I complici
Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento
Autore | Lirio Abbate e Peter Gomez |
Prezzo | E 15,00 |
Pagine | 353 |
Data di pubblicazione | 2007 |
Editore | Fazi Editore |
Collana | Le terre |
Il segretario nazionale dei giovani dell’UDEUR, il nipote dell’ex vicesindaco comunista di Villabate e l’ultimo erede di una famiglia per anni socia del ministro per gli affari Regionali, Enrico La Loggia: a guardarli mentre camminano assieme per le strade del centro di Palermo, sembrano tre ragazzi appena usciti da un convegno sul futuro della Seconda Repubblica. Ma sono tre picciotti. Tre picciotti di Bernardo Provenzano.
Sono convinto (…) che questa lunghissima latitanza sia stata resa possibile dalla vasta, intricata, resistente ma invisibile rete di protezione che si era creata attorno a lui. Una rete certamente composta in buona parte da persone insospettabili, politici, imprenditori, professionisti. E siccome nel corso di questi quarantatre anni tanti di coloro che aiutarono all’inizio la latitanza di Provenzano devono essere morti di vecchiaia, ne consegue che la protezione del boss è stata lasciata in eredità a figli, nipoti, parenti, amici, soci. Voglio dire, e non prendetelo per un paradosso, che due generazioni di insospettabili sono stati complici diretti o indiretti di Provenzano. E’ questa la vastità del male, anzi, di una parte del male. E non credo d’azzardare troppo dicendo che oltre a essere insospettabili alcuni dei protettori erano (e sono) anche difficilmente “toccabili”. E fino a che questa gente resterà a piede libero corriamo il rischio di tornare a sporcarci. E poi vorrei che tutti, passata l’euforia, ci ricordassimo che la mafia, da tempo, non è solo (o forse non è più) Provenzano, antiquato custode dell’orticello che i suoi più potenti colleghi mafiosi gli hanno lasciato coltivare finché non è diventato un peso. Perché contrariamente al detto comune “morto un papa se ne fa un altro”, nella mafia, appena il papa s’ammala, se ne fa subito un altro.
![]() Lirio Abbate nasce in provincia di Palermo, a Castelbuono; comincia la sua carriera giornalistica nel 1990 al «Giornale di Sicilia» di Palermo, dove rimane fino al 1997, quando poi passa all'Ansa, come redattore di Palermo. Cronista de «La Stampa» dal 1998, segue i processi e le inchieste di mafia, occupandosi in particolar modo dei rapporti tra criminalità organizzata e politica. Sempre per «La Stampa» ha effettuato reportage sugli sbarchi degli immigrati nelle coste siciliane, sul traffico di esseri umani, e in particolar modo sulla spesso taciuta drammaticità della situazione a Lampedusa. I suoi meriti professionali vengono presto riconosciuti con l'attribuzione, da parte dell'Unci, del premio Cronista dell'anno 2003. Le sue inchieste non si limitano tuttavia al solo territorio italiano: si occupa, infatti, della situazione umanitaria nel Darfur e nelle aree di confine del Ciad. Nel 2004 inizia a collaborare con l’Ansa di New York e Washington. Realizza servizi nella base militare di Fort Polk, dove vengono addestrati i soldati destinati alle missioni in Iraq; alla frontiera della morte con il Messico; nella Yucca Mountain, a 1500 metri d'altezza, in pieno deserto del Sud Nevada, la più grande pattumiera al mondo di scorie nucleari. La sua più grande impresa giornalistica si svolge però ancora in Italia, proprio in Sicilia, quando si ritrova primo e unico giornalista presente sul luogo al momento della cattura del capomafia Bernardo Provenzano, potendo così dare la notizia della cattura con tutti i particolari del blitz in diretta. Difatti Abbate da anni segue le inchieste che riguardano i favoreggiatori del boss rivelando tanti retroscena sulla latitanza del capomafia corleonese, scavando in particolare sulla permanenza del padrino a Marsiglia. Con I Complici Abbate traccia la parabola dell'ultimo capo dei capi cercando di ricostruire quella ragnatela di rapporti, politici ed economici, che hanno permesso al “Tratturi” di restare libero per quarantatre anni. Con Vincenzo Bonadonna ha scritto Nostra mafia dei monti. Dal processo delle cosche delle Madonie al «Caso Contrada» (Era Nuova, 1993).
![]() Peter Gomez è un giornalista e scrittore italiano. Cronista giudiziario de «L’Espresso», collaboratore di «Micromega», ha scritto per «Il Giornale» di Montanelli e per «La Voce». Particolarmente coraggiosi gli articoli, scritti insieme a Marco Lillo sulle inchieste del P.M. di Potenza Woodcock sulla “holding del malaffare”, che denunciavano il coinvolgimento di molti personaggi importanti con un sottobosco di faccendieri negli ambienti ministeriali. Il lavoro di Woodcock, ad avviso dei due giornalisti, “scatta una foto a tradimento al retrobottega della seconda repubblica”. Ma tali inchieste non hanno avuto seguito, alle denunce dei due giornalisti è seguito un totale silenzio non solo delle istituzioni ma addirittura di tutta la stampa che anzi ne ha sostenuto l'infondatezza. Contro un tale atteggiamento da parte dei colleghi, Lillo e Gomez hanno reagito scrivendo su Società Civile un pezzo intitolato La Congiura del silenzio. Gomez deve però la notorietà presso il grande pubblico grazie alla sua collaborazione con Marco Travaglio con il quale ha condotto inchieste sulle vicende della politica e dell'illegalità nell'Italia berlusconiana. Nei suoi libri così come nei sui articoli continua a denunciare gli scabrosi rapporti tra politica, alta finanza, corruzione e mafia. Ne I complici, scritto insieme al giornalista Lirio Abbate, Gomez ribadisce come combattere Cosa Nostra assuma le caratteristiche di uno scontro di civiltà con guerre che persistono a dispetto del frequente mutare di equilibri politici che nel Paese indirizzano anche i comportamenti delle istituzioni. |
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Wednesday, July, 13, 2011
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