Camilleri capisce molto bene che i tempi sono maturi: la radio ha l’occasione di dare spazio al proprio pubblico e così far conoscere le opinioni, i pensieri, le biografie di gente ‘normale’. Ascoltare le voci della gente alla radio è una sorpresa. Incuriosisce. L’intervistatore scompare, rimane dietro le quinte, è confuso tra la gente. Si creano le condizioni per far emergere pezzi di realtà, apparentemente senza filtri, invece frutto di un attento lavoro di montaggio che permette di intrecciare le voci, metterle a confronto, creando assonanze o dissonanze. Un metodo di lavoro moderno, oggi abituale, all’epoca all’avanguardia, che Camilleri mette a punto quando, nel 1973, va a raccogliere le discussioni, le chiacchiere, le opinioni di cittadini di Fiumicino, di ragazze dell’Istituto Nazareth di Roma, di bambini rinchiusi in orfanotrofio, e compone Sinfonia di voci. Natale 1973.
Il clima dell’assemblea, tipica forma di aggregazione giovanile negli anni Settanta, trova un esito radiofonico particolarmente felice. Così si ascoltano le intime o aggressive confessioni di giovani studenti che contestano il Natale come festa borghese o lo difendono, ma solo a certe condizioni. Tra slogan, frasi fatte, sincero desiderio di confronto nello spazio di pochi minuti si riesce a dare un bello spaccato generazionale. E non si tratta propriamente di giornalismo, perché la cura registica e la scrittura su nastro (cioè un consapevole montaggio autoriale) sono a servizio di un’invenzione tutta radiofonica che esalta le qualità del mezzo e ne sperimenta i limiti.
(da Rodolfo Sacchettini, "Andrea Camilleri e la radio: un’ipotesi di radio
futura" -
Doppiozero, 27.10.2019)
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