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Presentazione del romanzo Ad occhi chiusi

Crema, Cafe Gallery, 24 novembre 2003

Domanda (Maddalena) Buona sera a tutti e grazie di essere qui. Rubo solo un minuto a Gianrico perché innanzitutto voglio ringraziare ufficialmente il Camilleri Fans Club, del quale faccio parte e soprattutto il suo Presidente Filippo Lupo, che mi ha dato la possibilità, lo spazio virtuale e l’aiuto tecnico per realizzare la pagina web dedicata a Gianrico Carofiglio, ospitata dal sito, appunto, del CFC, che è vigata.org. Pagina, e sito, che vi invito caldamente a visitare!
Gianrico Carofiglio è nato a Bari nel 1961 ed è Sostituto Procuratore antimafia presso la procura della sua città. Nel 2002 la casa editrice Sellerio ha pubblicato il suo primo romanzo, “Testimone inconsapevole”, e 3 giorni fa, sempre per Sellerio, è uscito il secondo, “Ad occhi chiusi”.
Entrambi i romanzi hanno come protagonista un avvocato molto particolare, Guido Guerrieri.
Come prima domanda ti chiedo di parlarci un po’ di questo personaggio.

Risposta (Carofiglio) Grazie a tutti di essere qui. Innanzitutto devo dire una cosa: abbiamo avuto una giornata terribile, di viaggi sotto la pioggia. L’ultimo, per arrivare da Milano a Crema… ci abbiamo messo quasi due ore e mezza ed è stata un’esperienza surreale. Quindi, dopo questa faticosa giornata, è un vero piacere trovarmi in questo posto così bello [Il Caffè Gallery, NdR] e, in una giornata di grande stanchezza come questa, fa molto piacere anche vedere così tanta gente… Sono veramente contento.
Fatti questi non formali ringraziamenti e convenevoli, cerco di rispondere…
Questo protagonista, dopo solo poco più di un anno dall’uscita del primo libro, sta già diventando un po’ ingombrante; perché, appena uscito “Testimone inconsapevole”, è partita, soprattutto da parte di chi mi conosce un po’, una specie di selvaggia caccia all’autobiografia.
“Che cosa c’è di Carofiglio nel personaggio di Guido Guerrieri?”. E ancora di più: “Quali episodi tra quelli raccontati sono episodi di vita vissuta?”.
Dico sempre, ma con scarso successo, che è un personaggio di pura invenzione. Ovviamente quando uno scrive riversa qualcosa di sé stesso nei libri, soprattutto nel personaggio principale, che è l’io narrante; ma da qui a parlare di autobiografia ce ne corre.
Maddalena credo che abbia già sentito l’aneddoto che sto per raccontare, quindi le chiedo scusa ma lo racconto lo stesso perché esprime bene il senso di questa caccia all’autobiografia nella narrazione. Mesi fa ero in tribunale e vedo un signore che conosco, ma in modo abbastanza superficiale, e questa persona quando mi riconosce assume un’espressione compresa e comincia ad avanzare verso di me con un’espressione intensa… Io rispondo con un’espressione ugualmente intensa perché di solito cerco di rispondere cortesemente… Una volta arrivato molto vicino mi abbraccia (noi di solito non ci abbracciamo!) e mi dice “Bravo! Veramente il libro è bellissimo ma non è di questo che voglio parlare. Io volevo dirti che apprezzo il tuo coraggio” Io l’ho guardato con aria stupita, non capivo bene dove volesse arrivare. “Ho apprezzato il coraggio con cui hai raccontato la tua separazione”. Quella signora bionda seduta là è mia moglie. Posso dire senza timore di essere smentito che sono esposto quotidianamente al rischio di essere buttato fuori di casa, ma al momento non è accaduto. Non ho avuto il coraggio di dire niente a questo signore, l’ho ringraziato per i complimenti, ma anche perché ho fatto un rapido calcolo e ho pensato che mi sarei venduto questo episodio più volte e infatti così è stato.
Il personaggio è di fantasia. Credo di averci messo, non per calcolo razionale, una serie di cose che mi piacciono, per cui c’è qualcosa di me, ma il personaggio è altro. Forse in questo ha una somiglianza con chi l’ha inventato, cioè con me; è un personaggio pieno di contraddizioni, con componenti maschili e componenti femminili, un misto di coraggio e vigliaccheria, inclinazione alla tristezza ed ironia.

D) Tu sei un magistrato - tra l’altro titolare di molte indagini delicatissime - e presumibilmente con poco tempo libero... Quindi ti chiedo come mai un giorno hai deciso di metterti al computer e di scrivere un romanzo e soprattutto come concili le due professioni.

R) E’ come andare su due tavole da surf contemporaneamente, quindi una cosa molto difficile… Il tempo è un’entità abbastanza flessibile. Io sono sempre stato un sostenitore degli interstizi, cioè degli spazi vuoti che non si utilizzano e che vengono sprecati. Quindi io mi metto a scrivere se ho una mezz’ora libera tra una cosa e l’altra, oppure la notte; per completare “Ad occhi chiusi” quest’estate non ho fatto neanche un giorno di ferie…
Com’è che ci si mette a scrivere… Lo scrivere era la mia aspirazione fin da bambino. Non era fare il magistrato. Ho sempre rinviato la realizzazione di questa aspirazione, mi capitava di dire… per molti anni ho pensato “Un giorno scriverò un romanzo” e si avvicinava pericolosamente il momento in cui dalla frase “Un giorno scriverò un romanzo” sarei passato alla frase “Avrei potuto scrivere un romanzo”… questo è pericoloso in generale… allora quando mi sono reso conto che si avvicinava il momento del passaggio dalla prima alla seconda mi son detto che forse era il caso di provarci…

D) In “Ad occhi chiusi” affronti il problema dello “stalking”,cioè della persecuzione. Come mai hai deciso di affrontare questo argomento?  Hai seguito tu stesso dei processi per questo tipo di reato?

R) Persecuzione è un termine non tecnico, perché non esiste nel nostro ordinamento giuridico un reato che si chiami persecuzione, o molestie assillanti aggravate come accade invece in altri paesi. Si è portati a credere che la persecuzione (cioè le molestie assillanti) sia un reato minore, in fondo che sarà mai, qualche telefonata, qualche appostamento. In realtà si tratta di un reato di straordinaria gravità, le persone che ne sono state vittime hanno visto la loro vita letteralmente devastata. Sono azioni pericolosissime che il nostro sistema giuridico attualmente non è in grado di contrastare, perché le norme non sono adeguate a questo fenomeno. Allora mi piaceva l’idea di raccontare una vicenda drammatica in cui il fulcro fosse la persecuzione e la correlata difficoltà di tutelare in un processo la vittima. Attorno a questa idea è nata la storia.

D) Sempre su “Ad occhi chiusi”. E’ un romanzo duro e molto violento, anche se lancia un messaggio positivo, sulla dignità e sul coraggio di affrontare la vita.
E’ molto diverso da “Testimone inconsapevole”, soprattutto meno umoristico. Sembra quasi che tu abbia voluto “cambiare registro, dare una svolta alla tua scrittura… Come mai questa scelta?

R) Non è che abbia scelto di scrivere un qualcosa che poi è risultato più duro, con meno momenti di umorismo liberatorio. Penso che se si scrive con onestà vengono fuori le storie che aspettano di essere raccontate. Non siamo noi a scegliere loro. Una storia così andava raccontata in quel modo. Nel primo ci sono stacchi umoristici più frequenti e quindi il peso della vicenda è un po’ meno… ma anche qui si ride, quantomeno c’è un capitolo che io ho scritto sperando che chi l’avrebbe letto potesse ridere.

D) Era già chiaro in “Testimone inconsapevole”, ma in “Ad occhi chiusi” è ancora più evidente. Come mai le donne protagoniste dei tuoi libri hanno sempre caratteri ed atteggiamenti molto maschili?

R) Ciò che è interessante, in una persona, non è il fatto che sia tutta in un modo o in un altro. Ciò che è interessante sono le contraddizioni, cioè il fatto che coesistano in una stessa persona una parte maschile e una femminile, una inclinazione al coraggio e una alla vigliaccheria, un’amarezza di fondo e la capacità di vedere le cose in modo umoristico. Io rovescerei un attimo questa cosa: è vero, le donne - come personaggi positivi - che ho raccontato io hanno forti componenti maschili… Il protagonista, Guido, ha forti componenti femminili: sensibilità, delicatezza, debolezza tra virgolette, che sono normalmente più frequenti nel genere femminile, secondo uno stereotipo. In realtà le persone, in generale, sono un misto. A me piace molto raccontare l’ambiguità delle persone.

D) Il giallo italiano sta vivendo una stagione di grande rinascita dopo anni di oblio. Cosa  pensi di questo fenomeno e chi apprezzi maggiormente tra i giallisti italiani contemporanei?

R) E’ difficile esprimere un giudizio su un fenomeno.
E’ come dire “Che ne penso del terremoto? Non mi piace ma c’è”. L’esempio non è casuale. Non vado matto per la maggior parte delle cose che si vedono in giro; anche perché, opinione personalissima, vediamo ad esempio la differenza tra italiani e americani… gli americani fanno per lo più prodotti commerciali, quindi di scarso valore letterario. Però esiste una tecnica diffusa che fa sì che i loro prodotti, anche se sono commerciali, abbiano una loro compattezza narrativa per cui uno si mette sulla spiaggia, li legge, e per lo meno si trova in un congegno che funziona. Il problema di molti degli autori del cosiddetto giallo italiano è che non sono scrittori nel senso migliore del termine, non hanno - molti di loro - la capacità di costruire storie  -la capacità professionale, da buoni artigiani - che hanno molti americani. Detto questo, io credo che ci potranno essere una serie di opinioni differenti su una serie di aspetti della lingua di Camilleri, ma certamente Camilleri è uno che sa costruire le storie, su questo non c’è dubbio. Non vado pazzo per la lingua di Camilleri, ma certamente lui ha una straordinaria tecnica narrativa, di costruzione delle storie, ritmo narrativo ed incastro. Ci sono alcuni aspetti interessanti in quello che scrive Piazzese. Lucarelli è molto dotato tecnicamente, sa scrivere. Ci sono delle cose buone, soprattutto i primi gialli, e altre meno. Altre in cui lui credo si perda un po’ dietro la sua abilità di manipolazione delle parole e dimentichi che quando si scrive un giallo, la storia è molto importante.

D) Sempre parlando di giallisti contemporanei… quasi tutti hanno un rapporto molto stretto col loro territorio… Camilleri ambienta sempre le storie in Sicilia, Macchiavelli a Bologna, così come spesso fa anche Lucarelli. Tu sei nato e cresciuto a Bari, e lavori ancora adesso in questa città. Quindi mi viene da chiederti come è il tuo rapporto con essa e se la città influenza il tuo modo di scrivere.
Pensi di ambientare i tuoi romanzi sempre in questa realtà, o non neghi la possibilità di cambiare ambientazione?

R) Il mio rapporto con la città, col territorio, è contraddittorio. Come è giusto che sia, nel senso che un rapporto lineare con il luogo in cui si abita credo non sia produttivo di cose interessanti. Dico contraddittorio perché ci sono cose che mi piacciono e cose che mi danno molto fastidio di come Bari è adesso, di come è la gente, di come è la qualità della vita. Ci sono cose che mi colpiscono, che mi affascinano, cose alle quali sono molto attaccato. Credo  che questo si veda, e credo che il rapporto contraddittorio con i luoghi di ambientazione delle storie sia un fattore di ricchezza nella storia e nei personaggi. Certamente altre storie saranno ambientate a Bari, ma non solo. Non escludo, anzi, certifico, che ci saranno storie ambientate altrove. Perché se mi piace raccontare storie ambientate a Bari, che peraltro è stata una terra, una città, in cui poca narrativa a tutt’oggi è stata ambientata, mi piace anche andare altrove, in senso narrativo. Raccontare storie ambientate in altri mondi, non solo mondi fantastici, ma mondi individuabili.

D) Tu sei edito da Sellerio, una casa editrice con una storia molto particolare, nata dal niente e che da sempre fa scelte editoriali coraggiose. E che deve molto a Leonardo Sciascia. Pensi che abbia un senso, al giorno d’oggi, fare letteratura di impegno sociale nel senso sciasciano del termine?
E pensi che gli scrittori debbano esporsi in prima persona?

R) Io credo che qua bisogna essere molto chiari, intendersi su cosa voglia dire letteratura di impegno sociale. Penso che uno scrittore che scrive al suo computer e dichiara a sé stesso di voler scrivere un’opera impegnata, che significa in altri termini di voler scrivere un’opera narrativa nella quale è enunciato un messaggio dal contenuto politico, ideale o ideologico, si accinge a fare - e poi in concreto fa - cattiva letteratura e pessima saggistica o pessima letteratura e cattiva saggistica a seconda dei casi. Altro discorso è se chi scrive una storia, chi racconta una storia scrivendola, è imbevuto di tensione ideale, ha delle convinzioni in cui fortemente crede, ha rabbia per l’ingiustizia magari, ha il desiderio che le cose cambino; e tutto questo viene riversato non già come risultato di un’operazione intellettuale nel senso di “Adesso vi dico” per esempio per parlare di quello che scrivo io ”come dovrebbe essere la giustizia e che vuol dire giustizia e ingiustizia”, ma nel senso di ributtare nella storia, bruciandola e trasformandola, l’indignazione per le cose che non funzionano… Allora, questo è l’impegno sociale. Si misura dopo che la storia è stata scritta, non prima, e non come risultato di un’intenzione dichiarata dell’autore a sé stesso, ma come risultato della complessità umana di chi scrive, che appunto butta dentro la storia le sue letture, le sue convinzioni, le sue idiosincrasie, le sue meschinità, tutto. E assieme a tutto questo, naturalmente, anche il suo impegno sociale.

D) Da “Testimone inconsapevole” verrà tratto un film, che sarà prodotto dalla Palomar, stessa casa di produzione del”Commissario Montalbano”... di questo film tu stai scrivendo la sceneggiatura, assieme a Domenico Starnone e Francesco Piccolo.
Cosa ci puoi dire dell’esperienza, per te nuova, di trasformare il tuo romanzo in una sceneggiatura?

R) Beh, per me è nuovo tutto, perché tenete conto che un anno e mezzo fa, esattamente, io non sapevo nemmeno se mi avrebbero pubblicato o no il primo romanzo. Diciamo che la sceneggiatura come esperienza è nuovissima, proprio di questi giorni. Io ho avuto qualche giorno fa la prima bozza della sceneggiatura impostata dagli altri due sceneggiatori, che poi sono i veri sceneggiatori, io sono l’apprendista stregone, in questo gioco. E’ stata un’esperienza strana e surreale, perché ho visto la storia che avevo scritto, anzi le storie che avevo scritto io, smontate e rimontate con pezzi tolti da un punto e messi in un altro e viceversa.
Quindi si tratta contemporaneamente della stessa storia e di un’altra storia. E’ stato molto divertente leggere le cose che avevo scritto io desiderando sapere come andava a finire. Detto questo, certo c’è da lavorarci perché il risultato poi è la convergenza di divergenze, nel senso che loro la pensano in un modo su alcune cose e io la penso in un altro su altre. Siamo tutti quanti uomini attendibili e inattendibili, io perché ho scritto la storia originale e sotto certi aspetti ci sono affezionato e devo essere strappato da questa storia e loro perché non hanno scritto la storia originale e quindi sono più distaccati ma meno padroni di alcuni aspetti. E’ molto interessante e mi viene da dire molto divertente, e in effetti lo dico, perché il piacere di raccontare storie può anche essere definito un divertimento, anche se è un divertimento a volte è faticoso e spesso penoso. Quando dico penoso  alludo alla difficoltà di trasformare quello che ti è chiarissimo nella mente, una sequenza narrativa, la figura di un personaggio, in parole che non tradiscano quella sequenza narrativa, quel personaggio, come lo avevi in mente.

D) Adesso che frequenti gli ambienti letterari da protagonista, avrai avuto modo di conoscere molti scrittori. Che impressioni hai ricavato dalla frequentazione di questi personaggi?

R) Ci sono scrittori qui?
Non sempre mi sono parsi esempi da imitare. Io credo che questo lavoro, se così si può chiamare, sia pericoloso. Perché molti inclinano a considerarsi progressivamente simili al creatore. Essendo creatori di storie, tendono a considerarsi simili ad un Creatore con la C maiuscola. E’ pericoloso perché tu costruisci dei mondi ed è questo ciò che rende straordinariamente divertente questa attività.
Uno però dovrebbe ricordarsi che sta costruendo sulla carta e che insomma, è un lavoro bellissimo ma è anche come molti altri. La percezione che ho rilevato io dalla conoscenza di, ormai, molti scrittori, è che non tutti siano in grado di governare con efficacia il senso di ubriachezza che deriva dal fatto che altri, magari molti, leggano le storie che hai scritto e che quindi entrino nei mondi che hai creato e che ti riconoscano il qualche modo come l’artefice di quel mondo. Sono stato a pranzo un mese fa circa con diversi scrittori, e c’era in particolare uno scrittore, di cui non farò il nome perché vorrei evitare querele, ma insomma un nome noto che vende molti libri. E’ stata un’esperienza straordinaria, vi assicuro. Perché siamo stati a tavola un’ora e mezza e questo signore riuscendo a sconfiggere qualsiasi fonte di disturbo sonoro e comunque qualsiasi presenza estranea, ha parlato di sé per tutto il tempo. Il che è straordinario. A titolo di esperimento scientifico io ogni tanto cercavo di dirgli qualcosa che implicasse o creasse un dialogo, ma era impossibile. Vabbè, capita spesso, si parla, uno dice qualcosa, l’altro non tanto ascolta ciò che dice l’interlocutore, ma aspetta che l’interlocutore finisca di parlare per poter proseguire il pensiero che aveva lasciato interrotto. Questo in qualche misura capita spesso nelle transazioni sociali, però la buona educazione, un minimo di percezione dell’altro, fanno sì che appunto uno stia zitto, lasci parlare l’interlocutore. Questo era straordinario, io o gli altri vicini ogni tanto tentavamo di dire qualcosa, ma venivamo semplicemente ignorati. Io ero affascinato, infatti dopo mi sono trovato a chiacchierare con un altro scrittore, molto noto negli ambienti letterari, un editor molto importante, e non sono riuscito a trattenermi, gli ho chiesto “Ma sono tutti così?” E mi ha risposto: ”Beh, lui è in una situazione grave, però, su per giù..” allora gli ho detto: ”Devo preoccuparmi?” “SI!”
[Insistenze da parte di tutti per farsi rivelare il nome dello scrittore… niente da fare ;-))) NdR]

D) Ci sono  numerosi punti di contatto tra la scrittura di John Grisham e la tua. E’ un autore che tu hai letto, che apprezzi, nel quale in qualche modo ti riconosci?

R) Non mi ci riconosco. Apprezzo di Grisham la capacità straordinaria e professionale di costruire storie che funzionano. Storie in cui non ci sono punti deboli. Sono dei congegni narrativi spesso perfetti, e questa è una cosa non da poco. Ciò che di Grisham non mi piace e non mi consente di identificarmici -  ma prendo comunque il paragone come un complimento - è la sua ridotta capacità di costruire personaggi convincenti. Grisham (ha detto Stephen King, che è uno che di queste cose se ne intende) ha personaggi a due dimensioni; ed è vero. Sono personaggi sostanzialmente funzionali a far muovere il congegno narrativo. L’impressione che normalmente si ricava leggendo Grisham è che non sia particolarmente interessato ai suoi personaggi, e quindi al dar loro uno spessore, un’esistenza, trasformandoli in persone, ma che sia piuttosto interessato ai suoi personaggi come chiavi strutturali, ma solo chiavi nel meccanismo narrativo, che è ciò che più interessa. Certo, se guardiamo all’entità delle vendite, è probabile che abbia ragione lui…

D) Andrea Camilleri, alla Giornata della Giustizia indetta dall’Associazione Nazionale Magistrati, ha dichiarato, riprendendo una frase di Sciascia, che “Siamo sull'orlo di un regime perché si stanno smantellando giustizia e informazione”.
Condividi questo parere?

R) Sì e no. Non credo che siamo sull’orlo di un regime. Credo che siamo in una situazione preoccupante, perché giustizia ed informazione, che sono due pilastri della democrazia avanzata, subiscono colpi violentissimi per una serie di ragioni che sono sotto gli occhi di tutti. Qui non si tratta, credo, di essere di destra o di sinistra, credo si tratti di condividere alcuni principi fondamentali della convivenza civile. Uno di questi principi è che l’informazione è uno strumento di controllo sul funzionamento del potere, dei poteri. Se vi è intrinsecazione tra i poteri e l’informazione nella sua totalità o nella sua maggioranza, lo strumento di controllo cessa di essere tale e diventa perpetuazione del potere costituito. Questa è una cosa che nessuno, che parli di basi della democrazia, può escludere. Purtroppo nel nostro paese si assiste a un’erosione dell’attitudine al controllo dell’informazione rispetto all’esercizio del potere, e questo non va bene.
La giustizia. La giustizia, come l’informazione, è uno strumento di controllo, nel senso che la giustizia esercita un controllo di legittimità, tra l’altro sull’azione di taluni poteri pubblici. E’ necessario, per esercitare questo controllo, di legittimità e di legalità sull’azione dei poteri, che la giustizia - ora parlo di categorie generali, semplificando in maniera anche banalizzante - sia autonoma. Ogni progetto - e purtroppo esistono progetti in questo senso, adesso - che miri a ridurre gli spazi di autonomia del controllo giudiziale è oggettivamente un progetto che riduce, o ha l’attitudine a ridurre, i livelli di democrazia di un sistema complessivamente considerato in questo senso. Credo che si debba essere vigili e preoccupati, anche se forse l’espressione regime, al momento, per fortuna, mi sembra eccessiva.

D) Leggendo entrambi i libri, ma soprattutto questo avviene con “Ad occhi chiusi”, si ricava a tratti una sensazione di sfiducia nel sistema giudiziario. Sembra quasi che l’esito di un processo dipenda dal caso, da chi viene nominato, dall’umore del giudice etc etc…
E’ un tuo pessimismo personale o la situazione è davvero così?

R) Sì e no. Questo è uno degli aspetti che certamente esiste, in ogni sistema giudiziario, non solo nel nostro, una fortissima componente legata alla natura del sistema giudiziario, che è fatto da uomini in un sistema di regole complesse, complicate, delicate che facilmente si inceppa, anche nel migliore, nel più efficiente degli ordinamenti possibile, figuriamoci nel nostro, dove le cose non vanno troppo bene. Non credo che vi sia sfiducia, nelle storie che racconto. Vi è una percezione di modi e tempi del sistema, ma i protagonisti positivi lottano all’interno del sistema e faticosamente conseguono dei risultati superando una serie di problemi che naturalmente esistono, nella narrazione come nella realtà. Io non credo che in generale, e in particolare rispetto al sistema giudiziario, ciò che scrivo includa un messaggio di sfiducia o di pessimismo. Credo piuttosto che includa un messaggio di ottimismo critico, di coraggio complicato, si torna al discorso sulle contraddizioni…

D) Chi sono i tuoi maestri in campo letterario? E a chi ti piacerebbe essere paragonato come scrittore? O quale scrittore ti piacerebbe fosse paragonato a te?

R) Siamo tra amici… e allora vi dico una cosa che mi hanno detto, mi è piaciuta enormemente ma vi prego di non prenderlo come il delirio di uno che ha trascorso una giornata un po’ così e che sta pericolosamente virando verso quella “C” maiuscola del creatore… Una persona che ha letto il mio nuovo romanzo mi ha detto che gli ricorda “La linea d’ombra” di Conrad, questa cosa mi ha tramortito. Non ho idea del perché gli ricordi Conrad, lo sto rileggendo. Non so se sia giusto, né cosa volesse dire, ve la racconto così. A chi mi piacerebbe essere assimilato…
Non so, mi è venuto in mente, mentre parlavi, Steinbeck, che a me piace moltissimo. I miei maestri… non lo so, non so rispondere! Io ho letto, e continuo a leggere di tutto, roba buona, roba media, anche roba pessima, che a volte trovo torbidamente affascinante. A volte mi capita di leggere libri o cose meno impegnative. Libri che so fin dalle prime parole che sono orribili, però li leggo ugualmente. Un po’, mi rendo conto, per masochismo intellettuale, un po’ perché si imparano delle cose interessanti dalle schifezze. C’era una professoressa che conoscevo tanti anni fa che mi diceva - passo ad un ambito diverso ma per esprimere un concetto analogo - “Bisogna essere grati ai professori asini, più che a quelli bravi, perché è il professore asino che ti consente di esercitare il tuo senso critico”. Ed è vero, io credo che bisogna essere grati agli scrittori asini, perché se uno legge delle porcherie intanto si spaventa, e quindi sta più attento e cerca di evitare di scriverle, e poi possono dare spunti inaspettati. Umberto Eco, la prima pubblicazione che ha fatto è stata la sua tesi di laurea, intitolata “Il problema estetico in Tommaso D’Aquino”. Per mesi era stato alla ricerca della soluzione al problema principale posto da questa tematica senza però trovarla. E lui racconta nel suo libro “Come si scrive una tesi di laurea” che una volta passeggiava a Parigi tra quelle bancarelle che vendono libri usati, e gli capitò un libro su Tommaso D’Aquino, un libretto di leva bassissima; lo sfogliò e trovò una parte dedicata al problema estetico.
Prese questo libretto, lui conferma, catastroficamente brutto e stupido; ma per puro caso, in questo capitolo c’era un’intuizione di cui evidentemente l’autore non si era nemmeno reso conto, che gli consentì di risolvere la questione che si era posto. Quindi per questo dico che si deve essere aperti a tutto, ad ogni tipo di lettura, anche quelle bruttissime, perché poi le idee, gli stimoli e la crescita, lo sviluppo e tutto il resto sono dappertutto…
Non ho risposto… sono sfuggente, lo so…
Lo stile, ognuno ha il suo ed è frutto di molte cose, però se devo dire chi mi piace come scrittura… Steinbeck, Hemingway, John Fante, Chandler, Hammett, gli americani. Calvino e Lussu. Mi viene in mente David Lodge, che è inglese. I francesi non mi piacciono particolarmente. Mi piace lo stile di questi scrittori, che per molti aspetti è diverso. E quello che scrivo io credo sia il frutto di quello che ho letto.

DOMANDE DEL PUBBLICO

D) Chi ha ucciso il bambino in “Testimone inconsapevole”?
E poi chiedo al magistrato Carofiglio, o all’avvocato Guerrieri: ma la nostra magistratura, e la verità, -perché quello che noi vogliamo è la verità- riescono a incontrarsi qualche volta o no? Non è una domanda polemica, ma penso anche agli avvenimenti di questi ultimi giorni… [caso Previti, NdR].
La verità viene fuori?

R) La prima domanda è più che legittima: è la domanda che avrei fatto io all’autore, se non l’avessi scritto io.
Il progetto originario dell’opera implicava che si scoprisse chi era il responsabile. Però mentre scrivevo pensavo che nella vita reale non funziona così, quasi mai. Intendo dire. Non funziona quasi mai che una persona accusata di un delitto venga poi salvata dalla scoperta - come succede nei telefilm di Perry Mason - di chi è il vero responsabile. Quindi mi pareva di fare qualcosa di ovvio, quindi ho abbandonato quell’idea, che poi era una sequenza narrativa già costruita in base alla quale si scopriva chi è il responsabile. Quando abbiamo avuto i primi approcci per la riduzione televisiva del romanzo, il produttore mi ha detto “Una cosa non me la puoi rifiutare, si deve scoprire chi è stato. In tv non puoi lasciare il pubblico così”. Quindi in tv si scoprirà.
Questa è una risposta.
Non bisogna essere sfiduciati rispetto alla capacità del sistema giudiziario di accertare la verità, qualsiasi cosa significhi. Perché lei sa qual è l’anagramma delle parole “la verità”?
Uno degli anagrammi - perché ne ha tantissimi, è una delle parole con il maggior numero di anagrammi - ma il più interessante è “relativa”… trovo molto interessante questo fatto.
In realtà noi non scopriamo la verità, noi ricostruiamo coi mezzi limitati di cui siamo in possesso - noi non sistema giudiziario, noi umanità - fatti del passato, e li ricostruiamo non per scrivere la storia, ma per applicare pene ad una persona. Quindi il grado di attendibilità della verità che noi ricostruiamo e/o cerchiamo di ricostruire deve essere molto alto, tale da escludere, o meglio, ridurre al minimo, la possibilità che un’ipotesi alternativa possa essere plausibile. E’ un compito difficile. Ci sono molti casi in cui la ricostruzione del fatto del passato è attendibile, è plausibile, ma tollera un’ipotesi alternativa, e quando tollera un’ipotesi alternativa noi dobbiamo operare la scelta di assolvere. Ci sono casi in cui questo può non piacere, e di fatto non piace, perché al senso comune, che ha bisogno di giustizia, ripugna che in certi casi ciò che sembra ovvio non debba tradursi in una sentenza di condanna. Ma basta fare un’esperienza di tutto questo dal punto di vista dell’imputato, come l’imputato protagonista della storia di “Testimone inconsapevole”, rispetto al quale era plausibile, se non altamente probabile, l’ipotesi dell’accusa… basta fare questo tipo di esperienza per acquisire un tipo di sensibilità diversa. Certo, ci sono imputati che ci piacciono molto poco, e credo che ci intendiamo… la cui faccia ci piace molto poco perché sappiamo per certo che ne hanno fatte di tutti i colori, molto più di quanto gli è stato attribuito in un singolo processo. Ma la forza del meccanismo, e la stessa sua ragione di esistere, e la stessa ragione di esistere dell’autonomia del sistema giudiziario come sistema di controllo, sta nel fatto che gli imputati devono essere tutti uguali, e che quando esiste un dubbio sulla colpevolezza di questo imputato, anche se non ci piace affatto né lui né quello che stiamo per fare, lo dobbiamo assolvere.

D) Pensi di scrivere prima o poi un libro sulla criminalità organizzata pugliese?

R) Credo di no. Mi è stato chiesto ultimamente di scrivere o di partecipare alla scrittura di almeno un paio di libri-cronaca su vicende delle quali mi sono occupato. Non mi piace l’idea. Come dicevo prima, per me l’aspetto gratificante dello scrivere sta nell’inventare. Non mi diverte, perché non appartiene al mio gusto, l’idea di raccontare storie vissute, di prenderle dalla realtà, scrivendo appunto un libro verità. Tra l’altro noi che facciamo questo lavoro - giudice o pubblico ministero - le storie verità dobbiamo raccontarle tutti i giorni. Quindi la cosa mi annoierebbe.

D) Ha mai pensato di scrivere un giallo storico?

R) No, non ho mai pensato di scrivere un giallo storico. Credo di sapere anche il perché. Io credo che quando si racconta una storia, il contesto della storia, la sua collocazione in ambito temporale, geografico, ambientale, debba essere impeccabile. Cioè, credo che non si debbano introdurre elementi - su cose sostanziali dell’ambientazione - di fantasia dell’autore, che stridano rispetto a come è il vero contesto. Spiego con un esempio: si leggono libri di veri o presunti giallisti, che raccontano storie di avvocati o magistrati o poliziotti dicendo delle stupidaggini colossali su come funziona il lavoro giudiziario. Allora se uno scrittore scrive una sciocchezza che distrugge l’ambientazione, commette un vero e proprio delitto nei confronti dei lettori. Fosse anche solo uno il lettore capace di scoprire l’errore di ambientazione. Quando io leggo dei gialli e scopro un errore prendo il libro e lo chiudo. Ma non perché io voglia fare il professore, ma perché raccontare una storia è un’operazione delicatissima. Si entra in un mondo parallelo, che deve avere una sua coerenza. Il bello è vivere quelle ore in cui sei col libro davanti e leggi una storia, il bello è essere altrove. Se io che faccio il magistrato leggo una storia scritta da un ingegnere - faccio per dire - il quale ad un certo punto dice delle stupidaggini su come funziona un’indagine, questa magia, questo incantesimo all’improvviso si spezza. Perché io vedo che ha scritto una stupidaggine e capisco che è finto. Lo so benissimo da prima, ovvio, che  è finto, ma la cosa straordinaria è proprio la magia dell’entrarci anche se sai che è fantasia. Ma se lui ti dice una stupidaggine su come funzionano le cose spezza l’incanto e mi fa passare la voglia di leggere. Tutto questo tortuoso discorso serve per spiegare che per quello che mi riguarda io non avrei i mezzi tecnici - nel senso delle conoscenze approfondite nel dettaglio, non so se altri le hanno… Umberto Eco sicuramente sì, ma altri epigoni probabilmente meno - per raccontare un giallo storico, la realtà, l’ambientazione, in maniera impeccabile, convincente anche magari per lo studioso di storia cui queste cose piacciono.
Però magari qualcuno lo sa fare… certamente Eco l’ha fatto. E’ un grosso problema; voglio dire una parola grossa, è un obbligo etico per chi racconta delle storie, il non imbrogliare il lettore; e il lettore si imbroglia anche inventandosi qualcosa sull’ambientazione che non risponde a come i fatti sono realmente. E’ ovvio che se io scrivo una storia ambientata sul pianeta Zorg, che è un mondo di pura fantasia, decido io le regole: ma se scrivo una storia ambientata a Firenze nel 1820, sono pregato di non mettere automobili che circolano. Dico questo perché recentemente ho visto un film molto bello, che a me è piaciuto molto, ma che mi ha dato una botta alla fine: era il film di Bellocchio sul sequestro Moro; molto bello, straordinariamente recitato ma alla fine - chi lo ha visto sa di cosa sto parlando - c’è questa immagine di Moro che esce dal rifugio e si allontana e ad un certo punto si vede un’Alfa 164… è chiaro cosa intendo dire? Perché una sciocchezza simile? Era così grossolana che per un po’ di tempo io mi sono chiesto se per caso lo avesse fatto apposta… Persone addentro a questi meccanismi mi dicono che non è stato fatto apposta e io mi indigno un poco per una cosa del genere, anche in un film che io ho trovato molto bello.

D) Il suo personaggio avrà lunga vita?

R) No, no! Ecco, io credo che Camilleri abbia perfettamente ragione quando dice che il suo personaggio è un serial killer, nel senso che uccide le altre storie… Io non ho intenzione di fare la stessa cosa. Quindi il prossimo romanzo, che è già in buona, in massima parte scritto, è tutt’altra cosa. Poi vediamo.

D) Uno dei più bei libri della storia è “Memorie di Adriano”, è eccezionale. Descrive dei fatti che sono storici. La Yourcenar ha creato un’opera d’arte.

R) Marguerite Yourcenar aveva gli strumenti per farlo, io non sto dicendo che è impossibile, che non si può fare, dico che io non sarei capace. E vedo che molti che lo fanno non  ne sono capaci. Questo non significa che non si può fare.

D) Tu sei un magistrato dell’Antimafia e svolgi la tua attività a Bari, la città dove vivi, sei cresciuto, hai la famiglia, un contesto sociale. Che tipo di difficoltà incontri a rapportarti nel tuo lavoro con questa realtà?
Probabilmente ci saranno anche dei vantaggi, perché conosci il contesto sociale...

R) Non ho particolari difficoltà. Bari è una città abbastanza grande da non presentare i problemi che invece incontrano persone che fanno il mio stesso lavoro in centri piccoli, nei quali sono nati. Certo, chi fa il pubblico ministero a Palmi essendo nato a Palmi, che ha 20.000 abitanti… Bari è una realtà grande. Come città ne ha quasi quattrocentomila, il territorio di riferimento è una delle province più grandi e popolate d’Italia. Occupandomi di Antimafia, la competenza è sulla provincia di Bari e su quella di Foggia, il che significa credo 2 milioni e mezzo di persone. Francamente non ho particolari problemi in rapporto a questa città, in relazione al fatto che ci sono nato. Certo a volte capita che ti trovi di fronte come avversario un amico con cui sei cresciuto, ma questo normalmente tra persone civili non è un problema, e non lo è mai stato.

D) Ci sono in “Ad occhi chiusi” un paio di pagine dove lei descrive l’odore della paura. E’ un’esperienza personale?

R) Sì, questa è una cosa che non può non venire dall’esperienza personale. Personalmente sono molto sensibile agli odori, fin da quando ero piccolo. Anche se la cosa strana è che la sensibilità agli odori, cioè la capacità di conoscere il mondo attraverso l’olfatto, è una cosa che non viene dichiarata dalle persone, viene quasi considerata una cosa un po’ vergognosa. Stamattina proprio, alle 8 appena ho acceso il cellulare, è squillato… un’amica mi ha detto “Ho letto stanotte il tuo libro e sono rimasta sconvolta da questa cosa degli odori perché è una cosa che succede anche a me e non ho mai detto perché mi vergognavo. Non credevo succedesse a qualcun altro”. Sento gli odori. E la questione della paura è una cosa vera. L’ho verificata nel 92, lo ricordo benissimo. Era una cosa abbastanza simile a quella raccontata nel libro. C’era stato un omicidio, era stato ucciso il proprietario di un bar per motivi banalissimi da un piccolo balordo che aveva avuto un diverbio con lui, insomma questo balordo, che era un parcheggiatore abusivo, era andato al bar con la pistola e gli aveva sparato in faccia. Questa era la ricostruzione, noi all’inizio non sapevamo tutto questo. In base alle indagini prendemmo questo posteggiatore abusivo e lo portammo verso l’una e mezzo di notte in questura e l’interrogatorio iniziò verso le due. E fu un interrogatorio duro, intendo verbalmente. Ad un certo punto sentii che si diffondeva nella stanza questo strano odore , un odore come di animale. Questo accadde più o meno in concomitanza del momento in cui si rese conto di essere incastrato. Non riuscivo a capire ma era intensissimo, pungente . Poi negli anni l’ho sentito altre volte ed ogni volta accadeva questa cosa quando una persona, proprio come un animale, si sentiva braccata o sul punto di essere presa. Ed è una cosa di cui non ho, credo, mai parlato con nessuno. Mi è venuto del tutto spontaneo scriverla. E’ una cosa molto inquietante ed io in generale credo sia molto interessante conoscere il mondo che ci circonda utilizzando tutte le possibilità che abbiamo.

a cura di Maddalena

 


 
Last modified Wednesday, July, 13, 2011