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Il pastore e le pecore

Giovanni Battista Peruzzo e il sacrificio inutile



Autore Vincenzo Lombino
Prezzo € 12,00
Pagine 120
Data di pubblicazione 2013
Editore Centro Studi Cammarata / Edizioni Lussografica
Collana Sintesi e proposte


È noto che gli uomini veramente autorevoli sono amati da vivi e omaggiati da morti. Nulla di strano dunque se un pastore come mons. Giovanni Battista Peruzzo, vescovo di Agrigento nel secolo scorso, sia stato tanto amato dai fedeli da trovare, quando fu in pericolo di vita, la corale preghiera d’intercessione del suo popolo, tra cui quella più intensa e oblativa delle monache benedettine di Palma di Montechiaro. Il romanzo di Andrea Camilleri, Le pecore e il pastore, ha dato notorietà a mons. Peruzzo, tratteggiando con una certa nostalgia di uomini autentici la sua figura, e ha reso famosa la preghiera oblativa delle monache a favore del pastore. Lo scrittore siciliano ha aperto inoltre la questione etica circa la spiritualità sacrificale delle monache, dichiarandosi deluso di non trovare nelle fonti su Peruzzo la soluzione morale del problema. Questo libro tenta di dare una risposta al rilievo critico di Camilleri, che peraltro molta curiosità ha ingenerato anche in tanti lettori.


Agrigento 1945, il Pastore e le pecore
Vincenzo Lombino, docente di Patristica nella Facoltà Teologica di Sicilia a Palermo e nello Studio Teologico S. Gregorio Agrigentino, ha analizzato la figura di mons. Giovanni Battista Peruzzo, vescovo di Agrigento preso a fucilate nel luglio 1945 e sopravvissuto all'attentato forse ordito dai latifondisti. Il libro, edito dal Centro Studi Cammarata di S. Cataldo (diretto da don Massimo Naro) e dalla Lussografica di Caltanissetta, vuol essere una risposta "a distanza" data ad Andrea Camilleri, che nel 2007 aveva riportato l'attenzione sulla vicenda del presule con il suo "Le pecore e il pastore" ove focalizzava soprattutto l'aspetto per lui più sconcertante, il presunto "sacrificio" di dieci giovani monache del monastero benedettino di Palma di Montechiaro che si sarebbero lasciate morire proprio per impetrare la sopravvivenza del loro vescovo. Insomma dieci vite date in cambio di una, un sacrificio offerto a Dio e da Dio accettato se è vero che il vescovo si salvò, per come avrebbe scritto a Peruzzo (11 anni dopo i fatti) la madre badessa del monastero.
Un suicidio-martirio di massa, dunque? Una questione decisamente inquietante, oltre che sul piano umano, sul quello prettamente religioso: ed ecco dubbi, interrogativi, riflessioni di un Camilleri che non trova risposte.
«Il romanzo di Andrea Camilleri - scrive oggi Lombino - tocca, in pratica, la questione del sacrificio di sé e centra ancora una volta un argomento quanto mai vivo e dibattuto nelle tribune culturali dell'occidente. Senza scendere nella polemica, noi abbiamo voluto raccogliere lo spunto, se vogliamo, la "provocazione" dello scrittore sulla questione morale cristiana circa l'oblazione della propria vita». E rilancia l'interrogativo: «Se il martirio è martirio "volontario", è lecito per un cristiano, e per l'uomo in genere, alienarsi il bene della vita? ».
Su questo tema Lombino prova a far parlare nel suo libro lo stesso Peruzzo, anche tramite la pubblicazione (per la prima volta) di sei omelie, riportate in appendice ove si riscontra inoltre uno scritto dallo stesso inviato a papa Pio XII per ragguagliarlo sull'attentato del 1945 subìto nell'eremo della Quisquina. Sull'episodio viene comunque confutata la tesi Camilleriana della presunta matrice mafiosa, e ribadita quella della vendetta di un componente la comunità dell'eremo, dedito alla delinquenza e per questo allontanato da Peruzzo. Così come non risulta dai registri la morte delle dieci giovani monache (ma solo di alcune e a distanza di anni): e su questo Lombino sostiene che la badessa abbia detto una bugia al suo vescovo «formulata per ricavarne qualche vantaggio e in ogni caso non giustificabile».
Walter Guttadauria (La Sicilia, 23.10.2013)



Last modified Sunday, November, 03, 2013