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Boccamurata



Autore Simonetta Agnello Hornby
Prezzo E 15,00
Pagine p. 280
Data di pubblicazione 2007
Editore Feltrinelli
Collana I narratori


Chi è stata la madre di Tito? Una poco di buono, come dicono certe voci cattive? O una signora di buona famiglia costretta a “sparire”, come ha sempre detto il padre Gaspare?
Tito è alla guida di un pastificio, fonte non solo di ricchezza ma anche di conflitti, tensioni e invidie in seno a una famiglia allo sbando. È soltanto la sua autorità a tenerla insieme, a volerla unita, con il sostegno forte della mite presenza di una vecchia zia: zia Rachele ha vegliato su Tito e poi sui figli di lui e non ha perso la capacità di intuire anche quello che le si vorrebbe tener nascosto, ma nel suo sguardo cominciano ad affiorare a poco a poco ricordi confusi e brandelli di segreti custoditi tenacemente per più di mezzo secolo.
A smuovere ulteriormente le acque torbide, insieme alla bellissima Irina, spregiudicata e intraprendente, arriva all’improvviso Dante, figlio di una ex compagna di collegio della zia. E c’è chi sospetta oscuri moventi.
Quanto più la storia si apre a inattesi sviluppi nel presente, tanto più il passato viene folgorato da una nuova luce e il mistero che nascondeva si dischiude lentamente con la forza di una grande storia d’amore.
Ancora una volta, sono al centro della scrittura di Simonetta Agnello Hornby la famiglia come covo di sentimenti innominabili, la lotta per la roba, la sensualità di uomini e donne. Sullo sfondo, una Sicilia modernissima e viva, colta nel declinare di valori assodati.



Presentazione di Andrea Camilleri
(Roma, Feltrinelli Libri e Musica, Galleria Alberto Sordi, 6 febbraio 2007)

Anche se arrivata con mezz’ora d’anticipo solo posti in piedi….ufff. e dire che sembrava essere iniziata bene la serata: il cielo non prometteva niente di buono ma non era piovuto, il parcheggio, per il mio Habana 125, lo avevo trovato immediatamente come per incanto a piazza Chigi….e ora sarei dovuta rimanere in piedi….mpf…. però, mai disperare!!!:-D
Infatti, un bel giovine della Feltrinelli mi ha fatto cenno che vicino (vicinissimo) al tavolo dove sarebbe avvenuta la presentazione di Boccamurata, c’era un posto libero. Visto?! Quel posto aspettava me!!!!:-D
Alle 18 in punto il Sommo e la Agnello Hornby fanno il loro ingresso tra gli applausi di un nutrito pubblico e si inizia…



Camilleri. Buonasera! Grazie!
C’ho da leggere alcune cose che mi sono preparato molto bene… molto bene per me, ovviamente e per gli esaminatori. Uno pensa sempre che agli esami si sia preparato bene…
Dunque, nella nota finale di questo terzo romanzo, Simonetta Agnello scrive che con esso ha inteso dare una conclusione alla trilogia siciliana. La trilogia cominciata con “La mennulara” e poi proseguita con “La zia marchesa” nel 2004. A me questa parola, trilogia, mi ha fatto nascere qualche sospetto. Allora sono andato, come si fa sempre con molta serietà, a consultare il Devoto-Oli alla voce trilogia. Alla voce trilogia il Devoto-Oli scrive... scrivono. “Il” … ”scri-vo-no” (puntualizzando “il” e facendo due con l’indice e il medio a spiegare che Devoto e Oli sono due persone distinte - risate, NdT): “Complesso in tre opere, di genere drammatico musicale ma anche di narrativa o di arte figurativa, che costituiscono una unità”. Allora, l’esperienza di lettore quando si tratta tragedie, quando trilogie narrative, qual è? È che l’espediente è quello che ci sono dei protagonisti coinvolti in una certa vicenda, poi ci sono i loro figlioli e i loro nipoti proseguono queste vicende fino ad arrivare a un terzo libro che conclude una trilogia. Qui, dei protagonisti de "La mennulara" che si ritrovi ne "La zia marchesa" o in "Boccamurata", che sarebbe il terzo libro, non ce n’è uno a pagarlo a peso d’oro. Allora uno si chiede: ma da che cosa è data la trilogia? Perché l’Agnello Hornby, che sicuramente dimostra che i lunghi anni vissuti a Londra non le hanno fatto perdere la padronanza dell’italiano - e si vede benissimo, da come scrive e da quello che scrive - ha usato il termine trilogia? Io credo di averlo trovato il perché.
È un perché che attiene più all’intento personale dell’autrice... se ce lo vuole dire, poi ce lo dirà perché crede di concludere una trilogia. Comunque sia, un fatto è sicuro: conclude un ciclo. Su questo non c’è alcun dubbio.
È un ciclo molto curioso, a parte la varietà di situazioni e di personaggi che ogni volta si rinnovano. Quando uno ha finito di leggere il terzo e torna con la memoria ai primi due, ha come l’impressione di stare a guardare le pale d’altare divise in tre, la parte centrale e le due parti laterali, io ho avuto questa impressione. Cioè, a dire, che l’unità più che altro fosse costituita dal variare dei colori da un elemento della pala all’altro, dal prevalere dei corpi da una pala all’altra… forse questa è l’unità della trilogia del ciclo. Cioè l’unità dei romanzi. Leggendo il primo romanzo mi era venuto allora di intitolarlo, così mentalmente: ritratto di famiglia in un interno; perché se ci riflettete c’è poca natura, c’è poco esterno. Ci sono alte finestre, alti cortili, alte mura… Il secondo invece: ritratto di famiglia di un interno esterno; in quanto lì cominciavano ad apparire degli esterni. Certo è che per il 90 per cento nel terzo libro è ritratto di famiglia borghese in un esterno. La natura ha preso il sopravvento. Anche qui, come nei precedenti, la famiglia presa e raccontata da Simonetta è una famiglia sull’orlo di una crisi. Anche le altre lo erano. Qui, devo dire che mi ha molto colpito la maestria, e adopero a ragion veduta questa parola, con la quale l’autrice inizia la storia con un tranquillizzante ed idilliaco ritratto di famiglia - infatti, la famiglia è riunita attorno al tavolo nel giorno del sessantesimo compleanno del capo famiglia: Tito. E ci sono seduti intorno a questo tavolo il figlio, Santi, sposato con Vanna, le due figlie femmine, Teresa ed Elisa, dal carattere completamente diverso, con loro i rispettivi mariti. Uno dei due mariti è magistrato. E poi ci sono i cinque nipotini, tra i quali c’è il prediletto: Titino - da nonno posso dire è che è assolutamente così, il prediletto è il nipote maschio – e poi c’è questa figura strepitosa che è la zia Rachele che è la dominus della casa, cioè non le sfugge nulla, anche se sta negli unici veri importanti interni della casa, la torretta e la sua stanza, sa sempre tutto di quello che succede… È un po’ come mia zia Lisa. Stava sempre chiusa nella sua stanza, si era sposata a sessant’anni per una storia d’amore che fornirò, credo, alla mia amica Simonetta perché ne scriva un romanzo di quelli che sa scrivere lei, perché io di quel tipo non saprei scrivere… Mia zia Lisa, una sera eravamo io e lei, lei aveva già settantacinque anni, sentimmo da fuori: “bum, bum!” io chiesi: “che è stato?!”
“Una sette e sessantacinque!” Mi rispose, conoscendo il calibro così dal suono della pistola che sparava. (risate)
Però già si intravedono in questo idilliaco ritratto delle crepe dove, addirittura, il “titolo” è: “il compleanno del pater familias soddisfatto”, e il sottotitolo è: “pastificio e famiglia, le sue passioni”. Perché tutta la famiglia, praticamente, campa su questo grandissimo pastificio ereditato.
È come una vecchia fotografia, sapete, una fotografia a forza di portarla in tasca comincia ad avere delle crepe, delle lineature… ebbene, con abilissima arte, con sottilissima arte, la Agnello, comincia a mettere in affare queste piccolo pieghe… Allora tu vedi che c’è una preferenza del vecchio Tito nei riguardi della nuora Vanna; che c’è, come posso dire, una gelosia piuttosto esplicita tra le due sorelle, e poi questa atmosfera bellissima si raggela di colpo quando il nipotino chiede l’aiuto al nonno per poter redigere, quelle cose ignobili che si chiedono a scuola ai bambini, l’albero genealogico della famiglia.
Perché ignobile? Per esperienza personale! Quando mia figlia maggiore andava alle elementari le diedero il tema: "Mio padre". Sono passati 45 anni e io non l’ho mai più dimenticato quel tema, diceva: “mio padre quando torna a casa litiga con mia madre poi si chiude nello studio e legge copioni. La sera esce e torna l’indomani mattina. Qualche volta sa fare andare la lavatrice”. (risate)… ecco perché ignobile… Dunque, questa richiesta di albero genealogico crea il gelo. Perché il bimbo è andato a mettere il dito in una piaga. In una ferita non chiusa del vecchio Tito. E qual è la ferita? È che non ha mai conosciuto sua madre. E con il passare degli anni, questa ferita, anziché rimarginarsi è andata in suppurazione, come si dice… perchè?! Perché, quando è stato in età di capire qualche cosa, il padre, Gaspare, gli ha rivelato che lui è nato dall’amore di suo padre, Gaspare appunto, e da una signora che non poté sposare, una nobile signora, una signora di buona famiglia. Questo rapporto tra loro due non poteva avere lo sbocco naturale nel matrimonio perché da parte di lei c’era qualche impedimento. Forse era sposata, forse no. Tutto qua.
Devo dire che il vecchio Tito è squieto… come si dice in Sicilia, cioè ha degli sfoghi sessuali piuttosto frequenti con la rumena Dana, badante della zia Rachele. Questa ragazza non solo è intrigante ma vedendo che questo vecchio un po’ si perde dietro di lei, comincia a nutrire qualche ambizione, qualche progetto, perché no?! Eliminare la moglie Mariola, non eliminarla fisicamente ma insomma trovare il modo di inserirsi e agguantare un pezzo del pastificio. Altri, altri, altri elementi aggiunge, sempre con questo sornione modo di scrivere, la Agnello, ogni tanto ci mette un carico, non da undici, ma da nove… da otto… in maniera che la materia lieviti. E che cos’è, per esempio, l’insoddisfazione di Santi di non avere un’autonomia assoluta del pastificio? Il padre continua ad interferire, ad interessarsi talmente tanto che è quasi tentato di accettare la proposta di andare a dirigere il pastificio di altri. La tensione tra le due sorelle si acuisce perché il marito di Teresa, più o meno ingiustamente accusato di non aver svolto bene il suo lavoro deve essere trasferito in un’altra città, ciò significa che Teresa dovrà lasciare il posto nel consiglio di amministrazione del pastificio, dovrebbe subentrare teoricamente Elisa che aspira a questo posto, ma Santi non vuole perché non si fida del suo carattere impulsivo e del suo passato di droga eccetera, eccetera. Tutto è bell’e pronto per lievitare. O per esplodere, se volete, a secondo da come vedete la cosa. Manca ancora l’innesco. L’innesco è dato dall’arrivo in città di un personaggio che si chiama Dante Attanasio, fotografo venuto per fare un reportage in quel paese. È accompagnato da una bellissima russa, Irina, talmente conturbante che ci cascano in parecchi, sicuramente Santi e, platonicamente data l’età, il vecchio Tito. Cosa è venuto a fare Dante? Dopo un po’ questa storia delle fotografie non è che persuada tutti. Qualcuno comincia a sospettare. Insomma, Dante è figlio della più cara compagna di collegio della zia Rachele. Compagna di gioventù. Insieme hanno avuto una meravigliosa tata, diremmo noi. Naturalmente esistono delle lettere di Rachele alla madre di Dante. Queste lettere, forse, potrebbero svelare il segreto di chi era la madre di Tito.
E’ affascinante, sembra un romanzo dell’800, solo che la storia è una storia dei nostri giorni. È bellissima questa trasposizione. Bene, questa presenza di Dante, ha due effetti: l’acuirsi della ferita di Tito e, soprattutto, un risveglio di memoria nella vecchia zia Rachele che comincia a ricordare sensazioni, emozioni, sentimenti giovanili, a lungo tenuti dentro e volontariamente nascosti. Non si è mai sposata zia Rachele, pur avendo avuto offerte di matrimonio. Rinuncia a una vita autonoma per dedicarsi a Tito, figlio di suo fratello Gaspare. Tito, attraverso quelle lettere, arriverà a conoscere la verità su sua madre. Una verità lontanissima dai suoi pensieri, addirittura insospettabile.
Raramente, mi è capitato di imbattermi nella scioltezza e in un certo pudore di scrittura, come quella dell’Agnello, nel rivelare un tabù che, pur nella nostra società tanto aperta e libera in fatto di rapporti amorosi e sessuali, tale rimane. Ha virato questa boa difficilissima con una straordinaria leggerezza di vela, di manovra. La tentazione di indugiare in particolari dettagliati sarebbe stata eccessiva… Come capita quel fatto? Nel momento nel quale succede, in un certo senso, è lo specchio di quello che sta accadendo nel mondo esterno. Bene, volevo dire che questo gioco di specularità è un’altra cosa straordinaria, inusuale nella narrativa italiana, è il rapporto tra personaggi e paesaggi… e qui torno al fatto della pala d’altare iniziale. Molto spesso il paesaggio fa da sfondo nella nostra narrativa all'azione di personaggi, qui per esempio fa da comprimario. Dirò di più: addirittura il paesaggio diventa il luogo indispensabile perchè alcune cose avvengano. E queste cose che avvengono in un determinato paesaggio sono punti nodali del romanzo.
Ho citato tre capitoli: Torrenova, Le Macalube e Un silente addio nel bosco. Nel capito intitolato Torrenova... il giardino della villa: “quei verdi giganti avvinghiati in ostile simbiosi e indistinguibili uno dall'altro formavano un enorme groviglio, mostruoso testimone di guerra e pace. Le foglie morte delle agavi erano ancora attaccate alle piante, frammiste a quelle vive. Steli marci pendevano dai fusti dei cactus come aste conficcate nella polpa. Scheletri di uccelli morti, ancora piumati, erano impalati sugli aculei“.
Questo non è che l'ambiente dove non possono non accadere certe cose. Non possono che accadere lì, in quell'ambiente. Come nelle Macalube, dove c'è la descrizione di questo esplodere di bolle melmose che nascondono quest'enorme bolla di gas sotterranea. In questo paesaggio in agitazione melmosa è il momento in cui Tito, in compagnia di Dante, arriva ad un passo dalla verità.
Il bosco del silente addio: all'improvviso c'è questo uscire di lumache vischiose. È un romanzo straordinario dal punto di vista anche della non descrizione, del fare del paesaggio un personaggio attivo pari ai personaggi, agli uomini e alle donne che in questo paesaggio si muovono. Simonetta fa una cosa arditissima e vincente - ve lo dico da scrittore, cioè da colui che piglia e scrive - demanda l'introspezione psicologica, demanda pagine intere al paesaggio. Cioè a dire, quello che facciamo nel cinema quando demandiamo all'immagine funzioni e pagine che tagliamo via dalla scrittura. È un'operazione molto ardita: c'è riuscita perfettamente.
Un'ultima cosa, il linguaggio. La tentazione del dialetto si è sempre più fatta flebile di romanzo in romanzo. Nell'ultimo "Boccamurata" - la bocca murata è quella della zia che non ha mai rivelato il segreto per tutti quegli anni - pochissimi sono gli aggettivi, i sostantivi e i verbi siciliani, però è lì il valore, quello che diceva Pirandello, del sentimento del dialetto, rispetto al concetto della frase dato dalla lingua, messo in pratica in un modo straordinario, quei pochi aggettivi in più in dialetto bastano a timbrare, a dar colore assoluto alla cosa.
Con questa prova, secondo me, è arrivata al culmine delle sue capacità espressive. Simonetta Agnello Hornby, forse, in questo senso intendeva dire: terza e ultima parte della trilogia. Grazie!!!! (applausi)

Hornby. Per me è una gioia scrivere ma anche faticoso. A volte dico: se scrivo e poi si pubblica e poi chiedo ad Andrea di presentarlo, capace che dice sì. E allora mi dico: sì, ne vale la pena! Ne vale proprio la pena, Andrea. Ti ringrazio. Sei un esempio per me fantastico......
Della trilogia hai detto giusto, per me il mio rapporto con la Sicilia continuerà e chissà cosa scriverò...non ne ho idea perchè il futuro è sempre un punto interrogativo nella mia vita complessa, però volevo finire questi centocinquanta anni di Sicilia, dall'unità d'Italia ho cercato di portarla al giorno d'oggi, per me, per i miei figli, per i miei nipoti....ma soprattutto per me. Volevo chiarirmi la sicilianità. Il mio essere siciliana. E questo cambiamento della gente e della famiglia che rimane sempre quella con questi valori forti, con questi sapori acri. È il paesaggio della mia vita, a Londra dove il cielo non ha montagne, dove non c'è niente, perciò più che immaginare una torre qua, una torre là, un poco di mare, un poco di macalube, una fotografia che me li riporta alla mente... così riesco a vivere bene a Londra....senza di loro non ce la farei. Grazie a voi per essere venuti, per essere in tanti... grazie ancora. (applausi)

Domande del pubblico

Signora 1. Complimenti perchè il suo ultimo libro l'ho trovato splendido, diverso indubbiamente dagli altri, e come diceva il maestro Camilleri, il paesaggio è uno dei protagonisti del romanzo. Rispetto agli altri, molto più articolati, questo l'ho trovato molto arioso, forse proprio per l'elemento natura.

Signora 2. Una curiosità. Ha un luogo preferito in cui scrivere?

Hornby. Io scrivo al computer. Perciò deve essere al mio computer. Quando scrivo dimentico tutto. Preferisco scrivere a casa mia perchè ho musica ma, se ho la fortuna di avere un poco do tempo per scrivere, scrivo dovunque.

Signore. L'assenza dei cognomi nei personaggi del romanzo e, invece, la presenza del cognome in Dante Attanasio? Dante sconvolge la famiglia e il cognome può essere un elemento che indica l'estraneità di Dante rispetto alla famiglia e anche lo sconquasso che porta?

Hornby. Io penso di sì. Avrei voluto dare un cognome a questa famiglia ma certe volte i miei personaggi mi dominano, non mi piace essere dominata da loro ma non volevano un cognome. Come il loro paese, mi sarebbe piaciuto chiamarlo... Salemi... qualunque cosa... non volevano il nome. Dovevo scrivere sempre il paese. Perchè, in fondo, credo che la Sicilia è diventata sempre più simile all'Italia e al resto del mondo, per cui i cognomi non hanno più importanza.

Camilleri. Come sarebbe a dire che si rifiutavano?!

Hornby. Questo è un problema mio personale.

Camilleri. No, no! Guarda che non è un problema solo tuo... (risate)

Hornby. Sono miei i personaggi. Li ho inventati. Non ci piove. Li posseggo. Eppure non è vero. Certe volte decido che devo cambiare. Scrivo e poi me ne vado a letto con i pezzi di carta e me li leggo. Faccio delle annotazioni e poi mi addormento, decido di cambiare quello, di fare questo... La mattina mi sveglio, non voglio neanche il caffè, neanche la pipa... Questo devo lasciarlo com'era prima, non è giusto! Cosa ho fatto ieri! Questo pensiero terribile... Si vede che di notte “sti murritian...” (risate)... come si dice in italiano? Lo capite?! (risate) “mi murritiano” tutta la notte. Mi dicono non devi farlo. Non so come dire ma è così. Mi piacerebbe dominarli... è come se fossero i miei nipoti, li rimprovero: non fate questo, non fate quello, a volte li metto all'angolino... spesso desisto e gli do un'altra caramella. Posso solo paragonarli a questo, non ci riesco. Per esempio avrei potuto fare la zia Rachele e il fratello Gaspare figli di due madri diverse. L'avevo pronte. Ce le misi. Ce le ho lasciate e poi… non l’ho fatte... che devo dire?! Non quagliava, non andava... Simonetta, se sei coraggiosa vai! E così è andata...

Signora 3. La speranza di vedere la Mennulara in film, rimane?

Hornby. Si avvicina. Ho venduto i diritti al produttore inglese di "Match Point", che è un film di Woody Allen. Siccome io ho troppi pensieri e non ne capisco niente di film, ho venduto e farà quello che vuole, ho preso un po' di soldi, poi ne prenderò altri, farà quello che vuole. Ognuno il suo mestiere.

Camilleri. [...] diceva: lo vendo o non lo vendo? Perchè è capace che me lo rovinano. Poi c'è quello che ti fa un assegno piuttosto prosperoso... vabbè... mica sono Dante Alighieri, pure se me lo cambiano... (risate)... glielo vendo. L'alibi che fornisco a Simonetta è di James M. Cain, l'autore de "Il postino suona sempre due volte", in America volevano farci un film, ma il romanzo era troppo spinto per il “Codice Hays” (è una guida etica di comportamento cinematografica che per anni ha limitato la produzione del cinema in America, NdT), allora lo fecero in Europa. Prima furono i francesi con “Le Dernier Tournant” e poi lo fece un certo Luchino Visconti che lo spostò in Italia e lo chiamò: "Ossessione". Un capolavoro assoluto. Dopo di che gli americani decisero di fare il film, e lo fecero. Un noir bellissimo, tirato a lucido che pareva una copertina di Vogue. James Cain non andò a vedere il film, ci andò un suo amico. Il suo amico tornò e gli disse: “se sapessi, James, come hanno ridotto il tuo libro”. Lui andò nella sua libreria prese il suo libro e disse: "Mah... la copertina è perfetta. Non mi sembra rovinato… non manca neanche una pagina...". Ecco un buonissimo alibi quando vendiamo i diritti al cinema. (applausi)

Signora 4. Che musica ascolta quando scrive?

Hornby. In genere ascolto Eugenio Onegin, questa volta è stato Tchaikovskij, è stata la Butterfly, c'ho messo un poco di Mozart, che non si vede ma ci voleva in certi posti, e l'ascolto costantemente... Io ho il terrore che i vicini facciano come i pazzi, perchè quando scrivo ascolto musica... (ho dovuto ricomprare la Butterfly perchè l'ho consumata a furia di ascoltarla, settimane e settimane di Butterfly) Veramente quando scrivo non ascolto e quindi sono costretta a rimandarla... Mi piace ascoltare la musica, ho imparato ad amare Puskin tramite l'opera.

Camilleri. Io starei attento coi vicini... (risate)

Horbny. Lascia stare che c'ho problemi, poi ti conto...

Camilleri. Ti faccio una proposta - visto che è successo anche con quella ragazza amica dei delfini che è stata accoltellata da un pazzo vicino di casa... e c'è stata pure quell'altra cosa di cui non voglio neanche parlare... - forse l'uccisione preventiva del vicino aiuterebbe... (risate)

Hornby. Con i vicini ho una storia molto lunga e complicata... Per loro sono la strana Msr. Hornby... (risate)

Signora 5. I vicini sono inglesi?

Hornby. Certo! Io vivo a Londra, nel quartiere di Vittoria, tra gli inglesi.
Se le domande sono finite, vi ringrazio tutti! (applausi)


A questo punto una moltitudine di gente prende d’assalto i due autori per avere da loro almeno una dedica autografata. “La serata è di Simonetta” ha detto il Sommo, scusandosi e cercando di guadagnare la sala attigua seguito dall’immancabile Valentina e, ovviamente, da me ;-DDDDD
Ho comprato "Il colore del sole" in sua presenza mentre lui si è preso una nuova edizione de “Il giro di boa” in inglese. Gli ho fatto la fila alla cassa visto che non resisteva più all’impellente bisogno di fumare e una volta fuori mi ha fatto una dedica con autografo sulla sua ultima fatica. Abbiamo parlato del prossimo raduno mondiale in suo onore mentre ci avviavamo, con Valentina, verso la fermata dei taxi. Ci siamo salutati e baciati. Che altro dire? Serata perfetta, no? ALTROCHE’!!!! ;-DDDDDDDD

Trascrizione a cura di Linda (Diligata pe’ l’Urbe)



Last modified Wednesday, July, 13, 2011