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Il birraio di Preston

di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale


 


Ci troviamo in un piccolo paese siciliano, che nella topografia camilleriana è il solito Vigàta, durante la seconda metà dell'Ottocento. L'occasione è data dal fatto che è necessario inaugurare il nuovo teatro civico "Re d'Italia".
Il prefetto di Montelusa, paese distante da Vigàta qualche chilometro, ma odiato dagli abitanti di Vigàta perché più importante e perché sede della Prefettura, si intestardisce di inaugurare la stagione lirica del teatro di Vigàta con l'opera lirica di Ricci.
Nessuno vuole la rappresentazione di quell'opera, tra l'altro realmente scadente. Il Prefetto obbliga addirittura a dimettersi ben due consigli di amministrazione del teatro pur di far passare quella che lui considerava una doverosa educazione dei vigatesi all'Arte, anzi di seguirli paternalmente nei primi passi verso il Sublime.
I circoli culturali locali si disputano la decisione circa la scelta dell'opera da rappresentare, ma il Prefetto Bortuzzi, cavalier dottor Eugenio, fiorentino, facendosi forte della sua autorità impone la propria volontà.
Si arriva quasi a una guerra civile tra le due fazioni: da un lato i vigatesi che, con quel naturale e tutto siciliano senso di insofferenza verso tutto quello che sappia di "forastiero" (e il Prefetto Bortuzzi lo è!), decidono di boicottare l'ordine prefettizio e dall'altra il Prefetto Bortuzzi con Don Memè Ferraguto, al secolo Emanuele, cinquantino, sicco di giusto peso, noto uomo d'onore del luogo, sempre alleato al potere per atavica e pura convenienza. Da ciò si diparte una vicenda divertentissima e intricata nello sviluppo: specie quando compaiono sulla scena i dinamitardi che hanno il compito di dare a quell'inagurazione la fisionomia di un messaggio a livello nazionale: dovranno infatti far esplodere il teatro per convincere il governo che anche la Sicilia è allineata, contro lo Stato, a favore dei Carbonari.
La vicenda della inaugurazione e dell'incendio si incastra con quella del Delegato Puglisi Sebastiano e della sua amante la cui sorella, vedova. ebbe a trovare atroce morte in seguito all'incendio del teatro. Della cantante Maddalena Paolazzi vittima di una delle più clamorose "stecche" nella storia del bel canto; del Dottor Gammacurta; dell'avvocato Fiannaca; dell'ingegnere Hoffer e di tanti altri.


"La città di Vigàta", bozzetto dello scenografo A. Fiorentino

ADATTAMENTO di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale, dal romanzo di Andrea Camilleri
REGIA - Giuseppe Dipasquale
SCENE - Antonio Fiorentino
COSTUMI - Gemma Spina
MUSICHE dell'opera "Il birraio di Preston" di Luigi Ricci su libretto di Francesco Guidi
ESEGUITE DA
Maria Giovanna Lo Cicero - soprano
Daniele Bartolini - baritono
Kunstliche Akademie Orchester e New Poliphonia Chorus diretti da Carmen Failla


 
INTERPRETI
Armando Bandini - Don Memè Ferraguto
Giulio Brogi - Delegato Puglisi
Mariella Lo Giudice - Concetta Riguccio, Agatina Riguccio
Miko Magistro - Autore (che interpreta), Hoffer, Gaspano, Salamone, Usciere, Bellofiore, Servo Circolo e Lumia, Annunciatore, Milite
Tuccio Musumeci - Prefetto Bortuzzi
Marcello Perracchio - Dott. Gammacurta, Don Pippino Mazzaglia, On. Fiannaca, Ciccio Adornato
Gianni Alderuccio - Ninì Prestia, Uomo di Hoffer, Uno dei birrai Opera, Attacchino, Pubblico Opera
Virginia Bianco - Pina Colombo, Bortuzzi Giagia, Coro fedeli, Pubblico Opera
Filippo Brazza - Gegè Bufalino, Gaspano, Tano Barreca, Lollò Sciacchitano
Carmela Buffa Calleo - Moglie di Restuccia, Gna Nunzia, Coro fedeli, Pubblico Opera
Valeria Contadino - Pubblico opera, Cammarera Mazzaglia
Francesco Di Vincenzo - Nando Traquandi, Minicuzzo Adornato, Pubblico Opera
Rocco Di Vincenzo - Gerd Hoffer, Figlio Pizzuto
Turi Giordano - Villaroel, Catalanotti, Uomo, Coro fedeli, Uno dei birrai Opera, Milite Bonavia
Orazio Mannino - Giosuè Zito, Turiddu Macca, Pilade, Spadolini, Laurentano, Bob, Attacchino
Leonardo Marino - Cavaliere Mistretta, Colombo, Vidusso, Uomo di Hoffer
Camillo Mascolino - Canonico Bonmartino, Meli, Decu Garzia, Uomo di Hoffer, Uno dei birrai Opera, Coro fedeli, Pubblico Opera
Margherita Mignemi - Angelica Gammacurta, Moglie Pizzuto, Maddalena, Effy, Coro fedeli
Franco Mirabella - Prof. Carnazza, Antonino Pizzuto, Girlando, Mario Filastò, Coro fedeli, Daniele Robins
Ignazio Pappalardo - Comm. Restuccia, Don Gaetanino, Uomo di Hoffer
Salvo Perdichizzi - Marchese M. Coniglio, Don Lillo Lumia, Cecè, Uomo di Hoffer, Uno dei birrai Opera
Raniela Ragonese - Figlia Pizzuto, Anna, Coro fedeli, Pubblico Opera
Sergio Seminara - Comm. Restuccia, Don Gaetanino, Uomo di Hoffer, Preside Cozzo, Coro fedeli
Andrea Camilleri - Voce registrata

Prima assoluta il 9 aprile 1999 al Teatro Verga di Catania, a seguire tournée.

Il primo rapporto con il teatro data, nella mia vita, all'incirca del 1949. Da questo momento in poi, si può dire, non ci siamo mai lasciati. Il movente fu un sentimento tipico di certa gioventù inquieta, tra la noia e la curiosità.
Del teatro già da subito mi attraeva le sperimentalismo linguistico, più che quello teatrale. Per primo posso dire, ho sperimentato nei teatri cosiddetti minori autori come Beckett e Adamov. Le altre mie regie teatrali, circa un centinaio, hanno spaziato su repertori diversi per prospettiva e storia.
Non ho scritto di teatro, come sarebbe sembrato normale, ma nel '67, volendo aprire un capitolo nuovo della mia creatività, scrissi "Il corso delle cose", che venne puntualmente rifiutato da dieci editori.
Oggi posso assistere a come il pubblico reagisce di fronte ad un drammaturgo di se stesso che ha già conosciuto come scrittore.
Prima di accettare l'ipotesi di una riduzione per il teatro di questa mia opera letteraria ho resistito un bel po'. Non capivo come fosse possibile (e ragionavo, è ovvio, da autore) trovare un contenitore spaziale, una griglia che supportasse, senza tradirlo, il racconto. Il colloquio avuto con Giuseppe Dipasquale ci ha fatto trovare la soluzione: una struttura drammaturgica che salvaguardasse la scomposizione temporale del romanzo, ma condotta in modo da localizzare scenicamente il tutto in un luogo che fosse ad un tempo un teatro (quello per esempio dove poteva essere avvenuto l'incendio) e il luogo dell'azione del racconto.
Sono stato per lungo tempo un regista per non capire quante insidie si nascondono nella trasposizione scenica di un'opera letteraria. Ci sembra, questa volta, di aver fatto il possibile affinché l'opera, lo spirito, l'ironia del romanzo siano state conservate. Per il resto non posso che essere d'accordo con quell'altro mio illustre conterraneo, quando diceva che l'opera dello scrittore finisce quando comincia quella del regista.
Andrea Camilleri

Il mondo di Camilleri e la sua poetica dello stupore
Principi di una riduzione / Appunti per una regia / Fine di un lutto / Il mondo dei personaggi / Sullo spazio
Giuseppe Dipasquale

Ancora un altro modo di raccontare
Se lasciate un bambino ancora pieno di fantasia davanti un teatrino vuoto e non rimanete li a guardarlo, lasciandolo solo con i suoi pupazzetti e con gli oggetti più disparati, dopo un po' sentirete che quelli cominciano a parlare per sua bocca ed il piccolo spazio si trasforma ai suoi occhi con l'aiuto degli altri, nei vari luoghi di cui ha bisogno la sua fantasia.
Quando leggi un buon romanzo non hai davanti che lettere, parole, frasi, paragrafi e capitoli stampati su fogli di carta legati insieme, eppure riesci a vedere tutto quello che ti racconta e stranamente queste immagini rimangono più impresse di quelle "vere" viste in televisione.
Quando leggi il Camilleri del Birraio trovi un signore bambino, come sanno essere certi padri buoni o certi nonni, che per te dà forma ad una vicenda, inventa luoghi e personaggi per raccontare con parole frasi e tutto il resto una storia tragica, poco a poco, passando da un brandello all'altro del racconto girandoci torno torno, dentro e fuori, da lontano, dall'alto e poi tanto da vicino che puoi sentire il colore e l'odore dei luoghi e delle persone e degli oggetti.
Ma se vuoi descrivere quello che hai letto ti accorgi che non puoi usare le stesse parole perché, quel signore ti ha raccontato una storia stando addosso ai personaggi e quello che hai visto dei luoghi è ciò che è entrato nell'inquadratura.
Potresti raccontarlo come se fosse un film facendo diventare reali i luoghi che hai semplicemente immaginato perché lui non li ha descritti; c'è andato attorno, dentro e fuori, ma in momenti diversi, con punti di vista diversi, con strumenti di ripresa diversi, così come ha fatto con personaggi e vicende.
Ma chi volesse rendere lineare la vicenda completarla con descrizioni, mettere in definitiva un po' di ordine, rischierebbe di annoiare il proprio interlocutore privandolo di qualsiasi emozione.
Leggere Camilleri è un'esperienza emozionante perché dà emozione, ovvero, esercita e ricrea parte delle nostre facoltà conducendoci al giuoco di riconoscere, verificare, accostare, incastrare le varie tessere della storia: una storia che può essere raccontata in vari modi.
Ed ecco dunque ancora un altro modo di raccontare ora, davanti il nostro teatrino, con Camilleri, il regista, lo scenografo, la costumista, il musicista, il realizzatore delle luci, macchinisti, elettricisti, attrezzisti, sarte, un modo diverso di raccontare, rappresentando la storia dove non c'è più inchiostro e carta, ma esseri umani tanti attrezzi ed elementi di legno, ferro, stoffa e plastica.
Antonio Fiorentino

Ho conosciuto Andrea Camilleri molti anni fa, in Via Asiago a Roma. Lui era un apprezzato regista radiofonico ed io conducevo un programma, "Buon pomeriggio", con Dina Luce.
Parlammo di teatro, motivo di passione per ambedue. Ignoravo però che la sua vocazione riguardasse la letteratura.
Non sapevo che Camilleri scriveva, e in parte pubblicava, nella più totale discrezione. Quasi avesse l'impressione di compiere una azione illecita.
Molto dopo, alle prime uscite di Sellerio, ho ritrovato Camilleri e mi sono, devo dirlo, appassionato.
Un romanzo, poi un altro e un altro ancora. Lo invitai la prima volta al "Maurizio Costanzo Show" e scoprii quanto l'autore somigliasse ai suoi protagonisti.
Quanto l'ironia rappresentasse un bagaglio prezioso. Quanto il lavoro svolto incessantemente sul linguaggio lo imponesse all'attenzione del pubblico e della critica.
Il suo commissario divenne presto il mio e, dopo anni, abbandonai il pur amato Maigret.
Camilleri è stato spesso mio ospite davanti alle telecamere, mentre la sua casa editrice siciliana riproponeva titoli che alla prima uscita erano passati quasi inosservati.
Una sera decisi di forzare il blocco e, come in più di quindici anni non avevo fatto, mostrando un libro di Camilleri, dissi più o meno: "Io vi consiglio questo libro. Fidatevi, leggetelo e se non vi piacerà sono pronto a restituire l'importo". Nessuno ha preteso il rimborso.
Evidentemente i lettori erano soddisfatti e da quel momento Camilleri, con più titoli, ha ingorgato, settimana dopo settimana, le classifiche di vendita.
È stato proprio "Il birraio di Preston" il primo libro di Camilleri che ho letto. Adesso, l'adattamento teatrale: quel discorso cominciato trent'anni fa in Via Asiago, trova una sua conclusione sul palcoscenico.
Il fascino della vita è anche nel poter raccontare queste cronache che a qualcuno potranno apparire minime, certamente non a chi le ha vissute.
Maurizio Costanzo  

Nuova edizione stagione 2009/2010, con torunée nazionale
REGIA - Giuseppe Dipasquale
SCENE - Antonio Fiorentino
COSTUMI - Gemma Spina
MUSICHE - Massimiliano Pace
MUSICHE dell'opera "Il birraio di Preston" di Luigi Ricci su libretto di Francesco Guidi
ESEGUITE DA
Maria Giovanna Lo Cicero - soprano
Daniele Bartolini - baritono
Kunstliche Akademie Orchester e New Poliphonia Chorus diretti da Carmen Failla



INTERPRETI
Pino Micol - Autore (che interpreta), Fridolin Hoffer, Orlando Gaspano, Salamone, On. Fiannaca, Bellofiore, Servo Circolo, Annunciatore, Milite
Giulio Brogi - Delegato Puglisi, Uomo che passa
Mariella Lo Giudice - Concetta Riguccio, Agatina Riguccio



Giampaolo Poddighe - Prefetto Bortuzzi, Uomo di Hoffer, Birraio  
Ester Anzalone - Giagia Bortuzzi, Coro fedeli, Cantante Opera, Pubblico Opera, Figlia Pizzuto
Valentina Bardi - Pina Colombo, Coro fedeli, Cantante Opera, Pubblico Opera, Gna Nunzia
Cosimo Coltraro - Canonico Bonmartino, Coro fedeli, Villaroel, Milite Bonavia, Meli, Decu Garzia, Uomo di Hoffer, Birraio
Fulvio D'Angelo - Don Memè Ferraguto, Birraio
Massimo Leggio - Antonino Pizzuto, Coro fedeli, Spadolini, Ninì Prestia, Girlando Daniele (Opera), Uomo di Hoffer
Leonardo Marino - Questore Colombo, Dott. Gammacurta, Don Pippino Mazzaglia, Coro fedeli, Uomo di Hoffer, Birraio
Margherita Mignemi - Angelica Gammacurta, Effy (Opera), Moglie Pizzuto, Coro fedeli
Rosario Minardi - Marchese M.Coniglio, Nando Traquandi, Tano Barreca, Controfigura Gaspano, Turiddu Macca, Uomo retropalco, Pubblico Opera, Uomo di Hoffer, Birraio
Stefania Nicolosi - Pubblico Opera, Cammarera Mazzaglia, Controfigura Concetta
Giampaolo Romania - Giosuè Zito, Catalanotti, Vidusso, Minicuzzo Adornato, Pubblico Opera, Uomo retropalco, Uomo di Hoffer
Sergio Seminara - Cavaliere Mistretta, Uomo di Hoffer, Don Gaetanino, Pubblico Opera, Gegè Bufalino, Uomo retropalco
un bambino - Gerd Hoffer, Figlio Pizzuto
Andrea Camilleri - Voce registrata
 

"Complessa", la strutturazione e la narrativa del Birraio di Preston; complessa, come scrive ora il regista, come da sempre esclama il lettore che si approccia al romanzo.
Tanto complessa che lo stesso Maestro Camilleri - lo ha scritto pubblicamente - è stato a lungo perplesso sulla possibilità di una riduzione teatrale dell'opera.
Il romanzo è in effetti un continuo incastro temporale e spaziale, di epoche e luoghi differenti, che spiazza il lettore, già intento a seguire con difficoltà il linguaggio così particolare di Camilleri.
Come poter dare un senso di continuità e semplificazione idoneo a consentire allo spettatore di non perdersi nella continua commutazione dello spazio e del tempo?
La soluzione, ritengo, sia stata genialmente individuata dall'autore e dal regista nella riduzione teatrale, che ha poi trovato una sua naturale esplicitazione nell'ideazione delle scenografie e dei costumi.
Quindi un autore narrante in costumi ottocenteschi, quasi un "prestigiatore" che accende e spegne una Vigàta magica, "sospesa nel tempo e nello spazio"; attorno un susseguirsi di personaggi, vestiti di colori che richiamano la natura e finanche gli odori della Sicilia, che rifuggono dal "nero luttuoso" dell'immagine collettiva e del luogo comune della sicilianità e che si contraddistinguono per il loro carattere auto-ironico.
Da qui l'utilizzo di tutte le sfumature dell'arancio, del giallo e del verde; da qui il grottesco ed il paradosso dell'accostamento di redingotte, frac e tube indossate da attori in mutandoni, pizzi, busti, lacci e "gabbie".
Un turbinio di colori e di immagini che, credo, non deluderanno coloro che conoscono ed amano la "Vigàta" e la "Sicilia" di Andrea Camilleri.
Gemma Spina

Oggetto della missione: "Destrutturare Ricci" ovvero, a dispetto delle mancanze originarie, renderlo fruibile e al servizio degli abitanti di Vigàta. A loro insaputa è ovvio poiché, tanto presi dalla storia e dai suoi tentacolari sviluppi, neppure si accorgeranno che le tanto (giustamente) contestate "melodie" (?) del copista Ricci, si trasformeranno nell'interpretante animico delle loro gesta. Destrutturare per equilibrare, portare in avanti nel tempo ciò che l'originale tende a tirare indietro, porre la clessidra del tempo in orizzontale. Agilizzare la staticità e frenare il movimento inconsulto. Recuperare cellule e renderle omogenee ad un nuovo organismo. "Solve et coagula": è questa quindi la missione musicale da compiere per Il birraio di Preston e in fondo scoprire che poi, tutto sommato, Ricci non era interamente da buttare via e che, quasi quasi, una qualche simpatia ce la fa... anche se, proiettati all'epoca dei fatti, probabilmente avremmo in toto abbracciato la causa dei vigatesi prima ancora di prendere visione della partitura dell'opera. Così, per gioco o per fazione.
p.s. Il birraio di Preston completa (per ora) la mia partecipazione musicale a quanto proposto in teatro dal duo Camilleri-Dipasquale. Di ciò mi vanto e mi rallegro.
Massimiliano Pace

 
Il copione è stato pubblicato inizialmente a cura del Teatro Stabile di Catania, poi nel volume Teatro (Lombardi, 2003) e in seguito singolarmente sempre da Lombardi.

 

Rassegna stampa storica

E il suo "Birraio" accende il pubblico etneo

Una Vigata che sfugge all'oleografia, un testo che addenta la scena per non lasciarla andare: "Il birraio di Preston" uno dei romanzi piu' riusciti di Andrea Camilleri, e' finalmente arrivato in scena a Catania, dove Giuseppe Dipasquale ne ha curato la regia per lo Stabile. Lo spettacolo e' strettamente legato al testo dello scrittore, che insieme al regista ne firma la riduzione. Anche se in questo caso sarebbe piu' adatto parlare di "trasposizione": "Il birraio" passa indenne dalle pagine alla scena, sale su un palcoscenico che lo accoglie in grembo senza togliergli niente, neanche qualche grammo di "polvere scritta" che qui si traduce in qualche passo un po troppo allungato su se stesso. Forse l'unica "accusa" che e' possibile indirizzare a Giuseppe Dipasquale e' proprio la mancanza di coraggio. Coraggio di "imbastardire" il testo con il teatro, renderlo piu' scorrevole, magari a scapito di qualche notazione a margine che si poteva tranquillamente dimenticare. A Dipasquale del "Birraio" e' piaciuto proprio tutto; e, tra quel bravo allievo che e', non ha voluto assolutamente tradire il "Maestro" Camilleri come era invece giusto fare. Lo spettacolo, forte di un rodaggio che sicuramente ne accarezzera' i tempi - dura oltre tre ore - , e' comunque pronto al successo: i personaggi disegnati da Camilleri e addolciti da Dipasquale raccontano la storia di un teatro che, il giorno dell'inaugurazione, "brucio per un acuto troppo acuto". Si intrecciano le storie di un prefetto fiorentino che vuole imporre ai vigatesi un opera sconosciuta (Tuccio Musumeci e' riuscito a ritagliarsi un Bortuzzi che e' un gioiello di tic nervosi che guarda una Sicilia di cartone attraverso lenti spesse tre dita, che si arrabbia giocando con le "C" aspirate. Insomma una vera macchietta da grande attore), di un delegato troppo solerte (Giulio Brogi, triste siciliano poco camilleriano), di DOn Meme', mafioso di professione (un' altra macchietta da ricamo, un Armando Bandini che annusa come un topo la gente circostante), delle sorelle Riguccio (alternativamente, una vezzosa e brava Mariella Lo Giudice) del Dott. Gammacurta, medico prestato all'opera, onorevole prestato alla gente (Marcello Perracchio, divertente e sopra le righe). Infine l'innovazione del regista, Miko Magistro interpreta diversi ruoli tra cui l'autore (ma la voce di Camilleri fuori scena introduce ad ogni capitolo). Magistro non era in una delle sue serate migliori, soprattutto nel primo atto, e le sue strane sfarinature hanno qualche volta allentato il ritmo del lavoro. Al loro fianco una compagnia misurata e accorta che disegna una Vigata bizzosa e ciarliera, dove il pissi-pissi conta quanto un'accusa in tribunale. E' la Vigata di Camilleri, fatta di segni e parole non dette - difficilissime da rendere in scena, ma Dipasquale, soprattutto nella scena della storia d'amore tra Concetta e Gaspano raggiunge il suo massimo impegno - , di occhiate prestate, di cose sussurrate tra una persiana e, in questo caso, un palco. Antonio Fiorentino non e' caduto nel tranello di cercare di descrivere Vigata, su cui ogni lettore ha ormai costruito il proprio immaginario. La Vigata del "Birraio" si innalza come il fondale del teatrino dei pupi, una porzione di Sicilia tipica come puo' esserlo un sogno. Il resto delle scene ideate da Fiorentino seguono il racconto, lo incanalano senza virtuosismi oleografici. Strana, ma azzeccata, la scelta dei costumi di Gemma Spina che ha voluto vestire (ma sarebbe piu' corretto dire svestire) gli attori come se fossero appena sopravissuti all'incendio, affidando loro mutandoni che appaiono sotto le marsine e corollari di stecche e busti. Una sala partecipe e un Camilleri commosso hanno accolto lo spettacolo.

Simonetta Trovato, Giornale di Sicilia, 11/4/1999

La prima del Birraio di Preston

Quell'andirivieni di personaggi al centro di una storia dall'ironia dolorosa

Catania - Il Teatro Margherita di Caltanissetta inaugurato nel 1875 da un Macbeth di Verdi, non fu bruciato ne' prima ne' dopo la rappresentazione del Birraio di Preston, ma certamente a seguito di questo spettacolo - mediocre nell'invenzione e discutibile nell'esecuzione e financo nei costumi - entro' in crisi, avendo "la societa' bene" nissena disdetto gli abbonamenti anche per protesta contro la pubblica amministrazione: il sindaco in primo luogo, ma soprattutto il prefetto Guido Fastuzzi (che Camilleri chiama Bortuzzi), a causa di una sua relazione che disegnava i siciliani come una delle piu' spregevoli popolazioni d'Italia. Storia e fantasia dunque nel Birraio di Preston, il romanzo di Camilleri trasposto per lo stabile di Catania in evento teatrale di singolare impatto e di forte interesse, dallo stesso autore e da Giuseppe Dipasquale che assumeva anche il ruolo di regista dello spettacolo. Fantasia e storia dicevamo. Ma storica e' l'opera lirica, quel Birraio di Preston cioe' di Luigi Ricci (l'autore della piu' nota Crispina e la Comare), che forse alcuni lettori e spettatori hanno creduto invenzione di Andrea Camilleri e che invece ci viene documentata non solo dalle biografie del musicista al debutto alla Pergola di Firenze nel 1845, ma addirittura al Politeama Castagnola di Catania nel 1883, al centro di una stagione lirica molto impegnativa che comprendeva, tra l'altro un Barbiere di Siviglia, Norma, Il trovatore e La forza del destino. Alla fantasia del romanziere invece appartiene la citta' di Vigata e molti dei suoi abitanti, ma e' certo che morti, ingiustizie, operazioni mafiose e tipici connubi tra mafia e politica in cui erano coinvolti sia lo sciocco e presuntuoso prefetto che i deputati del tempo, sono stati e sono nella realta' isolana sanguinose ferite di ben difficile guarigione. Premessa necessaria per entrare nel mondo falso-vero e vero-falso da racconto storico (o pseudo-tale) di questo scrittore dell'Agrigentino, i cui libri di un vago colore giallo-rosa-giallo hanno raggiunto tiratura da romanzo americano. Premessa per entrare in quel mondo, dicevamo, ma anche per sentirne la dolorosa ironia, anzi il grottesco che calcando i toni fino alla beffa - ma cio' si coglie ancor meglio nell'intensa regia di Dipasquale nei ritmi stravolgenti e coinvolgenti da lui dati all'intera rappresentazione - tenta di addomesticare una realta' che non su puo' definire drammatica perche' autenticamente tragica. Tutto questo va' colto nel libro e nello spettacolo, anche per capire la costante iterazione di avvenimenti e discorsi, il correre ora qua' e la', e aventi e indietro al fine di ritornare spesso nello stesso luogo e nello stesso tempo, ma soprattutto per renderci conto di una congerie di morti ammazzati che a prima vista puo' sembrare gratuita, per dimostrarsi poi terrifica e veridica sol che si volga lo sguardo non solo alla storia alla quotidianita' della cronaca. Certo non e' facile seguire in teatro l'andirivieni di fatti e personaggi o il recupero di discorsi iniziati istanti prima ma gia' sopraffatti dall'evolversi di cose, parole, avvenimenti, odi, amori, presunti, furti, incendi, uccisioni; certo uno sfoltimento di alcune situazioni, piu' valide in sede romanzesca che sulla scena, avrebbe reso piu' facile agli spettatori inseguire il contraddittorio andamento degli avvenimenti; certo il ridurre sotto i limiti televisivi le bordate di turpiloquio (qui addirittura in misura maggiore che nel romanzo) avrebbe fatto guadagnare piacevolezza allo spettacolo e non c'e' dubbio che il cronista deve osservare tutto cio', ma e' anche suo dovere percepire la validita' di un accusatorio processo al nostro costume, alla nostra criminalita', alla nostra cosiddetta giustizia, ai nostri vizi che spesso diventano delitti. Ed ecco allora affiorare nell'umorismo del Camilleri, che il regista rende estremamente esplicito fino alla piu' parodica caricatura, una visione Brechtiana del Teatro, dove un racconto, - si badi non la rivisitazione veristica di persone e fatti - deve spingere alla riflessione, rendendo amaro il riso verso il quale spingono le vicende e la provocante trasgressivita' di esse. Ci sarebbe molto altro da dire, ma una notazione in ogni caso va' fatto: se un Teatro come lo Stabile catanese da qualche tempo in crisi pu tra mille difficolta' e' capace di offrire uno spettacolo di tale qualita' e professionalita', esso merita ben altra sorte di quella temuta e che mentre scriviamo e' stata in buona parte sanata giusto con l'imprevista nomina a direttore artistico di Andrea Camilleri. C'e' da dire infatti che quei miracoli scenografici, nonostante il gusto e l'inventiva di Antonio Fiorentino (i "pasticciati" costumi erano di Gemma Spina), non avrebbero potuto avere attuazione senza tecnici da grande teatro. Cosi' come quella illuminata e originale regia che non ha avuto mai cadute di tono, non avrebbe potuto prendere corpo e superare certe cennate lungaggini (ma a questo su puo' ovviare con coraggiosi tagli che alleggeriscano anche i citati eccessi di volgarita'), senza una partecipazione entusiasta ed entusiasmante degli interpreti. Di Miko Magistro in primo luogo, storico e Deus ex machina dell'intera rappresentazione, in corsa fin dalle prime battute per giungere coerentemente al finale; e poi di Armando Bandini sottile e furbo boss punito da una mafia piu' forte della sua; di Giulio Brogi, il delegato Puglisi forse unico personaggio quasi positivo nel testo di Camilleri; di Mariella Lo Giudice, la vedova ipocrita dal sesso arrabbiato; di Tuccio Musumeci, efficacemente comico nel disegnare - lui esplicitamente siculo - il presuntuoso e sciocco prefetto fiorentino; di Marcello Perracchio, invasivo e invadente nei vari ruoli ricoperti; ee ancora di Gianni Alderuccio, Virginia Bianco, Filippo Brazza, Carmela Buffa, Buffa Calleo, Valeria Contadino, Francesco Di Vincenzo, Rocco Di Vincenzo, Turi Giordano, Orazio Mannino, Leonardo Marino, Camillo Mascolino, Margherita Mignemi, Franco Mirabella, Ignazio Pappalardo, Salvo Perdichizzi, Raniera Ragonese e Sergio Seminara nelle numerose e talvolta contrapposte personificazioni, tutte estremamente importanti per il loro costante gioco di coerenze-incoerenze e di comicita' sapida e - non sempre contraddittorio - drammaticamente immediata. Seppure con qualche stanchezza il pubblico non ha lesinato feste allo spettacolo, soprattutto perche' l'ha visto come un avvenimento di pregio, vissuto alla sala Verga alla stregua di tanti altri momenti sciasciani o della esaltante e indimenticata "Lunga vita di Marianna Ucria" di Dacia Maraini.

Domenico Danzuso, La Sicilia, 11/4/1999




Last modified Wednesday, February, 25, 2015