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Le interviste impossibili

Ottantadue incontri d'autore messi in onda da Radio Rai (1974-1975)



Autore vari (a cura di L. Pavolini)
Prezzo € 55,00
Pagine XXXII-718
Data di pubblicazione novembre 2006
Editore Donzelli
Collana  


Riedizione delle Interviste impossibili mandate in onda dalla Rai nel 1974/1975 (a suo tempo edite in due volumi da Bompiani).
Andrea Camilleri ha contribuito alla trasmissione curandone diverse regie, scrivendo due interviste (Stesicoro e Federico II di Svevia) e interpretandone due nel ruolo di intervistatore (Stesicoro e, in tempi più recenti, Maria Sofia di Napoli nel ruolo che avrebbe dovuto essere di Leonardo Sciascia).

In souplesse
Conversazione con Andrea Camilleri
di Lorenzo Pavolini

Andrea Camilleri è stato uno dei protagonisti del periodo delle grandi sperimentazioni radiofoniche. Nel 1960, con le Orestiadi di Gassmann (traduzione di Pasolini) al teatro greco di Siracusa, realizza il primo esperimento di prosa in stereofonia. La sua carriera radiofonica conta circa 1300 regie, a partire da Finale di partita di Beckett nel 1961. Del 1964 è il primo radiodramma interamente ripreso in esterni (Il sindaco di Manzari). Tra le sue trasmissioni di ricerca vanno ricordate quelle sviluppate con Sergio Liberovici (Le loisir forcés, 1966, un giro per le città turistiche italiane a bordo di un immaginario torpedone). Nel 1968 realizza l’opera stereofonica Protocolli di Sanguineti con la musica di Sylvano Bussotti e la voce di Cathy Berberian. Ancora insieme a Liberovici costruisce uno dei tentativi più audaci di fare radio in presa diretta, Outis Topos, 50 minuti di trasmissione ottenuti dal montaggio di 200 ore di nastri registrati nell’estate del 1973 dagli abitanti di un quartiere del sottoproletariato alle porte di Torino. “Un’ipotesi di radio futura”, come recita il sottotitolo, gestita direttamente dai cittadini. L’unica finzione è l’inizio del programma in cui un bambino inserisce un gettone, chiama il numero delle informazioni e chiede: “Cosa vuol dire utopia?” La centralinista sfoglia il dizionario e risponde: “Outis Topos, in nessun luogo”. Il bambino ringrazia e aggancia. Il magma dialettale di Outis Topos, in cui gente comune registra i propri problemi di tutti i giorni (ma ci sono anche i primi esami dei “meridionali” alla scuola Kennedy di Torino, o il racconto di un superstite della banda Cavallero) contribuirà a formare la lingua dei romanzi di Camilleri. Nel 1975, per la commemorazione del 25 aprile raccoglie una straordinaria testimonianza di resistenza di un superstite genovese, fucilato ma rimasto vivo. Sono gli anni delle “interviste impossibili”. Andrea Camilleri è uno degli abituali registi del programma – insieme a Vittorio Sermonti, Sandro Sequi e Marco Parodi – ma è anche l’autore di due testi…

“Le interviste a Stesicoro e a Federico II sono l’unica cosa che ho scritto nel periodo di “silenzio” – dieci anni – che sono passati da quando ho finito la stesura del romanzo e la sua pubblicazione [il primo romanzo di Camilleri, Il corso delle cose, viene pubblicato nel 1978 a pagamento dall’editore Lalli e non viene notato praticamente da nessuno, ndc]. Non riuscivo a scrivere niente. Furono Lidia Motta e Sandro D’Amico, gli ideatori del programma, a suggerirmi di partecipare anche come autore. Stesicoro l’ho realizzata con Pino Caruso. Federico II invece non fu mai fatta, è stata stampata nel volume Bompiani perché Umberto Eco, al quale si deve la scelta dei testi per la pubblicazione (1), sapeva che l’avevo scritta, ma l’ufficio del personale Rai non mi diede il permesso di realizzarla, dissero che potevo farne soltanto una, così decisi per Stesicoro… Alle interviste impossibili lavorai soprattutto come regista. Non ricordo più neanche quante ne feci [14 ndc], ma sicuramente tutte quelle di Sanguineti e buona parte di quelle di Eco. Ho fatto l’intervista a Pietro Micca, ad esempio, con Felice Andreasi, che era un comico piemontese… Il Pietro Micca di Eco è un eroe per caso, non ci pensava proprio a farsi saltare in aria, l’avevano ingannato con una miccia scadente che bruciava più in fretta… strepitosa! E poi mi è capitata una cosa singolare, data dal fatto che Leonardo Sciascia scrisse un’intervista a Maria Sofia regina di Napoli che all’epoca non venne registrata. Fu realizzata invece nel 1998: io facevo la parte di Sciascia, Adriana Asti faceva la regina, e la regia era di Mario Martone”.

In quell’occasione, era il 22 giugno del 1998, Radio Uno inaugurava una serie di 50 repliche delle interviste impossibili con la registrazione del testo di Sciascia. La messa in onda era preceduta da un suo breve invito all’ascolto nel quale sottolineava come “il segno” che decretò il successo del programma non risiedeva nel valore della “rivisitazione pseudostorica o nella messa a punto storiografica” ma bensì nel fatto che “il gioco dell’incontro immaginario finì quasi sempre per prendere la mano agli intervistatori”, i quali “in effetti, suggerendo alcune risposte al personaggio storico, consciamente o inconsciamente finivano per rovesciare le parti. Come venne intelligentemente scritto: era l’intervistatore che a un certo momento cominciava a intervistare se stesso. O meglio erano i personaggi storici paradossalmente a intervistare gli scrittori”.

“Già il fatto di una scelta alla quale veniva demandato l’autore - visto che il personaggio non era assegnato - metteva sulla strada del confronto con qualcuno che aveva dei punti di contatto, in qualche modo, con l’autore stesso… In genere notavo, da regista e anche come autore, che ci mettevamo tutti nella posizione dell’intervistatore semisprovveduto: facevamo la parte del coglione, un po’ tutti gli autori di queste interviste… L’originalità poi stava nel fatto che l’intervistatore era veramente l’autore”.

Le interviste impossibili sono una formidabile antologia di scrittori italiani alle prese con un genere inedito, che gli consente grande libertà, ma sono anche una rete di collaborazioni artistiche viva e complessa, come quella tra lei e Edoardo Sanguineti…

“La consuetudine registica con Sanguineti ha origini extra-radiofoniche. Andai a trovarlo a Salerno, dove insegnava, quando uscì Laborintos (1956) perché volevo metterlo in scena. Scoprimmo che avevamo lui tre figli maschi e io tre figlie femmine e che, ognuno dei suoi figli, aveva un anno in più della mia figlia corrispondente: quindi per anni sperammo di liberarcene in un colpo solo… Edoardo aderì con entusiasmo all’idea di fare uno spettacolo teatrale del suo Laborintos, ma il problema erano i soldi: come reperirli? Edoardo pensò che il professor Anceschi in qualche modo riusciva a trovarli e mi stabilì un appuntamento con lui, che doveva venire a Roma per fatti suoi… Io lo conoscevo solo di nome, per quello che scriveva… Andai in questo albergo vicino al Pantheon. Era un giorno che piovigginava, indossavo l’impermeabile e quando arrivai trovai un signore che stava parlando con Anceschi: disse di aspettare perché quella persona sarebbe andata via subito, e infatti poco dopo si mise l’impermeabile e uscì. “Guardi sarò molto esplicito con lei”, mi disse Anceschi. “Io un po’ di soldi riesco a trovarli perché l’idea mi piace. Il problema è che avrei in mente di fare un’antologia di questi poeti… o faccio l’antologia o lo spettacolo”. Finì che fece l’antologia: I Novissimi. La cosa divertente e che io esco di lì, mi metto l’impermeabile, arrivo a casa e mi trovo le tasche piene di foglietti con appunti filosofici, affascinanti. Avevamo gli impermeabili identici con quel signore… Telefono ad Anceschi: era Rosario Assunto, il filosofo, che allora non conoscevo. Restituendoci gli impermeabili cominciò un’amicizia con Rosario… Poi il Terzo Programma commissionò a Sanguineti una sorta di panorama della poesia italiana contemporanea… Era impressionante. Ci vuole un minuto e trenta secondi: lui parlava per un minuto e trenta secondi esatti. Elaborava in quel tempo una riflessione compiuta, se erano due minuti lui faceva due minuti, il tecnico diceva: “ma che c’ha un cronometro in testa?”… Questo fu un nostro primo contatto radiofonico, dopo venne Protocolli: quella è l’esperienza fondamentale. Sei voci e le percussioni di Bussotti, solo alcune parti registrate assieme ma molte improvvisazioni… poi sono rimasto una settimana in studio a montare”.

Un livello di sperimentazione radiofonica ben superiore a quello delle interviste impossibili…

“Confrontato con queste esperienze le interviste ci facevano ridere… Registravamo in grande souplesse e divertimento, soprattutto, e credo che venga fuori questo stato di grazia… Ad esempio, tra le cose più belle, anzi sicuramente è la migliore: Calvino che intervista l’uomo di Neanderthal. Lì c’è il genio assoluto, e Bonacelli è grandissimo… Da ridere con le lacrime… Ecco, è importante notare che un novanta per cento delle interviste sono divertenti… Sembra eccessivo dirlo, ma non le prendemmo mai sul serio, c’era una profonda ironia. Solo alcuni - ad esempio Portoghesi - fecero delle interviste serie. Ma le altre… L’intervista di Eco a Muzio Scevola? Lo chiama “comandante”: il prefascista assoluto… Io con Stesicoro ne approfittai per fare un manifesto sulla poesia, condannata all’equivoco... Si conclude con una battuta su Ungaretti, poeta che a pochi anni dalla morte viene già ricordato per due soli versi”.

Quali questioni particolari poneva la regia delle interviste e come si arrivava a decidere la voce del personaggio?

“Mai fatte regie così facili e per un semplice motivo: perché era presente l’autore. I registi si dividono in due categorie. Vittorio Sermonti ed io appartenevamo alla categoria di coloro che non hanno paura degli autori, anche perché eravamo e siamo molto vicini alla scrittura… Poi ci sono quelli che hanno paura degli autori, ma nessuno di loro fece le interviste impossibili… Essendo l’autore tutto il tempo lì in studio, non dovevi fare altro che rivolgerti a lui: allora Edoardo questo personaggio è così, dico bene? No sarebbe meglio precisare che…Quindi andavi tranquillo. In pratica c’era un solo attore che aveva due registi: uno il regista regista e l’altro il regista autore… Una delle cose più serie di questo programma era l’invenzione della voce. Un’invenzione che veniva concordata, ma che nasceva più dall’autore che dal regista… Avevamo tutto il tempo di provare il ritmo, il tono, l’inflessione. Registravamo e ascoltavamo, fino a quando non trovavamo la voce giusta. Allora partivamo e, dato il livello degli attori, le interruzioni erano solo per gli scrittori che si impappinavano”.


(1) Camilleri tira giù il volume dalla sua libreria e lo sfoglia: “È divertente una cosa,” dice “che Bompiani pubblicò una seconda edizione del primo volume con il nome di Eco a caratteri cubitali: aveva pubblicato Il nome della rosa e tutti dietro al suo successo”. Poi riflette sulla quarta di copertina, è proprio vero, dice: “per quanto impossibili, nessuna di questa interviste è inverosimile”.



Last modified Saturday, November, 24, 2012