Eroi senza medaglia
Una ventina di giorni fa, una televisione araba lanciò l’annunzio che i nostri militari presenti a Nassiriya sarebbero stati ritirati entro un mese. Il nostro (ancora per pochi giorni, mi auguro, attuale) ministro della Difesa, Martino, assumendo un’aria più stratosferica del solito, asserì trattarsi di una balla colossale, di una notizia senza fondamento. Chi scrive, invece, si sentì raggelare. Perché, per un minimo di esperienza acquisita solo con l’attenta lettura dei modi di procedere della resistenza irachena (o del terrorismo, chiamatelo come vi pare, tanto il risultato non cambia) avvertii in quella che pareva essere una semplice notizia di cronaca, una non tanto velata minaccia, un annunzio di morte. Addirittura arrivai (che Dio mi perdoni) a scommetterci su: volete vedere che ora prepareranno un qualche attentato contro di noi?
Una settimana fa, quello che avevo purtroppo previsto, si è avverato: una mina è esplosa al passaggio di una nostra colonna provocando fortunatamente solo danni a un automezzo. Ieri invece una seconda bomba ha provocato tre morti e un ferito grave tra i nostri militari, oltre a un morto romeno. Sono convinto, anche se mi auguro di sbagliarmi, che questo è l’inizio di una escalation annunziata che potrebbe avere conseguenze gravissime. Anche dal punto di vista, come dire, interno. Perché queste nuove vittime, quando torneranno in patria, saranno ricevute con tutti gli onori che meritano ma non avranno il conferimento della medaglia d’oro. Quella la si può dare, a quanto pare, a delle guardie del corpo ingaggiate da società private, e non a dei militari caduti in servizio di pace. Segno dell’ambiguità con la quale il governo Berlusconi ha trascinato gli italiani in un’impresa che aveva il solo scopo di compiacere l’amico americano.
Altre nazioni, che certo non possono non essere definite democratiche, hanno deciso liberamente, e da tempo, di non voler più essere coinvolte nella disastrosa avventura irachena. Noi continuiamo a pagare un prezzo altissimo: 29 morti. Mi auguro che uno dei primi atti del nuovo governo sia quello di ritirare le nostre truppe dall’Iraq prima che succedano nuovi, dolorosissimi lutti.
Andrea Camilleri
(Pubblicato
su La Stampa, 28 aprile 2006) |