Andrea Camilleri - Il
diavolo che tentò se stesso
Bacab è un povero diavolo d’aria, di quella specie che ha per compito di
indurre uomini e donne in tentazione carnale, infilandosi in quella parte del
corpo umano, mascolino o femminino, che è il «loco del piaciri», in modo da
riuscire – «strica oggi, strica dumani» – a innescare amori «pazzi ed
esecrabili».
Per distinguersi dalla diabolica manovalanza, Bacab accetta un compito impervio:
indurre in tentazione niente meno che la pronipote della monaca di Monza… Ma
quando, dopo aver «assistito» la procreazione con le dovute diavolerie,
ottiene il suo scopo, il nostro diavolaccio viene convocato dal capo,
l’arcidiavolo Delamaz, il quale – coda e baffetti d’ordinanza – gli
annuncia che l’ha combinata grossa, perché la «parte avversa» si è
risentita assai e ne è nato un grosso caso politico. Urge aprire una trattativa
con «l’Arcangilo Gabriele».
«Chiamatemi Bacab. Sono quel lucifugo che si venne a trovare nella mala
vintura d'essere divintato, come dice il vostro poeta, "spiacente a Dio e
alli nemici sui". Essendo che sono un diavolo, il fatto di spiaciri a Dio
per mia è sempre stato un titolo di merito...».
Jacques Cazotte - Il
diavolo innamorato (novella
spagnola)
Traduzione e postfazione di Gaia Panfili
Nella Napoli galante e un po’ folle di fine Settecento, un giovane spagnolo,
capitano delle guardie del re, accetta per scommessa di esibire il proprio
coraggio sfidando il diavolo. Evocato, il demonio si materializza sotto le
spoglie seducenti di una bellissima giovane donna. Innamorata e tentatrice
insieme, la donna-diavolo si lascia prendere dallo slancio naturale della
passione, nella quale vuole a tutti i costi attrarre il soldatino. Ma ecco farsi
avanti dalla terra di Spagna la cattolicissima madre del capitano: toccherà a
lei cercare di sottrarre il figliolo dalle braccia della diabolica,
innamoratissima tentatrice che lo ha stregato.
«Ingrato, poggia la mano sul cuore che ti adora. Lascia scorrere nelle tue
vene un po' di questa fiamma deliziosa di cui ardono le mie; addolcisci, se
puoi, il tono della tua voce. Dimmi infine, se ti è possibile, con la stessa
tenerezza che io provo per te: "Mio caro Belzebù, ti adoro..."».
Nota dell'editore
Scomparso. Lo aveva cercato in
diverse librerie, poi su internet, nei remainders, sulle bancarelle. Niente.
Quale proterva diavoleria aveva potuto far sì che Il diavolo innamorato di
Cazotte fosse introvabile per il lettore italiano? Perché uno dei testi
fondativi della letteratura fantastica non era stato in grado di suscitare - da
parecchi anni a questa parte - l'attenzione dei suoi colleghi? L’editore si
era posta a più riprese la domanda. Almeno per un paio di volte aveva messo
il libro in piano, e poi lo aveva tolto, fiutando odore di trappola.
Certo, il testo era diabolicamente
bello. Una grande storia d'amore. Un diavolo-donna di profondissima e struggente
umanità. Tentatrice, come si conviene al demonio; ma anche innamorata cotta, al
punto da aver perso letteralmente la testa per il suo bel soldatino. E il
protagonista? Un uomo disposto a lasciarsi sedurre, certo, dalla bellezza; ma
ancor prima ammaliato dalla curiosità, dalla tentazione del più tentatore dei
sensi, lo sguardo.
Forse era proprio questo il punto, pensò
l'editore: quelli che si interessano, di questi tempi, al diavolo, lo vogliono
netto, squadrato ed estremo, senza mezze tinte. Perfido, livido e macabro. Un
diavolo facile da esorcizzare, che incuta una «sana», consolatoria paura. Non
indefinito e sfuggente, non votato per forza di vocazione a suscitare il tarlo
della curiosità della conoscenza. Qualcosa di ascrivibile subito alla categoria
del peccato, senza dover passare per quella più insidiosa e infida della
tentazione.
Alla fine, l'editore si lasciò tentare.
Si chiese se per attenuare il danno, ci potesse essere qualcuno disposto a
condividere il rischio, e a farsi - di questi tempi - banditore del diavolo. Non
dico a prenderne le parti, ma almeno ad assumerne il punto di vista.
Gli venne in mente che da qualche
parte, per il tramite del suo Montalbano, Andrea Camilleri aveva evocato Il
diavolo innamorato. Andò a scartabellare, e trovò un racconto, L'arte
della divinazione, in cui il Commissario mostrava di conoscere bene il «delizioso
romanzo» di Cazotte. E altre volte, del resto, l'odore del diavolo - quello «spaventoso
feto di zolfo e di cloaca» - aveva fatto scientemente capolino tra quelle
pagine.
Chiedere a Camilleri di farsi complice?
Quale sulfurea diavoleria poteva mettere insieme Andrea Camilleri e Jacques
Cazotte? Quale scintilla poteva scoccare tra un grande scrittore d'oggi e uno
dei più sublimi iniziatori della letteratura moderna?
Si sarebbe lasciato «tentare»,
Camilleri? Avrebbe accettato di scrivere una introduzione? Quanto avrebbe pesato
l'amore per Cazotte del suo Montalbano? E quanto la malcelata simpatia
dell'autore verso coloro che si trovano nella non invidiabile situazione di «dispiacere
a Dio»?
Bisognava tentare. L’editore gli
chiese un appuntamento, lo andò a trovare, gli si sedette davanti e gli girò
la demoniaca questione. Camilleri lo guardò per due lunghi secondi; strinse gli
occhi in una fessura ancor più sottile del solito, poi disse: «Una
introduzione no. Magari un racconto».
Roma,
agosto 2005
Il
racconto di Andrea Camilleri è stato pubblicato in anteprima sull'Almanacco dei libri de La
Repubblica del 6.8.2005.
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