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Antonino Caponnetto, eroe contromano in difesa della legalità

Presentazione di Andrea Camilleri



Autore a cura di Salvatore Calleri
Prezzo E 10,00
Pagine p. 108
Data di pubblicazione 2003
Editore Diple Edizioni
Collana  


È un breviario laico. Un breviario che se l'Italia non fosse quella che è, se il ministero dell'istruzione non fosse nelle mani in cui è, se la lotta alla mafia fosse autenticamente valore condiviso dall'intera classe politica, se gli ideali di onestà e integrità morale fossero il sale della nostra democrazia, dovrebbe essere non solo diffuso nelle scuole, ma recensito dai giornali e segnalato dalle televisioni.
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Apre il breviario laico, una prefazione tutta giocata sul filo dei ricordi di Andrea Camilleri, che con l'anziano magistrato si scrisse, parlò a telefono, scambiò letture comuni, pur non avendo entrambi l'occasione di incontrarsi mai. E fu un peccato. Scrive Camilleri: "Temevo di deluderlo. Quel poco che ho scritto sulla mafia è una faccenda, in fondo, letteraria. Lui la mafia l'aveva invece vissuta e combattuta sul campo di battaglia, attraverso le indagini, i processi, le condanne. Le atroci perdite. Esponendosi e pagando di persona..."
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Saverio Lodato, l'Unità, 13.12.2003

Che la vita del giudice Caponnetto dovesse intrecciarsi (appena in tempo) con quella del Mucchio Selvaggio, giornale rock, è uno di quegli stravaganti, misteriosi prodigi che nessuno sceneggiatore potrebbe mai inventarsi. Ma è successo, e l'ultima intervista del giudice, rilasciata proprio al Mucchio il 23 dicembre 2001, un anno quasi esatto prima della sua morte, è finita, sorta di testamento spirituale, nel libro "Antonino Caponnetto, eroe contromano in difesa della legalità", definizione che chi scrive aveva coniato per l'appello con cui veniva sollecitata a Ciampi una firma una volta tanto sacrosanta: quella per fare di Caponnetto un senatore a vita.
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Gli obiettivi proposti da Caponnetto sono tremendi ma, proprio per questo, inevitabili: la lotta a tutte le mafie (altro che conviverci, altro che "fare le lotte dall'interno"), all'indifferenza che è il preludio del sopruso, all'ingiustizia, agli squilibri del mondo. La profonda convinzione che nessun sacrificio è inutile, se serve a gettare il seme di un esempio, ad accendere una fiaccola da passare. E la cosa stupefacente è che i ragazzi assorbivano, capivano. Io lo vidi il vecchio giudice una mattina del '96 entrare in un teatro dove gli studenti neppure lo notavano intenti com'erano a menarsi, insultarsi, ridere, tirarsi addosso cartacce, patatine, penne, parole. E il vecchio giudice sereno, quasi serafico prendeva posto e attaccava a parlare e arrivato in fondo aveva domato quel branco di bestiole, nel teatro non si sentiva volare la classica mosca.
E' quello che succede anche col libro: puoi attaccarlo distratto, facendo altro, con sotto la musica ma sta sicuro che alla fine il giudice ti avrà inesorabilmente catturato, così come aveva catturato Andrea Camilleri: che Caponnetto non l'aveva mai conosciuto di persona, senza che questo gli abbia impedito di scrivere una emozionante presentazione.
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Massimo Del Papa, Il Mucchio Selvaggio, n° 566, 17-23.2.2004

 

Presentazione
di Andrea Camilleri

Non l'ho mai conosciuto di persona. Mi accorgo d'avere scritto una frase che non corrisponde alla verità, sarebbe più giusto dire che non ci siamo incontrati. Perché il Giudice Caponnetto posso dire d'averlo conosciuto attraverso quello che andava facendo nell'Ufficio Istruzione di Palermo e che i giornali solo parzialmente riferivano. Quando finalmente potei vedere in televisione com'era, due cose mi colpirono molto: la sua apparente fragilità fisica alla quale doveva corrispondere certamente una grandissima forza morale e il suo accento fiorentino. Avevo sempre pensato, per via di quel cognome così meridionale, che dovesse parlare tradendo una certa cadenza siciliana.
Mi restò l'impressione di un signore di altri tempi per i modi e le espressioni, ma sapevo ch'era solo un'impressione perché invece Caponnetto era attentissimo alla truce realtà dei nostri giorni. Voleva combatterla e sapeva pure come. Ebbi anche la certezza - e non l'impressione - che fosse un uomo giusto. Una specie in via d'estinzione che non solo non è protetta, ma di cui, ai giorni nostri, la caccia è libera e sempre aperta. Poi ci furono le stragi che levarono di mezzo Falcone e Borsellino e c'è un'immagine di lui che non riesco più a togliermi dagli occhi, mentre sale in macchina e pronunzia qualche stentata parola d'estremo sconforto. Il suo volto, le sue parole, in quel momento mi fecero molta paura. Una paura quasi fisica che mi spinse immediatamente a spegnere il televisore. Se uno come Caponnetto arrivava a toccare quel fondo di scoramento assoluto, pensai, allora tutto era veramente perduto. Ma già dalla celebrazione del funerale di Borsellino capii che quella sua forza interiore si era non solo ricompattata, ma aveva preso un nuovo slancio. E infatti continuò a combattere sino alla fine, non più nelle aule giudiziarie, ma nelle aule scolastiche, o dovunque fosse possibile, per spiegare cosa era la mafia, quale tremendo danno arrecava al tessuto vitale non solo della Sicilia, ma dell'intero nostro Paese. Un giorno, tornando a casa, trovai nella segreteria telefonica un messaggio che testualmente diceva:"Sono un magistrato in pensione. Mi chiamo Caponnetto. Vorrei parlarle". Seguiva un numero telefonico di Firenze. Quella sua inconfondibile voce! Confesso che non lo richiamai subito. Il rispetto che provavo per quel "magistrato in pensione" mi avrebbe fatto balbettare. Ero troppo emozionato, dovetti calmarmi. Poi composi il numero. Desiderava che io partecipassi a un certo incontro sul problema mafia. Accettai subito, grato. Mi disse in quell'occasione che per disturbi alla vista, i miei libri era costretto a farseli leggere.
Ma, proprio quando stavo per partire per Firenze, un imprevisto mi costrinse a Roma. A quel mancato incontro ci ho pensato a lungo, dopo. E sono arrivato alla conclusione che forse quell'imprevisto, con un poco di buona volontà, si sarebbe potuto superare. Ma questa buona volontà mi mancò. Come mai? Se avevo, come avevo, tanto desiderio d'incontrarlo, perché mi ero arreso così facilmente davanti a un ostacolo superabile? E proprio mentre mi ponevo la domanda, ne ebbi la risposta: mi ritenevo assolutamente inadeguato. Temevo di deluderlo. Quel poco che ho scritto sulla mafia è una faccenda, in fondo, letteraria. Lui la mafia l'aveva invece vissuta e combattuta sul campo di battaglia, attraverso le indagini, i processi, le condanne. Le atroci perdite. Esponendosi e pagando di persona. Io invece me ne ero stato comodamente seduto al mio scrittoio. No, la parola spettava a lui e ai suoi collaboratori. Appena uscita la mia "Biografia del figlio cambiato", che tratta dei rapporti di Luigi Pirandello col padre, gliela inviai. Mi arrivò, dopo qualche giorno, una sua lettera. Diceva, tra l'altro, che il mio libro l'aveva collocato in uno scaffale accanto a un libro di Pirandello, a lui molto caro perché gli era stato regalato dai suoi genitori. "Domine, non sum dignus" riuscii a dire ripiegando la lettera
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Last modified Wednesday, July, 13, 2011