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La mia rivincita è la coppola

Maurizio Vanni e Roberto Scarpa che mi chiedono di scrivere qualche pensiero sul cappello in occasione della mostra Il cappello e la creatività, non sanno che fanno risuonare una mia nota dolente.
Avrei potuto declinare il cortese invito sostenendo la pura e semplice verità e cioè che sul cappello non ho niente da dire essendo, per me, un oggetto estraneo. Voglio chiarire subito che nel qualificare “estraneo” il cappello io non intendo neanche alla lontana manifestare nessuna ostilità, nessuna critica, nessuna presa di posizione politica contro il cappello (stravolgere il senso e il significato delle parole è il gioco al quale sempre più spesso si abbandona il nostro paese). Per me, un cappello è un cappello. Allora perché rispondo all’invito? Forse perché, finalmente parlandone, riuscirò a sciogliere alcuni miei nodi irrisolti.
Ai miei tempi, in Sicilia, il raggiungimento del sospirato diciottesimo anno d’età era segnato, tra l’altro, dal poter usare il cappello. La compera del primo cappello era quasi un rito iniziatico: il diciottenne veniva accompagnato nel negozio da amici, di uno o due anni più adulti, che l’assistevano e lo consigliavano in estenuanti prove davanti allo specchio finché non si arrivava alla scelta definitiva e il diciottenne usciva dal negozio col cappello in testa e pagava da bere agli amici. Quando toccò a me, nel settembre del ’43, gli alleati erano sbarcati da meno di due mesi e il negozio del cappellaio era stata devastato, i miei amici erano spersi per il mondo: si erano salvati solo cinque o sei cappelli, tutti uguali, neri, bassi, a caciotta, esattamente il modello indossato dal gagà disegnato da Attalo per il Marcaurelio. Che potevo fare? Scelsi quello che mi calzava meglio e tornai a casa. Mia madre decretò subito che quel cappello non era cosa, mio padre si mise a ridere. All’università, a Palermo, una ragazza che mi piaceva e alla quale proposi di uscire insieme mi disse apertamente che l’avrebbe fatto volentieri a una condizione: che mi presentassi all’appuntamento senza cappello. “Perché?” “Perché non ti sta”. Al secondo appuntamento decidemmo di andare insieme da un grande negozio e sceglierne uno più adatto. Passammo l’intero pomeriggio lì, sempre più nervosi, a provare e a riprovare finché una commessa decise, con molta brutalità, di porre fine all’incubo.
“Guardi che la sua non è faccia da cappello”.
Rimasi folgorato dalla rivelazione. Era vero! Nel mondo, alle diverse categorie umane, i ricchi e i poveri, gli onesti e i farabutti, i saggi e i folli, i boia e le vittime e via elencando, c’era dunque da aggiungere quella di chi aveva la faccia da cappello e di chi non ce l’aveva. Non la soffrii come una menomazione, ma certo non ne fui felice. Quindi decisi di andare a capo scoperto sempre e dovunque. Superata la quarantina, una mattina, guardandomi allo specchio nel farmi la barba, mi resi conto che la mia faccia era molto cambiata rispetto a quando ero diciottenne. Mi trovavo a Siena per le prove di uno spettacolo, facevo gelo e pioggia e perciò decisi di comprarmi un cappello. Ne provai due o tre, alla fine ne scelsi uno.
Uscii per andare a teatro e una folata di vento me lo fece volare via dalla testa. Io lo rincorsi, ma non feci a tempo a raccoglierlo da terra prima che sopraggiungesse un’auto. Mi trovai tra le mani una cosa informe, inzaccherata, infangata. Era, chiaramente, un segno del destino. Lo gettai nuovamente a terra e non osai comprarmi un altro cappello. Anzi, diciamo la verità: non comprai mai più un cappello. E quando l’età avanzò, quando divenne perlomeno incauto l’andare a capo scoperto, ripiegai sulla coppola. Alla quale sono rimasto fedele.
E dunque, tenendo conto di questa mia “confessione” personale, è facile immaginare con quanta soddisfazione io possa salutare una mostra che, come scrive Vanni, presenta il cappello “decontestualizzato e allontanato dalla funzione per la quale è stato pensato”. In fondo, è quasi una mia rivincita.

Andrea Camilleri

Dal catalogo della mostra Identità e diversità - Il cappello e la creatività (Carlo Cambi Editore), Firenze, Palazzo Medici Riccardi, 7 febbraio - 4 marzo 2004


 
Last modified Wednesday, July, 13, 2011