nuovo episodio del "Commissario Montalbano" fa il paio con gli oltre 10 milioni di incasso del film di Ficarra e Picone "L'ora legale". Due successi che parlano di una Sicilia col sorriso che vince. E che vanta altri mattatori di segno diverso.
Montalbano o Fic&Pic la Sicilia col sorriso che vince al botteghino
Il semiologo Marrone "Successo indiscutibile l'Isola piace perché percepita come Paese esotico"

Divertente, leggera, ma anche con un rinnovato linguaggio alla ricerca dei valori umani condivisi, come la giustizia, la sincerità e la fragilità, la Sicilia dei numeri da capogiro all'auditel e al botteghino rivela un inedito "Fattore S", una marcia in più che sa fare i conti anche con il lato oscuro dell'isola. Non un punto di vista ombelicale, ma una questione di numeri.
"Il covo di vipere", il nuovo episodio della serie del "Commissario Montalbano", su Rai Uno lunedì sera ha incollato davanti alla televisione un sesto del Paese: 10.700.000 spettatori pari al 40.8 per cento di share piazzandosi sul podio della classifica assoluta degli episodi più visti di sempre. Al cinema, invece, il film italiano più visto dal 1 agosto a oggi è "L'ora legale" di Ficarra e Picone, con un incasso al botteghino, fino alla scorsa settimana, di 10.138.552 euro. Tornando al piccolo schermo, lo scorso anno la serie tratta dal film di Pif "La mafia uccide solo d'estate" ha fatto in media 5 milioni di spettatori e uno share del 20 per cento.
Alla Sicilia esibita si aggiunge quella interpretativa, quella di autori siciliani che trovano consensi al di là del fatto che il loro racconto implichi l'Isola come oggetto della narrazione.
La Sicilia di Emma Dante è un tratto della sua espressione artistica, che sia la foresta di fichi d'India del Macbeth, o il pastiche linguistico dell'Odissea a/ r, il successo al botteghino è clamoroso. Lo spettacolo interpretato dagli allievi della scuola di teatro del Biondo, ha incassato durante le nove recite palermitane 63.512 di euro: con il solo ricavato di Odissea a/r il Biondo ha colmato il disavanzo provocato dal calo degli abbonamenti.
Ancora un siciliano, il meno siciliano di tutti, ma uno dei punti di riferimento pop delle nuove generazioni, il palermitano Alessandro D'Avenia che in libreria con "L'arte di essere fragili", il diario dialogato con Giacomo Leopardi, ha venduto in quattro mesi 270 mila copie, 15 settimane in classifica tra primo e secondo posto. Un successo che può essere secondo solo a Camilleri, in classifica ormai da sempre.
La Sicilia che sbanca è, insomma, pop e trasversale. Bravura personale, prodotti ben eseguiti, tematiche centrate, tutti elementi importanti ai quali si aggiunge probabilmente anche un certo "fattore S", la Sicilia che risuona, diverte, incuriosisce, ma che nello stesso tempo non ha paura di mostrare il suo lato fragile, le debolezze e le ataviche arretratezze.
«Il fenomeno è indiscutibile, una ricognizione dall'alto racconta una Sicilia che piace. Un fenomeno che non è nuovissimo e che forse in questo momento è anche ridotto rispetto al passato », dice Gianfranco Marrone, saggista, scrittore, docente di Semiotica all'Università di Palermo. Secondo Marrone l'effetto Sicilia in questo momento è concentrato sulle elaborazioni artistico culturali, filone nel quale siamo sempre stati padroni, dagli scrittori più significativi del ‘900 italiano, agli artisti pop della televisione come Pippo Baudo o Fiorello. «Fino a quindici o dieci anni fa - continua Marrone - c'erano forse più opportunità economiche di vendere e raccontare la Sicilia, attraverso il settore enogastronomico, per esempio».
Per Marrone parte di questo successo è ascrivibile all'aumento del divario nord sud che ci rappresenta come luogo esotico «Siamo il paese straniero più vicino - dice - Ma è interessante notare che il dato oggettivo può essere ribaltato, leggendo l'efficienza lavorativa del nord come alienazione, o la disoccupazione del sud come tempo per il sogno e la creatività, la speculazione filosofica».
Esotismo dunque, ma anche una certa resistenza alla modernità intesa nel suo senso deteriore diventano ingredienti irresistibili. Emerge inoltre un comune denominatore nei lavori di Camilleri, nell'ultimo Ficarra e Picone e nella serie di Pif: tutti e tre sanno cogliere e raccontare un diffuso bisogno di giustizia umana, di etica e allineamento ai valori umani più profondi.
La Sicilia che piace e che si racconta sembra essere proprio quella alla ricerca di autenticità, di tempi umani e distesi di personaggi che, smessi i panni dei boss o dei seduttori, sanno mostrare le loro piccolezze e fragilità Su questa ondata di consenso e successo, Marrone pone una domanda legittima: « Chi si vuole occupare di questa Sicilia che piace, riscuote consensi e si fa interprete di bisogni universali? ». Il momento sembra propizio ad accogliere la sfida e saperla portare avanti, non alla ricerca di brand ma di fatti.
Eleonora Lombardo
 
 

l'Espresso, 1.3.2017
Gli Antennati
Eterno Montalbano

Rieccolo, il commissario Montalbano.
È tornato su Raiuno lunedì sera come una partita della nazionale, una cena tra amici, una zingarata capace sempre e comunque di aggregare pubblico e piacere di arrendersi alle sue trame narcolettiche.
Questa è la potenza dei racconti camillerici e della loro trasposizione in video.
La sceneggiatura, di solito verticale, e cioè scritta con l'obiettivo di trasportare lo spettatore da un quasivoglia inizio verso una fine, qui si converte progressivamente in orizzontale, espandendosi a ramificazioni emotive e sociali che prevalgono nell'insieme sulle indagini.
Un processo ipnotico e illuminante al tempo stesso.
Un girovagare lento e comprensivo tra le fragilità dell'essere umano - mai decontestualizzate da ciò che le ha prodotte - e una Sicilia affollata di misteri e bellezza.
Il combinato disposto che nella volgarità dei numeri si è tradotto l'altra sera in 10 milioni 674 mila spettatori e il 40.8 per cento di share.
Un plebiscito che non indica affatto l'eccellenza dell'episodio specifico rispetto ai precedenti, ma al contrario la reiterazione di percorsi amati dalla collettività.
Che poi all'interno della storia fosse compresa la partecipazione di un ineccepibile Alessandro Haber e di una molto più eccepibile Valentina Lodovini, portatrice (mal)sana di un siciliano cepu, sono dettagli, frattaglie, tocchi aggiuntivi che nulla spostano o condizionano.
Resta al contrario l'arte del dolore in chiave minimalista, così presente nella vita reale da diventare empatia e apprezzamento generale.
Perfetto.
Anche quando la palpebra lotta tra i crocevia delle perquisizioni e deposizioni.
Persino quando le perplessità sull'interpretazione di Livia da parte di Sonia Bergamasco prevalgono sulla bravura dell'attrice stessa.
Il commissario Zingaretti, il suo vice Mimì e tutto il resto della squadra sbirra reggono ogni sbavatura stagione dopo stagione.
Al punto che per una volta, senza sensi di colpa, si può dire evviva al proseguimento infinito di questa serie;
che non è soltanto televisione, in fondo, ma anche un po' parte di noi.
Riccardo Bocca
 
 

La Sicilia, 1.3.2017
Il commento
Commissario appesantito da stereotipi

Alexàndr Herzen raccontava che tutti i popoli del mondo, nell'Ottocento, aspettavano Garibaldi che li liberasse. Allora ci si affidava ancora agli eroi in carne ed ossa, e i miti avevano un'anagrafe accertata. Un secolo dopo, in mezzo mondo si aspettò il commissario Cattani della "Piovra" televisiva, creatura virtuale ma credibile controfigura di poliziotti e magistrati con anima e corpo in trincea. E oggi? Oggi c'è Montalbano, un nuovo e smagliante ectoplasma che non combatte più per i popoli oppressi né contro le mafie, né allude se non talvolta e di sfuggita alle tragedie del mondo e in particolare della sua isola, ma in compenso diverte e coinvolge, offre un prodotto d'evasione ricco d'intelligenza e d'ironia, sciorina mille immagini d'una Sicilia finalmente limpida e solare, che non è più quella di compare Turiddu ma nemmeno quella di Totò Riina, ed è pure una formidabile esca (e perché no?) per turisti.
Nulla di male (ci mancherebbe!) nell'evasione e nell'intrattenimento, se trattati con la cultura e la maestria narrativa di Andrea Camilleri. Può essere (ed è) ottima letteratura anche quella che non pianga querimoniosamente sulla perdita della "casa del nespolo" verghiana o delle "lucciole" di Pasolini. Personalmente, anzi, preferisco di gran lunga l'ironia e le fantasticherie di un Savinio all'uggioso giornalismo di un Saviano. E anzi meno il vanto d'aver scoperto ed esaltato Camilleri fin dai tempi del geniale "Birraio di Preston", prima che scoppiasse quel caso letterario che tanti accigliati miei colleghi critici e tanti suoi colleghi scrittori, viceversa, avversarono.
Non solo: quando mi chiamano all'estero a parlare di letteratura siciliana (la Sicilia, si sa, "vende" bene in Italia e nel mondo: e purtroppo sono spesso le sue piaghe peggiori, quelle che attiravano gli scrittori-viaggiatori del passato, ad attrarre con un baluginìo di coltelli e un sottofondo di marranzano), bene, io propongo De Roberto, Brancati, Sciascia... Ma da Zurigo a Stoccolma è piuttosto Camilleri che vogliono. Anzi: Montalbano. Anche loro aspettano il buon Salvo come si aspettava Garibaldi; e anche loro, tutto sommato, per essere liberati. Dalla noia, o dalle mille gravose urgenze d'un mondo sempre meno attraente.
E così anch'io, tutt'altro che prevenuto, come dieci milioni d'italiani ho assistito al primo dei due nuovi episodi televisivi diretti da Sironi. L'inevitabile serialità dei Montalbano romanzeschi e televisivi aveva scemato, in verità, i vecchi entusiasmi. E nel passato recente avevo mollato la mia antica e convinta frequentazione. Un "format" ripetitivo, qua e là ravvivato dalle eccellenti macchiette dei nostri caratteristi; ma si sa, è la ripetizione, è lo stereotipo, a creare quella "cristallizzazione" di attese e predilezioni su cui nasce, e cresce, il Mito. "Casablanca" e "Sentieri selvaggi" sono antologie di stereotipi; e perciò sono film immortali, da rivedere all'infinito. Quanto a quel Montalbano che frattanto invecchiava senza sorprese, per fortuna a ravvivarlo era arrivato il "giovane Montalbano" con la sua freschezza, più scanzonata e godibile.
Eccomi, dunque, davanti alla TV. Eccomi a Vigata. Devo dirlo? Mi sono annoiato. Nulla, proprio nulla di nuovo; né il torbido retroscena incestuoso vale a far decollare il solito plot, anzi lo avvita in una sgradevole spirale. E i consueti stereotipi - diciamolo pure - un po' "sessisti" danno più fastidio, se non valgono a sorridere ma fanno tutt'uno con una trama cupa e accigliata. Quali stereotipi? Le donne che sono sempre e solo "femmine", la Sicilia e il suo dialetto che sembrano storpiati da Crozza o peggio da Salvini... Ma preferisco citare un bel post che ho trovato ieri su Facebook, scritto da un'attrice siciliana brava e intelligente, Elisa Di Dio. "Del resto si sa che le donne, in Sicilia, escono di mattina per andare in commissariato con abito di pizzo nero, scollatura generosa, tacco dodici, sguardo torbido e tanta voglia di sedurre il funzionario di turno. Ecco, questo è solo uno dei tanti insopportabili stereotipi presenti nella fiction di Montalbano, e uno dei motivi per cui non riesco, da tempo, a finire di vedere un episodio per intero. Il fatto che poi anche Ginevra [sua figlia, n.d.R] rida e sottolinei l'assurdità di certi atteggiamenti previsti dalla sceneggiatura, mi lascia sperare per il futuro. Le donne sono e siamo tanto di più".
Antonio Di Grado
 
 

La Sicilia, 1.3.2017
L'intervista
«Lo sentiamo come uno dei "nostri"»
Marcello Perracchio «Solo io posso dirgli: "Non mi scassare i cabasisi"»
«La scrittura, gli scenari, i valori: ecco perché non stanca»

Con il tormentone «non mi rompere i cabasisi» manda al diavolo il commissario che lo tartassa per avere dettagli sulle autopsie inseguendolo al circolo di Vigata o dal barbiere. Una gag che si ripete puntualmente dalla prima puntata della serie tv più amata dagli spettatori - che aspettano il rito, la ripetizione di un copione consolidato - da quando l'attore modicano Marcello Perracchio interpreta il dottore Pasquano «di età avanzata, dal carattere scontroso e insofferente - lo presenta Camilleri - è il medico legale incaricato dell'autopsia del morto di turno». Perracchio, da più di settant'anni in scena, sul set diretto da Zampa (Gente di rispetto), Damiani (La piovra, Pizza connection), di Robilant (Il giudice ragazzino), anche in Nati stanchi di Ficarra e Picone, protagonista sul palcoscenico a fianco di Turi Ferro, Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina nei più grandi successi dello Stabile di Catania (da I Viceré a La concessione del telefono), «sono un piccolo artigiano del teatro e del cinema», si presenta lui con un sussurro, non si stupisce del boom di ascolti. «Con Montalbano si viaggia sui 10 milioni - replica al telefono - è un fenomeno che non dà segni di stanchezza, il pubblico continua ad appassionarsi». Il suo personaggio brontola, «ed è un po' scorbutico, come me», ammette,«ma è simpatico». «Le mie scene sono sempre con Luca Zingaretti e ci sono ogni volta nuove invenzioni, nuove situazioni. Sembra che tra i due ci sia una specie di "guerra", ma sono due uomini che si stimano, anche se si prendono in giro, si sfottono con i cannoli, ma c'è rispetto. Questa dinamica piace agli spettatori, è divertente».
Il segreto del successo del Commissario per lui si basa su tre elementi: «La scrittura di Camilleri, perfetta, che sa costruire le storie e i personaggi, mescolando il giallo, il dramma, la risata. Una scrittura magistrale, che non trascura i dettagli. Poi - elenca - le location che mostrano una Sicilia da sogno, nella luce del Ragusano, ma anche in case, campagne e spiagge meravigliose, un'Isola bella e vitale non solo una cartolina; e naturalmente gli attori, da Luca Zingaretti a tutti quelli che fanno da contorno e che danno colore, sapore e il pepe necessario alla storia. Quei personaggi, anche piccoli, che arricchiscono il clima, i caratteri, la personalità di ogni puntata».
Tra questi anche un altro attore siciliano a lungo sulle tavole dello Stabile. Giacinto Ferro, scomparso lo scorso dicembre, nella puntata di lunedì ancora una volta nei panni del questore Bonetti Alderighi, salutato per primo affettuosamente nei titoli di coda. «Un bel ricordo, lo conoscevo da moltissimi anni, abbiamo lavorato insieme, ci siamo visti anche per queste riprese - aggiunge Perracchio - Montalbano non è solo una serie tv, ci si ritrova sul set, si crea familiarità». Già ad aprile la squadra sarà di nuovo pronta a girare i nuovi episodi.
Nella ricetta aggiungo un altro elemento: è un giallo, ma senza troppe sparatorie - spiega -ci sono tante altre fiction girate in Sicilia su poliziotti e cosche in cui solo nello spot di presentazione ci sono più conflitti a fuoco che in 150 anni di mafia, ma la mafia non fa sparatorie con i poliziotti per strada, sta negli appalti, nei grandi interessi, si muove nell'ombra».
Montalbano ha un andamento lento, "gattoso", godurioso, tra piatti e passeggiate sulla sabbia, e riflessivo, come il suo commissario. «È una storia semplice, pulita, ironica, ha la sua vera forza in Camilleri che è un maestro d'ironia». E un protagonista quasi senza difetti. «Per Pasquano qualche difetto c'è - ridacchia - un personaggio che il pubblico ama sui libri e in tv per la sua lealtà, l'intuito, il senso dell'amicizia, il rispetto per i più deboli, sentiamo Montalbano come uno dei "nostri", è riuscito a penetrare nella mentalità del siciliano perbene e a farne un eroe umano».
Ombretta Grasso
 
 

il Giornale, 1.3.2017
Incestuose e disponibili, ma a Vigata ci sono soltanto donne vipere?
L'unica santa è la fidanzata dell'incorruttibile Salvo, commissario macho e tutto d'un pezzo

Lui, al solito, è integerrimo. Al massimo accetta un bacetto sulla guancia dalla sinuosa ragazza sospettata di omicidio.
E, solo per questo, viene sgridato dalla storica e pure integerrima fidanzata. Ma tutt'intorno è un fiorire di donne dai facili costumi: non solo giovani sprovvedute che si fanno imbambolare dall'uomo maturo che le se intorta, ma anche «femmine» bellissime che si vendono per comprarsi vestiti o per farsi regalare appartamenti o addirittura corsi di laurea. C'è pure una ragazza così disinvolta da «fidanzarsi» prima con il suocero per poi sposare il figlio che, a sua volta, non si scompone di fronte all'idea di una «condivisione» familiare, non della villetta al mare come si potrebbe pensare, ma della nuora-moglie. Ma soprattutto c'è la protagonista: la bellissima Valentina Lodovini, Giovanna nella fiction, innamorata cotta del padre (il medesimo che si «spupazza» tutte le predette), la quale addirittura lo uccide per gelosia perché, dopo tutta quella sfilza di donne, l'ultima in ordine di conquista, la più scaltra, riesce a farsi intestare il testamento. Mizzega. Ma dove siamo? A Vigata, o nei postriboli di Amsterdam? Possibile che nel paese di Montalbano ci sia un tale concentrato di fanciulle in fiore che invece di fare qualche faticoso lavoretto si vendono a un Don Giovanni vecchierello e per nulla prestante? E che l'unica in tre ore di fiction a essere pura, simpatica, adorabile, con lo spirito da crocerossina che va ad aiutare il barbone in spiaggia, sia la fidanzata del Commissario? Manco una nonna, una commessa, una governante, una poliziotta, un mamma morigerata in tutta la puntata?
Certo, si dirà, la fiction è l'adattamento del racconto Un covo di vipere scritto da Camilleri e, ormai, qualsiasi parola esca dalla penna dello scrittore siciliano è osannata e incriticabile. A buon diritto, visto il successo planetario. E, si aggiungerà, una tal massa di meretrici concentrate in pochi metri quadri è finalizzata a raccontare la vicenda di un imprenditore maligno fino al midollo che passa la vita a conquistare donne, ricattare e fare lo strozzino. Un concentrato di perfidia, un male assoluto sul quale il regista Sironi invita - dice nella presentazione della fiction - a riflettere «senza moralismi e raccontando con mano leggera». Ecco, forse ci poteva andare più leggero. Forse non basta lo sguardo sbigottito di Montalbano, che in vita sua ne ha visti passare di «pezzi di fimmina», a giustificare tanto svolazzare di gonne al ritmo di soldi sonanti. Forse non basta neanche il velo di pietà che gli si legge in faccia quando scopre l'incesto, la figlia innamorata del padre (da cui ha avuto pure un figlio) e gelosa a tal punto da ucciderlo... Va bé, è letteratura, è fiction, ci può stare tutto, soprattutto se all'immenso pubblico di lettori e spettatori che segue Camilleri e Zingaretti-Montalbano, tutto questo piace moltissimo. Però, una piccola critica, la si può fare: il rapporto incestuoso tra un padre e una figlia, «anche se torbido, mostruoso, inconcepibile, degenerato, cresciuto in un covo di vipere, pur sempre una forma d'amore è», dice in chiusura di puntata Montalbano. No, Montalbano, non lo è e non lo si può e si deve dire. Soprattutto a milioni di ragazze e ragazzi davanti alla tv.
Laura Rio
 
 

il Giornale, 1.3.2017
In questa serie i giudici fanno sempre la figura dei cretini...
In fondo hanno un solo ruolo: intralciare le indagini

Il commissario Montalbano è la critica più spietata e più vera fatta alla figura del pubblico ministero che, sia la fiction di Raiuno sia i libri di Andrea Camilleri, rappresentano come un figuro inadeguato con un unico ruolo nelle indagini: intralciarle.
Se dovessimo usare le categorie di Leonardo Sciascia diremmo che Salvo Montalbano è un uomo e i vari Pm ai quali il commissario riferisce sono mezz'uomini o addirittura ominicchi. È questa la regola non detta ma sottintesa che permette lo svolgimento delle indagini nella immaginaria eppur realissima cittadina siciliana di Vigata. Il ritorno di Montalbano l'altra sera su RaiUno lo ha confermato ancora una volta.
Nell'episodio Un covo di vipere Montalbano, interpretato da un burbero ma gentile Luca Zingaretti, è alle prese non con uno bensì con due assassini che hanno ucciso, l'uno all'insaputa dell'altro, la stessa vittima: il ragioniere Cosimo Barletta, vedovo, donnaiolo e usuraio. Un intrigo non facile da sbrogliare, anche perché i due assassini sono i figli della vittima: Giovanna, che avvelena il padre-amante per gelosia, e Arturo che uccide per interesse con un colpo di pistola alla nuca un uomo che non sa già esser morto. Il commissario Montalbano, che fa le indagini sul campo e non dispone mai di intercettazioni telefoniche, si muove alla sua maniera: ricostruendo i fatti con il suo vice Mimì Augello e con il suo uomo-tuttofare Fazio che gli consentono di rintracciare e incontrare uomini e donne di Vigata e, tra queste, la ventenne Alina Camera per la quale l'usuraio aveva perso la testa. Durante le indagini salta fuori la particolarità della vita di Cosimo Barletta: affascinava o costringeva giovani donne a concedersi a lui per poi ricattarle e fotografarle nude. Proprio la ricca documentazione fotografica è il colpo di scena di Un covo di vipere: la fotografie più che schiarire il giallo lo offuscano. Il commissario non può fare altro che consegnare il materiale al Pm, il quale, però, non vi capisce nulla ed è attratto irresistibilmente dalle donne nude delle fotografie che fa ingrandire e incollare a una parete dello studio per meglio ammirarle e indagarle.
Come si può capire, la figura del Pm è davvero miseranda: è un voyeur che con la scusa delle indagini si dedica, non senza fare il moralista, alla sua attività preferita. Tra la serie tv e la letteratura non c'è differenza: è proprio Camilleri che ha disegnato così il personaggio. Per far risaltare meglio la figura di Montalbano che è a tutti gli effetti un antieroe o, forse, perché Montalbano una volta creato, come ogni personaggio, vive di vita propria.
Giancristiano Desiderio
 
 

Il Fatto Quotidiano, 1.3.2017
Sciò Business
Tv: Montalbano e Quinta Colonna, due pubblici diversi che si danno le spalle

Lunedì 27 febbraio un paio di milioni di spettatori si sono messi davanti al televisore solo per non perdersi la nuova avventura di Montalbano. Che in tutto di spettatori ne ha radunati oltre dieci milioni. E andremmo aggiunti anche noi, impegnati quella sera al cinema a commuoverci con Manchester by the sea, abbiamo comunque predisposto la registrazione. Perché oltre al cinema “umano” che, guarda un po’, arriva dallo show business, apprezziamo le diverse versioni della commedia all’italiana, che dantescamente divina certo non è, ma di sicuro appartiene all’utopismo cinico dei conterranei di Machiavelli e Ariosto.
Gli spettatori si sono affrettati su Rai Uno ancor prima dell’avvio della puntata (Nido di vipere), così da regalare un ascolto extra (share dal 15% di lunedì 20 a 19% di lunedì 27) anche agli stanchissimi pacchi che implacabilmente e da oltre un decennio, fanno da cuscinetto fra la fine del TG e il programma principale di RaiUno. Oltre a determinare e sfruttare l’ampliamento della platea serale, Montalbano ha risucchiato spettatori tutto intorno, compresa l’inchiesta di PresaDiretta. Mentre chi non ha perso nulla, anzi ha perfino un po’ aumentato rispetto al precedente lunedì, è stata la kermesse trumpiana di Quinta Colonna, a tutti gli effetti l’altra vincitrice della serata.
Il tutto grazie a due platee diversissime, e non solo per le dimensioni. Gli spettatori del commissario siciliano e quelli del parroco di Cologno Monzese sono infatti di tipi radicalmente diversi.
Se guardiamo, ad esempio, ai titoli di studi, Montalbano, rispetto a uno share complessiv0 del 40,22% (fra le 21.30 e le 23.30) arriva fra i laureati al 54% e fra i diplomati al 44%. Del Debbio per contro, rispetto a un complessivo share del 3,8% balza al 10,4% fra chi si è fermato alla scuola elementare e finisce invece sotto media in tutti i livelli successivi.
E poiché il nostro è stato un paese in cui le “classi umili” sono state a lungo tenute fuori dalla scuola (in pratica fino agli anni ’60) il basso livello di istruzione si incrocia con l’età avanzata, sicché fra gli ultra sessantacinquenni Del Debbio miete oltre la media (conquistando l’8%) mentre tende al rasoterra mano a mano che l’età decresce. Ma gli “altri” anziani, forse quelli che al tempo loro più poterono studiare, sono per Montalbano con share che nel caso delle femmine arrivano a sfiorare il 60% (ma qui conta anche il sex appeal di Zingaretti e la passione muliebre per i labirinti in giallo).
Due platee che si danno le spalle in tv. Ma che, acciacchi d’età permettendo, sembrerebbero destinate a venire alle mani – si fa per dire – nel Paese. Per chi fa i palinsesti tanta divergenza è una risorsa; per la politica una tentazione; per il Paese un pericolo.
Stefano Balassone
 
 

Corriere di Ragusa, 1.3.2017
Attualità - La fiction è nella top list della Rai ed è la più vista in Europa
Montalbano non tradisce, grandi numeri in tv
Parla con la sua umanità e la sua semplicità al cuore degli spettatori, che ne apprezzano i ritmi lenti e compassati

Sanremo, Nazionale e Montalbano. La serie ispirata dai romanzi di Andrea Camilleri è ormai stabilmente nella top list della Rai in ottima compagnia degli altri due appuntamenti che non tradiscono mai. Lo confermano i numeri registrati per «Un covo di vipere» che ha totalizzato oltre 0 milioni di spettatori (10.674 mila) con il 40.8 per cento di share. E’ il terzo Montalbano più visto di sempre ed il secondo per percentuale di ascolto.
Il più soddisfatto è il «padre» di Montalbano, Andrea Camilleri: «Ho l’immensa fortuna a 91 anni di potere ancora meravigliarmi, stupirmi e gioire e condividere il successo di Montalbano. Grazie a tutti». Il commissario è ormai una certezza per il pubblico italiano ma anche europeo visto che è la serie tv più vista in tutto il continente. Parla con la sua umanità e la sua semplicità al cuore degli spettatori, che ne apprezzano i ritmi lenti e compassati che fanno nel contempo apprezzare gli inimitabili paesaggi iblei che fanno da sfondo e definiscono nel contempo il personaggio. E’ un commissario dal volto umano, che ha i suoi valori, e soprattutto non taglia il mondo a fette, tra buoni e cattivi.
«UN COVO DI VIPERE»
Un caso difficile per il commissario Montalbano. «Un covo di vipere» tiene incollato lo spettatore dispiegando fino alla fine sorprese e dipanando segreti. Il romanzo di Andrea Camilleri, pubblicato nel 2013 e scritto nel 2013, presenta una società segnata da intrecci amorosi, gelosie, vite parallele e sordidezze varie. Tutto ruota attorno alla vita del ragioniere Cosimo Barletta, che ha un debole per le ventenni che colleziona come figurine grazie alle sue disponibilità economiche, ma che alla fine saranno la causa della sua morte. Un personaggio molto siciliano, che appare poco, che ha una sua vita segreta che, tuttavia non sfugge ai due figli che saranno i responsabili della sua morte violenta. Montalbano quasi si perde nelle indagini ma il suo meticoloso lavoro investigativo unito alla conoscenza delle debolezze di uomini e donne, lo porterà a risolvere il caso. E’ un investigatore maturo, poco incline alla passione e fedele ad una Livia più presente rispetto ad altri racconti.
Il paesaggio ibleo esalta una storia tutta siciliana con i colori del mare di Punta Secca, i panorami su Modica e S. Giorgio, lo sfondo di va Mormina Penna e quello su Ibla. Un paesaggio solare e trasparente che fa da contraltare ad una vicenda torbida, noir, quasi impenetrabile nella sua evoluzione. Il primo dei due episodi della nuova serie di Montalbano non ha tradito le aspettative per la narrazione e l’interpretazione, ha riproposto luoghi e atmosfere consuete, fideizzate ormai dal pubblico, che sono ormai entrate a far parte dell’essenza stessa dei romanzi di Andrea Camilleri.
Duccio Gennaro
 
 

Cinque Quotidiano, 1.3.2017
Rai Uno, Sonia Bergamasco racconta Livia del Commissario Montalbano
L'attrice parla del rapporto tra il suo personaggio e Salvo, un rapporto più saldo e diverso cresciuto con gli anni

Sonia Bergamasco, una delle attrici più versatili che si dedica alla regia così come alla recitazione, ma è anche musicista e poetessa, è l’apprezzata e invidiata Livia ne Il Commissario Montalbano. Ma l’abbiamo vista anche in ruoli e film diversi come Quo Vado, Senza arte nè parte, oppure in fiction di successo come Tutti pazzi per amore e Una grande famiglia.
Com’è il suo rapporto in queste nuove puntate con Salvo Montalbano?
«Il nostro rapporto è già cambiato nelle puntate precedenti. Sono passati gli anni e si sentono, e ci siamo ritrovati in un rapporto diverso. I due personaggi si ritrovano in una forma di amore concreta, Livia e Salvo sanno di esserci sempre l’uno per l’altro. Si può litigare, discutere, chiudersi la porta in faccia e malgrado una viva al nord e l’altro fatichi a prendere l’aereo, anche solo per vedere un tramonto in Liguria, si supportano a vicenda».
Com’è Salvo?
«Livia lo sa che è invidiata da mezza Italia, ma lo capisco, Salvo Montalbano è carismatico, gentile, di una gentilezza che non ha nulla a che vedere con qualcosa di formale, è una gentilezza d’animo che oggi è un valore essenziale». E l’attrice definisce anche Luca Zingaretti «un compagno di lavoro eccezionale, è molto bello lavorare insieme a lui».
Il primo episodio de “Il Commissario Montalbano”, Un covo di viepre, ha ottenuto un successo straordinario sulla scia degli anni precedenti con 10 milioni 674 mila spettatori e uno share di 40.80.
Qual è il segreto del successo di questa serie?
«Non lo so, forse attori storici straordinari, e poi Camilleri è Camilleri, Sironi ha fatto un gran lavoro di regia. Questa è una favola fuori dal tempo, un’Italia che non c’è ma che è un ricordo di Camilleri, ma dove troviamo anche un certo aggiornamento con i nostri tempi».
In cosa le assomiglia Livia?
«Io non potrei mai stare lontano da un amore, in questo non sono come Livia, ma nella fierezza sì, questa caratteristica è in comune».
E la gelosia di Livia?
«È una gelosia ironica, c’è molta ironia, una sana ironia nel rapporto, che non è perdita di amore, ma un rinnovare l’amore stesso e il rapporto, più tenero e profondo, saldo. Entrano in gioco altre cose oltre alla passione».
Progetti in cantiere?
«Sono a Milano in questi giorni per provare lo spettacolo Louise e Renée di cui curo la regia, non sarò io in scena ma ci saranno Isabella Ragonese e Federica Fracassi. Un testo drammaturgico di Stefano Massini, liberamente tratto da Memorie di due giovani spose di Balzac. È un Balzac al femminile, è una storia di donne che debutta il 21 marzo, primo giorno di primavera».
Gianna De Santis
 
 

Corriere Tv, 2.3.2017
Televisioni
Montalbano, un ritorno di grande successo
Montalbano è ormai una cerimonia sociale più che una fiction

E’ tornato il Commissario Montalbano, e al solito è stato un grande successo di pubblico. Il suo metodo d’indagine è abitato da visioni e assomiglia molto a una sorta di evangelizzazione sociale: non giudica, converte al bene. Montalbano è uno dei pochi personaggi della fiction italiana assunto al ruolo di «brand name», di marchio editoriale (altri tentativi simili sono pressoché naufragati), e le sue indagini sono ormai vissute come cerimonie sociali. Il problema è che le storie scivolano sempre di più nella commedia.
Aldo Grasso
 
 

Cinque Quotidiano, 2.3.2017
Peppino Mazzotta: «Io e Fazio del Commissario Montalbano ci assomigliamo»

Intervista all'attore che è stato anche protagonista della fiction Solo in cui interpretava Bruno Corona. Ecco cosa ci ha svelato
L’ispettore Fazio è uno dei protagonisti dei libri di Andrea Camilleri, quelli della serie Il Commissario Montalbano. Sullo schermo ad interpretarlo è Peppino Mazzotta, che abbiamo apprezzato anche al cinema in Anime Nere, e in altre serie tv di successo come Solo, e prima ancora in Lampedusa, Ris e Squadra Antimafia.
Ora ritroviamo Peppino Mazzotta e Fazio in due nuovi episodi di Montalbano. Un successo che va avanti dal 1999…
«Siamo qui da quasi 18 anni – racconta l’attore -, l’affetto del pubblico è cresciuto sempre di più e in maniera costante. Perchè? Cinematograficamente per la bellezza dei luoghi raccontati, la Sicilia offre tante location straordinarie, ma soprattutto per la grandissima penna di Camilleri, che è il segreto principe di questo successo, e poi per tanti caratteristi siciliani che arricchiscono di senso il racconto. E infine ci siamo noi che nel tempo abbiamo cercato di dare il nostro contributo, i nostri personaggi sono cresciuti, e anche noi attori abbiamo più vissuto da prestare ai nostri personaggi. Siamo cresciuti tutti insieme, io nel mio caso con Fazio».
In cosa le assomiglia Fazio? Che caratteristiche avete in comune?
«Dopo tanti anni è difficile capire dove finisce uno e comincia l’altro, ci siamo un po’ influenzati a vicenda. Capita a tutti di identificarsi in un personaggio quando si fanno delle buone letture e questo ci cambia un po’, diventa un modello di riferimento. A me questa cosa è successa con Fazio, io a lui avrò prestato delle cose e lui a me, siamo finiti per essere un po’ la stessa cosa. C’è affetto nei suoi confronti come se fosse una persona vera, so che non lo è. Essendo un po’ parenti, però, si può anche litigare, ma l’affetto non viene scalfito mai».
L’abbiamo vista da poco protagonista della fiction Solo: ci sarà una seconda stagione? È stato difficile interpretare Bruno Corona?
«Ci dovrebbe essere la seconda stagione di Solo, so che stanno scrivendo la sceneggiatura. Il mio personaggio mi è piaciuto molto, per un attore interpretare un personaggio così da una parte mette ansia, perchè è difficile da fare, ma dall’altra è gratificante, si può fare tanto, è un personaggio ricco, estroflesso. Quando si recita però un personaggio negativo e violento come Bruno Corona bisogna stare sempre al massimo delle energie. Il regista mi ha seguito con tanta cura, è stata per me una scoperta questo personaggio negativo, uno step molto deciso dopo Fazio e dopo la mia interpretazione in Anime Nere».
Gianna De Santis
 
 

Città Nuova, 2.3.2017
Intervista
Cesare Bocci, Montalbano e il viaggio dell’eroe
Da 18 anni interpreta Mimì Augello ne Il commissario Montalbano il più grande successo della tv italiana. Un covo di vipere, il primo dei due nuovi episodi in onda su RaiUno, ha ottenuto 10,6 milioni di telespettatori, per uno share del 40,78%. La prossima puntata, Come voleva la prassi, andrà in onda lunedì 6 marzo. Nostra intervista a Cesare Bocci che ripercorre i motivi del successo dell'opera filmica ispirata da Andrea Camilleri e tratti della sua storia personale. La moglie Dany il 1° aprile del 2000, pochi giorni dopo il parto della loro figlia Mia, rimase in coma per 20 giorni a causa di un ictus

Per i pochi che non ti conoscono come ti definiresti come attore e come persona?
Come attore mi definirei un appassionato del mio mestiere. Ogni volta trovo uno stimolo per divertirmi: sia per le persone nuove che incontro, colleghi e registi, sia per quello che interpreto, al di là di un testo, un’opera, un film che può essere più o meno riuscito. Come persona mi ritengo fortunato di avere un carattere curioso, di saper ascoltare le vite degli altri, di stringere contatti.
Hai interpretato il vice commissario Mimì Augello in 30 tv movie visti in 60 Paesi del mondo, a cosa si deve il successo de Il Commissario Montalbano?
Alla penna di Andrea Camilleri perché, oltre all’aver saputo raccontare l’intreccio di trame poliziesche avvincenti, ha saputo disegnare dei personaggi con una propria storia e identità, indipendentemente dal fatto se sia il protagonista o la parte meno importante. Cura ogni dettaglio con dei contorni precisi: il semplice contadino che va a fare una deposizione in commissariato, la portinaia, il ristoratore, la cameriera Adelina, e delinea con tratto sicuro e in modo straordinario il tipo di rapporto tra i personaggi. Un altro aspetto per cui Montalbano ha avuto successo in moltissimi Paesi e in Italia, anche nelle repliche fa sempre grandissimi ascolti, è che non è mai restato uguale a se stesso. Camilleri ha sempre scritto in relazione alla realtà che viviamo e le nuove puntate parlano sempre di attualità, toccano temi in cui il pubblico si può identificare.
Perché affascina il carattere del commissario Montalbano?
Montalbano è una persona di principi forti e sani, non scende mai a compromessi. Sono valori che si sono persi, ma di cui tutti ne abbiamo bisogno. È un personaggio che diventa, con la sua umanità, i suoi limiti, un modello.
E qual è il contributo del regista Alberto Sironi?
A volte la trasposizione sullo schermo delude il romanzo. Alberto Sironi ha saputo raccontare per immagini quello che lo scrittore aveva descritto nei suoi libri e ha saputo scegliere il gruppo di attori che riteneva idoneo per rappresentare la sua idea registica.
Il Commissario Montalbano piace anche in Paesi, come l’Iran, con differenti sostrati culturali. Che miti universali ci sono nei testi di Camilleri?
Ho scoperto qualche anno fa il testo di uno sceneggiatore statunitense, Christopher Vogler, Il viaggio dell’eroe in cui approfondisce la struttura del mito a uso di scrittori di narrativa e cinema. A distanza di duemila anni insegnano ancora agli sceneggiatori di Hollywood la tragedia greca. Avviene perché il mito dell’eroe affascina il pubblico di ogni tempo e di ogni luogo. Sono personaggi imperfetti che hanno paura a intraprendere la loro avventura, ma ci sono degli elementi universalmente rintracciabili. Costituiscono una mappa per il suo viaggio di trasformazione in dodici fasi sul cui telaio si compongono le molte possibili varianti su cui si basa la quasi totalità delle storie moderne. Sul loro cammino incontrano ostacoli, difficoltà di ogni genere, l’amore perso e ritrovato. Questi elementi rendono universale Montalbano come le grandi opere cinematografiche e televisive. Camilleri rispetta l’unicità di un eroe in una terra, la Sicilia, ricca di storia, arte, cultura, umanità, paesaggi, gastronomia che dà un valore aggiunto ad un’opera letteraria già valida.
Il tuo personaggio, Mimì Augello, in 18 anni, si è evoluto o è rimasto lo stesso?
Come nella vita, noi uomini e donne rimaniamo con il nostro carattere fino alla fine, non lo possiamo modificare. Maturiamo perché se rimanessimo quello che eravamo a 12 anni saremmo ancora dei bambini. Ci sono, poi, dei personaggi che non si possono cambiare come Jerry Lewis che, in 20 anni, non si è mai modificato. Mimì Augello, in 18 anni, è cresciuto anagraficamente come sono cresciuto anch’io, ma non ha messo giudizio. Le sue malattie e i suoi vizi se li tiene. I personaggi de Il commissario Montalbano si modificano, noi non ci trucchiamo, siamo sempre noi che cresciamo negli anni, poi, come attori diventiamo più maturi, abbiamo più esperienze che ci migliorano, si lavora di più sulle sottigliezze, raffini di più la tua arte all’interno di uno stesso codice rappresentativo.
Mimì è uno donnaiolo. Molti identificano il personaggio con la persona, mentre nella realtà vivi una lunga storia d’amore con tua moglie Dany. Quanto c’è di Mimì in Cesare e quanto c’è di te in Augello?
Se ci fosse questo aspetto di Mimì in Cesare Bocci mi ritroverei fuori dalla porta di casa in tre minuti. Mimì è sempre abbastanza allegro, pronto alla socializzazione che poi sfoci in relazioni con il genere femminile quello è il suo vizio, però anche Cesare è una persona a cui fa piacere fare nuove conoscenze, ma non di più. Questo ci accomuna. Il genio di Camilleri è aver delineato dei personaggi di principi solidi. Anche io come uomo sono pieno di difetti, però, ho dei saldi valori a cui, come tutti, ogni tanto derogo, anche perché altrimenti saremmo delle macchine. Il mio principio fondamentale è il rispetto per sé e per gli altri, l’evangelico «ama il prossimo tuo come te stesso». Non pensare di trovare la tua libertà non rispettando quella degli altri.
[...]
Aurelio Molè
 
 

Il Secolo XIX, 2.3.2017
Al Duse
Moni Ovadia si divide in 6 personaggi: «Sì, per risparmiare»


Moni Ovadia all'incontro con il pubblico

Moni Ovadia interpreta ben 6 personaggi ne Il Casellante, lo spettacolo tratto dal romanzo di Andrea Camilleri, in scena, sino a domenica 5 marzo, al Teatro Duse di Genova.
«Una scelta non dettata dal narcisismo - sottolinea l’attore con un sorriso - ma piuttosto da eminenti ragioni economiche».
Nella trasposizione teatrale dell’opera di Camilleri, scritta con Giuseppe Dipasquale, Moni Ovadia recita le parti di sei personaggi che ruotano attorno alle vicende di una coppia che non riesce ad avere figli sino a quando una Mammana (lo stesso Ovadia) non rivela che, ad avere problemi non è la donna ma, come spesso avviene - ribaltando il ruolo atavico che vuole l’infertilità un problema tutto femminile - un guaio tutto maschile.



Per raccontare la vicenda, che si intreccia con una violenza sessuale, con i primordi del fascismo che proibisce la musica, con la Guerra e con la Mafia, Camilleri usa il “vigatese” una lingua sperimentale, una sorta di ponte fra l’italiano e il dialetto della sua terra. Un richiamo evidente al nome della località immaginaria in cui sono ambientate quasi tutte le storie ed in particolare quelle in cui compare la sua creatura più conosciuta, quel commissario Montalbano che Luca Zingaretti porta nelle case degli italiani con la fortunata versione TV.
Il Casellante ha un buon lavoro ed una passione per la musica che mette a frutto cantando nella barberia del paese, presidio riservato ai soli uomini e frequentato da un capomafia locale. Un secondo lavoro che finirà per metterlo nei guai quando trasformerà alcuni inni fascisti in polke, mazurche e marcette.
Sua moglie Minica resta incinta solo quando le viene svelato che la mancata maternità non è colpa sua ma del marito. Una gravidanza che però non riesce a portare a termine perché un ferroviere la violenta provocando la perdita del bambino e la sua follia.
Andrea Carotenuto
 
 

Hashtag Sicilia, 2.3.2017
Arriva in Sicilia “Il casellante” di Camilleri e Dipasquale
Dopo una prima fase di tournee nazionale sta per arrivare in Sicilia, dove sarà rappresentata in cinque teatri, “Il casellante” di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale. Valeria Contadino, protagonista femminile, incarna Minica, personaggio che rappresenta, accoglie e racconta il peso della violenza della femminilità offesa, oggi tema tristemente attuale che invade le cronache di tutti i giorni.
Valeria Contadino, moglie e mamma di cinque figli nella vita reale, si presta a diventare frutto della trasformazione irrisolta di Minica e trionfa in tutta la sua semplicità a testimoniare la vittoria della vita sulla morte e sul dolore.
Il casellante è uno spettacolo diretto da Giuseppe Dipasquale, che ha scritto il testo teatrale a quattro mani con Andrea Camilleri. Sul palco, protagonisti insieme a Valeria Contadino, ci sono Moni Ovadia e Mario Incudine, che firma anche le musiche. Compongono il cast Sergio Seminara, Gianpaolo Romania ed i musicisti Antonio Vasta ed Antonio Putzo. Costumi Elisa Savi, scene dello stesso Dipasquale.
“Il casellante” sarà dal 7 al 12 marzo al teatro Biondo di Palermo, poi: il 14 marzo a Noto (Teatro Di Lorenzo); il 15 marzo ad Enna (Teatro Garibaldi); il 16 marzo a Marsala (Teatro Impero); dal 17 al 19 marzo ad Agrigento (Teatro Pirandello).
La tournee proseguirà per Campobasso, Fano, Ivrea, Brescia e Roma.
 
 

La Sicilia, 2.3.2017
Quelle onde che si infrangono anche sulla casa di Montalbano
Il sindaco di Santa Croce: «Il processo è accelerato in maniera pericolosa»

Santa Croce Camerina. Sulla spiaggia di Punta Secca, a "sei passi" dalla battigia in una giornata di mare quieto. E' lì che si trova l'abitazione più conosciuta della Sicilia e forse d'Italia. E' la casa del commissario Montalbano, set cinematografico dalla bellezza disarmante, ma di una fragilità che crea allerta. Fa un po' specie osservare le onde del mare infrangersi sulle fondamenta della abitazione che per il governatore Crocetta dovrebbe diventare monumento.
Stabilita la regolarità dell'edificio, che non ha bisogno di nessuna ulteriore norma per essere protetto dalla legge, ora da proteggere c'è il luogo inteso come monumento, come attrazione, o fosse anche come semplice abitazione civile. «Il fenomeno dell'erosione - dice Francesca lurato, sindaco di Santa Croce Camerina - ha pesantemente penalizzato le nostre coste. Non solo quello della frazione della città ma anche quelle delle località balneari vicine».
[...]
 
 

Libero, 3.3.2017
Complimenti per la trasmissione
L'incesto ad alto ascolto di Montalbano
La nuova serie del Commissario

La vecchiaia è quella stagione della vita in cui «la civetta di Minerva -la saggezza- vola crepuscolo», dicevano. Può avvenire, però, che chi era già saggio decida di darsi una botta di trasgressione, giusto per uscire dalla routine.
È il caso di Andrea Camilleri con Un covo di vipere (Raiuno, lunedì prime time), primo episodio della nuova serie del Commissario Montalbano. Per capirci: la fiction ha fatto 10.674.000 spettatori, pari al 40.8% di share, roba da Festival di Sanremo o finale di Champions, è tecnicamente inattaccabile. Però la tematica affrontata è un tema euripideo in un finale spiazzante, che esce dalla narrazione. La storia si incentra su Cosimo Barletta, un imprenditore benestante con più amanti che conti correnti; e morto ammazzato mentre era in procinto di rendere sua erede universale un studentessa universitaria più giovane della figlia che gli si concedeva a spizzichi e bocconi («Avevo bisogno di soldi per pagarmi gli studi...», la sua giustificazione. Meno male che non ho figlie femmine).
Poi c’è il solito ecosistema montalbaniano contornato dalle nuotate nel limpido mare, dal frinire dei grilli e dalle auto a gasolio molto anni 80. L’ecosistema consiste in: storie di strozzinaggio nella glabra campagna sicula; giri di prostitute insospettabili; un medico roso dai complessi di colpa -per aver ucciso un bambino- dedito al barbonaggio e testimone di un omicidio; nella fidanzata del commissario (bravissima Bergamasco) ingelosita dalla figlia del morto (Lodovini, bravissima e clone di Monica Bellucci negli spot di Dolce & Gabbana); e nella figlia del morto che si disvela come amante stessa e assassina del padre. Assassina per gelosia. E per amore. «Anche se torbido, mostruoso, inconcepibile, degenerato, cresciuto in un covo di vipere, pur sempre una forma d'amore è» fa dire Camilleri nel triste finale a Salvo, a passeggio sulla spiaggia di Vigata. Ed ecco la novità assoluta nel racconto di Camilleri: l’incesto espediente narrativo, deragliante nella tracciabilità del delitto.
In tarda età Camilleri si abbandona alla sperimentazione. In altri casi,, come nel romanzo Noli me tangere sperimenta nella tecnica, utilizzando solo i dialoghi, come se il racconto fosse un’unica soggettiva cinematografica. Qui, nel Covo di vipere, sdogana un tabù sociale. I cattolici si sono incupiti. Ma su Montalbano rimani incollato...
Francesco Specchia
 
 

Palermomania.it, 3.3.2017
Camilleri e Dipasquale, ritorno in Sicilia col debutto de "Il Casellante"

Il transfer che avviene dal racconto alla sceneggiatura teatrale, dalle pagine di un libro al palcoscenico, mutua l’opera ma non la snatura; altera le forme ma senza annacquare i contenuti. Si colora con la voce e i volti degli attori, ma preservando rigorosamente la narrazione e custodendone i sospiri poetici. È questo il dinamismo professionale che contraddistingue il regista Giuseppe Dipasquale, allievo di quel Camilleri che racconta l’altra Sicilia, “quella lunga quasi un secolo, che ha finalmente elaborato il lutto e ha finito di fare geremiadi pur senza sottacerne le incognite”, come sottolinea lo stesso regista.
Tutto questo è l’anima de “Il Casellante”, che dal 7 al 12 marzo andrà in scena al Biondo di Palermo. Dopo un tour che ha toccato diverse città italiane, lo spettacolo approda finalmente in Sicilia, terra di contraddizioni che passa dal tubo catodico attraverso Montalbano e si riversa nel presente vivendo le passioni dei teatranti e del Teatro. “Portare Camilleri a teatro è come traghettare un’emozione tra prosa e poesia – spiega il regista siciliano Dipasquale – e questo è stato possibile anche grazie alla musica, che accompagna un linguaggio personale, originale com’è quello di Camilleri; e che ritma una divertita sinfonia di parlate fatta di neologismi, di sintassi travestita. Il Casellante è rimasto integro, ha una stabilità narrativa che è stata calata di peso nella solidità drammaturgica, questo anche perché ha la forza mitologica che l’autore ha voluto dare alla storia”.
“Se il regista avesse ipotizzato una scenografica chiusa – spiega Andrea Camilleri - blindando lo spazio scenico, avrebbe commesso un errore. Invece ha usato il palcoscenico come spazio aperto, come spazio della fantasia assoluta, dove il racconto ha trovato con semplicità la sua sede naturale, utilizzando pochissimi mezzi scenici e affidando tutto il resto al canto e parola. Giuseppe ha fatto quello a cui narrativamente tendevo, un cunto siciliano, in cui la musica ha una valenza drammaturgica preminente che centra lo spirito motore col quale ho scritto questo lavoro. Ma questo per me è il teatro – continua lo scrittore, maestro del corso di Regia all’Accademia d’arte drammatica “Silvio D’Amico” nel 1985, quando avvenne il primo incontro tra i due - la libertà di distaccarsi dal testo pur fornendo la stessa chiave di lettura e rimanendo a fuoco sul tema, con l’obiettivo di lasciare immaginare il pubblico, trascinarlo verso la scoperta di se stesso ma attraverso un’altra dimensione”.
Ecco il calendario delle rappresentazioni: Martedì 7 marzo, ore 21.00; mercoledì 8 marzo, ore 17.30; giovedì 9 marzo, ore 17.30; venerdì 10 marzo, ore 21.00; sabato 11 marzo, ore 21.00; domenica 12 marzo, ore 17.30.
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 3.3.2017
Come liberare l’Isola dagli stereotipi
Dopo gli anni dei vinti e degli "ominicchi" sono arrivati Camilleri e un drappello di donne
Il grand tour di oggi si snoda tra i parchi d'arte a cielo aperto da Gibellina a Favara

A nessuno certo verrebbe in mente di organizzare oggi un viaggio in Sicilia mettendo in borsa la guida rossa del Touring Club sull'Isola del 1919. Una Baedeker vecchia di cent'anni porterebbe il viaggiatore fuori strada, facendo riferimento a un panorama e a un contesto irriconoscibili perché nel tempo radicalmente mutati.
Questo è l'assunto provocatorio del nuovo libro di Gaetano Savatteri, giornalista e scrittore che alla sua terra non ha smesso mai di guardare. "Non c'è più la Sicilia di una volta" si intitola (Laterza, pagine 262, 16 euro) e il detto proverbiale mostra immediatamente la sua forza antifrastica. Per fortuna infatti la Sicilia non è più quella di una volta proprio perché è cambiata, a volte in modo sorprendente. Motivo per cui non si può più leggere l'Isola con gli occhi degli autori del passato: «Non ne posso più di Verga, di Pirandello, di Tomasi di Lampedusa, di Sciascia, di Guttuso. Non ne posso più di vinti; di uno, nessuno e centomila; di gattopardi; di uomini, mezz'uomini, ominicchi, pigliainculo e quaraquaquà».
Mai confessione fu più iconoclasta e radicale, specie quando si inciampa nel nome dell'autore di "Il giorno della civetta": Savatteri è stato infatti uno dei cosiddetti Sciascia- boys, nato e cresciuto all'ombra del grande genius loci di Racalmuto- Regalpetra. Ma è tempo di parricidi, evidentemente, di svolte freudiane: il fatto è che Savatteri, che ha percorso la Sicilia in lungo e in largo in questi anni, ha provato a fare quello che, agli occhi dei conservatori e dei conformisti, potrebbe apparire un peccato di lesa maestà. Ossia ha tentato di posare il suo sguardo sull'Isola dismettendo le lenti della tradizione, rinunciando a filtri e setacci della memoria, buoni per una terra che non è più: «Esiste invece – scrive l'autore nelle pagine introduttive – la Sicilia raccontata negli ultimi venticinque anni, a partire da quel 1992».
Il punto di non ritorno è l'anno delle stragi, colonne d'Ercole cronologiche al di là delle quali si staglia un'altra Sicilia. Quale? È presto detto: l'Isola che ha forgiato un nuovo immaginario e che da esso è stata forgiata. L'Isola che ha buttato a mare (o almeno c'ha provato) la zavorra di stereotipi, di cliché che sono per essa, da una parte, croce, supplizio, antropologica tortura; dall'altro invece, delizia seppiata, godimento estetico, appagamento feticistico. La Sicilia del brand, del marchio di fabbrica immediatamente riconoscibile: gattopardi, donne (meglio se sedotte e abbandonate) in nero cupo e luttuoso, persiane chiuse a doppia mandata, paesini che si crogiolano nella luce del demone meridiano; padrini cullati dalle note di Cavalleria rusticana.
A dare una spallata a cotanta muraglia di luoghi comuni sapete chi è stato, secondo Savatteri? Andrea Camilleri, che nel 1994 sdogana la Sicilia a modo suo, con il primo romanzo segnato dalla presenza del commissario Montalbano: "La forma dell'acqua". E qui siamo quasi a un passo dalla voragine del paradosso, se è vero che lo scrittore empedoclino pesca abbondantemente dal serbatoio del tradizionale e del riconoscibile aprendo però una nuova strada affabulatoria, che può far a meno dello stigma mafioso (con buona pace di Sciascia appunto). Ma, rimanendo in ambito letterario, il discorso di Savatteri si fa più avvincente e convincente quando ad esempio passa in rassegna la Sicilia urbana e metropolitana: quella che nessun grande autore siciliano ha saputo raccontare. I nomi sciorinati sono quelli di Pippo Fava, «cantore della metropoli alla siciliana », di Santo Piazzese, nelle cui pagine la topografia «spazia intellettualmente nel flusso ideologico contemporaneo », di Giorgio Vasta, col suo racconti di viaggio a Palermo all'insegna dello "spaesamento". Di Giuseppe Rizzo, forte del suo sguardo "straniato", che può fare dire a un suo personaggio: «La Sicilia non esiste. Io lo so perché ci sono nato».
Riguardo alle autrici tirate in ballo, spiccano i nomi di Viola Di Grado, Evelina Santangelo, Nadia Terranova: sganciate dal polmone d'acciaio del passato e delle saghe d'inchiostro, eppure abbarbicate tenacemente alla loro terra.
Per rimanere in ambito femminile, Savatteri oblitera le contesse, manda in soffitta litri di sangue blu per accendere i riflettori sulle donne manager, modernissime, dal fiuto imprenditoriale quasi infallibile specie se si tratta di uve e vitigni.
Dei comici siciliani (Aldo Baglio, Ficarra e Picone, Tersa Mannino, Fiorello) l'autore coglie e il "cliché rielaborato in pret-à-porter", la loro anima postmoderna che punta alla caricatura della caricatura del siciliano.
Del nuovo grand tour Savatteri fotografa i parchi di arte contempora nea che sono tra i più estesi d'Europa: c'è l'immancabile Gibellina, luogo di utopie e di fallimenti architettonici, ma a fianco della Farm Cultural Park inventata a Favara dal notaio Bartoli, che «ha un valore e un'incidenza pari alla vista del fiore sbocciato nel deserto».
Il periplo compiuto dallo scrittore e giornalista è vasto e stratificato, passando dalla musica (Catania docet) al teatro, con Emma Dante, Vincenzo Pirrotta, Spiro Scimone per tacere di altri, che «hanno ammazzato Pirandello» dimostrando come una pronuncia dialettale non sia per forza di cose condannata a rimanere entro i confini angusti del dialetto; al cinema, con la prima risata sulla mafia di "Johnny Stecchino", con Tornatore che ha reso "glam" la Sicilia ponendola sotto la luce della nostalgia per il luogo smarrito dell'infanzia e proponendo un racconto dal valore universale non tanto "sulla Sicilia" quanto "dalla Sicilia", ma pure con Ciprì e Maresco e il loro disperato e modernissimo cinismo; ai costumi sessuali, ricordando che la patria del machismo e del dongiovannismo è stata, sorprendentemente, la culla della prima grande associazione in difesa dei diritti degli omosessuali.
Al "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi", stucchevole tormentone di tomasiana memoria, Savatteri dunque replica mostrando l'altra faccia della medaglia: in Sicilia, negli ultimi vent'anni, è cambiato quasi tutto.
Ma siamo sicuri? L'ironia e l'autoironia, il citazionismo caricaturale, lo sdoganamento a tutti i costi, la patina glamour generosamente spalmata non potrebbero essere invece una smaccata contraffazione, l'ennesimo mascheramento dello stereotipo, che come il serpente cambia pelle ma continua a strisciare?
Se così fosse, vorremmo cortesemente indietro Verga, Pirandello e compagnia bella.
Salvatore Ferlita
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 3.3.2017
Lupo: “L’identità? Etichetta da vendere”
La grande letteratura usava questi luoghi come metafora Verga parlava della sofferenza dei lavoratori

«I tempi sono cambiati, ma non è detto che una concezione di "sicilianità" debba essere data per scontata ».
Salvatore Lupo, docente di Storia contemporanea all'Università di Palermo, mette in guardia sulla possibilità di abbandonare vecchi cliché per scadere in altri nuovi.
Esiste una nuova concezione di Sicilia e un nuovo modo di intendere la sicilianità?
«Sono sempre stato distante dalla concezione della "sicilianità", ammettere che esista non è una cosa così ovvia. Ma riconosco che viene usata perché si vende come etichetta, artisti, scrittori e registi la usano perché è anche quello che il mondo si aspetta da loro. Oggi i contenuti di questa condivisa "sicilianità" riflettono la modernità, senza che a questa ci si debba per forza prostrare».
Quali sono le caratteristiche di una "moderna" idea di sicilianità?
«Non tutto viene schiacciato sul problema della mafia e riaffiora un tratto di leggera mediterraneità. Ma questo non è un fenomeno nuovo, la grande letteratura siciliana non ha mai appiattito tutto sulla sicilianità, ma anzi l'ha usata come metafora generale. Verga usava la campagna siciliana per parlare della questione sociale, Pirandello partiva dalla Sicilia per ragionare sulla condizione dell'uomo nel mondo».
La Sicilia è un punto di vista dal quale osservare il mondo?
«Bisogna riconoscere che è diverso il punto di vista di un trapanese rispetto a quello di un ragusano. Si stanno cominciando a svelare le sfumature custodite all'interno di questa etichetta di "sicilianità" che storicamente è stata di stampo palermocentrico: per esempio il Montalbano tv mostra una Sicilia, quella orientale, sconosciuta ai più».
Eleonora Lombardo
 
 

Malgrado tutto, 4.3.2017
La stanza dello scirocco
Nanà e Nenè. Uno di Racalmuto, l’altro di Porto Empedocle
Uno ha inventato Regalpetra, l’altro ha creato Vigàta. Nanà Sciascia e Nenè Camilleri, tra loro un dialogo iniziato molti anni fa – fu proprio Sciascia a portare Camilleri nella casa editrice Sellerio. E questo rapporto continua ancora oggi, soprattutto nel debito di riconoscenza che Camilleri tributa spesso pubblicamente a Sciascia.

Nanà e Nenè. Uno di Racalmuto, l’altro di Porto Empedocle. Quasi coetanei, uno ha inventato Regalpetra, l’altro ha creato Vigàta. Due scrittori legati da molte cose, da un sottile filo di amicizia, dalla provenienza dalla medesima provincia letteraria. Nanà Sciascia e Nenè Camilleri, tra loro un dialogo iniziato molti anni fa – fu proprio Sciascia a portare Camilleri nella casa editrice Sellerio. E questo rapporto continua ancora oggi, soprattutto nel debito di riconoscenza che Camilleri tributa spesso pubblicamente a Sciascia.
Camilleri, sono passati tanti anni dalla scomparsa di Leonardo Sciascia. E’ ancora attuale la lezione letteraria e civile dello scrittore di Racalmuto o rischia di finire dimenticata e sepolta sotto il gran fragore dei tempi di oggi?
“Penso che la sua lezione letteraria e civile sia più che mai attuale ai giorni nostri. Ma non è detto che sia ascoltata. Anzi, mi pare che ci sia tutt’intorno una grande voglia di dimenticarla”.
Gli scritti di Sciascia, come quelli di Pasolini, aprivano dibattiti arroventati, innescavano polemiche accese: perché oggi, nonostante moltissimi scrittori e intellettuali siano presenti sulle pagine dei giornali, la loro voce risuona debolmente e non sempre è capace di incidere nel dibattito politico?
“Che gli scrittori e intellettuali siano presenti sulle pagine dei giornali non significa che i loro scritti abbiano la stessa capacità di lucida incidenza che gli scritti di Sciascia o Pasolini avevano. Comunque mi auguro la partecipazione degli intellettuali alla vita sociale civile e morale di questo paese sia sempre più vasta. Credo che la scarsa incidenza sia dovuta al fatto che gli intellettuali, per forza di cose, sono costretti al ragionamento mentre oggi la politica e gran parte della vita civile oscilla tra l’urlo e il furore. Prego il lettore di continuare la citazione scespiriana”.
Più volte hai espresso il tuo omaggio e il tuo debito di riconoscenza a Sciascia. Per questa ragione hai anche accolto la proposta di riaprire il teatro di Racalmuto al quale lo scrittore era legatissimo. Quanto è forte ancora il tuo legame con Leonardo Sciascia?
“Il mio legame con Sciascia continua ad essere fortissimo. Ho più volte detto e scritto che io lo considero il mio elettrauto. Quando ho la batteria scarica, mi basta una sola pagina di un suo testo per ricaricarmi”.
Qual è stato il tuo rapporto di amicizia con Sciascia. Hai detto spesso di appartenere agli amici del secondo giro, cosa intendevi?
“In Sicilia esistono, così come le vaste parentele di primo secondo e terzo grado, anche le amicizie di primo secondo e terzo grado. Sciascia aveva un ristretto gruppo di amici che lo chiamava Nanà. Io appartenevo al secondo gruppo di amici, quelli che lo chiamavano Leonà, avevo sì un’amicizia con lui ma non posso dire che tra di noi ci fosse un’intimità”.
Nei suoi ultimi anni di vita, Sciascia consegnò un giudizio lapidario sulla Sicilia: la definì “irredimibile”, mutuando la definizione di Tornasi di Lampedusa. Tu credi che la Sicilia sia veramente irredimibile? E’ ancora valido quel giudizio?
“Io credo che la Sicilia sia una terra redimibile con parecchie difficoltà ma redimibile. Lo penso proprio perché il siciliano al di fuori della sua terra è esattamente come il guerriero scomparso di Borges, cioè il barbaro che di fronte all’ordinamento di una città, lascia la sua gente e si trasferisce in quella città sposandone usi e costumi”.
Hai scritto che Sciascia era un uomo che odiava mentire. Cosa significa?
“Significa che per lui la verità, qualunque e comunque essa fosse, era la colonna portante del suo modo di concepire l’esistenza”.
Sulla sua tomba, nel cimitero di Racalmuto, Sciascia ha fatto incidere questa frase: “Ce ne ricorderemo, di questo pianeta“. Una frase che, ancora una volta, solleva molti dubbi e interrogativi, pervasa da una leggera ironia. Secondo te qual è il significato di quest’ultima frase e perché Sciascia potrebbe averla scelta come epitaffio?
“Come tutti sappiamo che Leonardo inizialmente voleva che sulla sua tomba venisse scritto: visse e si contraddisse. Poi cambiò parere. Ammetto che la frase scelta alla fine che mi pare sia di Villiers de l’Isle-Adam possa essere di dubbia interpretazione. E forse, una volta tanto Leonardo ha voluto lasciarci nel dubbio. Credo che negli ultimi tempi lo sguardo di Leonardo si fosse molto ampliato sul mondo, l’ironia risulta quindi chiarissima”.
Gaetano Savatteri
 
 

Il Mattino, 4.3.2017
Montalbano e Camilleri sul lettino di Fabiano

Giuseppe Fabiano è uno psicoterapeuta, docente di Psicologia generale alla Sapienza di Roma e Psicologia clinica a Tor Vergata. Apparentemente lontano dai suoi interessi, Andrea Camilleri è invece da tempo al centro dei suoi pensieri, come aveva già dimostrato con il racconto breve Un limoncello, un arancino un po' di sabbia, dedicato allo scrittore, con cui si pregia di aver spesso chiacchierato.
E il frutto di quelle chiacchierate ora torna in Nel segno di Andrea Camilleri. Dalla narrazione psicologica alla psicopatologia, agile libretto (Franco Angeli, pagine 144, euro 19) in cui analizza dal suo punto di vista le opere del siciliano (quelle con Montalbano, ma non solo, visto che sono poste alla sua at-tenzione anche La presa di Macallè e II casellante). L'inizio è generico, presenta ai non addetti ai lavori concetti e termini psicologici, ma l'opera entra nel vivo nella seconda e terza parte, in cui Fabiano sviluppa veri quadri psicopatologici dei personaggi, azzardando una lettura che «riporta il senso di umanità e originalità che si nasconde dietro la vita e la sofferenza reale».
Le classiche figure del romanzo poliziesco - l'assassino, la vittima, l'investigatore, il testimone - si presentano come quadri diagnostici, perfetti per manuali di studio, ma soprattutto curiosi per i fan del commissario di Vìgata, per chi vuole provare a entrare nella psiche dell'agente Catarella e di altri personaggi apparentemente di contorno, ma in realtà fondamentali per definire un paesaggio che è in-sieme investigativo, narrativo ma anche psichico.
 
 

Gazet van Antwerpen, 4.3.2017
Andrea Camilleri
Noli me tangere

Laura Garaudo is getrouwd met de beroemde schrijver Mattia Todini. Ze neemt zelf al eens de pen ter hand en vult, indien nìet t e neerslachtig, de rest van haar dagen met kunst en mooie mannen. Na een v an haar buien vertrekt ze naar het familiale zomerhuis, waaruit ze spoorloos verdwijnt. Inspecteur Maurizi staat voor een dilemma. Is hier wel sprake van een misdaad? Een spoor van brieven, nieuwsberichten en emails brengt Maurizi dichter bij de waarheid en geeft hem de kans door te dringen tot Laura's gecompliceerde persoonlijkheid. Andrea Camilleri is vooral bekend van zijn Montalbanodetectives, maar doet met dit zijs tapje zijn uitzonderlijk schrijftalent alle eer aan. Misp ak je vooral niet aan zijn ogenschijnlijk simpele verteltrant, waarachter een scherpzinnig vernuft en diep psychologisch inzicht schuilgaan. Serena Libri, 157p, 19,95 euro
 
 

Corriere della Sera, 4.3.2017
La televisione in numeri
Il potere della fiction e i miracoli di Montalbano (anche in replica)
La forza della serialità sta anche nella sua «utilità ripetuta», e il caso del commissario interpretato da Zingaretti è quasi inspiegabile: le repliche superano i 7 milioni

Come Sanremo, o quasi: ampiamente superata la soglia dei dieci milioni di spettatori per il prime time di Rai1 con l’episodio inedito «Un covo di vipere» del «Commissario Montalbano», che costringe Canale 5 a evitare l’anti-programmazione e a «perdere volontariamente» la partita senza sacrificare «L’Isola dei famosi» (al suo posto, il film 12 anni schiavo, che si ferma a un dignitoso 12,2% di share).
Raccogliere un ascolto medio superiore al 40% di share, con la curva che schizza in alto distanziando tutte le altre reti e sfiorando il 50% di share verso la fine dell’episodio, è un evento ormai raro per la generalista. Ma il successo di «Montalbano» (che conquista un pubblico prevedibilmente trasversale, che include sessi, generazioni e livelli culturali differenti) non è che un segnale della crescente importanza della fiction per le reti «free to air».
Anche Rai2, con la direzione di Ilaria Dallatana, ha saputo mettere a frutto operazioni molto riuscite: dopo «Rocco Schiavone», «La porta rossa» ha raccolto la scorsa settimana 3.341.000 spettatori, per una share del 13,1%, quasi il doppio della sua media. Insomma, lo «scripted content», genere complesso e costoso, che mostra i suoi risultati quando il processo produttivo si è concluso, è in grado di ripagare chi sa come investire. La forza della fiction sta anche nella sua «utilità ripetuta», e il caso di «Montalbano» pare quasi inspiegabile: le repliche raccolgono medie superiori ai 7 milioni di spettatori. «La gita a Tindari», per esempio, è andato in onda per la prima volta il 9 maggio del 2001, sulla Seconda rete Rai, raccogliendo 7.357.000 spettatori, per una share del 29,7%. L’episodio è stato replicato innumerevoli volte da allora, e l’ascolto delle repliche ha superato la prima messa in onda. Miracolo di Montalbano. (a.g.)
In collaborazione con Massimo Scaglioni,
elaborazione Geca Italia su dati Auditel.

 
 

Tv Talk, 4.3.2017
Montalbano dei record
I numeri di Montalbano
Cliccare qui per il video (minuti 35:40-42:30)
 
 

Radio RTM, 4.3.2017
Ragusa. La Consigliera Marino propone gemellaggio tra Ragusa e tutti i comuni set del film “Il Commissario Montalbano”

“Perché non creare un percorso culturale che conduca al gemellaggio del Comune di Ragusa con tutti i Comuni che hanno prestato le loro location facendole diventare set naturali della fiction tv de Il commissario Montalbano? L’idea è quella di creare un accostamento specifico, avente per denominatore la fortunata serie televisiva che, non a caso, appena lunedì scorso, ha riportato eccezionali indici di ascolto”. La proposta, rivolta alla Giunta municipale guidata dal sindaco Piccitto, arriva dalla consigliera comunale di Insieme, Elisa Marino. “Si tratta di una proposta – continua Marino – le cui modalità di applicazione sono tutte da elaborare ma che dovrebbe avere come fondamento l’obiettivo di incrementare l’effetto moltiplicatore del gradimento turistico, e non solo, nei confronti di quei Comuni, e Ragusa è tra questi, che hanno avuto la fortuna di essere stati selezionati dalla produzione della serie tv. Non dimentichiamo neppure che il Comune di Ragusa, da qualche anno, compartecipa in maniera sostanziosa alle spese riguardanti la lavorazione della fiction. Per cui sfruttare tutte le occasioni che si potrebbero presentare per legare ancora di più il marchio di Montalbano al nostro territorio sono tutte da considerare nella maniera dovuta. Si potrebbe, insomma, creare, mutuando i parchi scientifici e tecnologici già esistenti in varie zone d’Italia, un parco cinematografico esteso a tutte quelle realtà territoriali che hanno preso parte ai percorsi produttivi. E’ un’idea ambiziosa, ne sono consapevole, ma potrebbe fornire lo spunto adeguato per legare in maniera definitiva la nostra città all’immagine del commissario più famoso d’Italia, attuando un vero e proprio sistema con altre realtà analoghe, portando avanti un’azione tesa a determinare delle ricadute di un certo tipo su Ragusa. Ma non solo. Se ben strutturato, potrebbe creare le condizioni per dare vita a nuove occasioni di lavoro in questo campo della promozione turistica, allargando il proprio ventaglio operativo sui territori nazionali e pure stranieri dove, a quanto pare, la serie diretta dal regista Sironi è parimenti apprezzata. In attesa di conoscere, da lunedì, quale sarà il gradimento del pubblico per la seconda puntata inedita trasmessa in tv e in attesa che, a fine aprile, ripartano le riprese di una nuova stagione, ritengo che questa riflessione possa avviare un dibattito nella nostra città, e anche oltre perché no, allo scopo di utilizzare al meglio la risorsa Montalbano”.
 
 

Agenzia I Press, 6.3.2017
Camilleri e Dipasquale "Il Casellante"

Tutto questo (e molto altro) è l’anima de “Il Casellante”, che dal 7 al 12 marzo andrà in scena al Biondo di Palermo. Dopo un tour che ha toccato diverse città italiane, lo spettacolo approda finalmente in Sicilia, terra di contraddizioni che passa dal tubo catodico attraverso Montalbano e si riversa nel presente vivendo le passioni dei teatranti e del Teatro. Quello con la maiuscola, quello vivo, fatto per le persone e con le persone. «Portare Camilleri a teatro è come traghettare un’emozione tra prosa e poesia – spiega il regista siciliano Dipasquale – e questo è stato possibile anche grazie alla musica, che accompagna un linguaggio personale, originale com’è quello di Camilleri; e che ritma una divertita sinfonia di parlate fatta di neologismi, di sintassi travestita. Il Casellante è rimasto integro, ha una stabilità narrativa che è stata calata di peso nella solidità drammaturgica, questo anche perché ha la forza mitologica che l’autore ha voluto dare alla storia». Un amore artistico, quello tra Camilleri e Dipasquale, che ha segnato un passaggio di consegne: l’arte di Camilleri a teatro, con quella forza che dalle parole arriva all’azione, coinvolgendo il pubblico attraverso il sentimento.
 
 

La Repubblica, 6.3.2017
"Come voleva la prassi", Montalbano sempre più dark
Dopo il record di ascolti di "Il covo di vipere", lunedì 6 marzo su RaiUno l'ultimo dei due nuovi episodi. Luca Zinagretti indaga sul delitto di una giovane donna: che ruolo hanno i politici e i notabili del paese?

Dopo aver conquistato dieci milioni di spettatori la scorsa settimana, il commissario Montalbano è ancora protagonista, lunedì 6 marzo su RaiUno alle 21.15 in Come voleva la prassi di Alberto Sironi. In questo secondo e ultimo nuovo episodio (poi partiranno le repliche) indaga sul delitto di una giovane donna. Un delitto efferato. L'inizio del racconto è noir. Il cadavere viene ritrovato nell’androne di un palazzo; la ragazza si è trascinata fin lì, nuda, porta i segni di una violenza indicibile, è coperta di sangue. Stringe tra le mani un asciugamano. Perché ha scelto proprio quel palazzo? Montalbano sospetta che sia una prostituta dell’Est Europa. E spera che il clan dei Cuffaro, che gestiscono il mercato della prostituzione, isolino i responsabili. Repubblica.it vi propone i primi 7 minuti in anteprima.
Cliccare qui per il video
Ma la trama si complica, niente è come appare, il diavolo diventa protagonista e lo stesso commissario subisce un attentato. Indagando scova tra i condomini un complice che ha ripreso il festino – con i politici e i notabili del paese mascherati - in cui è morta la ragazza. Alla scoperta dell’anima nera degli essere umani, Andrea Camilleri è sempre più dark, con Montalbano (Luca Zingaretti) e la sua squadra (Cesare Bocci, Peppino Mazzotta) decisi a scoprire la verità che guardano l’abisso.
Se la scorsa settimana al centro della trama di Covo di vipere c’era un incesto, questa volta Montalbano riflette sul senso della giustizia, sul bene e il male, grazie all’incontro con un giudice in pensione, Leonardo Attard, che sta revisionando tutti i processi che ha celebrato, per essere sicuro di non essere mai stato condizionato nel giudizio dai problemi personali. In cerca di risposte, il commissario si ritroverà a farsi nuove domande. Come voleva la prassi è interpretato da Sonia Bergamasco, Angelo Russo, Giulio Corso, Marcello Perracchio, Roberto Nobile, Lana Vlady, Viktoriya Pisotska, Sofia Pulvirenti, Nuccio Vassallo, Mariella Lo Sardo, Massimo Spata, Giuseppe Schillaci, Matteo Taranto, Isabel Sollmann.
Montalbano (prodotto da Carlo degli Esposti con RaiFiction) è nell’olimpo Auditel di quest’anno - considerando la migliore performance di ciascun titolo - dietro soltanto al Festival di Sanremo. In percentuale Il covo di vipere mette a segno il secondo miglior risultato (meglio in termini share aveva fatto solo La piramide di fango il 7 marzo 2016 con il 40.9%, mentre più telespettatori aveva avuto Una faccenda delicata, che il primo marzo 2016 aveva sfiorato gli 11 milioni, 10,9 milioni per l’esattezza, ma poco di meno in share con il 39%). Le scommesse sono aperte: Come voleva la prassi batterà tutti i record?
Silvia Fumarola
 
 

La Sicilia, 6.3.2017
Stasera su Rai1. Tanti attori siciliani anche in questo episodio, "Come voleva la prassi"
Montalbano «un eroe umano» nella luce della Sicilia
Nobile: «Paesaggi e atmosfere che incantano» Pulvirenti: «La forza delle storie di Camilleri»

Tutti pronti ad accompagnare Montalbano per la prima volta nella Valle dei Templi, stasera su Rai1, nel secondo episodio tv, Come voleva la prassi. Pronti a immergerci nella luce della Sicilia che vorremmo, per seguire le indagini di Salvo, ormai uno di noi. Un grande successo televisivo costruito anche su una infinita galleria di tipi umani affidati al talento di numerosi attori siciliani - giovani o dal ricco bagaglio teatrale - che in poche battute dipingono un personaggio.
Torna in questa puntata un attore magnifico, come Roberto Nobile, il coraggioso giornalista Nicolò Zito. «Un personaggio molto presente nelle prime puntate, un simbolo positivo, un aiuto nel risolvere le indagini» racconta Nobile al telefono nel camerino di un teatro friulano dov'è in scena con La scuola, lo spettacolo con Silvio Orlando e Vittoria Belvedere, in cui interpreta il prof Mortillaro, che farà tappa al Biondo di Palermo. «Il boom del primo episodio? Da ragusano sono incantato dai paesaggi, dalla bellezza dei luoghi, dall'atmosfera che si crea, dalla bravura degli attori, dei caratteristi. Condivido l'amore che gli spettatori danno alla serie con quel qualcosa di più di chi vive lontano dalla Sicilia». Diretto, tra gli altri, da Avati, Amelio, Tornatore, Andò, Moretti, popolare anche per il ruolo di Antonio Parmesan in Distretto di Polizia («Il cinema? Ho amato La scuola, Stanno tutti bene e Terramatta, sono grato di queste occasioni in cui ho potuto esprimere il massimo»), sarà di nuovo in tv ne Il commissario Maltese con Kim Rossi Stuart in cui sarà un personaggio «un po' ambiguo».
Nuccio Vassallo, catanese, da sempre al Teatro Minimo, al suo terzo ruolo nelle serie di Montalbano, veste stavolta i panni malinconici di Leonardo Attard. «Un giudice in pensione che si tormenta su un problema di coscienza - racconta - vive circondato da carte e fascicoli perché vuole capire se è riuscito a mettere da parte la sua vita privata per applicare la legge. Montalbano è il suo vicino di casa ed è un amico che viene a chiedere consiglio». La ricetta del successo? «Piace perché non è una serie mafiosa o di poliziotti che sparano sempre, risolve i casi in modo normale, umano». La bionda Sofia Pulvirenti, nata a Roma da una famiglia catanese, diploma all'accademia Silvio D'Amico, in teatro con Carlo Cecchi, è Gabriella Persico. «Vivo nel palazzo dove avviene l'omicidio, sono legata a un indagato e consegnerò materiale prezioso a Montalbano - anticipa - Mi sono divertita a recitare questo ruolo, mi ha ricordato molte donne del Sud». Le sue scene sono al fianco di Luca Zingaretti. «Un'emozione - ride - è stato molto alla mano e ha dato a un'attrice giovane come me la possibilità di creare una relazione. Il successo? Parte dalla forza di Camilleri di narrare storie che ci riguardano».
Nella puntata rivediamo anche Massimo Spata, ragusano, che sarà pure nello spin off Rosi Abate. «Sono Micheletto il capo della Narcotici - dice del suo personaggio - stavolta sono chiamato per aiutare a scoprire la verità». Sul set, racconta, si respira un clima sereno, «c'è un grande lavoro dietro, una macchina incredibile, Montalbano è un fenomeno di qualità. Sono rimasto sorpreso da come viene seguito anche dagli stranieri, fanno cose da pazzi: la casa di Punta Secca è come un santuario!».
Era nel cast del Covo di vipere Valeria Panepinto, di Lentini, vista in teatro ne La lupa con Lina Sastri regia di Guglielmo Ferro. «Una bellissima occasione - racconta - Il set è come una famiglia, si lavora con gioia e leggerezza, il regista Sironi e gli attori, mettono amore in quello che fanno. Il pubblico si è davvero affezionato al commissario». In piccole scene (casting della Brahma Corporation dei fratelli Cori) ci saranno anche, in un elenco incompleto, Aldo Toscano, Nicola Giosuè, Sebina Montagno, Mauro Maria Amato, Elisa Franco, Angelo Tropea, Edgardo Mangiù, Barbara Giummarra, Chiara Esposito, Silvia Jelo.
Presenza fissa da molte stagioni il ristoratore Enzo che nella terrazza sul mare serve manicaretti al commissario «Antipasti, triglie fritte, pasta con le sarde, "capputteddi", le seppioline» elenca Aldo Messineo che lo interpreta dal 2010. «Zingaretti è un grande professionista, ci divertiamo a fare battute». Cabarettista a "Insieme" su Antenna Sicilia, cuoco «per diletto» anche nella vita, lavora al Teatro greco-romano di Catania. «Ogni tanto qualche guida esordisce indicandomi: lo sapete chi è lui? Oh, lo sanno, tutti sanno chi è Montalbano e pure dove mangia». La "moglie" sul set è l'attrice catanese Raniela Ragonese, in questa stagione ne Il marchese di Ruvolito al Brancati. «E' fantastico: grande professionalità in un clima familiare. C'è molta attenzione, tanta cura dei particolari anche sui ruoli piccoli che danno colore alla storia. Il successo? Camilleri, le location, gli attori e il modo in cui il regista Sironi riesce a descrivere umori, sapori, atmosfere della nostra Sicilia».
Ombretta Grasso
 
 

Prima Pagina News, 6.3.2017
Rai - Rai 1, Il commissario Montalbano sfida se stesso con “Come voleva la prassi”

Roma - Luca Zingaretti sfida se stesso. Nuovo appuntamento questa sera con "Il commissario Montalbano", in onda su Rai1, alle 21.25, con Luca Zingaretti, Cesare Bocci, Peppino Mazzotta, Angelo Russo, Giulio Corso, Marcello Perracchio, Roberto Nobile, Lana Vlady, Viktoriya Pisotska, Sofia Pulvirenti, Nuccio Vassallo, Mariella Lo Sardo, Massimo Spata, Giuseppe Schillaci, Matteo Taranto, Isabel Sollmann, e con la partecipazione di Sonia Bergamasco. Saranno anche questa sera 10 milioni di ascolti? La volta scorsa, per la prima puntata della nuova serie, è stato così, un successo record senza precedenti. Ma veniamo alla trama di questo nuovo episodio, stata tratta dai racconti di Andrea Camilleri, dalla raccolta “Morte in mare aperto ed altre indagini del giovane Montalbano” edita da Sellerio Editore, “Gli arancini di Montalbano” e “Un mese con Montalbano” edite da Mondadori. In particolare è la storia di una bella ragazza che viene ritrovata cadavere, con indosso solo un accappatoio intriso di sangue, sul freddo pavimento di un androne di via Pintacuda. Cosa ha spinto la ragazza a trascinarsi, esanime, fin lì dentro? Montalbano sospetta che la vittima sia una prostituta proveniente dall’Est Europa. E spera che i Cuffaro, che gestiscono il mercato della prostituzione a Vigata, isolino i responsabili di un crimine così efferato. Per tutta risposta, il commissario diventa oggetto lui stesso di un attentato. Le indagini portano Montalbano a scovare tra i condomini non l’assassino, ma un complice, che ha assistito e ripreso con una telecamera, il festino in cui ha trovato la morte la ragazza, a cui hanno partecipato, mascherati ma riconoscibili, i notabili della zona. Durante l’indagine, Montalbano conosce un giudice in pensione, Leonardo Attard, che sta revisionando tutti i processi che ha celebrato, per essere sicuro di non essere mai stato condizionato nel giudizio dai problemi personali. Un incontro inquietante, che lo lascerà con molti interrogativi. Il tutto mirabilmente condito dalle canzoni di Olivia Sellerio, che risuonano nelle due stagioni della vita del commissario di Vigàta. Con “Malamuri” in “Un covo di vipere” e “Ciuri di strata” in “Come voleva la prassi”, la sua voce accompagna Il commissario Montalbano. La cantante siciliana affronta due temi, scabrosi e terribili, restituendoli nel proprio racconto. «Ho scritto queste canzoni – dice Olivia Sellerio – perché la mia voce si aggiunga al coro contro l'ignominia della tratta, contro ogni forma di abuso, anche quello “sentimentale”». Un altro prezioso lavoro di creazione e di sintesi che coniuga il suo amore per diversi generi con la lingua di Sicilia a rinnovarne e contaminarne la musica popolare. Per finire alla regia, o meglio ad un grande maestro della regia televisiva che è Alberto Sironi: “ In “Come voleva la prassi”- dice Sironi- ci troviamo di fronte all'orrore. Si mette in scena un delitto efferato nei confronti di una giovane prostituta davanti a una platea di benpensanti. Una forma di spettacolo estremo, una kermesse di violenza per pochi intimi privilegiati. Lo spettacolo si palesa agli occhi dello spettatore quando Montalbano e i suoi uomini hanno tra le mani il filmato di un operatore chiamato a riprendere l'orrore. Ho spiato da lontano la violenza, ho preferito suggerire piuttosto che mostrare, senza indugiare sulle atrocità, leggendo il terrore negli occhi di chi guarda per coprire con il velo della pietà lo spettacolo dell'orrore”Alberto Sironi non si tira indietro, anzi si confessa in maniera plateale: “ Mettere in scena questi due ultimi film – riconosce- è stata un'esperienza particolare. Sempre più spesso nei suoi romanzi Camilleri accompagna Montalbano fino sull'orlo dell'abisso, costringendolo a guardare il male assurdo che si nasconde nella follia dell'uomo. Il regista insieme agli attori, agli sceneggiatori, al musicista… insieme a tutti coloro che creano le immagini e i suoni di un film, dà la misura a questo sguardo!”
Luigi Aiello
 
 

Il Fatto Quotidiano, 6.3.2017
Televisione
Il Commissario Montalbano, le 5 cose che fanno del poliziotto di Vigata un personaggio amatissimo

Ormai un anno fa, avevamo definito Il Commissario Montalbano come “il Sanremo delle Fiction, il Mondiale della serialità made in Italy”. Commentavamo, all’epoca, l’ennesimo record di ascolti infranto (si era abbondantemente sopra i 10 milioni di spettatori). Certificavamo, insomma, il trionfo di un prodotto perfetto, cesellato con perizia, sfruttano al meglio i romanzi di Camilleri e l’interpretazione di Zingaretti. Ora che il poliziotto Vigata è tornato (il secondo e ultimo episodio va in onda stasera su RaiUno), ecco che riemerge l’efficacia incontestabile (e soprattutto incontrastabile) della fiction: oltre nove milioni di spettatori la settimana scorsa (40% di share). Ma i numeri enormi di Montalbano non nascono per caso, anzi sono il frutto di un’operazione televisiva perfetta. Potremmo provare a riassumere i motivi per cui tutti, ma proprio tutti, seguono con passione le indagini del fascinoso poliziotto siciliano.
La capacità di sapersi dosare, senza smania
Innanzitutto, come tutti gli eventi che si rispettino, Il Commissario Montalbano si dosa sapientemente: dal 1999 ad oggi, sono state prodotte undici stagioni, per un totale di 30 episodi. Serialità ma anche no, insomma, perché Montalbano non è Un medico in famiglia e Camilleri non è uno scrittore compulsivo da discount. In fondo, i Mondiali e le Olimpiadi arrivano una volta ogni quattro anni e gli eventi veri, quelli che incollano il pubblico alla tv, non possono invadere i palinsesti per mesi e mesi.
Il talento di Luca Zingaretti
Montalbano piace anche perché è umano, troppo umano. E perché Luca Zingaretti è riuscito a dare al personaggio uno spessore clamoroso, anche a rischio di vedere annullata la propria personalità attoriale, sacrificata sull’altare dell’identificazione totale col personaggio. Zingaretti lo sa, e magari non è sempre contento di essere considerato solo e soltanto Montalbano, ma il legame tra l’attore e il personaggio è ormai totale, indissolubile, grazie a Zingaretti e forse nonostante lui.
Il valore aggiunto si chiama Camilleri
Ma è ovvio che l’origine di un successo così clamoroso è da ricercare tra le pagine di quel monumento nazionale che è Andrea Camilleri. Un uomo che per gran parte della sua vita ha fatto cultura (popolare e non, bassa e alta) dietro le quinte e che poi ha deciso che era arrivato il momento di fare un passo avanti e godere finalmente delle meritate luci della ribalta. Il rischio di diventare una sorta di Madonna Pellegrina, un feticcio per salottini chic, è sempre dietro l’angolo, ma grazie al cielo Camilleri è dotato di una ironia rara, di un approccio alla vita che ne ha conservato spirito e mente.
La conquista di un pubblico trasversale
Il Commissario Montalbano è una signora serie televisiva, realizzata come Dio comanda, ovviamente nel suo genere e con il linguaggio che deve essere proprio di un prodotto di così larga fruizione. C’è un equilibrio virtuoso tra alto e basso, ed è qui che la vera essenza di Camilleri è stata rispettata maggiormente, ed è grazie a questo che quasi undici milioni di persone guardano la fiction prodotta magistralmente da Palomar. Pur rivolgendosi principalmente al target classico di RaiUno, Il Commissario Montalbano unisce i pubblici televisivi: dal “salottaro de sinistra” alla casalinga dursiana, tutti lo amano e tutti lo guardano. Ed è questo, ancor più dei clamorosi dati Auditel, a certificare il trionfo di un prodotto televisivo che resterà nella storia del piccolo schermo e della cultura popolare italiana.
La “fame” del pubblico televisivo italiano
Chi guarda la tv in Italia è considerato, da addetti ai lavori e osservatori, una sorte di cerebroleso, né più né meno. Si crede che sia pronto a masticare e digerire tutto, che basti mandare in onda il peggio del peggio e lui sta lì, passivo, a trangugiare il nauseabondo pappone. Ormai, quando una fiction raggiunge 4 o 5 milioni di spettatori, si festeggia con ostriche e champagne. Sono i dirigenti televisivi, loro sì, ad accontentarsi, non certo il pubblico. I telespettatori italiani hanno fame di buona tv, soprattutto sul fronte della seralità, visto che altrove, in giro per il mondo, le serie vivono la loro golden age. Il successo clamoroso di Montalbano dimostra proprio questo: date al pubblico un prodotto di qualità e il pubblico (tutto il pubblico) lo premierà con risultati da monopolio tv. Se i padroni del vapore televisivo fossero lungimiranti, darebbero al pubblico quello che realmente vuole: più storie ben scritte che sappiano coniugare sapientemente alto e basso, meno fiction di infimo livello con attori cani e sceneggiature ridicole.
Domenico Naso
 
 

Il Sussidiario.net, 8.2.2017
IL COMMISSARIO MONTALBANO 12 / Anticipazioni, la nuova stagione ci sarà? Bilancio positivo fa ben sperare

IL COMMISSARIO MONTALBANO, ANTICIPAZIONI: VERRÀ REALIZZATA UNA NUOVA STAGIONE? [SI, NdCFC] IL BILANCIO È POSITIVO - A pochi è sfuggito il grande successo nuovamente ottenuto da Il commissario Montalbano: i nuovi episodi della fiction sono già stati (anche se solo indirettamente) confermati. Negli scorsi giorni è stato infatti lanciato un concorso che permette di vincere un posto sul set in qualità di comparsa. Ma anche da parte di Luca Zingaretti, che da diciotto anni veste i panni del personaggio nato dalla fantasia di Andrea Camilleri, sembra essere arrivato un commento carico di grande entusiasmo: “Sarebbe più che positivo” ha confessato l’attore in esclusiva sulle pagine di RadioCorriere Tv parlando dei risultati “È una soddisfazione sapere che i nostri film si sono affermati anche all’estero, accolti con entusiasmo persino in Paesi che si solito non sono così teneri nei conforti delle produzioni italiane, con l’Inghilterra, Stati Uniti e persino l’Australia. Insomma Montalbano è riuscito a farsi apprezzare in tutto il mondo”. Dal momento che le soddisfazioni portate a casa sono così consistenti, è probabile che rivedremo presto il nostro commissario sul piccolo schermo: si attende conferma…
IL COMMISSARIO MONTALBANO 12, ANTICIPAZIONI: VERRÀ REALIZZATA UNA NUOVA STAGIONE? - Il commissario Montalbano andrà in scena stasera, lunedì 6 marzo 2017, con l’ultimo episodio inedito proposto dalla prima rete nazionale: la fiction tratta dai romanzi di Luca Camilleri è tornata in onda come sempre con un successo strepitoso, e - nonostante siano in programma repliche di vecchi episodi per la prossime settimane a venire - il pubblico si sta già domandato se verranno realizzate altre puntate o meno. I più attesi si saranno già accorti di avere ricevuto una piccola risposta: sulla pagina Facebook ufficiale de Il commissario Montalbano, infatti, sono stati rilasciati alcuni quiz che danno a tutti gli utenti la chance di accaparrarsi un posto in qualità di comparsa all’interno dei nuovi episodi della serie. Ebbene sì, avete letto bene: le indagini del personaggio interpretato da Luca Zingakretti andranno avanti, anche se al momento non ci sono novità o anticipazioni più certe. Per scoprire quali casi affronterà, quali personaggi torneranno, e sullo sfondo di quali meravigliosi paesaggi si gireranno le nuove scene dovremo aspettare ancora un po’: l’attesa, come sempre, verrà ripagata.
 
 

LaNostraTv, 6.3.2017
Il Commissario Montalbano quando morirà? La decisione di Camilleri
Montalbano morirà: Andrea Camilleri ha scritto il finale della serie

Il primo dei due episodi inediti del Commissario Montalbano andato in onda lunedì scorso ha sbancato l’auditel: “Un covo di vipere” è stato seguito da più di 10 milioni di telespettatori pari al 41% di share, un successo senza precedenti. Stasera andrà in onda “Come voleva la prassi” e da lunedì prossimo le repliche. Che ne sarà poi del futuro della fiction campione di ascolti di Raiuno? Il Commissario Montalbano quando morirà? Pare che Andrea Camilleri abbia già scritto l’episodio in cui Salvo Montalbano morirà. Il testo è custodito nella cassaforte della casa editrice Sellerio e verrà pubblicato dopo la morte dello scrittore. Il destino letterario di Montalbano si concluderà, quindi, con la morte del protagonista. Lo stesso sarà per il personaggio televisivo? Al momento non vi è nessuna certezza a riguardo se non una frase sibillina pronunciata pare da Camilleri secondo cui “Un covo di vipere” e “Come voleva la prassi” accompagnano Montalbano “verso l’orlo del baratro”.
Il Commissario Montalbano morirà nell’ultima puntata [Addirittura!, NdCFC]
Cosa avrà voluto dire Andrea Camilleri con quest’ultima frase? L’orlo del baratro è la morte? Luca Zingaretti ha dichiarato di recente che Montalbano, col passare degli anni, è diventato più malinconico e ha una visione più cupa della vita. I due episodi inediti affrontano temi forti, amori tragici, incestuosi e Montalbano è costretto a guardare il male che si nasconde nell’uomo. In Come voleva la prassi in onda stasera, viene ritrovato il cadavere di una bella ragazza sul pavimento di un androne. Montalbano sospetta che sia una prostituta proveniente dall’Est Europa. Il Commissario finisce nel mirino di un attentatore. Le indagini lo porteranno a scovare un complice dell’assassino che ha ripreso con una telecamera il festino a cui la ragazza ha partecipato prima di essere uccisa. Cosa succederà alla fine di quest’ultima puntata: il Commissario Montalbano morirà?
Isabella Adduci
 
 

Malgrado tutto, 6.3.2017
La stanza dello scirocco
La guerra segreta per portare il commissario Montalbano ad Agrigento
TELEVISIONE. Nell’episodio del commissario Montalbano in onda questa sera, lunedì 6 marzo, alcune scene sono girate ad Agrigento. Nell’episodio “Come vuole la prassi”, Luca Zingaretti torna nella Vigata dei libri di Andrea Camilleri. Storia di un braccio di ferro tra province, produzioni televisive e set all’aperto

E’ il mese di settembre del 2014 quando per la prima volta si sancì un diritto: Vigata è Porto Empedocle, Montelusa è Agrigento e i luoghi del Commissario Montalbano non sono quelli della fiction.
Le fortune cineturistiche generate dalla popolarità televisiva nel mondo vanno distribuite equamente e non limitate al Ragusano. Sembra una rivendicazione assurda, velleitaria, perfino patetica e a Ragusa storcono il naso. Camilleri è Montalbano e Montalbano è ragusano. Un sillogismo perfetto finché a tentare la carta improbabile non è l’allora sindaco di Porto Empedocle Lillo Firetto, nelle vesti di presidente del Distretto Turistico Valle dei Templi, forte di un’amicizia vigorosa e sincera con lo scrittore Andrea Camilleri. La produzione ha già minacciato di lasciare la Sicilia e andare via in Puglia, attirata dalle sirene di una Film Commission più fiorente e pronta allo scippo. Seduti attorno ad un tavolo ci sono il produttore della fortunata serie televisiva, Carlo Degli Esposti, il direttore esecutivo della Palomar Gianfranco Barbagallo e i sindaci dei comuni del Distretto Turistico Sud-Est, Noto, Scicli, Modica e Ragusa. Firetto non batte i pugni, ma con la sua consueta flemma porta su quel difficile terreno le tesi di una richiesta legittima, che assume il sapore di un necessario indennizzo. E’ un primo passo importante.
Degli Esposti acconsente: il Commissario della fiction si ricongiungerà alla Vigàta letteraria, quella immaginata da Andrea Camilleri. I sindaci di Scicli, Modica, Ragusa e Noto borbottano. In fondo sembra una piccola cosa, ma è un primo tassello. Porzioni di set si sposteranno nell’Agrigentino. Intanto, è la serie del “Giovane Commissario Montalbano” a sbarcare alla Scala dei Turchi insieme alla fidanzata Livia. E’ il gennaio del 2015. La serie va in onda su Rai Uno dopo qualche mese, in primavera, per la regia di Gianluca Tavarelli, protagonisti Michele Riondino e Sara Felberbaum, rispettivamente nei panni di Montalbano e della giovanissima fidanzata.
E’ ancora estate e un altro tassello suggella la congiunzione tra luoghi letterari e cinematografici. Il Distretto Turistico Valle dei Templi incontra a Palermo Gloria Giorgianni, fondatrice della casa di produzione Anele, che sta producendo per Rai Uno un format assolutamente inedito di dieci piccoli corti, tratti dai racconti del libro “Donne” di Andrea Camilleri. Lo scrittore racconta le donne più importanti della sua vita e come non ritrarle in televisione nei luoghi reali?
Si raggiunge un accordo. Il Distretto offre la sede logistica per la sartoria, per il ricovero degli automezzi, l’accoglienza della troupe e delle maestranze, un centinaio in tutto, l’assistenza per i casting delle comparse. I film si preannunciano di successo con un cast di tutto rispetto: Nicole Grimaudo, Claudio Gioè, Anita Kravos, Giampaolo Morelli, Carolina Crescentini, Neri Marcorè, Vincenzo Amato, Francesco Mandelli, Nino Frassica e molti altri. A firmare i soggetti è anche Alessandra Mortelliti, nipote di Andrea Camilleri.
Le riprese cominciano in ottobre e interessano il centro storico di Agrigento, Palazzo Tommasi, Casina Giambertoni, la Valle dei Templi, la spiaggia di Giallonardo, la campagna di Montaperto, l’aereo dell’Air Pub Cafè di San Cataldo, e nel cast vengono coinvolti i ragazzi della Casa del Musical, di Marco Savatteri, che, con le coreografie di Gabriel Glorioso, devono improvvisare un boogie.
Gli episodi vanno in onda dal 30 agosto 2016 e l’atteso successo è confermato. Il format piace. I giudizi del pubblico sono unanimi. Questo sancisce un altro traguardo importante: Andrea Camilleri può essere apprezzato nelle versioni televisive delle sue opere, anche quando non si tratta del Commissario Montalbano. Può essere la proposta di un “compromesso”. Al Ragusano il Commissario Montalbano e all’Agrigentino tutte le altre opere. La produzione parla già di altri progetti per Rai Fiction, come “Il Casellante” o “La concessione del telefono”.
A Ragusa la comunicazione evita abilmente di citare le riprese di “Donne” nell’Agrigentino. E non è un caso. Questa storia del “decentramento”, o sarebbe meglio dire della “ricongiunzione” con i luoghi natii di Camilleri, al sud est della Sicilia non è gradita. Al punto che quando la produzione della serie televisiva di “Immaturi” giunge ad Agrigento e comincia i sopralluoghi con la Film Commission ormai collaudata del Distretto Turistico Valle dei Templi, Noto rilancia l’offerta. E la produzione comunica ad Agrigento che, purtroppo, è stata scelta un’altra zona.
Si chiama concorrenza. E ci sta, perché Agrigento è ancora all’inizio e merita più collaborazione da parte delle imprese.
Perché Sicilia sud est è uguale a Cineturismo? Un sistema economico più vivace, una capacità di essere coesi verso l’obiettivo e un’attitudine naturale nel fiutare gli affari. Tutti elementi in cui Agrigento mostra ancora la sua fragilità. Ma Firetto, divenuto sindaco di Agrigento, e sempre presidente del Distretto Turistico non demorde e intende portare ad Agrigento la nuova serie del Commissario Montalbano.
Prima di ciò, accadono due passaggi fondamentali: nell’ottobre 2015 a Casa Corriere, nel Cluster BioMediterraneo di Expo Milano, Andrea Camilleri manifesta pubblicamente, in collegamento video, apprezzamento per gli sforzi in atto nel voler legare i luoghi della fiction ai luoghi che hanno ispirato i suoi romanzi. Nel febbraio del 2016, in Campidoglio, lo scrittore, in diretta Rai, riceve dalle mani di Firetto la cittadinanza onoraria. Lo scrittore, empedoclino, ha studiato ad Agrigento e alla Città di Templi è legato da tanti ricordi. Sono presenti il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, il giornalista Felice Cavallaro per la Strada degli Scrittori e il presidente di Anas, Gianni Vittorio Armani, che comunica in quella sede che la SS 640 sarà ufficialmente denominata Strada degli Scrittori, legando indissolubilmente e per decreto del ministero dei Trasporti, gli scrittori (Pirandello, Camilleri, Sciascia…) ai luoghi natii.
Nell’aprile del 2016 cominciano ad Agrigento le riprese della nuova serie del Commissario Montalbano, che torna ad essere interpretato da Luca Zingaretti. L’episodio va in onda lunedì 6 marzo 2017, su Rai Uno in prima serata, per la regia di Mario Sironi. Il titolo è “Come voleva la prassi”. Lunghe sequenze di quella fiction sono state girate ad Agrigento all’interno del Parco Archeologico della Valle dei Templi. Lo stesso promo in onda in questi giorni per annunciare la messa in onda, anticipa uno spezzone in cui si vede Luca Zingaretti nei panni del mitico commissario di Vigàta aggirarsi tra le colonne doriche del tempio di Giunone. Una “finestra” internazionale che promuove Agrigento e la sua Valle alla luce del fatto che il commissario televisivo, che ha alle spalle 11 stagioni e più di trenta episodi, è visto mediamente da 10 milioni di persone per poi essere tradotto in 13 lingue e venduto in 28 Paesi del mondo.
“Questa volta la fiction promuove il territorio agrigentino – recita una nota del Comune – e non è detto che prossimamente non possano girarsi nuovi episodi ancora nella città dei templi. Il sindaco di Agrigento, Lillo Firetto, che è in stretto contatto con il produttore Carlo Degli Esposti non nasconde questa nuova possibilità”.
Anche di queste ultime apparizioni agrigentine non c’è traccia nella stampa del sud est, anzi. Sui blog, sui siti di informazione, sui profili social di strutture ricettive è sempre esaltata e amplificata un’identità rafforzata in tanti anni: “la vera Vigata, si legge, è qui”. Non volendo perdersi in dissertazioni filosofiche circa il concetto di verità, va comunque rilevato un senso di orgoglio e di attaccamento, certo giustificato da indubbi flussi turistici, che andrebbe emulato. L’aver colto in questi ultimi anni l’importanza del cineturismo e l’aver creato una rete istituzionale e di imprese in grado di sostenere produzioni cinematografiche e televisive è un punto a favore del nostro territorio.
Bisogna recuperare il tempo perduto ed è ovvio che non basta la collaborazione con la Film Commission della Regione Siciliana, oggi Ufficio Speciale per il Cinema e l’Audiovisivo dell’Assessorato Turismo, Sport e Spettacolo. Occorre che sia il territorio a comprendere quanto queste attività, apparentemente marginali, possano influire in termini di lavoro, di promozione, di rilancio del sistema produttivo. In questo momento la Film Commission del Distretto sta assistendo la produzione di un film messicano. Le riprese partiranno verso la fine del mese ad Agrigento e alla Torre di Monterosso. La distribuzione è destinata a sei Paesi in due Continenti.
Anna Maria Scicolone
 
 

Carlo Degli Esposti, 6.3.2017
Tutti pronti per questa sera su Rai Uno per vedere Montalbano?

Stasera nel secondo episodio di Montalabano ci sarà un nuovo brano di @oliviasellerio dal titolo CIURI DI STRATA.
Da domani poi sarà disponibile su #itunes.
 
 

TG1, 6.3.2017
Torna Montalbano, ospite al Tg1
Cliccare per il video

Su Rai Uno torna il celebre commissario Montalbano con il nuovo episodio "Come voleva la prassi". Il primo, "Un covo di vipere", ha ottenuto ascolti record con oltre il 40 per cento di share e più di 10 milioni e 600 mila spettatori. A una settimana da questo clamoroso successo è tornato a trovarci il protagonista Luca Zingaretti.
 
 

Panorama, 6.3.2017
Serie TV
Montalbano, quel pasticciaccio di via Pintacuda – Recensione
“Come voleva la prassi”: Luca Zingaretti e il delitto-choc fra prostituzione, mafia e droga. Brilla la storia parallela del giudice lacerato dal dubbio

Stavolta pesci grossi. Anzi giganteschi. Per esempio il sindaco moralista con la voglia matta, il giro di droga imponente quanto quello della prostituzione, la discoteca scambistica e, sull’orizzonte del panorama poco edificante, la nuvola nera della mafia.
Partendo dal corpo senza vita di una ragazza, il ritrovamento del quale è annunciato con la telefonata a Salvo Montalbano (Luca Zingaretti) nella più classica formula da commissariato: “Trattasi di un cadavere di sesso femminile. Donna”.
Era lo spunto del secondo e ultimo episodio inedito de Il Commissario Montalbano, titolo Come voleva la prassi, andato in onda su Raiuno e in capo – con Un covo di vipere della scorsa settimana – ad una serie che adesso prevede alcune repliche egualmente appetibili, com’è ovvio in una emissione diventata davvero “di culto” nella fruizione televisiva.
L’azione, più complessa di quella rappresentata nella puntata scorsa e ripresa da raccolte diverse di Andrea Camilleri (Morte in mare aperto ed altre indagini del giovane Montalbano, ed. Sellerio e Gli arancini di Montalbano e Un mese con Montalbano, ed. Mondadori), si è sviluppata in un paio d’ore attorno a due storie parallele, meglio, l’una racchiusa dentro l’altra come in un sistema di matrioske.
La ragazza nuda e insanguinata
Il blocco principale era ovviamente legato al delitto e alle indagini, con quell’inizio tosto, la giovinetta nuda e insanguinata che si trascina fino alla “Panda”, corre quasi alla cieca per le stradine di Vigata per poi fermarsi e andare a morire nell’androne di via Pintacuda. Chi è? Nessuno dei condomini la conosce. Buio pesto. Un osso duro per il commissario.
Insomma il nulla. Poi, ovviamente, dal nulla al tutto. Con calma serafica e anche con un po’ di fortuna Montalbano tesse la sua tela paziente, interrogando e spulciando con a fianco i fidi Mimì (Cesare Bocci) e Fazio (Peppino Mazzotta), scoprendo gli altarini di parecchie persone; e individuando, attraverso la sua amica Ingrid (Isabell Sollman) che mostra di conoscere talmente bene da stuzzicare la rituale gelosia di Livia (Sonia Bergamasco), i meccanismi del giro di prostituzione che ha portato alla morte della ragazza.
Una fine violentissima, stupro di gruppo e coltellate nelle dinamiche di un assassinio tanto feroce da turbare e disgustare perfino l’accigliato spinoso dottor Pasquano (Marcello Perracchio), stavolta più professionale e non intento a ingozzarsi di cannoli siciliani.
Quel festino precipitato in tragedia
Sicché, messo il naso in tanto verminaio e arrivato a sfruculiare i famigerati Cuffaro che si appoggiano a una banda dell’Est europeo per gestire i loro traffici loschi (per questo rischia pure una pistolettata e si salva per miracolo), Montalbano si ritrova tra le mani la soluzione: in quel festino precipitato in tragico snuff movie, ripreso dal fotografo “regista” morto ammazzato pure lui ma capace, nel soprassalto di responsabilità, di spedirgli il dvd con le scene del crimine e i volti dei notabili partecipanti, sindaco con voglia matta in testa.
La doppia “morale” del titolo
La morale della storia e l’abilità di Montalbano sono tutte nel titolo: nel pubblico ministero che, “come vuole la prassi”, tenta di insabbiare la faccenda una volta scoperto il colpevole più eccellente; e nel commissario che ne sa una più del diavolo e che, come vuole la sua, di prassi, non si fa infinocchiare e vince la sua battaglia nel modo più beffardo possibile.
Sullo sfondo ambienti sordidi e, in linea con la svolta narrativa di queste nuove puntate (sempre derivata, logicamente, dalla scrittura di Camilleri), tematiche scabrose molto al limite per una prima serata di rete generalista, tutte risolte però con l’eleganza e la disinvoltura spalmate dalla mano leggera di Alberto Sironi, che della regìa di questa saga-Montalbano ha fatto un vero e proprio modello stilistico.
Allo stesso modo di Luca Zingaretti, che ormai si muove nel personaggio e nei suoi ambienti come se fosse a casa sua – e in fondo un po’ lo è, anche – pure conservandosi quegli spazi artistici ed espressivi “altri” nel cinema, a teatro, in tv che ce lo consegnano tra i migliori attori italiani a tutto tondo senza legarlo a modelli e stereotipi.
La recitazione? Un piacere vederla
Zingaretti, certo, Montalbano lo recita alla perfezione. Viene di pensare che senza di lui la serie televisiva non esisterebbe. E credo che qualcosa, a livello di popolarità, glie la debba anche Camilleri, naturalmente senza sottrargli la fama e la gloria meritate di scrittore. Una recitazione che è un piacere da osservare, assorbire e comprendere.
E fa venire in mente, per adesione e personalità, quella del Maigret di Jean Gabin, replicata poi con tanta fortuna anche qua in Italia da Gino Cervi. Insomma un fenomeno di consumo televisivo che fa effetto; specie all’interno di un sistema che propone ogni giorno mille alternative; ma che, proprio in quanto “fenomeno”, non deve sorprendere più di tanto perché di queste sostanze è fatto il mondo dell’entertainment.
Verità reale e processuale
Detto della vicenda principale, il “giallo” vero e proprio dunque il cuore dinamico dell’episodio, vale la pena di ragionare sulla storia seconda o parallela, che va definita così soltanto per una minor misura di occupazione temporale e per una aderenza di genere più laterale rispetto ai viluppi e agli sviluppi del racconto investigativo.
Perché la figura di quel misterioso anziano signore in abito scuro e panama che passeggia lungo la spiaggia assolata e si rivela poi nel giudice in pensione Leonard Attard (Nuccio Vassallo) illumina con il suo caso l’intero racconto. Con una densità e una profondità che meriterebbero, in altre circostanze e dimensioni, un film a parte.
Compiuto e disvelato fino nelle pieghe più segrete di quella revisione delle sentenze emesse durante la vita professionale che il giudice opera tra le carte processuali: in una misura sospesa fra la rivisitazione della propria coscienza e l’estensione filosofica del concetto di “dubbio”, di verità reale e di quella processuale.
Intuizione straordinaria, che arriva ad impegnare, si direbbe quasi a “sorvegliare” il tratto primario del racconto sostenendone al tempo stesso i ritmi e le pause.
Una pagina molto intrigante e ben girata, a seguire un modulo narrativo sperimentato (l’arrivo del personaggio extra-vicenda, come fu l’Alessandro Haber in Un nido di vipere ma stavolta con più affascinanti risvolti tematici) e consentendo a Zingaretti e a Vassallo d’interpretare una gran bella pagina di recitazione, nella penombra di quello studio, tra gli scaffali colmi di classificatori e di carte processuali, a parlare di dubbi, di certezze, di memoria e forse di rimorsi.
Profumi e sapori irresistibili
Poi, naturalmente, ecco le nuotate nel mare trasparente capaci di ricaricare e stemperare, il caffè fumante servito con la moka nel tintillìo di tazzine e cucchiaini che pare di sentirne il profumo su quella terrazza al centro del mondo montalbanico, i pranzi irrinunciabili e i piatti irresistibili snocciolati come fossero un ricettario di cucina, dai polpi alla Luciana al ricercato gambero rosso, dalla tartare di tonno alla granita di caffè con la panna senza zucchero.
Incapace di negarsi tutto ciò, Salvo Montalbano ce lo consegna, ce lo ha consegnato ancora una volta, come un invito a godersi, se non il meglio, almeno quel po’ di buono che offre la vita, anche quando attorno insiste l’oscurità più greve e insondabile.
Due note ulteriori. La prima per il brano Ciuri di strata, scritto e cantato da Olivia Sellerio nel finale e sui titoli di coda, pezzo armonicamente strutturato e disteso, molto pregevole anche nella sua facilità di ascolto.
La seconda per l’agente Catarella (Angelo Russo), ormai diventato a suo modo un piccolo must della serie, macchiettistico nella iterazione degli interventi maldestri e dei nomi storpiati, quasi una maschera da commedia dell’arte, irrinunciabile nella sequenza ritmica del racconto e stimolo non ultimo di quello humour che, assieme alla flemma disincantata e alla perseveranza febbrile rappresenta al meglio il respiro di Montalbano.
Rigoroso, sdrammatizzante, sobrio e seduttivo.
Claudio Trionfera
 
 

Corriere di Ragusa, 6.3.2017
Spettacoli - Il secondo ed ultimo episodio della nuova serie ispirata dal romanzo di Andrea Camilleri
Montalbano non si piega in "Come voleva la prassi"
Il commissario non dà risposte definitive e chiude una storia di violenza senza dare giudizi definitivi

Di prassi si muore. Soprattutto nell’animo prima che con il corpo. Il secondo e ultimo episodio della nuova serie del commissario Montalbano pone interrogativi etici al protagonista del romanzo di Andrea Camilleri e presenta, così come nel precedente episodio, «Un covo di vipere», un Montalbano maturo, riflessivo ma sempre pronto a ribellarsi alla violenza, soprattutto se, come in questo episodio, c’è di mezzo una giovane ragazza dell’Est che per sbarcare il lunario si prostituisce in un locale per la buona borghesia di Vigata. «Come voleva la prassi» mette insieme tanti temi del primo Montalbano, a cominciare dalla pervasiva famiglia mafiosa dei Cuffaro alla amicizia particolare, ma sempre leale, del commissario con l’affascinante Ingrid, stavolta faccia a faccia con la partner ufficiale di Salvo, Livia. Dal punto di vista dell’ambientazione è il primo episodio in assoluto che emigra dagli Iblei verso un’altra location di eccezione come i templi di Agrigento dove il commissario incontra in segreto proprio Ingrid. Ci sono Scicli, Donnalucata, Sampieri e Punta Secca a fare da sfondo al delitto che dà il là all’inchiesta. I personaggi anche in questo caso sono ben delineati e pur senza picchi si confermano nella loro identità, che in fondo costituisce la forza di tutta la serie.
A fianco della morte violenza della prostituta ucraina si muove invece, quasi a fare da contraltare, la vicenda umana prima che professionale del giudice Attard, ossessionato nel suo rigore morale da una domanda che lo insegue da tempo e che è la stessa che Camilleri pone nei suoi romanzi. Se è possibile, cioè, giudicare senza farsi condizionare dalle proprie vicende personali, siano esse familiari, sentimentali o anche economiche. Il giudice Attard scopre che nella sua onorata carriera, pur se in un solo caso, non è stato così e questo lo porta a procurarsi la morte con un incendio dove bruciano simbolicamente tutte le sue carte. Salvo Montalbano va invece avanti per la sua strada e pur ponendosi la domanda sa che è suo dovere mettere di fronte alle proprie responsabilità il potere e il senso di impunità che il potere può dare. Come sempre Camilleri non dà risposte definitive, chiude la storia senza dare giudizi, così come il suo Montalbano lasciando allo spettatore, così come al lettore, la risposta.
Duccio Gennaro
 
 

Teatro Biondo, 7-12.3.2017
Il casellante
sala grande
di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale
con Moni Ovadia, Valeria Contadino, Mario Incudine
e con Sergio Seminara, Giampaolo Romania
e i musicisti Antonio Vasta, Antonio Putzu
scene e regia di Giuseppe Dipasquale
musiche originali Mario Incudine
con la collaborazione di Antonio Vasta
costumi Elisa Savi
luci Gianni Grasso
la canzone La crapa avi li corna è di Antonio Vasta
produzione Promo Music-Corvino Produzioni / Centro d’Arte Contemporanea Teatro Carcano / Comune di Caltanissetta

Il casellante è, tra i racconti di Camilleri del cosiddetto “ciclo mitologico”, uno dei più divertenti e, allo stesso tempo, struggenti. Ambientato in Sicilia, terra di contraddizioni, narra la vicenda di una metamorfosi. Ma questa Sicilia è la Vigàta di Camilleri, che diventa ogni volta metafora di un modo di essere e ragionare le cose. Dopo il successo ottenuto con le trasposizioni per il teatro de Il birraio di Preston e La concessione del telefono, lo scrittore siciliano e il regista Dipasquale tornano nuovamente insieme per proporre al pubblico una nuova avventura, una vicenda affogata nel mondo di Camilleri, che vive di personaggi reali ma trasfigurati dalla sua grande fantasia di narratore. Una vicenda sospesa tra mito e storia, che disegna i tratti di una Sicilia arcaica e moderna, comica e tragica, ferocemente logica eppure paradossale.
Il casellante racconta di Minica – in attesa di un figlio – e di suo marito Nino, della loro modesta vita nella solitaria casetta gialla accanto a un pozzo e a un ulivo saraceno, durante gli ultimi anni del fascismo. Nino, che nel tempo libero si diletta a suonare il mandolino, fa il casellante lungo la linea ferroviaria che collega i paesi della costa. La zona, alla vigilia dello sbarco alleato, si va animando di un via vai di militari e fascisti che, quasi presagendo la fine imminente, si fanno più sfrontati. Una notte, mentre Nino è in carcere, colpevole di avere ridotto le canzoni fasciste a marce e mazurche con chitarra e mandolino, un evento sconvolgente travolge la vita di Minica.
 
 

La Sicilia, 7.3.2017
Minica, stuprata, si trasforma in albero
“Il casellante” di Camilleri, regia di Dipasquale, da stasera al Biondo di Palermo poi in tour
Dramma e sorriso si fondono nello spettacolo che narra una violenza su una donna

Catania. «Addivintò comu na petra lavica, non ci fu chiantu, non ci fu cchiù cantu». Un dio pietoso placa il dolore di Minica, madre mancata, preda indifesa di uno stupro bestiale, agnello nell'orrore della guerra. Con una metamorfosi da favola la riporta alla terra, al ciclo della natura da cui è stata scagliata fuori, la tramuta in albero. Poesia, violenza, mito e la narrazione divertita dell'epoca fascista si fondono nella scrittura di Andrea Camilleri che firma con Giuseppe Dipasquale il testo per la scena tratto dal suo racconto del ciclo "mitologico" Il Casellante - «siamo già al lavoro su Il sonaglio, anticipa Dipasquale - che da stasera al 12 marzo sarà al Teatro Biondo di Palermo. Uno spettacolo con uno straordinario Moni Ovadia narratore, mammana, giudice, barbiere, gli intensi e convincenti Valeria Contadino-Minica e Mario Incudine-casellante Nino, cuntista e autore delle musiche di scena eseguite dal vivo con Antonio Vasta e Antonio Putzu, e con Sergio Seminara e Giampaolo Romania.
«Nel Casellante Camilleri ha cercato più di altri racconti di arrivare alla poesia - spiega il regista Dipasquale - Canto, cunto, recitazione, azione si intrecciano per dare il segno di questa storia, apparentemente leggera, ma dal risvolto drammatico. Una vicenda molto attuale, la violenza sulle donne e nel racconto quasi mitologico, favolistico, assume i caratteri di universalità. La metamorfosi è una catarsi necessaria, altrimenti né Minica né noi spettatori saremmo in grado di sopportare l'abuso, dovremmo pensare che il genere umano è arrivato al fondo». La violenza entra nel piccolo universo del casello ferroviario, nella vita d'amore di Nino e Minica, nel microcosmo col mafioso, il barbiere, i musi-canti, i tutori della legge. «Il narratore diventa personaggio e guida in un racconto che Camilleri con la sua lingua densa e teatrale porta al limite del comico nella sfilza di personaggi per poi far entrare all'improvviso la tragedia, DIpasquale sceglie la chiave musicale e si affida a Incudine con note di barberia, a costruire l'atmosfera del paese, e brani struggenti nelle scene più drammatiche.
Prodotto da Promo Music, Teatro Carcano di MIlano e Regina Margherita di Caltanissetta, Il casellante sarà il 14 marzo a Noto, il 15 a Enna, il 16 a Marsala, dal 17 al 19 ad Agrigento e a maggio al Sistina di Roma. L'anno prossimo a Catania, ma non allo Stabile, di cui Dipasquale è stato direttore artistico, coinvolto nella bufera che ha portato al commissariamento. «Mi sono imposto il silenzio - replica il regista - Le azioni intraprese per la ristrutturazione del teatro sono esattamente quelle che con il presidente Nino Milazzo e con Jacopo Torrisi avevamo già messe in campo dal 2014, un processo che poteva cominciare tre anni fa». Cosa è successo? «Non c'era la volontà che ora c'è di intervenire. Presidenti e Consiglio d'amministrazione che legittimamente controllavano il mio operato hanno potuto verificare la mia azione che era comune. All'esterno c'è stato chi si è fidato più di mugugni e maldipancia. Al di là delle polemiche, mi auguro che lo Stabile sia sempre il punto di riferimento della cultura siciliana».
Ombretta Grasso
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 7.3.2017
Il casellante” al Biondo va in scena Camilleri

«Se non posso avere figli come femmina, voglio fare frutti come un albero». È un auspicio sofferto, ed è la metamorfosi con cui si chiude "Il casellante" di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale, all'interno di una storia di violenza che si sublima attraverso la trasformazione in una nuova speranza di rinascita.
"Il casellante", tratto dal romanzo di Camilleri del 2008, stasera alle 21 debutta al teatro Biondo di via Roma con la regia dello stesso Dipasquale, in un momento che vede lo scrittore di Porto Empedocle in libreria con "La mossa del cavallo" e in tv con i nuovi episodi de "Il commissario Montalbano". In scena, protagonista è Moni Ovadia, nei panni del narratore, ma anche del violentatore Barrafato, della mammana, del giudice e del barbiere. Al suo fianco, Valeria Contadino è Minica, la moglie incinta di Nino, e Mario Incudine ha il doppio ruolo del casellante Nino e di autore delle musiche originali eseguite in scena, che di fatto trasformano l'opera in una "melopea teatrale", (secondo le intenzioni di Camilleri), ovvero «un cunto siciliano- dice lo scrittore- in cui la musica ha una valenza drammaturgica preminente».
Nella storia, Minica durante una notte in cui Nino è in carcere, arrestato per aver ridotto le canzoni fasciste a marce e mazurche , subisce una terribile violenza da un altro casellante, un pervertito attratto morbosamente da donne gravide, e quando saprà che non potrà più avere figli, risponderà col desiderio di trasformarsi in pianta.
«Uno spettacolo che percorre più livelli- dice il regista- Una sorta di drammaturgia parlante orale e "cuntata"», dice Dipasquale. L'impegno di Ovadia nasce invece dal sodalizio artistico avviato con Mario Incudine con "Le supplici" di Eschilo, in scena per l'Inda a Siracusa la scorsa stagione. «Gli ho proposto io di fare quest'opera, intrecciando la sua musica alla parola di Camilleri, che già di per sé è un miracolo espressivo, sonoro e ritmico- racconta Ovadia dal canto mio ho rilanciato il carattere epico-narrativo del Camilleri in scena, attraverso il narratore».
Per Valeria Contadino «Minica è uno dei personaggi più complessi e affascinanti che mi sia capitato di interpretare finora-dice- È il canto dolente ma pieno di speranza di una femminilità violata e calpestata dalla becera violenza maschile. Ma il principio della vita vince anche le più oscure brutalità».
Repliche fino al 12, biglietti da 11 a 32 euro, infor allo 0917434341.
Laura Nobile
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 7.3.2017
Dietro le quinte diretta FbLive dal Biondo "Il casellante" di Camilleri
Cliccare per il video
Mario Di Caro e Giada Lo Porto
 
 

RagusaH24.it, 7.3.2017
Montalbano, tra Montaigne e l'esercizio del dubbio: indagine negli inferi dell'animo umano
La storia è di difficile risoluzione per Montalbano e la sua squadra, che si ritrovano a scavare sempre di più nell'animo umano, nella parte più nera, nascosta, inquietante

Dopo i dieci milioni di spettatori della scorsa settimana, è tornato il Commissario Montalbano in una nuova puntata diretta da Alberto Sironi, tratta dalla penna di Andrea Camilleri e prodotta dalla Palomar.
In Come voleva la prassi, Montalbano ha indagato sull'omicidio di una giovane donna, barbaramente torturata e violentata.
Un'indagine che prima conduce Montalbano verso la pista mafiosa, fino a rischiare di rimanere ucciso in un attentato, in una trattoria dove 'si mancia bene'. Ma viene risparmiato da uno dei due killer, proprio come successe nella storia di Androclo e il leone.
La storia è di difficile risoluzione per Montalbano e la sua squadra, ma si inizia a scavare sempre di più nell'animo umano, nella parte più nera, nascosta, inquietante perché "La ferocia che cerchiamo negli altri spesso è dentro di noi e si manifesta nei modi più impensati".
Un omicidio talmente efferato, da far smuovere anche il dottor Pasquano dal proprio laboratorio per dare, ancora una volta, la chiave per la svolta alle indagini: la polvere di silicio.
E così si arriva al finale, a un terribile festino con politici e gente in vista del paese, la maggior parte resi irriconoscibili da maschere grottesche e inquietanti, degne dei migliori, o peggiori, rituali demoniaci.
Un'indagine che, come vuole la prassi, quando coinvolge personalità importanti, sta per venire insabbiata e finire nel dimenticatoio, ma Montalbano, come aveva spiegato lo stesso Camilleri nella prefazione, ha imparato da tempo come funziona la prassi e a correre ai ripari. E l'ipocrisia è sconfitta.
Un episodio incentrato quasi completamente sulle indagini e poco sulla 'location', anche se viene lasciato ampio spazio alle nuotate del commissario nel nostro mare cristallino e, come era stato preannunciato, con una delle scene girata fuori provincia, della splendida Valle dei Templi di Agrigento.
Una puntata 'dotta', dove si citano Montaigne e Aulo Gellio, con la figura, solitaria e 'anti eroica' del giudice in pensione, che nobilita il dubbio nella sua dimensione etica.
Alessia Metastasio
 
 

TvZap, 7.3.2017
Ascolti: Montalbano supera ogni record con il 44,1% di share
La fiction con Luca Zingaretti supera il 44% di share e vince la serata televisiva. E’ l’episodio più visto di sempre in termini di spettatori e di share

Il secondo e ultimo dei nuovi episodi de Il Commissario Montalbano “Come voleva la prassi” vince e segna un nuovo record con 11.300.000 ascoltatori e uno share del 44,1%. E’ l’episodio più visto di sempre in termini di spettatori e di share della saga del commissario siciliano impersonato da Luca Zingaretti. L’episodio precedente trasmesso il 27 febbraio 2017 da RaiUno “Un covo di vipere” aveva registrato 10.674.000 spettatori pari al 40,8% di share, ponendosi temporaneamente al terzo posto come risultato in termini di spettatori e secondo per quanto riguarda lo share.
Da lunedì prossimo tocca alle repliche, che lungi dal disaffezionare gli spettatori hanno registrato sempre ascolti più che eccellenti, vincendo facilmente contro gli avversari. Un amore, quello tra il commissario e i telespetttatori italiani, che ormai va avanti dal 1999, quando Zingaretti vestì per la prima volta i panni di Montalbano, e che non conosce crisi.
I ringraziamenti del direttore di Raiuno Andrea Fabiano, ionfatti, erano giunti via Twitter già ieri sera, prima di conoscere questi nuovi entusiasmanti dati d’ascolto.
[...]
Anna Lupini
 
 

Rai News, 7.3.2017
Rai1, Montalbano dei record, oltre 11 mln davanti la Tv e 44% di share
Record assoluto per Montalbano che ieri, lunedì 6 marzo con l'episodio "Come voleva la prassi", ha oltrepassato il risultato segnato la settima scorsa nel primo episodio

Il Commissario Montalbano è l'uomo dei record. Montalbano infatti supera se stesso. Il commissario di Vigata nel secondo episodio inedito andato nel prime time di ieri sera su Rai1, 'Come voleva la Prassi', ha ottenuto 11 milioni 268mila telespettatori pari al 44,11% di share. Risultati con cui il film-tv tratto dai libri scritti da Andrea Camilleri ha oltrepassato il record segnato la settima scorsa nel primo episodio, 'Un covo di vipere', che ha incollato invece al piccolo schermo 10 milioni 674mila telespettatori raggiungendo uno share del 40,80%.
"Come voleva la prassi" è tratto dai racconti di Camilleri, dalle raccolte “Morte in mare aperto ed altre indagini del giovane Montalbano” edita da Sellerio e “Gli arancini di Montalbano” e “Un mese con Montalbano” edite da Mondadori.
Si tratta anche del miglior risultato di una fiction negli ultimi 15 anni. Montalbano è stato seguito con ascolti record da un pubblico trasversale in tutte le regioni d'Italia, dal Piemonte con il 49% di share, alla sua Sicilia, dove lo share ha toccato il 55%. Ancora più alto lo share tra il pubblico laureato, con il 56%. Montalbano è anche il programma più commentato sui social della giornata di ieri (fonte Nielsen Italy). Nella classifica delle serie tv trasmesse da settembre 2016 a ieri, è l'unico titolo che con soli due episodi si posiziona nella Top 10 delle serie più commentate. Con il risultato di ieri, è stata superata la soglia di un miliardo di spettatori, sommando gli ascolti di tutte ?le puntate nei 18 anni di storia della collana.
"Lo straordinario risultato del Commissario Montalbano ci rende soddisfatti e orgogliosi" commenta il Direttore Generale della Rai Antonio Campo Dall'Orto: "Serie tv dal carattere universale, giallo avvincente e racconto gentile di una Sicilia senza tempo, la saga di Montalbano continua ad appassionare il pubblico oggi più di prima. Dalla penna di Camilleri alla qualità di un grande prodotto televisivo che oggi sbarca anche su Rai Play, Rai dimostra ancora una volta di saper emozionare gli italiani con un'offerta che mescola tradizione e innovazione e che rappresenta un'eccellenza che supera i confini nazionali".
"Intorno al Commissario Montalbano il pubblico si è riunito ancora una volta, aggiungendo sempre nuovi spettatori alla già vastissima platea" afferma Eleonora Andreatta, direttrice di Rai Fiction: "Le storie di Andrea Camilleri sono coinvolgenti e complesse, invitano alla riflessione e trasmettono un profondo senso di umanità e di giustizia. Ma ogni volta è una nuova sfida, e mi congratulo davvero con gli autori, con Alberto Sironi, con Luca Zingaretti e il resto del cast, con la produzione Palomar, per essere riusciti insieme a alla Rai a confermare e anzi accrescere un fenomeno editoriale che ha dimensioni internazionali".
 
 

Corriere della Sera, 7.3.2017
TV
Montalbano da (vero) record: oltre 11 milioni di spettatori e 44% di share
Il commissario interpretato da Luca Zingaretti ottiene il record di spettatori e share: mai nessun episodio era stato così visto. L’attore: «Abbiamo parlato al cuore della gente»

Che dire? Difficile trovare le parole per il nuovo record di Luca Zingaretti: lunedì sera Il Commissario Montalbano è stato visto da 11 milioni 268 mila telespettatori, pari al 44,1% di share. E per una volta la parola record — spesso abusata in un mondo dove per farsi ascoltare bisogna alzare la voce, dilatare i sostantivi e ingrandire gli aggettivi — è quanto mai pertinente. Mai così tanto aveva fatto la fiction di Rai1: in termini di telespettatori il miglior risultato (10 milioni 862 mila) era arrivato con l’episodio Una faccenda delicata (29 febbraio 2016), mentre in termini di share (40,9%) la migliore performance risaliva a La piramide di fango (7 marzo 2016 ). Ora la prossima asticella da superare sarà rappresentata da Come voleva la prassi, in cui Montalbano ha indagato sulla morte di una ragazza che ha partecipato a un festino finito male.
La metà dei televisori sintonizzata su Rai1
Il risultato così eclatante lascia oggettivamente interdetti, praticamente la metà dei televisori accesi lunedì sera era sintonizzata su Rai1. E la spiegazione non si può nemmeno trovare nella qualità del prodotto che — pur essendo alta — non giustifica da sola un’attenzione e un’attesa così plenaria. La ricetta di Montalbano sembra quasi semplice — un eroe positivo, i paesaggi da cartolina, il the end consolatorio — con l’aggiunta della qualità letteraria della scrittura che nasce dai romanzi di Camilleri che fanno da canovaccio portante alla sceneggiatura. Fosse così però basterebbe trasportare qualunque libro ben scritto sul foglio digitale dello schermo tv per avere un prodotto di successo. Invece no. C’è sempre quel che di insondabile e impalpabile, quell’inspiegabile e indefinito che è nella sostanza aleatoria e volatile di molti best seller televisivi. Si può solo azzardare una spiegazione: forse in un mondo che va ormai troppo veloce, Montalbano e il suo elogio della lentezza sono la risposta che vorremmo avere.
Zingaretti: «Riflette emozioni e brividi che restano»
Anche le parole di Zingaretti non riescono a spiegare fino in fondo il fenomeno Montalbano: «È un classico, riflette emozioni e brividi che restano. Camilleri non racconta dei gialli, ma il nostro mondo. Noi siamo ancora qua, abbiamo parlato al cuore della gente e il cuore della gente ci ha voluto ascoltare, bontà sua». Dunque una questione di cuore? Per quanto fondamentale è difficile pensare che basti il solo muscolo emotivo, ma trovare una motivazione è come camminare in un labirinto da cui non c’è uscita. Un’ultima considerazione su Zingaretti: ormai è fatto della stessa sostanza di Montalbano, in ogni altra interpretazione l’attore risulta — essendo il personaggio così popolare — inevitabilmente poco credibile. Croce e delizia, perché ormai il suo personaggio rimarrà televisivamente immortale. In fondo il panorama — da una torre d’avorio — può non essere male.
Renato Franco
 
 

l'Unità TV, 7.3.2017
Montalbano senza limiti: quel “touch” che incanta gli italiani
Più di 11 milioni ieri sera per un episodio violentissimo ma anche filosofico

Un altro record. Come Usain Bolt, il commissario Montalbano ormai gareggia solo con se stesso. Va bene, Schiavone-Giallini e Lojacono-Gassmann sono andati benissimo. Ma Montalbano è un’altra cosa. Da anni. E sempre di più.
Ieri sera ha fatto 11 milioni e 300mila. Lunedì scorso, per il gran ritorno, era andato benissimo ma “solo” 10 milioni.
C’è da dire che l’episodio di ieri – Come voleva la prassi, titolo molto ‘siciliano’, ammiccante, ambiguo – era fra i più belli di sempre, a nostro parere. Una storia, come ha spiegato all’inizio con la sua voce cavernosa e affascinante Camilleri, che intreccia mirabilmente tre “pezzi” camilleriani, fra i quali il principale, violentissimo, e un altro (La revisione) altamente morale e poetico.
La saldatura difficilissima fra la crudezza di una inaudita perversione sessuale e la profondità di una domanda filosofica sui limiti del nostro giudicare ha portato infine ad un equilibrio sorprendente e affascinante dell’episodio.
Forse con Come voleva la prassi ieri sera 11 milioni di italiani hanno riflettuto, anche solo per un minuto e con tutti i limiti di una fiction tv, su un ardito interrogativo morale, impersonato da un giudice che alla fine della vita rivede tutti i processi penali della sua vita alla ricerca di qualcosa che ne avesse condizionato – impropriamente e dunque colpevolmente – l’operato. Con la conclusione, resa tragicamente nella fiction, che una giustizia scevra dagli egoismi umani, semplicemente, non esiste.
Per converso, Montalbano scopre gli autori delle terribili nefandezze, fino all’omicidio, commesse da notabili pervertiti. E lo fa alla sua maniera, eludendo i fin troppo prevedibili intralci che ‘i piani alti’ avrebbero frapposto al raggiungimento dei colpevoli. Montalbano vince la partita: ma allora la giustizia esiste?
Si resta col dubbio, inevitabile, molto “siciliano”, (Camilleri non è forse l’ultimo grande pirandelliano?). E intanto si gode la bellezza formale del Montalbano diretto da Alberto Sironi e interpretato, ormai con una maturità davvero notevole, da Luca Zingaretti e dagli altri bravissimi attori, il cui tocco – come il “Lubitsch touch” di tanti decenni fa – è ormai familiare e per certi versi indispensabile.
Mario Lavia
 
 

Il Fatto Quotidiano, 7.3.2017
Il Commissario Montalbano, perché la serie tv con Luca Zingaretti è come una partita della Nazionale
Lunedì sera il secondo e ultimo episodio di quest'anno di Montalbano ha stabilito il proprio record di sempre: 11.268.000 spettatori e 44,1% di share. Dati da Sanremo, dunque, ma di quelle edizioni del Festival che vanno bene, benissimo. Per una fiction italiana è qualcosa di enorme

Era il 6 maggio 1999, e su RaiDue andava in onda il primo episodio de Il Commissario Montalbano, la fiction tratta dai romanzi di Andrea Camilleri. Ricapitoliamo: RaiDue (non RaiUno come oggi), 1999 (con meno concorrenza di oggi). Il risultato dell’Auditel sin da allora era stato clamoroso: 6.251.000 spettatori, share del 24,45%. Su RaiDue, ripetiamo, perché la cosa è fondamentale per capire che le premesse di quella che sarebbe stata la lunga avventura televisiva di Montalbano erano già ottime. I primi sei episodi (le prime tre stagioni) erano trasmesse proprio dal secondo canale Rai, con ascolti compresi tra 6,3 e 7,3 milioni (share dal 23,75 al 29,65%.
Dalla quarta stagione in poi, ovviamente, era arrivata la promozione sull’ammiraglia di viale Mazzini, con conseguente (e ormai atteso) boom degli ascolti: Il senso del tatto, primo episodio della quarta stagione, aveva conquistato 9.352.000 spettatori (33,51% di share). Era il 2002, quando la frammentazione televisiva (dell’offerta e del pubblico) non era ancora neanche lontanamente paragonabile al livello attuale, ma il risultato era già enorme. Nel corso degli anni, Il Commissario Montalbano è stato dosato sapientemente da Rai e Palomar, contribuendo così a renderlo un happening televisivo vero, non un prodotto in serie basato sulla quantità. Pochi episodi a stagione, a volte anche tre anni di pausa tra una stagione e l’altra, seguendo il cammino tracciato dai romanzi di Camilleri e costruendo un fenomeno di cultura nazionalpopolare difficilmente ripetibile in tempi brevi. Gli ascolti sono sempre stati altissimi, ma i dati clamorosi sono quelli degli ultimi giorni.
Oggi la tv è frammentata come nemmeno la sinistra in Italia, con decine di proposte ogni sera tra tv generalista, canali tematici in chiaro, pay tv digitali e satellitari, piattaforme in streaming. Eppure lunedì sera il secondo e ultimo episodio di quest’anno di Montalbano ha stabilito il proprio record di sempre: 11.268.000 spettatori e 44,1% di share. Dati da Sanremo, dunque, ma di quelle edizioni del Festival che vanno bene, benissimo. Per una fiction italiana è qualcosa di enorme, soprattutto perché è vero che Il Commissario Montalbano si rivolge a un target di pubblico enorme, visto che va in onda su RaiUno, ma è vero pure che uno dei capolavori realizzati da Luca Zingaretti è riuscire a diventare trasversale, ad attraversare come una lama pubblici diversi, distinti e distanti per scolarizzazione, collocazione geografica, età, tradizionali gusti televisivi.
E nel 2017, con l’offerta bulimica della tv di oggi, risultati del genere si possono ottenere solo così, mischiando le carte, abbattendo i muri dei compartimenti stagni a cui si rivolgono pigramente i canali televisivi. Ecco perché Montalbano è davvero come Sanremo o una partita della Nazionale di calcio, perché si rivolge a tutti, nessuno escluso.
E nonostante quasi 18 anni di trionfi di critica e pubblico, il dato interessante è che la quota dei 10 milioni di spettatori è stata superata in tempi recenti, a metà della nona stagione (2013), a riprova che il successo di Montalbano non può e non deve essere analizzato secondo i criteri comunemente accettati ai giorni nostri. È un fenomeno diverso da qualsiasi altra cosa che abbiamo visto o vedremo mai sulla tv generalista, è happening nazionalpopolare ma non per questo di bassa qualità, è la sintesi perfetta tra alto e basso che tutti, nel panorama culturale italiano, dovrebbero provare a fare. Tra chi si chiude nella torre d’avorio ormai fuori dal tempo e dalla storia e quasi spera di non ottenere un successo di massa, e chi offre al pubblico quintali di letame televisivo credendo così di accontentarlo, esiste una terza via percorribile e Il Commissario Montalbano ne è la prova evidente. Il problema, per molti, è che per realizzare un prodotto del genere bisogna saper lavorare come Dio comanda, capire il gusto del pubblico di massa senza farsi travolgere e, al contempo, provando a far capire a dirigenti televisivi e telespettatori che sì, si può essere popolari anche senza svilirsi e, anzi, costruendo piccoli capolavori tutti da gustare.
Domenico Naso
 
 

Il Fatto Quotidiano, 7.3.2017
La polemica di Davide Turrini
Il Commissario Montalbano, non è ora di mandare in pensione questo prodotto televisivo abusato?
L’àncora Montalbano, con la sua pesantissima zavorra nazionalpopolare, con il suo terrificante ripetersi seriale, senza uno sbaffo di colore fuori posto, senza una stilla di variazione nel ritmo e nei dialoghi, nella parole e nelle fede (spettatoriale), sembra quelle cartoline ingiallite che ritroviamo nei bar di provincia lasciate lì immobili

Bravo ma basta. E’ ora che Il Commissario Montalbano chiuda con i (cospicui) voucher di Rai1 e apra la pratica della pensione. Siamo stati zitti per una vita. Abbiamo lasciato che ogni episodio seguisse l’altro senza sfiorare la sacra icona nazionale. Ma ora, conclusa anche l’undicesima stagione, visto il “the end” dell’episodio Come voleva la prassi, è tempo di tirare giù la serranda. Finiamola con questo anonimo andazzo, con questo piattume scenografico, con questa recitazione appena solleticata da Luca Zingaretti e compagnia catatonica recitante. Sono quasi vent’anni che la tv italiana è rimasta incagliata in questo funesto archetipo di (non) creatività. L’àncora Montalbano, con la sua pesantissima zavorra nazionalpopolare, con il suo terrificante ripetersi seriale, senza uno sbaffo di colore fuori posto, senza una stilla di variazione nel ritmo e nei dialoghi, nella parole e nelle fede (spettatoriale), sembra quelle cartoline ingiallite che ritroviamo nei bar di provincia lasciate lì immobili, a farsi osservare in continuazione come tassa e gloria del tempo che fu.
Inutile che il rilancio di questa terrificante doppietta, ultimo (magari!) giro di campo, tra Il Covo di vipere e Come voleva la prassi, sia stata spinta come una “variazione dark”, come qualcosa di “nuovo”, rispetto al reiterarsi imperturbabile della noia del Commissario che nuota e guarda il mare. Perché, come dire, un rivolo di sangue, o un seno intravisto da lontano non fa di certo primavera anzi, fa percepire quello sforzo di rappresentare qualcosa che a livello artistico non è nelle proprie povere corde. Prodotto anonimo e monotono, la serie diretta (?) da Alberto Sironi, sintesi di un bisogno di ipnosi collettiva da primo canale, ha comunque ricevuto il massaggio cardiaco di un grandissimo autore ampiamente sottovalutato nel nostro cinema, Francesco Bruni (come regista Scialla e Noi 4; come sceneggiatore tre quarti di film di Paolo Virzì). Ma, appunto, è stato come installare un software dell’iPhone ad un Motorola MicroTAC. E ancora: Montalbano non è nemmeno ritorno al classicismo e alla tradizione, ma semplice stasi, frigido immobilismo.
Poi chiaro, come quella Fiat Punto usata per aprire ogni inquadratura di raccordo tra luoghi diversi del set, che entra in scena da sinistra e si parcheggia a destra, lenta, lentissima, la tradotta del Commissario Montalbano non è nemmeno un “esempio” su come si facevano le serie tv “una volta”. Il mestiere è lezione, sapere, conoscenza, magari da tramandare a chi verrà dopo. Non un incantato pilota automatico che rulla sulle battute disperanti di un poliziotto, macchietta comica, che ha ripetuto anche ieri sera la stessa scivolosissima gag sgarrupata almeno dieci volte. Interminabile, inguardabile, letale.
Davide Turrini
 
 

La Stampa, 7.3.2017
Un altro record per Montalbano visto da più di 11 milioni di italiani: mai così bene
L’episodio della scorsa settimana era stato visto da 10 milioni e 674 mila spettatori. Lunedì prossimo spazio alle repliche

Montalbano non conosce rivali e allora si festeggia. «Oggi è il giorno della gioia». Le parrucche volano al vento e il commissario di Vigata e i suoi compagni di squadra sorridono felici nello scatto che li immortala sul profilo Instagram di Luca Zingaretti, alter ego di Montalbano, la saga del commissario siciliano nata dalla prolifica penna di Andrea Camilleri. Ieri sera il nuovo appuntamento su Rai 1 per il nuovo episodio dal titolo «Come voleva la prassi», ha registrato il suo record assoluto in termini di telespettatori e di share incollando davanti al video 11 milioni 268 mila telespettatori, pari al 44.1% di share.
L’episodio precedente trasmesso il 27 febbraio 2017 da Rai 1 «Un covo di vipere» aveva registrato 10.674.000 spettatori pari al 40,8% di share. Montalbano sfodera sempre numeri da finali di Sanremo o da nazionale di calcio. Luca Zingaretti, non a caso la scorsa settimana aveva postato sullo stesso profilo social la foto che lo ritraeva - per festeggiare la puntata «Il covo di vipere» con i suoi compagni di avventura in una posa assai scherzosa. Così, insieme a Cesare Bocci (Mimì Augello), Peppino Mazzotta (Giuseppe Fazio), Angelo Russo (Catarella) erano diventati «The Inimitables», ricalcando la posa dei Beatles con tanto di parrucche.
«Montalbano - commenta sul post Zingaretti - non è un «brand». È una serie tv composta da tanti film, frutto del sudore, della passione e della bravura di tutti quelli che ci lavorano a vario titolo. Il suo successo non è «scontato». «Se da anni conquistiamo la fiducia di tanti -italiani e stranieri - è perché non molliamo mai. Senza questo pubblico, che ci regala tempo, stima e affetto noi non saremmo niente. E tutto il lavoro sarebbe vano. Grazie, grazie, grazie allora a tutti quelli che, seguendoci, ci fanno andare avanti e crescere da così tanto tempo! Se una costellazione è bella e luminosa è merito delle stelle. E le nostre stelle sono loro».
Da lunedì prossimo tocca alle repliche, che lungi dal disaffezionare gli spettatori hanno registrato sempre ascolti più che eccellenti, vincendo facilmente contro gli avversari. Un amore, quello tra il commissario e i telespettatori italiani, che ormai va avanti dal 1999, quando Zingaretti vestì per la prima volta i panni di Montalbano, e che non conosce crisi. Poi in un’intervista al Tg1 l’attore ringrazia il pubblico che da tanti anni segue la serie, e alla domanda «il segreto del successo?» risponde: «Forse anche perché rappresenta l’uomo che ognuno di noi vorrebbe essere e che molte donne amerebbero avere accanto».
Questa la top ten degli episodi di Montalbano più visti, in milioni di spettatori, dalla prima puntata del 6 maggio 1999 su Rai1:
1) Come voleva la prassi (2017) - 11 milioni 268.000 (44.1%).
2) Una faccenda delicata (2016) - 10.862.000 (39,06%)
3) Una lama di luce (2013) - 10.715.000 (38,1%)
4) Un covo di vipere (2017) - 10.674.000 (40.8%)
5) Una piramide di fango (2016) - 10.333.0000 (40.95%)
6) Una voce di notte (2013) - 10.223.000 (36,43%)
7) Il gioco degli specchi (2013) - 9.948.000 (35,17%)
8) Gli arancini di Montalbano (2002) - 9.892.000 (34,44%)
9) Il gatto e il cardellino (2002) - 9.795.000 (32,83%)
10) Il sorriso di Angelica (2013) - 9.630.000 (34,2%)
11) Il campo del vasaio (2011) - 9.561.000 (32,61%)
12) Il senso del tatto (2002) - 9.352.000 (33,52%)
13) L’età del dubbio (2011) - 9.295.000 (32,46%).
 
 

Corriere Comunicazioni, 7.3.2017
Digital divide
Comprate un cellulare a Montalbano
Niente tecnologie per il commissario che ha fatto la fortuna della Rai. Eppure è nato lo stesso anno di Google. Ma computer e innovazione non fanno parte del côté. La condizione pre-digitale è parte del successo o, per la Tv pubblica, un'occasione mancata?

Mai uno sguardo al computer. Quasi mai lo smartphone in mano. Il commissario Montalbano veleggia trionfante nelle sue inchieste nudo alla meta. A lui la tecnologia, 50enne campione di ascolti della Rai, non serve. A casa, seduto nel famoso terrazzino sul mare, usa il cordless. Può capitare di vedere qualche oggetto connesso spuntare dalle tasche di un collaboratore, questo sì. Ma nemmeno un’ombra digitale, per il commissario di Vigata macchina da guerra della Rai: la puntata di ieri sera ha toccato il 44,1% di share, record assoluto. La Tv pubblica ci ha costruito una fortuna: serie amatissima in Italia, è conosciuta in mezzo mondo. Il commissario va sui piccoli schermi degli Usa, della Russia, del Regno Unito. Il Kommissær Montalbano è amatissimo in Danimarca, in Francia, Svezia, Argentina, Australia… La Sicilia ricostruita da Tullio Camilleri, antica ma familiare, costringe le altre reti televisive a rivedere i palinsesti per non uscire malconce dalla guerra quotidiana sui dati d’ascolto.
Ma niente. Montalbano è pre-digitale. Eppure di occasioni ne avrebbe avute. In fondo ha debuttato insieme al primo Blackberry, un anno dopo il Mac e a pochi mesi dalla nascita di Google. Vero che il commissario è impermeabile a quanto accade nel mondo: non solo la tecnologia non lascia tracce, ma neanche la morte di D’Antona, per dire, o la comparsa dell’euro. Montalbano raddrizza i torti del mondo in totale digital divide. Si potrebbe obiettare: occasione mancata, per li servizio pubblico, che potrebbe veicolare con le avventure del commissario più famoso d’Italia qualche rudimento di quell’alfabetizzazione digitale tanto invocata dall’universo produttivo e istituzionale. Ma forse dietro il successo di Montalbano c’è anche questo: un Paese in digital divide, che esporta se stesso solo se nudo alla meta. La narrazione dell’Italia non ha ancora assorbito l’innovazione.
r.c.
 
 

TvZoom, 7.3.2017
Auditel
Ascolti Tv analisi 6 marzo: Montalbano nella storia, Come vuole la prassi. Gli altri non pervenuti
Percentuali d’ascolto sanremesi per l’episodio de Il Commissario Montalbano più visto di sempre. Il 53,5% della platea tv su Rai1 quando alle 23.37 Luca Zingaretti risolve il caso dell’orgia finita malissimo. Picco di ascolti da 12,168 milioni alle 22.00. Gli altri? Si difende come può la prima tv di Canale 5, tiene la pellicola di Italia 1, Del Debbio fa meglio del film di Rai2 e stacca Iacona e Telese.
La puntata di ieri sera de Il Commissario Montalbano è la più vista di sempre

Ha fatto il botto storico, stavolta, Il Commissario Montalbano. A quota 11,268 milioni e 44,11%, Come vuole la prassi è decisamente il miglior risultato complessivo di sempre. La settimana scorsa, Un covo di vipere aveva ottenuto 10,673 milioni di spettatori con il 40,78% di share. Il primo episodio fresco dell’anno scorso, Una faccenda delicata, aveva raggiunto 10,862 milioni di spettatori ed il 39,07% il 29 febbraio, mentre il secondo episodio del 2016, trasmesso il 7 marzo, La piramide di fango, aveva convinto 10,333 milioni di spettatori con il 40,96% di share. Vale la pena registrare che erano stati ottimi anche i risultati dei quattro episodi freschi del 2013: in quell’anno il 6 di maggio Una lama di luce si era fermato a 10,7 milioni e 38,13%, dopo che il 29 di aprile Una voce di notte aveva conseguito 10,2 milioni ed il 36,43%, in una stagione in cui gli altri due capitoli della saga, Il sorriso di Angelica (9,6 milioni e 34,2%) e Il gioco degli specchi (9,950 milioni e 35,18%) avevano fatto prestazioni solo un po’ meno sensazionali.
Ma parliamo dei picchi d’ascolto dei prodotti più recenti: nel 2016 Una faccenda delicata aveva fatto un picco di ascolti da 12,040 milioni ed un picco di share finale del 46,88%; La Piramide di fango, invece, aveva fatto un picco di ascolti di 11,6 milioni ed un picco di share del 48% in chiusura di storia. Sette giorni fa la torbida vicenda d’incesto con Valentina Lodovini protagonista aveva fatto un picco di ascolti da 11,6 milioni alle 22.04 con già il 39,8% di share e poi alle 23.41, quattro minuti circa prima della fine, aveva ottenuto il 48,6%. Ieri il complesso Come vuole la prassi, che in pratica snocciolava due storie (quella delle orge tra potenti finite con un omicidio e quella del magistrato in pensione che non si perdona un errore commesso quando era ancora in servizio) ha avuto almeno tre momenti topici: ha fatto un picco di ascolti da 12,168 milioni alle 22.00, mentre l’amica Ingrid presentava a Salvo tale Maria, coinvolta nei festini al club Doberman; il picco di share è arrivato nel finale alle 23.37 con il 53,5%, appena dopo la scena in cui il commissario consegna il dvd che inchioda al sindaco protetto dai Cuffaro, appena prima di bruciare il pacco che ha ricevuto dal magistrato (probabilmente) suicida. Mentre il killer rinunciava a uccidere Montalbano, invece, alle 22.31, l’audience era salita a 11,877 milioni con il 44,8%.
[...]
 
 

AgrigentoNotizie, 7.3.2017
Il commissario Montalbano nella Valle, Agrigento incollata alla tv
La città era curiosa di vedere le bellezze in Rai, alcuni sono rimasti delusi per il "poco tempo". Altri, non hanno potuto fare a meno di apprezzare

Il commissario Montalbano torna con un episodio speciale. Si, perché per Agrigento, la puntata andata in onda ieri sera su Rai Uno è stata speciale. Il commissario Montalbano è stato tra le bellezze della Valle dei Templi.
Agrigentini incollati alla tv, per potere vedere la “famosa scena” tra le colonne dei templi agrigentini. Montalbano continua ad essere nell’olimpo dell’Auditel, anche ieri con il ‘Come voleva la prassi’ ha raccolto tanti consensi. Infatti, la puntata di ieri ha battuto ogni record. "Montalbano" è stato visto da 11 milioni e 268 mila telespettatori.
E gli agrigentini? Alcuni sono rimasti delusi per il poco tempo dedicato alla Valle, altri non ha potuto fare a meno che apprezzare la scelta di portare le bellezze di Agrigento su Rai uno. Una promozione turistica che non guasta, la serie tv è tratta dai romanzi di Andrea Camilleri. A commentare la puntata, anche il sindaco di Agrigento, Calogero Firetto. “Il Montalbano di ieri sera – ha detto – è stato il programma televisivo, in assoluto, più visto. I primi dati Auditel parlano di uno share del 44,11 per cento pari a 11 milioni e 268 mila telespettatori. A tutto questo, in termini di ritorno di immagine, vanno aggiunti i “passaggi” del video “promo battage” di 42 secondi, in onda nei giorni precedenti; un trailer contenente la scena del Commissario che si aggira tra il tempio greco, per promuovere la puntata, trasmesso a ciclo continuo in diverse fasce orarie. Dunque un’incredibile 'finestra' internazionale che promuove Agrigento e la sua Valle, alla luce del fatto che il commissario televisivo, che ha alle spalle 11 stagioni e più di trenta episodi, viene tradotto in 13 lingue e venduto in 28 Paesi del mondo. Auspichiamo - ha concluso il sindaco Lillo Firetto - che il nostro Commissario Montalbano frequenti più spesso Agrigento e la sua Valle dei templi".
Federica Barbadoro
 
 

Scrivo Libero, 7.3.2017
La “Valle dei Templi” protagonista dell’episodio de “Il Commissario Montalbano”: la città si divide

Ingrid ed il Commissario Montalbano fra le colonne del Tempio di Giunone. Una scena che ieri ha reso orgogliosi gli agrigentini. Finalmente i luoghi narrati dallo scrittore empedoclino Andrea Camilleri, hanno fatto bella mostra in prima serata su Rai Uno nell’ultimo episodio della famossissima serie tv.
Un’occasione per rilanciare ancor più l’immagine di Agrigento e della sua Valle dei Templi. Un incontro quasi “segreto” quello fra l’affascinante Ingrid e Salvo Montalbano che ha tenuto “incollati” gli agrigentini, e non solo, sullo schermo in attesa della scena girata all’interno della Valle dei Templi.
Ma anche quella che avrebbe dovuto essere un’occasione di vanto e di grande orgoglio, pare che a qualcuno non sia piaciuta. Subito dopo la messa in onda della scena, sui social non si sono risparmiati critiche sulla durata o sulla mancata ripresa “panoramica” del sito archeologico. Altri, invece hanno esaltato quelle scene fra le colonne doriche, sicuri di un ritorno d’immagine che non può che non fare “bene” ad Agrigento e alla sua provincia.
Al di là di quella che è stata la scena mandata in onda, resta comunque il fatto che nelle immagini che introducono gli intermezzi pubblicitari, vi è sempre stata quella che ritrae il Commissario nel Tempio di Giunone. Una “finestra” internazionale che ha comunque promosso Agrigento e la sua Valle alla luce del fatto che il commissario televisivo, che ha alle spalle 11 stagioni e più di trenta episodi, è visto mediamente da 10 milioni di persone per poi essere tradotto in 13 lingue e venduto in 28 Paesi del mondo. Un’occasione che, probabilmente, non sarà unica visto che il sindaco di Agrigento, Lillo Firetto, con il Parco Archeologico ha promosso le riprese di Montalbano non nascondendo la possibilità di ripetere nuove scene.
Eppure, come nella più antica tradizione, ad Agrigento si parla, parla e parla… Oscar Wilde diceva “Non importa che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli“…
 
 

Eco di Sicilia, 7.3.2017
Tortorici (Me): Sebina Montagno nell’ultima puntata del “Commissario Montalbano”
L'intervista

C’era anche la 29enne Sebina Montagno di Tortorici (Me) fra gli attori della puntata di ieri sera del Commissario Montalbano, in onda sulla rete ammiraglia della Rai. “La mia è stata una parte piccola, ma per me importante. Un’esperienza bellissima, soprattutto perché ho avuto modo di ritornare nella mia terra, la Sicilia, ed è stata un’emozione ancora più grande. Inoltre si girava a Scicli e quella zona la conoscevo poco, quindi è stata anche una scoperta”.
Racconta così la sua esperienza sul set della fiction che ha reso famoso Luca Zingaretti nei panni del commissario Salvo Montalbano, nato dalla penna di Andrea Camilleri. “Il set era una sorta di grande famiglia. Tutti avevano il sorriso sulle labbra, anche alle sei del mattino. Alberto Sironi e tutta la produzione da anni girano questa fiction e si vede che sono davvero una squadra affiatata, una famiglia”.
Alla domanda se era stato difficile recitare insieme a Zingaretti, Sebina racconta che è stato tutto naturale. “Prima del ciak Zingaretti mi ha fatto delle domande, mi ha chiesto i sogni e i miei progetti e appena hanno dato il ciak non ho avuto nessuna ansia, per me è stato come se stessi chiacchierando con Zingaretti”.
Sebina Montagno si dice soddisfatta del ruolo avuto nella fiction, anche perché “la mia scena è stata girata soltanto due volte e non mi hanno fatto alcun appunto. Per me una soddisfazione”.
[...]
Maria Chiara Ferraù
 
 

TG1, 7.3.2017
Montalbano da record, ascolti mai così alti
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Nuovo record per il commissario Montalbano: oltre 11 milioni di telespettatori hanno seguito su Rai Uno l'episodio dal titolo 'Come voleva la prassi'. Paolo Sommaruga ha incontrato il protagonista Luca Zingaretti.
 
 

TG1, 7.3.2017
Montalbano da record: Camilleri al Tg1
Cliccare per il video

Record assoluto di ascolti per "Il commissario Montalbano" ieri sera su Rai 1. Oltre 11 milioni di telespettatori, pari al 44% di share, hanno seguito l'episodio "Come voleva la prassi": miglior risultato di una fiction negli ultimi 15 anni. Vincenzo Mollica ha intervistato Andrea Camilleri.
 
 

Italiani, 8.3.2017
Libri: la recensione breve di Valerio Calzolaio
La mossa del cavallo

Vigàta e Montelusa. 1 settembre – 15 ottobre 1877. Politica e mafia, una farsa tragica ai tempi della tassa sul macinato. Giovanni Bovara, nato a Vigàta, cresciuto a Genova (e ligure ormai parla) torna nella provincia natale come ispettore capo di molini (il macinato). È il successore di colleghi finiti male e nell’occhio di vari crimini e illeciti, trappole e beffe, sarebbe proprio meglio non vedere i mulini clandestini degli evasori. A meno che non giochi bene a scacchi e non conosca “La mossa del cavallo”. Il bel romanzo del grande Andrea Camilleri, fra rievocazione storica e trasmutazione in chiave ironica, ebbe una prima edizione nel 1999, una seconda edizione nel primo “Meridiano” (ove fu corretto un errore temporale dell’autore segnalato da un lettore) esce ora nella gloriosa collana “La memoria”. Segnalo i riferimenti letterari del “Catalogo dei sogni”, l’ultimo capitolo, fra i quali Hammett.
 
 

La Repubblica, 8.3.2017
Commissario record
Lo sceneggiatore Francesco Bruni: "Piace perché è una figura paterna protettiva. Vorremmo che i nostri governanti fossero come lui"

Brindisi a casa di Andrea Camilleri, brindisi in Rai a Viale Mazzini. È un giorno da ricordare nella vita televisiva del Commissario Montalbano: record storico con 11 milioni 268 mila spettatori (solo una manciata, seimila, meno della prima serata del Festival di Sanremo) con il 44,1% di share. È il miglior risultato di una fiction negli ultimi quindici anni; con il dato di lunedì l'eroe di Camilleri supera il miliardo di spettatori, sommando gli ascolti di tutte le puntate — repliche e prime visioni — nei diciotto anni della saga. Non era un episodio facile quello trasmesso lunedì su Rai1: in Come voleva la prassi Montalbano indaga sul delitto efferato di una giovane prostituta in un'orgia, esplora l'abisso dell'animo umano e sbugiarda l'ipocrisia dei politici benpensanti. L'incontro con un giudice sopraffatto dal senso di colpa, che rileggendo le sentenze di una vita si confronta con la propria coscienza (tra faldoni da riesaminare e citazioni di Montaigne), lascia il segno. Il pubblico resta incollato davanti alla tv: il commissario d'Italia piace dal Nord al Sud. In Piemonte raggiunge il 49% di share, nella sua Sicilia tocca il 55%; ancora più alto quello tra il pubblico laureato, con il 56%. Da lunedì su Rai1 andranno in onda le repliche.
Camilleri riflette sui numeri da record: «La sorpresa di questo straordinario successo la condivido con tutti i telespettatori. Voglio dire che se il Montalbano letterario, come ho spiegato già diverse volte, tende ad avere una sua autonomia, che io cerco di arginare, di controllare, di riportare alle mie scelte letterarie, quello televisivo addirittura vive veramente una sua vita propria che in qualche modo è creata dagli spettatori stessi. Sono stati loro infatti, in tutti questi anni», continua lo scrittore, «a rendere questo personaggio qualcosa che in fondo in fondo li rappresenta tutti. Ci tengo, quindi, ancora una volta, a dire grazie a tutto il pubblico». Se il regista Alberto Sironi mette in scena una Sicilia metafisica e il cast fa benissimo la sua parte, il lavoro di scrittura è meticoloso. «Per i romanzi portiamo la storia a misura di film», spiega lo sceneggiatore Francesco Bruni, che con Salvatore De Mola e Leonardo Marini insieme a Camilleri trasforma le pagine in immagini. «Nel caso dei racconti ne uniamo più di uno, per Come voleva la prassi erano tre, abbiamo creato gli agganci tra le trame. Con Salvatore e Leonardo scriviamo le sceneggiature poi andiamo alla cerimonia — sempre emozionante — della lettura a casa Camilleri. Gli leggiamo le sceneggiature, anzi, gliele recitiamo, e lui fa le note anche sui minimi dettagli». Cosa le piace di Montalbano? «La complessità, il fatto che il bene e il male convivano. La verità non ha mai una sola faccia. Mi affascina che il commissario sia capace di chiudere un occhio sulla colpa, anche di nasconderla, dove riesce a comprenderne le ragioni, pur essendo moralmente integro. Sapevamo che i due nuovi episodi trattavano temi scabrosi e abbiamo cercato di non calcare troppo la mano. Il segreto è l'equilibrio con i momenti di commedia, il nonsense di Catarella, gli incontri inaspettati. Un lato ironico che viene dai libri». Secondo lo sceneggiatore «Montalbano è diventato una presenza familiare perché rimanda un po' alla televisione di una volta, penso a Maigret che, non a caso, era supervisionato da Camilleri. Gli italiani apprezzano il desiderio di giustizia di un uomo dello Stato che non chiede niente per sé, guida ancora una vecchia Tipo e non gli importa dei soldi. Gli basta quello che ha. Tutti vorremmo essere Montalbano ma soprattutto vorremmo che i nostri governanti gli assomigliassero ». «Il commissario», osserva Bruni, «è la proiezione di una figura paterna protettiva, disinteressata. Allo stesso tempo è un uomo intelligente, spiritoso, non banale, che piace alle donne». Luca Zingaretti, che la scorsa settimana aveva postato sul suo profilo Instagram la foto insieme a Angelo Russo (Catarella), Peppino Mazzotta (Fazio), Cesare Bocci (Mimì Augello) con chioma a caschetto versione Beatles, stavolta per la gioia fa volare le parrucche.
Il produttore Carlo Degli Esposti lancia la provocazione: «Se la politica invece di decidere tetti assurdi ai compensi pensasse a dare aiuti allo sviluppo dell'audiovisivo potremmo gareggiare con i più forti del mondo e vincere. Montalbano con i suoi risultati lo dimostra. Quella del commissario è la famiglia più bella che potessi immaginarmi».
Silvia Fumarola
 
 

Realityshow, 8.3.2017
Il Commissario Montalbano-Come voleva la prassi: i motivi del successo per Andrea Camilleri, sceneggiatore, regista e critici tv
Al Corriere della Sera e a Repubblica parlano i "creatori" dell'episodio della fiction di Rai1 in onda lunedì 6 marzo 2017 con ascolti record. Recensioni di Franco, Comazzi, Rio e Fagioli.
RASSEGNA STAMPA su Il Commissario Montalbano-Come voleva la prassi (voto: 8), in onda lunedì 6 marzo su Rai1 con ascolti record.

Lo scrittore Andrea Camilleri, interpellato da Repubblica, riflette sui numeri: "La sorpresa di questo straordinario successo la condivido con tutti i telespettatori. Se il Montalbano letterario, come ho spiegato già diverse volte, tende ad avere una sua autonomia, che io cerco di arginare, di controllare, di riportare alle mie scelte letterarie, quello televisivo addirittura vive veramente una sua vita propria che in qualche modo è creata dagli spettatori stessi. Sono stati loro, infatti, in tutti questi anni a rendere questo personaggio qualcosa che in fondo in fondo li rappresenta tutti".
Lo sceneggiatore Francesco Bruni osserva: "Montalbano è diventato una presenza familiare perché rimanda un po' alla televisione di una volta, penso a Maigret che, non a caso, era supervisionato da Camilleri. Gli italiani apprezzano il desiderio di giustizia di un uomo dello Stato che non chiede niente per sé, guida ancora una vecchia Tipo e non gli importa dei soldi. Gli basta quello che ha. Tutti vorremmo essere Montalbano ma soprattutto vorremmo che i nostri governanti gli assomigliassero".
Il regista Alberto Sironi c’è stato fin dall’inizio, 30 episodi fa: "Una sera - afferma al Corriere della Sera - Camilleri mi ha detto: 'Voglio accompagnare Montalbano sull’orlo del baratro'. Queste ultime storie, così come le prossime, sono sempre più scure, più dure, più noir. La sua grande modernità nel sentire il mondo si riflette nei suoi libri e si riverbera nella fiction. All’inizio c’era chi era perplesso, chi pensava che fossero temi troppo forti. Ma in realtà sono storie più moderne, e lo dimostra che anche il pubblico più giovane è rimasto davanti al televisore". Zingaretti rischia di rimanere appeso al suo personaggio come un quadro? "Ormai Luca è un’icona, ha il problema che hanno molti attori quando interpretano un ruolo da cui poi è difficile staccarsi. Ma è un uomo colto è intelligente, fa teatro, il problema è semmai che il cinema italiano è troppo asfittico e intellettualistico, per niente epico, e non sa regalargli ruoli all’altezza. Per Il gladiatore lui sarebbe stato perfetto".
Renato Franco sul Corriere della Sera
"Se indubbiamente il personaggio inventato da Camilleri ha reso televisivamente immortale Zingaretti, è anche vero che quest’immortalità ha un suo contrappasso terreno. Zingaretti come attore può essere solo Montalbano perché in ogni altra interpretazione l’attore risulta inevitabilmente poco credibile. Troppo popolare orami, troppo riconoscibile, troppo famosa la sua testa lucida e il passo da cavallerizzo, con le sue gambe ad arco, protese verso le indagini. Se interpreta — come ha fatto — Borsellino ti pare di vedere Montalbano con i baffi. Se fa Olivetti è semplicemente Montalbano con un po’ di capelli. Se rivedi I giorni dell’abbandono (2005) il marito che lascia la moglie per una ragazza più giovane è Montalbano".
Alessandra Comazzi su La Stampa
"Racconti più psicologicamente cupi. Il verminaio dell'anima era rafforzato da quello della società. Montalbano si comporta 'come vuole la prassi' ma combatte il male. Talvolta vince, talvolta perde. Umano, troppo umano. I personaggi intorno a lui sono diventati, più che macchiette, maschere della commedia dell'arte italiana. Deve essere per questo che il commissario piace tanto, anche all'estero. Montalbano siamo noi".
Laura Rio su Il Giornale
"Questo secondo episodio si merita ancora più applausi del primo perché riesce a raccontare l'orrore insito nell'uomo senza quelle sbavature e quelle frasi, secondo noi, sbagliate nell'episodio precedente. Il male, che si manifesta nell'uccisione di una prostituta dopo una violenza di gruppo, gioco orribile dei notabili del paese, viene stigmatizzato senza se e senza ma".
Andrea Fagioli su Avvenire
"Si è passati dalla tragedia greca alla mitologia romana con la storia di Androclo e il leone rivissuta da Montalbano al quale viene salvata la vita per il fatto che lui a sua volta l'aveva salvata a un malvivente (un po' come il leone a cui Androclo aveva tolto la scheggia dalla zampa). Per il resto, anche in questo caso una vicenda torbida sullo sfondo di orge sadiche con violenze inaudite tanto da portare alla morte una giovane prostituta. Sul piano delle storie, dunque, Il commissario Montalbano, dopo la pedofilia e la maternità surrogata della precedente stagione, conferma la scelta di temi molto complessi per un pubblico così numeroso e indiscriminato come quello messo insieme in certe occasioni. Presa coscienza di questo, resta il valore di un prodotto che punta soprattutto su personaggi e ambientazioni. Per cui non conta il giallo, intuire prima o dopo l'assassino. Conta il modo con cui e il contesto nel quale Montalbano arriva a risolvere il caso".
Fabio Traversa
 
 

il manifesto, 8.3.2017
Montalbano, la mediana perfetta di Umberto Eco

Il successo strepitoso del «Commissario Montalbano», con un inedito 44,1% di share e 11 milioni 268mila telespettatori, è un omaggio postumo ad Umberto Eco.
Nel notissimo «Apocalittici e integrati» (1964) il compianto pensatore criticava la suddivisione tradizionale tra i tre livelli culturali – alto, medio, basso – sottolineando intrecci e contaminazioni costanti. Un pubblico così vasto come quello toccato dalla serie tratta dai romanzi di Andrea Camilleri significa che è stata raggiunta la «mediana perfetta» tra i diversi protagonisti della fruizione: nord, centro, sud, donne, uomini, giovani, anziani, con i differenti gradi di scolarizzazione.
La sintesi tra gli apocalittici e gli integrati. Si può analizzare da vari punti vista il caso Montalbano, l’essere diventato un evento mediale figlio di una fortunata commistione tra il testo e la sua rappresentazione. Rimane il fatto che l’accorta miscela tra produzione e consumo è una lezione davvero interessante, che ci racconta molto anche dell’Italia televisiva, vogliosa in tanta parte di avere offerte né omologate né trash. Tuttavia, il tema ha origini lontane.
La poliedrica personalità di Eco è stata approfondita da un angolo di visuale piuttosto inedito dal bel volume di Claudio e Giandomenico Crapis (Umberto Eco e il Pci, Reggio Emilia, 2016, ed. Imprimatur), vale a dire il rapporto «dialettico» tra il semiologo e il maggior partito della sinistra. Il libro, presentato qualche sera fa a Roma insieme ad Alberto Abruzzese e Furio Colombo, mette il dito nella piaga.
Le culture dell’universo comunista – pure nella democratica declinazione italiana- non hanno superato la dicotomia tra alto e basso, arrogandosi il diritto di introdurre gerarchie spesso artificiose come se negli essere umani pensanti non convivessero strati e sentimenti complessi. Andiamo ad una mostra di pittura astratta con spirito militante, ma ci rigeneriamo ascoltando un brano di musica pop. E la televisione, confinata dalle élite della sinistra a puro intrattenimento di scarso peso (ci ricordiamo l’imbarazzante debolezza sul conflitto di interessi di Berlusconi?), ha in verità plasmato la coscienza diffusa più delle hegeliane «arti belle».
Il 5 e il 12 ottobre del 1963 «Rinascita» –il settimanale del Pci- ospitò un saggio in due puntate di Eco proprio attorno a tali argomenti. «…il fatto è che la cultura di sinistra non ha ancora fatto un sol passo per discutere la natura dell’emozione estetica e le funzioni dell’arte in una nuova situazione storica e sociale…».
Benché «…ai Festival dell’Unità si suonano i dischi di Rita Pavone, compiendo in tal modo un gesto automatico di antropologia culturale: si riconosce l’esistenza di un altro universo di valori. Ma poiché la cultura umanistica ufficiale lo ha declassato come universo di disvalori, non ne viene tentata alcuna reale operazione di acquisizione…».
Al saggio critico l’ortodossia rispose con il ricorso ai sacri valori del marxismo della vulgata. Fece eccezione Romano Ledda e temperò gli strali del partito l’allora responsabile culturale Rossana Rossanda, con un lungo e rigoroso articolo che usava criteri interpretativi che correvano con raffinatezza ai confini della linea ufficiale. Comunque, il distacco dagli stili espressivi popolari e il sospetto verso il coraggio delle avanguardie rimasero, pur in forme aggiornate, una costante. Non a caso la lotta della stagione analogica è stata persa malamente, con esiti amari e penosi.
Ora però, con l’era digitale, perseverare diventa sì diabolico. Ci vuole Montalbano.
Vincenzo Vita
 
 

Il Messaggero, 8.3.2017
Sicilia da cartolina e linguaggio semplice dietro il boom Tv
Montalbano colpevole di successo
"Come voleva la prassi" ha raccolto su Rai1 11,3 milioni di spettatori e il 44,1 per cento di share. E' il miglior risultato di una serie negli ultimi 15 anni. E sullo sfondo del successo di Zingaretti c'è la parte più bella e reale dell'isola di Camilleri, una Sicilia lontana dai luoghi comuni
Montalbano, il semplice che strega tutta l’Italia
Un commissario facile da capire che si serve di cliché e vive in una casetta in riva al mare

«Montalbano sono, quello dei record d’ascolto in tv». Potrebbe dire così di sé e del personaggio che interpreta il camilleriano Zingaretti. “Montalbano sono…” e più di undici milioni di italiani (su sessanta milioni, pazzesco!) si piazzano lì, davanti al televisore a seguire le avventure (a volte anche strampalate) del commissario di polizia che ha soppiantato ogni altro investigatore nato dalla fantasia di uno scrittore. Maigret, Sherlock Holmes, Hercule Poirot, Philip Marlowe, Sam Spade? No, non c’è partita con il commissario Montalbano. È lui che stravince in ogni confronto, è lui che, come si dice, “buca lo schermo”, è lui il difensore della giustizia quando essa viene fatta trionfare in una fiction televisiva.
Il segreto di tanto successo?
La Sicilia, naturalmente, anche se essa viene usata come una fabbrica di cartoline illustrate da spedire agli italiani seduti in poltrona. C’è tanta Sicilia in questa nuova serie camilleriana, ma una Sicilia che nulla ha a che vedere con le vicende narrate; una Sicilia che se ne sta sullo sfondo, come cartolina, appunto. Mettiamo la puntata dell’altro ieri: una storia dura, angosciosa, a tratti raccapricciante, che avrebbe potuto svolgersi in qualunque angolo d’Italia, Francia, Germania, Svezia. Solo quel mare di aspetto umile, quel subbuglio di ruderi greci, quel barocco paesano a “dire” che quella era la Sicilia.
Sullo sfondo anche la mafia, sfiorata, ma rimasta lontana come un mito di cui sempre si parla ma che non si tocca mai con mano. Un po’ come avviene quando i turisti si recano in Sicilia: il mare, gli antichi templi, le chiese barocche, i cannoli e le granite, i mafiosi regolarmente assenti ai loro occhi. Più che a Camilleri, il successo di questa serie televisiva si deve al regista e agli sceneggiatori, i quali si sono tenuti giudiziosamente lontani dalla Sicilia del feudo, quella di Palermo, di Trapani o di Caltanissetta. Se nei racconti che hanno per protagonista il commissario Montalbano vi fosse il paesaggio scelto da Tomasi di Lampedusa per “Il gattopardo”, tutto naufragherebbe in un già visto, in una scontata drammaticità da intramontabile cavalleria rusticana.
In questo usato sicuro firmato da Alberto Sironi, il protagonista delle storie narrate non abita in una villa settecentesca alle porte di Palermo o di Bagheria, ma in una casetta in riva al mare concepita, si direbbe, da un geometra di modeste pretese (terrazza con scenografica balaustra compresa). Non c’è il violento paesaggio di Portella della Ginestra o di Corleone, ma quello luminoso e pacifico di Modica e Scicli. Non c’è il mare di S. Vito Lo Capo o di Capo Calavà, ma quello discreto e affabile che da Mazara del Vallo corre fino a Pachino; quello su cui (paradossi della storia) nel luglio del 1943 si avventò la più potente delle armate fino ad allora impiegate in una guerra. Cartoline dalla Sicilia con una spruzzatina di espressioni sicule, e il gioco è fatto. Naturalmente senza dimenticare che – come ebbe a dire Ojetti – «siamo sempre i meridionali di qualcuno».
E così, ecco nell’isola del sole gli extracomunitari e le giovani ragazze dell’Est guadagnarsi da vivere accettando i lavori più umilianti e duri. Vigata come Foggia, ma anche come Torino o Verona. La realtà d’oggi, insomma. Eppure resta ancora qualcosa da chiarire in questo successo camilleriano. Qualcosa che mi ha portato a riprendere in mano il celeberrimo scritto di Umberto Eco dedicato alla “fenomenologia di Mike Bongiorno”. Come quel “bravo” presentatore, il commissario Montalbano si serve dei clichés più scontati, convincendo il pubblico, “con un esempio vincente e trionfante, del valore della mediocrità”. E dell’altro aggiungeva Eco, che sembra essere stato scritto per il Montalbano televisivo: «Il suo linguaggio è rigorosamente referenziale e farebbe la gioia di un neo-positivista. Non è necessario fare alcuno sforzo per capirlo. Qualsiasi spettatore avverte che, all’occasione, egli potrebbe essere più facondo di lui».
Matteo Collura
 
 

Corriere della Sera, 8.3.2017
Il caso TV
Zingaretti e Montalbano: se l’attore rimane imprigionato nel personaggio
Luca Zingaretti è ormai fatto della stessa sostanza di Montalbano. Mescolati e inscindibili, complementari e inseparabili, parallele sovrapposte, fusi e ormai confusi

Incatenato al suo stesso personaggio, prigioniero del suo ruolo, schiavo in attesa di una liberazione che mai arriverà. Luca Zingaretti è ormai fatto della stessa sostanza di Montalbano. O viceversa. Meravigliosamente scolpito da Camilleri sulla pagina di carta, è diventato di carne e ossa senza uscirne sconfitto al confronto. Anzi esaltato da quel linguaggio letterario che raramente circola nelle vene televisive. Ora arriva un nuovo primato: e per una volta la parola record — spesso abusata in un mondo dove per farsi ascoltare bisogna alzare la voce, dilatare i sostantivi e ingrandire gli aggettivi — è quanto mai pertinente. Mai così tanto aveva fatto la fiction di Rai1: lunedì sera Il Commissario Montalbano è stato visto da 11 milioni 268 mila telespettatori, pari al 44,1% di share.
Il risultato di Montalbano è così eclatante che lascia quasi interdetti, praticamente la metà dei televisori accesi lunedì sera era sintonizzata su Rai1. E la spiegazione non si può nemmeno trovare nella qualità del prodotto che — pur essendo alta — non giustifica da sola un’attenzione e un’attesa così plenaria. La ricetta di Montalbano — un eroe positivo, i paesaggi da cartolina, il the end consolatorio — sembra quasi semplice ma non così facilmente replicabile, visto che nessuna fiction riesce a fare altrettanto. Luca Zingaretti ha provato a dare la sua interpretazione a un successo così plebiscitario: «Un prodotto che arriva dalla letteratura ha una marcia in più. La letteratura è un genere più alto della tv e Montalbano è un classico. Se ancora oggi andiamo a teatro a vedere Shakespeare è perché parla ai nostri cuori, ci regala emozioni». La verità è che questo commissario «trasuda di italianità, racconta chi siamo in un’epoca in cui è facile scimmiottare gli americani. I suoi sono gialli metafisici, e Sironi, da uomo di lettere, ha saputo trasporre questa metafisicità. Chiunque avrebbe snaturato Montalbano, lo avrebbe reso più veloce». L’elogio della lentezza.
Renato Franco
 
 

La Sicilia, 8.3.2017
Televisione
Montalbano record la fiction più vista degli ulimi 15 anni
Oltre 11 milioni di spettatori per l'episodio di lunedì scorso
In Sicilia share al 55%. Zingaretti: «È il giorno della gioia»

Roma. Montalbano macina sempre record su record. Triplo record assoluto lunedì sera su Rai 1, la performance ottenuta è la più alta di tutta la serie: Come voleva la prassi ha raccolto 11.3 milioni di spettatori e il 44,1% share. Il miglior risultato di una fiction negli ultimi 15 anni. Dato con cui è stata superata la soglia di un miliardo di spettatori, sommando gli ascolti di tutte le puntate nei 18 anni di storia.
«È il giorno della gioia» e dei ringraziamenti a cominciare dal pubblico che da sempre lo segue per finire con chi lo ha "partorito" con la sua fantasia e la penna infallibile, Andrea Camilleri. Montalbano è stato seguito con ascolti record da un pubblico trasversale in tutte le regioni d'Italia, dal Piemonte con il 49% di share, alla sua Sici-lia, dove lo share ha toccato il 55%. Il Direttore Generale della Rai Antonio Campo Dall'Orto sottolinea: «Montalbano è una serie tv dal carattere universale, giallo avvincente e racconto gentile di una Sicilia senza tempo, la saga continua ad appassionare il pubblico oggi più di prima. Dalla penna di Camilleri alla qualità di un grande prodotto tv che oggi sbarca anche su Rai Play, Rai dimostra ancora una volta di saper emozionare gli italiani».
«Intorno al Commissario Montalbano il pubblico si è riunito ancora una volta, aggiungendo sempre nuovi spettatori alla già vastissima platea» afferma Eleonora Andreatta, direttrice di Rai Fiction: «Le storie di Camilleri sono coinvolgenti e complesse, invitano alla riflessione e trasmettono un profondo senso di umanità e di giustizia». Luca Zingaretti la scorsa settimana aveva postato la foto con Cesare Bocci (Mimi Augello), Peppino Mazzotta (Fazio), Angelo Russo (Catarella) «The Inimitables», ricalcando la posa dei Beatles. Ieri ne pubblica una in cui lanciano le parrucche in aria e sul post commenta: «Montalbano non è un brand. È una serie Tv composta da tanti film, frutto del sudore, della passione e della bravura di tutti quelli che ci lavorano a vario titolo. Il suo successo non è scontato. Se da anni conquistiamo la fiducia di tanti italiani e stranieri è perché non molliamo mai. Senza questo pubblico, che ci regala tempo, stima e affetto noi non saremmo niente. E tutto il lavoro sarebbe vano. Grazie, grazie, grazie a tutti quelli che, seguendoci, ci fanno andare avanti e crescere da così tanto tempo!».
Da lunedì prossimo tocca alle repliche, che hanno registrato sempre ascolti più che eccellenti, vincendo contro gli avversari. In un'intervista al Tg1 l'attore ringrazia il pubblico e alla domanda "il segreto del successo?" risponde: «Forse anche perché rappresenta l'uomo che ognuno di noi vorrebbe essere e che molte donne amerebbero avere accanto».
Nicoletta Tamberlich
 
 

La Sicilia (ed. di Agrigento), 8.3.2017
Montalbano tra i Templi sbanca pure l'Auditel

Il "Commissario Montalbano" e la Valle dei Templi di Agrigento sbancano l'Auditel. Record di telespettatori, infatti, per l'episodio "Come voleva la prassi-, con scena (già "cult" ) girata da Luca Zingaretti ed Isabell Sollman tra le colonne doriche del tempio di Giunone Lacinia nell'area archeologica del Parco.
La puntata, andata in onda lunedì in prima serata, è stata seguita da oltre 11 milioni di telespettatori con uno share pari al 44%, oltrepassando il risultato della scorsa settima scorsa con "Un covo di vipere". L'episodio, inoltre, ha tenuto incollati alla tv i telespettatori agrigentini desiderosi di vedere il celeberrimo Commissario, ideato da Andrea Camilleri, calpestare il "natio" suolo agrigentino. E non sono rimasti delusi! Il sempre più cupo Salvo e la bella svedese Ingrid si sono soffermati a lungo tra le colonne di Giunone che si affacciano sul "mare africano". Una vetrina importantissima secondo il sindaco di Agrigento, Lillo Firetto: «Il Montalbano di ieri sera è stato il programma televisivo, in assoluto, più visto. I primi dati Auditel parlano di uno share del 44,11 per cento pari a 11 milioni e 268mila telespettatori. A tutto questo. in termini di ritor-no di immagine, vanno aggiunti i "passaggi" del video"promo battage" di 42 secondi, in onda nei giorni precedenti; un trailer contenente la scena del Commissario che si aggira tra il tempio greco, per promuovere la puntata, trasmesso a ciclo continuo in diverse fasce orarie. Dunque un'incredibile "finestra" internazionale che promuove Agrigento e la sua Valle, alla luce del fatto che il commissario televisivo, che ha alle spalle 11 stagioni e più di trenta episodi, viene tradotto in 13 lingue e venduto in 28 Paesi del mondo. Auspichiamo che il nostro Montalbano frequenti più spesso Agrigento e la sua Valle dei templi!».
Luigi Mula
 
 

Scrivo Libero, 8.3.2017
Il Commissario Montalbano, puntata con la Valle dei Templi: miglior risultato fiction negli ultimi 15 anni

Secondo l’Auditel si è trattato del miglior risultato di una fiction negli ultimi 15 anni.
Lo straordinario successo del Commissario Montalbano e in particolare dell’ultimo episodio della serie, “Come voleva la prassi” girato anche nella Valle dei templi, è stato il tema della lunga chiacchierata che questa mattina il sindaco di Agrigento, Lillo Firetto, ha avuto con l’amico scrittore Andrea Camilleri. L’apparizione in video prima della puntata, dello stesso Camilleri, ha rappresentato il valore aggiunto di un prodotto televisivo diventato un fenomeno editoriale con dimensioni internazionali.
Il commissario di Vigàta Luca Zingaretti ha dunque sbancato l’Auditel contribuendo, con le suggestive immagini tra le colonne doriche del tempio di Giunone, a promuovere le incommensurabili bellezze del territorio agrigentino. Andrea Camilleri, commentando con il primo cittadino di Agrigento, la puntata appena andata in onda su Rai Uno, si è detto soddisfatto del risultato ottenuto. Tra l’altro Montalbano è stato seguito da un pubblico trasversale in tutte le regioni d’Italia, dal Piemonte con il 49% di share, alla Sicilia, dove lo share ha toccato il 55%. Ancora più alto lo share tra il pubblico laureato, con il 56%”. Montalbano è anche il programma più commentato sui social (fonte Nielsen Italy).
Infine Camilleri ha chiesto al sindaco: “Quando vieni che ho voglia di vederti?” (e chissà che Montalbano non torni a frequentare nuovamente la città dei templi!)
 
 

Il Secolo XIX, 8.3.2017
Teatro: così è, se vi pare
I debiti di Montalbano con il teatro

I nuovi record di ascolti che il commissario Montalbano sta incassando con le sue ultime avventure televisive, undici milioni di spettatori al secondo appuntamento e la previsione di superare abbondantemente il milione di persone che tiene incollate al piccolo schermo da quando lo ha eletto a suo campo d’azione, sono state accompagnate da festeggiamenti e brindisi trasmessi con orgoglio da Raiuno.
Alzando i calici, l’autore, Andrea Camilleri - a dimostrazione di come intelligenza ed entusiasmo accompagni anche gli over 90 - ha commentato le cifre dell’audience. Le ha definite “cinesi” da un punto di vista quantitativo e dovute, oltre agli intrecci delle trame, al carattere del protagonista: in poche parole una somma dei vizi e delle virtù italiane ma con una tendenza inossidabile all’onestà, al fare comunque la cosa giusta.
Come i suoi intervistatori ha dimenticato i debiti del suo personaggio con il teatro. Non li cita perché forse gli sembrano ovvi, dopo una vita trascorsa anche come insegnante all’Accademia Nazionale di Arte Drammatica e come regista,uno dei primo ad essersi misurato in Italia con i drammi di Beckett e di Jonesco.
Superfluo anche ricordare l’esperienza in scena di attori come Luca Zingaretti del suo vice Casare Bocci, di Peppino Mazzotta e di tutti gli altri interpreti. Ma più che sulla teatralità specifica di Montalbano, questo successo della creatura poliziesca induce a soffermarsi proprio sul caleidoscopico talento di Camilleri.
Molti fan dei “Montalbano club” hanno l’opportunità di scoprirlo sui palcoscenici proprio in questa stagione e rintracciare, perché no, tra opere più o meno famose, collegamenti inaspettati e inusuali. Se nella versione teatrale di un’opera come “Il birraio di Preston” si poteva rintracciare qualche trait d’union tra il giallo ottocentesco e quello contemporaneo, gli ultimi libri diventati o in procinto di diventare spettacoli invitano ad abbandonarsi a un’atmosfera mitico onirica spinta.
E’ il caso de “Il casellante”, con un Moni Ovadia cantastorie e la straordinaria metamorfosi della moglie del protagonista, vittima di uno stupro.
Per non parlare di “Maruzza Musumeci” che diventa spettacolo a fine marzo con regia di Daniela Ardini. Parte da Vigata, sede del commissariato più amato dagli Italiani, ma è una storia fantastica, quasi una favola, sospesa tra Sicilia e America, tra il cielo e un mare dove nuotano anche le sirene. Con le inchieste e il serial non hanno proprio niente a che vedere ma a qualche spettatore di Montalbano farebbe piacere pensarle come accompagnatrici non viste delle sue nuotate mattutine.
Silvana Zanovello
 
 

Indiscreto, 8.3.2017
L’incomprensibile successo di Montalbano

Il successo del Commissario Montalbano ci è davvero incomprensibile, però è un fatto indiscutibile e ogni puntata inedita (siamo a quota 30 e una buona metà le abbiamo anche guardate come indennizzo per i troppi Frosinone-Cittadella che abbiamo imposto) riesce a sorprendere: ‘Come voleva la prassi’, trasmessa lunedì sera su Rai 1, è stata vista da 11 milioni e 268 mila telespettatori. Share del 44.1%: roba da Mondiali o da Sanremo ed in ogni caso qualcosa di pazzesco per una fiction, nel panorama frammentato di oggi fra mille canalini da zero virgola, Netflix, You Tube, eccetera. Abbastanza omogeneo il successo in tutta Italia, con una punta del 55% in Sicilia. E allora? Continuiamo a non capire. Forse tutto parte dai libri di Camilleri, che troviamo interessanti per le atmosfere ma illeggibili per il linguaggio. Il peggio è però senz’altro il macchiettismo: da Augello a Catarella, passando per l’eterna fidanzata Livia (adesso interpretata da Sonia Bergamasco), il dottor Pasquano, il pm Tommaseo e soprattutto i personaggi che durano una puntata, tutto sembra buttato lì per il pubblico di Rai 1 nel senso peggiore dell’espressione, quello dell’Italia eterna dove tutto si aggiusta, l’Italia dell’amico del cugino del cognato che ha da chiederti un favore. Sensazioni nostre. Che però non spiegano come mai Montalbano piaccia il doppio di altre fiction della rete. Punto a favore di Montalbano: una Sicilia relativamente normale, non da cartolina ma nemmeno da film militante antimafia, che dovrebbe quindi permettere alle storie di emergere. Altro punto a favore: il ristorante sulla spiaggia con il vino della casa. Terzo punto a favore: la totale identificazione di Zingaretti con il protagonista, che consente ai suoi gigionismi di superare qualsiasi vuoto di sceneggiatura. E allora? Rispettiamo il successo, che è meglio dell’insuccesso, ma preferiamo Frosinone-Cittadella.
Stefano Olivari
 
 

Leggo, 8.3.2017
Maurizio De Giovanni: "Il successo di Montalbano è anche quello degli scrittori"

Maurizio De Giovanni, autore de “I bastardi di Pizzofalcone”: come si legge il record storico di ascolti per il Commissario Montalbano (11.268.000 spettatori) di lunedì sera? «La spinta viene dalla nuova forza della letteratura italiana. Prima c’era solo Camilleri, cui tutti dobbiamo profonda gratitudine: ora ci sono libri di Malvaldi, Manzini, De Cataldo, Lucarelli, Carrisi, Montaldi, del sottoscritto. Libri che, ad ogni uscita, entrano sempre nella classifica dei più venduti».
Basta così? «No, anzi. Contano molto i social. Lo scrittore oggi dialoga quotidianamente con i propri fans grazie alle piattaforme sul web. Quando poi c’è una produzione televisiva, l’effetto è addirittura dirompente».
Ma i contenuti sono decisivi? «È importante la diversità dei personaggi e delle ambientazioni. Ad esempio Montalbano si muove in una Sicilia selvatica e secolare, Rocco Schiavone in una Aosta nevosa e “chiusa”, Lo Iacono in una pericolosa realtà metropolitana. Ogni autore italiano porta nella scrittura il proprio vissuto e città molto diverse, in opposizione alla monotonia dei grandi autori scandinavi come Mankell, Larsson, Lackberg».
Anche I “Bastardi di Pizzofalcone” hanno appassionato più di 7 milioni di persone... «Magari i telespettatori fossero tutti lettori di libri... Però il piccolo schermo porta in libreria altre persone. E solo sui canali della tv generalista (Rai in primis) si ottiene un successo così».
Lo scrittore è contento di diventare popolare soprattutto grazie alle fiction televisive? «Inutile essere ipocriti, la condivisione di massa delle storie è bellissima. E’ impagabile assistere al trionfo del proprio personaggio, al fatto che la gente lo consideri come un amico di famiglia. La popolarità non va vissuta come un fastidio».
Mario Fabbroni
 
 

La nuova Bussola Quotidiana, 8.3.2017
Addio maggiordomo, l'assassino ora è il pro family

L’assassino non è più il maggiordomo. Svecchiamo anche il cliché dei gialli. Anche perché: chi ce l’ha più in casa un maggiordomo? Meglio puntare su categorie più rintracciabili nella società. Insospettabile, autorevole, rassicurante e rispettabile: un buon assassino deve avere queste caratteristiche sennò il caso viene chiuso alla prima pagina e addio divertimento. Facciamo un identikit? No, perché il finale sennò è presto detto.
Montalbano, fiction numero due della stagione andata in onda lunedì sera con il solito e giustificato codazzo di pubblico italico sdivanato. Merita, Luca Zingaretti è bravo, il format è rodato, dunque avanti così.
Su Rai Uno inizia la puntata “Come voleva la prassi”. Una povera ragazza viene trovata nuda ai piedi di un portone di un palazzo del centro storico di un paese siciliano. E’ morta: presenta ecchimosi, ferite, contusioni. Insomma è proprio messa male; arriva Montalbano che inizia a chiedere ai vicini di casa: mai vista e conosciuta. E ti pareva; poi il nostro segugio riesce a trovare una pista nel torbido mondo della prostituzione d’alto bordo; mentre scava tra le escort di lusso va a mangiare nel suo ristorante preferito sul mare dove tra un trionfo di crostacei e frutti di mare si imbatte nel telegiornale locale dove il sindaco del paese, che è anche parlamentare, risponde ad una domanda sui matrimoni gay: "Non è ammissibile che lo Stato italiano possa giustificare e ammettere il matrimonio tra due persone dello stesso sesso. Noi siamo per una famiglia sana, tradizionale e che ha comune unico obiettivo la procreazione". Avercene di politici così, ma andiamo oltre.
Come vuole la prassi, verrebbe da dire, parafrasando il titolo della puntata: politico, siciliano, di chiara estrazione tardo-post-vetero democristiana, un po’ pingue. Guarda un po’: vuoi vedere che l’assassino è proprio lui, sobbalzano i telespettatori davanti alla tv?
Montalbano lo fissa con lo sguardo serio e pensoso, quello a cui ci ha ormai abituato quando chi gli sta davanti non lo convince per niente. Ma si va avanti. L’inchiesta prosegue, scava, scava e scava e del deputato, tale Palladino, che è anche il sindaco del paese, non c’è più traccia. Boh. Sarà stato un caso, forse un contentino alla legge non scritta dell’indottrinamento catodico delle masse in chiave gay friendly.
Dopo un’ora e quaranta di indagini la svolta: il commissario riesce ad avere un dvd misterioso che visiona davanti ai suoi colleghi. C’è una scena raccapricciante di orgia assassina, le ragazze tutte nude, i maschi coperti da un cappuccio massonico e le mascherine alla Eyes wide shut. Poi si vede una di loro che viene accoltellata da un manzo nel gruppo e subito dopo: eureka! Un uomo dalla corporatura possente si avvicina al corpo della donna per assicurarsi che sia morta, l’inquadratura indugia su una voglia che ha sul collo.
“Ma non è per caso il sindaco Palladino? - chiede Montalbano – quello che è contro i matrimoni gay ed è per la famiglia tradizionale e la patria?”, si chiede sardonico strizzando l'occhio al telespettatore. In fatto di agnizione finale, stavolta la penna di Andrea Camilleri ha partorito un escamotage davvero scontato, roba da commedia di Plauto. “Sì sì, è proprio lui”.
Come vuole la prassi. A quel punto a Montalbano non resta che andare a trovare il Palladino. Lo incontra mentre saluta i figli che vanno a scuola accompagnati dall’uomo della scorta, perché il cliché vuole anche un po’ di peculato. Consegna del dvd tra le mani tremanti del deputato scoperto, "si trovi un buon avvocato", "non provi a distruggerlo perché ne ho fatto altre dieci copie come voleva la prassi", manette e fine della puntata.
Morale della storiella: l’assassino della prostituta è il politico che si batte per la famiglia tradizionale e contro i matrimoni gay. Verrebbe da titolare: l’assassino è Giovanardi, se non fosse che è di Modena e non di Ragusa. Ma il senso lanciato dagli autori, e dunque da Camilleri che figura tra gli sceneggiatori anche della fiction, è presto detto: chi non vuole i matrimoni gay ha degli scheletri negli armadi. Vi staneremo tutti.
Ecco fatto, con tanto di canone già pagato, Montalbano è una produzione Rai, l’equazione che i politici che difendono la famiglia sono dei corrotti o dei mafiosi. E’ un vecchio cliché, ma stavolta c’è l'aggravante delle nozze gay, che da quel tocco di novità in più.
L’indottrinamento di mamma Rai a favore della cultura omosessualista, dopo trasmissioni ad hoc e fiction apposite, vira decisamente sul genere thriller: non basta più presentare l’omosessuale come elemento positivo della storia, bisogna stanare tutti quelli che non sono d’accordo. Come? Con una fiction amata e seguitissima, di buona qualità e molto politically correct, fin troppo.
A questo punto vedremo come saranno le prossime puntate. Scommettiamo che il prossimo obiettivo sarà un prete, che legge ancora San Paolo e quelle cose ormai datate su fornicazione e omosessualità? Chissà quali porcherie gli faranno combinare al poveretto…?
Andrea Zambrano
 
 

TGS, 8.3.2017
"Il casellante" in scena al teatro Biondo di Palermo
Successo per "Il casellante" di Camilleri, in scena al teatro Biondo di Palermo. Il servizio
 
 

ioStudio News, 8.3.2017
Maternità negata e Sicilia fascista. In scena al Biondo Il Casellante di Camilleri

Dal libro di Andrea Camilleri e con la regia di Giuseppe Dipasquale, nella serata del 7 marzo ha debuttato al Teatro Biondo di Palermo “Il casellante”. In scena, vestiti di una sicilianità dirompente, Moni Ovadia, Valeria Contadino, Mario Incudine si fanno portavoce di uno dei testi più avvincenti dell’autore agrigentino. Con Sergio Seminara, Giampaolo Romania, musiche dal vivo e musiche originali di Antonio Vasta, Antonio Putzu e Mario Incudine, con la collaborazione di Antonio Vasta, le scene curate da Giuseppe Dipasquale, i costumi Elisa Savi?e e luci Gianni Grasso.
Ambientato nella Sicilia del Fascismo, la Vigàta di Camilleri, divertente e struggente e anche stavolta metafora e trasfigurazione, narra una vicenda sospesa tra mito e storia, che disegna i tratti di una Sicilia arcaica e moderna, comica e tragica, ferocemente logica eppure paradossale.
È la storia un marito e una moglie la cui vita è scandita dal passaggio dei treni. Lui, Nino, fa il casellante lungo la linea ferroviaria che collega i paesi della costa. E la zona, alla vigilia dello sbarco alleato, si va animando di un via vai di militari e fascisti che diventano sempre più presenti nella vita sempre uguale degli abitanti.
Lei, la moglie, è Minica, una donna all’antica, di sani principi e con un unico desiderio: diventare madre. La religiosità – dei rosari sussurrati alla madonna – si unisce alle magarìe della mammana che “cura” l’infertilità, e la gravidanza agognata arriva ma viene subito dopo spezzata. Questa è la fine di Minica, la fine del sogno d’amore. Quell’amore che è il filo che unisce per l’eternità, come cantano i due sposi, amanti speranzosi.
E proprio le canzoni sono protagoniste della scena, strappano risate – amare – e fanno canticchiare i presenti. Mandolino, armonica, fisarmonica presenti sul palco come parte della scena. Ed è ancora la musica ad accompagnare fino alla tragedia di Minica, sconvolta dalle violenze tanto da “diventare” un albero, fino alla chiusura del sipario.
La Sicilia di decenni fa, oggi attuale nelle contraddizioni, nei paradossi e nelle violenze. Ma anche le negazioni e l’arresa agli eventi. Questo è ciò che Camilleri ha raccontato ne Il casellante ed è andato in scena in un debutto ricco di riflessione e sorrisi amari.
Gaia Butticè
 
 

La Sicilia - Vivere, 9.3.2017
Ode alla forza delle donne
Prosegue la trionfale tournée de Il casellante, messinscena di Giuseppe Dipasquale tratta da Andrea Camilleri, che adesso torna in Sicilia e tocca Palermo, Noto, Enna, Marsala e Agrigento. Trai protagonisti l’attore e regista Moni Ovadia: “C’è tutto lo sguardo di Camilleri di profonda compassione e ammirazione per il mondo femminile, verso una donna che, ferita in modo terrificante, torna alla vita trasformandosi in albero”

La Sicilia del mito e della cultura contadina si incontra con uno dei temi più forti del presente, la violenza sulle donne, e con la lingua magica e poetica di Andrea Camilleri nello spettacolo Il casellante, in scena con la regia di Giuseppe Dipasquale al Teatro Biondo di Palermo fino a domenica, poi martedì al Tina Di Lorenzo di Noto, mercoledì al Garibaldi di Erma, giovedì 16 marzo al Teatro Impero di Marsala, dal 17 al 19 marzo al Pirandello di Agrigento. Lo spettacolo torna in Sicilia quasi un anno dopo la messinscena al Regina Margherita di Caltanissetta che seguì di pochi giorni il debutto assoluto a Spoleto per il Festival dei Due Mondi. L'orribile storia di violenza nel piccolo universo di un casello ferroviario, nella Sicilia arcaica e feroce degli anni della guerra, è narrata in scena da Moni Ovadia. cantore di popoli, strepitoso interprete che sa dare voce al dolore del mondo, di ieri e dei nostri giorni, e sbeffeggiare l'arroganza del potere.
Ovadia narra la storia del casellante Nino, uno straordinario Mario Incudine, autore anche delle musiche eseguite dal vivo, e della moglie Minica, una intensa e dolente Valeria Contadino, che subisce una violenza bestiale e inumana mentre è in attesa di un bimbo.
Tratto dall'omonimo romanzo di Camilleri, pubblicato da Sellerio, e prodotto da Promo Music - Corvino Produzioni, con il Teatro Carcano di Milano e il Teatro Regina Margherita di Caltanisselta, Il casellante vede in scena anche Giampaolo Romania e Sergio Seminara e i musicisti Antonio Vasta e Antonio Putzu. Dopo la tournée siciliana lo spettacolo sarà dal 23 al 28 maggio al Sistina di Roma.
«Un esordio singolare - commenta Moni Ovadia - sono emozionato nel misurarmi con un nuovo pubblico. Camilleri è uno scrittore di una popolarità che travalica i lettori grazie al Montalbano televisivo, un grandissimo scrittore e uomo di teatro con cui Dipasquale ha già un sodalizio rodato».
Il casellante spiega, «è uno spettacolo prodigioso di teatro musicale con sullo sfondo la violenza della guerra e la stupidità del fascismo, con una prima parte picaresca, che immerge in una terra contadina, nella Vigata immaginaria di Camilleri, e una seconda parte di violenza e tragedia. Per me è un privilegio grandissimo usare la sua lingua reale e "inventata" che è musica e ritmo e si iscrive nella grande linea della letteratura del Novecento».
La musica si rifà alla tradizione delle canzoni di barberia, pesca una "sconcica", una serenata che tocca amore e dolore. Quello terribile di Minica. «C'è tutto lo sguardo di Camilleri di profonda compassione e ammirazione per il mondo femminile, verso questa donna che, ferita in modo terrificante, con uno spasimo utopico per cercare di tornare alla vita lei, si trasforma in albero. E nel finale, dalla grande violenza della guerra tornerà la vita».
«Un testo toccante - prosegue Ovadia - ci troviamo davanti a una violenza di genere, all'orribile stupro sulle donne. Camilleri è straordinario nella sua capacità di unire l'ironia, il colore, il tono leggero e divertente nel raccontare il piccolo mondo del paese con i suoi personaggi e i suoi riti e nel contempo commuoverci e toccare corde più profonde con una utopia mitologica, con una metamorfosi, chiudendo poi con un elemento di speranza».
Con la sua energia incontenibile e la passione per il teatro, Ovadia in scena si divide per sei: narratore, la mammana, il casellante violentatore, un giudice, il barbiere e un gerarca fascista.
«Un gran divertimento - ammette ridendo nella cornetta del telefono - un modo di rimettermi in gioco per evitare di totemizzare il mio percorso nella cultura yiddish. Sono profondamente legato alla Sicilia dove ho avuto incontri determinanti per la mia formazione culturale ed emotiva». Una grande amicizia lo ha legato a Ignazio Buttitta - «ho prodotto un disco con lui» -, poi un sodalizio fortissimo è scaturito con Roberto Andò - «con cui abbiamo messo in scena quattro spettacoli a quattro mani» racconta -, in tempi più recenti si è rafforzato il legame con Palermo «di cui sono cittadino onorario», ed ultimo sodalizio, non solo artistico, è l'amicizia e la collaborazione con Mario Incudine «con cui abbiamo realizzato al Teatro greco di Siracusa una edizione de Le supplici innovativa e di successo».
Dall'anno scorso Ovadia è il direttore artistico, a titolo gratuito, del Teatro Regina Margherita di Caltanissetta e da questa stagione anche del Teatro comunale Eliodoro Sollima di Marsala. «L'intento e quello di cercare di costruire una rete, di aggregare diversi teatri della Sicilia dell'interno per creare una sorta di Stabile. Questo consentirebbe di stabilire dei ponti anche per ospitare gli spettacoli».
In Sicilia confessa di sentirsi a casa, «anche perché sono tossicodipendente da dolci - scherza - la pasticceria siciliana fuori da ogni dubbio è la più grande del mondo, ha unito quella araba e quella mitteleuropea». Ma non si tratta solo dei piaceri della gola.
«Ho 70 anni e per me la stagione siciliana è un grande dono, la possibilità di fare un altro tratto della mia storia a confronto con questa terra. La Sicilia è un'iperbole, si può dire bene e male, ma la bellezza, la qualità del tessuto culturale che c'è nell'Isola non si trova in nessuna altra parte della galassia. Una cultura talmente stratificata da scoprirne sempre aspetti nuovi. Il guaio e che non tutti si rendono conto che formazione e cultura sono la migliore strategia per un realizzare davvero un cambiamento profondo della società».
Ombretta Grasso
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 9.3.2017
Palco Reale
"Il casellante", un Camilleri folclorico e musicale che punta sulla vivacità degli attori

Una Sicilia da fabula che attinge ai suoi miti arcaici, tra i colori di un'umanità calda e innocente e la cupa foschia di una violenza che genera follia; terra dove sangue e allegria, calcolo e istinto convivono tragicamente. Temi e atmosfere sdoppiate che Il casellante di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale – martedì al debutto al Teatro Biondo, accolto da applausi generosi, e in replica fino a domenica – miscela con mestiere e senza misura, e dove la regia di Dipasquale punta sul registro dell'operina musicale, scivolando per compiacimento nel vano bozzettismo folclorico di quadri recitati e cantati sul filo della piacevolezza facile, pronta a virare verso emozioni forti.
Tratto dall'omonimo racconto di Camilleri (2008), ambientato nei primi anni Quaranta, quando sull'Isola correvano le ombre della guerra, è la storia di Nino, casellante sulla ferrovia tra Vigàta e Castelvetrano, e della moglie Mìnica, ansiosi di avere un figlio. Appassionato di mandolino, Nino si diletta in concertini nella bottega del barbiere del paese, che però non piacciono ai notabili fascisti, e finisce in prigione; Mìnica, nel frattempo rimasta finalmente incinta, viene aggredita e violentata, perde il bambino, la memoria e la ragione. Sarà stato un soldato di passaggio o un compaesano che ha approfittato dell'assenza del marito? Una volta uscito, Nino trova verità e vendetta, ma la moglie ha perduto il senno: vuole diventare albero e generare come un albero, e il suo corpo comincia a trasformarsi. Solo nella devastazione della guerra, una sorpresa risolverà il dramma.
Se nel mito di Dafne, che per sfuggire ad Apollo si muta in arbusto, l'antinomia è castità/ sessualità, nel Casellante il nodo è la maternità violata, che incombe nell'ossessione e nella lamentazione della seconda parte. La prima è un pittoresco carosello di macchiette e situazioni che restituisce la cornice di un microcosmo popolaresco di convenzione (il truce boss, la buffa mammana, il goffo giudice, il roboante podestà, etc.).
Nel consueto idioma di Camilleri, un po' finto e autoironico, lo spettacolo punta sulla vivacità attoriale, sulle musiche, le accattivanti stornellate e i canti dolorosi di Mario Incudine, da lui stesso eseguite assieme ad Antonio Vasta e Antonio Putzu, in una miscellanea strumentale e di ritmi coinvolgenti, ma dove risuona, per l'ennesima volta sulle nostre scene, un bistrattato "cuntu". Su un fondale aspro e materico, pochi oggetti di scena dominati da un carretto-triciclo. Nei costumi di Elisa Savi, Moni Ovadia, stentoreo in un'improbabile cadenza siciliana, narra e si affatica in più ruoli; Valeria Contadino è una Mìnica d'impegno dolente; disinvolti nelle loro caratterizzazioni, Sergio Seminara e Giampaolo Romania.
Guido Valdini
 
 

Gayburg, 9.3.2017
La NuovaBQ attacca il commissario Montalbano, dicendo che riconoscono la figura di Giovanardi nel politico omofobo che organizza orge

Il vittimismo dell'integralismo cattolico sta raggiungendo livelli così assurdi da risultare quasi comico. Pare infatti difficile trattenere le risate dinnanzi alla sfuriata pubblicata sulla Nuova Bussola Quotidiana contro la fiction "Il commissario Montalbano". In un articolo di Andrea Zambrano dal titolo "Addio maggiordomo, l'assassino ora è il pro family", leggiamo:
Su Rai Uno inizia la puntata “Come voleva la prassi”. Una povera ragazza viene trovata nuda ai piedi di un portone di un palazzo del centro storico di un paese siciliano. E’ morta: presenta ecchimosi, ferite, contusioni. Insomma è proprio messa male; arriva Montalbano che inizia a chiedere ai vicini di casa: mai vista e conosciuta. E ti pareva; poi il nostro segugio riesce a trovare una pista nel torbido mondo della prostituzione d’alto bordo; mentre scava tra le escort di lusso va a mangiare nel suo ristorante preferito sul mare dove tra un trionfo di crostacei e frutti di mare si imbatte nel telegiornale locale dove il sindaco del paese, che è anche parlamentare, risponde ad una domanda sui matrimoni gay: "Non è ammissibile che lo Stato italiano possa giustificare e ammettere il matrimonio tra due persone dello stesso sesso. Noi siamo per una famiglia sana, tradizionale e che ha comune unico obiettivo la procreazione". Avercene di politici così, ma andiamo oltre.
Come vuole la prassi, verrebbe da dire, parafrasando il titolo della puntata: politico, siciliano, di chiara estrazione tardo-post-vetero democristiana, un po’ pingue. Guarda un po’: vuoi vedere che l’assassino è proprio lui, sobbalzano i telespettatori davanti alla tv?

Lodato e promosso il pregiudizio contro quei gay che Zambrano odia con tutto sé stesso (al punto che nei suoi articoli pare non si parli mai d'altro), si passa a sostener che la Rai voglia «indottrinare» il pubblico alla tolleranza al posto di predicare quell'odio che lui tanto vorrebbe:
Montalbano lo fissa con lo sguardo serio e pensoso, quello a cui ci ha ormai abituato quando chi gli sta davanti non lo convince per niente. Ma si va avanti. L’inchiesta prosegue, scava, scava e scava e del deputato, tale Palladino, che è anche il sindaco del paese, non c’è più traccia. Boh. Sarà stato un caso, forse un contentino alla legge non scritta dell’indottrinamento catodico delle masse in chiave gay friendly.
Ed è a quel punto che l'articolo torna a lamentarsi della trama:
Dopo un’ora e quaranta di indagini la svolta: il commissario riesce ad avere un dvd misterioso che visiona davanti ai suoi colleghi. C’è una scena raccapricciante di orgia assassina, le ragazze tutte nude, i maschi coperti da un cappuccio massonico e le mascherine alla Eyes wide shut. Poi si vede una di loro che viene accoltellata da un manzo nel gruppo e subito dopo: eureka! Un uomo dalla corporatura possente si avvicina al corpo della donna per assicurarsi che sia morta, l’inquadratura indugia su una voglia che ha sul collo.
“Ma non è per caso il sindaco Palladino? - chiede Montalbano – quello che è contro i matrimoni gay ed è per la famiglia tradizionale e la patria?”, si chiede sardonico strizzando l'occhio al telespettatore. In fatto di agnizione finale, stavolta la penna di Andrea Camilleri ha partorito un escamotage davvero scontato, roba da commedia di Plauto. “Sì sì, è proprio lui”.

Tralasciando le illazioni su come Zambrano dica di aver individuato «il manzo» senza lasciarsi distrarre da tuti quei seni al vento, assai più grave è come si riconosca nella figura dell'omofobo che va a prostitute. Anzi, sostiene pure che l'immagine di un politico che partecipa incappucciato ad un'orgia sia l'esatto profilo in cui loro riconoscono il senatore Carlo Giovanardi:
Morale della storiella: l’assassino della prostituta è il politico che si batte per la famiglia tradizionale e contro i matrimoni gay. Verrebbe da titolare: l’assassino è Giovanardi, se non fosse che è di Modena e non di Ragusa. Ma il senso lanciato dagli autori, e dunque da Camilleri che figura tra gli sceneggiatori anche della fiction, è presto detto: chi non vuole i matrimoni gay ha degli scheletri negli armadi. Vi staneremo tutti.
E dopo un'asserzione che pare passibile di una possibili denunce per diffamazione da parte di Giovanardi, il sito integralista non ci risparmia neppure la solita litania sul fatto che gli integralisti esigono che il loro canone venga destinato alla promozione dell'odio e non certo al racconto di storie a loro sgradite, soprattutto contro quei bravi cristiani che vanno con le prostitute:
Ecco fatto, con tanto di canone già pagato, Montalbano è una produzione Rai, l’equazione che i politici che difendono la famiglia sono dei corrotti o dei mafiosi. E’ un vecchio cliché, ma stavolta c’è l'aggravante delle nozze gay, che da quel tocco di novità in più.
L’indottrinamento di mamma Rai a favore della cultura omosessualista, dopo trasmissioni ad hoc e fiction apposite, vira decisamente sul genere thriller: non basta più presentare l’omosessuale come elemento positivo della storia, bisogna stanare tutti quelli che non sono d’accordo. Come? Con una fiction amata e seguitissima, di buona qualità e molto politically correct, fin troppo.

E dato che l'organizzazione di Casicoli ama anche sostenere che il disprezzo delle minoranze la massima espressione di quella religione che amano profanare con i loro articoli, immancabile è anche il loro sostenere che la Rai sia anti-cattolica (nonostante i dati indichino che alla religione cattolica dedichi il 95% dello spazio). Ma dato che questa è propaganda e non certo informazione, l'uomo afferma:
A questo punto vedremo come saranno le prossime puntate. Scommettiamo che il prossimo obiettivo sarà un prete, che legge ancora San Paolo e quelle cose ormai datate su fornicazione e omosessualità? Chissà quali porcherie gli faranno combinare al poveretto…?
A seguire trovate alcune immagini della sequenza raccontata da Zambrano, ad uso e consumo di quanti volessero farsi qualche domanda sul «il manzo» che l'integralista dice di aver osservato subito prima dell'altro uomo «con corporatura possente».
 
 

Giornale di Sicilia, 9.3.2017
Turismo
Montalbano mette le ali alla Sicilia, Ragusa punta sulla fiction per conquistare Berlino

Ragusa. La potenza televisiva della serie tv del commissario Montalbano è la scommessa turistica su cui punta la Sicilia e in particolare l’area iblea che comprende Ragusa, Scicli e Modica, presente anche quest’anno alla Fiera internazionale di Berlino.
Tanto più che quella casa del commissario, con il balcone affacciato sull'azzurro infinito del Mediterraneo, è nota anche ai tedeschi, dal momento che la serie viene trasmessa anche in Germania. E che i gialli di Andrea Camilleri sono stati a lungo in cima alle classifiche di vendita. La bellezza dei paesaggi costieri e dei capolavori del barocco siciliano sono entrati dunque anche nelle case dei telespettatori tedeschi e, ora che la nuova serie sta mietendo in Italia nuovi successi record, si spera possano alimentare nuovi flussi turistici da un Paese da sempre legato alla Sicilia.
Oggi ne parleranno in una conferenza stampa l’assessore regionale Anthony Barbagallo e Giovanni Occhipinti, presidente del distretto turistico degli iblei. Si punta su azioni sinergiche con le istituzioni comunali e regionali e con soggetti privati, per superare la frammentazione e fare sistema. Solo così è possibile affrontare la sfida di una competizione sempre più agguerrita.
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 9.3.2017
La stangata alla siciliana storie di truffatori da romanzo

Orazio Genco, il ladro amico del commissario Montalbano, piace anche a Camilleri che infatti ha ammesso: «I truffatori che truffano i miliardari a me fanno simpatia». Molta simpatia, dal momento che ricorda «un libro di Len Deighton dedicato, "con deferente ammirazione", a un italiano che vendette il Colosseo a un miliardario americano».
[…]
Gianni Bonina
 
 

La Repubblica, 9.3.2017
Quei ritratti di signori visti da Elisabetta

Pur essendo notissima e molto apprezzata, Elisabetta Catalano non ha mai avuto quei riconoscimenti ufficiali che stabiliscono per sempre la grandezza di un artista.
[…]
Negli ultimi tempi si era trovata davanti a un ostacolo, voleva fotografare Andrea Camilleri, ma senza quegli occhiali con le lenti simili ai fondi delle bottiglie, che impedivano di intuire lo sguardo. E aveva incaricato me, che sapeva ottimo amico dello scrittore, di intercedere per fare delle foto senza occhiali. Non so se ci sia riuscita, ma se vi capita una fotografia di Camilleri senza occhiali, quella sarà sicuramente di Elisabetta.
Stefano Malatesta
 
 

Televisione.it, 10.3.2017
Seconda serata venerdì: Tv7 su Rai 1, i servizi di stasera 10 marzo
Questa sera, in seconda serata, su Rai 1, approfondimento giornalistico di Tv7 sul successo del Commissario Montalbano, venerdì 10 marzo

[...]
Il Commissario d’Italia. 11 milioni di spettatori con il 40% di share: il miglior dato di una fiction negli ultimi 15 anni. Il segreto di un commissario che unisce l’Italia e che in televisione vive ormai di vita propria, tanto che Camilleri, confessa a Tv7, quasi non si sente più l’autore.
[...]
Luca Fusco
 
 

TG1 TV7, 10.3.2017
Io e il commissario
Cliccare qui per il video della trasmissione (minuti 1:04:38-1:10:25)
Vincenzo Mollica
 
 

Il Giornale, 10.3.2017
"Barocchi, erotici, 'doppi': ecco chi sono gli scrittori del rinascimento siciliano"
Il critico Salvatore Silvano Nigro spiega il successo letterario della sua isola: "Il segreto? La lingua. Camilleri se l'è inventata..."

Salvatore Silvano Nigro, 70 anni emeriti, critico e italianista, è di Carlentini, provincia di Siracusa. Vive a Catania. Dopo una luminosa carriera accademica tra Parigi, Yale e Milano, quest'anno siede sulla prestigiosa «cattedra De Sanctis» del Politecnico di Zurigo dove tiene un corso sulla cultura del Barocco.
È stato per vent'anni, dopo la morte di Leonardo Sciascia, il braccio destro di Elvira Sellerio, e ancora oggi è consulente della casa editrice palermitana: ha firmato più di 50 risvolti di copertina («mi piace dire che sono piccoli racconti critici») di Andrea Camilleri. Ha vinto il Premio Brancati nel 1996 e fa parte della giuria del Premio Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Solo per dire quali titoli e competenze può vantare per spiegarci il più duraturo successo letterario nazionale dell'ultimo decennio, quello siciliano. Uno studio neppure recente, quindi numericamente in difetto, dice che tra 2009 e 2014 sono usciti 125 titoli ambientati in Sicilia, per la maggior parte di scrittori siciliani, dalla A della catanese Emanuela E. Abbadessa con Capo Scirocco, alla V del palermitano Giorgio Vasta con Il tempo materiale. Gli editor dei grandi marchi editoriali - da Rizzoli a Feltrinelli, cioè da Roberto Andò (Palermo, 1959) a Giuseppe Rizzo (Agrigento, 1983) - è da tempo che drenano un bacino letterario siciliano inesauribile. Andrea Camilleri continua incupatissimo a dominare le classiche di vendita. E il suo Montalbano anche lo share televisivo. Il rinascimento siciliano non è una fiction.
Professor Nigro, esiste ancora una vera «letteratura siciliana»?
«È esistita per molto tempo, fino a quando in Sicilia c'è stato uno scrittore come Sciascia e a Palermo un giornale come L'Ora, che fu uno straordinario luogo di aggregazione culturale. Allora c'era un gruppo compatto di scrittori, come Consolo, Bufalino o Sebastiano Addamo, o come Giuliana Saladino, con le sue inchieste sulla condizione femminile e col suo Romanzo civile, ma anche di fotografi, come Ferdinando Scianna, uno straordinario narratore per immagini... Poi, con la morte di Sciascia e la chiusura de L'Ora, la linea siciliana si è dissolta».
E cosa è rimasto?
«Un'altra linea, nazionale, e non più regionale. Prima c'era continuità, aggregazione, collaborazione. Dopo, tra gli scrittori di ultima generazione, ognuno se ne è andato - come dire? - per i fatti suoi: chi seguendo una corrente che arriva da Pirandello, chi una che parte da Brancati, chi manifestando un'impronta barocca».
Nomi della linea-Pirandello?
«Uno, cento, nessuno. Gli scrittori di romanzi costruiti sugli sdoppiamenti di personalità, sul gioco delle parti di chi compare e chi scompare. Come il palermitano Roberto Alajmo».
E la linea-Brancati?
«È quella degli autori che esaltano l'elemento erotico. Come Silvana La Spina, sicilianissima per origini e vocazione».
Nomi della linea barocca?
«Pietrangelo Buttafuoco, scrittore spesso contrastato per pregiudizi ideologici ma che a me piace molto. Le storie che sceglie non sono di per sé esclusivamente siciliane, ma è sicilianissimo il modo in cui le racconta, recuperando quel ritmo tipico degli antichi contastorie - mi raccomando contastorie, non cantastorie - per cui il senso della parola è legato al suono prima ancora che al significato. Una cosa che era già in Consolo, per dire. Ancora fino a dieci anni fa qui a Catania si potevano vedere ai giardinetti pubblici gruppi di anziani e bambini che stavano ad ascoltare i contastorie che recitavano picchiando il bastone per terra, così da dare il tempo al racconto. E Buttafuoco non fa forse la stessa cosa quando in tv recita la sua rubrica Olì Olà? Una parola che non significa nulla, puro suono, ma che trasmette un messaggio forte».
Altri autori siciliani barocchi?
«Tanti, ognuno con una propria sfumatura. Silvana Grasso: un'ottima scrittrice che sviluppa il barocco implicito nella lingua siciliana. Giosuè Calaciura: autore fortemente carnale nei cui libri esplode l'elemento barocco. Oppure Maria Attanasio, poetessa intimamente barocca. O Ottavio Cappellani, catanese...».
Del quale sta per uscire da Sem Sicilian Comedi, seguito del fortunatissimo Sicilian Tragedi...
«La sua è la vena più stralunata e moderna del barocco, a volte iperrealista, a volte surrealista».
La prevalenza del barocco.
«Il barocco è ovunque in Sicilia. È quasi naturale. Pensi a Noto, Scicli, Ragusa... Non a caso è lo scenario dei romanzi di Camilleri [dei telefilm, non dei romanzi..., NdCFC]. Soprattutto il barocco è nella lingua. Nell'approfondimento metaforico della scrittura. I giochi illusionistici della scrittura, la teatralità della scrittura...».
Parliamo del romanzo storico.
«Se un siciliano sceglie di dedicarsi al romanzo storico, può fare solo due scelte. O si appoggia a Tomasi di Lampedusa, o a Federico De Roberto. La prima è una via piacevole, la seconda tremenda. Entrambi legano la Storia alla politica e al trasformismo. Ma Tomasi di Lampedusa è stendhaliano. Il secondo mostruoso. Infatti I Viceré è un romanzo più difficile ma più profondo del Gattopardo. E se vogliamo far navigare il romanzo storico nella letteratura siciliana contemporanea, Sebastiano Addamo o Giorgio Vasta si pongono in questo secondo filone».
Parliamo del romanzo giallo.
«In Sicilia è stato sdoganato da Sciascia, che scriveva romanzi di ambientazione giudiziaria ma che sono quasi dei gialli. E Sciascia non solo ha sdoganato il genere, l'ha anche incoraggiato. Il risultato è che Sellerio pubblica molti autori di gialli che non fanno semplice narrativa di consumo, ma qualcosa di più, di altro».
Esempi?
«Tutti quelli che non sono diventati inutili epigoni di Camilleri. Come Santo Piazzese. O come Gaetano Savatteri, nato a Milano, ma da genitori originari di Racalmuto, il paese di Sciascia... Tutti giallisti con una propria fisionomia letteraria, tutti con un diverso motivo di successo».
Il motivo del successo di Camilleri?
«La lingua, ovviamente. Sciascia, che era suo amico ma non lo stimava, gli diceva: Ma come puoi pretendere di farti leggere con la lingua che usi?. E invece è stata proprio quella lingua a regalargli il successo, sia in Italia, prima a Milano e al Nord e solo dopo al Sud, sia all'estero. E la cosa curiosa è che si tratta di una lingua che non esiste, falsa. Quello di Camilleri non è siciliano. È una lingua reinventata su base dialettale. E da dove arriva il modello? Dal romanzo di Sciascia Il Consiglio d'Egitto, dove c'è un falsario che si inventa una lingua per dire ciò che non si può dire, il quale si serve di un aiutante maltese che si chiama... Sa come si chiama?».
No.
«Padre Camilleri. E non le fa venire in mente niente una lingua inventata per dire cose che non si possono dire?».
No.
«Ha visto il penultimo episodio della serie tv di Montalbano, quella in cui si parla di uno degli ultimi tabù della nostra civiltà, l'incesto? Crede che la Rai avrebbe mandato in onda una storia simile se fosse stata raccontata in italiano? Invece è passata quasi inosservata perché sembrava inventata. Da una lingua che non esiste... Le storie di Camilleri piacciono non per i temi particolarmente accattivanti, ma per la lingua vigatese in cui sono narrate. Fenomeno non nuovo in letteratura per altro...».
Gadda?
«Secondo lei, se Gadda avesse scritto il Pasticciaccio in italiano invece che in una lingua che mescola tanti dialetti, avrebbe avuto la stessa fortuna?».
Il segreto è tutto è nella lingua.
«Una lezione che arriva da Pirandello. Il quale portò il dialetto siciliano nel teatro. E dal quale, attraverso un ramo laterale, discende la famiglia... Sa di chi?».
No.
«Di Camilleri. Come vede alla fine tutti i fili si allacciano. La Sicilia è grande. Ma molto piccola».
Luigi Mascheroni
 
 

Il Fatto Quotidiano, 10.3.2017
Sciò Business
Tv, il meglio della settimana: la saggezza di Montalbano e il successo del Barça

Montalbano col 44% di share e il Barcellona col 6-1 a carico del Paris Saint Germain, sono stati il fenomeno della settimana che sta per concludersi. Il segreto del successo dei catalani, e qui andiamo sul facile, sta nell’aver rintonato di azioni i parigini che erano arrivati a Barcellona convinti, grazie all’abbondante vittoria in andata, di avere la qualificazione in tasca. Le motivazioni del successo di Montalbano sono meno evidenti perché derivano non dall’affollarsi delle azioni, ma dalla loro “rarefazione”.
Poi, certo, a Licata [Sic!, NdCFC] accadono ammazzamenti, e orge con delitto, come nell’ultima puntata, ma senza che mai la minima suspense venga a turbare la pacifica disposizione d’animo degli spettatori. In coerenza, abbondano i campi di ripresa larghi, chiari anche di notte, tutti si muovono con studiata calma tranne Cantarella, il tipico charachter sdrammatizzante, dalle popolaresche pappagonate atte a far sentire agile e intelligente al confronto anche il più goffo e ottuso degli spettatori.
Sempre nella chiave de’ “le soluzioni si attendono, non si inseguono”, Montalbano non si scapicolla; ma è bravo a intuire cosa può esserci dietro i criminosi avvenimenti, perché è innanzitutto un saggio; smorza chi è trafelato perché chi non sa attendere si fa travolgere; ma non è tanto flemmatico da non prevedere e sventare le azionacce dei superiori burocrati, dei politicanti e di tutti i papaveri che, come cantava Nilla Pizzi nel paese dell’Uomo Qualunque, se la fanno alle spalle delle papere comuni (e qui c’è il tocco anticasta che non si nega, specie oggi, a nessuno). Sta di fatto che a Montalbano le soluzioni degli enigmi e le prove che incastrano i cattivi cadono in grembo da sole, a premio della sua capacità di attenderle senza fare un plissè.
La risposta dell’auditel è che anche gli spettatori si accomodano e non incontrando alcuna sporgenza di racconto che li faccia sobbalzare, finiscono con lo starsene fedelissimi sul divano, lasciando inerte il telecomando. Per questo siamo a una permanenza di ascolto pari al 67% sulla totale durata del programma. A gloria della destrezza e della prudenza degli sceneggiatori che hanno capito che nel racconto, come nella scultura, l’arte sta nel togliere, non nell’affastellare.
Un’ultima bizzarra notazione statistica: il super record della seconda puntata è dovuto tutto alle donne che non hanno voluto perdersi neanche un minuto di sguardi, pelata e nuotate di Zingaretti. Qualcuno degli uomini invece ha tradito, come i maschi dai 14 fino ai 34 (un terzo in meno rispetto alla prima puntata e, qui un’altra sorpresa, concentrati nei laureati dimoranti al sud. A confermare che nessuno è profeta in patria).
Stefano Balassone
 
 

Ufficio Stampa Rai, 10.3.2017
Rai1: Il commissario Montalbano
Una faccenda delicata
13/03/2017 - 21:25

Ritorna "Il commissario Montalbano", lunedì 13 marzo su Rai1 alle 21.25, con l'episodio Una faccenda delicata.
Sono passati mesi dalla morte di François, Livia sembra avere finalmente superato il difficile lutto, pare tornata quella di sempre. Salvo è da lei, a Genova, e Livia è davvero felice di averlo tutto per sé per qualche giorno. Purtroppo però Montalbano riceve una chiamata dal suo commissariato: c’è stato un omicidio e Fazio gli chiede di tornare subito a Vigata. Anche perché del caso ha già cominciato a occuparsene Augello, che ha imboccato però una pista d’indagine totalmente assurda e non c’è modo di dissuaderlo. Non c’è niente da fare, Montalbano deve partire. Livia è assai dispiaciuta, ma non può che avere pazienza, per l’ennesima volta.
Non appena tornato a Vigata, Salvo apprende del caso: è stata uccisa una prostituta, Maria Castellino, strangolata con una cintura da uomo nel miniappartamento dove lavorava. Era un personaggio piuttosto singolare Maria: tanto per cominciare, aveva quasi settant’anni, ma era ancora in piena attività. Non solo, Maria era così buona, gentile, generosa, che era stimata e benvoluta da tutti, nessuno in paese era prevenuto o la giudicava per il suo mestiere. Inoltre era felicemente sposata, e per suo marito Serafino - ora distrutto dal dolore - il fatto che lei fosse una prostituta non era mai stato un problema. Augello è convinto che si tratti del delitto di un maniaco, un gerontofilo, e Maria, secondo lui, sarebbe morta per incidente nel corso di una bizzarra pratica erotica. Montalbano è ovviamente persuaso che la tesi di Mimì non stia né in cielo né in terra, ma, per non mortificarlo, gli lascia condurre autonomamente un’indagine parallela alla propria. Il commissario, intanto, insieme a Fazio, si butta sul caso, e grazie a Teresita Gaudenzio, amica e vicina dell’assassinata, e al preside Vasalicò, amico fraterno di Maria, scopre che da tempo Maria era spaventata, a causa di un cliente che evitava in ogni modo di incontrare. Anche i reperti trovati sul luogo del delitto portano a pensare che sia proprio questo misterioso e pericoloso cliente l’assassino della prostituta. Bisogna trovare il modo di identificarlo, ma gli elementi a disposizione sono pochissimi, non sarà affatto facile. Il preside Vasalicò, inoltre, chiede aiuto al commissario per un angosciante problema sorto da qualche giorno nella sua scuola: la madre di una delle bambine sostiene che un maestro abbia molestato sua figlia; l’insegnante, sconvolto, invece si dice assolutamente innocente. Il preside non sa che fare, perché, se la donna ha ragione, allora vuol dire che nella sua scuola c’è un pericoloso mostro, ma se invece la signora sbaglia, rischia di far mandare in prigione un innocente. Per fortuna Montalbano saprà fare luce su questa faccenda quanto mai delicata.
Nel frattempo Mimì arresta un giovane gerontofilo, Mimmo Tavano, un tipo dall’aria buffa e bizzarra, cliente di Maria; è convinto che sia lui il colpevole. Salvo capisce immediatamente che Mimmo non è l’assassino e, malgrado l’ostinata convinzione di Augello, riesce a farlo scagionare.
Nel corso di questa indagine Livia viene a Vigata, per far vedere a Salvo “Selene”, la cagnetta che ha appena adottato e che semina subito scompiglio e allegria nella casa del commissario. Ma non è solo per questo che è venuta: benché Livia appaia serena, la morte di François ha lasciato in lei segni profondi; ha più che mai bisogno di Salvo, di sentirlo vicino e di sentirsi amata.
Montalbano riesce finalmente a identificare il misterioso cliente della Castellino: è un folle, dal tragico passato, ossessionato da Maria, ma per quanto tutto sembri indicare lui come assassino, il suo alibi pare davvero inattaccabile. Comunque sia il commissario, scavando sempre più a fondo, scopre nella vita e nel mondo di Maria risvolti sempre più ambigui e inquietanti: forse non era affatto così amata e benvoluta da tutti come si voleva far credere; la sua vita, in cui tutto sembrava limpido e chiaro, è in realtà un mistero sempre più fitto e intricato. E mentre Montalbano si fa strada in questo labirinto, un nuovo e brutale delitto pare incredibilmente rilanciare le bislacche ipotesi di Augello. Ma Montalbano riuscirà abilmente a riportare Mimì alla ragione, a risolvere il caso e a dare finalmente giustizia alla povera Maria Castellino.
 
 

Sicilia Ospitalità Diffusa, 10.3.2017
Montalbano e i nuovi scenari da scoprire.

È tornato Montalbano e con lui la magia dei suoi luoghi, con i loro colori capaci di incantare la platea televisiva italiana e mondiale.
Scicli, Modica, Ragusa Ibla e poi ancora Punta Secca, Sampieri, Donnalucata, il Castello di Donnafugata sono entrati ormai a far parte dell’immaginario collettivo di milioni di persone e non finiscono mai di stupire e attrarre chiunque abbia il desiderio di visitare la Sicilia e il sud-est in particolare.
Nei due nuovi episodi andati in onda i giorni scorsi, Il Covo di Vipere e Come vuole la prassi, con quest’ultimo risultato il più visto di sempre in Italia, la troupe di Alberto Sironi è andata alla ricerca di nuovi scorci e luoghi tutti da scoprire.
Dopo anni, Montalbano è tornato nel Parco Naturale di Costa di Carro, a pochi chilometri da Sampieri, ma, stavolta, si è spinto verso la splendida costa con le falesie a picco sul mare di Punta Corvo. Il mare cristallino intorno alla Villa del Pretore, dove si trovano la spiaggia e la grotta dei contrabbandieri, teatro anni fa, come suggerisce il nome, del traffico illegale di sigarette e altre merci con Malta e l’Africa, nella fiction è stata location, invece, del suicido della Signora Barletta e della morbosa relazione fra la figlia, interpretata dalla bellissima Valentina Lodovini, e il marito.
Passando all’interno, invece, un nuovo luogo di Montalbano è sicuramente l’ex distretto militare, nonché la parte più alta di Ragusa Ibla, dove si trova una piazza prospiciente il villino Arezzo del 1910: un belvedere dal quale si può godere di una vista suggestiva della cupola del Duomo di San Giorgio e di un panorama stratosferico di tutta Ibla, soprattutto di sera.
Infine, Montalbano, insieme alla sua storica amica Ingrid, è andato a scoprire uno dei luoghi più belli del mondo: la Valle dei Templi di Agrigento. Scendendo nel particolare, il Commissario e l’istrionica fimmina svidisa, scelgono come luogo di un loro appuntamento le rovine del Tempio di Giunone, sicuramente un luogo di immensa bellezza.
Montalbano, insomma, aggiunge luoghi meravigliosi a luoghi meravigliosi, pescando nell’immenso serbatoio di cui la Sicilia è ricca, in un mix di campagna, mare e luoghi storici che solo l’isola più bella del mondo può offrire.
Vincenzo B
 
 

Giornale di Sicilia, 11.3.2017
Montalbano: "Nella Valle dei Templi sono". Il commissario celebra il parco archeologico in un video
Cliccare qui per il video
Le immagini sono subito diventate virali sul social network raggiungendo in poche ore più 47 mila visualizzazioni e migliaia di "Mi piace"

Agrigento. La Valle dei Templi celebrata con un video sulla pagina Facebook ufficiale del Commissario Montalbano. "Antico e moderno si fondono nelle storie e nei paesaggi che fanno da sfondo alle vicende di Montalbano", si legge nel post di presentazione del video prodotto da Palomar per la Rai.
Suggestive panoramiche del parco archeologico, riprese effettuate anche con i droni, immagini che sono subito diventate virali sul social network raggiungendo in poche ore più 47.000 visualizzazioni e migliaia di "Mi piace", condivisioni e commenti.
Il video, della durata di quasi quattro minuti, propone le interviste realizzate sul campo - poco prima delle riprese che per la prima volta sono state effettuate ad Agrigento e non solo nel Ragusano - a Luca Zingaretti che interpreta il commissario più famoso d'Italia nato dalla penna dello scrittore empedoclino Andrea Camilleri, all'attrice Isabell Sollman, che veste i panni di Ingrid, l’amica svedese del commissario, che lo corteggia da anni, e al regista Alberto Sironi.
Calogero Giuffrida
 
 

RagusaNews, 11.3.2017
Montalbano fa 11 milioni, brindisi a casa Camilleri
Il servizio fotografico





Roma - Le foto che Ragusanews pubblica sono quelle del brindisi dello scorso 7 marzo a casa Camilleri in via Asiago a Roma [in realtà sembrano fotogrammi tratti dal servizio del TG1 del 7.3.2017, NdCFC]. "Come voleva la prassi”, espisodio andato in onda lunedì 6 marzo, ha superato gli 11 milioni di spettatori col 44,1% di share, attestandosi ad appena meno 6 mila spettatori rispetto alla prima serata del festival di Sanremo 2017. 11 milioni 268 spettatori hanno seguito la nuova puntata, in cui il commissario di Vigata indaga sul delitto efferato di una giovane prostituta in un’orgia, esplora l’abisso dell’animo umano e sbugiarda l’ipocrisia dei politici benpensanti. L’incontro con un giudice sopraffatto dal senso di colpa, che rileggendo le sentenze di una vita si confronta con la propria coscienza (tra faldoni da riesaminare e citazioni di Montaigne), lascia il segno. Il pubblico resta incollato davanti alla tv: il commissario d’Italia piace dal Nord al Sud. In Piemonte raggiunge il 49% di share, nella sua Sicilia tocca il 55%; ancora più alto quello tra il pubblico laureato, con il 56%.
Se il Montalbano letterario tende ad avere una sua autonomia, quello televisivo addirittura vive veramente una sua vita propria che in qualche modo e? creata dagli spettatori stessi. "Sono stati loro infatti, in tutti questi anni, sostiene Camilleri, "a rendere questo personaggio qualcosa che in fondo in fondo li rappresenta tutti".
Cosa piace? La Sicilia metafisica di Alberto Sironi, senza auto, quasi onirica, sospesa. Piace che la verità, così come il bene e il male, non abbiano mai un'unica faccia. "Per i romanzi portiamo la storia a misura di film", spiega lo sceneggiatore Francesco Bruni, che con Salvatore De Mola e Leonardo Marini insieme a Camilleri trasforma le pagine in immagini. "Nel caso dei racconti ne uniamo più di uno, per Come voleva la prassi erano tre, abbiamo creato gli agganci tra le trame. Con Salvatore e Leonardo scriviamo le sceneggiature poi andiamo alla cerimonia — sempre emozionante — della lettura a casa Camilleri. Gli leggiamo le sceneggiature, anzi, gliele recitiamo, e lui fa le note anche sui minimi dettagli".
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 12.3.2017
Al liceo fondai un giornale perché a quel tempo vivere a Racalmuto se vogliamo era come vivere a Vigata o a Macondo
"La mia Sicilia è cambiata ed è diventata pure glamour"
Me ne vado nel 1991 per lavoro, con il grande entusiasmo di confrontarmi con una grande città. Anche se poi una volta fuori scopri che l'esperienza siciliana equivale ad aver guidato una Ferrari senza saperlo. Dire che la mia terra non è cambiata sarebbe come ammettere che la Sicilia e i Siciliani sono immuni al cambiamento. Ma non è così. E non solo, continuare a prendere come racconto siciliano Sciasca e Lampedusa, o Verga e Pirandello, è fare un pessimo servizio alla nostra grande letteratura e volerne dare una cattiva lettura. Se oggi Guttuso dipingesse la Vucciria, rappresenterebbe il mercato al mattino con i quarti di bue pendenti? No, lo dipingerebbe alle dieci della sera con la movida. Fa comodo ai siciliani, alla classe dirigente questa rappresentazione immobile, serve a giustificare i fallimenti. Sono i nuovi stereotipi che cancellano i vecchi. Ma io ho il dovere di raccontare a un ragazzo nato nel 1992 che la Sicilia è cambiata e che la narrazione sulla Sicilia è cambiata

Siciliani non sempre ci si nasce, a volta ci si ritorna non riuscendo a sfuggire al destino. È il caso di Gaetano Savatteri, nato a Milano, da genitori siciliani che quando lui aveva dodici sono tornati in Sicilia, ponendolo anzi tempo di fronte al dilemma dei dilemmi: «Io chi sono? Chi sono stato: un milanese che andava a fare le vacanze in Sicilia o un Siciliano che per sbaglio era nato a Milano?». La scelta poi è stata consapevole, figlio di insegnanti emigrati al nord e poi ritornati a Racalmuto, Savatteri, giornalista e scrittore, è cresciuto nella terra di Sciascia e, messo da parte il suo accento milanese, è diventato uno dei più lucidi cantori della Sicilia, tanto che armato di "scetticismo positivo" nel suo ultimo libro "Non esiste più la Sicilia di una volta", Laterza, prova a scalzare i vecchi luoghi comuni con i nuovi.
Per lei che in Sicilia è arrivato a 12 anni, con l'accento del nord e gli amici a Milano, che cosa vuol dire "identità siciliana"?
«Quando sono arrivato mi sentivo milanese, in Sicilia ci venivo solo d'estate. E quando ci siamo trasferiti, negli anni ‘70, era come fare un viaggio nel tempo, si attraversava mezzo secolo di storia. Lasciavo la civiltà industriale per trovare i muli per strada e alcuni riti contadini ancora in vita. Ma una volta arrivato ti dicono che è questa la tua vera identità e non ha a che fare solo con te, ma con una storia antica. La mia famiglia, padre e madre, affonda radici antichissime a Racalmuto. E allora davvero io ho cominciato a ragionarci presto su cosa sia l'identità, per arrivare alla conclusione che si tratta di un concetto forse sopravvalutato, l'identità è una cosa che ci costruiamo. Ho scelto di essere siciliano, che forse è la scelta più faticosa».
A Racalmuto lei ha frequentato il liceo Empedocle e ha fondato "Malgrado Tutto", giornale che esiste ancora on-line. Perché questo titolo?
«Il giornale nasceva dall'esigenza di scrivere, perché a quel tempo vivere a Racalmuto era come vivere a Vigata o a Macondo. Quindi in noi giovani liceali c'era la convinzione che vivevi solo se qualcuno scriveva di te. Non essendo nessuno interessato a farlo, abbiamo cominciato a farlo noi. Ci venne in mente "Malgrado tutto", in nome di un certo scetticismo positivo che è il contrario della rassegnazione, che ti spinge a fare le cose giuste nonostante ti dicano "non investire in Sicilia... tanto", "Non tornare in Sicilia, tanto...". Malgrado tutto vale sempre, è la consapevolezza, l'ottimismo della volontà per dirla con Sciascia».
Malgrado tutto lei dalla Sicilia se ne va...
«Me ne vado nel 1991 per lavoro, con il grande entusiasmo di confrontarmi con una grande città. Anche se poi una volta fuori scopri che l'esperienza siciliana equivale ad aver guidato una Ferrari senza saperlo. Puoi non conoscere un numero di telefono, ma hai tutto quello che ti serve. Me ne sono andato per tornare come inviato nel periodo delle stragi e fino al processo Andreotti. Ero sempre in Sicilia, ma con il sollievo di andare via».
In che senso la Sicilia non è più quella di una volta?
«Perché se non fosse così sarebbe come ammettere che la Sicilia e i Siciliani sono immuni al cambiamento. Ma non è così. E non solo, continuare a prendere come racconto siciliano Sciasca e Lampedusa, o Verga e Pirandello, è fare un pessimo servizio alla nostra grande letteratura e volerne dare una cattiva lettura. Se oggi Guttuso dipingesse la Vucciria, rappresenterebbe il mercato al mattino con i quarti di bue pendenti? No, lo dipingerebbe alle dieci della sera con la movida. Fa comodo ai siciliani, alla classe dirigente questa rappresentazione immobile, serve a giustificare i fallimenti. Un impoverimento che si è avvalso di grandi strumenti culturali, la bibbia dell'immobilismo».
Lei spazza via i vecchi luoghi comuni, ma proponendo Camilleri o il pane con la milza alla Feltrinelli non crede che si sia già dentro nuovi cliché?
«Sicuramente. Sono i nuovi stereotipi che cancellano i vecchi. Ma io ho il dovere di raccontare a un ragazzo nato nel 1992 che la Sicilia è cambiata e che la narrazione sulla Sicilia è cambiata, può fare a meno della mafia, può avere un commissario con un alto senso della giustizia siciliano e non del nord come Bellodi. Così come a Roma oggi posso mangiare dell'ottima pasticceria siciliana con facilità, mentre quando sono arrivato io ci sarà stato un solo posto dove mangiare il cannolo. Perché c'è una Sicilia che piace».
Quali sono i nuovi capisaldi del Trinacria Glam e della nuova Sicilia?
«Il dialetto artistico, la lingua di Camilleri, un filone erotico sessuale scritto e raccontato da donne, ma anche il fatto che, obtorto collo, siamo diventati terra di accoglienza. La generazione ‘92, che interpreta i fatti a partire da lì, come Giuseppe Schillaci, Pif, Corrado Fortuna, la guerra agli stereotipi di Giuseppe Rizzo. E poi il cibo siciliano o Dolce e Gabbana, che seppur di carta pesta mettono in circolo un'immagine normale della Sicilia, contribuendo a rimuovere il cliché mafioso».
Fa parte della nuova Sicilia il fatto che le massime cariche dello Stato siano siciliane?
«Certo, ne è conseguenza. Tre momenti nell'ultimo secolo hanno forgiato la classe dirigente italiana: la guerra partigiana, la lotta al terrorismo e la lotta alla mafia del post stragi. Mattarella e Grasso sono figlie di quell'anno fondativo: il 1992».
Tornerebbe a vivere in questa Sicilia che non è più quella di una volta?
«In vacanza sì. No, non ci tornerei. Io vivo dentro la Sicilia che mi sono scelto, che racconto».
Eleonora Lombardo
 
 

Il Tirreno (ed. di Livorno), 12.3.2017
Francesco Bruni: "Dopo Montalbano un film con mio figlio"
Dopo il grande successo in tv con il commissario di Andrea Camilleri, il regista-sceneggiatore livornese vuole portare sul set il figlio Arturo ("dirigerlo non è stato semplice ma avevo con me Montaldo")

Livorno. C’è lui, gentile e colto signore del cinema e della televisione, dietro il mondo animato del commissario Montalbano, quello che dai libri dalla copertina blu di Sellerio si trasferisce ormai da quasi 20 anni (11 stagioni, circa 30 episodi) sugli schermi casalinghi. Ed è grazie a lui, Francesco Bruni, nato a Roma ma cresciuto a Livorno, approdato nell'universo cinema ancora giovanissimo insieme all'altro celebre livornese Paolo Virzì, se il personaggio creato da Andrea Camilleri è diventato amico di famiglia non solo dei tanti fedeli lettori ma anche di un visibilio di telespettatori, in Italia e all'estero.
L'ultima puntata della nuova serie lunedì scorso, ha battuto tutti i record: 11 milioni 268 mila telespettatori, pari al 44.1% di share. Bruni, che sceneggia la fiction del commissario fin dall'inizio (1999) e che ai grandi numeri è abituato (siamo ormai a un miliardo di spettatori in totale) è comunque entusiasta di questo nuovo risultato «perché è inevitabile che io e Montalbano ormai viviamo un po' in simbiosi, e chi ama lui in qualche modo ama anche me». Intanto sta per uscire al cinema (11 maggio, con anteprima assoluta al Bif&st-Bari International Film Festival, in concorso, il 23 aprile) il suo nuovo film come regista, «Tutto quello che vuoi».
[...]
Cristiana Grasso
 
 

La Nuova Sardegna, 13.3.2017
Il romanzo
Dalla curiose storie siciliane nasce il Camilleri migliore
Nuova edizione de "La mossa del cavallo", opera ai vertici dello scrittore
Un ispettore dei mulini cresciuto al Nord ritorna in Sicilia alla fine dell'Ottocento

Riletto oggi, profittando della nuova edizione appena pubblicata da Sellerio, “La mossa del cavallo” (272 pagine, 14 euro) acquista quel valore che al tempo dell’uscita per Rizzoli, e sono ormai passati quasi venti anni, non aveva saputo, o potuto, mostrare. Forse, a nuocergli, era stata la vicinanza cronologica con quelli che restano i vertici della produzione di Andrea Camilleri, “Il birrario di Preston” del 1995 e “La concessione del telefono” del 1998, opere consimili in quanto appartenenti, così come appunto “La mossa del cavallo”, al genere di quel romanzo storico per cui lo scrittore di Porto Empedocle ha sempre o quasi sempre tratto spunto da curiose, quando non bizzarre, notizie di cronaca locale.
Ora, lontana da confronti impegnativi, la vicenda che ha per protagonista Giovanni Bovara può trovare il suo giusto gradimento, senza rischiare di perdersi in un corpus camilleriano che libro dopo libro si è nel frattempo fatto impressionante per dimensioni. Il Bovara, nato a Vigàta ma portato dalla famiglia a Genova ad appena tre mesi e lì cresciuto, dopo la morte dei genitori è stato allevato da uno zio paterno e da sua moglie, anch’essi siciliani trasferitisi in Liguria. Delle sue origini gli resta una parziale comprensione del dialetto vigatese, che gli torna non poco utile quando nell’estate del 1877 viene chiamato a ricoprire il ruolo di ispettore capo ai mulini presso l’Intendenza di Finanza di Montelusa – ovvero il centro che, come sanno tutti i fan di Camilleri, sta giusto a un tiro di schioppo da Vigàta –. I due che l’hanno preceduto nell’incarico, Tuttobene e Bendicò, sono finiti a far da pasto rispettivamente ai pesci e ai cani; Bovara gradirebbe miglior sorte, ma il suo spirito integerrimo si scontra presto con quel mondo in cui tutto segue leggi sue proprie che è la Sicilia.
La gestione dei mulini e delle relative tasse pretese dallo Stato centrale, per dire, è in mano al ricco e potente (e mafioso) Cocò Afflitto: il quale, dalle intromissioni di Bovara nei suoi malaffari, avrebbe solo da perderci, e sfruttando un’occasione favorevole arriva a farlo incolpare di un omicidio del quale invece l’ispettore è stato semplice testimone. È qui che “La mossa del cavallo” si dimostra opera di sottile ingegno, oltre che lettura godibile: precipitato in luogo che gli appare totalmente alieno, Bovara riavvolge il labile filo che lo lega alle sue ascendenze e compie una trasformazione culturale e linguistica che lo muta, da “italiano”, in siciliano tra i siciliani: giocando finalmente alla pari con gli avversari, proverà (riuscendoci?) a far propria la partita.
Alessandro Marongiu
 
 

L'Espresso, 13.3.2017
Gli Antennati
Incantesimo Montalbano
Torti e fragilità degli uomini sono cristallizzati dentro la bellezza siciliana. Diversi di volta in volta, ma sempre con la stessa malinconia

È successo all’improvviso e nessuno ha potuto farci niente. Di colpo gli italiani che frequentano il piccolo schermo si sono innamorati del commissario Montalbano. O meglio: hanno riposto simpatia e fiducia totali nell’interpretazione di Luca Zingaretti, sposatosi anno dopo anno al personaggio scritto da Andrea Camilleri. Un affetto strutturale, quello del pubblico, non certo cestinabile per eventuali capricci o noia. Al contrario: ogni volta che sulla prima rete pubblica appare la serie sicula, e il commissario torna a circolare per le strade di Vigata, gli ascolti esplodono e i dirigenti di viale Mazzini brindano.
È accaduto anche lo scorso 27 febbraio e poi di nuovo il 6 marzo. Non ci volevano certo diavolerie da aruspici per prevederlo. Lo stesso Zingaretti, intervistato dalla bibbia storica del tele-pop Sorrisi e canzoni, aveva sottolineato come «il bello di Camilleri è che ti porta per mano a riflettere sui fatti umani con la potenza della tragedia greca», e in questo costante viaggio tra le fragilità terrene gli spettatori attendono l’epifania di elementi sempre ripetitivi, «come quando incontri un amico simpatico, che ti fa ridere, e non vuoi che cambi repertorio di battute».
Verissima e consolidata, come analisi. Serialità e tormentoni - linguistici, estetici e va da sé psicologici - crescono in sincrono. Così i seguaci di Montalbano frizzano sui divani quando davanti alle telecamere spunta anche per un solo istante la goffaggine dell’agente Catarella, o anche quando la scena è invasa dall’incontinenza erotica di Mimì Augello, sodale del protagonista fin dagli esordi; senza poi dilungarsi a spremere l’ovvio riguardo a Livia, compagna nordica di Montalbano.
Ogni dettaglio al suo posto: questa è la certezza offerta alla platea nostrana. Cambiano di tanto in tanto i premier, il Pd umilia se stesso con faide e scissioni atomiche, la furia a 5Stelle frena di fronte ai suoi stessi limiti, le destre sfidano pazienza e buonsenso con le loro screziature trumpiste, ma il commissario Montalbano ogni volta rimette le cose in ordine dentro un universo meridionale fatto di tempi e gesti sospesi. La meraviglia dell’artificio che tutto ma proprio tutto si può consentire: persino di avvicinarsi ai casi di omicidio - e alle vergogne inconfessabili ad essi connessi - con una pietas assente nella vita reale. Varia la trama per ogni episodio, nuovi personaggi affiancano quelli storici, ma sempre e comunque obbediscono all’arte statica e a questo punto eterna di mastro Camilleri. Il quale da una parte innesca continui intrighi a colpi di penna, e dall’altra suggerisce allo spettatore una verità metafisica. Quella che i veri protagonisti della serie, e quindi responsabili del suo infinito successo, sono la luce e il mare isolani. In costante mutazione imposta dalla natura, certo, ma anche immobili nell’immaginario di chi ne asseconda il fascino. Quanto di più rassicurante uno sceneggiatore possa desiderare.
Riccardo Bocca
 
 

ANSA, 13.3.2017
Montalbano svela anche segreti cucina siciliana
Semiologo Marrone analizza rapporto del commissario con il cibo

La serie televisiva del commissario Montalbano è la scommessa turistica su cui punta la Sicilia. Una sfida che gli operatori hanno lanciato supportati anche dai record di ascolti raggiunti dalla fiction su Rai1 che con l'ultimo episodio, Come voleva la prassi, ha centrato il record di 11,3 milioni di spettatori e del 44,1% share, miglior risultato di una serie negli ultimi 15 anni. Il famoso commissario frutto della fantasia dello scrittore Andrea Camilleri è anche ambasciatore della cucina tipica siciliana.
Anche se "tra un'indagine poliziesca e l'altra, un''azzuffatina' con l'amata fidanzata storica e l'eventuale scappatella con la maliarda di turno a lui il cibo interessa - e molto - già cotto", osserva Gianfranco Marrone, autore del libro "Semiotica del gusto, linguaggi della cucina, del cibo, della tavola (edizioni Mimesis Insegne, 396 pagine, Euro 28). Ed è "per questa ragione che nelle numerose avventure del commissario abbondano le nominazioni e le descrizioni di manicaretti d'ogni tipo, ma sono praticamente assenti le ricette di cucina - prosegue Marrone - i modi canonici di preparazione di qui cibi squisiti".
Un vero e proprio spot per i gourmet di ogni parte del mondo incuriositi da quelle pietanze dal sapore 'celestiali'. Come quelle preparate dalla domestica Adelina: "la caponatina o la pasta 'ncasciata". E i famosi arancini, al centro di una disputa linguistica se declinati al femminile o al maschile a secondo dell'angolazione geografica dell'Isola, da preparare 'senza zafferano'. "Una doppia presa di distanza 'pi carità' - annota il semiologo - rispetto al risotto che serve da alimento base delle arancine che non è alla milanese". E se di solito Montalbano tiene rigorosamente separati il momento "dell'investigazione da quello dei piaceri della tavola, qui le due dimensioni si intrecciano quasi fino a confondersi: in una trama dove non è più il consumo del cibo a dominare bensì la sua preparazione. Ma prima ancora - scrive il semiologo - dell'immersione nell'olio, vedremo che è l'allestimento formale e materiale dell'arancino a far eco plastica con i gesti e i modi dell'investigazione poliziesca".
Narra Camilleri: "Gesù gli arancini! Montalbano li aveva assaggiati solo una volta: un ricordo che sicuramente gli era 'trasuto' nel Dna, nel patrimonio genetico". La ricetta, inoltre, si tramanda "in modo che - prosegue Marrone - la sua scrittura, come per le fiabe, è già una traduzione letteraria di qualcosa che la precede oralmente e che è personale, locale, etnicamente marcato. Come dire che tutte le vere ricette si sanno a memoria". Per il docente, inoltre, "la serie poliziesca e quella culinaria, il dover-fare e il voler-essere, divengono così una sola cosa".
Giovanni Franco
 
 

Liveunict, 13.3.2017
Successo senza precedenti per Il Commissario Montalbano: prof. Bennato rivela i segreti della serie tv

Il Commissario Montalbano, la fiction tratta dai romanzi di Andrea Camilleri non smette di stupire. La seconda e ultima puntata della stagione ha tenuto davanti al piccolo schermo più di 11 milioni di spettatori e con il 44,1% di share ha stabilito il proprio record di sempre.
Numeri da capogiro, che forse solo una partita della Nazionale riesce a raggiungere. Per capire cosa ci sia alla base di un consenso di pubblico così esteso, LiveUniCT ha intervistato il prof. Davide Bennato, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi e Sociologia dei media digitali presso l’Università di Catania ed esperto di cinema.
Professor Bennato, oggi in una tv così frammentata, come si spiega il successo spropositato de “Il commissario Montalbano”?
“Il commissario Montalbano è diventato un appuntamento imperdibile per appassionati e non. Questo è attribuibile senza dubbio al carisma del protagonista Luca Zingaretti, che è riuscito a rendere un personaggio siciliano senza cadere nella macchietta. E poi soprattutto la Sicilia da cartolina, dove vengono rappresentati alcuni dei suoi luoghi splendidi. Diciamo che la fiction TV è stata in grado di cavalcare tutta una serie di stereotipi classici sulla Sicilia – il cibo, le donne volitive, i maschi “fimminari”, i panorami mozzafiato, la centralità del cibo, il mare – senza però risultare artificiale ma anzi creando un contesto realistico molto interessante”.
Dal punto di vista prettamente cinematografico cosa si può dire sulla serie che dal 1999 tiene gli italiani incollati al televisore? Quali sono i punti di forza?
“Da una parte dimensione della fotografia che valorizza la componente della luce solare e rende le location nel loro massimo splendore. Dall’altro la costruzione delle storie, in cui c’è sempre una sorta di “pietas” umana anche dietro lo svelamento dei delitti più efferati. Quello che ha di bello la serie televisiva è la struttura delle storie in cui si vedono succedersi delitti immersi nella luce abbagliante della Sicilia, creando un cortocircuito fra luce degli spazi e buio dell’anima, che sicuramente riescono ad affascinare anche i telespettatori meno appassionati di gialli e crimini”.
Il tam tam che il commissario provoca su Facebook è non indifferente… quanto e come possono aver influito i social su questo boom di ascolti?
“La mia esperienza è che i social hanno avuto via via un ruolo sempre più importante man mano che cominciavano a entrare nella vita quotidiana degli italiani. Infatti non bisogna ricordare che Il commissario Montalbano vede la luce nel 1999, e solo qualche anno dopo sarebbero arrivati i primi esempi dei social media, ovvero i blog, mentre per Facebook in Italia bisogna aspettare il 2006. Man mano che i social prendevano piede in Italia, così la condivisione di Montalbano. Fino ad arrivare quest’anno in cui la strategia social dei canali digitali del Commissario Montalbano, è quella di attivare una vera e propria azione di promozione della puntata, anche durante la messa in onda. In una situazione in cui quasi un televisore su due è acceso sulle avventure di Salvo Montalbano, è difficile che i social media non siano usati per condividere questo enorme rituale collettivo del lunedì sera”.
Le avventure di Montalbano sono ambientate in un mondo dove internet è assente. Può essere una chiave del successo della fiction il fascino creato da qualcosa a cui non siamo forse più abituati nel 2017, ovvero questo distaccamento dal World Wide Web?
“In realtà internet in Montalbano non è assente, è solo nascosto dal fatto che viene usato come meccanismo di avanzamento della trama e viene lasciato all’azione di Catarella (il bravissimo Angelo Russo). È anche vero però che non si vedono smartphone, selfie e tutto quanto i media digitali ci hanno abituato. Questo può essere frutto della visione di questa Sicilia mitologica senza tempo che viene rappresentata dalle storie. Anche se non bisogna dimenticare che l’autore della serie – Andrea Camilleri – ha una palese idiosincrasia nei confronti delle tecnologie e del digitale. Un peccato veniale che possiamo tranquillamente perdonare alla luce della bellezza delle storie che Il commissario Montalbano ci offre”.
Edward Agrippino Margarone
 
 

Frontiera, 13.3.2017
Montalbano, burbero che piace
Zingaretti riporta in tv il personaggio creato da Camilleri, il pubblico apprezza

Rai 1 raggiunge abitualmente i suoi picchi d’ascolto in occasione di eventi “clou” come il Festival di Sanremo, la serata finale della trasmissione abbinata alla Lotteria Italia, gli appuntamenti sportivi di particolare importanza. Il ritorno della serie dedicata alle avventure del commissario Montalbano è una vera e propria eccezione: la puntata d’esordio della stagione 2017 ha totalizzato oltre 10 milioni di spettatori, con uno share superiore al 40%. Come gli eventi di cui sopra, forse anche meglio.
Il protagonista è sempre Luca Zingaretti nei panni del Commissario Salvo Montalbano, personaggio creato dalla penna di Andrea Camilleri, che lo ha reso protagonista di una fortunata serie di romanzi. Burbero e spesso sgarbato, il commissario di polizia dell’immaginaria cittadina siciliana di Vigata si impegna a risolvere i più vari fatti criminali della sua terra, di cui riesce sempre a trovare la soluzione grazie alla sua intelligenza e all’aiuto dei suoi collaboratori: il suo vice Domenico “Mimì” Augello, l’ispettore Giuseppe Fazio, l’agente Agatino Catarella, l’amica Ingrid Sjöström e il giornalista Nicolò Zito. Completano il cast la cuoca Adelina, la fidanzata Livia Burlando, con la quale ha una relazione a distanza.
La produzione è in onda dal 1999, anno in cui la Rai ha deciso di realizzare alcuni adattamenti televisivi dei romanzi e dei racconti di Camilleri, in collaborazione con Sveriges Television, la tv pubblica svedese. Inizialmente trasmessa su Rai 2, la serie è poi approdata su Rai 1 – la rete ammiraglia – in forza del successo di pubblico ottenuto.
La trasposizione televisiva conserva largamente le caratteristiche del personaggio letterario, a partire dall’uso di un linguaggio del tutto particolare: un italiano fortemente contaminato da elementi della lingua siciliana e non privo di neologismi. Come tutti i protagonisti che riescono ad affermarsi come tali, anche Montalbano ha una serie di caratteristiche peculiari che lo rendono unico e irripetibile: è introverso e cocciuto, ha un debole per la buona cucina (soprattutto per quella a base di pesce), durante i pasti mangia in assoluto silenzio, ha un umore lunatico e fortemente condizionato dal meteo, detesta parlare in pubblico, ha una dedizione pressoché assoluta al suo lavoro.
La scelta di Luca Zingaretti come interprete si è rivelata efficace, in virtù delle sue capacità recitative e anche di una certa somiglianza fisica con il personaggio tratteggiato da Camilleri. La forza di questa interpretazione e, di conseguenza, dell’intera produzione sta anche nel riuscito tentativo di veicolare la letteratura contemporanea attraverso un linguaggio popolare, con una trasposizione dai libri alla fiction che – nonostante i vincoli imposti dal mezzo – riesce a non tradire la struttura narrativa originale.
Il paragone fra Zingaretti nei panni di Montalbano e Gino Cervi nei panni di Maigret (commissario creato da George Simenon) sorge spontaneo, anche in forza della dichiarata ammirazione di Camilleri per lo scrittore francese. I due personaggi fanno parte della folta schiera di investigatori televisivi che hanno attraversato i palinsesti della televisione italiana fin dalla sua nascita, nella maggior parte dei casi costruiti attraverso una rivisitazione ad hoc delle opere letterarie.
Sebbene qualunque traduzione dal libro al piccolo schermo finisca inevitabilmente per tradire l’originale a forza di sintesi, riduzioni e semplificazioni, l’idea di far vivere un personaggio letterario anche in televisione ha un suo senso. Soprattutto se invoglia il pubblico a leggere le opere originali…
Marco Deriu
 
 

La Sicilia (ed. di Siracusa), 13.3.2017
Teatro
Il Casellante di Camilleri sulle ali della libertà

Un romanzo struggente e divertente al contempo: domani sera al teatro Tina Di Lorenzo di Noto va in scena "Il Casellante", spettacolo uscito dall'omonimo testo di Andrea Camilleri per la regia di Giuseppe Dipasquale. Sul palcoscenico Moni Ovadia, Valeria Contadino, Mario Incudine, Sergio Seminara e Giampaolo Romania, con musiche di Antonio Vasta e Antonio Putzu. Dal testo à stato ricavato uno spettacolo che gioca sulle parole, sulla musica e sull'immagine.
I fatti sono ambientati nella Sicilia fascista degli anni '40 e disegnano una società antica ma già moderna, comica ma anche tragica, spesso quasi paradossale.
«Portare Camilleri a teatro è come traghettare un'emozione tra prosa e poesia - spiega Dipasquale - e questo è stato possibile anche grazie alla musica, che accompagna un linguaggio originale come è quello di Camilleri: e che ritma una divertita sinfonia di parlate fatta di neologismi, di sintassi travestita. Il Casellante è rimasto integro, ha una stabilità narrativa che è stata calata di peso nella solidità drammaturgica, questo anche perché ha la forza mitologica che l'autore ha voluto dare alla storia».
E la penna di Andrea Camilleri sembra aver dato non solo un romanzo da trasformare in prosa, ma anche piccoli elementi di regia e scenografia. «Mentre scrivevo "Il Casellante" - dice Camilleri - mi sono abbandonato a una sorta di tentativo di poesia in prosa: anche la scrittura è più fantasiosa, più libera, più ariosa. Se il regista avesse ipotizzato una scenografia chiusa avrebbe commesso un errore. Invece ha usato il palcoscenico come spazio aperto dove il racconto ha trovato con semplicità la sua sede naturale».
O.C.
 
 

La Sicilia - Vivere, 13.3.2017
Date a Noto, Enna, Marsala e Agrigento
Moni Ovadia: «"Il casellante" un'ode alla forza delle donne»
Torna in Sicilia la messinscena di Giuseppe Dipasquale tratta da Andrea Camilleri con Ovadia, Valeria Contadino e Mario Incudine, spettacolo prodigioso di teatro musicale con sullo sfondo la violenza della guerra e la stupidità del fascismo
Un anno dopo il debutto a Spoleto e la prima siciliana di Caltanissetta, la trionfale tournée, dopo Palermo, va a Noto, Enna, Marsala e Agrigento. Tra i protagonisti Moni Ovadia, Valeria Contadino e Mario Incudine. Ovadia: «C’è tutto lo sguardo di Camilleri di profonda compassione e ammirazione per il mondo femminile, verso una donna che, ferita in modo terrificante, torna alla vita trasformandosi in albero»


Moni Ovadia, Andrea Camilleri e Mario Incudine a casa dello scrittore empedoclino

La Sicilia del mito e della cultura contadina si incontra con uno dei temi più forti del presente, la violenza sulle donne, e con la lingua magica e poetica di Andrea Camilleri nello spettacolo Il casellante, in scena con la regia di Giuseppe Dipasquale al Teatro Biondo di Palermo fino a ieri, poi martedì 14 marzo al Tina Di Lorenzo di Noto, mercoledì 15 al Garibaldi di Enna, giovedì 16 marzo al Teatro Impero di Marsala, dal 17 al 19 marzo al Pirandello di Agrigento. Lo spettacolo torna in Sicilia quasi un anno dopo la messinscena al Regina Margherita di Caltanissetta che seguì di pochi giorni il debutto assoluto a Spoleto per il Festival dei Due Mondi.
L’orribile storia di violenza nel piccolo universo di un casello ferroviario, nella Sicilia arcaica e feroce degli anni della guerra, è narrata in scena da Moni Ovadia, cantore di popoli, strepitoso interprete che sa dare voce al dolore del mondo, di ieri e dei nostri giorni, e sbeffeggiare l’arroganza del potere.
Ovadia narra la storia del casellante Nino, uno straordinario Mario Incudine, autore anche delle musiche eseguite dal vivo, e della moglie Minica, una intensa e dolente Valeria Contadino, che subisce una violenza bestiale e inumana mentre è in attesa di un bimbo.
Tratto dall’omonimo romanzo di Camilleri, pubblicato da Sellerio, e prodotto da Promo Music - Corvino Produzioni, con il Teatro Carcano di Milano e il Teatro Regina Margherita di Caltanissetta, Il casellante vede in scena anche Giampaolo Romania e Sergio Seminara e i musicisti Antonio Vasta e Antonio Putzu. Dopo la tournée siciliana lo spettacolo sarà dal 23 al 28 maggio al Sistina di Roma.
«Un esordio singolare - commenta Moni Ovadia - sono emozionato nel misurarmi con un nuovo pubblico. Camilleri è uno scrittore di una popolarità che travalica i lettori grazie al Montalbano televisivo, un grandissimo scrittore e uomo di teatro con cui Dipasquale ha già un sodalizio rodato».
Il casellante spiega, «è uno spettacolo prodigioso di teatro musicale con sullo sfondo la violenza della guerra e la stupidità del fascismo, con una prima parte picaresca, che immerge in una terra contadina, nella Vigata immaginaria di Camilleri, e una seconda parte di violenza e tragedia. Per me è un privilegio grandissimo usare la sua lingua reale e “inventata” che è musica e ritmo e si iscrive nella grande linea della letteratura del Novecento».
La musica si rifà alla tradizione delle canzoni di barberia, pesca una “sconcica”, una serenata che tocca amore e dolore. Quello terribile di Minica. «C’è tutto lo sguardo di Camilleri di profonda compassione e ammirazione per il mondo femminile, verso questa donna che, ferita in modo terrificante, con uno spasimo utopico per cercare di tornare alla vita lei, si trasforma in albero. E nel finale, dalla grande violenza della guerra tornerà la vita».
«Un testo toccante - prosegue Ovadia - ci troviamo davanti a una violenza di genere, all’orribile stupro sulle donne. Camilleri è straordinario nella sua capacità di unire l’ironia, il colore, il tono leggero e divertente nel raccontare il piccolo mondo del paese con i suoi personaggi e i suoi riti e nel contempo commuoverci e toccare corde più profonde con una utopia mitologica, con una metamorfosi, chiudendo poi con un elemento di speranza».
Con la sua energia incontenibile e la passione per il teatro, Ovadia in scena si divide per sei: narratore, la mammana, il casellante violentatore, un giudice, il barbiere e un gerarca fascista.
«Un gran divertimento - ammette ridendo nella cornetta del telefono - un modo di rimettermi in gioco per evitare di totemizzare il mio percorso nella cultura yiddish. Sono profondamente legato alla Sicilia dove ho avuto incontri determinanti per la mia formazione culturale ed emotiva». Una grande amicizia lo ha legato a Ignazio Buttitta - «ho prodotto un disco con lui» -, poi un sodalizio fortissimo è scaturito con Roberto Andò - «con cui abbiamo messo in scena quattro spettacoli a quattro mani» racconta -, in tempi più recenti si è rafforzato il legame con Palermo «di cui sono cittadino onorario», ed ultimo sodalizio, non solo artistico, è l’amicizia e la collaborazione con Mario Incudine «con cui abbiamo realizzato al Teatro greco di Siracusa una edizione de Le supplici innovativa e di successo».
Dall’anno scorso Ovadia è il direttore artistico, a titolo gratuito, del Teatro Regina Margherita di Caltanissetta e da questa stagione anche del Teatro comunale Eliodoro Sollima di Marsala. «L’intento è quello di cercare di costruire una rete, di aggregare diversi teatri della Sicilia dell’interno per creare una sorta di Stabile. Questo consentirebbe di stabilire dei ponti anche per ospitare gli spettacoli».
In Sicilia confessa di sentirsi a casa, «anche perché sono tossicodipendente da dolci - scherza - la pasticceria siciliana fuori da ogni dubbio è la più grande del mondo, ha unito quella araba e quella mitteleuropea». Ma non si tratta solo dei piaceri della gola. «Ho 70 anni e per me la stagione siciliana è un grande dono, la possibilità di fare un altro tratto della mia storia a confronto con questa terra. La Sicilia è un’iperbole, si può dire bene e male, ma la bellezza, la qualità del tessuto culturale che c’è nell’Isola non si trova in nessuna altra parte della galassia. Una cultura talmente stratificata da scoprirne sempre aspetti nuovi. Il guaio è che non tutti si rendono conto che formazione e cultura sono la migliore strategia per un realizzare davvero un cambiamento profondo della società».
Ombretta Grasso
 
 

Università degli Studi di Cagliari, 13.3.2017
Comunicato stampa
Seminario camilleriano, prossimo appuntamento a Barcellona

Si è svolto nei giorni 22, 23 e 24 febbraio il V Seminario sull’opera di Andrea Camillerisecondo il programma previsto e con notevole partecipazione di studenti e di persone interessate all’opera dello Scrittore.
Apprezzati, oltre agli interventi degli studiosi, anche quelli delle studentesse Erika Gerini, Cinzia Becciu, Angela Maria Angheleddu, Daniela Pani (iscritte al Corso di laurea in Filologia e Letterature moderne) che si sono distinte per la nitidezza della loro esposizione e la profondità dei contenuti. Altrettanto può dirsi per il contributo della dottoressa Elena Sanna, di recente laureata in Traduzione specialistica dei testi, la quale aveva esordito da studentessa intervenendo ai precedenti seminari camilleriani tenuti a Cagliari, Màlaga e Fortaleza e che nella recente circostanza ha confermato le sue qualità.
I lavori del Seminario hanno avuto un prologo nella serata del 22 febbraio quando, nell’Aula Magna di via San Giorgio gremita di pubblico sono intervenuti gli studenti della Scuola secondaria di I grado “G. B. Tuveri”. Quarantacinque di questi studenti hanno svolto un breve intervento parlando della vita e dell’opera di Andrea Camilleri, sotto l’attenta regia della professoressa Simona Pilia.
Un giudizio di sintesi sulla serata può essere affidato alle parole di Carla Biolchini, studentessa del Corso in Storia e informazione, che scrive: “L’incontro coi ragazzi della scuola Tuveri mi ha lasciato un’impressione estremamente positiva. In particolare è stato piacevole vedere smentito il luogo comune secondo cui gli studenti di quell’età non provino interesse per nulla. La passione e l’entusiasmo erano palpabili e sono certa che gran parte del merito sia da attribuire alla loro insegnante che ha saputo accompagnarli e stimolarli. Lo scambio tra le scuole dei vari ordini e gradi dovrebbe avvenire più spesso, è un arricchimento in ogni senso”.
Può essere utile ricapitolare alcuni dati essenziali.
I Seminari sull’opera di Andrea Camilleri sono nati con un numero zero tenuto nel 2004; si sono poi svolti con cadenza regolare negli anni 2013, 2014, 2015, 2016, 2017 e hanno portato il nome dell’Università di Cagliari nel mondo con i connessi seminari (organizzati a Fortaleza, Màlaga, Barcellona, Sassari, Parigi, Pécs) e l’eco che hanno suscitato nel mondo degli studi camilleriani.
I Seminari svolti a Cagliari hanno coinvolto complessivamente 35 docenti dell’Ateneo cagliaritano; 14 docenti provenienti da altre sedi universitarie; 6 traduttori delle opere camilleriane; 2 attori e 1 musicista che hanno recitato e musicato i testi; 6 ospiti che hanno accolto il nostro invito: citiamo soltanto i nomi dello Scrittore Andrea Camilleri (cui l’Università di Cagliari il 10 maggio 2013 ha conferito la laurea honoris causa e che il giorno prima del conferimento ha partecipato a un memorabile incontro nell’Aula Magna di Sa Duchessa, quando vennero premiati gli studenti i cui elaborati erano stati sottoposti alla valutazione di una giuria internazionale formata da 15 docenti di altrettanti Atenei europei, americani e della Nuova Zelanda) e di Luca Zingaretti, apprezzato interprete del Montalbano televisivo.
Gli interventi svolti nel corso dei seminari sono stati raccolti in un volume pubblicato nel 2004 (Lingua, storia, gioco e moralità nell’opera di Andrea Camilleri) e nei primi tre volumi della collana Quaderni camilleriani pubblicati nel 2016 e 2017.
Il prossimo appuntamento è previsto per il 26 aprile 2017 a Barcellona.
 
 

La Sicilia, 13.3.2017
Convegno a Salonicco
Pirandello, per il 150° anniversario della nascita studiosi da tutto il mondo e due raffinate mostre

Ha avuto inizio da Salonicco il lungo itinerario che nel corso di quest’anno, in cui ricorre il 150° anniversario della nascita dell’agrigentino, percorrerà l’Europa e il mondo. Presso l’Università “Aristotele” della città greca, promosso dal Dipartimento di Lingua e Letteratura Italiana, con il sostegno dell’Istituto Italiano di Cultura di Atene, organizzato da Zosi Zografidou, un Convegno internazionale dal tema “Luigi Pirandello, i libri propri e degli altri. Lettura. Scrittura. Intertesto” ha visto avvicendarsi studiosi di diverse nazionalità.
[…]
Né poteva mancare il riferimento al ‘pirandellismo’ nell’opera di Camilleri (De Liso, Napoli).
[…]
Valentina Miraglino
 
 

Auditorium Parco della Musica, 14.3.2017
Sala Sinopoli ore 21:00
una Produzione Fondazione Musica per Roma, in collaborazione con 15 Lune Associazione Culturale
Inedito d'autore - Emma Dante
"Rosalie Montmasson"

da un’idea di
Andrea Camilleri e Annalisa Gariglio
testo di
Andrea Camilleri, Annalisa Gariglio, Laura Pacelli
traduzione orale a cura di
Emma Dante
reading con
Emma Dante e Serena Barone
musiche e canto dal vivo
Serena Ganci

Chi non conosce la famosa spedizione dei Mille? Un’affascinante avventura, non priva di pericoli, cui Rosalie Montmasson, unica donna, prende parte imbarcandosi di nascosto sul vapore Piemonte. Francesco Crispi, il Generale Garibaldi, Giuseppe Mazzini: nomi noti alla grande storia ma pochissimi conoscono invece il nome e la storia vera di Rosalie Montmasson, seconda delle tre mogli di Crispi. Grazie al suo coraggio, passione, dedizione e spirito di abnegazione la savoiarda aderisce alla grande causa patriota divenendo una cospiratrice. Fondamentale il suo ruolo di emissario per la creazione dell’Italia così come oggi la conosciamo.

“Cerchiamo volontari con camicia rossa per il finale di un racconto scritto da Andrea Camilleri e la regia di Emma Dante. Venite, dateci una mano per rendere omaggio ad una grande donna che ha partecipato alla spedizione dei mille”
Quando: martedì 14 marzo 2017, presentarsi inderogabilmente alle ore 17.30
Dove: Auditorium Parco della Musica (Rm), Sala Sinopoli | “INEDITO D’AUTORE” (reading ore 21:00)
Requisiti: cerchiamo volontari mai iscritti all’Enpals - la camicia va indossata sotto a una felpa/maglia/giacca.
Come: scrivi una mail con i tuoi dati (nome cognome, telefono, età) a promozione@musicaperroma.it e sarai ricontattato


Pronto alla chiamata del Pres. rispondo alla spedizione dei Mille sbarcando all'Auditorium di Roma con la camicia rossa, sì perchè si trattava di fare una comparsata per uno spettacolo di Emma Dante scritto dal Sommo di pirsona pirsonalmente quindi... come rifiutare?
INEDITO D'AUTORE si intitola lo spettacolo, una lettura a due della storia di Rose (Rosalì) Montmasson, seconda moglie di Francesco Crispi e unica donna che partecipò alla spedizione dei Mille.
Tralascio la storia di Rosalì, chi è interessato si potrà documentare da solo raccontandovi di Andrea Camilleri che piuttosto a sorpresa entra in sala accompagnato da Donna Rosetta e la nipote (credo).



Come ormai consueto Andrea saluta chiunque gli si avvicini e dimostra disponibilità a selfie e amenità varie ma il meglio e lasciatemelo dire con enfasi lo dà quando noi comparse e figuranti saliamo sul palco per cantare sommessamente l'Inno Nazionale, Andrea per primo anche se con un po' di difficoltà si alza in piedi prontamente imitato da gran parte della sala.
Lo racconto con l'orgoglio di conoscerlo di pirsona pirsonalmente quest'uomo ormai anziano e chiaramente affaticato che si alza immediatamente all'inizio dell'inno, vi giuro ragazzi che ne sono stato fiero e orgoglioso neanche fosse stato mio padre.
Non molto altro c'è da raccontare purtroppo sul Sommo, ma sono riuscito a salutarlo a nome del CFC e lui ha sorriso soddisfatto, come a dire: "Ah beh! qualcuno c'è allora..."
Un abbraccio e un baciaipupi.
Fabio - Camilleri Fans Club

 
 

La Repubblica, 14.3.2017
Emma Dante racconta l'unica donna tra i Mille
Teatro di narrazione/"Inedito d'autore" stasera all'Auditorium di Roma

Roma. Da Milano a Roma, il percorso artistico di Emma Dante sta in questi giorni arricchendosi di omaggi, di storie, di fenomeni di ieri e di oggi. Stasera, nella Capitale, sarà lei ad avviare all'Auditorium Parco della Musica la rassegna "Inedito d'Autore — Femminile singolare" dedicata al teatro di Narrazione, da un'idea e da testi di Andrea Camilleri e Annalisa Gariglio, ed Emma sarà la depositaria, la raccontatrice (affiancata nel reading da Serena Barone) dell'avventura della savoiarda Rosalie Montmasson, seconda delle tre mogli di Francesco Crispi, unica donna a imbarcarsi nella spedizione dei Mille. La seconda puntata vedrà protagonista Lella Costa, il 28 marzo, alle prese con la figura di Bianca Lancia (coautrice Laura Pacelli), ultima consorte di Federico II di Svevia, sposata in articulo mortis. Terzo episodio, il 22 aprile, avrà per protagonisti Nino Frassica e Alessandra Mortelliti (coautrici Mortelliti e Pacelli), impegnati a ricostruire la trasgressione e l'impegno letterario di Sibilla Aleramo.
Nel frattempo Emma Dante è reduce dagli applausi a scena aperta e dalle standing ovation del suo spettacolo Bestie di scena che nelle complessive 19 repliche in calendario fino alla prossima domenica al Piccolo Teatro Strehler di Milano, con record di presenze che supererà i 16mila spettatori, ha segnato uno storico incremento di giovani balzato al 51%, oltre la percentuale finora già alta degli under 26, stimati al 46% sul totale di 298.000 spettatori.
«Lavorare al Piccolo Teatro è una delle esperienze più belle del mio percorso, sino ad ora», riflette Emma Dante, «e l'accoglienza del pubblico e il suo calore sono la temperatura di questo incontro». Bestie di scena ha una sua strada da fare. Lo spettacolo partirà in tournée per Lugano, quindi sarà a luglio al Festival di Avignone (coproduttore), e in autunno si replicherà a Roma, Catania, Palermo, Reggio Emilia. «La mia comunità fisica, priva di testo, e di storia, è un atto di costruzione molto umano, che si misura nello spazio. E deve suggerire la vita. Dovunque».
Rodolfo Di Giammarco
 
 

Teatro Tina Di Lorenzo, 14.3.2017
Il casellante
di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale
dal romanzo di Andrea Camilleri
con Moni Ovadia, Valeria Contadino, Mario Incudine
musiche dal vivo con Antonio Vasta, Antonio Putzu
regia di Giuseppe Dipasquale

Il Casellante è, fra i racconti di Camilleri, uno dei più struggentemente divertenti del ciclo cosiddetto mitologico. Secondo a Maruzza Musumeci e prima de Il Sonaglio, questo racconto ambientato nella Sicilia di Camilleri, terra di contraddizioni e paradossi, narra la vicenda di una metamorfosi. Ma questa Sicilia è la Vigàta di Camilleri che diventa ogni volta metafora di un modo di essere e ragionare le cose di Sicilia.
Dopo il successo ottenuto dalle trasposizioni per il teatro de Il birraio di Preston, La concessione del telefono, che insieme a La Cattura, Troppu trafficu ppi nenti, La Signora Leuca, Cannibardo e la Sicilia costituiscono la drammaturgia degli ultimi anni, l’autore del romanzo e il regista dell’opera tornano nuovamente insieme per riproporre al pubblico teatrale nazionale una nuova avventura dai racconti camilleriani.
Una vicenda affogata nel mondo mitologico di Camilleri, che vive di personaggi reali, trasfigurati nella sua grande fantasia di narratore. Una vicenda emblematica che disegna i tratti di una Sicilia arcaica e moderna,comica e tragica, ferocemente logica e paradossale ad un tempo. Il Casellante è il racconto delle trasformazioni del dolore della maternità negata e della guerra, ma è anche il racconto in musica divertito e irridente del periodo fascista nella Sicilia degli anni Quaranta.
Il carattere affascinante di questo progetto, posto essenzialmente sulla novità del testo e della sua possibile realizzazione, si sposa tutt’uno con la possibilità di ricercare strade sempre nuove e diverse per la drammaturgia contemporanea.
La parola, ed il giuoco che con essa e di essa è possibile intraprendere, fa di questo testo un oggetto naturale da essere iniziato e elaborato all’interno di un’alchimia teatrale vitale e creativa. Altro aspetto è quello della lingua di Camilleri. Una lingua personale, originalissima, che calca e ricalca, in una divertita e teatralissima sinfonia di parlate una meravigliosa sicilitudinelinguistica, fatta di neologismi, di sintassi travestita, di modi d’uso linguistico mutuati dal dialetto che esaltano la recitazione di possibili attori pensati a prestare i panni al mondo dei personaggi camilleriani.
 
 

Tempo Stretto, 14.3.2017
Mario Incudine: “Affidiamo i teatri agli artisti”
Intervista al cantautore ennese, incontrato a Palermo in occasione dello spettacolo Il casellante di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale

La guerra arriva anche nella remota Vigata. Il frastuono delle bombe su un’umanità in tensione; storie di mafia e spionaggio si affastellano nell’ordinaria routine della provincia. Si dipana in questo contesto la storia di Nino e Minica, coppia modello col sogno di dare alla luce un figlio dopo anni di attesa: incubi e tormenti in agguato mentre una metamorfosi è già in atto. Andato in scena al Teatro Biondo di Palermo, Il casellante è racconto corale che Andrea Camilleri e il regista Giuseppe Dipasquale restituiscono come ritratto epico delle incoerenze siciliane; sul palco un titanico Moni Ovadia, interprete di sei personaggi diversi, il cantautore Mario Incudine e l’attrice Valeria Contadino. Canti e serenate in serie, espressioni di una cultura popolare che si rinnova nel paradosso di un’apparente staticità fino al lirismo finale dell’ennesimo sogno fatto in Sicilia. “Un passaggio fondamentale nel mio percorso artistico perché riesce ad unire i miei due mondi, il cunto e la ballata – spiega Incudine, musicista, attore e direttore artistico del Teatro Garibaldi di Enna -. Sono cresciuto suonando il mandolino per le strade, sento questo personaggio mio in un senso profondo e particolare”.
Un adattamento che lavora su diversi piani espressivi.
Il casellante è uno spettacolo musicale che tende alla melopea greca: la melodia è parte integrante della drammaturgia, la parola cantata scava dentro l’umanità della narrazione. Dopo l’uccisione del bambino, Nino affida ad un’aria del dolore quella disperazione che poi sfocia nel cunto; anche la musica subisce una metamorfosi: il protagonista abbandona il mandolino per accordare la moglie come fosse il suo strumento prediletto. Camilleri e Dipasquale dipingono la tragedia come una favola per adulti, un’opera al contempo ilare e drammatica che accetta vari inserti popolari come la serenata a sconcica. Credo che questo lavoro non sia facilmente collocabile nelle classiche categorie teatrali, ma le attraversi tutte con una grande potenza espressiva.
[...]
Domenico Colosi
 
 

La Sicilia, 14.3.2017
L’intervista al semiologo
«Montalbano grande spot per la cucina siciliana»
Marrone: «Un pioniere, esalta i piatti tipici, a km zero, lancia il turismo gastonomico»

Per mangiare i mitici arancini preparati dalla fedele cammarera, Montalbano lascia sola la fidanzata in Francia a Capodanno. «Adelina ci metteva due jornate sane sane a pripararli. Ne sapeva, a memoria, la ricetta. Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appresso si pripara un risotto, quello che chiamano alla milanìsa, (senza zaffirano, pi carità!)». «Il commissario non perde la testa per le donne, come viene rappresentato in genere un maschio siculo, ma per il cibo. La sua passione fondamentale», osserva Gianfranco Marrone, docente all'Università di Palermo, autore del saggio Semiotica del gusto, linguaggi della cucina, del cibo, della tavola (edizioni Mimesis Insegne) in cui analizza il fenomeno Masterchef («distanza dei corpi, ossessione del tempo, ordini... sembra di essere in una caserma»), la mania di fotografare i piatti («food porn, siamo passati dalla convivialità alla condivisione virtuale») e gustosamente si interroga sul personaggio inventato da Camilleri che con quel-l'elenco di pasta ncasciata, triglie fritte, caponatina, pirciati ch'abbruscianu, è diventato uno spot internazionale per la cucina siciliana. «Un grande pioniere - prosegue Marrone - Montalbano esalta la cucina tipica, ha inaugurato un genere, la ripresa della cucina locale, di tradizione e a km zero. Lanciando anche un tipo di turismo enogastronomico che vuole mangiare come nella Vigata di Camilleri». E a differenza del Montalbano tv, «quello letterario mangia da solo e in silenzio, si tuffa nella sua passione, quasi carnale». E distingue «tra quelli che sanno mangiare, che apprezzano la buona tavola, e chi non ne capisce niente. Anche con il dottor Pasquano il punto d'incontro è nel comune amore per il cibo». A differenza di altri detective, come Nero Wolfe e Pepe Carvalho, Montalbano non sa cucinare «ed è per questo motivo che nelle numerose avventure del commissario abbondano le descrizioni di manicaretti d'ogni tipo, ma sono praticamente assenti le ricette di cucina».Tranne per gli arancini, «ricetta che si tramanda in modo che la sua scrittura - prosegue Marrone - come per le fiabe, è già una traduzione letteraria di qualcosa che la precede oralmente e che è personale, locale, etnicamente marcato». Se Salvo tiene rigorosamente separati il momento «dell'investigazione da quello dei piaceri della tavola», con gli arancini «le due dimensioni si intrecciano quasi fino a confondersi: in una trama dove non è più il consumo del cibo a dominare bensì la sua preparazione».
Non si è mai parlato e scritto tanto di cibo. Anche a tavola mentre si mangia e soprattutto in tv. Ma gli italiani continuano a cucinare poco e nutrirsi male. «Sono ottimista: tutto questo parlare espande la cultura gastronomica, aumenta la consapevolezza. Segnala una richiesta del pubblico verso la cucina. E, comunque, sempre meglio di scatolette e surgelati».
Con Montalbano ammiriamo Adelina mettere gli arancini in una padella e friggerli fino a prendere un colore d'oro vecchio. «E alla fine, ringraziannu u Signiruzzu, si mangiano».
Ombretta Grasso
 
 

La Notizia giornale.it, 14.3.2017
Ascolti Tv, Montalbano vola al 40% di share anche con le repliche. Bene anche l’introduzione di Camilleri

Il commissario Montalbano vola anche nelle repliche. Non c’è niente da fare è lui il poliziotto più amato dagli italiani. E dopo il record assoluto della settimana scorsa, con le nuove puntate, ha tenuto botta anche con le vecchie ottenendo, ieri sera, 9 milioni 743 mila spettatori e il 39,72% di share. Buon risultato anche per “Camilleri racconta Montalbano” in onda prima della fiction che ha ottenuto 7 milioni 265 mila spettatori e il 25,29% di share. Una prima serata vinta nettamente dalle reti Rai. L’unico acuto per le reti Mediaset è stato segnato da Striscia la notizia, leader dell’access time.
 
 

Rai News, 14.3.2017
Nuovo successo per Rai1
Montalbano ancora boom, Zingaretti sfiora 10 milioni in replica
Aspettando il commissario Maltese, a maggio con Kim Rossi Stuart

Dopo aver centrato lunedì scorso il record assoluto di ascolto per la fiction tv negli ultimi 15 anni, 11,3 milioni di spettatori con il 44% di share, Montalbano vola anche in replica: quasi 10 milioni di spettatori (9 milioni 743 mila) hanno seguito ieri su Rai1 l'episodio 'Una faccenda delicata', che ha sfiorato ancora il 40% di share (39.72). Numeri trionfali destinati a tirare la volata agli altri episodi che torneranno in onda il lunedì sera, in attesa del debutto di un altro commissario, integerrimo e solitario: 'Maltese', interpretato da Kim Rossi Stuart in una nuova serie ancora targata Palomar. "Più che repliche, le chiamerei seconde, terze visioni free", spiega il produttore Carlo Degli Esposti, festeggiando l'ennesimo successo del poliziotto interpretato da Luca Zingaretti. "Montalbano è un fenomeno che vale una vita, è il riconoscimento a un modo di lavorare che per molti anni non è andato di moda e che invece premia: puntare sulla qualità, scegliere la stagione giusta per la messa in onda, realizzare magari solo due puntate senza dare nulla per scontato, con l'impegno di tutti, da Zingaretti all'ultimo componente della troupe, a dare il meglio". Una filosofia frutto della "lezione dell'amica Elvira Sellerio, capace di scegliere, rinunciare, anche patire, alla fine creando un rapporto di eccellenza con il pubblico", e "dell'entusiasmo sapiente di Andrea Camilleri, che alla sua abilità di fabbro costruttore ha unito l'esperienza televisiva". La squadra di Montalbano "è pronta a tornare sul set tra fine aprile e maggio per due nuovi episodi, ancora tratti da romanzi e racconti di Camilleri: 'La giostra degli scambi' e 'Amore'. Poi si vedrà", dice Degli Esposti.
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Il Messaggero, 14.3.2017
Ma la sete di Montalbano non va placata con le repliche

Delle molte possibili declinazioni di spending review, il dialetto del Commissario Montalbano sembra aver scovato la traduzione più efficace. Dopo il trionfo di share dei primi due nuovi episodi dell’undicesima stagione, Rai Uno ha infatti scongelato una puntata dello scorso anno. Sfiorando lunedì sera - con una replica arata come di consueto da cospicue e remunerative interruzioni pubblicitarie - un lunare 40 per cento di ascolti. A costo zero e segno più garantito. Oltre tre volte il risultato conseguito da American Sniper di Clint Eastwood, il cui cecchino, dalla barricata di Canale 5, pur in prima visione, non riusciva neanche a inquadrare nel mirino la nemica televisiva di sempre. Nel magnifico film del vecchio Clint si sostiene che al mondo ci siano tre tipi di persone: le pecore, i lupi e i cani da pastore. I dirigenti Rai, iscritti d’ufficio e a seconda delle circostanze alla seconda come alla terza categoria, hanno trovato la maniera di radunare il gregge e di farlo marciare ordinatamente verso il fine unico: sistemare i conti, non perdere porzioni di mercato, giocare quando serve - e in questo caso evidentemente serviva - sull’equivoco. Si lancia a dovere la nuova serie di Montalbano e poi, sfruttate la forza propulsiva del battage promozionale, l’abitudine del pubblico e un certo immobilismo - complice l’anagrafe - del telecomando, si vive di rendita per mesi con la carta carbone di un prodotto largamente apprezzato, con l’usato sicuro, con la poetica del “non esiste niente di più inedito dell’edito”. Nell’anno del canone in bolletta, dirà qualcuno, dalla tv di Stato e dal Servizio Pubblico ci si potrebbe attendere di più e non solo in termini di chiarezza espositiva. «Il pubblico sceglie!» risponderanno dall’altra parte, sventolando risparmi, ricavi e guadagni certi di essere - almeno in questo - in perfetta corrispondenza con lo spirito dei tempi. Il ragionamento è elementare: «Se Pretty Woman inchioda al teleschermo due milioni di anime anche al millesimo passaggio, a ritrasmettere un Montalbano appena stagionato, in fondo, che male c’è?». A vedere Montalbano, secondo l’Auditel, di milioni l’altra sera ce n’erano più di nove. Numeri che oltre a certificare una consuetudine, fotografano un bisogno. Un’urgenza. Una sete. Anche di domande. È possibile pensare di dissetarsi programmaticamente all’ombra di una fiction di qualità che occupi stabilmente il palinsesto televisivo della Rai con produzioni di alto livello che si spingano oltre l’orizzonte delle due puntate - anche geograficamente affini - che affrontavano le indagini di Luca Zingaretti e quelle di un coraggioso pescatore di Portopalo? È pensabile che l’orizzonte della più grande azienda culturale del Paese sia più ampio di un ciclico cambio di governo? È auspicabile che in luogo di una ripetizione ci sia una nuova partenza, magari al galoppo e senza piccole astuzie di contrabbando, del cavallo di Viale Mazzini?
Placido Baretti
 
 

Panorama, 14.3.2017
TV Zoom
Ascolti 13/03: anche le replica di Montalbano è da record
Rai 1 è stata vista da 9,742 milioni di spettatori, il 39,74%

Miracolo a Vigata. E pure a Montelusa. Sono stati risultati senza precedenti (per una replica) quelli riscossi da Una faccenda delicata, l’episodio de Il Commissario Montalbano trasmesso per la prima volta l’anno scorso.
In prima tv aveva fatto il botto, a quota 10,862 milioni con il 39,07% di share. Trasmesso per la prima volta in replica ieri, ha conseguito 9,742 milioni di spettatori, conquistando così più share della prima tv con il 39,74%. Se, in pratica, all’esordio la storia che raccontava l’omicidio della matura prostituta Maria aveva generato una penetrazione complessiva del mezzo tv più alta, stavolta con un bacino potenziale più ridotto una quota di platea ancora più ampia l’ha scelta.
In termini assoluti, Una faccenda delicata entra nella top four per percentuale di di pubblico (primo posto per il best title in assoluto Come voleva la prassi, sette giorni fa al 44,1%; secondo per La piramide di fango, l’anno scorso al 40,95%; terzo posto per Un covo di vipere, due settimane fa al 40,8%), mentre per ascolti si situa in coda alla top ten montalbaniana.
Anche le repliche dello scorso anno (che però erano quelle del 2013, al terzo passaggio) erano andate fortissimo: Il Sorriso di Angelica aveva ottenuto 8,7 milioni ed il 34,15% e Una voce di notte 8,351 milioni e il 33% e Una lama di luce 7,7 milioni ed il 31,15%.
Si può così, in merito alle scelte di Viale Mazzini sul prodotto, sostenere sia la tesi che sarebbe stato meglio produrre più episodi di questo titolo cult, sia che va bene così, perché se ne preserva e sfrutta meglio il valore, caricando di attesa ogni nuovo esordio di Luca Zingaretti, Peppino Mazzotta, Angelo Russo e Cesare Bocci.
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(www.tvzoom.it)
 
 

Ultime Notizie Flash, 14.3.2017
Il miracolo di Montalbano: 9 milioni per le repliche del Commissario più amato di sempre

Come si fa a conquistare la prima serata di Rai1 con 9 milioni di spettatori? Chiediamolo a Salvo Montalbano, il solo che riesce a fare questo miracolo. Il commissario Montalbano, con le repliche, il 13 marzo 2017 incassa un ascolto medio di 9 milioni di spettatori, quasi il 40% di share. Un record assoluto visto che si tratta appunto di un episodio in replica che era andato in onda lo scorso anno, per cui ancora vivo nella memoria del pubblico che ha comunque deciso di seguire anche questo appuntamento. Solo 2 milioni di spettatori in meno rispetto alla puntata inedita della scorsa settimana, numeri da brivido se si considera che la prima serata di Canale 5 ha superato di pochissimo i 2 milioni di spettatori (mentre domenica con la fiction Amore Pensaci tu non aveva neppure superato quella soglia). E’ il miracolo di Montalbano che torna, conquista il pubblico, incolla tutti davanti al teleschermo. Il segreto del successo difficile davvero da comprendere: piace perchè è lui, perchè Camilleri ha cucito addosso ai personaggi di queste storie, tutto quello in cui il pubblico probabilmente si rivede. Le bellezze dei luoghi, la profondità delle storie raccontate, la simpatia dei protagonisti: sono tanti gli ingredienti che fanno di Salvo Montalbano il commissario più amato della tv. Un successo dopo l’altro che la Rai festeggia mandando in onda ancora al lunedì, altri episodi, sempre in replica, del commissario Montalbano. E nessuno cambia canale, anzi. Cresce l’attesa e aumenta in parte anche la delusione perchè per quanto i fan amino anche gli episodi già visti, speravano che questa nuova stagione Rai potesse regalare qualche altra storia. Ma dobbiamo accontentarci, il Commissario Montalbano va preso a piccole dosi.
E’ anche questo forse il segreto del successo di una serie che sembra essere ferma nel tempo che ha poco di moderno: non ci sono intercettazioni, non ci sono celle telefoniche, non ci sono profili social da analizzare. Non c’è scienza ma solo un medico legale dall’intuito impeccabile che riesce spesso a essere fondamentale nelle indagini del nostro commissario. Ma tutto si basa sul fiuto, sull’intuito, sulle capacità di Salvo che fa emozionare più di quanto un luminol possa fare. Non c’è modernità in queste indagini ma i testi e la narrazione del commissario Montalbano sembrano sempre così attuali da fare davvero paura.
La Rai si coccola il suo commissario. Zingaretti e la squadra si godono il successo. Camilleri guarda con il sorriso questa creatura che è diventata maggiorenne e che ha ormai spiccato il volo.
Filomena
 
 

Il Sussidiario.net, 14.3.2017
Il Commissario Montalbano / 'Una faccenda delicata': quando dietro ad un delitto c'è il denaro

IL COMMISSARIO MONTALBANO, UNA FACCENDA DELICATA: QUANDO DIETRO AD UN DELITTO C'E' IL DENARO - Il Commissario Montalbano è tornato su Raiuno con una replica della decima stagione. Ieri sera abbiamo visto il nostro protagonista in 'Una faccenda delicata', racconto tratto da 'Gli Arancini di Montalbano'. La protagonista è Maria Castellino, una prostituta settantenne che si scoprirà essere stata uccisa per denaro. L'inchiesta si sviluppa lentamente, il commissario e i suoi collaboratori percorrono diverse piste prima di avvicinarsi alla verità. Un episodio che vede anche la new entry Selene, un piccolo cagnolino accolto in famiglia dalla fidanzata Livia, ancora addolorata per la perdita di François. Come sempre intrecci e misteri sono gli ingredienti principali della ficition, sorretta da un carismatico e simpaticissimo Luca Zingaretti. Da Vigata a Genova, da Genova a Vigata: le bellissime riprese del Commissario Montalbano sono un vero piacere per gli occhi. La puntata si chiude con un messaggio inequivocabile: "i soldi sono spesso capaci di accecare un uomo, tanto da fargli compiere azioni terribili".
 
 

La Repubblica, 14.3.2017
Delitti e misteri di "Hinterland", l'anti-Montalbano
Richard Harrington è il detective Mathias

I gialli in tv, certo, ma in luoghi molto insoliti. Tipo il Galles, e per di più in una città che si chiama Aberystwyth, paesello sul mare d'Irlanda pieno non solo di delitti ma anche e soprattutto di natura assurda e fantastica, leggende, angoli sordidi, tipi umani comunissimi ma assai da paura. Nel contesto agisce il piccolo posto di polizia dove un giorno, toh, arriva un detective da Londra pieno di misteri anche lui. Si parte con una storia-horror di vendette dal passato e l'omicidio di una anziana signora ex aguzzina in un orfanotrofio- lager. Il tutto è in chiaro, ossia sul canale Giallo (che tra un po' proporrà l'attesa nuova stagione di Broadchurch, già partita in Inghilterra). E quindi Hinterland, la domenica sera, assai consigliato a chi vuole il mare come in Montalbano ma tutto all'esatto contrario, posti lugubri, gente comune e molto credibile, dove la favole di Vigata e i ristorantini di pesce al sole se li sognano parecchio.
Antonio Dipollina
 
 

La Repubblica (ed. di Milano), 14.3.2017
Un fuoriclasse della scrittura per il teatro, il cinema e la tv
LO SPIRITO "Sono un fuori posto con allegria, mi piace ridere delle cose serie"
GUZZANTI "Può stare fermo per due mesi e trovare 180 battute in un giorno, un miracolo"

Per acchiappare Mattia Torre bisogna correre veloci, inseguendolo tra teatro, cinema e tv. Forse ai più il suo nome non dirà molto, ma dietro sorprese intelligenti come Boris (serie cult poi diventata film), sperimentazioni comiche ardite come Dov'è Mario di e con Corrado Guzzanti, c'è (anche) lui, autore e regista, romano, classe 1972. Un fuoriclasse, spirito indie e talento satirico che in teatro semina sold out insieme al compagno di avventura Valerio Mastandrea (Migliore) raccontando un'Italia di paradossi rabbiosi. Come succede anche in Qui e ora, duello fra due scooteristi (Paolo Calabresi e Valerio Aprea) dopo un incidente da qualche parte sul grande raccordo anulare (da martedì, al Franco Parenti, che gli sta dedicando una personale).
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Un caso abbastanza unico, quasi da riserva indiana. Intanto Montalbano continua a fare record di ascolti.
«Ho un grande rispetto per Montalbano, scrittura alta e grande dignità. A preoccuparmi sono altre fiction che propongono una visione censurata al limite dell'eversione. Certo, poi arrivano cose luminose come Gomorra e Romanzo criminale, ma sono una rarità».
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Sara Chiappori
 
 

L'Huffingotn Post, 14.3.2017
Gaetano Savatteri esce con "Non c'è più la Sicilia di una volta": "Non è immobile come nel Gattopardo, offre storie positive"

“Molto spesso i siciliani sono artefici di una mistificazione che porta a dire: la Sicilia non cambia mai. Il mondo cambia, l’Italia cambia ma per moltissimi la Sicilia resta immobile. Chi afferma cose del genere sta costruendo alibi su alibi”. Non usa mezzi termini Gaetano Savatteri, giornalista e scrittore, che in Non c’è più la Sicilia di una volta, edito da Laterza, rimescola con decisione e ardimento tutti gli stereotipi che alimentano il mito della Sicilia irredimibile, sempre uguale a se stessa, con pregi e difetti annessi e connessi. “Non ne posso più di Verga, di Pirandello, di Tomasi di Lampedusa, di Sciascia”, scrive provocatoriamente. “Oggi c’è una Sicilia diversa. Basta solo raccontarla”.
Savatteri, il successo di Andrea Camilleri e del suo Commissario Montalbano è stato fondamentale per dare un’immagine nuova della Sicilia. La mafia inoltre non è più la misura di ogni cosa come in passato. Com’è avvenuto questo passaggio?
Dagli anni Settanta al 1992, anno della morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, la Sicilia è stata schiacciata dalle manifestazioni mafiose. Se da una parte la mafia ha messo seriamente in discussione le istituzioni, la libertà di pensiero e di azione, dall’altra ha soffocato la produzione artistica, culturale, cinematografica e letteraria di questa isola. In quegli anni non si poteva non raccontare la mafia. Non c’era spazio per parlare d’altro. Ad esempio, a Palermo non si poteva ambientare una storia d’amore o un giallo. Con Camilleri cambia tutto. La mafia non è più un’ossessione. È presente, ma non preminente.
Come dimostra nel suo libro, la Sicilia è un serbatoio inesauribile di storie. Ci sono capitoli – penso su tutti al quinto, Sex and the Sicily – che smontano le più granitiche certezze.
La Sicilia offre tante storie ma certe volte queste non riescono ad emergere perché non corrispondono allo stereotipo. È mai possibile che nella terra del gallismo così ben raccontata da Brancati possa nascere il primo movimento omosessuale riconosciuto? La prima sede dell’Arcigay la immaginiamo a Bologna o a Milano, invece è a Palermo. Spesso la colpa non è degli autori, ma di noi lettori che vediamo loro non come testimoni del loro tempo, ma come parte di un codice e di un canone standardizzato. Molti ancora pretendono di utilizzare Il gattopardo di Tomasi di Lampedusa come cartina al tornasole della Sicilia. Non è più possibile usare certi testi come guide turistiche perché queste sono oramai irrimediabilmente datate.
Non se può più in definitiva del gattopardesco “tutto cambi perché nulla cambi”.
Ho scritto questo libro pensando a chi è nato nel ’92. Un ragazzo di venticinque anni non riconosce la Sicilia sempre ferma al passato. Prendiamo la Vucciria a Palermo: non è il mercato rappresentato da Guttuso; è il luogo della movida, della festa, delle bottiglie di birra con gli amici. La Sicilia è cambiata: quella reale come quella immaginata. Si pensi al blasone nobiliare o all’epopea contadina raccontati da diversi autori. Oggi è impossibile trovarne traccia: i nobili affittano le loro ville e le loro residenze per i matrimoni, le campagne si sono svuotate a causa della progressiva urbanizzazione.
È indubbio però che nell’immaginario sulla Sicilia prevalga maggiormente la dimensione paesana rispetto a quella cittadina. Non trova?
Senz’altro l’iconografia siciliana è quella del paese con i suoi immancabili punti di riferimento: il maresciallo, il prete, il barbiere, il farmacista. Raccontare questi microcosmi fatti di piazze, chiese e bar è più facile. Oggi però i due terzi della popolazione siciliana abitano in città. Lo aveva capito prima di tutti Pippo Fava, che ha raccontato l’evoluzione del territorio negli anni Sessanta e Settanta. Lo capiscono oggi scrittori come Roberto Alajmo e Santo Piazzese. È nelle città che si muove qualcosa, che c’è dinamismo. I paesini di una volta sono abbandonati a loro stessi, sempre più spopolati, sempre più simili a villaggi del Far West.
A rimanere immutabile però è l’amore per il cibo. O anche qui siamo di fronte a una mistificazione?
Nell’immaginario sulla Sicilia la cucina è diventata importante, vitale, con il commissario Montalbano. Prima di allora, nella letteratura e nel cinema, le grandi mangiate sono riservate ai potenti e ai mafiosi, sono testimonianze grottesche e caricaturali del potere. In una terra dilaniata dalla povertà e dalla miseria, dal pititto come lo chiamiamo noi siciliani, l’abbondanza a tavola era un lusso che assumeva giocoforza significati diversi da quelli che noi conosciamo. Oggi per fortuna le cose sono cambiate. Non si soffre più la fame, anzi.
Alessandro Buttitta
 
 

Malgrado tutto, 15.3.2017
Pensieri diversi
Montalbano e noi
Se una fiction popolare può dirci assai di più della nostra stessa coscienza politica…

Nei due lunedì scorsi è ritornato in TV su Rai1 Salvo Montalbano, il famoso commissario inventato da Andrea Camilleri. Gli indici di ascolto sono stati altissimi. Dopo tanti anni, quel mare di Sicilia, le chiese barocche, i pranzi da Enzo, la terrazza di luce dove il commissario beve il caffè, quel misto di luce e di malinconia che pervadono le scene, affascinano ancora. I telefilm sono molto ben fatti e ben recitati, al di là di questo, cosa ha da dirci su noi stessi, sul nostro paese (intendo l’Italia, non solo la Sicilia), sulla nostra attuale condizione d’esistenza?
La Sicilia che si vede dietro lo schermo è in parte vera, in parte falsa. Mancano le macchine, manca il disordine quotidiano che caratterizza nevroticamente ormai tutte città di ogni parte del mondo e ancor di più naturalmente della Sicilia, manca l’affastellarsi del metallo colorato più o meno luccicante delle auto, dei bus, delle moto che feriscono la bellezza delle piazze, dei palazzi, delle vie, manca la ormai consueta fretta degli uomini che si scontra ansiosamente con la lentezza forzosa del traffico.
Tutta questa assenza, sostituita da immagini calligrafiche (la calligrafia è l’arte di scrivere in modo elegante e regolare), dà un senso di falsità alle scene, quasi di irrealtà. Eppure, nello stesso tempo, sono verosimili, familiari. Perché? Perché ci spingono al desiderio per un mondo fatto di lentezza, di godimento dei dettagli della vita, di delicatezze, di conflitti affettivi, di saldezza umana. Se fosse solo questo, ci troveremmo in una dolciastra marmellata di buoni e stucchevoli sentimenti. Non è così.
Questo falso, che in quanto verosimile è (come direbbe il grande filosofo napoletano Giambattista Vico) anche vicino al vero, sta in mezzo a un universo di assassinii, di atrocità, di crudeltà, di corruzione, di odio. E’ un mondo, nonostante tutto, possibile, un mondo dove si può combattere il male pur essendo deboli, lenti ma saldi nei comportamenti e nelle relazioni umane, dove il coraggio non è una falsa assenza di paura, ma la capacità di saper convivere con essa senza lasciarsi sopraffare. Un mondo possibile se solo i politici di oggi si arricchissero di sogni da trasformare in fatti. Se solo assumessero l’etica e la responsabilità come comportamenti primari.
Nel primo episodio, Montalbano apre la porta che dà sulla sua terrazza e vi trova con sorpresa un barbone addormentato. Non reagisce spianando la pistola, né barricandosi dentro. Anzi, gli offre il caffè e gli fa fare la doccia. Questo barbone, dai tratti gentili, si scoprirà essere un chirurgo devastato dai sensi di colpa per non essere riuscito a salvare un bambino. Un barbone particolare dunque, non un migrante incattivito, ma un uomo molto accettabile e piuttosto ovvio. Ma Montalbano, quando lo vide per la prima volta, questo non lo sapeva. Quell’uomo era diventato un barbone perché sopraffatto dal senso di colpa.
Nel secondo episodio un magistrato in pensione è ossessionato dall’idea di potere avere disposto una sentenza ingiusta. Quando scopre un suo errore che condannò ingiustamente un innocente, si suicida. Situazioni estreme, certamente, che evidenziano tuttavia una cosa: fare il proprio dovere mette in gioco la propria interiorità e il proprio senso di responsabilità. Nascondersi dietro ciò che è giuridicamente, legalmente e politicamente corretto è diventato troppo spesso segno di viltà. Nel nostro mondo il politically correct e i protocolli professionali sono diventati ormai segni di una falsa coscienza dietro cui sta la verità della perdita di fiducia negli altri, nello stare in comune. Forse è per questo che una fiction popolare può dirci assai di più della nostra stessa coscienza politica quando questa è falsa e ipocrita.
Alfonso Maurizio Iacono
 
 

Ragusanews, 15.3.2017
Perracchio: Io e Montalbano
Marcello Perracchio, ovvero il dottor Pasquano

Ragusa – Tutti conoscono Marcello Perracchio, in arte dottor Pasquano. Da 18 anni, infatti, è il burbero ma gentile medico legale di Salvo Montalbano, ruolo che interpreta nella fiction di Rai 1. Un sodalizio artistico che è iniziato nel 1999. Il suo rapporto con Luca Zingaretti, con la fiction e con il resto del cast è ormai consolidato. E gli ultimi due episodi andati in onda su Rai 1, che hanno fatto registrare numeri da record, sono per lui soltanto un vanto.
Gli episodi li ha visti in casa, insieme alla moglie, e non è affatto tenero con sé stesso. Nonostante tutto si piace, è inutile negarlo, anche perché il personaggio del dottor Pasquano è davvero molto amato dal pubblico (la foto su facebook in cui mangia i cannoli ha avuto più di mille commenti). Eppure il dottor Pasquano, nella fiction, di solito tratta malissimo Montalbano. In realtà è perché si vogliono bene. Di base c’è grande rispetto, ma è come un gioco di ruoli: i due, tanta ormai è la complicità, si fanno i dispetti. Anche con Luca Zingaretti c’è stata subito complicità sul set, proprio come il dottor Pasquano è complice del Commissario.
Spesso improvvisano sulla scena, avendo soltanto a disposizione un canovaccio di massima. Nonostante tutto, non si possono certo definire amici. I rapporti, infatti, sono più professionali che umani. Zingaretti, infatti, porta su di sé il peso del successo della fiction, essendo lui il “frontman”. Perracchio, invece, è un uomo molto riservato.
Ma al di fuori del set cinematografico, com’è la vita di Marcello Perracchio? Ad 80 anni, dichiara che è monotona. Recitare è un modo per sentirsi vivo. Eppure, qualche rimpianto ce l’ha: aver delegato tutto alla moglie, compagna fedele, che ha cresciuto i figli da sola. Essere la compagna di un attore, si sa, non è cosa facile.
Irene Savasta
 
 

Avvenire, 15.3.2017
L'attore. Peppino Mazzotta: porto in scena il dramma vero di un emigrante
Noto al grande pubblico per il ruolo dell'ispettore Fazio nel «Commissario Montalbano», ha debuttato al teatro Mercadante di Napoli con «Giuseppe Z.» di cui è autore

«Il successo strepitoso di Montalbano? Certo, fa piacere, ma il problema è che la sovraesposizione: la Rai continua a replicare all’infinito le puntate vecchie e sembra che noi attori facciamo solo quello». Insomma, per Peppino Mazzotta, 46 anni, tra gli storici interpreti della fiction dei record di Raiuno, il ruolo dell’integerrimo ispettore Fazio, per quanto da lui amato «come un fratello », un tantino ingombrante lo è. Occhi scurissimi e voce gentile, l’attore calabrese sta per girare a breve altre quattro nuove puntate del Commissario Montalbano, ma tornerà anche a interpretare un ruolo totalmente opposto, quello di Bruno Corona, figlio di un boss della ’ndrangheta, nella seconda serie della fiction di Canale 5 Solo. Ma è il teatro la vera passione di Mazzotta che non ha mai smesso di recitare e scrivere per il palcoscenico. Ieri sera ha debuttato al Teatro Mercadante di Napoli con il suo Giuseppe Z., in scena sino al 19 marzo, prodotto dallo Stabile partenopeo.
[…]
La vediamo poco al cinema. “Montalbano” rende forse difficili le cose perché troppo identificativo?
«In un certo senso sì, ma non per la fiction in se, ma perché la Rai ha deciso di crearle una sovraesposizione talmente esagerata. La giriamo una volta ogni due anni e la gente pensa che siamo sempre in Sicilia. Montalbano per la Rai è una sorta bancomat: ogni volta che lo passa, incassa cifre enormi in pubblicità. E crea un problema di sovraesposizione per gli attori».
L’affetto del pubblico le fa piacere?
«Certamente, anzi, ne sono felice. E sono affezionato a Fazio, anche se è diverso da me. È un personaggio che mi ha influenzato sull’idea di chiedere molto a se stessi, di essere sempre operativi. Io lo sono molto meno...».
Ma come si spiega il successo crescente della serie? Pur avendo toccato nelle ultime due puntate temi molto spinosi.
«C’è la scrittura di Camilleri, che eleva la fiction rispetto al panorama italiano, poi la bellezza della Sicilia e i caratteristi siciliani che sono uno più bravo dell’altro. E poi Montalbano, un personaggio straordinario: è un uomo integro, che non è in vendita, che si assume la responsabilità delle situazioni sempre, che non scarica mai altrove i suoi pesi, un uomo in cui tutti hanno voglia di riconoscersi. La sua figura e la delicatezza della scrittura di Camilleri fanno da passepartout a temi anche molto difficili, che non diventano scandalo, ma spunti di riflessione».
E Fazio?
«Assomiglia molto a Montalbano. Fazio e il commissario sono due figure che si completano, condividono il modo di guardare il mondo, hanno la stessa etica. Anche se l’ispettore è uno che segue tutte le regole, mentre Montalbano, che è un uomo a tutto tondo, sa quando le regole vanno scavalcate per ottenere un giusto risultato».
[…]
Angela Calvini
 
 

La Repubblica, 15.3.2017
Sapori
Scrivere di cibo: nella rinata Città della Scienza di Napoli la cultura del mangiar bene
Una quattro giorni di eventi, incontri con autori, chef e pizzaioli per parlare di gastronomia e creare una diffusa cultura dell'alimentazione

[…]
Una delle finestre più ampie e interessanti sarà "Il Giallo nel piatto" , una serie di incontri dedicati all'enogastronomica nella letteratura gialla, dalla passione del Commissario Montalbano per la buona cucina passando per letture sul senso dell'ebrezza in Edgar Allan Poe, laboratori di scrittura e molto altro ancora che vedrà, tra i relatori di punta anche lo scrittore partenopeo Maurizio De Giovanni.
[…]
Lara De Luna
 
 

Accentra, 16.3.2017
Intervista a Camilleri in occasione degli 80 anni dell’Accademia Silvio d’Amico


 
 

Università degli Studi G. Marconi, 16.3.2017
Nel Segno di Andrea Camilleri
Seminario e presentazione del libro: "Nel Segno di Andrea Camilleri" dalla narrazione psicologica alla psicopatologia (Aula Magna Via Plinio 44 ore 15.30)

Il seminario intende fornire un approfondimento del pensiero narrativo e dell'importanza dell'approccio narrativo in psicologia clinica e psicoterapia. La specificazione delle teorie e dei princìpi inerenti tale approccio troveranno esplicazione "pratica" nell'analisi di personaggi e testi di Andrea Camilleri per come scelti e sintetizzati nel libro, evidenziandone, oltre alla forza narrativa,la concreta esplicitazione in termini psicopatologici e psicodiagnostici. Durante il seminario saranno proiettate slides, proposti video, letti brani tratti dai testi interessati e riportati aneddoti relativi agli incontri avuti dall'autore con Andrea Camilleri.
 
 

Teatro Impero, 16.3.2017
Il casellante


 
 

La Sicilia (ed. di Siracusa), 16.3.2017
Fecondità, mito e metamorfosi
Al Di Lorenzo di Noto la trasposizione teatrale del Casellante di Camilleri

Rischiosa ma, tutto sommato, abbastanza positiva s’è rivelata al Tina Di Lorenzo" di Noto, la trasposizione teatrale del romanzo"Il Casellante", ad opera del regista Giuseppe Dipasquale. Il testo di Andrea Camilleri fa parte della trilogia mitologica delle metamorfosi con una donna che tenta di trasformarsi in albero, ben miscelato con reminiscenze giovanili e giochi di fantasia. Tante le icone-flash poste alla riflessione: la fedeltà coniugale, il desiderio della procreazione, l'amore per la natura, il fascino del trenino a vapore, il gioco al lotto, il costume mafioso, l'arroganza fascista, il disastro bellico, la convivialità paesana nella sala da barba eletta a privilegiato luogo di informazioni. Tanti quadretti, insomma, di una Sicilia arcaica e moderna, comica e tragica, ferocemente logica e paradossale insieme, in buona parte travolta dall'oblio.
La storia è ambientata negli anni '40 del secolo scorso, intorno alla sorveglianza di un casello ferroviario sulla linea a binario unico percorsa da un trenino a vapore, gestito quasi in famiglia e con vistose deroghe sugli orari tabellari. I personaggi si incrociano in carrozza durante il percorso da Vigata a Castelvetrano.
Toccante, sulla scena, il rapporto tra i coniugi Minica e Nino, tanto desiderosi d'avere un figlio. Una struggente storia delle trasformazioni del dolore della maternità negata e della guerra ma anche dell'infausto periodo fascista.
Notevole, nella realizzazione, la differenza tra le parti in cui è divisa la trama. Nel primo tempo, si e avuta l'impressione che mancasse un organico filo conduttore a vantaggio dell'aspetto musicale grazie alle musiche originali di Incudine miscelate a classici del folk isolano. Nel secondo, è prevalsa la parte drammatica della storia a tutto vantaggio della caratterizzazione dei tre impareggiabili perso-naggi, Moni Ovadia, Valeria Contadino e Mario Incudine. Mattatore, come sempre, Ovadia con la sua inconfondibile voce alla ricerca di un equilibrato adattamento siciliota in linea con la diversità dei tanti personaggi interpretati. Bravo, persino nei panni della donna "majara" dispensatrice di magiche pomate a stimolo della forza riproduttiva.
Incudine, poi, è uscito dal clichè del cantastorie che gli ha aperto la via del successo, per rivelarsi buon attore oltre che raffinato autore di dolcissime melodie inneggianti all'amore coniugale e a quello filiale.
Superba, infine, la Contadino, fedele e romantica da moglie, incarnazione della fecondità femminile per perpetuare la specie umana, bramosa d'avere un figlio. In preda al dramma della follia per lo stupro subito e per la conseguente impossibilità procreatrice, tenterà di trasformarsi in albero per generare, novella Dafne, almeno succulenti frutti.
Vincenzo Greco
 
 

La Sicilia (ed. di Agrigento), 16.3.2017
“Il Casellante” di Andrea Camilleri in scena al teatro Luigi Pirandello
Da domani a domenica con Moni Ovadia, Valeria Contadino e Mario Incudine

Moni Ovadia, Valeria Contadino e Mario Incudine sono i protagonisti de "Il Casellante" di Andrea Camilleri, in scena da domani al Teatro "Luigi Pirandello" di Agrigento e repliche sabato 18 marzo, alle 21.00 e domenica 19 marzo, alle 17.30. Tratto da un romanzo di Andrea Camilleri, con la trasposizione teatrale di Giuseppe di Pasquale che ne firma anche la regia, "Il Casellante" è uno spettacolo in "agro dolce" dove si ride e ci si commuove al tempo stesso.
Gli attori (con, inoltre, Giampaolo Romania e Sergio Seminara) e i musicisti dal vivo (alla fisarmonica Antonio Vasta ed ai fiati Antonio Putzu) immersi nella stessa azione teatrale, narrano una vicenda metaforica fatta di parole, musica ed immagini.
Il racconto è ambientato in una Sicilia arcaica fatta di contraddizioni e paradossi. Un'Isola bella e struggente che ospita una storia malinconica e dolorosa, come può esserlo il dolore per la maternità negata.
È la storia, infatti, di Maruzza Musumeci [Sic!, NdCFC], moglie del sorvegliante di un casello ferroviario sulla costa africana della Sicilia.
Il racconto, divertito e irridente del periodo fascista nella Sicilia degli anni Quaranta, investe con drammatica ironia i personaggi in scena fino a giungere ad un brutale epilogo finale con Maruzza [Minica, NdCFC] che vede svanire il proprio desiderio di maternità, con il conseguente ten-tativo di metamorfosi della protagonista che vuole trasformarsi in albero.
Ancora una volta in questo romanzo Camilleri si fa attrarre dal mito della cultura greca e racconta, appunto, la tentata metamorfosi.
Nello spettacolo, infine, il linguaggio teatrale camilleriano, fatto di neologismi, di sintassi "fuori dalle righe" e di un dialetto siciliano originale, introduce immediatamente lo spettatore nell'atmosfera irridente, vernacolare e grottesca della piazza di un paese della Sicilia dove si "rumoreggia" su tutto e tutti.
Luigi Mula
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 16.3.2017
Alajmo: “Palermo torna a teatro ma niente sponsor”

Sicilia terra di contraddizioni e teatri fra entusiasmo pop e mancanza di sponsor. Così commenta i dati Istat Roberto Alajmo, scrittore e direttore del teatro Biondo.
Crollano i numeri per la lirica e i concerti di classica, mentre il teatro di prosa respira a metà classifica. Cosa ne pensa?
«Per me è un miracolo che qualcuno ancora ascolti la musica classica. E questo non perché la musica classica abbia perso mordente, ma perché nelle scuole italiane studiamo Foscolo fino alla nausea ma non impariamo una parola su Verdi,uno dei più importanti artisti romantici del mondo. A Palermo la gente sta tornando volentieri a teatro da quando c'è il sollievo che non ci si annoia troppo. I grandi successi commerciali sono stati sì "Il casellante" di Camilleri, ma soprattutto "Odissea" di Emma Dante con i ragazzi della scuola di teatro. Bisogna proporre artisti in grado di fare cultura in modo accattivante e in Sicilia ne abbiamo molti: sorprende che non ci siano marchi che vogliano farsi pubblicità sponsorizzando un teatro».
Com'è possibile che la Sicilia produca molti fra i più popolari scrittori da classifica per poi essere al penultimo posto in quanto a scrittori?
«All'interno di questo dato bisogna individuare la qualità dei lettori. Io credo che produciamo un numero importante di lettori forti, da sempre siamo terra di grandi intellettuali e grandi ignoranti. Esiste una élite che si tratta molto bene mentre gran parte della popolazione è ai limiti della sussistenza culturale».
Eleonora Lombardo
 
 

Sicilia & Donna, 16.3.2017
Sicilian carpet
Alessandra Mortelliti: “Che goduria recitare con Zingaretti”
Andrà in scena stasera al Piccolo Teatro di Catania il monologo “Famosa”, scritto e interpretato da Alessandra Mortelliti, nipote del celebre scrittore agrigentino Andrea Camilleri. Lo spettacolo rientra nell’ambito della rassegna teatrale Monofest organizzata dalle associazioni culturali Nora 2.0 e Città Teatro. “Famosa”, patrocinato dal Mit (Movimento Identità Transessuale), pone lo spettatore di fronte ad una vicenda drammatica incentrata sulla ricerca di un’identità e sul coronamento di un sogno. “È una storia semplice ma con tante sfumature legate al viaggio, sia fisico che mentale, intrapreso da Rocco Fiorella – racconta Alessandra Mortelliti a Sicilia&Donna – “Mi premeva presentare uno squarcio su una realtà italiana in cui ancora non c’è una totale accettazione della diversità.
Intervista ad Alessandra Mortelliti

[...]
Passiamo dal teatro alla televisione. Lei ha interpretato un ruolo nella puntata “Una faccenda delicata” della serie “Il commissario Montalbano”, la cui replica è andata in onda lo scorso lunedì, sfiorando i 10 milioni di telespettatori. Come ha vissuto quest’esperienza accanto ad uno dei personaggi televisivi più amati in Italia e all’estero?
“L’ansia era triplicata, mi sentivo come una studentessa che sta per affrontare un importante esame universitario. Ho studiato veramente tanto, ma devo ammettere che l’ansia si è subito attenuata quando mi sono confrontata con un grande regista, Alberto Sironi, e Luca Zingaretti che in poco tempo riescono a far capire ciò che vogliono. La troupe è straordinariamente affiatata, sembra di essere in una grande famiglia. Inoltre, il fatto di avere tutte le scene insieme a Zingaretti mi ha aiutata tantissimo. Recitare con lui è davvero una goduria perché è il classico attore che viene da una formazione teatrale, quindi è totalmente in ascolto dell’altro, fattore fondamentale nell’ambito della recitazione.”
Che effetto fa interpretare i testi del nonno Andrea Camilleri?
“Da un lato, non posso nascondere che è stato molto emozionante e motivo di orgoglio, dall’altro si tratta di testi che, in fondo, ho sempre masticato e con cui sono cresciuta. Diciamo che questo mi è servito a intuire con più facilità il tipo di personaggio richiesto e il linguaggio da adottare.”
Rosita Cipolla
 
 

Gayburg, 16.3.2017
Il partito di Adinolfi sostiene che la sceneggiatura di Montalbano venga curata dall'Unar

Nicola Pasqualato è un esponente del Popolo della famiglia di Treviso, fondatore di quella Veneto Autismo Onlus che vende esentasse i libretti "no-gender" scritti della moglie e promuove fantomatiche "terapie riparative" dell'omosessualità. Appare fieramente razzista e su Facebook si auto-piace i suoi post quando lamenta che «parlare pubblicamente dell’omosessualità come di un peccato viene ormai a violare una norma suprema della nuova cultura». Insieme a sua moglie e per conto del partito di Mario Adinolfi, è lui ad aver realizzato e diffuso vari video propagandistici di quella Silvana De Mari che risulta ora indagata dalla Procura di Torino per diffamazione e istigazione all'odio razziale.
Se da un simile personaggio non ci si può probabilmente attendere nulla di buono, appare oltre l'immaginazione un messaggio che l'uomo ha pubblicato su Facebook:
L'UNAR e l'Istituto Beck continuano la loro attività di condizionamento cognitivo non autorizzato sugli italiani e fa sdoganare a Montalbano l'incesto. Il Commissario siciliano, nell'ultimo episodio dice: "è pur sempre una forma d'amore".
L'esponente del partito di Mario Adinolfi pare dunque di sostenere per finalità propagandistiche che l'Unar e l'Istituto Beck si occupino di scrivere la sceneggiatura delle fiction di Rai 1. Anacronistico e ai limiti dell'ossessione è anche il suo tornare a gettare fango contro un'associazione scientifico-professionale di psicologi e psicoterapeuti da lui odiata per aver osato curare il testo di alcuni libretti destinati agli insegnati delle scuole pubbliche italiane come supporto didattico per la promozione della tolleranza. Libretti che, come purtroppo sappiamo, vennero ritirati dalle destre su richiesta di Radio Vaticana.
 
 

Il Secolo XIX, 16.3.2017
Il colloquio
Arriva da Spezia il “satanista albanese” del commissario Montalbano

La Spezia - «È stata una delle più grandi soddisfazioni professionali della mia carriera». Matteo Taranto, attore cinematografico, televisivo e teatrale spezzino non usa mezzi termini. La sua partecipazione nella puntata record del commissario Montalbano lo rende felicissimo. «Ha avuto punte di 15 milioni di share con un ascolto medio di 12» gongola Taranto che ha vestito i panni di un satanista. «Non lo avevo mai fatto – racconta - I ruoli del cattivo li ho ormai girati tutti, ma quello mi mancava ancora e francamente è stata una novità. Una storia black dove ero un albanese messo a capo della sicurezza di un locale ma che praticava anche riti di quel tipo».
E se Montalbano è stata una tempesta gioiosa, l’incontro con Zingaretti ha invece segnato un ritorno: «Ho lavorato con lui anni fa, nel 2003, quando ho vestito i panni di un agente del Nocs, il Nucleo operazioni speciali della polizia, nella miniserie Doppio agguato dedicata al rapimento Belardinelli, una vicenda di cronaca che in quegli anni scosse fortemente l’opinione pubblica. Un sequestro di persona che toccò il nostro Paese e che divenne produzione televisiva».
«In ogni caso - riprende - per me andare in Sicilia è sempre una grande gioia. Lavorare in quello scenario è fantastico e poi lo staff che cura il Commissario Montalbano ha qualche cosa davvero di particolare. C’è un’attenzione infinita al dettaglio».
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Marco Toracca
 
 

GenovaToday, 16.3.2017
Cronaca / Camogli
Le "bugie" di Montalbano, spunta un ristorante "tarocco" sulla piazza di Camogli
Fa discutere una scena della fiction andata in onda lunedì 13 marzo. Il commissario è a cena con la fidanzata Livia "Da Guglielmo a Boccadasse" ma lo sfondo è Camogli

Le "bugie" di Montalbano. Dopo il faro taroccato ad Amalfi, nello spot del tonno Rio Mare con Kevin Costner, ora le riviere liguri contraffatte che per un commissario di polizia proprio non si addice.
Fa discutere la puntata della seguitissima fiction "Il commissario Montalbano" andata in onda lunedì 13 marzo su Raiuno con l'attore Luca Zingaretti.
A far parlare è il montaggio di una scena ambientata a Boccadasse ma con l'utilizzo del panorama di Camogli. Nell'immagine si vede Montalbano, a cena fuori con la fidanzata Livia, al ristorante "Da Guglielmo a Boccadasse" con, sullo sfondo, le celebri casette e la chiesa di Camogli e nella realtà il locale non esiste.
Si tratta di una ricostruzione al computer. A scoprirlo è stato un telespettatore residente a Camogli che ha svelato l'arcano su Facebook: «La nostra bella Camogli fa da sfondo a una cena romantica fra il Commissario Montalbano e la sua fidanzata Livia (che nei libri di Camilleri è residente a Boccadasse)....piccolo particolare che l'insegna del Ristorante recita "Ristorante da Gilberto a Boccadasse».
Il locale e altre parti sono state costruite sopra una piazzetta, realmente esistente, grazie al computer grafica, operazione che non è insolita agli addetti ai lavori ma che ha scatenato un pò di sano campanilismo sui social: «Non è corretto: o Camogli o Boccadasse» scrive un internauta, «Che onore!» è un altro commento, «Non è valido!» risponde un residente e alla fine trionfa l'amore per i propri luoghi: «Io ho pensato: vedo Camogli ovunque!».
Annissa Defilippi
 
 

iDNES, 16.3.2017
Mladý Montalbano II
25. 3. 2017, 23:25 O1
Seriál It. (2015), 112 min.
skryté titulky, High Definition
Režie: G. M. Tavarelli
Hrají: M. Riondino, A. Vassallo, F. Pizzuto, S. Felberbaumová
Muž, který chodil za pohrebním pruvodem. Detektivní seriál It. (2015). Ten nenápadný muž rád prokazoval úctu mrtvým. Kdo mohl mít zájem udelat nebožtíka z nej? (112 min)

Vražda obeti, kterou mel každý rád, je vždycky tvrdým oríškem. Starý Pasqualino Cutufa žil naprosto nenápadný a sporádaný život. Rád vyprovázel na poslední ceste nebožtíky – bohaté i chudé, známé i opuštené. Komu by tento zvyk mohl vadit natolik, aby se ho chtel zbavit? Vyšetrování stojí na míste, když jednomu z podezrelých náhle zmizí manželka spolecne s vetší cástkou penez. Souvisí spolu ty dva prípady? Komisar má potíže i na domácí fronte, Livia se chová podivne a znalec žen Mimi má jasno – Montalbano je parohác.
 
 

Il Venerdì, 17.3.2017
Piccoli Montalbano crescono
Il giallo all’italiana non è nato oggi, ma negli ultimi tempi ha raggiunto dimensioni impressionanti. Non solo sul piano delle vendite. Ormai non c’è regione che non abbia almeno un investigatore per fiction. Dalla Valle d'Aosta alla Sicilia, abbiamo messo un boom editoriale sotto la lente d’ingrandimento

Una cosa è certa: mentre leggete queste righe c’è qualcuno che sta scrivendo un giallo, ed è molto più vicino a voi di quanto non possiate immaginare. Basta dare un’occhiata alla geografia del noir e del poliziesco italiani per notare che ormai i nostri commissari, ispettori e marescialli sono a chilometro zero, ne abbiamo sempre uno sotto casa, in ogni regione e città, vera o immaginaria. Come la Vigata di Andrea Camilleri, dove è partito il ciclone Montalbano, vero apripista di questo boom investigativo e in grado, dopo diciotto anni di programmazione tv, di mettere sull’attenti undici milioni di persone.
Però Salvo Montalbano non è più una stella solitaria. C’è Rocco Schiavone, che agisce tra Roma e Aosta, e ci sono i Bastardi di Pizzofalcone che invece setacciano un solo quartiere di Napoli, mentre Grazia Negro perlustra Bologna. Ma la ricchezza del fenomeno, spiega Luca Crovi, giallologo che da tempo analizza il genere, viene da lontano: «Il giallo italiano è stato fin dalle sue origini regionalista e di grande successo popolare. Il mio cadavere (1852) di Francesco Mastriani e Il cappello del prete (1887) di Emilio De Marchi erano ambientati a Napoli mentre I ladri di cadaveri (1884) di Jarro parlava di delitti a Firenze e I misteri di Milano (1857-59) di Alessandro Sauli raccontava indagini e segreti nella città meneghina».
La mappa oggi si è allargata ben oltre i grandi centri: stradario alla mano, incontriamo regioni a elevatissima densità noir come l’Emilia Romagna dei tanti personaggi di Carlo Lucarelli e della Parma del commissario Soneri di Valerio Varesi. O la Puglia, dove si muovono il Renzo Bruni di Piernicola Silvis, o Lolita Lobosco di Gabriella Genisi e il maresciallo Fenoglio di Gianrico Carofiglio. Certo, Milano è ancora oggi una piazza battutissima: ecco il commissario Campos di Antonio Steffenoni, il Ghezzi di Robecchi, l’ispettore Lucchesi di Gianni Simoni, il Ferraro di Biondillo. A Roma ci sono Colomba Caselli di Dazieri e il Ponzetti di Ricciardi. Impossibile citarli tutti, sono centinaia. Specialmente in Liguria, con gli ex commissari arzilli di Roberto Centazzo, il Luciani di Claudio Paglieri e il commissario Mariani di Maria Masella. D’altra parte, la Liguria detiene un primato grazie all’attività di una casa editrice vocata come i Fratelli Frilli, incubatrice locale di successi nazionali, vedi Cristina Rava, creatrice di Ardelia Spinola, medico legale che indaga su Albenga, piazza non esattamente paragonabile al Bronx, dove pure la raffinata e gattofila Ardelia ha il suo bel da fare, tanto che Garzanti sforna una puntata più o meno all’anno. E così si scopre che il giallo, nelle sue sfumature noir e poliziesche è un modo, forse il più vivace e variegato, di raccontare l’epica della provincia, anzi, di scoprire i suoi luoghi, i suoi sapori e le sue magagne, i tic, i caratteri e molto spesso i fatti rimasti sotto la cenere.
Ne è convinta Mariolina Venezia, di Matera, creatrice del fiammeggiante sostituto procuratore Imma Tataranni, già protagonista di due libri di successo per Einaudi (e due ne ha pronti nel cassetto): «Dopo il mio primo romanzo, una saga familiare, inventare Imma è stato un modo per continuare a parlare della Basilicata, una terra dove tutto è estremizzato e la globalizzazione incontra un mondo arcaico: avevo capito di avere in mano un materiale molto caldo». Dal sud al nord, lo sguardo del giallo è lo stesso, quello su squarci d'Italia fuori dalle mappe. Flavio Santi, scrittore e traduttore friulano, ha piazzato il suo ispettore Drago Furlan nella remota Cividale, e dice: «Per come ci vede il resto d'Italia noi potremmo essere l'Islanda dei romanzi di Arnaldur Indridason: nell'immaginario collettivo non esistiamo. Per questo ho voluto un ispettore contadino, che fa il bagno nel Natisone, ha un maiale al posto del cane e le cui indagini seguono il ciclo dell'orto». Un idillio, se paragonato alla Sardegna di Piergiorgio Pulixi, giovanissimo cagliaritano cresciuto alla scuola di Massimo Carlotto, che pubblica con E/O le truculente imprese del suo pochissimo corretto ispettore Mazzeo, un mix di indagine territoriale e affondo nella cronaca dove noi, lettori, ci immergiamo insieme agli occhi degli investigatori.
E qui spunta il paradosso (o presunto tale) che sembra essere uno degli ingredienti forti del fenomeno: perché, in un Paese che non brilla certo per l'affiatamento tra il cittadino e le istituzioni, hanno invece così successo personaggi che, bene o male, rappresentano lo Stato? Perché i tutori dell'ordine, se li tiri via dalla strada e dai commissariati e li sbatti nel romanzo o in tv diventano irresistibili seduttori?
Cristina Rava vede la risposta nel loro carattere analgesico: «Servono i supereroi. Più la società è imperfetta più i personaggi consolatori funzionano, riempiono i vuoti. Cosa significa consolatorio? Per me vuol dire l'onestà di chi cerca la verità».
Ah, la cara e vecchia onestà che fa dormir tranquillo l'italiano brava gente. Ma è, questa categoria dello spirito, ancora così in voga nel poliziotto letterario di successo? A giudicare dalle prassi scarsamente ortodosse del romano Rocco Schiavone, vicequestore trasferito ad Aosta, mica tanto. Antonio Manzini, il suo autore, rivela di aver tratto ispirazione da uno dei poliziotti più scorretti della letteratura mondiale, Il lercio di Irvine Welsh, e spiega: «Da lettore non amo gli eroi senza macchia e senza paura. Volevo che il mio personaggio avesse più ombre che luci. Inoltre confonde il ruolo del poliziotto con quello del giudice,il che perla democrazia non è il massimo, ma in un romanzo funziona bene. Alla gente piace una persona che ammette i suoi difetti ma che tira fuori qualcosa, come Rocco, e se c'è da picchiare picchia».
Maurizio De Giovanni, il creatore dei Bastardi di Pizzofalcone, che ha riacceso i riflettori su Napoli, raccontando una città della nobiltà che convive con la miseria, dove il delitto passionale ha sostituito la macchina anonima della criminalità organizzata, vede nel lavoro chiaroscurale sul personaggio la chiave di volta: «Piacciono i poliziotti imperfetti, portatori di paure, fobie, ossessioni; vanno umanizzati. Nello stesso tempo, c'è il fascino del delitto, perché il delitto è connaturato alla natura umana. È come raccontare l'amore, ma con il realismo del giallo, che guardando la realtà trova già tutto quello di cui ha bisogno».
Carlo Lucarelli, scrittore che ha cominciato giovanissimo la sua attività alla fine degli anni Ottanta, quando la proliferazione attuale del giallo non era neanche immaginabile, insiste sulla forza dell'invenzione: «Certo, noi giallisti lavoriamo sulla realtà, ma i nostri personaggi sono delle metafore. E per me devono essere investigatori istituzionali: un commissario, un carabiniere, così il lettore sa già cosa ci stanno a fare nella storia. Lo spazio narrativo che resta serve a farli muovere nei "luoghi oscuri" di cui parlava James Ellroy. Il nostro compito di giallisti è far perdere le persone, portarle a Bologna e improvvisamente mostrare che Bologna non è più quello che sembra». Fotogrammi di un'Italia normale che però si trasforma in un incubo. Gianni Zanolin, romanziere del profondo Nordest che nei suoi libri racconta il lato dolente di un piccolo centro come Pordenone (è in uscita il quarto capitolo del suo commissario Tonelli per l'editore Omino Rosso) ha un'idea precisa: «Con le loro imperfezioni, dal capo supremo cioè Montalbano al meno conosciuto cioè il mio, i commissari rappresentano il sogno. Gli italiani sono persone che vorrebbero rispettare la legge ma poi nella realtà devono mediare e arrabattarsi tra mille difficoltà».
«Siamo tutti molto incazzati» riassume Antonio Manzini, «stanchi di un Paese corrotto dove non esiste la certezza della pena e la giustizia ha tempi lunghissimi, terribili per chi ci capita in mezzo. Rocco Schiavone, anche se non è una persona eticamente corretta, la certezza della pena la richiede a gran voce».
Eccoci dunque nel famigerato "luogo oscuro", ma non dell'eroe poliziesco, bensì del lettore italiano: non sarà mica che il nostro desiderio inconfessabile è una giustizia che banalmente faccia il suo dovere? E nella profusione del giallo stiamo vivendo la nostra epocale catarsi collettiva?
Carlo Lucarelli nicchia: «Ma catartici fino a che punto? Forse Agatha Christie, con il suo meccanismo perfetto, era catartica. Noi no. Quando arrivi alla fine della storia sono più le cose che hai perso di quelle guadagnate. La catarsi, se c'è, è una magra consolazione».
Alberto Riva
 
 

Malgrado tutto, 17.3.2017
Con Moni Ovadia, Mario Incudine, Valeria Contadino. Regia di Giuseppe Dipasquale.

In scena, da oggi, al Teatro Pirandello di Agrigento “Il Casellante”, tratto dall’opera omonima di Andrea Camilleri, per la regia di Giuseppe Dipasquale, con Moni Ovadia, Valeria Contadino e Mario Incudine.
“Il Casellante”, in un’alternanza tra comico e tragico, colpisce per la determinazione della regia, che ha voluto quali interpreti di uno dei romanzi più intrisi di sentimenti dello scrittore empedoclino attori di grande talento, quali Moni Ovadia, impeccabile nella sua interpretazione, lo spettacolare Mario Incudine, convincente e perfino struggente di una poesia infinita e di una dolcezza disarmante, e Valeria Contadino che, intensa, toccante, rappresenta – per sua stessa ammissione- tutte le donne vittime di violenza, molte delle quali attraverso lei hanno fatto sentire un grido di rabbia e di dolore”.
Spettacoli venerdì 17, sabato 18 marzo alle ore 21 e domenica 19 marzo alle ore 17 e 30.
 
 

La Sicilia (ed. di Enna), 17.3.2017
Scenari
«Incudine una risorsa da tenersi ben stretta»

Garibaldi pieno, con vero «sold out» e due ore di grande teatro l'altra sera con «Il casellante», felice trasposizione (di Giuseppe Dipasquale, che è anche il regista) di uno spassoso eppur commovente racconto di Andrea Camilleri. Fu prodotto nello scorso giugno a Caltanissetta, fu poi portato al Festival di Spoleto; quest'anno - assai ben rodato, come una perfetta macchina drammaturgica - è in cartellone in molti teatri italiani: la settimana scorsa al Biondo di Palermo, concluderà a maggio con una settimana al Sistina di Roma.
Una favola agrodolce, che avvince gli spettatori mettendo insieme pagine della nostra storia e drammi della quotidianità: la guerra, il fascismo, l'amore, la brutalità, il femminicidio, la maternità negata, la solidarietà.
Lo spettacolo è interpretato magistralmente da Moni Ovadia, che è il narratore (oltre che il barbiere, il giudice, un gerarca, il ferroviere autore della violenza sessuale e perfino la «mammana» del paese), da Mario Incudine (attore nel ruolo del titolo, e autore delle musiche e dei passi di «cunto») e da Valeria Contadino, nei panni dolenti di Minica, la moglie incinta del casellante vittima di un abuso che la condanna alla sterilità e alla follia. Alla fine applausi scroscianti e prolungati con una dozzina di chiamate e standing ovation. E con le parole fuori programma di Moni Ovadia un'ap-pendice da meditare: «Di solito si chiude qui, senza altre parole, ma qualcosa vorrei aggiungere». Per spiegare che è stato lui, Ovadia, a insistere per portare questo spettacolo anche a Enna, perché Mario Incudine, con scrupolo esemplare e raro, non voleva essere sulla scena in un teatro di cui è direttore artistico. "Segno - ha detto Ovadia - di una qualità morale altissima di quest'uomo che si aggiunge al suo valore di artista, risorsa preziosa di questa città, di quest'isola. Tenetevelo ben stretto, sostenetelo, incoraggiatelo, difendetelo».
Altri applausi scroscianti hanno accompagnato le parole di Ovadia. Mario Incudine è molto di più che un grandissimo talento di musicista, di attore, di prezioso organizzatore che in questi tre anni ha allestito al Garibaldi stagioni intense e di alto profilo: mo-menti di importante promozione per i giovani ennesi (sulla scena o fruitori di teatro). Lo pensano in molti, a Enna e fuori di qui. Una risorsa così, ha ragione Ovadia, è un dono magico di questa terra che va tesaurizzato. E' un patrimonio della comunità. E se ci fosse qualche isolato acido astio tafazzista, teniamolo ben distante perché il tafazzismo ha già fatto fin troppo male, a Enna e in tutta la Sicilia.
D. C.
 
 

Barbadillo, 17.3.2017
Cultura. L’omaggio al Teatro ne “Il Casellante” di Dipasquale tratto dal romanzo di Camilleri

Racconta Andrea Camilleri nel suo “L’ombrello di Noè” che Solone nei pressi del tempio di Dioniso vide una folla “in piedi davanti a un rozzo carro di legno, le cui stanghe erano poggiate su due pali infissi sul terreno”: vide il carro di Tespi. Il pubblico di “Il Casellante”, lo spettacolo del regista Giuseppe Dipasquale tratto dal romanzo omonimo di Camilleri, vede al pari di Solone un carro, un risciò al centro della scena. Prima che si alzi il sipario. Che nemmeno si alzerà.
Dipasquale e Camilleri invitano all’osmosi tra palcoscenico e platea, chiedono agli spettatori incuriositi dall’insolita accoglienza di uccidere ancora l’ὑποκριτῆς (l’upokrites, colui che dà risposte) e far nascere l’attore, la maschera, l’altro da sé. Maschere ossia possibili esistenze- temute o rimosse, quasi mai rassicuranti- sono i sette attori in scena. A ciascuno il proprio coturno, il proprio camuffamento. A Moni Ovadia il compito di attraversare la linea d’ombra che separa personaggio e narratore: istrionico nell’essere il “canta-storia”, la mammana, il giudice, il barbiere, il gerarca, lo stupratore. Il garbato Sergio Seminara è ora capomafia ora cliente del barbiere, ora giudice. E ancora Antonio Vasta e Antonio Putzu, musicanti e carabinieri. E almeno altri due ruoli interpreta il bravo Giampaolo Romania, che è soprattutto Totò, il compagno delle cantate di Nino Zarcuto, il casellante. Nino è Mario Incudine: l’artista ennese si conferma capace come pochi di prendersi un personaggio addosso, dargli cuore e voce, gesti e faccia. La faccia buona e la faccia disperata: il continuo incanto di Nino cesella il volto di Mario Incudine. Nino è incanto, come Minica è amore. Struggente e feroce l’interpretazione di Valeria Contadino che sa essere la pudica sensualità di Menica. La presenza scenica dell’attrice catanese riempie lo spazio della poesia e della tragedia. A lei è affidato il senso di questo spettacolo quando offre al teatro la posa oscena e pietosa del corpo di Minica (qui nella foto).



Assistere allo spettacolo “Il Casellante” vuol dire assistere all’epifania del teatro. Alle sue origini. Vederne le radici. E non a caso le radici, l’albero che esse reggono sono il feticcio, la metafora che spiega la vicenda cruda e tragica del casellante Nino e della moglie Minica. La parola è nel corpo. E’ il corpo dell’attore. Il corpo dell’attore è la materia del palcoscenico, è il teatro, luogo fisico e simbolico della Rappresentazione. Ecco il Dioniso che Dipasquale ha brillantemente sviscerato dal romanzo di Camilleri. La satira, impietosa verso il fascismo, e le irriverenti serenate al cornuto si mescolano a battute e gestualità comiche per poi scivolare, nel secondo atto nella brutalità dell’orgia della storia e dei sentimenti. Il riso e il pianto sono gli elementi catartici di quest’opera di teatro che alla tradizione del vaudeville e dell’operetta, della commedia musicale e della tragedia ha affidato l’espressione della magica sicilianità del romanzo. La magia è nella storia dell’albero: Minica -e qui Camilleri cita il mito di Dafne ma come dimenticare le “favole” di Pirandello?- vuole farsi radici e fronde per produrre il frutto che la vita le ha portato via. La sicilianità sta nella lingua, in quel pasticcio vigatanese che a teatro ha la sua felice e, si osi dire, naturale sede. I camuffamenti della parola, essenza della lingua di Camilleri, e i travestimenti degli attori si svelano nella necessaria reciprocità. L’esagerazione del mezzo espressivo diventa impeccabile quando dà corpo alle note di Incudine e Vasta (autori delle musiche). Lo spettacolo vive della parola che non tace mai, le battute dei personaggi si rincorrono le une con le altre: un coro di voci è il coro dei personaggi. La parola del silenzio arriva alla fine, quando la favola cede il passo alla pietas della vita.
Viva il teatro, viene da urlare appena si smorzano le luci sul destino dei personaggi. Ma l’urlo rimane dentro, si fa nodo in gola di commozione e gioia, si fa scroscio di battimani. Il sipario può calare.
Daniela Sessa
 
 

Tp24, 17.3.2017
A Marsala è andato in scena "Il casellante" di Camilleri/Ovadia; l'alchimia perfetta

Il primo tempo è servito per apparecchiare la tavola. Una certa lentezza, simile a quella della canicola estiva che appesantisce le gambe e rallenta la parlata. Musiche un po’ ruffiane che strizzano l’occhio allo spettatore, fino a distrarlo. Una scelta registica, suppongo, voluta da Giuseppe Dipasquale e lo stesso Camilleri che ha collaborato alla stesura della trasposizione teatrale del romanzo. Un azzardo, se vogliamo, per quella parte di pubblico miscredente che non conosce il vigatese e lo vive come un tentativo maldestro di un siciliano storpiato. Un depistaggio diabolico, come la finta nella boxe che fa abbassare le difese dell’avversario (spettatore) prima del diretto. Che è arrivato, nel secondo atto, dritto in faccia, e poi allo stomaco. A sganciarlo è stata Minica (Valeria Contadino) la più mesta in scena durante il primo atto, la sola donna in scena. I suoi monologhi hanno tagliato la carne degli spettatori, parole semplici e affilate che non hanno lasciato scampo. Lo strazio infinito di una donna abusata quando ancora l’abuso era difficile da dimostrare. Un tema attualissimo che ancora oggi si fa fatica a denunciare. La storia di una donna che le rappresenta tutte. Minica sceglie la follia, il solo modo per sopportare la perdita del figlio desiderato fino allo spasimo. Staccarsi dal mondo degli umani per farsi pianta e sperare almeno di dare frutti. La maternità che compie la donna, l’appaga nel Senso, a lei negato per sempre per via dell’abuso efferato in cui Naturalmente ha perso il bambino. Mito, sogno, realtà e finzione, un mix potentissimo che ha commosso tutti, non può essere altrimenti. Una storia d’amore come non capita spesso d’incontrare. Pulita. Totale. La vendetta del marito (Mario Incudine) quando ancora non c’era Nessuno tocchi Caino, politicamente scorretta oggi, che induce a una deroga agli iscritti, almeno nella finzione. Sullo sfondo una guerra che ancora i siciliani non hanno compreso . Liberati per primi dagli alleati, ma solo dopo il massacro dei civili. Camilleri è un ingegnere delle trame, un antropologo dei sentimenti. Li fiuta, li riconosce e te li restituisce con l’aggravante di saperlo fare magistralmente. Moni Ovadia è un gigante e non solo fisicamente. Un’alchimia perfetta Ovadia/Camilleri. Musicisti straordinari, ologrammi evanescenti e sempre presenti. Suoni, grida, canti e mai silenzi. Il teatro onesto di Ovadia, quello che inizia a sipario aperto e trasforma gli attori in personaggi sotto gli occhi dello spettatore, senza artifizi o tecnologie sceniche. Minimalista, essenziale. Mario Incudine che sa fare tutto, e bene. Ma anche il compare Totò (Giampaolo Romania) musicista e attore come Ovadia pretende nel suo teatro musicale. Il mafioso influente già negli anni Quaranta, Don Simone (Sergio Seminara). Ma fare solo il musicista è un lusso che Ovadia non concede ai suoi, infatti Antonio Vasta e Antonio Putzu sono anche, ora avventori, ora gendarmi . Una ricompensa arriva, alla fine, per la sventurata Minica, una concessione fatta alla tragedia altrimenti insopportabile anche per lo spettatore.
Che fine ha fatto il mal di schiena di Ovadia? Me lo sono chiesta più volte. Fino a qualche ora prima faticava a sedersi, e poi, curvo nei panni della Mammana, o scattante in quello del gerarca fascista. Solo l’attore può farlo, ma non chiedetegli mai come, perché non lo sa neanche lui. Accade e basta. Quanti eravamo a teatro? Pochi, rispetto a quanto meritava lo spettacolo, tanti… quelli con gli occhi lucidi.
Katia Regina
 
 

TrapaniOk, 18.3.2017
«Il casellante» ha affascinato il pubblico presente all'Impero Il sindaco Alberto Di Girolamo: «Davvero uno spettacolo di alto livello»

Ancora una volta la qualità della rassegna teatrale promossa dall’Amministrazione Di Girolamo si è manifestata in maniera evidente. “Il Casellante”, di Andrea Cammilleri e Giuseppe Dipasquale, portato in scena da Moni Ovadia, Mario Incudine e Valeria Contadino, ha letteralmente affascinato e alla fine anche commosso il pubblico presente.
La professionalità degli interpreti ha coinvolto gli spettatori presenti nel dramma a lieto fine di Ninuzzu e Minica, due personaggi tipici siciliani degli anni ’40. Il tutto guidato dall’abile conduzione di Moni Ovadia e valorizzato ancor più dalle eccezionali musiche dal vivo, proposte da grandi musicisti, che hanno accompagnato le performance degli attori.
“Abbiamo assistito giovedì sera ad uno spettacolo di alto livello e di pregevole fattura – precisa il Sindaco Alberto Di Girolamo. Chi ha assistito all’opera portata in scena dal maestro Ovadia e altri bravissimi attori e musicisti si è perfettamente resoconto della valenza interpretativa. La rassegna si sta rivelando davvero molto interessante”.
“Il Casellante” è, tra i racconti di Camilleri del cosiddetto “ciclo mitologico”, uno dei più divertenti e, allo stesso tempo, struggenti. Ambientato in Sicilia, terra di contraddizioni, narra la vicenda di una metamorfosi. Ma questa Sicilia è la Vigàta di Camilleri, che diventa ogni volta metafora di un modo di essere e ragionare le cose. Dopo il successo ottenuto con le trasposizioni per il teatro de Il birraio di Preston e La concessione del telefono, lo scrittore siciliano e il regista Dipasquale tornano nuovamente insieme per proporre al pubblico una nuova avventura, una vicenda affogata nel mondo di Camilleri, che vive di personaggi reali ma trasfigurati dalla sua grande fantasia di narratore. Una vicenda sospesa tra mito e storia, che disegna i tratti di una Sicilia arcaica e moderna, comica e tragica, ferocemente logica eppure paradossale.
Il casellante racconta di Minica – in attesa di un figlio – e di suo marito Nino, della loro modesta vita nella solitaria casetta gialla accanto a un pozzo e a un ulivo saraceno, durante gli ultimi anni del fascismo. Nino, che nel tempo libero si diletta a suonare il mandolino, fa il casellante lungo la linea ferroviaria che collega i paesi della costa. La zona, alla vigilia dello sbarco alleato, si va animando di un via vai di militari e fascisti che, quasi presagendo la fine imminente, si fanno più sfrontati. Una notte, mentre Nino è in carcere, colpevole di avere ridotto le canzoni fasciste a marce e mazurche con chitarra e mandolino, un evento sconvolgente travolge la vita di Minica.
Il finale, assai commovente, conclude positivamente una storia per larghi tratti drammatica.
“E’ stato uno spettacolo di grande intensità, in cui la Sicilia del mito e della cultura contadina si incontra con uno dei più forti temi odierni: la violenza sulle donne. Il tutto accompagnato da una vicenda metaforica che gioca sulla parola, la musica e l’immagine precisa Clara Ruggieri, assessore alle politiche culturali. Attori e musicisti eccezionali. Un particolare ringraziamento desidero rivolgerlo al nostro direttore artistico Moni Ovadia e al condirettore Mario Incudine che ci hanno proposto una stagione artistica di altissimo livello”.
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Città Nuova, 18.3.2017
Intervista
Montalbano: le ragioni del successo secondo il dottor Pasquano
Una simpatia unica, una squisita umanità e un grande talento teatrale certificato anche dal ruolo del dottor Pasquano ne Il commissario Montalbano che lo ha reso celebre. Lo raggiungo per telefono mentre è in ospedale per un breve ricovero, ma accetta volentieri di essere intervistato, con la sua solita gentilezza e disponibilità. Un signore d’altri tempi. Nostra intervista a Marcello Perracchio, classe 1938.

[...]
Deve la sua popolarità a Montalbano, quali sono le ragioni di questo successo? Montalbano è un uomo pulito, onesto, con le sue debolezze e difetti. Però non si arrende mai, non cede mai, e di questo c’è bisogno in Italia. Persone votate al bene e non al male. I tv movie de Il commissario Montalbano non presentano la storia romanzata di fenomeni delinquenziali, ma parlano della natura umana nella sua interezza con luci e ombre. Montalbano, come diceva Pirandello, è un personaggio che sfugge di mano all’autore, prende la sua strada, vive una vita propria. Spesso in Italia si preferisce raccontare storie votate al male: giovani delinquenti, drogati che vivono ai margini della società, mentre abbiamo dei straordinari giovani dedicati al volontariato, all’assistenza e queste storie non vengono mai rappresentate. Mentre in tv, nello spettacolo si potrebbe assistere a belle storie, esempi di dignità, di lealtà, di vera amicizia, di collaborazione, di possibilità di aiutare gli altri, di concedersi agli altri. Se si facesse, penso che il mondo sarebbe migliore. È anche una questione educativa.
La Sicilia è la terra dei greci. Siracusa contendeva ad Atene il primato culturale e fino al XIII secolo la lingua più parlata è stata il greco. Non è stata terra di conquista e di passaggio, ma una terra dove si è sedimentata una civiltà… La Sicilia affonda le sue radici nella tragedia classica ed è un caleidoscopio di culture: greci, romani, arabi, normanni, francesi, spagnoli. Ci sono tutte le sfumature dei caratteri di tutto il mondo. In Sicilia tutto è a tinte più forti. Sarà il calore dell’Etna, il sole, ma tutto accentuato, moltiplicato, esagerato. Siamo una tragedia greca. Montalbano è una tragedia, ma raccontata con la sottile ironia che solo Camilleri riesce a dare con l’interpretazione straordinaria degli attori.
Cosa ha messo di suo nell’interpretazione del dottor Pasquano. È sempre stato così definito o è variato il personaggio? Nasce come un normale medico legale, poi la caratteristica dell’attore lo ha trasformato perché, insieme a Luca Zingaretti, siamo riusciti a creare un gioco, un duello al fioretto, basato sulla stima reciproca, con piccoli torti che si scambiano con tanta bonomia e tanto affetto, perché in realtà sono due personaggi che si vogliono bene, molto ben integrati. Montalbano ha bisogno del dottor Pasquano. E viceversa.
Noto che, a volte, in questi duetti tra il dottor Pasquano e Montalbano, Luca Zingaretti sorrida sotto i baffi, come che si trattenesse dal ridere. È così? Ogni volta è un incontro festoso quando ci ritroviamo sul set. Siamo riusciti a trovare una sintonia e Luca Zingaretti si diverte. È un gioco che piace anche al pubblico. Sia io che Luca Zingaretti aggiungiamo dei particolari, una trovata, una sfumatura, un finale diverso da come era prevista la scena. Se ci divertiamo noi, si diverte anche il pubblico.
Aurelio Molè
 
 

Scrivo Libero, 19.3.2017
Teatro Pirandello: “Il Casellante” ed è subito applauso per lo spettacolo di Moni Ovadia ed Incudine – FOTO
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Sarà l’amore smodato e campanilistico verso un autore agrigentino, sarà il talento e la bravura di Moni Ovadia, Mario Incudine e Valeria Contadino, sarà la musica, rigorosamente eseguita dal vivo, sarà la lingua, quel “vigatese” che grazie al “Commissario Montalbano” è entrato nel linguaggio parlato di tutti, fatto sta che ieri al Teatro Pirandello, gli scrosci degli applausi per “Il Casellante”, sono stati davvero fragorosi.
ll romanzo di Andrea Camilleri trasposto in scena da Giuseppe Dipasquale, racconta l’ossimoro che è la Sicilia con un linguaggio tipico di Camilleri che impartisce il “la” ad una storia che ha una melodia insita anche quando gli strumenti non sono in scena. Diversi e forti i temi trattati, la guerra, l’amore, la violenza, la maternità negata, la follia ed il destino che a volte può cambiare le sorti.
Lo spettacolo interpretato con mestiere da Moni Ovadia, che, quasi in modo “brechtiano”, “indossa” diversi personaggi: il narratore il barbiere, il giudice, un gerarca, il ferroviere autore della violenza sessuale e perfino la “mammana” del paese. Insieme a lui, ormai quasi in sodalizio inscindibile, Mario Incudine nel ruolo del casellante e Valeria Contadino, nei panni dolenti di Minica, la moglie incinta del casellante vittima di un abuso che la condanna alla sterilità e alla follia (struggente nella ripetizione quasi ossessiva “naturalmente ha perso il bimbo”).
La “colonna sonora”, viva, del “Casellante” è a cura dello stesso Mario Incudine, valente cantante, attore, polistrumentista che propone ora rivisitazioni di canzoni dell’epoca fascista o delle serenate, ora pezzi originali con l’apporto dei musicisti Antonio Vasta e Antonio Putzu. Solo ad un certo punto Incudine, “deposita” gli strumenti, quando per estremo amore verso Minica, la aiuta a “trasformarsi” in albero che “Dà frutto” e da quel momento la musica stessa diventa diegetica, dell’anima, qualcosa di impalpabile ed etereo.
Tra agro e dolce, tra risate e commozione, tra musica e il rumore assordante delle bombe, sarà sempre il destino, a volte sorprendente, che darà una svolta ad una storia che tanto ha appassionato il pubblico agrigentino.
Marcella Lattuca
 
 

infoAgrigento, 19.3.2017
“Il Casellante” di scena al Teatro Pirandello: tripudio di applausi per la trasposizione di Dipasquale
Di scena al Teatro Pirandello di Agrigento la trasposizione del celebre romanzo di Andrea Camilleri

La quinta lascia subito senza fiato: un carrello a pedale, l’antica sedia da barbiere, un tavolo e dei rami di albero. E poi, ancora, i vestiti di scena che richiamano la Sicilia degli anni ’40, al tramonto dell’era fascista nel pieno dei bombardamenti del secondo conflitto mondiale. Chi ha letto, ed amato, l’ormai celebre, romanzo di Andrea Camilleri “Il Casellante” riesce a cogliere immediatamente tutti gli ingredienti della storia. E lo spettacolo, come il libro, calamita l’attenzione dello spettatore, dall’inizio sino all’epilogo, in un susseguirsi di emozioni e colpi di scena, sapientemente rappresentati da un cast eccezionale, coordinato dalla regia di Giuseppe Dipasquale.
La storia, come detto, ci riporta nelle assolate campagne di una Sicilia lontana nel tempo, a pochi chilometri dalla Vigata letteraria abilmente costruita da Andrea Camilleri, sulla antica linea ferroviaria a scartamento ridotto per Castellovitrano, realmente esistita e chiusa all’esercizio nel 1986. Nino Zarcuto, è un giovane uomo che dopo aver perso il mignolo e l’anulare mentre era intento a manovrare dei carri ferroviari, viene inviato in servizio presso un casello poco lontano da Vigata. Sua moglie, Minica, conduce una vita semplice e solitaria, scandita dal passaggio dei treni e dalla cura dell’orto retrostante. Una esistenza macchiata, però, dall’assenza di un figlio che non ne voleva proprio sapere di arrivare. Attraverso l’aiuto di una anziana donna del paese, che indica una cura al Zarcuto, la donna riesce finalmente a rimanere incinta. Ma una notte d’estate, la vita della coppia fu stravolta: la povera Minica viene selvaggiamente stuprata e quasi uccisa, perdendo la creatura che portava in grembo. Un episodio che farà scivolare, apparentemente, la donna verso la follia, al punto tale di volersi trasformare in albero. Una metamorfosi che, alla fine, non riuscirà a compiersi per l’arrivo di un miracolo improvviso.
La trasposizione teatrale de “Il Casellante” eccelle sotto ogni punto di vista: incisivo e spettacolare Moni Ovadia nelle vesti di narratore e, contemporaneamente interprete del barbiere, della mammana, del casellante Barrafato. Ottima interpretazione di Mario Incudine e Valeria Contadino rispettivamente Nino Zarcuto e la moglie Minica. Stupendi anche i costumi di scena, così come le musiche, reinterpretazioni di polke e mazurche in chiave comica a cura dello stesso Mario Incudine, insieme ad Antonio Vasta, autore tra l’altro della splendida “La crapa avi li corna” (ovvero la celebre serenata).
Alla fine dello spettacolo, pubblico del Pirandello in delirio: lunghi minuti d’applausi per un cast che è riuscito ad emozionare anche chi non aveva letto il romanzo.
Adesso non resta che attendere la trasposizione cinematografica del Casellante: a febbraio sono iniziate le riprese [La notizia è priva di fondamento, NdCFC]. Il progetto è nelle mani del regista Rocco Mortelliti dovrebbe arrivare sul grande schermo dopo l’estate.
Pietro Fattori
 
 

La Repubblica (ed. di Napoli), 19.3.2017
"Scrivo per il teatro ma navigo a vista"
LE ORIGINI Sono nato in un paesino sperduto, in casa mia non c'erano i libri nè la tv
LA SCUOLA Napoli è stata la mia scuola: Neiwiller, Martone, Servillo
LA SCENA Ho il panico dell'attore e dell'autore: scrivo tanta roba e poi la butto via
IL SUCCESSO Con la serie Montalbano dieci milioni di spettatori: mi chiedo perchè...

Un piccolo spettacolo prezioso, il pubblico accorre ad applaudire Peppino Mazzotta, autore, regista e protagonista di questo "Giuseppe Z.", al Ridotto del teatro Mercadante. È la storia di un uomo, un "povero cristo" emigrato e semianalfabeta che, per una sua ribellione verso il potere, spara cinque colpi di pistola contro il Presidente. Oggi, l'ultima replica al Ridotto del Mercadante, che è stato costantemente affollato fin dal giorno della prima.
[…]
Però la popolarità è giunta con il cinema, anzi con la televisione.
«Il cinema è stato un caso, appena arrivato a Napoli con Stefano Incerti che girava "Prima del tramonto", poi Licia Maglietta mi procurò un provino con Alberto Sironi, ma per il teatro rinunciai. Mi rimproverarono tutti. L'anno dopo Sironi doveva fare il cast di Montalbano e mi richiamò».
E fu un grande successo.
«Un'avventura incontrollata ed anche incontrollabile, noi stessi ne siamo stati sorpresi. Non capiamo nemmeno bene il perché di tanto successo ma ne siamo lieti: 10 milioni di telespettatori per una replica non si erano mai visti».
E lei per tutti è diventato Fazio...
«Una identificazione totale per tutti noi. Camilleri dice che non riesce più a scrivere senza avere nella mente i nostri volti e le nostre voci, non riesce a non visualizzarci. Quando incominciò a scrivere i primi Montalbano aveva in mente Pietro Germi, poi giunse Luca e non è riuscito più a sganciarsi, e via via anche noi siamo entrati fisicamente nei personaggi. Ora anche nei romanzi troviamo dei riferimenti diretti proprio a noi».
Quando la chiamano Fazio lei si imbarazza?
«Un poco: Fazio mi appartiene ed io gli appartengo. È come un parente a cui si vuole bene ma anche un po' ingombrante. Ci hanno sovraesposti e quando poi vogliamo partecipare ad altri film diventa più difficile perché siamo troppo identificati con questi».
Prossimi impegni in vista?
«Da aprile a giugno in Sicilia per la nuova serie di Montalbano, poi un altro film, e poi spero di tornare a teatro, ma questa volta solo da attore, interpretando un personaggio che non ho scritto io».
Giulio Baffi
 
 

RagusaNews, 19.3.2017
Il commissario torna. A lavorare, e a prendere il sole
Il dovere, il piacere

Ragusa - La data del primo ciak è fissata per il 24 aprile. Ma la troupe della Palomar sarà armi e bagagli in provincia di Ragusa già il giorno di pasquetta, il 17 aprile. Due nuovi episodi del Commissario Montalbano saranno giranti fra aprile e giugno a Punta Secca, Scicli e Ragusa. Le prime due settimane di lavorazione si concentreranno nella casa di Punta Secca, dove saranno girate le scene degli interni, le passeggiate -e le nuotate, in spiaggia, e tutti gli affacci e i pranzi in veranda.
Il set si sposterà quindi a Scicli, in maggio, dove saranno girate le scene del commissariato, gli interni della stanza del Questore, i dialoghi in via Francesco Mormina Penna, con gli arrivi della immarcescibile Fiat Tipo 1.6 iniezione elettronica. Quindi, saranno girate le scene a Ragusa e nelle campagne del ragusano. Luca Zingaretti non disdegnerà i momenti di relax al mare con la bellissima moglie, Luisa Ranieri, e le due bimbe.
 
 

La Repubblica (ed. di Genova), 20.3.2017
Lunaria Teatro
Piazza San Matteo 010/2477045
Sabato 25 marzo ore 21 Domenica 26 marzo ore 16.30
Maruzza Musumeci
dal romanzo di Andrea Camilleri con Pietro Montandon costumi Maria Angela Cerruti scene Giorgio Panni e Giacomo Rigalza regia Daniela Ardini biglietti sono di 12 euro per l'intero e 10 euro per il ridotto (under 26, over 65, possessori di Green Card e residenti municipio IX Levante)
 
 

RadiocorriereTv, 20.3.2017
Vita da strada

Lo ammetto, tra Montalbano e Schiavone faccio il tifo per il secondo. Adoro il suo “modus operandi”, lo trovo più vicino alla nostra quotidianità.
Onestamente però non posso nascondere che il Commissario di Andrea Camilleri sia molto speciale. Una macchina perfetta che macina record su record. E’ l’unica fiction che è riuscita ha conquistare tre record assoluti in una serata: 11 milioni e 300 mila spettatori e il 44,1% share. Miglior fiction degli ultimi quindici anni, che ha sfondato il tetto del miliardo di telespettatori sommando tutte le puntate che abbiamo visto in diciotto anni.
Numeri da capogiro, quindi. Numeri da serata finale del Festival di Sanremo o di qualche attesissima partita della nostra nazionale di calcio.
Un grande cast, una grande regia, ma soprattutto una grande isola, quella Sicilia che ha adottato Luca Zingaretti e tutti gli altri attori. E così Ragusa, Scicli, Modica, Comiso, Punta Braccetto, Punta Secca, dove sorge la celebre casa del commissario che si affaccia sul mare, sono diventati luoghi presi d’assalto da migliaia di turisti provenienti da ogni parte del mondo. Un’area, quella Iblea, che da quando è iniziata la serie tv ha visto aumentare il turismo del venti per cento ogni anno.
E non è finita, perché Montalbano ha sicuramente altri “colpi di scena” da riservarci.
Buona settimana.
Fabrizio Casinelli
 
 

BlogSicilia, 20.3.2017
Stasera ne "La piramide di fango" su Rai1
Televisione, l’attore palermitano Massimo Marotta a fianco del commissario Montalbano

Rai Uno ripropone stasera “La piramide di fango”, episodio della fortunatissima fiction “Il commissario Montalbano”, in onda stasera alle 21,25.
Nel cast l’attore palermitano Massimo Marotta – già apprezzato ne “La Baronessa di Carini” – nel ruolo del pm Jannaccone, in una storia diretta dal regista Alberto Sironi.
“Il mio personaggio – spiega Marotta – si muove tra indagini oscure, depistaggi, corruzione e malaffare nelle imprese edili, in un’atmosfera notturna e inquietante”.
[...]
 
 

Télam, 21.3.2017
Andrea Camilleri: "Francisco es la única persona con la cabeza bien puesta"
En medio del éxito rotundo que disparó en la televisión italiana la emisión de nuevos capítulos de las andanzas de Salvo Montalbano, el creador del comisario más famoso de Sicilia recibió a Télam en su casa de Roma

En medio del éxito rotundo que disparó en la televisión italiana la emisión de nuevos capítulos de las andanzas de Salvo Montalbano, el creador del comisario más famoso de Sicilia, Andrea Camilleri, recibió a Télam en su casa de Roma y reconoció su "relación de amor-odio" con el personaje, reveló las ganas que a menudo tiene "de terminarlo" y dio pistas sobre el final de la serie "que está escrito hace más de diez años esperando a ser publicado", y que llevará de título "Riccardino".
Con 91 años y prácticamente ciego por un glaucoma que lo afecta hace tiempo, Camilleri (Porto Empedocle, Sicilia, 1925) se prepara para pasar la Pascua en su tierra natal. Hace dos años que no pisa suelo siciliano y añora dar un paseo por el muelle y respirar "su" mar.
Para la misma época está previsto que se publique en Italia "La rete di protezione", una nueva entrega de la serie nacida en 1994 con "La forma del agua" y de la que en la Argentina se publica en estos días la colección de relatos "Muerte en mar abierto" (Salamandra).
Tras una vida como guionista y dedicado al mundo de la televisión y el teatro, Camilleri inició la serie del comisario Montalbano con 69 años. A la actualidad, van más de 25 libros dedicados al personaje. El último publicado en Italia, "L'altro capo di filo" (Sellerio, 2016), fue un doble suceso: se trató de su libro número 100. Sí, 100. Y el primero en el que, ya imposibilitado de distinguir más que formas, debió escribir dictándole a Valentina, su asistente desde hace más de quince años.
Télam: ¿Cómo vive el éxito que está teniendo la serie de Montalbano que emite la RAI? Los dos episodios nuevos llegaron al 49% de share, con más de diez millones de espectadores cada uno.
Andrea Camilleri: Lo vivo un poco asustado. Que una ficción tenga un público igual al del festival de San Remo, 10 millones de personas... asusta. Pero lo que me ha asustado de verdad es que, según la RAI, en 18 años de transmisión, desde el primero en 1999, han superado los 1.000 millones de televidentes, en un país de 60 millones de habitantes. La gente lo ve, lo vuelve a ver, una y otra vez, por generaciones. Es terrorífico.
T: ¿Ya se volvió autónomo Montalbano?
AC: Sí. Mire, a menudo pongo en su boca algunas cosas de mis ideas políticas. Y hay lectores que me han escrito diciéndome que "no tengo derecho" a ponerle mis ideas políticas porque es, dicen ellos, "de todos nosotros".
T: Y eso que en cada una de las obras es infaltable el aviso en el que se advierte que se trata de una ficción...
AC: Estoy obligado a poner que es una advertencia porque tantas personas se identifican... Me llaman y me dicen "usted está hablando de mi tío"... ¡Y yo no sé quiénes son! La serie Montalbano está ambientada en Sicilia, no voy a usar nombres franceses o alemanes. Pero pongo esto para evitar problemas... si alguna de las historias que relato pasa de verdad, trato de aclararlo también.
T: En la ficción Montalbano cumple 67 años, ¿se acerca el final?
AC: El final lo tengo ya escrito, hace casi doce años. Pero es un final sin derramamiento de sangre. Tampoco se jubila: es lo máximo que puedo decir. Nació de un encuentro en París con Jean Claude Izzo, un escritor francés que murió muy joven, y Manuel Vázquez Montalbán... hablábamos de cómo terminaríamos nuestros personajes. Izzo habló de que lo iba a hacer herir gravemente; Manolo contó una historia complicadísima. Cuando me tocaba a mi justo sonó el teléfono, atendí y cuando volví ya estaban hablando de otra cosa. Pero por suerte, porque ellos dos murieron y yo quedé. Así que razonando sobre esto me vino a la cabeza una forma verdaderamente original de terminarlo. Cuando sienta que no puedo escribir más de Montalbano porque me enojé o llegué al límite de edad o al Alzheimer, ahí llamo al editor y le digo "publíquenlo, buenas noches".
T: ¿En estos años nunca tuvo la tentación de cambiar ese final?
AC: No. Tuve la tentación de terminar con Montalbano, sí, y a menudo. Un personaje de tal suceso es claro que termina condicionando también las otras cosas que escribo. Creo haber escrito otras cosas más importantes... pero el tema es Montalbano. Cada tanto le digo 'vos sos un chantajista'. Porque cuando sale un nuevo episodio del comisario, los libros que no son de Montalbano se venden más. Ayuda a toda la obra. Y por lo tanto tengo una relación con él de amor y odio.
T: Un amor que empezó tardío en su vida...
AC: Sí, "La forma del agua" es de 1994, cuando tenía 69 años. Siempre traté de experimentar escribir en italiano, digamos, y publiqué diversas novelas. Pero mi forma verdadera de escribir es esta lengua que se ve en Montalbano, que tiene mucho del dialecto siciliano y de un italiano un poco bastardo.
T: ¿Y cómo se lleva con las traducciones? ¿Es como se dice en Italia, "Traduttore/Tradittore"?
AC: Muy a menudo la traducción española simplifica el lenguaje, pero quizás por imposibilidad de traducir, porque algunas cosas que escribo son francamente de difícil traducción. Pero algo debe tener igual.., ha tenido éxito en el exterior. Para algunos idiomas es un problema, para otros ni me preocupa. Pero cuando me traducen en chino o en japonés, no debo hacer más que encomendarme a Dios y a la seriedad del traductor.
T: Para muchos lectores, Montalbano es además su primer contacto con Sicilia...
AC: Es la Sicilia que tengo en el fondo de la memoria la que aparece, no la verdadera Sicilia de hoy. Asume en mis recuerdos formas más delicadas de las que tiene realmente. Es todo un juego de memoria...
T: ¿Y es traicionera la memoria?
AC: Sí, claro que es traidora... ¡aunque un poco menos que los traductores!
T: Las mujeres tienen un rol fuerte en las historias de Montalbano. ¿Qué significan para él?
AC: Ningún hombre siciliano admitirá una realidad, y es que en Sicilia rige el matriarcado. Las mujeres sicilianas sugieren al marido todo lo que debe hacer... mi abuelo era un gran propietario de tierras, yo era un niño, me gustaba dormir en su habitación y a veces lo sentía que le decía a mi abuela: 'Elvi, Elvi, mañana debo hacer tal cosa. ¿Cómo debo hacerlo?'. Es decir, buscaba razonar con su mujer sobre la técnica, la estrategia, para usar en esos temas y hacía lo que ella le decía. Esto es una cosa más difundida de lo que se piensa. La mujer no es solo la mujer, es amante, madre, compañera, cómplice.
T: ¿Y para usted qué significan las mujeres?
AC: Yo estoy por cumplir el 28 de abril 60 años de casado, soy una raza en vías de extinción. (Se refiere a Rosetta Dello Siesto, con quien tuvo tres hijas). Creo que el 99% de esto es mérito de mi mujer, de su infinita paciencia. Incluso tiene una técnica infalible: cuando era más joven me enojaba seguido. Y ella no me decía 'estás equivocado', sino que me decía 'tenés razón'... y después de media hora me decía "pero si reflexionas bien..." ¡Y después de una hora capaz que iba yo a pedirle perdón y le daba la razón a ella!
T: ¿Y qué es la felicidad para Camilleri?
AC: Saber contentarse con lo que se tiene. Siempre me contenté con lo que tuve, y hubo momentos en los que no tenía una lira, y no era infeliz por esto. Me contentaba con lo poco que tenía. Y mi mujer siempre tuvo el mismo modo de pensar. El dinero, si está, bien; sino está, paciencia. Lo importante es el hecho de compartir la vida juntos como se presenta. Esta filosofía práctica nos ha permitido de llegar pacíficamente a ser bisabuelos en 60 años de matrimonio.
Un "no creyente" que destaca la figura de Francisco
El primer libro que publicó Andrea Camilleri fue en 1959. En esa obra, "I teatri stabili in Italia (1898-1918)", aparecen varias referencias a la Argentina, y luego el escritor visitó el país en épocas de Raúl Alfonsín para presentar un espectáculo en el Teatro Cervantes. De aquel viaje recuerda con simpatía cómo "allá son todos hijos de italianos, o casi".
Este año, de alguna forma, volverá: está confirmada la ceremonia para el segundo semestre en la Embajada argentina en Roma en la que la Società Italia Argentina (SIA), que dirige el italiano Giorgio De Lorenzi para estrechar los lazos bilaterales, le entregará su tradicional distinción destacando el aporte del creador de Montalbano a la difusión de la cultura italiana en la Argentina.
Contento con la distinción, en la entrevista con Télam en su casa de Roma, el escritor siciliano se declaró "no creyente", con cierta "envidia" hacia los que creen pero destacó igual la figura del Papa Francisco: "es la única persona con la cabeza bien puesta".
-Télam: Varios temas que usted menciona en los libros de Montalbano, como la cuestión migratoria, aparecen a menudo en el discurso del Papa. ¿Qué opinión tiene un hombre de izquierda como usted del Pontífice?
-AC: No soy creyente. Respeto mucho, lo digo con toda sinceridad, a todos los que creen. Y un poquito los envidio. Ahora bien, hace unas semanas, la CGIL (Confederazione Generale Italiana del Lavoro) me pidió que escribiera unas líneas sobre el referéndum por el tema del trabajo. Y escribí sobre cómo la pérdida del trabajo es una ofensa a la dignidad del hombre... y ayer (por el miércoles 15), con gran placer, escuché al Papa usar las mismas palabras. ¡Pensé que me había plagiado! Pobre Papa, es la única persona en este momento que tiene la cabeza bien puesta. Es un papa jesuita, y los jesuitas tienen una larga tradición, especialmente en América Latina, ¿no? Es un hombre coherente.
T:¿Hace cuánto que no va a Sicilia?
AC: Hace dos años. Cruzo los dedos ahora porque voy a ir pronto, y soy muy supersticioso. Quisiera ir el 12 e abril, pasar allá la Pascua y volver luego. Estar en Porto Empedocle, hacer un paseo por el muelle, respirar el aire de mi puerto. Cada vez que voy allí estoy bien.
T: Vigata, la ciudad donde se desarrolla la serie de Montalbano, es una suerte de alter-ego de Porto Empedocle. ¿Es el comisario un alter ego suyo?
AC: El tiene más de mi papá que de mi, que no tiene nada. Esto lo descubrió mi mujer. Una cierta manera de tratar a las personas, la lealtad, las bromas. Viví mucho en el campo, y también recuerdo por ejemplo el sentido que tenía mi padre por la comida y los alimentos. Igual que Montalbano.
T: En "Muerte en mar abierto", el libro que se publica estos días en la Argentina, aparece un joven Montalbano, muy activo contra las mafias, un grupo que no suele ser muy representado en sus libros.
AC: Yo no quiero que en mis libros la mafia tenga mucha importancia porque bien o mal se termina dándoles espacio, haciéndolos nobles, haciendo olvidar lo que son. En "El Padrino", la maravillosa interpretación de Marlon Brando hace que se vuelva un personaje simpático, y era alguien que ordenaba asesinatos. Para hablar de la mafia hace falta andar con pies de plomo. El único libro que encontré capaz de hablar de la mafia sin hacerlos héroe es "Gomorra" (por el libro de Roberto Saviano).
 
 

TvZap, 21.3.2017
Ascolti tv, Montalbano in replica vince ancora con 8,7 milioni
In prima serata Rai1 doppia Canale 5 mentre in access prime time esordio con il botto per Soliti Ignoti – Il ritorno con la nuova conduzione di Amadeus

Il Commissario Montalbano, una garanzia. La replica dell’episodio La piramide di fango della serie interpretata da Luca Zingaretti ha raccolto 8 milioni 701 mila spettatori pari al 36.40% di share. Grande attenzione anche per Camilleri racconta Montalbano, in onda alle 21.29, che ha ottenuto 8 milioni 366 mila e il 29.90%.
[…]
Stefano Padoan
 
 

TvZoom, 21.3.2017
Ascolti Tv analisi 20 marzo: Montalbano super, ma non record. Flop Canale 5, risale Del Debbio, Amadeus batte Striscia
In prima tv La piramide di fango aveva fatto 10,3 milioni e 40,96%. Ieri in replica ha conseguito 8,7 milioni con il 36,35%. Bilancio meno eclatante della replica di Una faccenda delicata. Dietro si è liquefatto il film di Canale 5, mentre Aldo, Giovanni e Giacomo e Paolo Del Debbio (con Salvini) hanno salvato l’onore del Biscione. Benissimo I Soliti Ignoti, in nottata ok Pio e Amedeo.

Il sangue non si è sciolto, il risultato è stato ottimo ma non sensazionale. Oramai si chiedono sempre nuovi miracoli televisivi a Il Commissario Montalbano. Sette giorni fa c’era stato un altro bilancio clamoroso e nelle proporzioni inatteso. Erano stati infatti senza precedenti (per una replica) gli ascolti riscossi da Una faccenda delicata, l’episodio de Il Commissario Montalbano trasmesso per la prima volta l’anno scorso. In prima tv aveva ottenuto 10,862 milioni di spettatori con il 39,07% di share e quindi dodici mesi dopo, con il traino dei due episodi freschi del 2017, aveva conseguito 9,742 milioni di spettatori ed il 39,74%, conquistando più share della prima tv. Così facendo, la replica de Una faccenda delicata era entrato nella top four per percentuale di pubblico (primo posto per il best title di questa stagione, Come voleva la prassi, sette giorni fa al 44,1%) e al decimo assoluto per ascolti. Così, almeno in teoria, anche la replica de La Piramide di fango aveva tante chanches di fare un risultato imponente. Ma è stato così solo in parte.
L’anno scorso la storia che vedeva Teresa Mannino come guest star delle avventure camilleriane aveva portato a casa 10,333 milioni di spettatori con il 40,95%, mentre ieri ne ha convinti 8,7 milioni con il 36,35% di share, battuto per rendimento dal primo titolo del 2016. Ma del resto era presumibile un calo fisiologico di Luca Zingaretti & Co.
[...]
Emanuele Bruno
 
 

e-duesse, 21.3.2017
Televisione
RaiCom: al MipTv con Montalbano e gli altri
La divisione Rai porta a Cannes le ultime fiction prodotte dal servizio pubblico

Novità e classici: questo il mix che compone il catalogo che RaiCom, la divisione commerciale Rai guidata da Mattia Oddone (Head of International Sales) porterà al MipTv di Cannes (3-6 aprile). Si comincia dall’irrinunciabile Commissario Montalbano (Detective Montalbano, 32x100’), cui si aggiunge Non uccidere (Close Murders, nei formati 12x100’ o 24x50’), di cui si attende in Italia la seconda stagione. Entrano in catalogo I bastardi di Pizzofalcone (The Bastards of Pizzofalcone, 6x100’), I fantasmi di Portopalo (The Ghosts of Portopalo, 2x100’), Scomparsa (Tangled Lies, 6x100’) e il tv movie su Lucia Annibali, Io ci sono (The Scarred Heart, 1x100’). Non manca la sezione documentari, con Crazy for Football di Volfgango De Biasi e la collection La Scala Docs, dedicata ai grandi artisti che hanno calcato le scene del teatro milanese.
 
 

La Sicilia, 21.3.2017
Il commento
Un’altra Sicilia oltre il malaffare

Può fare notizia una Sicilia che non sia quella naif e caricaturale scritta da Camilleri o quella arruffona e confusa ospitata da Giletti? Può esserci una narrazione della Sicilia che prescinda dall’improbabile italiano con cui l’agente Catarella si rivolge a Montalbano o dall’altrettanto improbabile eloquio con cui impresentabili ex (più o meno) notabili della politica siciliana rispondono in tv ai demagoghi dell'anti "casta con le sarde"? Può esistere una Sicilia altra che non sia soltanto fin troppo facile metafora di tutte le nefandezze della (dis)amministrazione pubblica?
Sul "Corriere della Sera" di ieri Paolo Mieli - con tutta l'autorevolezza e il rigore che ne consegue -affonda il bisturi dell'analisi su ferite recenti e non.
[...]
Antonello Piraneo
 
 

Adnkronos, 22.3.2017
Al Parco della Musica in scena 'Bianca Lancia', reading interpretato da Lella Costa su testo di Camilleri
Il 28 marzo in scena all'Auditorium Parco della Musica 'Bianca Lancia', interpretato da Lella Costa nell'ambito della rassegna 'Inedito d'autore'


Andrea Camilleri in scena all'Auditorium Parco della Musica con il 'reading', interpretato da Lella Costa, dedicato a Bianca Lancia, ultima moglie di Federico II di Svevia (foto di Musacchio 6 Ianniello)

Andrea Camilleri firma una pièce per l'Auditorium Parco della Musica (Sala Sinopoli- unica rappresentazione il 28 marzo) dedicata a 'Bianca Lancia' l'ultima moglie di Federico II di Svevia, un 'reading' teatrale interpretato dall'attrice Lella Costa. Lo spettacolo è il secondo appuntamento nell'ambito della rassegna 'Inedito d'autore', dedicata al teatro di narrazione, quest'anno declinato interamente al femminile.
Bianca Lancia fu l’ultima moglie di Federico II di Svevia, sposata poco prima di morire, probabilmente per legittimare la posizione degli amati figli avuti dalla relazione clandestina. Un amore segreto durato più di vent’anni.
Nulla è certo nella biografia di questa donna realmente vissuta. Nessuna fonte sicura persino sul suo vero nome. Bianca Lancia (o Lanza), Bianca d'Agliano... discendente, forse, da due aristocratiche famiglie piemontesi che avevano cercato fortuna nel Regno di Sicilia. Dalla relazione con Federico II (dopo i tre matrimoni con Costanza d'Aragona, Isabella d'Inghilterra, Jolanda de Brienne) nacquero due figli, Costanza e Manfredi.
Il testo che Andrea Camilleri ha scritto in collaborazione con Annalisa Gariglio e Laura Pacelli parte da una serie di oggetti misteriosi appartenuti a 'Bianca Lancia' con l'intento di ricostruire una possibile biografia. ''Conosciamo tutti la Scuola Siciliana di poesia promossa da Federico II di Svevia, i poeti toscani del Dolce Stil Novo le devono molto. Ma chi fu la musa ispiratrice delle magnifiche poesie dell'imperatore è ignoto'', ha dichiarato Lella Costa.
''Di Bianca Lancia D'Agliano non esiste una biografia certa e approfondita - ha aggiunto - Quello che di sicuro si sa è che fu l'amante di Federico II, l'unica donna che riuscì a conquistare veramente il suo difficile cuore. Andrea Camilleri le dedica alcune pagine nel libro 'Donne' - ha proseguito Lella Costa -Sono partita da quelle splendide parole e ho immaginato di essere io Bianca Lancia''.
''Nel tentativo di scoprirla - ha confessato ancora - mi sono imbattuta in un affascinante viaggio nella storia medievale, nella letteratura e, laddove mancavano notizie, mia alleata è stata l'immaginazione. E così ha preso vita una donna dalle mille sfaccettature''.
Dopo il successo della scorsa edizione, per il 2107 Andrea Camilleri e Annalisa Gariglio, con Laura Pacelli e Alessandra Mortelliti, si sono messi sulle tracce di tre nuove storie da raccontare, curiosando fra quegli episodi che non sono passati sotto i riflettori della Grande Storia, sempre accompagnati dalle musiche di Mario Incudine.
Dopo l'omaggio a 'Rosalie Montmasson', moglie di Francesco Crispi, unica donna che partecipò alla spedizione dei Mille, martedi' prossimo sarà la volta, dunque, dell'amore segreto di Bianca Lancia, l’ultima moglie di Federico II di Svevia sposata prima di morire.
Prossimo appuntamento all'Auditorium Parco della Musica con 'Inedito d'autore' con Rina Faccio, più conosciuta con il nome di Sibilla Aleramo, scrittrice e poetessa tra le prime a parlare della condizione femminile, spettacolo affidato alla regia (in tandem) di Nino Frassica e Alessandra Mortelliti.
Le storie sono state scelte ed elaborate, in forma di canovacci, da Andrea Camilleri, Annalisa Gariglio, Laura Pacelli e Alessandra Mortelliti. La drammaturgia per la scena sarà affidata di volta in volta a Emma Dante, Lella Costa, Nino Frassica e Alessandra Mortelliti, così come il compito di rendere vivi i personaggi, attraverso la propria interpretazione e personale regia.
 
 

Ultima Voce, 22.3.2017
Orizzonti
Il Casellante. Quando il teatro è un’ode alla vita

Si è conclusa la tournée siciliana de Il casellante, di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale. Si è conclusa con il sold out al Teatro Biondo di Palermo, al Teatro Di Lorenzo di Noto, al Teatro Garibaldi di Enna, al Teatro Impero di Marsala e al Teatro Pirandello di Agrigento. Tutto un tripudio di applausi commossi ed estasiati. Non poteva essere altrimenti, del resto un successo simile è stato riscosso in tutti i teatri delle città italiane che hanno ospitato la tournée. Sarà perché il cast è composto da punte di diamante del calibro di Moni Ovadia, Mario Incudine e Valeria Contadino, incastonate in una perfetta cornice musicale composta da Antonio Vasta (sua è l’esilarante La crapa avi li corna) e Antonio Putzu. E ancora Sergio Seminara e Giampaolo Romania. Sarà, forse, perché si parla di un capolavoro di Camilleri, facente parte della Trilogia delle metamorfosi (Maruzza Musumeci, Il casellante, Il sonaglio).
Sarà che è tutto questo e molto altro, condensato in un’opera omnia che comprende tutta la quintessenza del teatro, strutturata a metà tra testo e musica, tra metanarrazioni e rimando continuo.
Quasi fosse un intreccio circolare. Poco importa se i tempi della pièce sacrificano l’allusione a quell’occhio strizzato dagli americani alla mafia, ne Il casellante si ride e si piange e si torna a sorridere, con un risveglio alla vita, in un continuo rincorrersi di musica e battute. C’è l’amore, l’idillio e c’è l’odio, la violenza. C’è profumo di vita e tanfo di morte. C’è la sorte, talvolta beffarda, talaltra indulgente. E c’è lei, la protagonista assoluta che è la parola. Non una qualsiasi, la parola siciliana, cuntata. E non una parola siciliana qualsiasi, ma quel siciliano colorito e musicale che è proprio di Camilleri. Quella parola che nasce solo a Vigata insomma.
La parola, parlata o cantata che sia, si serve degli attori per esaltare sé stessa e già l’ascolto traccia sentieri circolari che il bravissimo Mario Incudine percorre senza sosta, col suo carrello che campeggia la scena. L’artista ennese è Nino Zarcuto, giovane casellante con la passione per il mandolino – che suona dal barbiere Don Amedeo -, innamoratissimo di sua moglie Minica, rappresentata da una struggente Valeria Contadino. Il loro ménage familiare è il filo che percorre l’intera rappresentazione, cuntata ad arte da un immenso Moni Ovadia, in scena come narratore, barbiere, giudice, gerarca, stupratore e meravigliosa mammana. Amore e violenza, scrivevamo. L’amore dei due sposi, l’attesa di un figlio e la violenza dello stupro, perpetrato da colui che sembrava un “bravo cristiano”, il ferroviere (Moni Ovadia) solitario e taciturno, nella Sicilia fascista degli anni Quaranta.
La forza espressiva trae origine in quell’intreccio interpretativo che rende ciascuno protagonista e lo riveste di una funzione ancillare al contempo. Senza Ovadia, si perderebbe il nesso temporale, il senso di verità e realismo, il grottesco e l’ilarità con la quale si irride al fascismo. Moni Ovadia dà anima e forza ai sentimenti di Nino e Minica. Dà spaccati di pura ironia, perché una mammana così competente e dalla battuta sferzante non si era mai vista. Al poliedrico Deus ex machina fa da degno contraltare Mario Incudine, cui il ruolo di Nino pare sia stato cucito addosso. Senza Incudine, il racconto di Ovadia non avrebbe la giusta coloritura e Minica diverrebbe una lirica dolente quasi incomprensibile. Senza di lui e di Antonio Vasta non parleremmo di uno spettacolo che è anche sonorità capace di contornare e definire ogni fremito, ogni spasimo.
È giovane e brillante Nino, il casellante onesto che conosce il carcere per aver trasformato le marce fasciste in mazurche. Conosce anche la devastazione, una volta libero e dopo aver appreso della violenza subita dalla moglie che “naturalmente ha perso il bambino”. E la follia, la voglia di vendetta, la violenza che scuote e ancora, come in un cerchio, l’amore che accudisce e che ritorna all’idillio.
Tra queste due sponde – tra Ovadia e Incudine – ondeggia la meravigliosa Valeria Contadino. Moglie fedele e devota, la cui grazia è conferita dalla dignità cui mai rinuncia nella sua vita semplice ed apparentemente dimessa. È mare calmo e dolce che diventa mareggiata, Minica, nel momento esatto in cui simula, denunciando, la violenza subita dinanzi ad occhi maschili attoniti. “Naturalmente ha perso il bambino”, la frase riferita con estrema freddezza, quasi fosse un insulso dettaglio, diventa un ossessivo mantra. La Contadino esalta, estremizzandola, la forza tutta femminile che nasce da un grembo gravido. Il corpo e la parola diventano un tutt’uno, consegnandola alla follia che la rende una novella Niobe. Ma se la sposa di Anfione, punita con la morte dei figli per aver peccato di superbia, volle diventare pietra per sfuggire al dolore, l’ostinata dignità di Minica, presente anche nella follia, la porta a diventare albero. Minica non potrà avere figli, ma vuole far parte di quel ciclo vitale che dona i propri frutti. Vuole mettere radici, essere innestata, vuole che quella maternità negata sia un dolore fertilizzante almeno così, da albero. Sublime, a questo punto, la liaison tra Nino e Minica. La follia non conduce allo smarrimento, ma si mescola all’amore. O forse sono la stessa cosa? Tutto si concentra nelle mani di Nino, che vendicano Minica, che la percuotono violente e disperate e poi la accudiscono amorevolmente. Nino, finalmente, capisce che può amarla così, innaffiando e nutrendo l’albero che vuole diventare. Fino a quando non interviene la sorte, la Tyche che Pindaro amava definire “salvatrice”. È lei che nel fragore di un bombardamento, in un’orgia di morte e lamenti, consegna la vita tra le mani di Nino, un fagotto i cui vagiti aprono uno squarcio nel petto di Minica. “Dunammillu”. La vita rinasce…
Alessandra Maria
 
 

Genova Post, 22.3.2017
Nel week end, al Teatro Emiliani di Nervi, "Maruzza Musumeci"

Levante - Sabato 25 e domenica 26 marzo, nell'ambito della Settimana del Teatro 2017, va in scena l'appuntamento clou della stagione di "Lunaria a Levante": l'anteprima nazionale di "Maruzza Musumeci", spettacolo inedito che la direttrice artistica Daniela Ardini ha tratto dall'omonimo romanzo del maestro Andrea Camilleri, una ambientata dal padre di Montalbano nella sua immaginifica Vigata negli anni a cavallo tra '800 e '900 e che, senza scomodare il celeberrimo commissario, racconta piuttosto delle peripezie di Gnazio Manisco – interpretato dall'attore Pietro Montandon – uomo "terragno", legato cioè alla terra più che al mare che, in un mondo sospeso tra mito e realtà finirà però per sposarsi con Maruzza, misteriosa e bellissima giovane che scopriremo essere una sirena.
«Il mito – spiega Daniela Ardini, che dello spettacolo è anche regista – è una fonte inesauribile di possibilità di interpretazioni del presente, delle relazioni tra le cose, i pensieri e il mondo. Anche in una "favola" strana, inquietante come quella raccontata da Andrea Camilleri nel suo romanzo Maruzza Musumeci, la nostra nuova produzione, ritornano i motivi classici della sirena: quello del suo canto che uccide e quello di una vendetta covata per millenni contro un Ulisse dedicato ai campi. Il protagonista Gnazio ritorna dall'America senza mai guardare il mare per dedicarsi a coltivare la terra, l'acquisto di un campo che è come un' isola sull'acqua.
«Il lavoro sul testo procederà nell'assoluto rispetto della parola di Camilleri, lasciando la fascinazione del racconto, di una lingua misteriosa (terragna e materica, velata e oscura) che dà forma alle cose, e suscita nella memoria di chi l'ascolta una serie infinita di echi e di rimandi. Il protagonista sarà Pietro Montandon, attore di grande esperienza e capacità mimetica. Attraverso il susseguirsi incessante degli eventi vogliamo prendere idealmente il pubblico per mano e condurlo in un viaggio attraverso una mitologia rude, selvaggia, sensuale, popolata da Aulissi Dimare, Sirene Catananne, cani feroci ma anche attraverso la poesia, l'ironia e la levità della storia d'amore di Gnazio e Maruzza, fino al messaggio finale dell'immortalità del canto delle sirene racchiuso in una conchiglia che dona l'ultimo conforto a un soldato morente.
«Solo per il canto delle Sirene – conclude Ardini – non useremo nessun suono o canto per cercare di suscitare nel pubblico la percezione di una melodia che in realtà viene da dentro, come se ogni spettatore sentisse il "suo" canto, citando così il breve, ma intenso, racconto di Kafka Il Silenzio delle Sirene».
Biglietti: intero 12 euro; ridotto 10 euro (under 26, over 65, possessori di Green Card e residenti Municipio IX Levante)
 
 

La Repubblica, 22.3.2017
"La porta rossa" e la bella scrittura delle fiction

Ci sono quelli che fanno strage di ascolti (Montalbano, e in replica) ma una Rai in cerca di morale più alto dopo certe vicende deve concentrarsi stasera su Rai2 per il gran finale della Porta rossa, serie noir con uso di fantasmi che in partenza aveva preoccupato un po'. Salvo scoprire che nonostante i continui spostamenti di serata, molto pubblico inseguiva la fiction e non viceversa: e che le vicende ambientate a Trieste e che si reggono sul commissario morto ma presente eccome (Lino Guanciale) filavano. Grazie alla scrittura della coppia Lucarelli-Rigosi l'insieme è anzi cresciuto, il fantasma è diventato naturale e ci si è appassionati alle vicende di tutti (i protagonisti, certo, ma anche la coppia di poliziotti Diego-Stella è tra le più coinvolgenti di sempre). Con un direttore generale che annuncia una Rai meno improvvisata e molto più scritta, avere da qualche parte quelli che sanno scrivere, come per la Porta, è un discreto viatico.
Antonio Dipollina
 
 

Sicily Mag, 24.3.2017
Santo Piazzese: «In Sicilia ci sono delle eccellenze. Nonostante la politica»
Sugnu sicilianu
Lo scrittore palermitano parla a tutto tondo di sé, dei propri romanzi - «Ne sto scrivendo due nuovi, uno con La Marca e uno con Spotorno» -, dei suoi riferimenti letterari - Sciascia innazitutto -, della visione dell'Isola, tra gioie -«Farm Cultural park, Fiumara d'Arte, il Nero d'Avola, i medici eroi», e dolori: «Crocetta mi ha deluso, mi aspettavo altro da lui»

La letteratura e la vita, i libri ed i rapporti con i lettori ed i non lettori. L'interpretazione del mondo e la difficoltà concreta di interpretarlo ed ancor di più di cambiarlo e salvarlo. L'origine della sua attività di scrittore, il rapporto con la scienza e le scelte esistenziali. Il raffinato scrittore palermitano Santo Piazzese, fra le voci più originali della narrativa italiana contemporanea, apprezzato anche all'estero, considerato un neosciasciano, si racconta in questa ampia intervista. E racconta dei suoi romanzi (editi da Sellerio), la sua visione della cultura, come vede la Sicilia e l'Europa di oggi. In maniera come sempre acuta e controcorrente, con ironia leggera e colta, in linea con lo stile della sua produzione scritturale.
Quanto la letteratura può incidere sulla vita reale? Quanto il mondo attuale ha bisogno del racconto e dell'interpretazione letteraria della realtà?
«Poco, se per vita reale si intende quella collettiva delle masse di miliardi di individui. Che, per altro, in maggioranza non leggono. Talvolta però anche un singolo libro può cambiare la vita di un singolo individuo. Se fin dalla prima infanzia non fossi stato un forte lettore, sarei diventato una persona diversa da quella che sono. Non necessariamente peggiore. Ma difficilmente migliore. Comunque penso che in genere gli intellettuali tendano a sopravvalutare la capacità della letteratura di salvare il mondo. Senza contare che ammettere questa possibilità equivarrebbe ad ammettere che possa anche dannarlo».
Qual è stata la genesi della sua scelta di scrivere romanzi?
«Ho sempre saputo, fin da ragazzo, che prima o poi avrei scritto libri. Essendo un biologo e non possedendo competenze specifiche in altri campi, l'alternativa sarebbe stata scrivere testi di biologia. Meglio i romanzi».
"Il soffio della valanga" è una metafora di Palermo e della Sicilia o è universale?
«Di regola, diffido delle metafore e preferisco tenermene alla larga, ma ogni tanto mi scappa lo stesso un colpo. Come nel caso che dà il titolo al mio terzo romanzo. L'ho adottata perché è funzionale alla trama e mi sembra che abbia una certa valenza poetica. Più letteraria, dunque, che 'filosofica'. Quindi non è un tentativo di interpretare Palermo o la Sicilia, né tanto meno intendevo attribuirle un significato universale. Ma, alla fine, è il lettore che decide. Anche "contro" l'autore. In Sicilia, comunque, mi pare che si tenda ad abusare di metafore e allegorie».
I suoi primi tre libri sono definiti dei noir, a mio giudizio sono dei gialli originali ed intessuti di una profonda visione social-culturale e antropologico-filosofica. Cos'è e cosa rappresenta per Lei il genere giallo?
«Lo scrittore austro-svizzero Friedric Glauser esortava a non sottovalutare il romanzo giallo: secondo lui era il sistema migliore per far passare idee ragionevoli. Penso che si riferisse alla capacità che ha il romanzo poliziesco di catturare l'attenzione del lettore attraverso una sorta di priorità della trama rispetto ai contenuti. Alle idee, insomma. Che così passano attraverso un processo quasi subliminale e si stratificano in una parte periferica della nostra coscienza, pronte a risorgere alla bisogna. Erano gli anni '30, si era in pieno nazismo. Oggi i lettori di gialli sono più scafati, grazie a una maggiore offerta, anche se non è detto che questo coincida con una maggiore qualità dei romanzi. A giudicare dalle molte idee irragionevoli che sembrano diffondersi, si direbbe che - se è corretta l'affermazione di Glauser - larghi strati della popolazione non abbiano mai letto un giallo. Noi autori, quando ci incontriamo tra noi e con i nostri lettori, amiamo ripetere che il giallo è il mezzo migliore per interpretare e analizzare la società. E per cercare di cambiarla. Non so…».
Fra i suoi punti di riferimento vi è Leonardo Sciascia. Il suo giudizio su Sciascia sul piano letterario e sul piano del dibattito pubblico? Manca molto una figura come quella dello scrittore di Racalmuto nell'Italia di oggi?
«Di Sciascia non finiremo di rimpiangere l'intelligenza e la lucidità, non certo esente da errori: l'imperfezione però è un valore aggiunto. E il suo senso etico della letteratura. Personalmente antepongo lo Sciascia scrittore etico, lo Sciascia polemista, allo Sciascia narratore, per quanto io abbia molto apprezzato certi suoi romanzi come "A ciascuno il suo" e, sopra tutto, "Il Consiglio d'Egitto”».
E' nota la sua stima, ricambiata, verso Andrea Camilleri. Quanto ha inciso l'inventore del commissario Montalbano nello sdoganamento del giallo italiano?
«Camilleri ha sdoganato il giallo grazie all'enorme successo di Montalbano, che ha incoraggiato neofiti e scrittori main stream che prima di lui avevano snobbato il genere o lo disprezzavano. Non c'era riuscito neanche Sciascia, che pure amava il giallo e che nella scrittura in giallo si era cimentato, pur con la sua specialissima interpretazione del genere. Penso a romanzi come "A ciascuno il suo" o "Una storia semplice". Prima di Camilleri l'Italia era una delle poche eccezioni in campo internazionale. In paesi come la Francia, la Gran Bretagna o gli Usa il giallo, nelle diverse sfaccettature e classificazioni, veniva considerato letteratura a tutti gli effetti ben prima che da noi. Parlo, ovviamente, dei gialli di buona qualità letteraria».
Spesso dall'esterno si identifica Palermo tout-court con la Sicilia ma ovviamente non è così. Esistono tante Sicilie, profondamente diverse sul piano storico, culturale, sociale, economico, antropologico e gastronomico. Quali sono le specificità identitarie di Palermo e quali le similitudini con una visione filosoficamente più ampia del "continente" Sicilia?
«Quand'eravamo ragazzi, riuscivamo a identificare il quartiere di provenienza dei nostri coetanei in base alla parlata. Riuscivamo a distinguere persino gli ausitani da quelli dell'Ammasciuni: cioè chi proveniva dalla Kalsa e chi da Piazza Magione. E sono due aree confinanti, compenetrate. Oggi non è più così perché nel corso degli anni, specie all'epoca del così detto "sacco di Palermo", c'è stato un rimescolamento generale degli abitanti della città, con una vera e propria diaspora dei residenti dei Quattro Mandamenti nei nuovi quartieri dormitorio: lo Zen, Borgo Nuovo, Bonagia, Medaglie d'Oro... Un fenomeno in massima parte volontario, fortemente incoraggiato dalle autorità comunali, che avevano il progetto - per fortuna abortito - di sventrare il centro storico e avviare una gigantesca speculazione edilizia. Qualcosa di simile è accaduto nelle borgate storiche, comprese quelle marinare, ormai del tutto snaturate da una nuova edilizia che non prevedeva i servizi più essenziali. Il che è una delle ragioni che hanno reso alcuni di questi quartieri zone di arruolamento della manovalanza malavitosa. E terminali di spaccio di ingenti flussi di droga. Il centro, per fortuna, si è salvato quasi del tutto, se non per la componente antropica, almeno per quella strutturale. Ma le periferie sono il segnale più vistoso della perdita di identità cui, non solo i quartieri, ma tutta la città è andata incontro. Da quello che ho visto girando per la Sicilia nel corso degli anni, qualcosa di simile deve essere avvenuto in altre realtà, come per esempio Catania, con la fine di quartieri come la vecchia Librino e l'avvento di nuove Librino periferiche, quale che sia il loro nome. Detto questo, penso che nei fondamentali le differenze, per esempio tra Palermo e Catania, si siano in parte mantenute. Nelle menti, nei caratteri. Persino nella gastronomia. Ma affondano le loro radici nel passato meno recente: Greci a oriente, Fenicio-Punici a occidente. Ma sarebbe troppo lungo affrontare il discorso in questa sede. E, tutto sommato, mi sembra più materia da etno-antropologi, da storici e da sociologi, che da giallisti».
Qual è il suo giudizio sulla Regione Siciliana in generale e sui governi che si sono succeduti negli ultimi lustri, compreso quello attuale?
«E' una provocazione? Spero di sì. Premetto che da alcuni anni, quando leggo i giornali, tendo a saltare le pagine di politica regionale. Non per colpa dei giornalisti: anzi, più sono bravi, più trovo irritante leggere le loro cronache puntuali. Ancora più dell'irritazione mi pesa il senso di inutilità della lettura. I politici sembrano capaci di coniugare solo verbi al futuro, mentre i cittadini ambirebbero a sentire sopra tutto verbi coniugati al passato prossimo: abbiamo fatto, invece di faremo. Ma non mi illudo che sia solo un problema di classe politica, perché è tutta la classe dirigente a essere coinvolta, specie la burocrazia, tentacolare, ubiquitaria, soffocante, castrante. E forse irredimibile, almeno in tempi brevi. Ma la responsabilità è anche di una larghissima parte di comuni cittadini sempre in cerca di scorciatoie, del tutto privi di cultura civica, di senso di appartenenza a una comunità e di memoria storica. Entro certi limiti, ha poco senso invocare l'alibi della inadeguatezza dei politici evitando di guardare in casa propria. Detto questo, non voglio sottrarmi alla domanda: avendo votato alle ultime elezioni regionali per Crocetta, non posso che dirmi deluso dai risultati del suo governo, anche perché l'avevo votato sull'abbrivio del buon lavoro da lui svolto come sindaco di Gela. Non dico che non abbia fatto niente, ma le aspettative erano altre. E sorvolo sugli ultimi governi che l'hanno preceduto: parce sepulto, come si dice».
Nota più in generale, sul piano sociale, economico e culturale, anche dei segnali positivi? «Devo anche riconoscere che - nonostante tutto - la nostra regione non è alla canna del gas e presenta settori di eccellenza, distribuiti un po' a macchie di leopardo. Quasi sempre dovuti all'intraprendenza di chi ha scelto di contare solo sulle proprie forze, sulle idee e sulla iniziativa personale. Penso per esempio all'agroalimentare, penso all'enologia, spesso coniugata al femminile nelle sue realizzazioni di maggiore successo. Ricordo l'affermazione a livello planetario del Nero d'Avola. E penso alla follia visionaria che ha portato alla creazione della Farm Cultural Park di Favara, che una rivista internazionale specializzata nel turismo artistico pone al sesto posto tra i luoghi più interessanti al mondo per il viaggiatore appassionato di arte contemporanea, preceduta da Bilbao, Parigi, New York... O alla Fiumara d'Arte di Antonio Presti. E penso pure a certe eccellenze nella sanità, accanto alle quali coesistono reparti che garantiscono buoni livelli di assistenza solo grazie all'eroismo - uso a ragion veduta il vocabolo - di medici e del personale parasanitario che letteralmente combattono e si dannano per fare funzionare le cose. Ecco, queste eccellenze della sanità pubblica sono forse la migliore rappresentazione di quello che può fare di buono la politica e di quello che di buono si può fare nonostante la politica».
Da Palermo come vede l'Italia di oggi?
«Sciascia, con la sua famosa metafora della linea della palma, prefigurava una contaminazione in negativo del resto d'Italia da parte della Sicilia. Oggi mi pare che il flusso stia rischiando di invertirsi: temo una contaminazione della società siciliana da parte della componente più razzista, becera e intollerante di certe aree del resto d'Italia. Un segnale è l'abdicazione alla memoria e alla dignità di una parte, per fortuna minoritaria, della classe politica regionale, propensa a dimenticare il pesantissimo atteggiamento antimeridionalista, venato di razzismo, della Lega di Bossi, oggi di Salvini. Qualcuno può credere seriamente che l'abbraccio con Salvini sia motivato da "ideali"? Quali, di grazia?».
Lei ha successo anche all'estero, in Francia in particolare. Ed è un intellettuale che non solo va negli altri paesi europei a presentare i suoi libri ma è sempre attento al mondo che lo circonda. Che idea si è fatto della situazione in Francia?
«Non riesco a farmi un'idea chiara della situazione italiana, figurarsi di quella francese. L'unica certezza che ricavo dalla lettura occasionale di qualche giornale, ma sopra tutto dai contatti con amici transalpini, è che la società francese è spaccata esattamente come quella italiana sui temi più sensibili, come per esempio l'immigrazione. La spaccatura è anche geografica e topografica: da una parte, la Parigi illuminista e le altre grandi aree urbane; dall'altra, gli abitanti delle banlieu e della così detta Francia profonda, la periferia agricola e geografica. Anche da loro, come da noi, pesa l'inadeguatezza delle risposte della politica alle esigente reali di chi, della globalizzazione, ha visto solo gli aspetti più deteriori».
Qual è il presente ed il futuro dell'Europa?
«Per azzardare un'opinione non risibile, sopra tutto per quanto riguarda il futuro, bisognerebbe possedere una presunzione smodata o una sistematica attitudine a sottovalutare i propri limiti. Io non possiedo né l'una né l'altra e l'avere scritto qualche romanzo non mi pone in una posizione di maggiore attendibilità. Da semplice, anche se attento, lettore di giornali, non posso che condividere quello che mi sembra un sentire comune: la pubblica opinione europea - e dunque l'Europa stessa - sta attraversando una fase di transizione molto critica, il cui esito è difficilmente prevedibile. Il suo destino può essere segnato anche dalle scelte di un singolo Paese. Si dice sempre che una condizione di criticità può anche offrire straordinarie opportunità. Speriamo sia questo il caso. È una fase che richiede nervi saldi, razionalità, impegno civile e una più che mai attenta ponderazione nella scelta del voto, a ogni livello. Compreso quello condominiale».
Torniamo ai suoi libri. Con "Blues di mezz'autunno" ha mostrato ancora una volta la sua vitalità narrativa e la capacità di sperimentare registri scritturali ed ambientali diversi. Può anticiparci qualcosa del suo prossimo romanzo?
«Sto lavorando a due romanzi, uno con il mio primo protagonista La Marca, l'altro con il commissario Spotorno, protagonista de "Il soffio della valanga". Ma preferisco non fare previsioni né sui tempi né su quale dei due uscirà per primo».
Cosa vede nel suo futuro?
«Più che "visioni", speranze: nuove persone da conoscere, studiare un paio di nuove lingue, ripassare il latino, leggere nuove traduzioni di Iliade e Odissea, ritentare di leggere la "Recherche", tenermi più che possibile aggiornato in campo scientifico. E scrivere almeno cinque nuovi libri. Cose normali, tranne l'ultima, più impegnativa delle altre. Mi accorgo di avere adottato per quattro volte inconsciamente il vocabolo "nuovo". Mi sembra un buon segnale dato a me stesso. Vediamo se funziona. Vasto programma, comunque».
Salvo Fallica
 
 

La Repubblica, 24.3.2017
Andare avanti senza aver paura quel modo inglese di reagire all'odio

Non mi sono mai sentita così inglese come ieri. Mi trovavo in Italia e quando un'amica mi ha detto che era in corso un attacco al parlamento di Westminster, lanciato da un singolo uomo, mi sono rattristata ma non mi sono sorpresa. Ho provato sollievo, per il fatto che nell'attentato non fossero state usate bombe o armi da fuoco. Poi ho continuato a fare quello che stavo facendo.
Poco dopo ho ricevuto telefonate allarmate di amici italiani che chiedevano come stavano i miei figli. Ed è lì che ho sentito di essere diventata inglese. Uno dei miei figli lavora in tv, ma non fa il giornalista; sapevo che l'altro era a casa. Escludevo dunque che avrebbero potuto essere sul ponte di Westminster. Se c'erano problemi, mi avrebbero cercato. Così non mi sono allarmata. Era per me una giornata di lavoro e anche di piacere, perché ho cenato con Andrea Camilleri. Forse, mi son detta, sto diventando un po' troppo inglese, se non ho telefonato ai miei figli, né loro hanno telefonato a me per dirmi: mamma, stiamo tutti bene.
[...]
Simonetta Agnello Hornby
 
 

TV program - Seznam, 25.3.2017
Mladý Montalbano II
O1 25. brezen23:25 › 01:20

Vražda obeti, kterou mel každý rád, je vždycky tvrdým oríškem. Starý Pasqualino Cutufa žil naprosto nenápadný a sporádaný život. Rád vyprovázel na poslední ceste nebožtíky – bohaté i chudé, známé i opuštené. Komu by tento zvyk mohl vadit natolik, aby se ho chtel zbavit? Vyšetrování stojí na míste, když jednomu z podezrelých náhle zmizí manželka spolecne s vetší cástkou penez. Souvisí spolu ty dva prípady? Komisar má potíže i na domácí fronte, Livia se chová podivne a znalec žen Mimi má jasno – Montalbano je parohác.
Režie:G. M. Tavarelli
Hrají:M. Riondino, A. Vassallo, F. Pizzuto, S. Felberbaumová
It., 2015, skryté titulky
 
 

La Sicilia, 26.3.2017
Il premio Castello San Marco
«Il nobilissimo orgoglio letterario siciliano»
Riflessioni col prof. Vicente Gonzàles Martìn, titolare della Cattedra Sicilia nella prestigiosa università di Salamanca

[...]
«L'orgoglio letterario siciliano è nobilissimo - ribadisce il prof. Gonzàles - Camilleri oggi intreccia continuamente la lingua nazionale, le espressioni siciliane con una invenzione plastica ammirevole, che gli universitari apprezzano moltissimo...».
[...]
Sergio Sciacca
 
 

La Sicilia, 26.3.2017
L'intervista
Renzo Arbore, un "recidivo" a cui la vecchiaia non fa paura
«Ho voglia di guardare avanti»

Lo showman ritorna in Sicilia con l'Orchestra italiana
Domani al Metropolitan di Catania e il 28 al Golden di Palermo

[...]
A proposito di malinconia, cosa le manca degli anni di "Indietro tutta" e di "Quelli della notte"? Ha nostalgia di quel tempo e di quella tv?
«Cerco di non vivere di nostalgia, sono portato a guardare avanti e cerco di stare al passo anche navigando in rete. Se penso però alla mia tv, mi viene da dire che oggi manca l'elemento improvvisazione che invece era l'anima del mio modo di fare televisione. Prendete Frassica è ancora un personaggio in auge che vive d'improvvisazione. La tv di oggi è molto professionale, ma anche molto ingessata. È tutto scritto, tutto recitato: spontaneità zero. Mi piacciono invece le fiction, in particolare Il commissario Montalbano è proprio ben fatto».
[...]
Carmela Marino
 
 

Il Giornale, 26.3.2017
Se Montalbano si fuma Ventura

Non c'è partita tra Montalbano e Ventura. Vince il commissario, non quello tecnico ma il funzionario di polizia. La partita contro l'Albania ha tenuto attenti, si fa per dire, 7.167.000 di telespettatori con uno share del 27, 09. L'ultima puntata, di lunedì scorso, di Zingaretti-Camilleri, aveva segnato 9.743.000 spettatori con uno share del 39,7 e si trattava di una replica. La nazionale fa salire gli ascolti soltanto nelle grandi sfide (Italia-Spagna 31,4 di share per 8,3 milioni di spettatori) ma fino alla fase finale dell'Europeo o del Mondiale, i dati rimangono lontani da festival e fiction, addirittura normali, come quelli della fumosa partita di Palermo. Baciamo le mani.
 
 

Pravda, 26.3.2017
O1 CT1 (sobota, 1.4. 22:25):
Mladý Montalbano
Originálny názov: Il giovane Montalbano
(farebný krimiseriál, Taliansko, 2012, 120 minút)
Popis:
Montalbanuv první prípad. První vyšetrování tvrdohlavého a charismatického sicilského komisare.
Réžia: Gianluca Maria Tavarelli
Herci: Michele Riondino (Salvo Montalbano), Fabrizio Pizzuto (Catarella), Sarah Felberbaum (Livia), Katia Greco (Mary), Beniamino Marcone (Fazio)
Kamera: Lorenzo Adorisio
Hudba: Davide Camarrone
Scenár: Francesco Bruni, Andrea Camilleri, Salvatore De Mola
Úprava: Alessandro Heffler
Produkcia: Nora Barbieri, Carlo Degli Esposti, Gloria Giorgianni, Erica Pellegrini
Výkonný producent: Gianfranco Barbagallo
 
 

Corriere Quotidiano, 27.3.2017
Camilleri gran cerimoniere
I 150 anni dalla nascita di Pirandello
Il Comune di Agrigento ha investito, mediante l’approvazione di una Deliberazione di Giunta, i componenti del Comitato d’onore che da oggi sono ufficialmente in carica, rigorosamente a titolo gratuito. Si tratta di grandi personalità del mondo della Cultura, a partire da Andrea Camilleri, cittadino onorario di Agrigento, scrittore sceneggiatore e regista, autore tra l’altro di una biografia pirandelliana

C'e' anche Andrea Camilleri nel comitato d'onore che presiedera' le celebrazioni per il 150esimo anniversario della nascita di Luigi Pirandello, in collaborazione con il ministero ai Beni culturali. Oltre al 'papa'' del commissario Montalbano, scrittore, regista e autore di una biografia pirandelliana, ne fa parte Pier Luigi Pirandello, figlio del pittore Fausto terzogenito del drammaturgo, mecenate e catalizzatore di esperienze artistiche. Gli altri componenti del comitato sono Anna Maria Sciascia, secondogenita figlia di Leonardo Sciascia, autrice dell'opera "Il gioco dei padri" sulle figure di Sciascia e Pirandello; Roberto Ando', regista e autore, direttore artistico dell'Istituto nazionale del dramma antico di Siracusa, Massimo Bray, ex ministro dei Beni culturali, direttore generale Treccani e presidente del Salone del Libro di Torino; Lazzaro Raffaele Caputo, ordinario di Letteratura italiana a Tor Vergata, componente della Commissione incaricata di curare i lavori dell'edizione nazionale dell'opera omnia di Luigi Pirandello nonche' direttore della rivista internazionale di studi e documenti "Pirandelliana", e Onofrio Cutaia, designato direttamente dal ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, direttore generale "Spettacolo" del ministero, gia' direttore dell'Ente teatrale italiano e direttore del Teatro Mercadante di Napoli. Le celebrazioni prevedono tanti momenti artistico-culturali nel nome di Pirandello. Centrale sara' il Festival della Strada degli Scrittori, in programma dal 12 maggio al 9 luglio. Tra gli eventi piu' interessanti del Festival, particolarmente atteso e' il primo Master di Scrittura, che avra' quali Maestri alcuni tra i piu' autorevoli scrittori di fama internazionale e che sara' coordinato da Massimo Bray. "La scelta dei nomi di grande prestigio, attuata d'intesa con il ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini - dice il sindaco di Agrigento Lillo Firetto - rappresenta l'alto profilo istituzionale, oltre che culturale, che il Comune di Agrigento intende mantenere a livello nazionale e internazionale nell'organizzazione del 150esimo della nascita di Luigi Pirandello".
 
 

TV Sorrisi e Canzoni, 27.3.2017
«Montalbano», siamo stati nei luoghi dove viene realizzata la fiction
La fiction con protagonista il Commissario Salvo Montalbano anche in replica ottiene ascolti da record e avrà il suo museo

Sulla lavagnetta del menu di una trattoria che si affaccia sulla via principale di Ragusa Ibla si legge: «Qui ha mangiato due volte il commissario Montalbano». Che sia Modica, Ragusa o Scicli, ogni metro di questo meraviglioso angolo nel sud della Sicilia parla del personaggio nato dalla penna di Andrea Camilleri. Nelle vetrine spiccano i libri sui luoghi della fiction. Agenzie di viaggi organizzano tour guidati per raggiungerli. Ma in queste zone tutti quanti sanno indicare gli «sfondi» che accompagnano le indagini del poliziotto sbanca-Auditel. Come Punta Secca, frazione di Santa Croce Camerina, dove sorge la casa sulla spiaggia di Salvo. O il palazzo del Comune di Scicli, preso d’assalto dai fan che vengono da tutto il mondo per vedere la stanza del questore, al primo piano, e gli uffici di Montalbano e colleghi, al pianterreno. «Proprio queste stanze diventeranno un museo gestito dal Comune, speriamo entro l’estate» ci svela un impiegato prima di spalancarci le porte del commissariato di Vigata e mostrarci tutti i segreti del favoloso mondo di Montalbano.
Solange Savagnone
 
 

La Repubblica, 27.3.2017
Rai, l'allarme del governo: "Il tetto sui compensi mette a rischio le fiction"
Il limite dei 240 mila euro annui riguarda anche le star, non solo presentatori e giornalisti di grido. Il ministero dell'Economia ha chiesto a Viale Mazzini di investire in coproduzioni di livello internazionale, dove però registi e attori sono carissimi. Da Montalbano ai nuovi kolossal sul Rinascimento, le serie tv che possono saltare

Roma. Il tetto dei 240 mila euro lordi annui - che colpirà i compensi di artisti e giornalisti di grido da aprile - monta come un'onda fuori controllo alla tv di Stato. E investirà presto Rai Fiction e Rai Cinema. Anche attori, sceneggiatori e registi dovranno acconciarsi a questo limite, almeno in alcuni casi. Ne sono certi i tecnici del ministero dell'Economia e di Palazzo Chigi che guardano alle gratifiche bloccate con discreta preoccupazione. Le serie sul Rinascimento, su Elena Ferrante, finanche l'intoccabile Montalbano finiscono nel tornado dell'incertezza.
[...]
Ma i tecnici del governo temono che il tetto alle retribuzioni possa toccare anche le opere che la televisione pubblica fa sue con il meccanismo del pre-acquisto ( Montalbano della Palomar, per fare l'esempio più illustre).
[...]
Aldo Fontanarosa
 
 

Notizie.it, 27.3.2017
Luca Zingaretti: quanto guadagna
Ecco il cachet a puntata che percepisce Luca Zingaretti, il protagonista de ‘Il commissario Montalbano’, fiction che ha riscosso un enorme successo.

Luca Zingaretti è il celebre protagonista della famosa e fortunata fiction di RaiUno, il Commissario Montalbano, nella quale interpreta proprio il ruolo dell’istrionico e infallibile commissario di Vigata. Una fiction i cui dati di ascolto sono lievitati di stagione in stagione fino a raggiungere cifre record tali da far impallidire anche i dati dei grandissimi eventi come le partite della nazionale e il Festival di Sanremo. L’ultima serie andata in onda a marzo ha superato i dieci milioni di spettatori con uno share elevatissimo. Cosi come sono lievitati gli ascolti negli anni, anche il cachet di Luca Zingaretti è lievitato in modo vertiginoso toccando quota 200 mila euro a puntata.
In genere, tutti i cachet dei principali attori delle fiction televisive sono lievitati in modo vertiginoso fino a toccare quote impensabili fino a un decennio fa. Questo perchè le serie tv hanno occupato uno spazio sempre maggiore nei palinsesti televisivi, superando di gran lunga gli share di gradimento dei talk show, dei film in tv e dei quiz. Ma il cachet di Luca Zingaretti non è il più elevato nel palinsesto delle fiction italiane.
[...]
Marco Tringali
 
 

RagusaNews, 27.3.2017
Movie set of Montalbano, a book

Scicli - Cinema may rightly be considered a “guiding” art form for Italy, as were the opera during Romanticism and architecture during the Renaissance. Italy is a land of cinema, and Italian film has always been loved and appreciated by directors from all around the world.
Sicily is a land of myth, art and culture. Unblemished nature, a land lost in the Mediterranean. Sicily is a place where different cultures and traditions meet, it is its people. Sicily has always been a “natural film set”. Films, directors and actors have carried this land on screens all over the world. To represent a landscape, to see it, means in a certain sense to possess it. It is well-known how, especially in Italian painting, the first frescoes of landscapes or cities had the symbolic function of representing dominion. In other words, what was being presented, both in secular and religious representation, was the symbol of a possession with the purpose of legitimising it before society. To see is both a form of control and a way of being.
From this premise derives the idea of an inventory of the places shown in the films featuring Montalbano, and of a specific place in particular: Fornace Penna di Contrada Pisciotto.
This book is, in fact, for the use and information of the visitors to a specific building. In it are told the events surrounding its conception, the hopes and the labour involved, the destruction and its ultimate abandonment.
The editorial work thus derives from the evidence of a wide public success and interest for the places surrounding Ibla, chosen as the territorial environment for the filming of Montalbano's adventures. The text accompanies the visitor in the understanding of the places and of their history. The transposition into television of Andrea Camilleri's novels, which began in 1998, was widely successful, to the point of becoming a media sensation. One of the best products of European fiction of the past few years, capable of making both critics and public agree, and of deserving, together with the books, international recognition.
Pasquale Bellia
 
 

Auditorium Parco della Musica, 28.3.2017
Sala Petrassi ore 21:00
una Produzione Fondazione Musica per Roma, in collaborazione con 15 Lune Associazione Culturale
Inedito d'autore - Lella Costa
"Bianca Lancia"

da un’idea di
Andrea Camilleri e Annalisa Gariglio
testo di
Andrea Camilleri, Annalisa Gariglio, Laura Pacelli
traduzione orale
Lella Costa

Bianca Lancia fu l’ultima moglie di Federico II di Svevia, sposata in articulo mortis probabilmente per legittimare la posizione degli amati figli avuti dalla relazione clandestina. Un amore segreto durato più di vent’anni. Si dice che la bella Bianca sia stata l’unica fra le amanti di Federico II a rubare il suo cuore. Lui ne fu così geloso da rinchiuderla per ben due volte in una torre e in un castello. Si dice che ella, a lui sopravvissuta, si rinchiuse spontaneamente in un convento a trascorrere i suoi ultimi anni. Si dice che portò con sé uno scrigno segreto con dentro solo sette oggetti. Sicuramente una poesia dell’amato Federico. Si dice, ma nulla è certo nella biografia di questa donna realmente vissuta. Così partiamo dagli oggetti misteriosi che Bianca portò con sé per provare a ricostruire una biografia possibile…
 
 

Corriere Quotidiano, 28.3.2017
Statale 640 Agrigento-Caltanissetta
Da Pirandello a Camilleri, 'svelata' la "Strada degli scrittori"
La cerimonia avverrà alle ore 10,30 nella piazzola dell’area di servizio Erg, e dopo l’indirizzo di saluto del Sindaco di Agrigento, Lillo Firetto, alla presenza del presidente dell’Anas, Gianni Armani, del Governatore, Rosario Crocetta e dei ministri Graziano Delrio, alle Infrastrutture e Angelino Alfano agli Esteri e Cooperazione Internazionale


Tabella Anas della 'Strada degli scrittori'

L'apertura stamane del primo lotto della statale 640 Agrigento-Caltanissetta coincide anche con lo 'svelamento' della cartellonistica della strada ribattezzata ufficialmente "Strada degli scrittori". Era stato nei mesi scorsi il sindaco di Agrigento, Lillo Firetto, d'intesa con il giornalista Felice Cavallaro, a chiedere alla presidenza dell'Anas di intitolare l'arteria "Strada degli scrittori" per ricordare che quei pochi chilometri di territorio hanno dato i natali ai grandi della Letteratura, da Luigi Pirandello a Leonardo Sciascia, da Andrea Camilleri a Pier Maria Rosso di San Secondo, da Antonio Russello a Giuseppe Tomasi di Lampedusa. "Una intuizione e una scelta strategiche e significative", ha detto il primo cittadino, davanti al presidente dell'Anas Gianni Armani, ai ministri alle Infrastrutture Graziano Delrio e degli Affari esteri Angelino Alfano, e l'assessore regionale alle infrastrutture Giovanni Pistorio. "Si percorre - ha affermato Armani - un pezzo importante della Sicilia che e' una parte importante della cultura italiana dove hanno vissuto gran parte degli scrittori siciliani". "Piu' che una strada un ponte tra Scala dei Turchi e il sito del Gattopardo, una ricchezza da scoprire e da fare conoscere", ha detto Cavallaro, per il quale deve essere anche "la strada della legalita' che poggia sull'eredita' anche di personalita' come quelle dei giudici Saetta e Livatino".
 
 

Corriere del Mezzogiorno, 28.3.2017
Realizzata da 405 imprese e oltre 5mila persone
Agrigento, inaugurato il primo tratto della «strada degli scrittori»
Ultimata, dopo 8 anni, la prima parte de i lavori della statale 640 che collega Agrigento a Caltanissetta. La strada attraversa i paesi natali di Sciascia, Camilleri e Pirandello

Dal 2009, anno in cui è stata posata la prima pietra, al 2017: il ministro dei Trasporti Graziano Delrio e il ministro degli Esteri Angelino Alfano inaugurano oggi la «strada degli scrittori», la statale 640 che collega Agrigento a Caltanissetta, dopo otto anni dall’inizio dei lavori. L’accelerata nell’ultimo anno ha permesso di realizzare le opere finali di una strada che fino a qualche tempo fa aveva problemi di viabilità e di sicurezza, nella quale hanno perso la vita decine e decine di persone. Proprio alle vittime della strada Alfano, originario di Agrigento, ha dedicato questo giorno importantissimo per la viabilità siciliana. Una strada che attraversa i paesi natali di Sciascia, Camilleri, Pirandello e di tanti altri scrittori, per un progetto intriso di cultura e letteratura che vuole dedicare proprio a loro questa importante arteria lunga 37 km nel tratto aperto, in attesa del secondo tratto in territorio di Caltanissetta, la cui apertura è prevista per il 2018.
Da Vigata a Regalpetra
«Non esiste una strada con una così alta concentrazione di cultura e letteratura nei territori che attraversa» ha detto il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Graziano Delrio per presentare la Strada degli scrittori, 31 km che vanno dalla “Vigata” di Camilleri, alla “Regalpetra” di Sciascia. La nuova strada vuole essere infatti unica nel suo genere, come spiegano i ministri, e vuole incrementare anche il turismo nel territorio attraverso un viaggio nei paesaggi che hanno ispirato ad esempio, il premio Nobel Luigi Pirandello, la sua Agrigento, nota anche come terra del Kaos nei suoi romanzi, ma anche la Regalpetra di Sciascia: il paese di Racalmuto dove visse lo scrittore e dove ha sede oggi la Fondazione da lui voluta, contente oggi migliaia di lettere da lui ricevute e ritratti dallo scrittore posseduti di un valore inestimabile. Sulla Ss. 640 infatti, si potrà arrivare allo svincolo per contrada Noce, dove ha sede quella che una volta era la sua casa di campagna. Continuando in questo itinerario nel cuore della letteratura si arriva anche a Porto Empedocle, l’originale Vigata che ispirò Camilleri per la stesura del suo Commissario Montalbano, un’opera che oggi riscuote un successo unico. Non bisogna dimenticare la terra del Gattopardo, Palma di Montechiaro, città di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, o Favara, paese natale dello scrittore Antonio Russello, trasferitosi in Veneto dove morì nel 2001.
Anche un festival
L’ultimo svincolo sulla Agrigento-Caltanissetta, è dedicata proprio ad uno scrittore nisseno Pier Maria Rosso di San secondo, scrittore e autore di testi teatrali di enorme successo. Per conoscere meglio la vita e i posti di questi scrittori è stato creato anche un sito internet, www.stradadegliscrittori.it volto ad incrementare il turismo attraverso un percorso dedicato alla cultura siciliana, attraverso visite nei posti che hanno ispirato i romanzi di scrittori che hanno fatto la storia. A luglio partirà anche il festival della strada degli scrittori, organizzato dall’ideatore dell’itinerario, Felice Cavallaro: «Questa strada serve alla Sicilia per ritrovare autostima – ha detto il giornalista - e con questa poter ritornare a camminare sulle proprie gambe. La strada degli scrittori ha un valore unico e rappresenta anche la strada della legalità».
I vertici Anas
Presenti anche il presidente Anas Gianni Vittorio Armani e il presidente della strada degli scrittori, il giornalista Felice Cavallaro. Lillo Firetto, sindaco di Agrigento ha detto: «Voglio ringraziare Enzo Fontana, presidente della provincia al tempo della posa della prima pietra. Queste cose accadono in un territorio che va avanti. Ringrazio il presidente dell’Anas Armani per aver accolto la nostra proposta di intitolare la statale la “strada degli scrittori”»
Dedicata all’operaio morto in volo
«Oggi», ha detto il presidente dell’Anas Gianni Vittorio Armani, «inauguriamo 31 km a due carreggiate con due corsie per senso di marcia, uno standard autostradale. Questa strada cambierà la vivibilità di queste aree e si inserisce in ambiente molto bello. Qui hanno lavorato 405 imprese e oltre 5 mila persone, quasi la metà siciliane. Voglio dedicare questa strada a Salvatore Scannella, l’operaio morto la scorsa settimana con cui condividevamo la passione per il volo».
Alfano: la più grande opera pubblica della zona dal tempio della Concordia
Il ministro Alfano si è detto «lieto di essere qui, io ho la fortuna di aver poggiato la prima pietra in questa strada e di poggiare anche l’ultima. Finalmente riusciamo a poggiare le pietre finali. Da quando sono in politica era un mio desiderio completare questa strada». «Questa strada», ha proseguito, «arriva ad Agrigento perché è stata finanziata dalla provincia di Agrigento. Io voglio dedicare questa strada a tutte le vittime che hanno perso la vita su questa strada, tra cui il mio amico ingegnere Paolo Palmisano. Nel 2003 fu approvata la legge obiettivo dove c’era questa strada. La strada degli scrittori rappresenta la più grande opera mai realizzata in questo territorio dai tempi della costruzione del tempio della Concordia, 2400 anni fa, anch’esso finanziato con denaro pubblico».
Alan David Scifo
 
 

lasiciliaweb, 28.3.2017
Agrigento, apre Strada degli scrittori
Investimento di mezzo miliardo di euro per i 31 km della statale 640 attraverso i luoghi di Pirandello, Sciascia e Camilleri. All'inaugurazione il ministro Delrio: "Secondo pezzo pronto nel 2019"

Agrigento - Anas ha aperto al traffico l’ultimo tratto che rende interamente fruibili 31,2 km della statale 640, la “Strada degli scrittori”. Il tracciato è compreso tra Agrigento e Grottarossa, al confine con la provincia di Caltanissetta, e precede il secondo lotto dei lavori di ammodernamento della statale, in corso di realizzazione.
L’opera, finanziata anche con i fondi europei, ha comportato un investimento di 535 milioni di euro e rientra nel Grande Progetto di ammodernamento della statale 640, che prevede il raddoppio della carreggiata fino all’innesto con l’autostrada A19 Palermo-Catania. L’investimento complessivo supera 1,5 miliardi di euro.
All'inaugurazione anche il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio. "Il secondo pezzo (da Canicattì a Caltanissetta, ndr) aprirà entro il marzo del 2019. Questa nuova opera permetterà ai camion e alle famiglie di viaggiare meglio", ha detto il ministro.
Nell’occasione è stato presentato il programma di valorizzazione della “Strada degli scrittori” promosso dal Consorzio distretto turistico Valle dei Templi e sostenuto da Anas, anche con la predisposizione di apposita cartellonistica turistica.
Un primo cartello, già posizionato nei pressi della località “San Pietro” del comune di Agrigento, preannuncia agli automobilisti l’ingresso in una strada che unisce cultura e turismo percorrendo i luoghi di Luigi Pirandello, Leonardo Sciascia, Andrea Camilleri, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Antonio Russello, Pier Maria Rosso di San Secondo, da Racalmuto a Porto Empedocle, passando per Favara e Agrigento fino a Caltanissetta.
Tutti gli svincoli interessati saranno dotati di segnali stradali turistici per individuare le tappe fondamentali del percorso della “Strada degli scrittori”. Il pubblico ha a disposizione da oggi il sito web www.stradadegliscrittori.it per approfondire e programmare il viaggio attraverso i luoghi vissuti e amati dagli scrittori e quelli descritti nei romanzi.
"La Strada degli scrittori richiama anche il giudice Saetta, il giudice Livatino, il maresciallo Guazzelli - ha detto durante l'inaugurazione Felice Cavallaro che ha curato il progetto della denominazione -. Perché la Strada degli scrittori o è la strada della legalità e ci ricorda queste persone o è meglio che non ci sia. Perché deve essere una fonte di crescita, di ricchezza, di arricchimento".
"Quando mi è venuta l'idea, sono andato da Andrea Camilleri - ha raccontato Cavallaro - per chiedere se potevamo appropriarci dei nomi degli scrittori utilizzandoli quasi come una esca per i turisti. E Camilleri mi diede una risposta straordinaria: la Strada degli scrittori è la strada del formaggio che mangi, del vino che assaggi. Quindi, fallo. Voleva dirci che la Strada degli scrittori è la strada di tutti gli operatori economici che realizzano qualcosa di concreto in quel territorio e che possono puntare a un sano e onesto business per accrescere le opportunità di lavoro di questa terra".
"Troviamo una occasione per iniziare a camminare sulle nostre gambe. Il mio obiettivo - ha concluso - è che un bar di Racalmuto (Ag) assuma un cameriere, è che una struttura alberghiera abbia il 70 per cento delle camere piene, non soltanto con i migranti come accade a Siculiana (Ag)".
 
 

Agrigento Notizie, 28.3.2017
La "Strada degli Scrittori, Cavallaro: "La mia idea è stata supportata da Camilleri"
Il giornalista racconta del suo incontro con lo scrittore empedoclino. Da lì, è storia dei nostri giorni: "Cosa mi disse? Mi diede una risposta straordinaria"

Un telo ha coperto l’insegna posta nella rotonda “San Pietro”, sotto quel telo le facce degli scrittori più celebri e influenti della Sicilia. L’idea? E’ stata del giornalista Felice Cavallaro. Il telo è stato poi buttato giù, ufficializzando l’inaugurazione della statale. "La Strada degli scrittori richiama anche il giudice Saetta, il giudice Livatino, il maresciallo Guazzelli - ha dichiarato Feelice Cavallaro -. Sua, l'idea della cultura a passo d'uomo.
"Perché la Strada degli scrittori o è la strada della legalità e ci ricorda queste persone o è meglio che non ci sia. Perché deve essere una fonte di crescita, di ricchezza, di arricchimento. Quando mi è venuta l'idea, sono andato da Andrea Camilleri - ha raccontato durante la cerimonia di inaugurazione Felice Cavallaro - per chiedere se potevamo appropriarci dei nomi degli scrittori utilizzandoli quasi come una esca per i turisti. E Camilleri mi diede una risposta straordinaria: la Strada degli scrittori è la strada del formaggio che mangi, del vino che assaggi. Quindi, fallo. Voleva dirci che la Strada degli scrittori è la strada di tutti gli operatori economici che realizzano qualcosa di concreto in quel territorio e che possono puntare ad un sano ed onesto business per accrescere le opportunità di lavoro di questa terra. Troviamo una occasione per iniziare a camminare sulle nostre gambe. Il mio obiettivo - ha concluso - è che un bar di Racalmuto (Ag) assuma un cameriere, è che una struttura alberghiera abbia il 70 per cento delle camere piene, non soltanto con i migranti come accade a Siculiana".
Federica Barbadoro
 
 

TvZoom, 28.3.2017
Ascolti Tv 27 marzo vince Il Commissario Montalbano con il 32,14%
FLASH: La fiction su Rai 1 ha conquistato 8,08 milioni di spettatori, mentre il film su Canale 5 2,18. Tra poco su TvZoom tutti i dati di ieri e le analisi.
Seguono Il grande Match al 9,18% e Report al 7,13%

PRIMA SERATA: su Rai 1 Il Commissario Montalbano ha raggiunto il 32,14% e 8,08 milioni di spettatori,
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Francesco Sarchi
 
 

Il Sussidiario.net, 28.3.2017
Il Commissario Montalbano / Vampa D'Agosto: le fragilità di Luca Zingaretti

IL COMMISSARIO MONTALBANO, VAMPA D'AGOSTO: LE FRAGILITA' DI LUCA ZINGARETTI - Si respira aria d'estate e di misteri nell'ultimo episodio del Commissario Montalbano andato in onda su Raiuno. Il nostro protagonista ha dovuto fare i conti con il ritrovamento di un cadavere, in una splendida villetta affittata per le vacanze. L'episodio gira intorno alla ricostruzione dei fatti, che hanno origine diversi anni prima. Sul percorso di Salvo c'è Adriana, la sorella gemella della vittima. Tra i due scatta un feeling particolare, mentre il rapporto tra Montalbano e Livia è sempre più in bilico. L'episodio, tratto dai romanzi di Camilleri, è stato sicuramente all'altezza dei precedenti dal punto di vista del coinvolgimento dello spettatore. In questa puntata emergono le fragilità del commissario, che si rivela comunque una persona estremamente buona, generosa ed astuta. Risolve il caso mostrando la sua solita determinazione, analizzando anche i dettagli apparentemente insignificanti. Puntata molto fresca, nonostante non sia delle più recenti.
 
 

Donna Moderna, 28.3.2017
Perché Montalbano è il nostro uomo ideale
La serie del celebre commissario è la fiction più vista degli ultimi anni. Vi spieghiamo le ragioni del suo successo e del perché ci piace così tanto.

Gli ultimi 2 episodi inediti, Un covo di vipere e Come voleva la prassi, sono stati visti rispettivamente da 10.674.000 e 11.268.000 spettatori (dati Auditel), creando un primato nell’ambito delle trasmissioni più seguite in tv. E anche le repliche continuano ad avere un pubblico numeroso. Se consideriamo che il 51% della popolazione italiana è donna (dati demografici Istat 2016), possiamo dedurre che sono oltre 5 milioni le appassionate (da 0 a 99 anni) alle vicende del commissario concepito dalla penna di Andrea Camilleri, 91 anni, all’attivo con più di 100 libri. Ma cosa tiene incollate ogni settimana tante spettatrici italiane al piccolo schermo?
I motivi sono da ricercare in un mix di ingredienti. Senz’altro il fascino di Luca Zingaretti, l’attore che dal 1999 presta il volto al personaggio poliziesco, da solo spiega in gran parte l’attrattiva di questa serie dal gusto vintage. Aggiungiamoci poi l’incanto di una Sicilia ricca di luoghi e ambientazioni sospesi nel tempo, la curiosità investigativa e la messa a fuoco di virtù e debolezze umane. Alla fine però ciò che più intriga il pubblico rosa è il comportamento del commissario, un uomo all’apparenza normale che, puntata dopo puntata, stagione dopo stagione, ha saputo svelare aspetti di sé così interessanti da farci desiderare di essere al posto della sua fidanzata. Ve ne indichiamo 7.
È un nuovo modello di seduttore
Dimentichiamo favole, sogni e principi azzurri su cavalli bianchi: al massimo il commissario si presenterà alla guida della sua intramontabile Fiat Tipo grigia, in uno scenario forse meno romantico ma senza dubbio più pratico. Con lui non ci sono da temere giochi o messinscene particolari, è un tipo senza maschere o filtri, parafrasando Meg Ryan in French Kiss: “usa la faccia che corrisponde alla corrispondente emozione”.
È protettivo senza essere asfissiante
Montalbano è un uomo ancorato alle sue radici, discretamente geloso e a volte un po’ distratto. Ne sa qualcosa Livia, eterna compagna, pendolare tra Genova e Vigàta, che spesso lamenta la scarsa attenzione del commissario, preso com’è dal ritmo delle sue indagini. Questa presenza-assenza ha tuttavia i suoi vantaggi perché permette ad entrambi di vivere con maggiore intensità i momenti di condivisione all’interno della coppia. Come afferma Alain de Botton, scrittore e filosofo, “la lontananza potrebbe generare le condizioni ideali per far fiorire il vero amore”.
È un antieroe
Nel pensiero di Camilleri, il commissario è “un uomo del suo tempo che si occupa di problemi del suo tempo”. Montalbano è sempre mosso da sete di giustizia, rifiuta le scorciatoie e non si dà pace fino a quando non risolve i casi. Questa limpidezza d’animo rivela uno slancio profondo per i valori concreti della vita, affrontata sempre con atteggiamento disincantato e mai da supereroe. Ecco perché amiamo la fermezza e la solidità di chi nella vita ne ha viste tante e non si lascia piegare dagli eventi.
Al diavolo la dieta
Sicuramente Montalbano non è un tipo da smancerie o da sfumature colorate ma quantomeno con uno come lui non si rischia di restare a digiuno, visto che ha una vera passione per la buona cucina e che conosce i migliori ristoratori di Vigàta e dintorni. E di fronte alle prelibatezze siciliane, non c’è restrizione alimentare che tenga!
Un clan divertente e unito
Inutile dirlo, gli amici e i colleghi di lavoro sono un’ancora di salvezza, sia che si presentino con la faccia buffa di Catarella, l’aria da latin lover di Mimì Augello o la compostezza da fedelissimo dell’ispettore Fazio. Raro trovare un gruppo così affiatato dove l’amicizia è sacra e resiste a tutto.
Un linguaggio diverso
È risaputo, per mantenersi attivi è essenziale nutrire la curiosità e accogliere nuovi stimoli, uscire dalla comfort zone e sperimentare scenari inconsueti. Ecco allora che dialogare con Montalbano & co rivela tutto un vocabolario da esplorare, modi di dire del dialetto siciliano, a volte un tanticchia complicati, ma in genere il divertimento è assicurato, eccezion fatta quando c’è “scassamento di cabbasisi”!
Una nuotata ci salverà
Ammettiamolo, tra ritmi lavorativi e richieste familiari è piuttosto difficile ritagliarsi tempo per se stesse. In ogni episodio Montalbano invece non manca mai l’appuntamento con la nuotata purificatrice e chiarificatrice, fondamentale per mantenersi distaccato nei momenti più difficili, quando occorre prendere una decisione importante. Può essere un esempio da imitare per concedersi una pausa dalla frenesia quotidiana e un momento di ascolto dei propri pensieri e desideri. E il naufragar c’è dolce in questo mare, soprattutto se... in buona compagnia!
Nadia Santese
 
 

Teatro Savoia, 29-30.3.2017
Il casellante
di Andrea Camilleri
con Moni Ovadia
Promo Music - Corvino Produzioni/Centro d’Arte Contemporanea Teatro Carcano
 
 

La Repubblica, 30.3.2017
Il club del libro

Anche il lettore forte accusa momenti di debolezza. "Forte", per l'Istat, è chi legge sei o più libri nel corso di un anno. I "fortissimi" non sono registrati, ma anche per loro – di fronte alla valanga di pubblicazioni: dai 6mila titoli annui del 1926 siamo arrivati a 60mila nel 2016 – il capogiro è inevitabile. Così, se a New York non perde smalto il vecchio "Book of The Month Club", nato proprio nel '26 a vantaggio di lettori disorientati, anche da noi crescono a vista d'occhio i circoli della lettura, virtuali e soprattutto "fisici". Salotti casalinghi, caffè, librerie, biblioteche in cui ci si ritrova almeno una volta al mese per non restare in apnea di fronte alla domanda: «E adesso cosa leggo?».
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Un inventario completo dei club del libro italiani non esiste: hanno senz'altro superato le 450 unità, ma il Centro per il libro e per la lettura, al momento, ne ha censiti – nord, sud, isole – 154: dall'eccentrico "Personaggi e Verdure" di Milano a "Viola Legge" di Matelica, dal "Di noi tre" di Alessandria al "Circolo Pickwick – Oltre Vigata" di Porto Empedocle, chiaro e duplice omaggio a Dickens e Camilleri.
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Paolo Di Paolo
 
 

La Repubblica, 30.3.2017
Rai, il tetto non vale per gli artisti
LE PRODUZIONI IN FORSE Tra le fiction che rischiano di saltare alcune serie di punta: “Il commissario Montalbano”, “Don Matteo”, i kolossal sul Rinascimento e “L’Amica Geniale” (Elena Ferrante) LE...

Roma. L'Avvocatura dello Stato, principale consulente giuridico del governo, «dubita» che il tetto dei 240 mila euro lordi annui valga anche per gli artisti della Rai. Manager e dipendenti dovranno guadagnare al massimo questa cifra (come ha stabilito la legge sull'editoria del 2016); gli showman non è detto. La presa di posizione della Avvocatura, un parere formale, rappresenta un ottimo assist per il ministero dell'Economia che ora può autorizzare Viale Mazzini a pagare di più i presentatori di grido.
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Aldo Fontanarosa
 
 

Teatro della Fortuna, 31.3-2.4.2017
Il casellante
di Andrea Camilleri, Giuseppe Dipasquale
con Moni Ovadia
regia Giuseppe Dipasquale
con Valeria Contadino, Mario Incudine
e con Sergio Seminara, Giampaolo Romania
e i musicisti Antonio Vasta, Antonio Putzu
scene Giuseppe Dipasquale
musiche originali Mario Incudine
con la collaborazione di Antonio Vasta
costumi Elisa Savi
produzione Promo Music-Corvino Produzioni, Centro d’Arte Contemporanea Teatro Carcano, Comune di Caltanissetta

Il Casellante è, fra i racconti di Camilleri, uno dei più struggentemente divertenti del ciclo cosiddetto mitologico. Secondo a Maruzza Musumeci e prima de Il Sonaglio, questo racconto ambientato nella Sicilia di Camilleri, terra di contraddizioni e paradossi, narra la vicenda di una metamorfosi. Ma questa Sicilia è la Vigàta di Camilleri che diventa ogni volta metafora di un modo di essere e ragionare le cose di Sicilia.
Dopo il successo ottenuto dalle trasposizioni per il teatro de Il birraio di Preston, La concessione del telefono, che insieme a La Cattura, Troppu trafficu ppi nenti, La Signora Leuca, Cannibardo e la Sicilia costituiscono la drammaturgia degli ultimi anni, l’autore del romanzo e il regista dell’opera tornano nuovamente insieme per riproporre al pubblico teatrale nazionale una nuova avventura dai racconti camilleriani.
Una vicenda affogata nel mondo mitologico di Camilleri, che vive di personaggi reali, trasfigurati nella sua grande fantasia di narratore. Una vicenda emblematica che disegna i tratti di una Sicilia arcaica e moderna, comica e tragica, ferocemente logica e paradossale ad un tempo. Il Casellante è il racconto delle trasformazioni del dolore della maternità negata e della guerra, ma è anche il racconto in musica divertito e irridente del periodo fascista nella Sicilia degli anni Quaranta.
Il carattere affascinante di questo progetto, posto essenzialmente sulla novità del testo e della sua possibile realizzazione, si sposa tutt’uno con la possibilità di ricercare strade sempre nuove e diverse per la drammaturgia contemporanea.
La parola, ed il giuoco che con essa e di essa è possibile intraprendere, fa di questo testo un oggetto naturale da essere iniziato e elaborato all’interno di un’alchimia teatrale vitale e creativa. Altro aspetto è quello della lingua di Camilleri. Una lingua personale, originalissima, che calca e ricalca, in una divertita e teatralissima sinfonia di parlate una meravigliosa sicilitudine linguistica, fatta di neologismi, di sintassi travestita, di modi d’uso linguistico mutuati dal dialetto che esaltano la recitazione di possibili attori pensati a prestare i panni al mondo dei personaggi camilleriani.
Giuseppe Dipasquale
 
 

Il Gazzettino Nuovo, 31.3.2017
Al Teatro Sociale di Brescia ‘Il casellante’ di Camilleri con Moni Ovadia

Da mercoledì 5 a sabato 8 aprile 2017 alle ore 20.30 e domenica 9 aprile 2017 alle ore 15.30 al Teatro Sociale di Brescia andrà in scena lo spettacolo di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale, tratto dal romanzo di Andrea Camilleri, per la regia di Giuseppe Dipasquale “IL CASELLANTE”con Moni Ovadia, Valeria Contadino e Mario Incudine. Lo spettacolo è prodotto da Promo Music Corvino Produzioni Centro d’Arte Contemporanea Teatro Carcano, Comune di Caltanisetta. Il Casellante è, fra i racconti di Camilleri, uno dei più divertenti del ciclo cosiddetto mitologico. Secondo a Maruzza Musumeci e prima de Il Sonaglio, questo racconto ambientato nella Sicilia di Camilleri, terra di contraddizioni e paradossi, narra la vicenda di una metamorfosi. Ma questa Sicilia è la Vigàta di Camilleri che diventa ogni volta metafora di un modo di essere e ragionare le cose di Sicilia.
 
 

 


 
Last modified Friday, October, 14, 2022