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La concessione del telefono

di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale



Dopo il successo ottenuto dalla trasposizione per il teatro de Il birraio di Preston, avvenuta nella stagione 1998/99 per il Teatro Stabile di Catania, l’autore del romanzo e il regista dell’opera tornano nuovamente insieme per riproporre al pubblico teatrale nazionale una nuova avventura dai racconti camilleriani: La concessione del telefono. È questo, fra gli ultimi romanzi di Camilleri, uno dei più divertenti. Sottotitolo del romanzo potrebbe essere: "Tutto in Sicilia è tiatro". Si tratta infatti di una specie di commedia degli equivoci e degli imbrogli, che trova la sua ambientazione ideale in un'isola, come la Sicilia, che è terra di contraddizioni, ma questa Sicilia è la Vigàta di Camilleri che diventa ogni volta metafora di un modo di essere e ragionare le cose di Sicilia. La storia è questa: l'equivoco, che ridicolmente fa da motore a tutta la storia è lo scambio tra due lettere dell'alfabeto, la M e la P. Il protagonista, Filippo Genuardi, per ottenere la concessione di una linea telefonica per uso privato, fa domanda formale al prefetto di Montelusa, denominandolo Vittorio Parascianno anziché Marascianno come in realtà il prefetto si chiama. Da qui nasce una storia complessa, in cui equivoci e imbrogli non si contano più e che coinvolge: il Genuardi, siciliano qualsiasi, e la sua famiglia; i vari apparati dello Stato, ovvero Prefettura, Questura, Pubblica Sicurezza e Benemerita Arma dei Reali Carabinieri; don Calogero Longhitano, il mafioso del paese; la Chiesa; quei compaesani, siciliani qualsiasi, che involontariamente capitano sulla strada di Pippo Genuardi. Alla fine tutti gli equivoci sembrano chiarirsi: il Genuardi è stato assolto sia dall'accusa di essere socialista che dal tentato omicidio. Reali Carabinieri, Questore, Delegato, don Lollò sono i personaggi seri del romanzo; tutti gli altri personaggi, anche il Genuardi e lo stesso don Nené, uomo onesto ed equilibrato, sono descritti, almeno una volta in atteggiamenti comici. Anche il dramma finale è filtrato nei toni della commedia. Don Nenè è visto attraverso gli occhi della moglie Lillina, che, non sapendo la causa del comportamento del marito, lo descrive come "pazzo, i capiddri dritti, gli occhi sbaraccati". E l'unico personaggio che avrebbe potuto esprimere dolore e solo dolore, la moglie del Genuardi e figlia di don Nenè, e che è stata interprete nel romanzo sempre di episodi comici, nel finale non è nominata. Il romanzo, nella sua complessità è stato rispettato anche nella riduzione che da questo è nata. Il carattere affascinante di questo progetto, posto essenzialmente sulla novità del testo e della sua possibile realizzazione, si sposa tutt’uno con la possibilità di ricercare strade sempre nuove e diverse per la drammaturgia contemporanea. Il Teatro è di per sé un genere eteroclito. Esso può comprendere e assimilare in sé anche altri generi senza per questo snaturare la sua efficacia ed il suo valore. Quando poi, come in questo caso, si è di fronte ad una forma narrativa che invita il lettore a dar corpo ai personaggi, privilegiando il parlato e non la descrizione, ecco che il Teatro si trova ad agire su un campo molto familiare. La parola, ed il giuoco che con essa e di essa è possibile intraprendere, fa di questo testo un oggetto naturale da essere iniziato e elaborato all’interno di un’alchimia teatrale vitale e creativa. Altro aspetto è quello della lingua di Camilleri. Una lingua personale, originalissima, che calca e ricalca, in una divertita e teatralissima sinfonia di parlate una meravigliosa sicilitudine linguistica, fatta di neologismi, di sintassi travestita, di modi d’uso linguistico ricalcati dal dialetto che esaltano la recitazione di possibili attori pensati a prestare i panni al mondo dei personaggi camilleriani. L’idea di una riduzione per il teatro ha trovato lo scrittore Andrea Camilleri entusiasta, anche se allo stesso tempo cauto. Lui, uomo di teatro oltre che scrittore, sa bene quanto la parola parlata, a teatro, rischi di rubare alla parola scritta del romanzo. E’ nata così una fiduciosa collaborazione con il regista che propone il progetto, legando strettamente la riduzione alla sua messa in scena, in modo che la peculiarità narrativa del romanzo non soccomba all’importanza della rappresentazione; e che alle leggi della scena, non si sottomettano, solo per convenienza, i liberi percorsi della scrittura letteraria. Si è curato invece il principio per il quale il Teatro può farsi sentinella vigile e attenta di un tesoro prezioso, quale il romanzo è, restituendolo alla scena con l’amore e la fiducia con cui si accompagna ad un ballo una timida innamorata.


ADATTAMENTO di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale, dal romanzo di Andrea Camilleri
REGIA - Giuseppe Dipasquale
SCENE - Antonio Fiorentino
COSTUMI - Angela Gallaro
LUCI - Franco Buzzanca
MUSICHE - Massimiliano Pace



PERSONAGGI E INTERPRETI
Filippo Genuardi - Francesco Paolantoni
Giacomo La Ferlita, Filippo Mancuso, Mariano Giacalone, Giacomo Giliberto, Dottor Zingarella, Don Cosimo Pirrotta, Paolantonio Licalzi - Pippo Pattavina
Don Calogero Longhitano - Tuccio Musumeci
Vittorio Marascianno - Gian Paolo Poddighe
Arrigo Monterchi - Pietro Montandon
Corrado Parrinello - Angelo Tosto
Emanuele Schillirò - Marcello Perracchio
Gaetanina Schillirò - Alessandra Costanzo
Calogera Lo Re - Valeria Contadino
Calogero Jacona, Strillone - Giovanni Carta
Gegè - Franz Cantalupo
Gesualdo Lanza-Turò, Rinaldo Russotto - Giampaolo Romania
Agostino Pulitanò, Ignazio Caltabiano, Vittorio Tamburello - Sergio Seminara
Signora Giacalone - Angela Leontini
Sasà La Ferlita (voce registrata) - Sebastiano Tringali

Esordio 8 novembre 2005 al Teatro Verga di Catania, con repliche fino al 27 novembre.
A seguire, nella stagione 2005/2006, tournée nazionale; di nuovo tournée nel 2007, nel 2008 e repliche nel 2009/2010 (con Angelo Tosto nel ruolo di Filippo Genuardi al posto di Francesco Paolantoni dal 2008).


Alla "prima": Ottavio Cappellani, il Presidente, Maddalena, Gaetano Savatteri

Nell'estate del 1995 trovai, tra vecchie carte di casa, un decreto ministeriale (che riproduco nel romanzo) per la concessione di una linea telefonica privata. Il documento presupponeva una così fitta rete di più o meno deliranti adempimenti burocratico-amministrativi da farmi venir subito voglia di scriverci sopra una storia di fantasia (l'ho terminata nel marzo del 1997).
La concessione risale al 1892, cioè a una quindicina di anni dopo i fatti che ho contato nel
Birraio di Preston e perciò qualcuno potrebbe domandarmi perché mi ostino a pistiare e ripistiare sempre nello stesso mortaio, tirando in ballo, quasi in fotocopia, i soliti prefetti, i soliti questori, ecc..
Prevedendo l'osservazione, ho messo le mani avanti. La citazione ad apertura del libro è tratta da
I vecchi e i giovani di Pirandello e mi pare dica tutto. Nei limiti del possibile, essendo questa storia esattamente datata, ho fedelmente citato ministri, alti funzionari dello stato e rivoluzionari col loro vero nome (e anche gli avvenimenti di cui furono protagonisti sono autentici). Tutti gli altri nomi e gli altri fatti sono invece inventati di sana pianta.
Questo era quello che scrivevo in calce alla pubblicazione del romanzo e che mi sento di confermare anche per questa occasione.
Non è retorica, ma non ho mai smesso di provare un’autentica emozione, ogni volta che si apre il sipario su un’opera teatrale. Nel caso di un mio romanzo, l’emozione è, per certi versi, doppia, sia pure, per fortuna, mitigata da un certo naturale disincanto che porta un uomo della mia età ad emozionarsi più per le cose degli altri che per le proprie.
Del rito teatrale mi ha sempre affascinato la prerogativa unica di quest’arte di saper mettere insieme culture, provenienze e sensibilità del tutto opposte, per cercare di comporre, in un’unica sera, la differente voglia di conoscenza, come voglia di maturazione e soprattutto come voglia di stare assieme. Perché gli eventi che coinvolgono una cittadinanza, una nazione, intere generazioni, si ritrovano nelle parole e nella storia raccontata da attori che prestano per una sera il proprio corpo a personaggi partoriti dalla mente di un autore.
La sala teatrale, quindi diventa un luogo di vita pulsante, dove quella storia sempre identica a se stessa, diventa ogni sera, per magia e maestria degli interpreti, sempre nuova.
Sarà il mio destino, sarà la mia vita passata di uomo di teatro, sarà che Dipasquale riesce sempre a convincermi, fatto sta che un altro mio romanzo si trasforma in una pièce teatrale.
Qui il lavoro, rispetto al Birraio, messo in scena sempre con lo Stabile catanese, era certamente più d’azzardo. Ma forse per questo più entusiasmante.
Pirandello amava dire che il lavoro dell’autore terminava quando egli riusciva a mettere la parola "fine" alla scrittura teatrale. Bene, questo copione ha la parola fine, messa nell’ultima pagina.
Tuttavia mi sento di chiosare il buon Luigi: è proprio nella messa in scena che inizia un nuovo viaggio del testo, sempre diverso e sempre nuovo, sempre imprevedibile, sempre disperatamente esaltante.
Per questo il confine del teatro è come l’orizzonte dei viaggiatori nei mari d’Oceano: sempre presente, mai raggiungibile.
Andrea Camilleri


La concessione del telefono è, fra i romanzi di Camilleri, uno dei più divertenti. Potremmo con semplicità definirla una commedia degli equivoci e degli imbrogli, la cui ambientazione ideale, un'isola come la Sicilia, è terra di contraddizioni. Ma questa Sicilia è la Vigàta di Camilleri che diventa ogni volta metafora di un modo di essere e ragionare le cose di Sicilia. Dopo il successo ottenuto dalla trasposizione scenica del Birraio di Preston, avvenuta nella stagione 1998/99 per lo Stabile di Catania, l'autore del romanzo e il regista dell'opera tornano nuovamente insieme per riproporre al pubblico teatrale nazionale una nuova avventura dai racconti camilleriani.
Dunque ci risiamo. Ancora un Camilleri, ancora un romanzo. Diverso dal Birraio di Preston, pur tuttavia un romanzo del ciclo storico del grande scrittore empedoclino. Una vicenda affogata nel mondo storico di Camilleri, che vive di personaggi reali, storicizzati nella sua grande fantasia di narratore. Una vicenda emblematica che disegna i tratti di una Sicilia arcaica e moderna, comica e tragica, ferocemente logica e paradossale ad un tempo.
La concessione del telefono è il romanzo del paradosso, più ancora del Birraio. In esso viene sviluppata, attraverso la narrazione di una vicenda del quotidiano intrigo di pulsioni tra un fesso Pippo Genuardi e la sua Lillina, l'infamia della ragione di un piccolo potere. E i poteri, siano essi forti siano essi nascosti, sono tutti piccoli, moralmente: la ragione che li sostiene poggia sempre sull'ambizione di pochi che orientano la propria azione per annullare le aspirazioni altrui.
Il romanzo, nella sua articolazione, è stato rispettato anche nella riduzione teatrale. Il carattere affascinante di questo progetto, posto essenzialmente sulla novità del testo e della sua possibile realizzazione, si sposa tutt'uno con la possibilità di ricercare strade sempre nuove e diverse per la drammaturgia contemporanea.
Il Teatro è di per sé un genere eteroclito. Esso può comprendere e assimilare in sé anche altri generi senza per questo snaturare la sua efficacia ed il suo valore. Quando poi, come in questo caso, si è di fronte ad una forma narrativa che invita il lettore a dar corpo ai personaggi, privilegiando il parlato e non la descrizione, ecco che il Teatro si trova ad agire su un campo molto familiare. La parola, ed il giuoco che con essa e di essa è possibile intraprendere, fa di questo testo un oggetto naturale da essere iniziato ed elaborato all'interno di un'alchimia teatrale vitale e creativa.
Altro aspetto è quello della lingua di Camilleri. Una lingua personale, originalissima, che calca e ricalca, in una divertita e teatralissima sinfonia di parlate una meravigliosa sicilitudine linguistica, fatta di neologismi, di sintassi travestita, di modi d'uso linguistico ricalcati dal dialetto, che esaltano la recitazione di possibili attori pensati a prestare i panni al mondo dei personaggi camilleriani.
In quest'ottica stupisce tutto del mondo dei personaggi camilleriani, ed in particolare di quelli della Concessione. Esso non è ordinato e razionale, ma disorganico e felicemente funzionante. I luoghi, i tempi dell'azione sono stravolti nelle loro regole. I personaggi non descritti, ma fatti parlare. Raramente si trova la descrizione di un personaggio se non per esaltarne un elemento utile al suo carattere. Molto spesso i suoi personaggi sono come caratteri, ove l'aspetto più importante è la loro tipizzazione più che la loro descrizione.
In virtù di queste considerazioni, la regia teatrale di questo romanzo ha voluto prendere strade consentite, ma allo stesso tempo non previste dalla scrittura narrativa.
Si è curata una ipotesi di spazio che restituisse il senso della metafora che sottende all'idea della Concessione: l'idea di base è quella di ricostruire in scena una "Vigata" di carta: la carta del faldoni burocratici, delle lettere e di tutto lo sdovaco cartaceo umbertino sulla Sicilia che chiede senza mai ottenere nulla che... un pezzo di carta.
Si è percorsa una scelta nei costumi che seguisse l'ipotesi ironica di una nascita dei personaggi dalla stessa carta di cui sono vittime. Si è aggiunta una via musicale che contestualmente accompagna la vicenda dei personaggi, interpretandone l'umore e il ritmo interno della loro azione.
Il palcoscenico, insomma, servirà la storia, e di essa si farà fedele interprete. Con il suo linguaggio, certo, con i suoi strumenti, che sono gli attori, innanzi tutto, le scene i costumi e via dicendo, perché così il teatro sa parlare ed è abituato a farsi capire, ma senza che questo voglia dover dire: dimenticate il romanzo, ora c'è il teatro. No. Ricordate il romanzo perché ora c'è il teatro!
Giuseppe Dipasquale  


Agrigento, 29 febbraio 2008: Agostino e Rossella con parte del cast (secondo da sinistra Marcello Perracchio, terzo da sinistra Angelo Tosto)

Dal 15 al 30 giugno 2013 è andato in scena a Catania (Palazzo Platamone, Corte "Mariella Lo Giudice") un nuovo adattamento




REGIA - Giuseppe Dipasquale
SCENE - Antonio Fiorentino
COSTUMI - Angela Gallaro
MUSICHE - Germano Mazzocchetti
LUCI - Franco Buzzanca
PERSONAGGI E INTERPRETI
Don Calogero Longhitano - Tuccio Musumeci
Giacomo La Ferlita, Filippo Mancuso, Mariano Giacalone, Giacomo Giliberto, Dottor Zingarella, Don Cosimo Pirrotta, Paolantonio Licalzi - Pippo Pattavina
Gaetanina Schillirò - Guia Jelo
Corrado Parrinello - Miko Magistro
Emanuele Schillirò - Marcello Perracchio
Vittorio Marascianno - Gian Paolo Poddighe
Filippo Genuardi - Angelo Tosto
Arrigo Monterchi - Fulvio D'Angelo
Agostino Pulitanò, Ignazio Caltabiano - Sergio Seminara
Gesualdo Lanza-Turò, Rinaldo Russotto, Rosario La Ferlita - Giampaolo Romania
Gegè - Cosimo Coltraro
Signora Giacalone - Raniela Ragonese
Calogera Lo Re - Liliana Lo Furno

Dal 6 al 16 gennaio 2022 va in scena a Palermo (Teatro Biondo) una nuova edizione

REGIA - Giuseppe Dipasquale
SCENE - Antonio Fiorentino
COSTUMI - Dora Argento
MUSICHE - Germano Mazzocchetti

INTERPRETI E PERSONAGGI
Alessio Vassallo – Filippo Genuardi (Pippo)
Mimmo Mignemi – Calogero Longhitano (Don Lollò)
Carlotta Proietti – Gaetanina Schillirò (Taninè)
Paolo La Bruna – Emanuele Schillirò (Don Nenè)
Cocò Gulotta – Arrigo Monterchi
Ginevra Pisani – Calogera Lo Re (Lillina)
Cesare Biondolillo – Corrado Parrinello
Alfonso Postiglione – Vittorio Marascianno
Alessandro Romano – Ignazio Caltabiano, Agostino Pulitanò, Giacomo La Ferlita
Franz Cantalupo – Gesualdo Lanza-Turò, Rinaldo Rusotto, Don Cosimo Pirrotta, Dottor Zingarella, Filippo Mancuso, Giacomo Giliberto, Mariano Giacalone
Alessandro Pennacchio – Paolantonio Licalzi, Gegè
la voce registrata di Sasà La Ferlita è di Sebastiano Tringali

DIRETTORE DI SCENA - Sergio Beghi
AIUTO REGIA - Angelo Grasso
ASSISTENTE VOLONTARIA ALLA REGIA - Giorgia Conigliaro
AMMINISTRATORE DI COMPAGNIA - Andrea Sofia
PRODUZIONE - Teatro Biondo Palermo

REPLICHE
3-6 febbraio 2022 - Teatro delle Muse, Ancona  
30 gennaio - 4 febbraio 2024 - Piccolo Teatro Strehler, Milano  
12 aprile 2024 - Palacongressi, Agrigento  
13-14 aprile 2024 - Teatro Garibaldi, Modica (RG)

Il regista Dipasquale firma una nuova edizione del fortunato adattamento teatrale dell’opera di Camilleri. Una commedia degli equivoci dai risvolti surreali, ambientata sul finire dell’Ottocento a Vigàta, il paese immaginario in cui lo scrittore agrigentino ha ambientato tutti i suoi romanzi, fino alle avventure del commissario Montalbano. La semplice richiesta di attivazione di una linea telefonica, avanzata dal signor Genuardi, innesca una catena di equivoci e imbrogli che diventa metafora di una condizione esistenziale.
La concessione del telefono è, tra i romanzi di Camilleri, uno dei più divertenti, una sorta di commedia degli equivoci ambientata in una terra, la Sicilia, che è metafora di un modo di essere e di ragionare, arcaica e moderna nello stesso tempo, comica e tragica, logica e paradossale.
Cosa indica la ridicola e allo stesso tempo legittima pretesa di un personaggio come Pippo Genuardi, che vuole ottenere una linea telefonica per potersi meglio organizzare con la sua amante?
È la metafora di un crudele gioco dell’inutilità umana e sociale o la pessimistica ipotesi di un atavico immobilismo del processo storico di evoluzione dell’individuo e della società?
Camilleri sembra non voler dare risposte, ma allo stesso tempo, con gli strumenti ingegnosi della lingua e del gioco letterario e teatrale, ci pone dinanzi a situazioni paradossali che smascherano le ipocrisie, i pregiudizi e la cattiva coscienza di una comunità molto simile a quella in cui viviamo.

note di regia
Dunque ci risiamo. Ancora un Camilleri, ancora un romanzo, ancora dopo ben diciassette anni La concessione del telefono. Questa volta per il Teatro Biondo di Palermo, con altri attori, altre scene, altre disposizioni, altre luci. Diverso dal Birraio di Preston, pur tuttavia un romanzo del ciclo storico del grande scrittore empedoclino. Una vicenda affogata nel mondo storico di Camilleri, che vive di personaggi reali storicizzati nella sua grande fantasia di narratore, e oltremodo emblematica, capace di disegnare i tratti di una Sicilia arcaica e moderna, comica e tragica, ferocemente logica e paradossale ad un tempo. La concessione del telefono è il romanzo del paradosso, più ancora de Il birraio. In esso viene sviluppata, attraverso la narrazione di un accadimento del quotidiano intrigo di pulsioni tra un fesso, Pippo Genuardi, e la sua Lillina, l'infamia della ragione di un piccolo potere. E i poteri, siano essi forti siano essi nascosti, sono tutti piccoli, moralmente: la ragione che li sostiene poggia sempre sull'ambizione di pochi che orientano la propria azione per annullare le aspirazioni altrui.
Il giuoco della metafora c'è, ed è imponente. Nella Vigàta di Andrea Camilleri, si consuma, a cavallo tra Ottocento e Novecento, una vicenda morale di ingiustizia sociale che pertiene alla incapacità cosmica dell'individuo, e aggiungeremmo dell'essere isolani e siciliani, di procedere al pari con la propria, semplice, coscienza di uomini. La Storia è un sistema di azioni che sommano le quotidiane differenze degli individui, ma il cui conto è sempre in negativo. Nelle maglie di queste continue sottrazioni i tanti Pippo Genuardi, redenti dalla loro ingenuità, rimangono condannati e stritolati dalle mani dei prepotenti di turno.
E tutto questo, in forma di metafora storicizzata e storicizzante, non può che accadere a Vigàta, dove i suoi personaggi sono credibilmente fantastici, e paradossalmente veri.
Essi sono personaggi di una fiaba realistica, come fiabe sono quelle che Camilleri racconta: v'è l'essenziale della storia, e i meccanismi tra azione e personaggi, azione e morale, sono perfetti. Il resto, il critico retaggio di molta postura letteraria, è lasciato intelligentemente da canto perché il racconto ha uno spessore popolare. Non è sofisticato e non può essere raccontato in modo sofisticato.
Pensiamo solo ai personaggi, alla loro azione, allo scopo della loro azione all'interno dell'intreccio. Non sono portatori di un messaggio che riflette un "io" critico dell'autore, ma sono più funzioni della storia che è tutta una metafora popolare. I personaggi seguono e fanno seguire la storia: entrano in scena per portare ognuno un pezzo di racconto, ognuno un compito che si traduce in azione: l'edonismo di Pippo Genuardi, l'affermazione del potere di Don Lollò, il trionfo della burocrazia di Marascianno, o l'affermazione della verità e della giustizia di Monterchi e Parrinello.
Ogni loro apparizione è di tipo diegetico. La metafora del racconto stesso è in certo senso autoreferenziale: rimanda a sé, come i racconti orali, i miti, i racconti di fiaba. Ecco perché i suoi racconti sono destinati ad un largo orizzonte d'attesa. Come nella lirica questo racconto ha la semplicità degli intrecci, presi ovviamente a sé, ma la complessità e l'articolatezza delle strutture espressive. Dunque tutto deve avere la semplicità popolare: le forme, i colori, l'uso dello spazio, le sonorità, la recitazione. Come popolare deve essere l'uso della contaminazione.
Cosa di questo racconto può essere più poetico e infantile? Sembrerebbe proprio il giuoco divertito composto sui personaggi: sono pieni di una visione del mondo, di un'idea su esso. Così concreti, ma così prodotti dalla fantasia. È come se degli uomini in carne ed ossa, con mille particolari che li fanno riconoscere come veri, vivessero in un luogo magico, incantato, inventato, acquisendo anch'essi un po' di quella magia, di quella fantasia, di quella follia e invenzione infantile della vita. In questo contrasto vivo sta il divertimento che abbiamo di loro. Ed è solo il luogo dove abitano che deve apparire stranamente magico: esso ha la magia in sé, contiene in sé una dimensione che dapprima non è possibile scorgere, è apparentemente reale, ma poi diventerà sospeso come fosse il luogo plausibile di un altro mondo.
In virtù di queste considerazioni, la regia teatrale di questo romanzo ha voluto prendere strade consentite, ma allo stesso tempo non previste dalla scrittura narrativa.
Si è curata una ipotesi di spazio che restituisse il senso della metafora che sottende all'idea della Concessione, l'idea di base è quella di ricostruire in scena una "Vigata" di carta.
Il palcoscenico, insomma, servirà la storia, e di essa se ne farà fedele interprete. Con il suo linguaggio, certo, con i suoi strumenti, che sono gli attori, innanzi tutto, le scene i costumi e via dicendo, perché così il teatro sa parlare ed è abituato a farsi capire, ma senza che questo voglia dover dire: dimenticate il romanzo, ora c'è il teatro. No. Ricordate il romanzo perché ora c'è il teatro!
Giuseppe Dipasquale

 
Il copione è stato pubblicato inizialmente a cura del Teatro Stabile di Catania, in seguito dall'Editore Arnaldo Lombardi.

 

Rassegna stampa storica

Nella trappola della burocrazia

La richiesta di una linea telefonica diventa occasione per mettere alla berlina la stupidità del potere nella Sicilia postunitaria. Protagonisti Francesco Paolantoni, Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina

Si inaugura questa sera la nuova stagione dello Stabile con l’atteso debutto in prima nazionale de "La concessione del telefono", trasposizione scenica dell’omonimo best-seller di Andrea Camilleri realizzata dallo stesso autore in tandem con il regista Giuseppe Dipasquale. Ironica e divertente commedia degli inganni burocratici ambientata nell’immaginaria Vigàta dei romanzi dello scrittore empedoclino, "La concessione del telefono" - con Francesco Paolantoni, Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina protagonisti - racconta la paradossale avventura di un semplice cittadino, Filippo Genuardi, che nella Sicilia postunitaria cade nella trappola stritolante della burocrazia in seguito alla richiesta di una linea telefonica a uso privato. Imbattutosi in un prefetto folle, il Genuardi finirà per essere sospettato di sedizione politica e dovrà districarsi faticosamente nella rete di ministri, carabinieri, mafiosi, e funzionari dello stato.
Sfrontato e un po’ guascone, col vizio delle donne. Impenitente edonista, privo di idee politiche e immeritatamente accusato di essere un rivoluzionario, Filippo Genuardi è sulla scena l’attore napoletano Paolantoni. "E’ un uomo medio e mediocre, buffoncello con i deboli e paurosissimo con i più forti", dice del suo personaggio, "Vive un’esperienza surreale ma sempre realisticamente possibile anche ai nostri giorni: vittima del potere, delle istituzioni, della mafia e della stupidità umana". Nell’intricata vicenda che si dipana a seguito della sospiratissima concessione di una linea telefonica, Genuardi ricorrerà financo alla mediazione di un mafioso, Don Calogero, affidato all’irresistibile comicità di Musumeci. Si fa in sette nel virtuosismo trasformistico dei differenti ruoli l’attore Pattavina. "Il mestiere, la fantasia e la mia particolare capacità di modulare la voce servono a dare vita ai diversi caratteri. E’ molto impegnativo ma mi diverte specie in questo mondo felicemente simboleggiato dalle carte che traducono il malcostume italiano della burocrazia lenta e ingombrante". Bonario e accondiscendente con la figlia Gaetanina, sposa di Genuardi, Nenè Schillirò è sulla scena Marcello Perracchio. "Buon padre, tollerante nei confronti delle bizzarrie del genero, diventa violento e geloso quando Filippo gli ruba la giovane moglie Lillina. Camilleri entra a piene mani nell’attualità a proposito del depistaggio compiuto dagli organi dello Stato, complici i giornali. Un semplice delitto d’onore, quale quello compiuto dal mio personaggio, diventa nella versione dell’Arma un attentato politico". Fresca, genuina, innamoratissima del suo "Pippo", Taninè è un’altrettanto solare Alessandra Costanzo: "Amo molto questo personaggio privo di ombre. Quello di Camilleri è un mondo declinato al maschile, in cui le donne sono trattate con grande rispetto e preservate dagli aspetti negativi che lo caratterizzano". Come la giovanissima Lillina che cade nella trappola amorosa del genero: "E’ ignorante, viene data in sposa per interesse a Don Nenè, e cede ingenuamente alle lusinghe di Pippo", spiega l’attrice Valeria Contadino. Sospettoso, delirante, simbolo di un potere ottuso che vede materializzarsi ovunque cospiratori e nemici dello Stato, il Prefetto Marascianno con i suoi sproloqui cabalistici è il motore degli equivoci che precipitano sulla vita di Genuardi. "E’ un Prefetto dell’Italia postunitaria", spiega Gian Paolo Poddighe, "ossessionato dalla ricerca di rivoluzionari, anarchici e bakuniniani. Attraverso questa singolare figura, Camilleri traccia l’identikit della follia del potere la cui ottusità alimenta fantasmi e complica la vita dei cittadini". Contro le insensatezze del Prefetto combattono gli unici savi della vicenda, Parrinello e Monterchi, rispettivamente Angelo Tosto e Pietro Montandon. "Stessa sagacia, uguale intuito: Parrinello sembra quasi il bisnonno di Montalbano" dice Tosto del suo personaggio, "Con Monterchi fanno la coppia Falcone-Borsellino, due puri in un covo di malafede e di stupidità".
"Sono il simbolo dello Stato ideale, perciò vengono spediti in Sardegna con la scusa della promozione", replica Montandon, "Con la folle ottusità delle istituzioni possiamo imbatterci quotidianamente". Altri piccoli "uomini feroci" ruotano ancora intorno a questa vicenda: dallo Strillone che commenta con cinico distacco fatti e misfatti di Vigàta allo sciocco Caluzzè, spia fedele agli ordini di Nenè Schillirò. "Sono accomunati", spiega Giovanni Carta che li interpreta, "dal piacere sadico di pescare nel torbido, di riportare la notizia gonfiandola e deformandola".
Tutto muscoli e ottusità, sempre pronto a tirare fuori la pistola, Gegè, il corpulento aiutante di Don Longhitano è interpretato da Franz Cantalupo. "E’ una bella occasione lavorare accanto a Musumeci da cui imparo moltissimo", spiega l’attore.
Zelante esecutore degli ordini, Gesualdo Lanza Turò è il carabiniere tutto di un pezzo. "Braccio armato della legge", spiega Giampaolo Romania, "sempre pronto a far scattare le manette accanendosi stupidamente dietro un’ipotesi". Striscianti, ammiccanti e profittatori sono i tre personaggi interpretati da Sergio Seminara: "I due direttori delle Poste e del Telegrafo e il geometra Pulitanò sono espressione del clientelismo di sempre".

Giovanna Caggegi, La Sicilia, 8/11/2005

Affogati nei documenti, vestiti di carta bollata e registri d’archivio

Le scene di Fiorentino e i costumi della Gallaro all'insegna della fantasia. Le musiche di Pace d’impronta siciliana

Catania. Un archivio gigantesco zeppo di faldoni accatastati. Pile vertiginose di registri che formano architravi per gallerie e cunicoli da cui sbucano, come striscianti mangiacarte, personaggi e oggetti. Il mondo polveroso e lento della burocrazia - in cui le carte ingiallite dal tempo segnano le lungaggini, gli intoppi, i grovigli della macchina amministrativa - è la scena immaginifica disegnata per "La concessione del telefono" da Antonio Fiorentino che, di concerto con il regista, ha volto in metafora il fitto carteggio burocratico da cui è sostanziata l’opera di Camilleri.
"La scena", spiega Fiorentino, in questi giorni impegnato nell’allestimento del "Campiello" di Goldoni per la Comédie- Française con la regia di Jacques Lassalle, "stabilisce una forte convenzione con lo spettatore. Sono stati rispettati forme, pesi e geometrie, e la documentazione all’Archivio di Stato mi ha consentito di rilevare differenti formati e tipologie di registri: faldoni, raccoglitori, e i cosiddetti "bastardelli", ovvero le minute dei notai. Sulla scena la stratificazione delle carte rende difficile il percorso, creando meandri di leggi e regolamenti dove si annida comodamente il malaffare. E’ l’habitat ideale per personaggi imbevuti di burocrazia".
Un’attenta e appassionata ricerca presso grossi archivi e in alcune rare pubblicazioni di collezionisti è servita anche all’ideazione dei costumi di Angela Gallaro, con i tessuti che riproducono le fantasie delle copertine dei registri d’archivio e la grafia di fine Ottocento, quest’ultima "prelevata" col sistema della digitalizzazione da missive autentiche e da richieste formali di cittadini alle istituzioni.
"Il taglio sartoriale dei vestiti", spiega la Gallaro, "è rigorosamente fine Ottocento, ma il gioco creativo e la reinvenzione ha puntato sui materiali e le stampe. Così come negli archivi ogni fantasia delle carte-fodere distingueva i fascicoli, allo stesso modo ogni personaggio è caratterizzato da stampe diverse di copertine di faldoni".
Per Pippo Pattavina che è impegnato in un virtuosistico gioco di travestitismo, con ben sette personaggi da caratterizzare, il cambio delle "facce", qualche volta a vista, rende intenzionalmente esplicito quel gioco.
"Rimane fissa la base per tutti i suoi personaggi: stesso gilet, pantaloni e camicia, ma cambiano le sopravesti: il cappotto del Dottor Zingarella, per esempio, è una citazione del costruttivismo russo". Assecondano le atmosfere di questo mondo di carta, con una speciale attenzione ai temi della sicilianità, le musiche di Massimiliano Pace.
"Esaltare un concetto di sicilianità senza cadere nella macchietta", spiega Pace, "Questa la direzione concordata con il regista. Ciò mi ha consentito, per i riferimenti culturali e musicali, di guardare ad un Kurt Weill de-drammaticizzato e a un Charles Trenet sicilianizzato, ovvero al concetto giocoso dell’analisi socio-culturale di Weill e alla canzone leggera ma colta dello chansonnier francese".

G. Cagg., La Sicilia, 8/11/2005




Last modified Wednesday, January, 17, 2024