Camilleri e il giovane scrittore
di Giacomo Cacciatore
«Lei non si deve preoccupare di niente», assicurò
il grasso padrone della Montatore editrice. «Abbiamo un indirizzario
per la stampa e i vip da fare invidia al mio quasi omonimo... il vecchio
Mondadori». Così dicendo, fissando con occhio da geco il suo
giovane autore di bellocce speranze, si alzò dalla poltrona dell'ufficio
con infiltrazione d'acqua a scandire i tempi del contratto dentro un bacile
di moplen, innalzando al soffitto sforacchiato il manoscritto, ridotto
a grumo di impronte digitali all'olio di semi, salsa di pomodoro e prodotti
di narice.
Il ragazzo guardò con un sospiro il proprio mentore, pensando
che la carriera di uno scrittore debuttante è affidata a bizzosi
diavoletti del destino. Fino a qualche giorno prima, porte che non si aprivano,
numeri di telefono che non rispondevano, sbrigativi «le faremo sapere».
E di colpo, sulla soglia di un marzo che ventilava rassegnazione, ecco
il dottor Montatore Giuseppe, editore dall'anno di grazia 1945, con visibili
squilibri del metabolismo ma dall'occhio fino per le nuove leve. «Una
folgorazione, le assicuro», lo solluccherò, brandendo il manoscritto.
«Ho subito creduto in lei. E vedrà il resto... vedrà
alla presentazione. Erano anni che non incontravo un talento come il suo,
e non baderò a fatica e spese».
L'autore uscì dalla palazzina della Guadagna con una sfilza
di nomi che gli turbinavano nel cervello. Più che sussurri, squilli
di tromba.
L'uscita del suo libro era fissata per ottobre, la presentazione in
sede comunale prestigiosa, e quel giorno speciale era scivolato dalle labbra
di Montatore con un glissato d'archetti che s'impennava in un florilegio
di nomi. «Le porto tutta la Palermo bene, quella che conta»,
echeggiò la voce del padrone, «chi vuole? Faccia pure un nome».
«Andrea Camilleri», sussurrò il giovane scrittore,
mentre sollevava il braccio alla fermata dell'autobus, per far rallentare
il mezzo che lo avrebbe riportato a casa sua. Case popolari distanti anni
luce da fiere del libro e premi Campiello.
Non dormì. Ripeté ancora, a memoria, i grandi nomi catturati
nel resoconto dell'editore. «Santo Piazzese», ricordò.
«Carlo Lucarelli. Uno straniero, Scott Turow, di passaggio a Palermo».
E il sindaco. L'assessore alla Cultura. Registi. Attori. Presidi di facoltà
umanistiche. Industriali della sparuta imprenditoria locale. Nobili.
E quel nome su tutti, che solo a pronunciarlo gli tremavano le labbra.
Un tale Sciascia Leonardo. Beh, una svista si poteva anche perdonare all'entusiasta
editore. Dopotutto, quando hai una lista di numeri e recapiti di tali personalità,
può anche capitare che dimentichi di depennare quelli passati tra
i più.
Montatore non mentiva. Quella notte stessa, perseguitato da un'insonnia
da cattiva digestione, mise mano alla penna per vergare un centinaio di
buste con invito. Poi, vinto dalla stanchezza e dall'acidità di
stomaco, richiuse l'elenco telefonico di Palermo, anno 20012002. Maledetta
vecchiaia. Copiare indirizzi gli riusciva sempre più difficile.
Giunse il grande giorno. La scoperta letteraria dell'autunno si presentò
alla sala in sahariana da città, che faceva molto Hemingway giovane,
una penna costosa per le dediche e il libro sottobraccio. L'idea era di
leggere il più breve dei racconti in pubblico. Era terrorizzato.
Ciò che vide al suo ingresso nel luogo della presentazione gli seccò
la lingua del tutto. La sala straboccava di gente, teste brizzolate, giacche
della domenica e facce da romanzo. Ciliegina sulla torta, un sentore di
trascuratezze umane, un certo lezzo di calzini in servizio permanente e
ascelle svergognate dal caldo umido. Cercò facce note con lo sguardo,
non ne trovò nemmeno una. «Certo», si consolò,
«i personaggi famosi sono sempre diversi da come li si vede in tv».
Montatore lo raggiunse, trafelato. «Che ne dice?». «Bello...»,
borbottò il giovane, «ma... Andrea Camilleri?». L'editore
sorrise. «Glielo presento subito». Sollevò un braccio
verso la massa di gente che si raggrumava dalle parti dello scarno buffet,
in cerca di una leccatina di aranciata in bicchieri di plastica. «Signor
Camilleri!», strillò. «Andrea!». Un uomo anziano
si voltò. Confuso, si fece avanti. Era più basso di almeno
mezzo metro del Camilleri che lo scrittore in erba aveva in fotografia.
«Camilleri, si sbrighi!» incalzò Montatore. Il vecchietto
si avvicinò, senza fare una grinza. «Le presento la nostra
bella speranza letteraria», disse l'editore. Lo scrittorino allungò
una mano, perplesso. «Piacere, Camilleri Andrea», si qualificò
l'invitato. «Complimenti di cuore. Ci ho portato una para di broccoli
freschi della mia campagna di Borgetto. Come li coltivo io, manco l'uomo
del monte, lo sa?». Lo scrittore impallidì: «Scusi,
ma lei zappa tra un romanzo e l'altro?». Il Camilleri versione mini
si schermì: «Ca quale romanzo? Io manco la terza elementare c'ho! Ho ricevuto l'invito ed eccomi. Quando si mangia?». Lo scrittoricchio
si voltò verso l'editore. Non fece in tempo a dar voce al punto
interrogativo che aveva a fior di labbra. «E allora?», lo anticipò
Montatore. «Lei non voleva Camilleri? E io glielo ho portato. Contadino,
ma sempre Camilleri si chiama».
L'autore si rassegnò a stringere le centinaia di mani, a baciare
facce con il bicchiere di carta tra i denti. Scoprì che c'era un
Piazzese idraulico, buono da chiamare in caso di rottura delle fosse biologiche.
Conobbe un Lucarelli immigrato da Bologna, causa selezione per un concorso
alle poste. Ebbe la sorpresa di fissare negli occhi Sciascia, che gli passò
un bigliettino pubblicitario della sua salumeria di Borgo Nuovo. Il resto,
si svolse secondo scaletta. Lo scrittore lesse il brano, ogni traccia di
paura era scomparsa, prevaleva lo sdegno. Poi, a metà declamazione,
scorse un paio di occhietti lucidi tra il pubblico. Qualcuno applaudì.
Il battito di mani crebbe.
A fine serata, Montatore era soddisfatto. Gli omonimi avevano trovato
il modo più gentile per esprimere la propria gratitudine per il
quarto d'ora di vita mondana.
Le copie del libro, quella sera, andarono tutte esaurite.
La Repubblica
(ed. di Palermo), 28.6.2002 |