Da qualche tempo il commissario Collura aveva notato che la signora Agata Masseroni, maritata col signor Bill Mc Givern,
petroliere texano, era alquanto cangiata d'umore, parlava picca e non si faceva più le sue belle risate contagiose a
scialacore. Alla coppia era spettato il privilegio d'assittarsi a pranzo e a cena, al tavolo del commissario, secondo un
cerimoniale basato essenzialmente sui conti in banca, veri o presunti, dei partecipanti alla crociera. Ogni sera, alle nove
spaccate, il petroliere Mc Givern si susiva dal tavolo, salutava e andava a corcarsi, come da un'abitudine tramandatagli dai
pionieri del West, suoi antenati. Gli altri commensali erano i coniugi Di Stefano, cinquantini con una sfrenata passione per il
ballo che scomparivano appena finito di mangiare per tuffarsi "nel vortice delle danze", e la coppia Donandoni, che in due
assommavano centosettant'anni d'età e che perciò principiavano ad avere gli occhi a pampineddra per il sonno già appena
cominciava a scurare. Perciò dopo la cena Collura e la signora Agata potevano restarsene tanticchia a chiacchierare.
Collura, notato il cangiamento, aveva un core d'asino e uno di leone: avrebbe voluto spiare alla signora cosa le stesse
capitando, ma, per ritegno, non si risolveva a farlo, Una sera, pigliato coraggio, fu la signora Agata che s'addecise a
confidarsi. Non fece preamboli, andò dritta all'argomento.
"Dottor Collura, credo che mio marito mi tradisca"
"Nel Texas?"
"No, qui sulla nave"
Cecè ammammalucchì, la taliò a bocca aperta, non arriniscì più a spiccare parola.
"Perché mi guarda così? Può succedere, sa, dopo trent'anni di matrimonio. Del resto, Bill, è un gran bell'uomo."
Cecè, a causa delle ultime parole della signora, continuò ad ammammalucchire. È vero che l'amore è cieco, come si usa
dire, ma è macari vero che trovi sempre qualcuno pronto a farti tornare la vista. Possibile che nessuno nei due continenti
avesse mai fatto notare alla signora Agata che suo marito stava a mezzo tra la razza umana e la razza equina? Bastava
taliargli i denti, lunghi, gialli, sporgenti, come gettava le gambe quando camminava, come pigliava fiato dalle froge, come
invece di ridere nitriva. Però poteva darsi che una fimmina, considerando il portafoglio di McGivern, si fosse persuasa che
quell'omo non era certo Apollo ma poco ci fagliava.
"Ne sono ancora così innamorata!" fece la signora Agata sospirando e diventando una vampa di foco per la vrigogna "Ci
siamo sposati che lui non aveva che dieci dollari in tasca. Si è fatto da sé, sgobbando senza un giorno di riposo. Non ci
siamo mai lasciati. E ora"…
Soffocò un singhiozzo. Cecè Collura si scantò che quella si mettesse a piangere a vista di tutti.
"Facciamo due passi"
Niscirono sul ponte affollato, la sirata invogliava a stare all'aria aperta. Passiarono in silenzio per un quarto d'ora, poi la
signora Agata taliò il ralogio e disse:
"Possiamo andare"
Andare dove? Collura preferì non spiare. Rientrarono, Cecè appresso la fimmina percorse mezzo corridoio I a, dove si
aprivano le cabine più lussuose. Davanti alla 18 la signora si fermò, cavò una chiave dalla borsetta, raprì:
"Venga, commissario"
"Ma forse il signor Mc Givern starà dormendo"
"Entri, per favore"
Ubbidì. Dintra non c'era nessuno, i due letti erano intatti. La signora raprì la porta del bagno: vacante. E qui, nella sua
cabina, la fimmina si abbandonò finalmente a un pianto sconsolato, cadendo assittata sul letto. Collura, imbarazzatissimo, le
si fece allato e, come da copione, principiò a darle colpettini leggeri sulla spalla .
"Coraggio, coraggio" murmuriò.
"Fa così da tre sere" disse la signora asciucandosi le lacrime.
"Lo sa verso che ora torna?"
"Certo che lo so. Fingo di dormire, ma, mi capisca, non riesco a chiudere occhio. Mi giro e mi rigiro nel letto, affondo la
testa nel cuscino per non far sentire ai vicini che piango, ieri notte mi sono scolata quattro bottigliette di whisky che ho
trovate nel frigobar…cinque".
"Una bottiglietta in più o in meno non fa differenza" fece comprensivo il commissario.
"No, non ha capito. Torna verso le cinque del mattino".
Se la tirava lunga la nottata, il texano doveva averci la resistenza. Ma che voleva in sostanza Agata Masseroni in Mc
Givern da lui? Non ebbe necessità di spiarglielo.
"Vorrei che lei facesse qualcosa"
"A disposizione, signora, per quanto non credo che la cosa rientri nei miei…"
"Glielo sto chiedendo come amico…"
"D'accordo, sì, ma non vedo cosa possa fare"
"Scopra chi è la donna, al resto penserò io. Me lo promette?"
E gli pigliò le mani. Cecè si liberò, sentendosi che principiava a sudare, stava cominciando a sentirsi assufficare.
"Una domanda sola, signora: le assenze di suo marito si verificano solo la notte?"
"Sempre di notte. Di giorno non si allontana da me. E c'è una cosa strana, commissario. Il suo atteggiamento con me è
quello di sempre, tenero, premuroso…innamorato."
Un'altra vampata di foco all'ultima parola, pudicamente detta.
"Cercherò di fare del mio meglio, signora. Buonanotte."
Niscì quasi di corsa dalla cabina, se ne andò a passiare sul ponte per ragionare meglio sulla faccenna. A conoscere il nome
dell'amante di mister Mc Givern ci sarebbe voluto picca e nenti, certamente si trattava di una che viaggiava da sola o in
compagnia di un'amica che macari si allontanava dalla cabina quando il màscolo arrivava. Oppure non si allontanava e il
texano si spogliava e si corcava in mezzo, va a sapere con questi òmini alla John Wayne. Ad ogni modo, bastava fare una
ricerca al computer e avrebbe avuto la risposta giusta. Però questa soluzione non gli piaceva, il nome dell'amante l'avrebbe
potuto scoprire con una ricerca all'antica. Una volta scopertolo, però, non l'avrebbe mai fatto conoscere alla signora
Agata, capace che quella affrontava la rivale e succedeva un quarantotto. L'indomani a sira, all'ora della cena, Cecè
Collura s'appresentò al tavolo ma non s'assittò: si scusò con gli ospiti di non poter mangiare con loro come al solito, ma
aveva – disse - un problema d'amministrazione da risolvere urgentemente. Invece si sistemò nel retro ufficio del
commissariato e si sbafò la cena fredda che aveva ordinato. Poi, alle nove precise, munito di un passe partout, raprì la
porta di uno sgabuzzino di servizio nel corridoio Ia, allocato proprio davanti alla cabina dei Mc Givern e si mise ad
aspittare con santa pacienza. Sentì il mister texano arrivare, trasìre, chiudere.. Dopo manco dieci minuti lo sentì nèsciri,
chiudere, incamminarsi al piccolo trotto. Lo seguì nel corridoio. Il mister svoltò l'angolo e si fermò davanti alla cabina 6,
non usò il campanello, tuppiò leggermente con le nocche tre colpetti brevi, pausa, altri tre colpetti, pausa, tre colpetti
ancora. La porta si raprì, il mister trasì, la porta si richiuse. Un segnale convenuto, preciso. Vuoi vidìri che la signora Agata
aveva ragione? Gli venne fatto di provocare uno sconquasso facendosi raprire la porta con lo stesso sistema usato da Mc
Givern, ma poi ci ripensò e tornò in ufficio. Chiamò sparte il suo vice Premuda.
"Vuole controllare chi occupa la cabina 6 del corridoio I a?"
"L'avvocato Cicerchia" – rispose l'altro senza la minima esitazione.
Cecè Collura lo taliò imparpagliato. Perché il vice, senza il bisogno di consultare il computer, aveva la risposta pronta?
Premuda prevenne la domanda e si spiegò, sgombrando dalla testa di Cecè il pinsère che gli era venuto, e cioè che mister
Mc Givern fosse di gusti sessuali tanticchia complicati.
"Ha già fatto una crociera con me. Lo conosco bene. Nella sua cabina organizza pokerini riservati a miliardari. Viaggia con
una valigia piena di carte da gioco, nuove, che fa accuratamente controllare agli sventurati che seggono al suo tavolo.
Perché immancabilmente li pela. Sarà anche un avvocato, ma secondo me è principalmente un baro abilissimo.
Collura ne fu contento per la signora Agata. Però, subito appresso, pigliò in lui il sopravvento lo sbirro.
"Mi pare che il gioco d'azzardo sia proibito."
"Lo è, commissario. Ma noi cosa possiamo farci? Non possiamo irrompere nella cabina, questo è certo. D'altra parte
nemmeno l'altra volta ci fu, che so, una denunzia, una protesta contro Cicerchia. Abbiamo le mani legate."
Alla fine della cena della sera dopo, quando Mc Givern si susì e scomparse, Collura comunicò alla signora Agata la novità.
La signora, di colpo, partì con una risata fragorosa, era tornata al suo umore normale.
"Ma sa, forse alla fine di questa crociera suo marito sarà stato alleggerito, e parecchio."
"Non m'importa, basta che non abbia un'amante. Miliardi non gliene mancano, possiede persino la banca dove li deposita"
Mentalmente, Cecè s'inchinò a quella logica femminina. Ma la facenna del baro che agiva indisturbato non se l'agliuttì.
Doveva inventarsi qualche cosa. Si fece dare da Premuda tutti i particolari possibili.
"A quanto ne so, commissario, Cicerchia porta con sé anche le fiches che convertono alla fine. Non credo ci sia un tetto ai
rilanci. Nelle prime tre sere, Cicerchia vince e perde, perde in modo sensibile, poi, dalla quarta sera in poi, comincia a
vincere. Non solo si rifà, ma spenna di brutto gli altri. Corre su di lui una leggenda, non va al bagno durante le partite, è
capace di star seduto al tavolo una giornata intera."
"Chiamano qualche volta il cameriere per farsi portare da bere, che so, un panino…"
"Mai. Cicerchia ogni mattina si fa abbondantemente riempire il frigobar."
Cicerchia si era blindato bene.
Cecè si perse qualche ora di sonno, poi, nelle mattinate si fece persuaso che aveva messo male il problema. Non si trattava
di scoprire come faceva quello a barare, ma di metterlo in condizioni di non trovare più compagni di gioco. Calcolò che
almeno da una sera Cicerchia aveva cominciato a vincere. E pensò a una cosa semplicissima. In matinata andò in
infermeria, si fece dare un certo medicinale, lo consegnò al cammarere che serviva al tavolo di Cicerchia, gli diede precise
istruzioni. Aveva principiato a fare macari lui un gioco d'azzardo, peggio di quelli che faceva il sedicente avvocato. Non
andò quella sera a corcarsi, in attesa degli eventi. Premuda, ignaro del tranello che il suo capo aveva preparato per
Cicerchia, volle tenergli compagnia. Verso le due di notte uno steward arrivò di corsa, riferì che una violenta lite era
scoppiata nella cabina 6 del corridoio I a.
"Vada a vedere che succede" disse pigramente Collura.
Ma lo sapeva già. Premuda, di ritorno dopo un'ora, gli contò la scena che il commissario si era immaginata. "Cicerchia è
passato alla terza fase e ha cominciato a vincere di brutto. Però, contrariamente alle altre sere, ogni mezz'ora interrompeva
per andare in bagno. La cosa ha insospettito gli altri. Si sono domandati perché l'avvocato, proprio quando vinceva,
andava in bagno. Che faceva? Cambiava le carte? Hanno preteso di perquisire il locale, Cicerchia si è opposto, sono corse
male parole, è scoppiata la rissa. Ho dovuto accompagnare Cicerchia in infermeria, ma ormai s'è sparsa la voce che è un
baro. E ora mi dica, commissario, è stato lei a organizzare tutto?"
"Sì" ammise Cecè Collura "con l'aiuto del dottore che mi ha dato un potente diuretico".
Un baro vero fatto scoprire con un falso indizio. La crociera, vera o virtuale, continuava.
Andrea Camilleri
trascrizione a cura di Paola Rossi
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