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Un singolare contributo alla letteratura contemporanea


Tantissimi i magistrati, da Caselli a Grasso a Ingroia a Pepino a Prestipino a Scarpinato, ma l’elenco è colpevolmente incompleto, che hanno scritto dei libri che raccolgono le loro particolari esperienze di pm o di giudici, talvolta avvalendosi della collaborazione di noti giornalisti specializzati come La Licata, Lodato e altri.
Accade così che molte di queste testimonianze di frequente risultino alla lettura più avvincenti di un romanzo totalmente di fantasia, vuoi per i fatti narrati vuoi per la sapienza del racconto e la qualità della scrittura.
Comunque il mio breve excursus si dovrà limitare alla sommaria citazione di quei magistrati che della loro esperienza quotidiana si sono serviti come trampolino di lancio verso la letteratura, creando dei singolari romanzi che miscelano dati reali e di fantasia.
E anche di quelli che scrivono romanzi tout court, che non hanno cioè nessuna attinenza con la giustizia e i procedimenti giudiziari. Insomma, da quelle pagine non si riesce a indovinare la loro professione.
Qui nasce un mio personale problema. Non essendo un critico letterario, ma un semplice lettore, non potrò parlare che degli autori che ho letto e perciò le inevitabili lacune e omissioni sono tutte da addebitare alla mia scarsa preparazione sull’argomento e non certo a una volontario gioco di esclusioni e di inclusioni.
A mia memoria, dunque, il primo giudice scrittore che ricordo è Guido Lo Schiavo, oggi del tutto ignorato. Altissimo magistrato della Cassazione, diede alle stampe nel 1948, un libretto intitolato “Piccola pretura”, dal quale il regista Pietro Germi trasse il fortunato film “In nome della legge”. Tanto il libro quanto il film erano pericolosamente fuorvianti, presentavano la mafia suppergiù come un’organizzazione di carità. Del resto, lo stesso Lo Schiavo, parlando di due capi storici della mafia come don Calò Vizzini e Genco Russo li aveva definiti “non privi di nobiltà”.
Di ben altra levatura il giudice scrittore Dante Troisi. Il suo libro d’esordio, “Diario di un giudice”, pubblicato nel 1955, raccoglieva i racconti pubblicati nel settimanale “Il Mondo” di Pannunzio. Sollevò un grosso scalpore, l’autore subì punizioni dalla superiori gerarchie e la riduzione teatrale fattane da Luigi Squarzina venne proibita dalla censura.
Non c’era niente di scandaloso in quel libro, scandaloso allora era il fatto che un giudice scrivesse pagine anche fortemente critiche verso alcune incongruità e storture nell’amministrazione della Giustizia. Il libro, semplicemente, e sono parole dell’autore, voleva mostrare “il dramma morale di un uomo che si angoscia di guadagnarsi il pane giudicando i propri simili”. Intensa è stata l’attività letteraria di Troisi, molti i romanzi e i libri pubblicati. Qui non possiamo omettere di segnalare almeno “Voci di Vallea”, “I bianchi e i neri”, “La finta notte” e “L’Inquisitore dell’interno sedici”.
Altro magistrato romanziere di notevolissime qualità è Salvatore Mannuzzu, scrittore intenso, raccolto, che ama esplorare sentimenti inespressi e rapporti umani solo all’apparenza consueti. Il suo romanzo d’esordio è stato, nel 1988, “Procedura”, cui hanno fatto seguito altri romanzi (“Le ceneri di Montiferro”, “Il catalogo”, “Le fate dell’inverno”, ecc.), uno splendido libro di racconti, “La Figlia perduta”, e uno di poesia, “Corpus”.
E arriviamo al caso di Giancarlo De Cataldo. Lo strepitoso successo anche internazionale egli se l’è guadagnato nel 2002 con “Romanzo criminale”, che ha conosciuto una fortunata versione cinematografica diretta da Michele Placido e anche un adattamento televisivo seriale dagli alti ascolti.
Il romanzo, con una scrittura secca, netta, efficace e coinvolgente, narra della famosa banda romana della “della Magliana”, ma in realtà tende ad essere, riuscendoci in pieno, un affresco di vasto respiro, uno spaccato della società romana che diventa a sua volta una sorta di radiografia dell’Italia di quel periodo.
Penso però che si farebbe un torto all’autore se il successo di “Romanzo criminale” mettesse in ombra altri suoi libri quali “Nero come il cuore”, che mi pare sia il suo romanzo d’esordio (1989), “Teneri assassini”, “Nelle mani giuste”, ecc. Ma sono da segnalare anche libri come “Terroni”, una biografia generazionale, e “L’India, l’elefante e me”, un’originale e acuto resoconto indiano al centro del quale ci sono l’uomo d’oggi e i suoi problemi.
Altro scrittore d’eccezione è Gianrico Carofiglio. Il suo primo romanzo, “Testimone inconsapevole”, del 2002, conobbe un immediato, vastissimo successo. Egli aveva saputo ricreare in Italia l’americano legal thriller che si supponeva impossibile nel nostro paese per le diversità procedurali. Ma il romanzo incontrò il favore di un pubblico assai più vasto di quello solito di un romanzo di genere perché in realtà il libro si serviva di quello schema solo come pretesto per raccontare, con una scrittura sobria, asciutta, sottilmente melanconica, un disagio esistenziale e sociale al quale non sfuggiva il protagonista stesso. Ad esso fecero seguito “Ad occhi chiusi”, “Ragionevoli dubbi” e “Il passato è una terra straniera”, tradotti in tutto il mondo. Va ricordato che Carofiglio, in collaborazione col fratello Francesco, è l’autore di una graphic novel, “Cacciatori nelle tenebre”.
E’ un elenco breve, ma che pesa moltissimo come qualità d’apporto alla letteratura italiani contemporanea.
E infine vorrei concludere ricordando altri magistrati scrittori meno fortunati dei loro colleghi, che pure hanno dato alle stampe romanzi di buon livello. Uno per tutti: Nicola Quatrano, autore di “La verità è un cane”, edito nel 2003.

Andrea Camilleri

Pubblicato sulla AgeMDa 2010 (Edizioni Angolo Manzoni), l'agenda di Magistratura Democratica: Quale giustizia?


 
Last modified Wednesday, July, 13, 2011