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Almeno il cappello



Autore Andrea Vitali
Prezzo E 17,60
Pagine p. 408
Data di pubblicazione 2009
Editore Garzanti
Collana Narratori Moderni


La piccola fanfara di Bellano, le aspirazioni e le ambizioni personali delle autorità e di un musicista dilettante, gli intrecci e gli intrighi della vita di paese

Ad accogliere i viaggiatori che d’estate sbarcano sul molo di Bellano dal traghetto Savoia, c’è solo la scalcagnata fanfara guidata dal maestro Zaccaria Vergottini, prima cornetta e direttore. Un organico di otto elementi che fa sfigurare l’intero paese, anche se nel gruppetto svetta il virtuoso del bombardino, Lindo Nasazzi, fresco vedovo alle prese con la giovane e robusta seconda moglie Noemi.
Per dare alla città un Corpo Musicale degno di questo nome ci vuole un uomo di polso, un visionario che sappia però districarsi nelle trame e nelle inerzie della politica e della burocrazia, che riesca a metter d’accordo il podestà Parpaiola, il segretario comunale Fainetti, il segretario della locale sezione del partito Bongioanni, il parroco e tutti i notabili della zona.
Un insieme di imprevedibili circostanze – assai fortunato per alcuni, e invece piuttosto sfortunato per altri – può forse portare verso Bellano il ragionier Onorato Geminazzi, che vive sull’altra sponda del lago, a Menaggio, con la consorte Estenuata e la numerosa prole.
Almeno il cappello racconta la gloriosa avventura del Corpo Musicale Bellanese, le mille difficoltà dell’impresa e la determinazione di chi volle farsene artefice. A ritmo di valzer e mazurca, con il contorno di marcette e inni, Andrea Vitali s’inventa un’altra storia tutta italiana, fatta di furbizie e sogni, ripicche e generosità, pettegolezzi e amori. E la scrive con la passione per l’intrigo, il brio e il buonumore, la verità e la semplicità che servono per farci capire la ricchezza e gli imprevisti che punteggiano tutte le nostre vite.



Presentazione di Andrea Camilleri
(Roma, Libreria Enoarcano, via delle Paste 106, 5 marzo 2009)

C’è una battuta di Ennio Flajano che recita pressappoco così:
“Stanco di studiare l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, lo scienziato si mise a studiare l’infinitamente mediocre”.
Allo studio dell’infinitamente mediocre da anni si dedica Andrea Vitali che scienziato non è, ma in compenso è medico e perciò sa usare il microscopio che gli permette d’isolare tra il pullulare affannato del microcosmo dei mediocri alcuni esseri particolari e di dar loro un nome e un corpo.
E così va a finire che a Bellano si ritrovano i consanguinei di Bouvard e Pécuchet, i familiari di Tartarino di Tarascona, i fratelli minori di certi impiegati gogoliani, i nipotini di Gadda, i cugini in secondo grado di Piero Chiara, e tutti hanno in mano il “Dizionario delle idee ricevute” che compulsano di continuo.
Intendo dire che il mondo dei mediocri è stato già illustremente e più volte visitato, ma il grandissimo merito di Vitali è quello di scoprire di continuo altre variazioni sul tema della stupidità, dell’arroganza, della grettezza, dell’ignoranza, della supponenza, della meschinità, del velleitarismo, tutte cose che caratterizzano l’infinitamente mediocre. E non mi pare possa essere un caso che spesso e volentieri Vitali ambienti i suoi romanzi nel periodo fascista, quando tutti questi elementi conobbero il loro momento di massima esaltazione.
Ne consegue che il resoconto di ciò che viene osservato da
Vitali in quel gran campo di coltura che è la provincia non possa essere narrativamente restituito che in forma, diciamo così, corale.
Ma si tratta di una coralità particolare, fatta da solisti, ognuno dei quali ha i propri tic, le proprie convinzioni, la propria individualità.
Allora forse sarebbe meglio dire che i romanzi di Vitali sono composti da tanti piccoli tasselli i quali tutti insieme concorrono a creare un mosaico densamente popolato e variamente mosso.
Ora la tavolozza di chi si è cimentato a illustrare il mondo della piccola e piccolissima borghesia provinciale in genere ha preferito ricorrere ai toni grigi. Altro grandissimo merito di Vitali è quello di saper rappresentare questo mondo a vivaci colori, anche se si tratta di colori squillanti su fondo grigio.
Per colori intendo l’incessante vivacità e la rara felicità del racconto, l’ironia a freddo che nasce da particolari situazioni, il sorriso provocato nel lettore dalla descrizione di un personaggio che sembra ispirata a volte da un Longanesi o da un Maccari.
E i nomi dei personaggi di Vitali! Dio, che goduria! Ogni nome è già un programma: Vereconda Ortalli, Estenuata Geminazzi, Animella Carlini, Evelindo Nasazzi, Parco Mincia, Evangelio Bordini, Proto Malcelati, Armellina Banchieri…
Mai, come per Vitali, sembra appropriato quel detto di un grande romanziere russo: “descrivi bene il tuo villaggio e avrai descritto il mondo”. E infatti l’ambizione forse inconscia di Vitali è quella di raccontare l’Italia attraverso Bellano.
Ma come racconta Vitali?
Sapete benissimo tutti che quello che conta non è tanto quello che si racconta, quanto piuttosto come lo si racconta.
Ogni suo romanzo è composto di tanti capitoli, più o meno lunghi, ma in genere brevi se non brevissimi, che si susseguono imprimendo al fluire del racconto velocità e leggerezza.
In quest’ultimo libro, “Almeno il cappello”, i capitoli sono ben 181 e vanno dalla mezza pagina a un massimo di tre pagine, e c’è anche un Epilogo che sarebbe di 10 pagine se non fosse a sua volta suddiviso in 7 capitoletti segnati coi numeri romani.
Quindi più che di veri e propri capitoli di romanzo sarei tentato di chiamarli più propriamente sequenze, sequenze che permettono rapidissimi cambiamenti d’inquadratura con lo spostamento dell’angolo di ripresa.
E non solo. Ogni capitoletto è così denso di fatti e d’avvenimenti, di colpi di scena e di situazioni impreviste, da potersi permettere il lusso di terminare a mò di feuilleton, di romanzo d’appendice, vale a dire con una sospensione che ti costringe a seguitare a leggere il capitolo che viene dopo. Era il trucchetto al quale ricorrevano gli autori di romanzi d’appendice che, come sapete, venivano pubblicati un capitolo a volta da un giornale, per far sì che il lettore il giorno appresso si precipitasse a comprare il giornale per leggere il seguito. E questo gioco Vitali lo porta avanti scopertamente, a volte sembra strizzare l’occhio al lettore, pare che voglia rivolgersi direttamente a lui dicendogli: “Ti sembra che la cosa è finita qui? Vai al capitolo seguente e vedrai”.
E poi Vitali è abilissimo nell’impadronirsi con fine intelligenza di tecniche narrative che appartengono ad altri generi. Come il giallo, tanto per fare un esempio.
Guardate le deliziose pagine che iniziano con l’incontro dei due marescialli dei carabinieri, Giunti e Bovolè, costretti dai loro superiori a contendersi la prigionia del ragioniere Geminazzi, al momento nelle mani del Giunti. Bovolè, che è un accanito fumatore di Serraglio, impesta letteralmente, una sigaretta via l’altra, la stanza di Giunti, che fumatore non è. Ma a un certo momento Bovolè, preso da improvvisa resipiscenza, consegna i restanti pacchetti di Serraglio che ha in tasca al collega promettendo di smettere. Ma alla fine di quella giornata, quando esce scornato dalla stazione dei carabinieri, la voglia lo riassale irresistibilmente. Sul vaporetto che lo riporta a Menaggio, si fa dare una sigaretta dal comandante. Ma è una Turmac, gli brucia il palato e gli aumenta il desiderio delle sue Serraglio. Intanto, particolare non indifferente, il maresciallo Giunti ha assaggiato una delle sigarette lasciategli dal collega e ci ha preso gusto. Bovolé, appena sbarca, va a chiedere le sue amate sigarette al tabaccaio. Il quale gli dice di avere allora allora venduto gli ultimi due pacchetti. Disperato, il maresciallo Bovolé chiede il nome del cliente. E il tabaccaio gli risponde che si tratta di una zitella, Vereconda Ortalli, che in vita sua non aveva mai fumato. E il maresciallo, perduto ogni ritegno, va dalla Ortalli per chiederle il favore di dargli qualche sigaretta. Appena quella gli apre la porta, egli sente l’odore del fumo di una Serraglio. Entra in casa e scopre che… E qui mi devo fermare, perché se in queste pagine Vitali ha preso in prestito la casualità che spesso risolve tanti racconti gialli, io devo seguire le stesse regole e non posso rivelare cosa scopre il maresciallo Bovolè.
Vorrei aggiungere un’ultima considerazione. Certamente i romanzi di Vitali sono godibilissimi, i recensori con frequenza parlano di divertimento, di godimento, di piacere, di delizia. Non c’è nessun dubbio che abbiano ragione. Ma Vitali, a mio parere, non è tutto qui.
Vitali è come uno di quei vini che gustate scoprendovi alla fine un sottile retrogusto amaro. E solo allora vi rendete conto che quel retrogusto amaro era il pimento indispensabile per rendere così gustoso quel vino.
Grazie.



Last modified Wednesday, July, 13, 2011