Era una notte buia, ma non tempestosa.
Nello scuro fitto di quella strada che avrebbe dovuto essere illuminata da un lampione che i picciottazzi avevano pigliato a petrate astutandolo, il cappello di gran marca, tanticchia scantato, camminava di prescia per arrivare dove doveva arrivare.
Girato l’angolo, capì che il temuto malo incontro gli stava proprio capitando: davanti a lui, ferma come se lo aspettasse, c’era una coppola.
E non una coppola quatrigliè da turista inglisi o verdoligna d’uso catalano; nossignori, questa era una coppola siciliana, di panno nìvuro ed era macari messa storta.
Con un grido soffocato, il cappello si tirò un passo narrè.
“Scanto ti fici?” – s’informò, a un tempo cortese e ironica, la coppola.
“Beh, sì”.
“E pirchì?”
“Beh, si sa cosa rappresenta la coppola, no? E a vederti così all’improvviso davanti a me, nello scuro, in una strada solitaria, ho pensato subito a una mala coppola, una coppola che ha intenzioni tinte. Ci indovinai?”
“Ci indovinasti” – rispose la coppola cavando un revorbaro dalla sacchetta.
E poi spiò:
“Prima levami una curiosità. Su quale testa stai?”
“Sulla testa del più grande banchiere del mondo” – rispose il cappello.
La coppola rimise in sacchetta l’arma, si fece di lato, si scoppolò rispettosamente.
“Mi scusi, capo. Non l’avevo riconosciuta” – fece inchinandosi.
Andrea Camilleri
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